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ARISTOTELE

Perché pnc?

Aristotele ricerca un Arché, ossia un principio primo, un punto di partenza del pensare, dal quale cominciare
l'indagine. Analizza quindi i principi alla base del pensiero, non il pensiero stesso.

Metafisica

Ci rimane poco dei dialoghi di aristotele. I trattati non erano destinati alla publicazione; erano testo d'ausilio
per le lezioni. Questi testi, alla sua morte, andarono al suo successore. In seguito arrivarono alla mano di Nelio
di Scepsi, che li porta a casa e dimentica in cantina. Nel 1 sec a.c Andronico di Rodi ritrova i libri e li pubblica. La
loro importanza era cosi grande che i dialoghi furono smessi di essere trasmessi. Il titolo originale era "metà ta
physikà" (dopo le cose della fisica), nel XII secolo rimuovono l'articolo "ta" e diventa metafisica.

Scienza

Una scienza, per essere definita tale, deve avere dei principi, un obbiettivo e una dimostrazione. Come può una
scienza essere universale se ad oggetti diversi corrispondono diversi principi? L'oggetto della ricerca è L'essere
in quanto essere e le proprietà che gli competono in quanto tale (ente). secondo una tradizione cristiana,
l'ente sarebbe la causa generatrice (dio) e l'essere l'opera generata, riprendendo l'idea platonica. Nel mondo
greco non c'è però distinzione tra i due, poiché non esiste nulla di generato dal nulla (parmenide). L'oggetto
della ricerca è quindi l'essere in quanto SOSTANZA, o in quanto ATTRIBUTO di essa; le scienze particolari si
occupano invece di una sola parte della sostanza. aristotele deve trovare gli assiomi (principi primi non
dimostrabili) della sostanza.

I fisici (presocratici) credevano esistesse solo la realtà fisica (sostanza), quindi occupandosene credevano di
star studiando l'intero essere. Aristotele espande il campo di ricerca anche agli attributi, rendendo la fisica
scienza seconda. La scienza prima è la filosofia.

Significati dell'essere

- Socrate è = verbo utilizzato nel senso della sostanza. -> ciò che esiste di per sè, non dipende da altro. In
generale la sostanza è ciò che è percepito dai sensi.

- Socrate è bello = verbo usato in modo non sostanziale ma predicativo. -> ogni altro significato dell'essere è
predicativo alla sostanza. Ha bisogno di "sostanziarsi" (essere usato in funzione di una sostanza) per acquisire di
senso.

Gli attributi in sé non hanno senso: Alto, Bello.. acquisiscono senso solo diventando enti, aggiungendo quindi il
verbo essere e accompagnandoli ad una sostanza.

Tutto quindi può essere ente. o in forma di sostanza o in forma di attributo e la scienza studia tutti gli enti in
quanto enti. Se l'essere però ha diversi significati come fa una scenza a studiarli tutti? Le scienze particolari si
occupano di un solo settore e dei suoi principi. essendo l'essere diviso in molti predicati, non può essere
considerato un genere unico. Sebbene però l'essere abbia diversi significati, tutti rimandano al significato
unico: la sostanza. Proprio perché nessun significato di essere ha senso senza sostanza, devono tutti essere
rimandati ad essa. Il genere della scienza è quindi la sostanza. i predicati però non derivano dalla sostanza, non
sono generati/causati da essa. Infatti, se così fosse, si creerebbe un unità totale del tutto, mettendo sullo stesso
piano sostanza ed attributi (similmente alla scienza platonica) ed eliminando quindi le scienze particolari (che
aristotele vuole mantenere). La differenza tra sostanza e predicati è relazionale ( "Pros hen" = riamnda a) non
causale: Non avrebbero significato ma esisterebbero. Per alessandro da afrodisia i significati di essere non sono
solo Pros hen, ma anche "afenos" ossia "derivanti da". secondo questa visione, tutti i legami anteriori sono
sempre meno sostanza fino ad arrivare ad una sostanza prima. Per A. di Afrodisia il culmine della teoria
aristotelica sarebbe quindi la teologia.

Esistono diversi tipi di attributi: essenziali e accidentali. Quelli essenziali sono necessari all'essenza di una
sostanza, e ne fanno quindi parte della definizione. Quelli accidentali sono rimuobili. Ad esempio, non posso
rimuovere in alcun caso "bipede" ( uomo non bipede ) poiché bipede fa parte dell'essenza di uomo e quindi
della sua definizione. Posso invece dire sia "l'uomo è bianco" che "l'uomo non è bianco" (se sotto condizioni o
tempi diversi) poiché bianco non fa parte della definizione di uomo.

Principio di non contraddizione

Il pnc è il principio fondante del pensiero, non ha a che fare con la conoscenza. è un principio non ipotetico
(anipotetico) (cita il "bene non ipotetico" di platone, ossia un fondamento, punto di lancio)

La conoscenza dei principi primi non può essere scientifica, non può essere dimostrata.Il principio primo non
avrà quindi altri principi anteriori, ma Aristotele cercherà di dimostrarne l'esistenza attraverso la trattazione
dialettica, cercando di dimostrare che il pnc è condiviso da tutti.

"è impossibile per un oggetto possedere un predicato ed il suo contrario, contemporaneamente e nelle
stesse condizioni"

Il principio è il grado 0 del discorso e del pensiero, è impossibile formulare pensieri senza usarlo.

confutazione tesi detrattori

Se l'avversario pronuncia una frase significante (con la stessa definizione per entrambi), sta provando il
principio, poiché sta affidando uno e un solo significato alle parole che dice, negando quindi tutti gli altri
significati. Basterà quindi che il detrattore dica una sola parola, ad esempio "uomo", in un'accezione specifica.
Se infatti dicendo uomo egli sta descrivendo un "animale bipede" starà dicendo che un uomo è quello e non
altro. Anche nel caso in cui uno per "Uomo" intendesse "non uomo", non ci sarebbe contraddizione, poiché
l'importante è che la sostanza a cui ci si riferisce sia la stessa. L'importante è che l'essenza sia la stessa.

Definizione = significato univoco. delimita il significato specifico tagliando fuori tutti gli altri significati.

Essenza = nucleo fondamentale = definizione. Si dice Socrate andasse in giro chiedendo "che cosa è?, le
definizioni che riceveva rappresentavano l'essenza dell'oggetto. Il negatore del pnc distrugge l'essenza, poiché
priva l'oggetto della sua definizione, dandogliene infinite. Infatti, se dico che una cosa è sia tavolo che non
tavolo, a non tavolo equivalgono infiniti significati (la negazione della sostanza non ha significato). Quindi, non
potendo enumerarli tutti, è come se non ne possedesse alcuno.

Negando la sostanza, il negatore sta dando eguale importanza ad "accidenti" (attributi) e sostanza. Gli attributi
sono sopprimibili senza intaccare la sostanza. mentre i significati (definizione) non si possono rimuovere,
poiché intaccherebbero la sostanza. Deve esserci qualcosa che Significa la sostanza (definizione) (essenza), che
la distingua dai predicati. Se il pnc non fosse valido, tutte le cose sarebbero una sola, sarebbero e non
sarebbero tutto, sarebbe impossibile distinguere le cose e i loro attributi, tutto sarebbe confuso, i termini
verrebbero usati indistintamente.

è possibile che esista qualche caso particolare nel quale il pnc non vale? no, e non c'è necessita di esaminare
tutti i casi possibili. Il pnc è la condizione necessaria perché si possa formare qualsiasi frase o discorso, e l'atto
stesso di fare ciò ne verifica la validità.

Ci sono due tipi di contraddittori del pnc: quelli che hanno autentiche difficoltà e quelli che invece parlano solo
per parlare. Con i primi si può discutere, ai secondi si deve solo mostrare come la loro tesi sia sbagliata.

TESI PARMENIDEA

"Tutto è uno" = tutte le cose sono essre, la diversità è apparente.

TESI PROTAGORA

"L'uomo è metro di ciò che è vero e non vero" = ciò che mi appare è vero = o nulla è vero o il vero ci è nascosto
-> relativismo soggettivo. Non vale un giudizio oggettivo basato sulla definizione. Se uomo e trireme mi
appaiono la stessa cosa, sono la stessa cosa. Il vero è sempre relativo al soggetto giudicante. Se quindi una cosa
per me è vera e per un altro no, e sono entrambe egualmente vere, si ammetterebbe la contraddizione!.
Protagora non nega quindi il principio, ma nega la l'oggettività del reale. "omo mensura"

Se tutte le affermazioni che si possono fare sono vere e false al contempo, tutto è indeterminato, poiché
diventa impossibile distinguere il falso dal vero, che si sovrappongono, tutte le cose sono possibili
contemporaneamente. Ciò implica però che anche la negazione del pnc fatta dall'avversario sia al contempo
vera e falsa. Inoltre anche la differenza tra qualcosa e nulla diventa priva di significato, e quindi quando
l'avversario dirà qualcosa, sarebbe come non avesse detto nulla. E con chi non dice nulla non si può
intraprendere una discussione (chi non parla è equivalente ad una pianta). Quindi, per affermare la sua tesi,
non solo deve dire qualcosa (per distinguersi da una pianta) ma deve anche dire qualcosa di determinato (vero
o falso), e ciò affermerebbe la validità del principio. Qalunque affermazione, anche quelle che negano il pnc, lo
presuppongono come base. Al di fuori del principio non c'è parola che abbia senso, quindi la tesi del negatore
non è una tesi.

Questo vale anche nella prassi: compio azioni in funzione del fatto che abbiano un significato specifico e non
equivalente: per me non è equivalente buttarmi o non buttarmi in un pozzo. La scelta è basata sul pnc: buttarsi
e non buttarsi chiaramente non è equivalente. Indipendentemente poi dalla morale dell'azione, siamo convinti
di starci muovendo tra due posibilità ben distinte.

Il pnc si riferisce anche alla struttura stessa della realtà (motivo ontologico), non solamente al piano dialettico.
Per Protagora ciò che ci appare ai sensi è vero.
Sensibile = deforamzione/alterazione fisica degli organi di senso causata da stimoli reali. La sensibilità è la
nostra unica forma di conoscenza. Quindi, visto che le percezioni sono un processo fisico, non possono che
darci informazioni reali. Inoltre per i protagorei anche il pensiero è una forma di percezione sensibile. -->
Per Platone, non è così. Egli ritiene che esistano altre realta, universali ed eternamente vere, con propria realtà
e non predicati, con funzione causale rispetto alla realtà percepibile. Il concetto di uomo va oltre l'individio
sensibile, e ne è causa.
Per Aristotele esistono altri enti oltre a quelli sensibili, che non rappresentano però sostanza, e non derivano
da percezioni sensibili (concetti) come ad esempio le forme geometriche. Oggetti mentali, astratti dalla
materia. Per Aristotele il sensibile per esistere non ha bisogno di concetti, ma sono solamente utili a noi per
studiarlo. Per Platone invece, sono proprio i concetti a causare la realtà sensibile (è il concetto di bianchezza a
causare il bianco nella realtà)

Confutazione sul piano pratico: Effettivamente, le percezioni degli oggetti propri dei vari organi di senso (occhi -
colore; orecchie - suoni) sono vere. Il problema principale è che le varie percezioni sono mischiate. Infatti non
capita mai che la stessa percezione sia ricevuta in modo diverso dallo stesso organo di senso nelle stesse
condizioni. Se ad esempio sento un vino una volta amaro e una dolce, o sono cambiato io o è cambiato il vino,
perché la percezione sensibile non è che un atto meccanico, quindi devono per forza essere mutate le
condizioni. O se ad esempio una sostanza alla vista mi appare miele ma non al gusto, non c'è contraddizione,
perché ai singoli organi sensibili non apparirà contemporaneamente sia miele che non miele.
-Inoltre, se due persone vedono la stessa cosa in diverso modo, non si ha contraddizione, poiché per la stessa
persona la stessa cosa è vera.
-Inoltre è anche importante in relazione a cosa venga detta una cosa. Si può ad esempio dire che un uomo è
alto rispetto a un sasso e basso rispetto ad un albero, ma non che lo stesso uomo è sia alto che basso rispetto
all'albero. Un oggetto può essere uno e molteplice, uno in rispetto alla sua unità e molteplice in rispetto alle
sue parti.
-Inoltre è importante il grado di percezione: potrebbe esserci contraddizione tra quel che percepisco e quel
che opino. Se sono malato ed assaggiando del miele lo sento amaro, attraverso il gusto è amaro, ma la ragione,
riconoscendo che è miele sa che è dolce. Anche qui non c'è contraddizione, poiché il processo percettivo a cui
ci si riferisce deve essere il medesimo. Entrambe le percezioni sono vere, ma per gradi percettivi diversi.

Protagora, con il suo relativismo, nega l'essenza. Ciò vorrebbe dire che, se nonci fossero enti capaci di avere
percezioni sensibili, non ci sarebbe nulla. Per Aristotele prima ci sono le cose in se, poi la percezione di queste.
Infatti, in assenza di cose in se, noi non potremmo avere alcuna percezione ( incontro meccanico tra organo
sensiente e realtà ). Se quindi abbiamo percezione di qualcosa, necessariamente devono esistere questi oggetti
dati.

TESI DEMOCRITO

Ovunque coesistono essere e non essere. Tutto è composto da particelle identiche, conformate in diversi modi,
le particelle si muovono nel vuoto. Quindi il pieno è l'essere e il vuoto è il non essere.

TESI ANASSAGORA

Dal punto di vista fisico la realtà è una mescolanza di tutte le particelle, inzialmente unite, in seguito ordinate
secondo un principio cosmico. In un contesto simile, non esisterebbe il pnc, poiché non ci sarebbe distinzione
tra le particelle di uomo e trireme, che sarebbero mescolate.
Questa osservazione deriva dal fatto che, osservando il mondo naturale, i contrari sembrerebbero generarsi a
vicenda. Se però il non essere non può generare nulla, deve già esistere qualcosa in altra forma.
Risposta: le cose in atto rispettano sempre il pnc. In potenza invece è possibile la coesistenza. Inoltre, la
generazione non è mai dal nulla, ma permane sempre la materia.

TESI ERACLITEA

Il significato di una cosa sta nella sua non cambiabilità. Non posso fare giudizi veri su ciò che muta, e più veloce
è il mutamento, meno saranno veri i miei giudizi. se quindi il cambiamento è instantaneo, sarà impossibile dare
alcun giudizio vero. Anche le parole perderebbero di senso, poiché non sarebbe più possibile dargli significati
stabili, e questo eliminerebbe la possibilità di discutere. ( Aristotele fa l'esempio di Cratilo, un esasperatore
della tesi eraclitea, che si dice avesse smesso di parlare e che indicasse eraclito per rimproverarlo di aver detto
che non si ci si può tuffare nello stesso fiume due volte: per lui non si può neanche una volta! )

Secondo la tesi Eraclitea del "Panta Rei" (tutto scorre), la realtà è in continuo divenire, ed ogni volta che ci
approcciamo ad essa, questa è cambiata. ((questo giustificherebbe la tesi di protagora, poiché non
esisterebbero più cose in se e non ci darebbero quindi alcun criterio oggettivo, rendendo così unico giudizio
valido quello soggettivo))

Confutazione Eraclito: Potrebbe sembrare che se una cosa cambia sparisce: in realtà il divenire non è mai così
radicale da far credere che una cosa che prima non era dopo è, infatti nulla si genera dal nulla. Quello che si
genera si genera da qualcosa che gia esisteva, la trasformazione non è totale, c'è un'identità dell'ente che
permane attraverso la continuità. La sostanza è soggetta a mutamento, ma mantiene la stessa essenza.
Possono cambiare gli attributi (quantità, qualità), ma permarrà la sostanza, non soggetta a mutamenti.
Inoltre, (secondo le tesi di Aristotele sui corpi celesti) , solamente in una piccola parte del mondo sensibile
(terra) regnano generazione e costruzione, mentre il cosmo, molto più esteso, è immobile.
Esistono inoltre enti immobili astratti, come i numeri.

PRINCIPIO DEL TERZO ESCLUSO

non esiste fra due proposizioni contraddittorie una proposizione intermedia, un certo enunciato o è vero o è
falso. Quindi non è possibile ne che siano attribuiti contemporaneamente ad un oggetto (pnc) ne che
contemporaneamente non lo siano (pte).

Se ammettessimo che ogni termine possa avere termine intedmedio


1) dovremmo ammettere che esista anche un medio ad esempio tra pari e dispari
2) implicherebbe una divisibilità all'infinito

Tentativi di confutazione:

1) Ci sono alcuni argomenti sui quali non sono informato e non posso dire alcunché: ne che siano veri e ne falsi.
-> La valutazione soggettiva non ha importanza sul valore in se dell'enunciato, il quesito sarà oggettivamente
vero o falso idipendentemente dal sapere soggettivo.

2) Fuzzy logic: Se da un mucchio di chicchi di grano, manciata dopo manciata, prendo chicchi fino a crearne un
altro, quando posso dire che la quantità del primo gruppo diventa minore del secondo? c'è un momento
preciso? -> vale lo stesso discorso. I chicchi hanno una quantita ben precisa indipendentemente dal fatto che
sia impossibile valutarla soggettivamente.

3) Contrari che ammettono intermedi: In alcuni casi sembrerebbe che esista un medio tra opposti: ad esempio
il grigio tra il bianco e il nero. In realtà il grigio non è un colore di per se, ma rappresenta uno step di passaggio,
di transizione, che a partire dal bianco diventa nero. è quindi un misto tra i due colori, non l'assenza di essi.
Tutto ciò che si presenta come termine intermedio appartiene a fasi di passaggio che avvengono
temporalmente.

DETRATTORI TERZO ESCLUSO

i detrattori principali, gli anassagorei e gli eraclitei, operano enunciazioni univoche: tutto è vero e tutto è falso.
L'errore che operano è alla base: essendo la totalità del reale varia, così come i significati dell'essere, ed
irriducibile ad un unico significato, è erroneo parlare di "tutto". Infatti, ammettendo l'esistenza di vero e falso,
e ammettendo ormai la validità del principio di non contraddizione, è impossibile che "tutto" sia vero, poiché
"tutto" comprenderebbe anche i contradditori, che al contempo non possono essere veri.

ANASSAGORA SUL TERZO ESCLUSO

Secondo la tesi di Anassagora, per la quale tutto sarebbe mescolanza, tutto è indistinguibile e quindi vero. Se
tutto è vero, è vera anche la tesi avversaria, e quindi falsa la propria.

ERACLITO SUL TERZO ESCLUSO

Secondo la tesi di Eraclito, tutto è in perenne cambiamento e quindi tutto è falso. se tutto è falso, è falsa anche
la tesi propria, e quindi vera la tesi avversaria.

Provando ad ammettere delle eccezioni (tutto è falso tranne per la mia affermazione) si ammetterebbero
infinite tesi vere.

QUIETE E MOVIMENTO

Quiete e movimento sono gli argomenti fondamentali della fisica. Perché Aristotele decide di dedicarsi alla
fisica? perché il pnc non è solamente una regola logica, ma un principio che ha suo fondamento nella realtà.
Non è solo un principio dialettico, ma è fondante, ontologico: la distinzione di significati esiste anche nella
realtà ed è indipendente dal nostro piano conoscitivo (è impossibile che una cosa SIA e NON SIA); anche in
assenza di esseri conoscitivi varrebbe in pnc.

Kinesis e Stasis = movimento/assenza di movimento & cambiamento/assenza di cambiamento

Tutto è in quiete
Se tutto è in quiete, nulla muta e nulla si muove. Quindi, tutte le proposizioni vere sarebbero eternamente vere
e quelle false eternaalessmente false. -> impossibile
1) apprendere vuoldire passare da una condizione di non conoscenza (falso) a una di conoscenza (vero)
2) un albero può in estate avere aghi verdi e in inverno non averli. quindi i suoi attributi mutano

Tutto è in movimento (Eraclito)


Tutte le proposizioni sarebbero false (impossibile come spiegato sopra)

CARTESIO

Introduzione
Durante il 1600, la tradizione aristotelica era vista come quella dominante (sebbene si tratti di una tradizione
aristotelica profondamente ritrattata dalla scolastica cristiana, secondo la quale la filosofia aristotelica
costituirebbe le basi della filosofia cristiana).
Il dibattito principale nelle università riguardava il principio di non contraddizione e il terzo ecluso, cercando di
capire quale tra i due fosse più primo e di trovare nuovi principi. Cartesio era parte di questo dibattito.
Nelle zone colpite dalla riforma luterana, si preferisce invece adottare correnti platoniche ( riscoperte da
Marsilio Ficino, traduttore dei testi platonici) poiché i testi aristotelici venivano visti come la corrente più vicina
all’idea cristiana. Fu Lutero a interdire lo studio dei testi classici (principalmente quelli aristotelici, e in
particolare la metafisica) perché giudicati come pagani.

DE ANIMA di Aristotele

Aristotele afferma che il nostro intelletto ha due facoltà: una passiva, o potenziale e una attiva, o attuale. Nel
momento in cui in uomo nasce, dispone di una facoltà intellettiva esclusivamente potenziale, è quindi vuoto,
non c’è alcuna conoscenza. L’unico modo di apprendere informazioni è l’insegnamento esterno (che sia di un
maestro, o di un’esperienza), ed attraverso di esso si passa da una condizione iniziale, solo potenziale, ad una
attuale. Dalla potenza si passa all’atto.
La conoscenza, infatti, consiste nell’atto di acquisire concetti dall’esterno.
Quando l’intelletto è in atto, è in qualche misura separato dal corpo. Quindi alla morte, la facoltà potenziale
muore col corpo, mentre quella in atto, eterna ed esterna all’uomo, permane.

Per Alessandro da Afrodisia, l’intelletto agente corrisponde al motore immobile (Dio supremo). L’intelletto in
atto è unico per tutti poiché è Dio che fornisce la conoscenza di cui gli uomini si appropriano. Diversamente da
Cartesio però, Alessandro da Afrodisia non crede nell’immortalità dell’anima individuale, ma solo nella
conscenza in atto come Dio.

Averroè, similmente, fa coincidere l’intelletto agente ad un’entità divina, alla quale tuttavia fa corrispondere
una “totalità delle conoscenze” che l’uomo può realizzare. Anche quindi, secondo lui, è l’intelletto agente a
suscitare l’attuazione dell’intelletto potenziale, ma non in virtù di un’azione divina, bensì semplicemente per lo
scontro tra l’intelletto potenziale e il corpo totale delle conoscenze realizzabili, che stimola l’intelletto
individuale.

Per Tommaso d’Aquino, l’intelletto agente è anch’esso una componente dell’anima individuale, cosicché ad
essere immortale non sia solo l’intelletto agente collettivo, ma anche quello soggettivo (per giustificare la
visione cristiana)
Per Cartesio, L’intelletto in atto ha a che fare con l’intelletto divino. Il pensare non è più un’attività che si
realizza nell’ambito umano, ma è l’esito di un agente (Dio) che attiva il nostro pensiero.

Secondo tutte queste interpretazioni, la natura del pensare risiede nell’intelletto. Il principio di non
contraddizione permette di dare coerenza ad esso, ma il fenomeno del pensare in se è il soggetto pensante. Il
pnc verrà infatti visto progressivamente sempre più come un principio logico che come base stessa del
pensiero.

Aristotele si interroga inoltre sulle facoltà dell’anima. Sono tre: quella vegetativa (funzioni corporee), quella
sensitiva (percezioni sensibili) e quella intellettuale. La facoltà vegetativa agisce attraverso il cuore e quella
sensitiva attraverso gli organi di senso. La facoltà intellettuale è l’unica a non possedere un organo corporeo
per agire (non si troverebbe infatti nel cervello, come per Platone). Per Aristotele, la facoltà intellettiva è
completamente astratta, e consiste nell’attuazione potenziale dell’intelletto di acquisire informazioni
dall’esterno.

MEDITAZIONI METAFISICHE (1641)

Il nome latino è “meditatione de prima filosofia”, con chiaro richiamo ad Aristotele. Il trattato viene scritto in
Olanda, paese con una certa tolleranza religiosa.
La meditazione è un processo di esercizio del pensiero basato sulla riflessione interna. I pensieri si basano su
una riflessione personale, non basata su percezioni sensibili o lettura di altre opere (benché il suo
ragionamento sia inquadrabile nel pensiero 600/700esco).
A questo fine, Cartesio cerca di nascondere le sue fonti, presentandosi come un filosofo autodidatta, che basa
le sue tesi centrali sulla sua personale riflessione filosofica, o su illuminazioni ricevute in sogno o durante la
meditazioni. Sappiamo che possiede un’educazione universitaria basata sulla scolastica, ma poiché la sua
università è andata distrutta in un incendio non possiamo sapere con precisione quali siano i libri su cui si è
formato.

Lo stile che mantiene è colloquiale, per cercare un legame col lettore ed evidenziare come la sua riflessione sia
a portata di tutti, che non richiede lo studio di filosofi passati.

PRIMA PREFAZIONE (AGLI INSEGNANTI DI TEOLOGIA DELLA SORBONA)

La dedica agli insegnanti della Sorbona per convincerli della validità del suo scritto e per ricevere appoggio e
perché lo scritto non venga inserito nell’indice.

Ritiene che gli argomenti dell’esistenza di Dio e dell’immortalità dell’anima siano quelli di principale interesse
non solo per la teologia, ma anche per la filosofia. Infatti, se ai fedeli per credere in queste due cose basti la
fede (che quindi non richiederebbe trattazione razionale) , gli infedeli hanno necessità di una prova razionale,
che non faccia ricorso alle scritture.
Inoltre, sia i teologi che la bibbia convengono sul fatto che sia perfettamente possibile provare l’esistenza di dio
anche con la ragione naturale, e non c’è nulla di più semplice (‘’quel che si conosce di Dio è manifesto negli
uomini’’ (lettera ai romani)). Chi, infatti, non riesce a riconoscerla e che invece si dedica ad altro ‘’non è
scusabile’’.
Rispetto alla questione dell’anima, alcuni filosofi hanno addirittura ritenuto che l’anima muoia col corpo. Papa
Leone X nel conicilio lateranense ha espressamente ordinato ai filosofi cristiani di confutare le tesi di questi, e
perciò Cartesio ha dovuto trattare anche questo argomento.
Gli argomenti trattati dai precedenti filosofi hanno già ampliamente provato la veridicità di ciò, ed è difficile se
ne possano trovare di nuove o migliori. Cartesio non fa altro che selezionare le confutazioni per lui
maggiormente significative e riordinarle in modo chiaro.

Nel dicorso sul metodo, Cartsio presenta quello che definisce un metodo utilizzabile in qualsiasi ambito
dimostrativo. Il punto fondamentale di questo metodo è che una cosa, per essere vera, deve essere evidente e
chiara. La verità è qualcosa di oggettivo, di dato, è la piena corrispondenza allo stato di cose esistenti (nega
intuizioni protagoree)

Verità = cose come stanno, eternamente, che basta semplicemente cogliere


Falsità = impossibilità di cogliere la realtà delle cose.
seguendo una visione platonica, studiando ‘’alla luce’’ è possibile cogliere cose che al buio restano celate,
confondendosi tra loro, ed impedendoci quindi di trovare la verità.

Cartesio spiega come gli sia stato chiesto dagli apprezzatori del metodo di tentare di sottoporvi la metaficsica
(al tempo considerata pari alla teologia). Cartesio non intende quindi portare nuovi argomenti, ma di applicare
a quelli già esistenti un metodo scientifico e sicuro, in maniera tale da mettere ‘’alla luce’’ la verità.

In seguito paragona la sua dimostrazione ad una dimostrazione geometrica: sebbene ogni passaggio sia di per
se semplice, l’insieme di essi rende la dimostrazione compleassa, ma essendo ogni passaggio perfettamente
coerente e giustificato, l’interezza della dimostrazione si da per certa. Chiarezza ed evidenza non significano
semplicità, soprattutto in filosofia, dove per comprendere davvero il significato è necessaria anche una mente
aperta, pronta a cambiare idea.

Critica poi la filosofia moderna, e di come sia diventata spesso nient’altro che dialettica (ricerca agonistica della
vittoria nei dibattiti) e non ricerca della verità. Inoltre, il fatto che all’apparenza gli argomenti filosofici
sembrano alla portata di tutti, rende tutti desiderosi di partecipare al dibattito, svilendolo ancora di più.

Conclude la prefazione dicendo che ritiene che se tutti leggessero il suo scritto, in breve tempo i dubbi
sull’esistenza di Dio cesserebbero di esistere, e consigliando quindi ai professori della sorbona di leggerlo,
correggerlo, e di iniziare ad adottarlo nelle loro lezioni, cosi da renderlo opera di studio nelle università
europee.

SECONDA PREFAZIONE (AI LETTORI)

specifica di non aver scritto il testo in francese perché non farlo sembrare materia adatta a tutti, e limitare i
lettori a quelli effettivamente competenti.

Nella prima parte della prefazione risponde alle obbiezioni fatte al discorso sul metodo.
Prima obiezione: sebbene la mente, riflettendo su se stessa percepisca solo di essere un unità pensante, ciò
non implica che sia esclusivamente un’unità pensante, e che null’altro appartenga alla natura dell’animo
umano.
Risposta: Cartesio non specifica che il pensiero sia l’unica facoltà della mente, ma che questa è l’unica facoltà di
lui è certo. Nelle meditazioni però mostrerà come effettivamente quella dell’essere pensante sia l’unica natura
dell’animo, poiché è l’unica di cui possa avere conoscenza.
seconda obiezione: dal fatto che io abbia in me l’idea di un qualcosa di più perfetto di me, non deriva il fatto
che questa cosa esista
Risposta: l’idea in sè, appartenente al mio intelletto, non può essere più perfetta di me. Invece il contenuto in è
che l’idea rappresenta, può.

Altri filosofi sull’argomento ontologico:


Hume e Kant: l’esistenza non può essere considerata al pari di tutte le altre proprietà, è di un ordine diverso.
L’esistenza non può essere trovata nella definizione di un oggetto, ma esclusivamente nell’esperienza. Il fatto
quindi che io possa pensare la definizione di un ente non implica la sua esistenza.
Anselmo d’Aosta (formulazione dell’argomento ontologico): Dio è ciò di cui non si può pensare maggiore;
quindi, non può mancare di alcuna proprietà, e tra quste proprietà c’è anche l’esistenza, quindi Dio esiste.

Analogamente ad Aristotele, elenca poi i diversi tipi di lettori:


Alcuni atei, che, al posto di giudicare l’intero procedimento, si limitano a criticarne le conclusioni ricorrendo ad
argomenti tipici (o abbassano Dio all’uomo o innalzano l’uomo a Dio, entrambi argomenti assurdi, poiché le
menti umane sono finite, mentre Dio è infinito e quindi incomprensibile alla mente umana). Di questi
preferisce non occuparsi, per non dare altro spazio a questi personaggi.
Consiglia invece di leggere le sue meditazioni a sia pronto ad estraniarsi da tutti i pregiudizi (giudizi formulati in
anticipo creati da esperienze passate, e quindi per forza frutto di percezioni sensibili) e dalle esperienze
sensibili. I sensi, infatti, sulla conoscenza astratta non possono darci alcuna informazione, sarebbero solo una
distrazione. Bisogna concentrarsi solo sulla riflessione interiore.
solo coloro che aderiranno a ciò potranno ricavare qualcosa dalla lettura dell’opera.

COMPENDIO DELLE MEDITAZIONI

Prima Meditazione
Avviene il primo passaggio: il dubbio. Metto in discussione la fondatezza di alcune opinioni, e portando ciò
all’estremo, finisco per dubitare di tutto. Dubitando di tutto, dubiteremo sicuramente di tutte le false
convinzioni che abbiamo, ma anche di quelle vere. Ciò non è un problema, perché una volta che avremmo
dubitato di tutto, non avremmo più dubbi della veridicità di quel che accerteremo come vero in seguito.
Questo metodo è diverso da quello della tradizione scettica (Pirrone ecc). Infatti loro mettevano in dubbio tutto
indiscriminatamente,per principio, ritenendo impossibile il giungere alla verità in alcun modo.
Cartesio invece analizza via via ogni opinione, dimostrando come sia impossibile verificarne la veridicità.

seconda meditazione
si giungerà quindi a mettere in dubbio anche l’esistenza anche di se stessi. Ma il me che dubita della mia
esistenza, per poter dubitare di essa, dovrà per forza esistere.
Nelle meditazioni non tratterà però anche dell’immortalità dell’anima, poiché prima bisognerebbe aver
appreso appieno in che cosa l’anima di distingua dal corpo, e per fare ciò è necessario comprendere quale sia la
natura del corpo. Inoltre va appreso il fatto che le cose che concepiamo in modo chiaro e distinto come cose
diverse, siano effettivamente sostanze distinte.
Se volessimo trattare dell’immortalità dell’anima dovremmo spostare il campo di ricerca dalla metafisica alla
fisica. Infatti:
1) il corpo è costituito da una serie di accidenti che si possono scomporre, mentre l’anima è una sostanza
semplice, e tutto ciò che è composto tende a decomporsi. Le sostanze semplici invece non possono essere
affette da corruzione.
2) Tutto ciò che riguarda i corpi ammette divisibilità, mentre quel che riguarda l’anima no. L’anima quindi,
essendo indivisibile, è infinita, al contrario del corpo che è finito.
Per ciò, essendo corpo e sostanza afflitti da attributi contrari, sono opposti. E, essendo il corpo mortale, l’anima
(opposta al corpo) deve essere immortale. Questa non è una dimostrazione, ma una speranza.

“le sostanze sono le cose che per esistere devono essere state create da Dio”

Cartesio in questa parte fa riferimento ad un dibattito di origine medievale in cui si fa distinzione tra due
nozioni: essenza e sostanza.
L’essenza (analogamente al significato aristotelico) è la definizione (astratta). Io posso definire un oggetto, ma
la sola definizione non implica che questo oggetto esista, non mi dice nulla sulla sua esistenza (montagna
d’oro).
Il cerchio quadrato, ad esempio, non può esistere neanche come concetto, e non ha quindi essenza.
La sostanza sono le essenze di cui Dio ha deciso l’esistenza. “se l’esistenza non dipendesse da Dio, non ci
sarebbe spiegazione sul perché alcune essenze abbiano sostanza e altre no” (Tommaso d’Acquino)
Solo in Dio, esistenza ed essenza coincidono. Infatti l’attributo dell’esistenza fa parte dell’essenza di Dio
(argomento ontologico)
Le sostanze sono quindi incorruttibili, poiché è incorruttibile la loro essenza.

Terza meditazione

Nella terza porta gli argomenti principali per l’esistenza di Dio. Fa il paragone tra un artigiano che ha in mente
una macchina perfetta e un uomo che ha in mente un dio perfetto. La causa del sapere dell’artigiano deriva da
un lineare passaggio di saperi, mentre nel caso di Dio, la causa non può essere che Dio stesso.

Quarta meditazione

Viene provato che quello che percepiamo chiaramente e distintamente è vero, e in cosa consiste la falsità

Quinta meditazione

Viene spiegata la natura corporea

Sesta meditazione

Si prova che la mente è realmente distinta dal corpo, e che al contempo ne è così strettamente congiunta da
creare un tutt’uno. (come fanno due cose opposte ad essere un tutt’uno?)
Chiude il compendio scrivendo “sarebbe da folli dubitare dell’esistenza delle cose del mondo”; questo
evidenzia come il dubbio sia puramente metodologico, col solo fine di mostrare come le cose più certe di tutte
siano l’esistenza di Dio e dell’Io pensante.

PRIMA MEDITAZIONE

Cartesio farà spesso riferimento ad esperienze di vita individuale, per mostrare la meditazione come
un’esperienza “familiare”, evidenziando come sia cosa possibile anche al lettore.
Cartesio vuole applicare una messa in discussione di tutte le sue opinioni attraverso il metodo del dubbio. Il
dubbio non riguarda però ciò che ho appurato sia falso, o ciò che è chiaramente vero ma ciò di cui non posso
appurare la veridicità con massima sicurezza. Tutte queste opinioni, devo considerarle false.

Non può passare in rassegna tutte le singole opinioni, ma ciò non è necessario: basta infatti mettere in dubbio i
principi, le fondamenta.

1) Fin ora ha ammesso come vero tutto quel che è ricevuto dai sensi. Questi però talvolta ci ingannano, e
prudenza vuole che non ci si fidi del tutto di qualcuno che ci abbia ingannati anche una volta sola.
Metto quindi in discussione la veridicità dei sensi nel complessivo.

2) Ci sono però alcune cose sulle quali non si può dubitare: ad esempio sul fatto che sono qui, che
esistano le mie mani... solo i pazzi credono di essere Re e non poveracci, di avere la testa di vetro o di
essere delle zucchine… La realtà sensibile ci pare in alcuni casi così certa che metterla in dubbio
vorrebbe dire comportarsi come pazzi.

3) Questi inganni però spesso avvengono nei sogni.

4) Facendo attenzione è però impossibile non rendersi conto di essere svegli (Aristotele)

5) “Que dum cogito attentius” (riflettendoci con più attenzione) mi rendo conto che spesso non è
possibile distinguere tra realtà e sogno.

6) Anche fosse impossibile distinguere tra realtà e sogno, bisognerà però ammettere che non tutto è
falso. Infatti, come un pittore nei suoi quadri non inventa oggetti nuovi ma crea una mescolanza di
oggetti esistenti, così nei sogni ci saranno cose di cui non portò dubitare. E seppure questo pittore
riuscisse a creare qualcosa di completamente nuovo, comunque almeno i colori dovrebbero essere
veri. E così come che sui colori, non potrò dubitare su tempo, spazio, quantità…
E ci sono altre cose sulle quali non posso dubitare come la geometria e l’aritmetica: infatti,
indipendentemente da che io dorma o sia sveglio, 2+3 farà sempre 5.

7) Come possiamo però essere sicuri che Dio, essendo onnipotente, non ci stia costantemente
ingannando? Anche sul fatto che 2+3 faccia effettivamente 5?

8) Ma Dio è perfettamente buono, quindi non può volermi ingannare così

9) Però, se il fatto che sia perfettamente buono andasse in contraddizione con il nostro commettere
errori, ciò significherebbe che andrebbe in contraddizione anche con i piccoli errori che compiamo
giornalmente.
Mettiamo allora che un tale dio non esista, e poniamo il caso che gli uomini siano frutto del caso, del
fato, di una serie di cause…: quanto meno sarà potente l’autore della mia origine quanto più gli uomini
saranno imperfetti, e quindi proni all’errore. Cartesio arriva quindi addirittura a mettere in dubbio
l’esistenza stessa di Dio.

La cosa importante durante il metodo del dubbio, è di vedere tutto quel che mi pare dubitabile allo stesso
modo delle cose palesemente false.
Chiaramente, le opinioni che prima ritenevo vere continueranno, per abitudine, a ritornarmi nella mente;
ed inoltre, sebbene io possa credere siano dubbie, continuerò comunque a ritenerle molto probabili.
Devo quindi ingannarmi di proposito, così da creare un bilanciamento dei pregiudizi.

Fra questi pregiudizi da contrastare, c’è quello dell’esistenza di un dio infinitamente buono. Immagino
quindi esista un genio maligno, il cui unico obbiettivo sia quello di ingannarmi. Devo allora dubitare su
tutto: ogni mia percezione è illusoria, persino il mio corpo (anticipa la separazione tra anima e corpo -> la
mente da sola, in stato meditativo, non ha contezza del corpo)
La dimensione del dio ingannatore è analoga a quella onirica: il mondo è strutturalmente ingannevole,
siamo stati creati solo per essere ingannati. (Il fatto stesso dell’esistenza di uno che dubita, rende invalida
l’ipotesi dell’esistenza del genio.)
In un tale mondo sono costretto a mettere in dubbio ogni cosa: facendo così non sarò certo in grado di
conoscere nulla di vero, ma non mi convincerò neppure di nulla di falso, evitando di rimanere vittima del
genio.

L’esercizio del dubbio è faticoso, e perciò è molto facile ricadere nelle vecchie opinioni, più riposanti.
Analogamente ad uno che, durante un bel sogno, per paura della faticosa realtà decide di rimanere in uno
stato di dormiveglia. Non vedo la veglia come la luce della verità, ma come l’oscurità della fatica.

5ECONDA MEDITAZIONE

(( Nella tradizione filosofica a partire da Aristotele, Il termine ‘’anima’’ era collegato ad un concetto più alto
di quello di ‘’mente’’, ossia ad un concetto generale di ‘’animazione’’ (vd. Tre facoltà anima). Il corpo era la
macchina, l’anima quel che lo faceva funzionare.
Cartesio intende occuparsi solo della parte razionale dell’anima. Dal suo punto di vista, solo la mente
caratterizza la facoltà psichica degli esseri umani. ))

Una volta che si è messo tutto in dubbio, è necessario trovare almeno una cosa completamente certa, o nel
caso non si trovasse nulla, quantomeno sapere che non si possa trovare nulla di certo.

Metto quindi in dubbio tutto: sensi, corpo, estensione, movimento… potrebbe forse esistere un dio che mi
infonde queste idee fasulle, sul quale non ci sia bisogno di dubitare, ma non ne ho sicurezza: potrei anche
starmele creando da me.

Ma allora, non esisto almeno io? sono forse così legato al corpo da non poter esistere in assenza di esso?
No, mi resta la capacità di pensare. Anche fossi io a costruirmi queste idee, dovrei comunque esistere per
poterlo fare. Anche se ci fosse un dio ingannatore ad ingannarmi, dovrebbe esistere qualcosa da ingannare.

L’attività mentale si autolegittima della sua esistenza, per il solo fatto di agire.

Ho quindi accertato il fatto che io esista, ma non di che cosa io sia.


-sono forse un uomo? Ma che cos’è un uomo? Un animale razionale? E cos’è un animale? Cos’è razionale?
amplierei solamente il campo d’indagine. (questo è invece il modo nel quale procede Aristotele, per la
diversa concezione che i due hanno sui principi del pensare)
-Provo allora a studiare come IO mi percepivo in quanto uomo. Come qualcosa con un corpo (braccia,
gambe, mani) funzionante (mangiare, dormire, pensare), e queste funzioni le attribuivo all’anima, senza
però avere un’idea precisa di cosa quest’anima fosse.
Cosa è il corpo? Qualcosa che esiste, occupa uno spazio (impenetrabilità dei corpi), soggetto al movimento
(solo se spinto da un altro corpo), che possa essere percepito dai sensi. (REX EXTENSA)
Posta l’esistenza di un dio ingannatore, posso forse essere sicuro di avere qualsiasi di queste cose? O che
mi appartengano il nutrire o il camminare (funzioni dell’anima)? Se sul corpo non posso dire nulla, non
posso farlo neanche su quelle funzioni che per avvenire richiedono l’avere un corpo.
L’unica funzione dell’anima della quale posso essere sicuro è il pensare.
Io quindi sono una cosa che pensa. Se cessa il pensare, potrebbe cessare anche la mia esistenza.

Per capire quel che sono, non posso basarmi che sulle cose che so. Cercando di usare l’immaginazione non
farei altro che crearmi delle immagini fittizie, e sarebbe come dire: voglio aver più chiara una cosa, ora mi
metto a dormire così da poterla avere più chiara in sogno.

So di essere una cosa che pensa, ma che vuol dire pensare? Dubitare, intendere, affermare, negare, volere,
non volere, immaginare, sentire.
Dubito quasi tutto, intendo qualcosa (il pensiero), e di ciò affermo la veridicità, e tutto il resto lo nego, e
voglio conoscere ancora di più, non voglio essere ingannato, immagino molte cose, anche se spesso fittizie,
e ne percepisco molte, come venissero dai sensi.
Immaginazione e “sentire” avvengono in me, quindi, anche se mi riportano immagini fittizie, si possono dire
altro dal pensiero, se avvengo in esso?
L’importante non è l’esito, ma la consapevolezza dell’atto di percezione. È nella mente che vengono
riconosciute le percezioni, vere o false che siano.

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