Horror vacui
Horror vacui è una locuzione latina che significa letteralmente terrore del vuoto, concetto conosciuto in psicologia come cenofobia. Nell'arte definisce l'atto di riempire completamente l'intera superficie di un'opera con dei particolari finemente dettagliati. Analogo uso conosce nella decorazione, nell'ornamentazione e nell'arredamento[1].
Nel mondo fisico
In fisica e in filosofia l'horror vacui indica una teoria ideata da Aristotele che afferma che la natura rifugge il vuoto, e perciò lo riempie costantemente; ogni gas o liquido tenta costantemente di riempire ogni spazio, evitando di lasciarne porzioni vuote. La teoria contraddiceva il pensiero della scuola pitagorica antica e della filosofia atomista, per cui l'esistenza del vuoto non era solo possibile ma era resa una necessità, ponendosi come principio ontologico per l'esistenza degli enti[2]: per gli atomisti, ad esempio, il vuoto che permea gli atomi è quello che permette il movimento[2]. La posizione di Aristotele è stata largamente diffusa per molto tempo. Lo stesso Galileo Galilei non se ne allontanò nelle sue indagini sulla "scienza del vuoto"; tuttavia, ne aiutò sicuramente i successivi sviluppi: il suo allievo Evangelista Torricelli affermò nel 1644 che il livello di mercurio in un tubo chiuso dipendeva dalla pressione atmosferica. Nel 1647 Blaise Pascal confermò quest'ultima teoria, con il suo esperimento detto vide dans le vide (“vuoto nel vuoto”). Infine, proprio mentre nel 1650 Paolo Casati nella sua tesi Vacuum proscriptum proclamava ancora la validità della teoria aristotelica poggiandosi su prove filosofiche e principi teologici, Otto von Guericke provò definitivamente la falsità della teoria aristotelica da un punto di vista fisico, producendo materialmente il vuoto. Anche se, in ultima analisi, la condizione di vuoto perfetto non è ottenibile in laboratorio e non è mai stata osservata in natura; si ritiene che gran parte dello spazio intergalattico consista di un vuoto quasi perfetto, con un piccolo numero di molecole per metro cubo. Inoltre, anche supponendo che in una certa regione dello spazio fisico non ci fossero molecole, la presenza dei campi (gravitazionale, elettromagnetico, ecc.) comporterebbe comunque l'assenza di un vuoto completo in tale regione dello spazio.
Nell'arte
L'uso di questo termine nell'arte si deve al critico italiano Mario Praz, che lo introdusse per descrivere l'atmosfera soffocante dell'arredo nell'età vittoriana. Esempi più antichi e importanti possono essere trovati tra oggetti propri dell'arte barbarica come i manoscritti miniati - tra questi, si può citare la decorazione a tappeto del Libro di Kells - oppure, ancora precedentemente, nel medioevo ellenico, quando lo stile geometrico fece proprio il concetto di horror vacui. La stessa volontà di riempire meticolosamente gli spazi vuoti permea gli arabeschi dell'arte islamica. Anche le manifestazioni artistiche di alcune antiche culture dei nativi americani, come gli Huicholes, presentano le medesime caratteristiche.
Molte altre rappresentazioni di questo concetto vengono da quella che viene definita Art Brut, pittura non convenzionale realizzata da ospiti di ospedali psichiatrici, come Adolf Wölfli, oppure nelle opere dell'arte Tingatinga, movimento tanzaniano del XX secolo. L'horror vacui ha avuto un impatto anche su opere di grafica (come David Carson o Vaughan Oliver), in alcuni fumetti della cultura underground americana (come S. Clay Wilson, Robert Crumb, Robert Williams o Mark Beyer), e nelle opere del movimento di pop surrealism (o Lowbrow), sviluppatosi in California negli anni settanta (si pensi a Faris Badwan, Joe Coleman o Todd Schorr). All'interno della cultura popolare, il disegno che caratterizza la serie di libri per bambini Where's Wally? è un esempio accessibile di horror vacui.
Note
- ^ Horror Vacui, Vocabolario Treccani on line, Istituto dell'Enciclopedia italiana
- ^ a b Vuoto, in Dizionario di filosofia (2009), Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani