ANALITICA Vol.01 N.01 (2000) - Rivista Di Analisi Musicale

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Vol.1, N.1 - 2000

Concetto teorico e significato analitico delle successioni lineari: il Largo della


"Ciacona" op. II n. 12, di Arcangelo Corelli
Egidio Pozzi

1. Analisi e significato

L’attribuzione di un significato all’insieme delle osservazioni dedotte dall’analisi è un argomento


che, negli ultimi anni, è stato molto trattato nelle pubblicazioni specialistiche. Nella musicologia
di provenienza anglosassone il dibattito, stimolato anche da questioni storiografiche, ha
prodotto una multiforme varietà di approcci diversi che spesso non hanno abbandonato le
strategie analitiche strutturaliste (l’analisi schenkeriana e quella insiemistica, ad esempio) ma
le hanno ampliate e rivestite di nuovi contenuti. Secondo Lawrence Kramer una delle questioni
che dividono il mondo musicologico anglosassone è l’interpretazione delle strutture profonde,
in quanto esse sembrano essere tanto inaccessibili ad una percezione immediata, quanto
neutrali dal punto di vista delle qualità individuali del singolo pezzo. 1

Si può essere d’accordo su tali affermazioni? Dipende da cosa si intende per strutture
profonde. Se stiamo parlando dell’Ursatz, attribuirle un significato può essere effettivamente
problematico non tanto per la questione della sua percettibilità, ma perché essa non è un
risultato dell’analisi bensì un costrutto teorico, un assioma utile per iniziare l’analisi e non per
concluderla. Se invece per strutture profonde si intende il complesso delle relazioni e degli
eventi di un livello intermedio - ad esempio, l’insieme dei motivi e dei nessi logici che sottende
una composizione - allora tali strutture possono e devono avere un significato, chiaro, esplicito
e comprensibile.

Basilare per l’interpretazione di questo tipo di strutture è la nozione schenkeriana di


successione lineare. Punto di contatto tra armonia e contrappunto, essa svolge un ruolo
fondamentale nell’indagine analitica, può avere un'applicabilità molto estesa e un significato
più reale e pratico di quello che generalmente si pensa. In sede didattica sarà essenziale
chiarire non solo le caratteristiche proprie a questo concetto, ma anche le relazioni che le
successioni lineari mettono in evidenza nel pezzo; relazioni che riguardano sia gli eventi
contigui, decisivi per l’articolazione e la struttura delle singole frasi, sia quelli riposti in
profondità, gli eventi, cioè, che intervengono “a distanza” sull’asse temporale e si riferiscono,
quindi, all’aspetto formale complessivo.

Lungi dal voler esaurire o ridurre la molteplicità e la varietà dei modi nei quali una successione
lineare può essere intesa, l’obiettivo di questo saggio è offrire alcuni suggerimenti, utilizzabili
nell’insegnamento dell’analisi, riguardo ad alcuni dei possibili significati attribuibili ad essa,
proponendone anche un esempio relativo all’indagine analitica dello stile corelliano. A tale
scopo sarà indispensabile, in primo luogo, rilevare le caratteristiche essenziali del concetto di
successione lineare, come esso fu definito da Schenker nei suoi lavori teorici e nelle sue prime
applicazioni analitiche. Successivamente sarà proposto lo studio del movimento introduttivo di
una Sonata da camera di Arcangelo Corelli, la Ciacona op. II n. 12, anche con l’intento di
chiarire in che modo questo concetto può contribuire a sintetizzare più chiaramente e
approfonditamente l’insieme delle rilevazioni prodotte dall’indagine analitica.

2. Il concetto teorico di successione lineare

Negli anni Venti e Trenta del Novecento Schenker inseriva la nozione di successione lineare -

1
L. Kramer, Haydn’s Chaos, Schenker's Order; or, Hermeneutics and Musical Analysis: Can They Mix?, in 19th Century
Music, 1992, vol. XVI, n. 1, p. 5. Un recente studio sugli attuali indirizzi della musicologia anglosassone è in E. Pozzi,
Ermeneutica, analisi, narratività. Tracce di un dibattito storiografico nella musicologia anglosassone, in La musica e la
tradizione ermeneutica, a cura di M. Baroni, Bollettino del G.A.T.M., 1997, anno IV, n. 1, pp. 29-52. 1

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definendola come dispiegamento lineare di un intervallo consonante - nella sua teoria della
musica tonale, attribuendole un ruolo fondamentale. Utilizzando alcuni degli studi da lui
prodotti in quel periodo, unitamente a lavori posteriori di altri studiosi, possiamo cercare di
chiarire più puntualmente le caratteristiche principali di questo concetto, distinguendone
cinque aspetti essenziali.

1) Una successione lineare - sempre unidirezionale, cioè ascendente o discendente - è


costituita da un movimento diatonico per grado congiunto, che può coinvolgere una o più voci
sviluppandosi in diversi registri. Se la successione lineare appartiene al primo livello medio
determina, prolungando direttamente le note dell’Urlinie, una prima fase di elaborazione della
struttura fondamentale; se invece appartiene alla superficie della musica contribuisce alla
formazione del disegno motivico-tematico. Alcuni studiosi tendono a definire come successioni
lineari tutte le figurazioni unidirezionali e per grado congiunto: sia quelle che appartengono ad
un livello profondo e sono identificabili solo attraverso l'analisi, sia quelle che, trovandosi sulla
superficie della musica, sono riconoscibili immediatamente dall'ascoltatore. È invece utile
cercare di distinguere tra il concetto teorico (cioè l’individuazione analitica di una certa linea
appartenente a un livello profondo) e il passaggio melodico, cioè il motivo o la frase tematica
costituita da gradi congiunti unidirezionali che troviamo in partitura. 2

2) Nella gran parte dei casi la successione lineare è la linearizzazione di un intervallo che
appartiene, in un livello strutturale più profondo, ad uno stesso aggregato verticale. 3 In altri
casi la successione lineare è sostenuta da due armonie, ma il prolungamento interessa solo
una delle due armonie estreme. Nell’esempio n. 1, relativo ad un livello medio delle bb. 6-10
del Corale St. Antoni attribuito ad Haydn, sono presentati entrambi i casi. Mentre la prima
successione lineare di terza prolunga, in questo livello, una sola armonia (la tonica Sib
maggiore), la seconda - particolarmente importante perché introduce la sensibile – sebbene
inizi sull’armonia di sottodominante, è da considerarsi solo un prolungamento di una delle
armonie estreme, quella di dominante.

Esempio 1

Se la successione lineare è invece posta al basso la situazione è più complessa:

2
Schenker distingue le successioni lineari appartenenti ai livelli medi, che rappresentano una prima forma
d'elaborazione compositiva, dalle successioni lineari dei livelli esterni, che contribuiscono alla creazione della sostanza
melodico-tematica. (H. Schenker, Free Composition (Der freie Satz), New York and London, Longman, 1979, vol. I,
§.203).
3
“Le successioni lineari presentano uno sviluppo orizzontale degli intervalli originariamente verticali della struttura
fondamentale ” (H. Schenker, op. cit., p. 44). Oswald Jonas, allievo di Schenker a Vienna (prima di trasferirsi a Berlino
dove pubblicò nel 1934 un testo introduttivo alle teorie schenkeriane), specifica che: “per successione lineare
(Auskomponierungszug) Schenker indica il dispiegamento compositivo di un particolare intervallo, uno degli intervalli
dell’accordo naturale: la quinta e la terza, così come delle rispettive inversioni, la quarta e la sesta” (O. Jonas,
Einführung in die Lehre Heinrich Schenkers. Das Wesen des musikalischen Kunstwerkes, Wien, Universal Edition,
1934; trad. ingl.: Introduction to the Theory of Heinrich Schenker. The Nature of the Musical Work of Art, New York,
Longman Inc. 1982, p. 62). 2

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«nei casi in cui le successioni lineari compaiono nella voce inferiore [...] le note estreme [...]
spesso generano e sostengono accordi che non sono verticalizzabili. Prendiamo in esame, a
titolo esemplificativo, la successione di quarta discendente che compare nella linea del basso
alle misure 1-11 del Preludio in Do maggiore [dal Clavicembalo ben temperato] di Bach. In
questo caso le note collocate agli estremi della successione lineare, Do3 e Sol2, sostengono due
armonie differenti e non verticalizzabili, vale a dire l’accordo di tonica e quello di dominante». 4

Esempio 2

La differenza che in questi due casi occorre evidenziare è una differenza di funzione: se le voci
superiori esprimono il contenuto motivico-tematico del pezzo, il basso sostiene armonicamente
le voci superiori, partecipando alla trama contrappuntistica del pezzo e inserendo di volta in
volta armonie diverse. In tal senso la funzione di una successione lineare al basso può essere
quella di collegare due armonie diverse, proponendo o agevolando uno spostamento del
discorso musicale complessivo. 5

3) Le successioni lineari possono presentarsi in ogni livello della struttura musicale e sono una
delle tecniche di prolungamento più importanti: infatti ognuna delle note appartenenti ad una
successione lineare può dar origine, man mano che si procede verso i livelli più esterni, ad
altre successioni d'ordine inferiore. Un esempio di questo processo generativo si ha nel tema
tratto dal primo movimento della Sonata in La maggiore K. 331 di Mozart, la cui analisi è
riportata nell’esempio n. 3. Le prime otto battute di questo tema non solo individuano due
successioni lineari di quinta, la prima delle quali interrotta, 6 ma il motivo delle prime tre
battute è costituito da un’altra coppia di successioni lineari discendenti di terza, una nella voce
superiore e una al basso. Inoltre la ripresa dello stesso tema a b. 13, proponendone un
ampliamento da 4 a 6 battute, evidenzia un'ulteriore successione lineare discendente di terza,
tra b. 15 e b. 17. 7

4
W. Drabkin, S. Pasticci. E. Pozzi, Analisi schenkeriana. Per un’interpretazione organica della struttura musicale, in
Quaderni di Musica/Realtà 32, LIM, Lucca, 1995, p. 90.
5
Questo concetto non sembra sia stato compreso da Leonard B. Meyer quando, in una critica ai procedimenti analitici
di Schenker e dei suoi “seguaci”, afferma: “proprio il concetto di “prolungamento armonico”, a loro avviso tanto
importante nel considerare la crescita musicale, è, nonostante abbiano sostenuto il contrario, fondamentalmente
sentito come statico. Se ciò che segue una determinata armonia, la ‘estende’, se ne deve dedurre che la musica la si
ascolta facendo riferimento più a quella già udita che non a quella che deve ancora venire.” (L. B. Meyer, Emozione e
significato nella musica, Il Mulino, Bologna 1992, p. 85).
6
Nell’esempio le due successioni sono indicate dai numeri 5^-4^-3^-2^ // 5^-4^-3^-2^-1^.
7
Un'analisi dettagliata di questo tema si trova in W. Drabkin, S. Pasticci. E. Pozzi, op. cit., Cap. 5, pp. 57-71. 3

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Esempio 3

4) Le successioni lineari, in quanto originate da un intervallo appartenente ad un livello più


profondo, devono coprire almeno un intervallo di terza; movimenti diatonici che si svolgono
entro un ambito di seconda, settima o nona costituiscono solo delle successioni lineari
“apparenti”. Tra queste, un'importanza particolare è assunta dalle successioni lineari di settima
che prolungano l’accordo di settima di dominante. Le bb. 25-29 della Bagatella in Mib di
Beethoven (op. 119, n. 1), riprese nell’esempio n. 4a, presentano un caso di prolungamento di
una dominante attraverso il dispiegamento orizzontale dei suoi intervalli, opportunamente
collegati con note di passaggio (esempio n. 4b).

Esempio 4

L’esempio è particolarmente significativo, in quanto illustra un caso abbastanza comune:

nella mano sinistra è evidente che l’accordo di settima di dominante è sostenuto per quattro
battute e che la sua settima (il La bem.) risolve sulla terza dell’armonia di tonica della quinta
battuta. Poiché la voce superiore è l’espressione orizzontale dello stesso accordo, il La bem.
acuto funziona nello stesso modo: non risolve all’interno della battuta, ma sul Sol acuto che
interviene con il cambio d'accordo. In altre parole, la risoluzione della settima nella voce
superiore è ritardata (per mezzo di note intermedie) fino a quando il V7 non risolve sul I. 8

Il prolungamento dell’accordo di settima viene realizzato, in questo caso, attraverso due linee
melodiche discendenti che funzionano come delle vere e proprie successioni lineari. Oltre ad
assolvere tale funzione, le due linee s'incaricano anche di “mantenere” la presenza del La bem.
acuto fino alla sua risoluzione, alla b. 29.

5) Una successione lineare può costituire il prolungamento del suono iniziale o di quello finale.
Per distinguere quale nota viene prolungata occorre analizzare il contesto armonico-

8[8] A. Cadwallader, D. Gagné, Analysis of Tonal Music. A Schenkerian Approach, Oxford, Oxford University Press,
1998, pp. 85-86. 4

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contrappuntistico che sta “dietro” alla superficie della musica. 9 Nell’Esempio n. 1, relativo alle
bb. 6-10 del Corale St. Antoni, abbiamo due esempi di successione lineare di terza che
prolungano il loro primo suono; diversamente le successioni lineari dell’esempio n. 5, tratto dal
testo del 1935 di Schenker, sono un prolungamento del suono d'arrivo. 10 In quest'esempio
possiamo osservare alcune successioni lineari che conducono al primo suono dell’Urlinie e che
assolvono anche la funzione di enfatizzare la nota finale, facendola precedere da una
dominante secondaria. 11

Esempio 5

Negli scritti di Schenker il concetto di successione lineare come prolungamento di uno dei due
suoni estremi è direttamente collegato con il Gesetz des Kopftones (la “legge della nota
principale”), 12 secondo cui una volta stabilito quale suono è quello prolungato, esso deve
concettualmente essere mantenuto nella nostra memoria fino a quando le sue conseguenze
(ovvero il suo prolungamento) non siano terminate. Nello spiegare una successione lineare che
parte dal primo suono dell’Urlinie (Kopfton), Schenker pone l'accento sul fatto che:

«l’unità concettuale di una successione lineare denota una tensione concettuale tra l’inizio e la
fine della successione: la nota principale deve essere ritenuta fino a quando compare la nota
conclusiva. Solo questa tensione genera coerenza musicale. In altre parole, la successione
lineare è l’unico strumento di coerenza, di sintesi [in corsivo nell'originale]. La tensione in una
successione lineare è analoga a quella presente in un'ordinata sequenza di un'entità linguistica,
il cui significato è parimenti garantito solo da una tensione concettuale.» 13

Tale principio sarà più comprensibile, nonché pienamente giustificato, una volta inserito nella
teoria completa, cioè nel momento in cui il concetto dei livelli strutturali diventa un elemento
caratterizzante e fondamentale. Infatti solo una concezione della struttura musicale
gerarchicamente stratificata - in livelli strutturali collocati “dietro” la superficie della musica -
permette di affermare che il suono strutturalmente più importante è quello da ritenere. Tale
visione della struttura musicale - intuita da Schenker probabilmente già nei suoi primi lavori,
ma formalizzata solo dagli anni Venti in poi - rappresenterà il necessario contesto teorico alla
nozione di successione lineare e di prolungamento; ciò aprirà la strada a un tipo di
interpretazione analitica in grado di evidenziare relazioni tra note poste anche a grande

9
“Spesso non è facile stabilire una priorità fra la prima e l’ultima nota: in questi casi è necessario interpretare il
significato della successione lineare nel quadro dell’intero contesto in esame, tentando di prevedere le sue implicazioni
anche rispetto ai livelli più profondi della struttura musicale.” (W. Drabkin, S. Pasticci, E. Pozzi, op. cit., p. 90).
10
H. Schenker, op. cit., vol. II, fig. 38.
11
“ Questo movimento ascendente, definito da Schenker “ascesa iniziale” [ted.: Anstieg; ingl.: initial ascent; abbrev.
asc. in.] ha una funzione prettamente introduttiva e prepara, precedendola, la discesa della linea fondamentale. In
questo senso l’ascesa iniziale costituisce una tecnica di prolungamento volta ad enfatizzare, ritardandolo, quello che
nella struttura del livello profondo costituisce il vero inizio del pezzo.” (W. Drabkin, S. Pasticci, E. Pozzi, op. cit., p. 77).
12
H. Schenker, op. cit., vol. I, §. 93, p. 38.
13
H. Schenker, Das Meisterwerk in der Musik. Ein Jahrbuch, Drei Masken Verlag, Munich, 1926, p. 11; trad. ingl. The
Masterwork in Musik. A Yearbook, volume II (1926), edited by W. Drabkin, Cambridge, Cambridge University Press,
1996, p. 1. 5

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distanza tra loro, permettendo così di concretizzare quel concetto di unità organica
fondamentale nel pensiero estetico occidentale.

3. Il significato analitico di successione lineare

Abbiamo visto come la successione lineare possa essere definita come il prolungamento di un
suono o come il dispiegamento di un intervallo consonante: tuttavia non sono solo queste le
caratteristiche che Schenker attribuisce a tale concetto. Leggendo i suoi scritti, e in particolare
alcuni lavori analitici che hanno preceduto i grandi saggi degli anni Venti e Trenta, possiamo
tentare di ricostruire il modo in cui egli arrivò a formulare l'idea di successione lineare,
rintracciando anche altre caratteristiche oltre a quelle già menzionate. 14

William Pastille studiando, in un articolo del 1990, l’origine e lo sviluppo dei concetti di Ursatz e
di Urlinie negli scritti di Schenker, individua nella nozione contrappuntistica di fließender
Gesang (letteralmente “melodia che scorre, fluente”) uno dei principi che potrebbe essere
stato all’origine del concetto di Urlinie. 15 Tale nozione - inserita nel primo volume di
Kontrapunkt tra le regole riguardanti la formazione di un cantus firmus - è correlata a quei
principi contrappuntistici che consigliano di evitare intervalli ampi nella stessa direzione e di
bilanciare un salto con un movimento in direzione contraria. Descrivendo i procedimenti
costruttivi di un corretto cantus firmus, Schenker infatti sottolinea che:

tali procedimenti producono un tipo di linee melodiche a forma d’onda che rappresenta
complessivamente un’entità dotata di movimento e che, con le sue curve ascendenti e
discendenti, appare equilibrata in tutte le singole parti costitutive. Questo tipo di linea
manifesta ciò che si chiama “fluenza melodica” e si può sicuramente affermare che l’intervallo
di seconda - come intervallo più piccolo e “zattera di salvataggio” per i casi d'emergenza - è
l’ingrediente principale della “fluenza melodica”. 16

Da scrupoloso insegnante di contrappunto, Schenker descrive le particolari qualità che una


linea melodica deve possedere quando è inserita in una costruzione polifonica. Varietà e
movimento interno, uniti a sobrietà e ad un certo equilibrio interno nella direzionalità della
melodia, sono qualità essenziali nell’arte contrappuntistica, anche se difficili da schematizzare
in una o più regole. Che l'idea di fließender Gesang sia stata determinante nella formazione
della sua teoria è lo stesso Schenker a suggerirlo riferendosi ad essa quando, in Der Tonwille e
in Das Meisterwerk in der Musik, introduce il concetto di Urlinie e di Ursatz. 17 William Rothstein
individua una descrizione ancor più antica, ricordando che già nel 1904 Schenker sembrava
riferirsi ad una successione lineare discendente analizzando il soggetto di fuga usato da Bach
nella sua Fantasia cromatica e fuga. 18

Con riferimento alle prime otto battute della fuga, Schenker sostiene che:

14
L’edizione critica dell’op. 101 di Beethoven, pubblicata da Schenker nel 1920, rappresenta un vero “punto di svolta
all’interno della sua produzione teorica. A partire dal 1920, infatti, i problemi connessi alla definizione di un mezzo
analitico potente ed efficace assumeranno una centralità pressoché assoluta, mentre la forma espositiva diventerà più
puntuale e sistematica” (W. Drabkin, S. Pasticci, E. Pozzi, op. cit., pp. 16-17). Sembra ragionevole pensare, quindi,
che alcune delle basi analitiche della sua produzione teorica dovrebbero essere trovate nei lavori che precedettero la
fase teorica dei quegli anni.
15
W. Pastille, The Development of the Ursatz in Schenker’s Published Works, in Trends in Schenkerian Research, a
cura di A. Cadwallader, Schirmer Books, New York, 1990, p. 72.
16
H. Schenker, Neue musikalische Theorien und Phantasien II. Kontrapunkt I, Cotta, Stuttgart, 1910, pp. 133-134;
trad. ingl.: Counterpoint. A Translation of Kontrapunkt by Heinrich Schenker..., a cura di John Rothgeb, Schirmer
Books, New York, 1987, I, p. 94.
17
Occorre però anche rilevare che l’idea di sintetizzare il profilo complessivo di una delle linee melodiche della
struttura tonale attraverso una linea diatonica unidirezionale è un concetto più specifico e particolare rispetto a quello
generico di fließender Gesang.
18
W. Pastille, op. cit. , p. 83, nota 2. 6

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se aggiungiamo al suono La, posto sul primo quarto di b. 1, i rispettivi primi quarti delle bb. 4,
6, 7 e 8, otteniamo in sintesi la sequenza di suoni:

Esempio 6

«Con ciò il meraviglioso e determinante mistero è rivelato: tutto il cromatismo del soggetto, il
quale sembra così confuso e disparato, viene fortunatamente trattenuto dall’effetto
fondamentale dell’elaborazione compositiva dell’armonia di Re minore, cosicché noi possiamo
afferrare nel complesso solo la sensazione di quest’ultima! Che costruzione illuminata!!» 19

Nel suo tipico linguaggio enfatico e un po’ oscuro, lontano dal nostro stile moderno di
presentare una ricerca, Schenker suggerisce qui che l’elaborazione bachiana sia stata
realizzata “modellando” alcune idee motiviche fortemente particolari in quanto cromatiche, su
un'emanazione della triade di Re minore costituita da una linea discendente che ne tocca i
punti essenziali, cioè la quinta, la terza e la tonica. In tal modo la funzione “eversiva” del
cromatismo presente nel motivo iniziale (La-Si bem.-Si beq.-Do) verrebbe bilanciata da una
struttura interna - la linea discendente proposta nell’Esempio n. 6 - capace di modellare e
controllare i motivi cromatici di superficie. La pertinenza e la proprietà delle considerazioni di
Schenker possono essere verificate confrontando le sue osservazioni con la partitura bachiana;
per dar conto di tali osservazioni abbiamo preparato un’analisi che ne esplicita i contenuti
essenziali. Nei due pentagrammi superiori dell’esempio n. 7, vengono, di fatto, esplicitati i
criteri adottati per la scelta delle prime due note della linea discendente ipotizzata da Schenker
nell’esempio n. 6.20[20]

Esempio 7

19
H. Schenker, Chromatische Phantasie und Fuge. Kritische Ausgabe mit Anhang, Universal Edition, Wien, 1910; trad.
ingl.: J. S. Bach’s Chromatic Fantasy and Fugue: Critical Edition with Commentary by Heinrich Schenker, a cura di
Hedi Siegel, Schirmer, New York, 1984, pp. 44-45.
20
L’analisi del soggetto di fuga proposta nell’esempio n. 16 riprende il grafico pubblicato da Schenker nel 1935 (Free
Composition. Der freie Satz…, vol. II, fig. 20.2) e tiene conto del tipo di armonizzazioni cui vengono sottoposte le
diverse ripercussioni del soggetto, in particolare quella delle bb. 19-26. In tutte le undici ripercussioni del soggetto le
ultime cinque battute hanno un'armonizzazione costante e utilizzano rispettivamente i seguenti gradi: IV o II grado; V
grado con il ritardo dell’ottava e la successiva discesa sulla settima minore; I grado, spesso in primo rivolto; V grado in
diversi rivolti, spesso con la settima minore e, nell’ultima ripercussione, preceduto da un II grado; I grado. Anche la
seconda battuta e la parte iniziale della terza sono molto costanti, in quanto Bach utilizza prevalentemente lo stesso
accordo (il V o il VII grado). La prima battuta è invece quella più variabile dal punto di vista armonico: chiaramente
l’utilizzazione di un’ampia varietà di soluzioni diverse (I, III, IV e V grado) assolve all’esigenza di attivare un
collegamento con ciò che precede le entrate del soggetto di fuga. 7

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Il motivo di terza minore delle prime due battute, riempito con note di passaggio cromatiche,
viene immediatamente ripetuto - trasposto di una quarta - nelle due battute successive; tale
ripetizione conduce alla nota che determina la prima discesa strutturale, il Sol della quarta
battuta. Delle quattro note che delimitano il motivo cromatico e la sua ripetizione
(rispettivamente La-Do e Mi-Sol) due - quelle contigue - assolvono così il compito di controllare
che la “eversione cromatica” del motivo iniziale non prenda il sopravvento sulle leggi della
tonalità. Esse quindi possono essere considerate strutturalmente importanti perché
rappresentano il particolare modo scelto da Bach per utilizzare un motivo cromatico nella
costruzione di un soggetto di fuga in una determinata tonalità.

Ritornando all’Esempio n. 7, mentre l’analisi delle ultime tre battute sembra essere pienamente
condivisibile, 21 qualche dubbio potrebbe sussistere per la quinta battuta. Ad un primo
approccio verrebbe infatti da chiedersi come mai il Si bem. collocato sul tempo forte della
battuta non sia considerato una nota strutturale; ma, come spesso succede, uno sguardo più
approfondito alla musica ci fornisce le risposte che cerchiamo. Nella Tabella sottostante,
ripresa dal citato studio di Schenker, vengono indicate tutte le riproposizioni del soggetto di
fuga. 22 Un rapido confronto con la partitura consente di verificare che in tutte le ripetizioni del
soggetto la quinta battuta contiene la dominante e che il Si bem. (o le sue trasposizioni) forma
un intervallo di nona con la fondamentale dell’accordo. Si tratta di un ritardo della
fondamentale ottenuto con un'appoggiatura: 23 infatti nella stessa battuta la dissonanza scende
prima verso l’ottava (la fondamentale dell’accordo di dominante) e poi verso la settima minore.

Tabella

prima sezione seconda sezione terza sezione


bb 1-8 9-16 19-26 42-49 60-65 76-83 90- 107-12 131-6 140-5 154-9
95
voci

soprano Rem Mim Rem


contralto Lam Lam Rem Rem Solm
basso Rem Sim Rem

Gli esempi nn. 8a e 8b mostrano due casi significativi: la terza riproposizione del soggetto (b.
19 in Re minore) che chiude l’Esposizione e la quinta riproposizione (b. 60, ancora in Re
minore). Nel primo caso (esempio n. 8a) il soggetto è al basso e la discesa 9-8-7 si conclude
sulla tonica in primo rivolto della battuta successiva; nel secondo caso (esempio n. 8b) il
soggetto è nella voce intermedia e la stessa discesa (Sib-La-Sol) viene “diminuita” con note di
passaggio e anticipazioni, senza per questo alterare le sue funzioni armonico-
contrappuntistiche. 24

21
Nelle ultime tre battute le note strutturali sono sul tempo forte, sono note reali dell’accordo e da esse partono delle
figurazioni basate su note di volta, salti consonanti e note di passaggio.
22
H. Schenker, Chromatische Phantasie und Fuge...; trad. ingl.: J. S. Bach’s Chromatic Fantasy and Fugue... p. 43.
23
Nella musica del Settecento, secondo Diether De La Motte, tali formazioni verticali erano soprattutto legate alla
dominante e la loro risoluzione avveniva sullo stesso accordo e non su quello successivo. (Harmonielehre, Bärenreiter-
Verlag, Kassel, 1976; trad. ital.: Manuale di armonia, a cura di L. Azzaroni, La Nuova Italia Editrice, Scandicci, 1988,
pp. 235-236). A tal proposito si veda anche Walter Piston che riporta, fra gli altri, passi tratti dal Clavicembalo ben
temperato. (Harmony, W. W. Norton & C., New York, 1987; trad. ital.: Armonia, a cura di G. Bosco, G. Gioanola e G.
Vinay, EDT, Torino 1987, p. 366).
24
“Nell’ambito della teoria schenkeriana, il termine "diminuzione" non viene utilizzato nell’accezione corrente di
derivazione fiamminga, ovvero come ‘procedimento inverso dell’aumentazione’, ma sta a indicare una particolare 8

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Esempio 8

Sebbene il Si bem. abbia solo il valore di un’appoggiatura, la sua funzione appare chiara.
L’esempio n. 9 si riferisce alla quarta e alla quinta battuta del soggetto e intende mostrare tale
funzione con riferimento a quella del Sol, la nota dalla quale il Si bem. proviene e alla quale di
lì a poco verrà ricondotto. Il Si bem., risolvendo sulla fondamentale, dà inizio ad un movimento
discendente che non si limita a scendere al La, ma prosegue verso il Sol; ma quando, alla fine
di questo movimento, la voce superiore ritorna al Sol il contesto armonico è totalmente diverso
da quello della quarta battuta. Mentre in precedenza questa nota era fondamentale o terza di
un accordo costruito sul IV o sul II grado (si vedano rispettivamente gli esempi nn. 9a e 9b),
ora il Sol è, in entrambi i casi, la settima di un accordo di dominante ed acquista, quindi,
un’ulteriore spinta verso il basso. In altre parole il Sol, presentato nella quarta battuta in forma
consonante, subisce nella quinta battuta - proprio grazie alla complicità della “nona” Si bem. -
un mutamento sostanziale della sua funzione, trasformandosi in settima. L’intero passaggio, in
definitiva, può essere considerato come la “storia” di questo Sol: una storia che vede prima la
sua introduzione in termini consonanti e poi la sua trasformazione in dissonanza che necessita
di una risoluzione. Dal punto di vista contrappuntistico questa “storia” viene elaborata con due
frammenti melodici, uno ascendente (Sol-La-Si bem.) e l’altro discendente (Si bem.-La-Sol):
tramite essi il Sol viene prolungato fino alla sua risoluzione sul Fa della sesta battuta. Quindi,
nonostante la mobilità della superficie musicale, il Sol è sempre il protagonista, ed è per
questo motivo che il Si bem., indipendentemente dalla sua importanza nel corso del pezzo, non
è stato considerato da Schenker una nota strutturale. 25

tecnica compositiva che, codificata nel Rinascimento, consentiva ad un musicista di fiorire liberamente la struttura
base di un pezzo durante l’esecuzione. Questa fioritura poteva consistere sia nell’abbellimento di una singola nota
(attraverso, per esempio, trilli e mordenti) sia nella sostituzione di una nota di una certa durata con altre di durata
inferiore...” (W. Drabkin, S. Pasticci, E. Pozzi, op. cit., pp. 24-25).
25
Ci si rende conto dell’importanza formale di quest'appoggiatura osservando che essa è utilizzata, raddoppiata alla
terza inferiore, in due momenti cruciali della composizione: nell’ultima ripetizione del soggetto (b. 154), nella voce più
acuta, quattro battute prima della cadenza conclusiva e, soprattutto, tra b. 135 e b. 140, prima del ritorno del
soggetto nella tonalità principale, un punto nel quale la dominante viene introdotta ripetendo tre volte la successione
9-8-7 (quella appunto contenente l’appoggiatura), rispettivamente in Sol minore, Re minore e La maggiore:

Esempio 10

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Esempio 9

Anche in altri passi dell’edizione critica della Fantasia e fuga bachiana Schenker sembra essere
pienamente consapevole della presenza di una linea diatonica unidirezionale che dall’interno
“modella” le figure della superficie. Un passo nel quale sembra essere adombrata la presenza
di una successione lineare - anche in questo caso, probabilmente, mutuata dal concetto di
fließender Gesang - è quello relativo alla b. 59. Con riferimento a questa battuta, che precede
immediatamente la quinta entrata del soggetto, Schenker propone una riduzione ritmica della
linea melodica, riportata nel rigo superiore del nostro esempio n. 11.

I suoni che conducono la linea melodica si susseguono di un sedicesimo in ciascun gruppo (si
vedano il primo, il secondo e il terzo sedicesimo della prima, seconda e terza quartina). Se
fossero state collocate altrove, queste stesse note avrebbero suonato male - chi può imitare un
tale maestro? 26

Esempio 11

Cercando una possibile origine del concetto di successione lineare nei primi lavori analitici di
Schenker abbiamo potuto individuarne il particolare significato “formante”, essenziale nel
modellare il profilo di una linea melodica. Un profilo che, nei casi più interessanti, non
significherà semplicemente una certa direzione ascendente o discendente, bensì un percorso,
una direttrice dalla quale il compositore mutua e organizza le proprie idee motivico-tematiche.

26
H. Schenker, Chromatische Phantasie und Fuge...; trad. ingl.: J. S. Bach’s Chromatic Fantasy and Fugue..., p. 51.
Ulteriori esempi di questo tipo compaiono anche nel commento all’edizione critica della Sonata in La bem. op. 110 di
Beethoven, in relazione al primo e al secondo movimento. (Si veda anche W. Pastille, op. cit., pp. 74-75). 10

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Tale caratteristica è un aspetto fondamentale dell’indagine analitica e può essere evidenziato


utilizzando un procedimento d’indagine come quello mostrato nei precedenti esempi.

A questo punto appare chiaro un passo di Schenker tratto dal testo del 1935 che, seppur
collocato nelle prime pagine, non sembra, a prima vista, di particolare utilità analitica:

«una persona tende in avanti la sua mano e indica una direzione con il suo dito. Un’altra
persona comprende subito questo segno. Lo stesso linguaggio gestuale esiste in musica: ogni
successione lineare è paragonabile al puntare il dito - la sua direzione e il suo obiettivo
vengono distintamente segnalati all’orecchio.» 27

Nel ricorrere alla metafora del gesto indicatore, Schenker rileva l’importanza di una
caratteristica decisamente essenziale in ogni composizione tonale, una caratteristica che i suoi
allievi sicuramente conoscevano e sapevano individuare, ma che, per un lettore superficiale,
potrebbe rimanere nascosta e oscura.

4. Il Largo della Ciacona op. II n. 12 di Corelli

Il Largo introduttivo della Ciacona di Arcangelo Corelli che chiude l'op. II del 1685 (esempio n.
12) costituisce un esempio particolarmente significativo di un prolungamento ottenuto tramite
una successione lineare. 28 Su questo pezzo, negli ultimi anni, sono stati realizzati numerosi
studi che ne hanno messo in luce i tratti salienti: in uno di questi Frits Noske ha proposto una
segmentazione della linea del basso che evidenzia una presenza variamente elaborata del
tetracordo discendente Sol-Fa diesis-Mi-Re. 29 Anche se, in questa sede, non sarà possibile
soffermarsi sugli aspetti problematici che tale analisi solleva, vorrei subito chiarire che,
diversamente da Noske, non ritengo opportuno limitare l’indagine alla sola voce del basso, in
quanto mi sembra difficilmente sostenibile che solo questa voce vada considerata
strutturalmente determinante. 30 Tale ipotesi trova sostegno anche nella possibile origine di
ciaccone e passacaglie. Thomas Walker, in un saggio del 1968, ha chiarito che la ricerca dei
possibili antenati di questi generi musicali dovrebbe necessariamente rivolgersi al repertorio di
intavolature spagnole per chitarra, nel quale tali pezzi erano costituiti da ben determinate
formule armoniche. Tra il 1620 e il 1630 ciaccone e passacaglie si trasformano in forme di
variazione ad opera di compositori come Frescobaldi, Pesenti, Sances e Monteverdi; la loro
trasposizione dal repertorio chitarristico al basso continuo trasforma l'originaria formula

27
H. Schenker, Free Composition. Der freie Satz..., p. 5.
28
Come affermato da Michael Talbot, Corelli ha un posto speciale nella storia della musica perché è stato il primo
compositore ad associare il proprio successo alla sola produzione strumentale. (voce “Corelli, Arcangelo”, in The New
Grove. Dictionary of Music & Musicians, a cura di S. Sadie, vol. 4, pp. 769) Secondo Manfred Bukofzer “la musica
dell’ultima fase del Barocco differisce in effetti da quella delle fasi anteriori per un aspetto molto importante: è scritta
nell’idioma della tonalità pienamente affermatasi. Dopo gli esperimenti pretonali del primo stadio e l’uso di una tonalità
rudimentale nel periodo centrale del Barocco, la realizzazione definitiva della tonalità in Italia, intorno al 1680, segna
la svolta decisiva della storia dell’armonia, che coincide con il principio dell’ultima fase del Barocco”. (M. F. Bukofzer,
Music in the Baroque Era. From Monteverdi to Bach, W. W. Norton & C., New York, 1947; trad. ital.: La musica
barocca, a cura di P. Isotta, Rusconi, Milano, 1982, p. 311) In tal senso Corelli è stato uno dei primi a far uso nella
costruzione formale delle tensioni della gerarchia tonale, integrando le relazioni tonali nella struttura complessiva delle
proprie opere. (W. Drabkin, Corelli’s Trio Sonatas and the viennese String Quartet: Some Points of Contact, in Studi
Corelliani V. Atti del quinto Congresso Internazionale, Fusignano 9-11 settembre 1994, a cura di S. La Via, p. 133).
29
L’analisi di Noske individua complessivamente ventisei sezioni e quattro tipi di formule armoniche. All’interno di
queste sezioni sono individuati quindici diversi tipi di variazione. Il Largo è suddiviso in tre sezioni (I: bb. 1-4; II: bb.
5-8; III: bb. 9-16); nella prima e nella seconda viene riconosciuto il tetracordo discendente, mentre la terza è
genericamente definita come un suo prolungamento, senza peraltro chiarirne le modalità. (F. Noske, Corelli’s
“Ciacona”: Some Analytical Remarks, in Nuovissimi Studi Corelliani, Fusignano 4-7 settembre 1980, a cura di S.
Durante e P. Petrobelli, pp. 15-26).
30
Tale critica fu formulata anche da Wintle nella discussione che seguì la presentazione dell’analisi di Noske
(Nuovissimi Studi Corelliani, … p. 27). 11

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armonica in una linea melodica collocata nella voce del basso, che diventa in tal modo il
soggetto della variazione. Quindi la formula armonica peculiare al genere della passacaglia o
della ciaccona (nella fattispecie I-V-VI-V) non è completamente annullata dal compositore,
bensì trasformata: da una parte riferendola ad un diverso organico strumentale, dall’altra
adattandola ad un emblema sonoro - il tetracordo discendente - tipico di un genere della
musica vocale del tempo: l'aria di lamento. La rilevazione analitica, dunque, non può limitarsi
alla sola voce del basso, se non si vuole ignorare l’aspetto verticale tipico di questi generi. 31

Esempio 12

L’analisi presentata nelle pagine seguenti cercherà di ampliare ed approfondire quella fatta da
Noske e tenterà di chiarire le particolarità della costruzione delle singole sezioni, individuando
quei prolungamenti che, anche all’interno di estese variazioni, possono essere ricondotti alla
forma base del tetracordo.

31
T. Walker, Ciaccona and Passacaglia: Remarks on their Origin and Early History, in Journal of the American
Musicological Society, vol. XXI, 1968, pp. 300-320. 12

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Esempio 13

Nella prima sezione (bb. 1-4, Esempio n. 13) 32 il tetracordo discendente Sol-Fa diesis-Mi-Re
viene presentato non nella sua forma elementare, ma come una variazione che è, al tempo
stesso, una conferma del tetracordo e una prima forma d'interrelazione tra basso e voce
superiore: infatti il prolungamento “anticipato” della dominante (il Re, quarto suono del
tetracordo discendente) è ottenuto con lo stesso motivo che aveva dato inizio al pezzo, il Si-
Do-Re del primo violino. 33 Questa interpretazione analitica, consistente nell’individuare nel
motivo iniziale del primo violino anche il frammento melodico utilizzato per il prolungamento
della dominante, è confermata nelle quattro battute successive. Nella seconda sezione
(Esempio n. 14) il secondo violino imita rigorosamente il primo violino, che, a sua volta, si
spinge in un registro superiore, utilizzando lo stesso motivo iniziale opportunamente trasposto.
Un’ulteriore ripetizione del motivo iniziale è usata al basso ancora con la stessa funzione, vale
a dire come prolungamento anticipato della dominante. Si osserverà che questo passaggio,
rispetto al precedente, è leggermente posticipato; ciò determina uno spostamento rispetto alla
collocazione metrica sul tempo forte che aveva caratterizzato la prima enunciazione del quarto
suono del tetracordo discendente. Il Re, infatti, non è più all'inizio di battuta in quanto la figura
usata per il prolungamento viene spostata più avanti per consentire la conclusione
dell’imitazione del secondo violino, conclusione che prevede un salto d’ottava, prontamente
ripreso anche dal basso a b. 8.

32
Nel grafico riportato nell’esempio n. 13, come in quelli degli esempi n. 14, 15 e 16, il tetracordo discendente è
evidenziato usando le note bianche. Tale tetracordo, in un'analisi completa, verrebbe indicato come una successione
lineare e, dal punto di vista della tecnica compositiva, rappresenta il particolare (e, in questo caso, ricorrente) modo
scelto dal compositore per collegare la tonica con la dominante. Dal punto di vista della storia della composizione l’uso
del tetracordo discendente nella musica strumentale seicentesca sembra provenire dalle arie di lamento. La forma di
queste arie “è caratterizzata dalla presenza di un certo numero di elementi musicali destinati a diventare degli
stereotipi... Tipico è il metro ternario d’impianto, il lento ritmo armonico, il modo minore, l’andamento declamatorio e
fortemente espressivo del canto, il procedere circolare del basso nel quale ricorre in modo ostinato o quasi ostinato la
formula, il tetracordo discendente destinato a divenire per metonimia emblema del genere” (C. Corsi, Gli “affetti del
patetico italiano” negli “squisiti gravi” corelliani: analisi del primo movimento della sonata opera III n. 9, in Studi
Corelliani V, ... pp. 211- 228.) Su quest'argomento si veda anche E. Rosand, The Descending Tetrachord: An Emblem
of Lament, in The Musical Quarterly, 1979, LXV, pp. 346-359.
33
La forte presenza del tetracordo discendente risulta dal fatto che ogni battuta di questa sezione ha una nota del
tetracordo sul tempo forte. Ancora per quanto riguarda la notazione del grafico dell’esempio n. 13 si noterà che il
motivo Si-Do-Re viene indicato con una graffa orizzontale; tale segno verrà utilizzato anche nei grafici successivi per
indicare la ripetizione del motivo melodico iniziale. 13

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Esempio 14

In queste due prime sezioni si ha l’impressione che Corelli fornisca all’ascoltatore una specie di
chiave d'accesso alla comprensione del pezzo: il tetracordo discendente di quattro battute,
opportunamente e costantemente variato, sarà la base sulla quale il compositore costruirà
l’intero pezzo e, in particolare, il dialogo in imitazione tra i due violini. Il compito della terza
sezione sarà leggermente diverso in quanto essa deve assolvere anche altre due funzioni:
chiudere il Largo introduttivo e preparare l’entrata dell’Allegro, il movimento principale del
pezzo. La soluzione di Corelli è molto raffinata, risponde a tutte le esigenze in gioco e specifica
l’ampiezza e la qualità del suo criterio di variazione (vedi Esempio n. 15).

Esempio 15

Il prolungamento della dominante è realizzato in tre fasi: prima scendendo sul Si di b. 13, poi
risalendo lentamente verso il Re, e infine ripercorrendo, per la terza volta, lo stesso percorso
Si-Do-Re: in tutti e tre i prolungamenti viene adottato lo stesso motivo Si-Do-Re. Mentre nella
prima e nella terza fase vengono utilizzate rispettivamente la forma retrograda e quella
originale, nella seconda fase del prolungamento la ripresa della dominante avviene con
un’ulteriore elaborazione del motivo iniziale. Tale elaborazione consiste in un ampliamento del
motivo “dall’interno”, con l’introduzione di una dominante secondaria (il Sol1 alla fine di b. 13)
e un accordo sul II grado (il La1 a b. 14). Si comprende che la finalità di questo tipo
14

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d'elaborazione non è quella di stravolgere completamente il motivo iniziale, ma di svilupparlo e


ampliarlo; metterlo in secondo piano o, in altre parole, trasferirlo “dietro” la superficie della
musica. Anche in questo caso possiamo riconoscere, nel motivo ascendente riposto sotto la
superficie della musica, una vera e propria successione lineare ascendente di terza. In
definitiva il motivo iniziale delle prime due sezioni - affermato all’inizio del pezzo dal primo
violino e utilizzato dal basso, ripreso letteralmente nell’entrata del secondo violino e imitato dal
primo violino, e, infine, riutilizzato in forma retrograda dal basso - si trasforma, nella terza
sezione, in una successione lineare che appartiene ad un livello più profondo e che, da lì,
modella gli eventi della superficie. Tale strategia compositiva costituisce un forte elemento di
coesione strutturale perfettamente comprensibile e percepibile all’ascolto, nonché essenziale e
determinante allo sviluppo motivico e formale dell’intero pezzo.

La triplice ripetizione della dominante ottiene lo scopo di completare la funzione introduttiva


del Largo e, allo stesso tempo, di incrementare l’aspettativa per gli eventi seguenti: non solo
l’arrivo del I grado della tonalità d'impianto e l’entrata del movimento principale del pezzo, ma
anche la presentazione del "personaggio principale" non più travestito, il tetracordo
discendente nella sua forma più semplice ed evidente. Una migliore esemplificazione analitica
di questo progressivo ampliamento dell’iniziale tetracordo discendente può basarsi su una
rappresentazione parametrica della linea del basso. Nell’esempio n. 16 la sovrapposizione delle
tre elaborazioni del basso evidenzia non solo che l’ampliamento è realizzato gradualmente, ma
che il materiale alla base di tale ampliamento è costituito dal motivo iniziale e, in un caso, dalla
sua retrogradazione (indicata nell’esempio con la graffa tratteggiata). 34

Esempio 16

Il riconoscimento della successione lineare Si-Do-Re delle bb. 13-15 permette di interpretare il
Largo della Ciacona corelliana in modo più chiaro di quanto sia stato fatto in precedenza. Come
sottolineava Rossana Dalmonte nella discussione che seguì la sessione analitica dedicata a
questo pezzo al Convegno di Fusignano del 1986, la funzione di exordium del Largo deve
essere intesa non solo come captatio benevolentiae, ma anche come presentazione
dell’argomento e delle dramatis personae. 35 Gli argomenti presentati da Corelli non sono solo
quelli relativi al soggetto della variazione, ma riguardano l’intero impianto compositivo del
pezzo. Infatti il Largo presenta i materiali, le tecniche compositive e le idee formali che
saranno sviluppate nell’Allegro: rispettivamente il tetracordo discendente e il motivo iniziale; la
struttura imitativa delle voci superiori e l’idea dell’espansione dei suoni del tetracordo;
l’accoppiamento delle sezioni e la loro funzione nella costruzione del processo formale

34
Quest'esempio si basa su un articolo di Nicolas Ruwet che traccia le linee metodologiche per un’analisi paradigmatica
di linee monodiche. Si noterà che nel caso all'esame le linee monodiche sono, di fatto, delle analisi, da cui consegue
che l’esempio rappresenta una specie di “analisi dell’analisi”. (N. Ruwet, Metodi di analisi in musicologia, in Linguaggio,
musica, poesia, Einaudi, Torino, 1983, pp. 86-119).
35
Rossana Dalmonte, discussione sulla relazione di Carlo Matteo Mossa (Ostinati e variazioni nell’opera di Arcangelo
Corelli), in Studi Corelliani IV. Atti del quarto Congresso Internazionale, Fusignano 4-7 settembre 1986, a cura di P.
Petrobelli e G. Staffieri, p. 42. 15

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complessivo. 36 Il Largo, quindi, sembra descrivere le modalità compositive con le quali Corelli
intende realizzare il suo pezzo. Il compositore ci prende per mano e ci introduce gradualmente
alla sua idea di variazione, cioè al prolungamento del tetracordo discendente iniziale; un
prolungamento che si concentra su alcuni suoni (nello specifico il Mi e, soprattutto il Re, la
dominante conclusiva) e che sembra trascinare con sé anche le voci superiori. Questo
prolungamento si basa su un progressivo inserimento di accordi che hanno la funzione non di
modificare la direzione del discorso musicale - non avrebbe senso, proprio all’inizio del pezzo,
smentire o rendere ambigua una formula armonico-melodica che, come soggetto della
variazione, è un tratto peculiare e caratteristico del genere - ma, al contrario, di precisarne e
rafforzarne i punti fondamentali.

5. Conclusioni

Come abbiamo visto negli esempi qui discussi il significato di una successione lineare non si
limita all’immediato contesto armonico-contrappuntistico, ma può riguardare l’intero sviluppo
di un processo formale. La rilevazione di una successione lineare può infatti consentire di
individuare alcuni particolari modi dell’elaborazione compositiva: l’obiettivo di un certo
passaggio (un suono o una funzione armonica), la direzione del discorso musicale (ascendente
o discendente e quindi inerente ai diversi registri) e, soprattutto, il percorso che il compositore
intende perseguire nell’esposizione e nello sviluppo delle proprie idee musicali. Per quanto
riguarda il Largo di Corelli l'individuazione di una successione lineare, basata sul motivo iniziale
del pezzo e funzionale all'ampliamento del tetracordo discendente posto alla base della
Ciacona, ha consentito di specificare meglio l'interpretazione analitica data da Noske, fornendo
ulteriori e approfondite osservazioni inerenti lo stile corelliano delle Sonate.

Anche se nei suoi lavori teorici, e soprattutto in Der freie Satz, Schenker privilegerà l’aspetto
normativo delle successioni lineari, cioè la loro definizione come dispiegamento di un intervallo
consonante e il loro inserimento nel contesto complessivo della sua teoria, il significato
analitico-formale delle successioni lineari sarà sempre presente nella sua produzione. Allo
stesso modo, assieme alle considerazioni teoriche riportate nella prima parte del lavoro, la
definizione analitica di successione lineare - esemplarmente sintetizzata da Schenker con la
metafora del dito che punta in una direzione - dovrà essere sempre tenuta in conto dallo
studioso e dal docente, quale premessa indispensabile ad ogni successiva spiegazione o
descrizione metodologica. Se ben spiegata e ben compresa, essa costituisce infatti un
suggerimento di grande importanza non solo per il musicologo che voglia capire fino in fondo il
significato di un’analisi, ma anche per l’interprete che dovrà dare un corrispettivo sonoro alle
direzionalità e ai percorsi della musica.

36
L’accoppiamento delle sezioni, rilevato da Richard Hudson nel repertorio di ciaccone e passacaglie, non viene,
stranamente, preso in considerazione da Noske. (R. Hudson, Further Remarks on the Passacaglia and Ciaccona, in
Journal of the American Musicological Society, 1970, vol. XXIII, pp. 313) Tale elemento - insieme con altri dei quali
non è possibile trattare adeguatamente per evidenti motivi di spazio - sarà invece determinante nello sviluppo formale
del pezzo. In questa parte introduttiva del pezzo l’accoppiamento della prima e della seconda sezione è determinato
dalla stretta imitazione condotta dal secondo violino (bb. 5-8). Il riferimento all’accoppiamento delle due sezioni iniziali
e la sostanziale unità delle bb. 9-16 consente di chiarire quell’equilibrio interno che percepiamo all’ascolto. Dal punto di
vista formale il Largo mostra, infatti, non solo un'articolazione tripartita (le due sezioni iniziali e la lunga terza
sezione), ma anche quella, più equilibrata, bipartita, considerando, appunto, le due sezioni iniziali come un'unità. 16

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Il Corso Sperimentale di Teoria e Analisi tenuto al Conservatorio di Messina


Francesco Scarpellini Pancrazi

Il Corso Sperimentale di Teoria e Analisi tenuto al Conservatorio “Arcangelo Corelli” di Messina


da Mario Musumeci compie in quest’anno accademico 1999/2000 il suo dodicesimo anno di età.
Il corso gode di ottima salute ed è oggi uno dei fiori all’occhiello del Conservatorio messinese.
Soprattutto rappresenta per gli allievi un punto fermo per l’adeguata comprensione del
linguaggio musicale: subito messi di fronte al testo musicale, sono obbligati, di volta in volta,
ad interagire attivamente con esso prendendo in considerazione tutti i suoi parametri,
scomponendolo e ricomponendolo, anche con l’uso creativo e innovativo della corrupta lectio
(la prassi del modificare l’oggetto in analisi per conferirgli una più precisa identità).

L’obiettivo minimo, nonché importantissimo, è quello di formare sia dei futuri esecutori in
grado di affrontare criticamente le opere della letteratura musicale e quindi, nel vero senso
della parola, in grado di interpretarle, sia di fornire un contributo alla formazione di futuri
teorici della musica e musicologi. Una delle prerogative più notevoli e di maggiore visibilità del
corso è certamente quella di permettere ad alunni strumentisti del settimo/ottavo corso di
cimentarsi in brevi ma compiuti saggi di analisi. Tali lavori sono confluiti, nel 1996, in un testo
pubblicato dalla Casa Editrice Latessa, contenente saggi dedicati all’arte di Johann Sebastian
Bach.

Il volume (Mario Musumeci, Sulla letteratura bachiana. Questioni analitiche e problemi


interpretativi, Catania, Casa Editrice Latessa, 1996, pp. XXX, 100, ess. mus), con una
Prefazione di Gianluca Terranova e una Introduzione di Mario Musumeci, è diviso in due parti.
La prima (L’impianto teorico) contiene quattro brevi saggi compilativi concernenti il rapporto
tra retorica verbale e retorica musicale nel periodo barocco e soprattutto nell’opera di Johann
Sebastian Bach: La retorica di Ilda Orlando (pp. 2-4), Johann Sebastian Bach e la tradizione
tedesca: musica come Ars speculativa e Rethorica di Paolo Intilisano (pp. 5-6), Retorica
musicale e Teoria degli affetti di Gianluca Terranova (pp. 7-10) e Il modello quintilianeo in
Bach di Giusy Costa (pp. 11-14). La seconda (Repertorio d’analisi, ed è questa la parte
originale e più interessante del lavoro) contiene otto saggi di analisi tutti accomunati
dall’interpretazione in chiave retorica dei brani musicali presi in esame: Analisi dell’Allemanda e
della Giga dalla Suite francese BWV 815. Strutturazione motivico-tematica e processo
compositivo: dall’Inventio alla Dispositio di Giacomo Arena (pp. 16-36), Analisi dell’Aria
“Deposuit potentes” dal Magnificat di Giusy Costa (pp. 37-40), Analisi della Sarabanda dalla
Partita BWV 1013 di Gianluca Terranova (pp. 41-46), Analisi del Preludio in Do maggiore BWV
846 dal I volume del Clavicembalo ben temperato di Gaetano Costa e Anna Maria Rotondo (pp.
47-53), Polifonia latente e idioma strumentale nel Preludio BWV 998 di Carlo Fiore (pp. 54-60),
Analisi del Preludio BWV 999 tra ermeneutica del testo ed interpretazione esecutiva di
Francesco Scimone (pp. 61-69), Analisi della Fuga V in Re maggiore dal I volume del
Clavicembalo ben temperato di Paola Dato (pp. 70-82), Analisi della Fuga “Sicut locutus est”
dal Magnificat: strutturazione tematica del mèlos e sua ricorrenza dal livello motivico
all’impianto episodico di Mario Musumeci e Gianluca Terranova (pp. 83-99). Nel complesso,
raro esempio di quanto un insegnante - tanto appassionato della sua materia quanto
interessato alla formazione dei suoi allievi - possa da essi ottenere.

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Walter Gieseler, Komposition im 20. Jahrhundert. Details – Zusammenhänge, Celle,


Moeck, 1975, pp. 228.
Wilma D’Ambrosio

Stupisce molto che un libro come Komposition im 20. Jahrhundert. Details - Zusammenhänge
[Composizione nel 20° secolo. Particolari – Connessioni] di Walter Gieseler, pubblicato in
Germania quasi venticinque anni fa, non abbia mai ricevuto un'attenzione maggiore. Strano
destino, per un libro così ricco e innovativo, scritto da un autore cui andrebbe per lo meno
tributato il merito di essere stato uno dei primi a realizzare una descrizione sistematica delle
tecniche compositive novecentesche.

Le ragioni vanno forse cercate nel fatto di non avere mai beneficiato di traduzioni in una lingua
più ‘internazionale’ e di non appartenere, in senso convenzionale, né al settore propriamente
analitico, né teorico-compositivo, né storico-musicale. Di fatto, il libro riassume tutti questi
aspetti, nonché argomenti di materia estetica, esecutiva, psicologico-percettiva, notazionale,
ecc.

L'autore, un compositore e pedagogo nato ad Hannover nel 1919, conosce bene la critica
idealistica, rivolta ai discorsi sugli effetti della musica, ma rifugge da atteggiamenti che
ritengano inutile ed anzi disturbante la descrizione delle strutture musicali; conosce bene lo
strutturalismo, ma non dissocia le sue analisi da quelle implicazioni di natura storica, psichica o
comunicativa che la musica porta in sé. Rispetto alle analisi tecnico-compositive che si
rapportano a concetti filosofici e sociologici di adorniana memoria, le trattazioni di Gieseler non
perdono mai di vista il tema centrale dell'argomento, ovvero le opere musicali e le ragioni
estetiche del loro evolversi. Il suo lavoro, basato su un metodo autonomo rispetto a qualunque
modello, fornisce materiale utilissimo sia ad approfondimenti di tipo analitico, sia ad indagini
storiografiche sulla musica del nostro secolo.

Nell'elaborare il quadro organico delle tecniche compositive del Novecento, Gieseler pone le
produzioni prese in esame all'interno di una griglia di possibilità sorprendentemente
omogenea, a dispetto dell'apparente disomogeneità dei contenuti e dei 'manifesti' estetici dei
compositori o delle scuole compositive che si sono avvicendate dagli inizi del secolo fino alla
metà degli anni Settanta. Questo senza banalizzare o sminuire i contenuti di ogni singolo
brano, di cui egli affronta di volta in volta l'analisi.

Il presupposto principale è che all'interno della costruzione musicale esistano alcune


componenti che si muovono parallelamente: «l'estensione di questo intero libro si basa su
questa concezione, su questa stratificazione tripartita: 1) il materiale, 2) la struttura, 3) la
forma.» [p. 130]

L'individuazione di tali componenti - illustrate dettagliatamente nella parte centrale del libro,
nei capitoli 2-5, dopo un'introduzione, una doppia premessa ed un primo capitolo contenente
indicazioni di natura storica - costituirà la base del lavoro di sistematizzazione delle produzioni
musicali analizzate nel libro.

Gieseler fornisce la sua definizione del concetto di materiale distinguendolo innanzi tutto dal
fenomeno acustico: tutti i fenomeni acustici possono diventare materiale musicale, ma solo
qualora siano passibili di intervento da parte dell'uomo. Ad esempio le altezze, le durate, le
intensità, i timbri, diventano materiale musicale quando vengono impiegati alla luce di un
pensiero organizzante, ed è proprio la trasformazione operata dall’uomo che imprime al
materiale il suo carattere storico. Una simile definizione di materiale è estensibile a concezioni
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sonore non abituali, quali i rumori, i suoni elettronici, ambientali, concreti, su cui può essere
operata una scelta che diverrà coerente con la tecnica compositiva che ne farà uso.

Materiale, specifica Gieseler, non è propriamente sinonimo di parametro. Quest'ultimo è,


infatti, solo una delle componenti parziali del materiale.

Nell’analisi dei materiali di una composizione, Gieseler prende in considerazione dapprima le


tecniche incentrate sull’elaborazione delle altezze (il passaggio dalle scale tonali alle
successioni di suoni di nuovo tipo, l'atonalità, il totale cromatico delle esperienze viennesi e
darmstadtiane, i tropi di Joseph Mathias Hauer, i modi di Olivier Messiaen, i micro-intervalli, la
nuova accordalità, i complessi di suoni, la formazione dei cluster), poi delle durate (i modi
ritmici di Messiaen, le serie delle durate nelle Structures di Pierre Boulez, la concezione del
metro in Zeitmasse di Karlheinz Stockhausen, ecc.) ed infine dei timbri e delle intensità (le
innovazioni timbriche apportate dalla musica elettronica, i nuovi timbri strumentali ottenuti
anche grazie alla ricerca di solisti quali Vinko Globokar o Heinz Holliger, l’organizzazione dei
timbri e delle intensità operata dai compositori che utilizzavano la serialità integrale, ecc.).

Una relazione strutturale, invece, nasce da una relazione fra due elementi tale che il
cambiamento in uno dei due determini un cambiamento nell’altro.

Per chiarire il concetto di elemento, Gieseler propone questo esempio: «per elementi si
intendono le unità più piccole e non riducibili di un sistema. Bisogna però considerarli in senso
relativo: nella ‘forma classica’ l'elemento è il motivo, mentre nei confronti di quello stesso
motivo l'elemento sarà il singolo suono e nei confronti del suono questo valore sarà assunto da
uno dei parametri (ad es. il timbro). Su quest'ultimo livello si può porre ciò che io vorrei
definire struttura elementare.» [p. 77] L’elemento è dunque quel principio strutturante da cui
non è possibile prescindere senza snaturare la struttura stessa.

Una relazione più diretta con le composizioni musicali novecentesche può essere rintracciata
nelle tecniche seriali, dove l’elemento strutturante è la serie. L’esempio che segue è una
dimostrazione di due diverse prospettive con le quali viene trattato l’argomento serie/serialità:

1) nel capitolo sull’organizzazione dei materiali, la serie è esaminata da Gieseler soprattutto


nei suoi aspetti morfologici, ovvero analizzando i criteri costruttivi messi in atto dai vari
compositori nel definire la serie delle altezze e confrontandoli fra loro (a tale scopo egli utilizza
uno studio di Boguslaw Schäffer). Gieseler cerca cioè di mettere a fuoco la tessitura di norme
che, riscontrabili già a livello di serie, si riflettono poi sull’intera composizione;

2) nella sezione riguardante l’organizzazione strutturale, invece, il discorso si concentra


sull’elaborazione compositiva propria delle tecniche seriali e sul trattamento della serie,
procedimenti che vengono fatti risalire a precedenti ottocenteschi quali quello della
«progressiva variazione dei nuclei motivici di Beethoven ed ancor più di Brahms.» [p. 78]

In tale capitolo, oltre alla dodecafonia e alla serialità integrale, l'autore riunisce le principali
tecniche del Novecento musicale: le strutture nell'ambito della determinazione seriale e
statistica (punti, gruppi, campi, ecc.), i procedimenti seriali che si integrano con il mezzo
elettronico, le nuove tecniche timbriche, la dimensione dello spazio e del tempo in sede
compositiva, le relazioni tra musica e linguaggio da un punto di vista semantico e fonetico e
nelle loro integrazioni con il mezzo elettronico.

Struttura e forma sono relazionate l'una all'altra. Ma mentre la struttura basta a se stessa -
purché sussistano proprietà di relazioni tali che l'opera musicale non ceda - la forma invece ha
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senso solo attraverso la percezione da parte di un soggetto. In tal modo, la forma esce
dall'autosufficienza della struttura per entrare nel campo intenzionale delle tensioni prodotte
tra essa e lo spettatore o l'ascoltatore. Forma, in musica, consiste nell'esperienza uditiva della
struttura; mediante tale processo uditivo, alla forma viene garantito un risultato estetico.

In più, «la relazione soggetto-oggetto diventa anche una fruttuosa dinamica soggetto-oggetto.
Questa dinamica estetica è molto distante da rigide fissazioni di norme, dalla concordanza con
l'abitudinario e dalle leggi di mercato.» [p. 3] Da ciò s’intuisce come «le trasformazioni formali
vengano facilmente promosse dall'esterno, per esempio attraverso il mutamento delle
condizioni sociali di una determinata epoca.» [p. 129]

Sul piano delle esemplificazioni pratiche, i problemi della forma vengono affrontati passando in
rassegna i rapporti che, soprattutto a partire dal 1950, sono intercorsi tra forma e tecnica
compositiva. Cominciando dalla relazione tra strutture seriali e grande forma, l'autore esamina
le principali ‘esperienze’ sviluppatesi da lì fino agli anni Settanta: la determinazione e
l'indeterminazione formale in musica, il concetto di forma aperta con le sue possibilità di forma
variabile e di forme polisignificanti, la Momentform di Stockhausen, la formalizzazione
mediante probabilità della musica stocastica, il ruolo del caso libero e della musica intuitiva,
l'improvvisazione e la cosiddetta musica informale.

Oltre che alla ricerca in ambiti tecnico-compositivi e formali, Gieseler evidenzia come i
compositori del nostro secolo abbiano dedicato ampio spazio anche alla ricerca di un nuovo
rapporto sia con gli esecutori, sia con il pubblico. L'evoluzione della notazione e l'ampliamento
del concetto tradizionale di concerto ne sono stati la diretta conseguenza.

Questi argomenti vengono affrontati negli ultimi due capitoli del libro che forniscono, il primo,
una sintesi degli aspetti riguardanti le nuove notazioni - dalle nuove grafie strumentali
(Krzysztof Penderecki, György Ligeti, ecc.), alle partiture di musica elettronica (Elektronische
Studie II e Kontakte di Stockhausen, ecc.), alla scrittura d'azione (Sylvano Bussotti, John
Cage, Dieter Schnebel, Boguslaw Schäffer, ecc.) - ed il secondo alcuni esempi di superamento
delle forme tradizionali di produzione musicale (la Live-electronic, il teatro musicale, la
multimedialità).

Questo breve excursus riassume solo in parte i tanti e molteplici aspetti contenuti nel testo. La
panoramica delle tecniche compositive del XX secolo, che vengono non solo analizzate, ma
rapportate al momento storico della loro produzione e confrontate fra loro, è varia e corredata
di numerosi esempi musicali. Il libro riesce però a non ridursi ad un mero catalogo di nomi di
compositori e gli esempi musicali non sono mai citati a caso, bensì secondo l’argomento
specifico di cui in quel momento si tratta. Tale opera di sistematizzazione degli aspetti tecnico-
estetici della produzione novecentesca rimane, in definitiva, l'aspetto più interessante
dell'intero lavoro che, nel complesso, potrebbe costituire un importante sussidio per
l’esecutore, il compositore, lo storico ed ogni altra categoria di studiosi della materia.

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Christopher Hasty, Meter as Rhythm [Metro come Ritmo], Oxford University Press,
New York & Oxford, 1997, pp. xvii + 310, £. 70.00 ISBN 0-19-510066-2. 1
Antonio Cascelli

Quando, nell’undicesimo libro delle Confessioni, S. Agostino si interroga circa la natura del
tempo, individua un problema linguistico in senso forte, dove il linguaggio non costituisce una
semplice etichetta da attaccare agli eventi ma un modo di entrare in relazione con essi e
conoscerli. Quando qualcuno gli domanda cosa sia il tempo, egli non lo sa, cioè non sa come
spiegarlo e gli mancano le parole per esprimere qualcosa che, quando nessuno glielo chiede,
egli conosce. Come possiamo esprimere il fluire del tempo? Come possiamo dire il tempo e dar
voce a una profonda esperienza cognitiva del divenire e della relazione che noi stabiliamo con
esso?

Queste domande costituiscono le basi del libro di Christopher Hasty. Il suo punto di partenza è
la considerazione che, sopprimendo la creatività e la novità dell'effettiva esperienza musicale,
l’astrazione dell’analisi tradisce la natura temporale della musica. Al contrario, Hasty vuole
prendere in considerazione questa natura temporale e "cercare dei modi di parlare dell’aspetto
evanescente della musica, sviluppando concetti che catturino tanto la determinatezza quanto
l’indeterminatezza degli eventi al loro passaggio" (p. vii). 2

Il libro è diviso in due parti: nella prima, intitolata Meter and Rhythm Opposed, Hasty critica la
distinzione/opposizione fra metro e ritmo così come è stata sviluppata dal XVIII (Mattheson
and Koch) al XX secolo (Cooper e Meyer, Cone, Lerdahl e Jackendoff). Nella seconda parte, A
theory of Meter as Process, egli presenta "una teoria in cui il metro è trattato come un aspetto
del ritmo caratterizzato da quegli elementi di creatività, spontaneità e particolarità che spesso
attribuiamo al ritmo in opposizione al metro." Successivamente presenta una serie di analisi da
Monteverdi e Schütz a Boulez, Carter e Wolpe.

Hasty riconosce un diverso uso della parola ritmo all’interno di un linguaggio non musicale da
un lato e di un linguaggio musicale dall’altro. In un linguaggio non musicale usiamo la parola
ritmo per indicare, ad esempio, il regolare alternarsi delle stagioni, il battito dell’orologio, il
susseguirsi di nascita e morte. Ogni fenomeno che, nel suo divenire, presenta una periodicità è
chiamato ritmico. Ma "possiamo usare la parola ritmo per caratterizzare fenomeni in cui la
periodicità non è evidente: il fluido gesto di una mano, una natura morta, il procedere di una
narrazione, la forma di una frase musicale" (p. 4), basandoci su un giudizio estetico. Pertanto
"il ritmo può implicare regolarità o spontaneità; una proprietà oggettiva che può essere
misurata, o qualcosa di ineffabile di cui se ne può solo fare esperienza; un ordine
generalizzabile e ripetibile, o un ordine particolare e irripetibile" (p. 4). Nel linguaggio musicale
queste dicotomie sono identificate nella distinzione fra metro e ritmo. Il metro, assorbendo il
concetto di regolarità, è uno schema costituito da una serie di accenti forti e deboli, una griglia
temporale per il susseguirsi degli eventi. È rigido e fisso mentre il ritmo è flessibile e
spontaneo. Il metro è la legge, meccanica e generale mentre il ritmo, nel suo essere organico
e particolare è libertà. Per ironia della sorte "il metro può essere considerato anche non
ritmico o addirittura antiritmico, o, nel migliore dei casi, non completamente ritmico" (p. 5).
Infatti "quando impariamo a leggere la musica dobbiamo prima imparare a contare, ma se
continuiamo a contare non suoneremo mai ritmicamente" (p. 5). Tuttavia la rigida dicotomia
musicale di metro e ritmo non esiste in quanto il ritmo ha qualcosa della regolarità del metro e
quest’ultimo ha qualcosa della libertà e spontaneità del ritmo. Secondo l’autore, la dicotomia
nel linguaggio musicale è la conseguenza del trasferimento in musica del concetto di numero e
di quantità numerica, attraverso i quali il processo temporale è ridotto ad una linea dove i

1
Desidero ringraziare Nicholas Cook per avermi fatto leggere, prima della pubblicazione, la sua recensione del libro.
2
Le traduzioni dall’inglese sono dell’autore della presente recensione. 21

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singoli eventi corrispondono a punti senza tempo posti di fronti a noi. Possiamo muoverci
avanti e indietro su questa linea, prendere misurazioni, analizzare e comparare eventi musicali
tramite la loro rappresentazione quantitativa. "Ma la musica, com'è esperita, non è espressione
di quantità numerica. La musica è un'organizzazione che viene comunicata attraverso un
processo e non può essere catturata. Le sole cose che possiamo trattenere sono
rappresentazioni spaziali (partiture, diagrammi) e concetti o idee di motivi dall’ordine fissato,
concetti di trasformazione e gerarchia" (p. 3).

La musica dovrebbe essere concettualizzata dal punto di vista di un processo e non di un


prodotto. Come prodotto è articolata in punti e segmenti che impongono un modello statico,
negando ed esorcizzando l’idea di divenire, transizione e indeterminatezza, e provocando il
collasso di passato, presente e futuro. Dal punto di vista del processo, però, musica e ritmo si
comportano diversamente. Secondo Hasty ci parlano "di un tempo che non è altro che il
particolare evolversi di un evento che noi seguiamo con interesse - un tempo che non
possiamo prevedere né catturare" (p. 6) Pertanto "seguire l’evento ritmico, implica ciò che è
possibile alla luce di quanto è avvenuto e quanto è avvenuto alla luce di ciò che potrebbe
essere fatto di esso, nel momento in cui siamo coinvolti nell’evolversi di un evento particolare"
(p. 69). Questo, insieme con altri elementi che illustrerò più tardi, mi suggerisce un confronto
con quanto S. Agostino scrive nell’undicesimo libro delle *Confessioni*: "noi misuriamo il
tempo mentre passa [...] Il futuro, in sé stesso, non può essere visto in quanto non esiste, ma
è possibile vedere cause o segni già esistenti." Ci dovrebbe essere, quindi, un modo di
analizzare il processo ritmico che consideri come passato e futuro sono coinvolti in una
situazione presente, senza cancellare il fatto che ciò che è passato, in sé stesso, non può
ritornare e ciò che non è ancora arrivato non è ancora determinato. È nella seconda parte del
libro che passato, presente e futuro, come elementi fondamentali di un'investigazione sul
tempo, sono messi in gioco per sviluppare una teoria del metro musicale che consideri e
riconosca la potenzialità del passato, l’indeterminatezza del presente e la novità del futuro. Se
il metro deve essere considerato ritmico in sé stesso, cioè indeterminato piuttosto che già
determinato in uno schema predefinito, allora la durata che viene misurata e l’atto del
misurare stesso devono essere correlati all’esperienza presente e a un divenire che non è dato
né completamente determinato. Pertanto la domanda iniziale è: come determinare la durata?
Come possiamo misurare un passato che è andato e un futuro che non è ancora arrivato?
Come possiamo comprendere i rapporti di durata di eventi che sono andati e eventi che
verranno, dal momento che di ogni evento possiamo avere una percezione solo nel momento
del loro passaggio?

In una concezione numerica del tempo, principio e durata sono separati. Principio è un punto
senza durata la cui esistenza è indipendente da una durata emergente, un punto sempre
disponibile per prendere misure. Ma in una teoria del metro come processo, principio e durata
non possono esistere separatamente. "Principio e durata avvengono nello stesso momento, nel
momento in cui l’evento diviene" (p. 72). La consapevolezza di questo "stesso momento" è
"ora": un sentimento di crescita, di una durata che si espande e rinnova continuamente, "una
consapevolezza presente di un evento nel suo processo di divenire - una consapevolezza di
cosa l’evento è diventato fin ora e, quando si è concluso, la consapevolezza di cosa, alla fine, è
diventato" (p. 72). Potremmo dire, con S. Agostino, che "i tempi sono tre: il presente del
passato, il presente del presente, il presente del futuro". Ora abbiamo la consapevolezza di un
principio nel passato (il presente del passato), la consapevolezza di una durata che cresce (il
presente del presente), ora la consapevolezza dell’indeterminatezza del divenire (il presente
del futuro). Il luogo di questa consapevolezza è la nostra memoria, la nostra attenzione
attirata dalla durata emergente.

Dire che ora abbiamo la consapevolezza di una durata emergente non significa negare che,
quando un evento è completo, la sua durata sia un prodotto. Come prodotto è determinato e
passato, niente può essere fatto per alterare questa durata. Ma questa durata, disponibile nella 22

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nostra memoria come passato, può essere coinvolta nel divenire di un altro evento, per
esempio, comparandola ad un’altra durata. Se questa determinatezza (durational determinacy)
non ha ancora effetto su un evento successivo e non è coinvolta nel divenire di qualche evento
più grande che la include, non potremmo avere alcuna consapevolezza presente di una
determinatezza (durational determinacy).

L’elemento che, come Hasty afferma, è in grado di connettere questi elementi è l’idea di
proiezione intesa come un "gettare avanti". Data quindi una determinata durata, composta di
più elementi (nel caso più semplice possiamo considerare A come suono e B come silenzio),

"il processo attraverso cui questa durata fornisce una definita durata in potenza
(definita durational potential) per l’inizio di un evento immediatamente successivo,
prende il nome di proiezione.[…] La durata in potenza (potential duration) per un
secondo evento C’ (esempio 1) è proiettata in avanti; rappresento la durata
proiettata con una linea tratteggiata per indicare che questa durata è in potenza
(potential) piuttosto che in atto. Quando c’è una reale durata C’ che emerge come
riproduzione della durata del primo evento, allora il potenziale proiettato (projected
potential) è stato realizzato. La reale durata (C) del primo evento, funzionando
come durata potenziale (potential duration) del secondo evento, la chiamerò
proiettiva (projective) e rappresento questa funzione con una freccia in direzione
dell’inizio del secondo evento. Proiezione, in quanto azione del proiettare, si
riferisce all’intero processo. Per prevenire un possibile fraintendimento è necessario
spiegare che la freccia non indica un evento (C) che porta ad un secondo evento. Il
potenziale proiettivo è il potenziale affinché la durata di un evento presente sia
riprodotta. Questo potenziale è realizzato se e quando c’è un nuovo principio la cui
durata potenziale è determinata dal primo evento ormai passato. Il potenziale
proiettivo non è il potenziale che fa si che ci sia un successore, piuttosto è il
potenziale per cui una durata completa (completed durational quantity) e passata
sia presa come particolarmente rilevante per il divenire di un evento presente. La
freccia, in questo senso, fa riferimento alla possibilità di una relazione futura." (p.
84)

In questo modo ogni evento stabilisce la possibilità che possa essere continuato, pienamente
realizzato, o negato; proietta la sua potenzialità oltre i suoi propri confini in un modo che l’idea
di metro come schema non può riconoscere.

Esempio 1

Il metro dovrebbe essere compreso come proiezione. Ciò porta a raggruppare le battute
secondo il campo proiettivo (projective field) in azione in un particolare momento. Hasty
distingue fra battuta (bar) e misura (measure): la prima costituisce la tradizionale divisione
metrica espressa dall’indicazione metrica all’inizio di un brano, la seconda è il risultato di
diverse proiezioni. Conseguentemente egli parla di una misura di due battute (two-bars
measure), misura di mezza battuta (half-bar measure) e così via. Il punto in questione, qui, è
il modo in cui possiamo raggruppare le battute e determinare differenti segmenti temporali.
Secondo Hasty non abbiamo alcuno schema precostituito, con un’unità di misura e i suoi
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multipli. Dobbiamo invece chiederci quando un campo proiettivo finisce realmente. Come
esempio di questo modo di procedere, è interessante citare quanto Hasty scrive a proposito del
Madrigale “Ohimè, se tanto amate” dal Quarto Libro dei Madrigali di Claudio Monteverdi.

Esempio 2

"Le quattro battute d'apertura sollevano diversi problemi analitici. Se ci sono due
misure di due-battute (two-bar measures), possiamo chiederci quando la prima di
queste diventa una misura. Solo con l’emergere di una seconda misura di due-
battute alla fine di battuta 3, la prima unità di due battute funziona come misura.
Nella prima battuta c’è una proiezione completa – la semiminima funziona come
anacrusi per la continuazione sulla minima, formando così un'unità relativamente
chiusa. Ovviamente, nella battuta 2 non viene suonato alcun inizio - un 'inizio 24

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silenzioso' 3 emerge solo con la seconda minima, e soltanto ora c’è una proiezione e
si determina la seconda battuta della misura (second bar measure). Nuovamente
l’enfasi è sulla continuazione nelle voci superiori, ma la minima del basso [battuta
2: re], ripetendo la terza discendente (re-sib) delle precedenti figure in anacrusi
[alto: re-sib, tenore: sib-sol], funziona come anacrusi per la successiva
battuta/misura (bar measure). Soltanto il testo – mè/Ohi (battute 4 e 5) -
impedisce all’anacrusi di funzionare pienamente. A causa dell’enfasi sulla
continuazione nelle battute 1 e 2, il potenziale proiettivo delle prime due battute
non è molto definito e così, con l’inizio di battuta 3, non è chiaro se viene proiettata
la durata di una o due battute. Ovviamente, con l’entrata delle altre voci a battuta 3
la proiezione è chiarificata - la ripetizione di battuta 1 e il cambiamento di armonia
sottolineano questa battuta come un secondo inizio e non come continuazione di
una misura di tre battute (three –bar measure). Con la battuta 4 la proiezione è
realizzata e noi ci troviamo di fronte a due misure di due battute (two two-bar
measures)" (p. 237-8).

L’identificazione del metro con l’idea della proiezione provoca, come possiamo notare anche dal
passaggio appena citato, una ridefinizione dei parametri musicali quali accento, divisione,
anacrusi, battito che adesso vengono definiti diacronicamente e non secondo uno schema dato.
Con questa identificazione Hasty non invoca la distinzione fra accento forte e debole, anzi,
"l’esistenza del metro precede o non è necessariamente dipendente da questa distinzione - ci
potrebbe essere metro senza una distinzione tra forte e debole" (p. 103). Inoltre
metro/proiezione pone il potenziale per una continuazione prima della distinzione tra forte e
debole. La relazione fra ciò che proietta e ciò che viene proiettato non va necessariamente
capita in termini di forte e debole. Solo quando la durata proiettata funziona come
continuazione possiamo parlare di tempo debole, ma solo come reale sviluppo della musica e
non come conseguenza di uno schema predeterminato.

Hasty è consapevole che il processo temporale è estremamente sottile e non può essere
catturato in una rappresentazione grafica, tuttavia egli stabilisce dei segni grafici che
dovrebbero essere considerati semplici mezzi di rappresentazione. Principio (beginning) è
indicato da una linea verticale | , continuazione (continuation) da una linea diagonale \
(anacrusi) or / (in levare ma senza anacrusi), mentre la dissoluzione del campo proiettivo è
indicata con una linea doppia ||. Questi segni ricordano la simbologia analitica sviluppata da
Cooper e Meyer o Lerdahl e Jackendoff ma sono inclusi in un differente modo di pensare e ciò
costituisce uno dei meriti di questo libro. Hasty usa segni tradizionali in una prospettiva
differente; non inventa segni che alla fine dicono ben poco, ma ci invita a pensare nuovamente
e diversamente ciò che già conosciamo.

Merito di questo libro è quello di riuscire a fondere l’aspetto filosofico e quello tecnico, analitico
e musicale della questione del tempo. Molto spesso la filosofia e la musicologia percorrono
sentieri diversi: la filosofia partendo dall’essenza della musica e la musicologia da una storia
documentaria della musica. Tuttavia l’autore instaura un dialogo fra filosofia e musica sulla
base delle condizioni dell’esperienza musicale. Queste condizioni concrete, cioè non dedotte
assiomaticamente dall’essenza senza tempo della musica, diventano le condizioni per mezzo
delle quali possiamo pensare la musica, possiamo analizzarla. Pertanto l’autore fornisce un
linguaggio che, allo stesso tempo, è creato performatively (che come in un'esecuzione segue
l’aspetto del tempo nota per nota) dalla musica e ci obbliga a ripensare performatively
l’oggetto musicale. Un linguaggio attraverso il quale l’atto di pensare la musica è esso stesso
una performance temporale che rende conto dell’evanescenza e novità della musica.
Conseguentemente parole e linguaggio sono la manifestazione di un modo di conoscere e di

3
L’inizio di battuta 2 è in realtà la minima del basso che, legata alla semibreve precedente, non si distingue
chiaramente come suono diverso e nuovo. Un inizio, definito quindi silenzioso proprio per evidenziarne il limite
instabile, emerge quindi con la seconda minima. 25

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entrare in relazione con gli eventi musicali, un modo di eseguire gli stessi. Nel fare ciò Hasty
interroga continuamente gli oggetti musicali in una sorta di performance dell’ascolto durante la
quale dobbiamo continuamente prendere decisioni riguardo alla direzione che vogliamo dare
alla nostra attenzione. Niente è precostituito e quando analizziamo la musica ci chiediamo
quando una misura è pienamente costituita, quando ascoltiamo una continuazione o un nuovo
inizio, un'accelerazione o un'interruzione. Musica e linguaggio, in questo approccio, creano un
circolo ermeneutico in cui determinano sé stessi attraverso un processo di performance
(performative process).

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