1874 Guidamanualedime

Scarica in formato pdf o txt
Scarica in formato pdf o txt
Sei sulla pagina 1di 64

WDA MANUALE

DI MESSINA

COS PIANTA DELLA CITTÀ

IH'V

GIUSEPPE MARTINEZ

MESSINA

1874
I
Digitized by thè Internet Archive
in 2017 with funding from
University of Illinois Urbana-Champaign Alternates

https://archive.org/details/guidamanualedimeOOmart
|!
nr IT’

GUIDA MASDAIE
DI MESSINA

CON PIANTA DELLA CITTÀ

GIUSEPPE MARTINEZ

MEJSSIiVA
TIPOGRAFIA RIDERÀ
oiyis

’W^ PROEMIO
G
ì

Jja celerità con ciucile si viaggia oggigiorno^


lei

la breve fermata viaggiatori nelle varie città


elei
che s'incontrano lungo il cammino ^ fanno sentire
il bisogno di Guide sommarie ^ affìncliè il vian-
dante nelle brevi soste possa visitare i principe^
li monumenti^ ed ogni altra, cosa che merita
di essere osservata. Quindi Guide sciatte colla
massima concisione^ e diremmo in istile di tele-
grammi.
Ora che il problema della percorrenza dello
spazio nel pjià breve tempo possibile è stato felù
cernente ràsoluto per mezzo della potente forza
motrice del vapore, V uomo intraprende lunghis-
simi viaggi^ e sebbene a gran corsa, non rinun-
zia al piacere di vedere ciuanto di meglio tro-
vasi lungo la via.
Molti piroscafi periodicamente entrano nel
porto di Messina per ridare le provviste e per^
compiere operazioni di commercio e tra questi
,

non pochi diretti per V oriente e viceversa. Die-


tro breve fermata riprendono la rotta, ed i jjas-
saggieri, nel ristretto tempo della dimora, non
appagano altrimenti la loro curiosità che giro-
vagando per la città guidati tcdvolta da igno--
vanti Ciceroni, i quali sogliono rapportare fatti
travisati in uno strano miscuglio di Mitologia,
di popolari tradizioni e di anacronismi.
Per ovviare a tede inconveniente offriamo agli
stranieri che visitano questa città, tanto celebre
nei remoti tempi, la presente Guida^ nella fidu-
cia che potrà essere utile pr incip edmente a tutti
coloro che amano di viaggiare ed osservare a
guarda e passa.
,

GUIDA MANUALE DI MESSINA

Cenni storici — Messina, una delle principa-


licittà della Sicilia, sotto la latitudine 38° 17’ 18”
e longitudine 33° 31 , siede su di ridente suolo
separata dal continente per breve tratto di ma-
re — Stretto del Faro larghezza minima chilo-
metri quattro — ,

è perciò l’anello immediato tra


l’isola ed il continente.
Sotto un sereno azzurro cielo, gli abitanti so-
no generosi e di ferace ingegno. Attivo è il
commercio; però, se i cittadini trascureranno an-
cora di promuovere su larga scala lo spirito di
associazione, possente mezzo di progresso e pal-
ladio dell’industria, le vicine città con la co-
struzione di nuovi porti le faranno una seria
concorrenza.
La fondazione di Messina, in origine chiama-
ta Zancla, risale a si alta antichità che non se
ne sa epoca precisa.
1’

Secondo Tucidide (lib. 6) fu fondata da una


truppa di pirati della città di Cuma. Poscia fu
abitata dai calcidesi che ivi giunsero condotti
,

da Cratamone. Il nome favoloso di Zancla le fu


dato dalla falce di Saturno che caduta in mare
formò il porto, ingegnosa invenzione, anche per

essere l’isola copiosa di frumento (1). Ma Ecateo


dice che Zancla fu così nominata da Zancleo gi-
gante, e secondo Diodoro edificata da Orione"^al
tempo di Zancleoto re di Sicilia dal quale prese
il nome. Fu denominata poi Messene dai mes-
senei che V occuparono capitanati da Anassilla
tiranno di Reggio e la tennero per circa due se-
coli ; quindi i sanniti o campani s’insignorirono
a tradimento. Guerrieri costoro, se ne chiamaro-
no mamertini perchè sotto speciale protezione di
Marte, detto in loro favella Mamers. Anche la cit-
tà sotto il loro dominio si chiamò Mamerte.
Iddio benedisse nella sua creazione il suolo
su cui doveva sorgere Messina, la quale fu una
delle città più popolose della Sicilia ed è detta
da Cicerone grandissima e ricchissima città
,


,

civitas maxima et locupletissima Verr. V. 17. —


Anche era ricca ed opulenta sotto i normanni e
gli svevi pei moltissimi privilegi ed esenzioni
che le accordarono. Gli spagnuoli durante il loro
dominio la ridussero in basso stato smungen-
dola continuamente con gravose contribuzioni
che con astuta politica chiamavano donativi, ed
abbandonando il governo in mano di fanatici
ambiziosi viceré, nemici del progresso.
I saraceni, dopo lunghi anni di efferato go-
verno, furono cacciati da Messina nel 1058 dal
conte Ruggero di Normandia.
Dopo i famosi Vespri, Messina nel 1280 fu
assediata ed assalita più volte dal potente eser-
cito angioino ; ma rimase sempre vittoriosa con
gravi perdite degli assedianti che dovettero ri-
tirarsi, e la città fu salva.
Messina nel 1674 insorse contro la Spagna, e
protetta dalla Francia sostenne per molto tempo
eroica difesa; ma pel trattato di Nimega, con-

(1) Zancla <3al greco falce perchè a guisa di questo strumento


j

adunco è stato creato dalla natura il braccio del porto.


— 7

chiusa la pace tra 1’ Olanda e la Francia, fu da


questa abbandonata nel marzo del 1676. Si di-
fese per qualche tempo da sè sola sostenendo
valorosamente i violenti attacchi del potente ne-
mico e non potendo più reggere a tanta supe-
,

riorità di forze, ricadde sotto l’odiato dominio.


Re Carlo II trattò da felloni i messinesi, e molti
dei più compromessi emigrarono, imbarcandosi
sulle navi francesi che in compenso dell’ abban-
dono offrirono gratuito viaggio ed ospitalità in
Francia. Le tolse l’Università degli studi, il cui
edilìzio invertì per uso di forni militari che so-
no tutf ora in esercizio. Fece demolire molti
edilìzi pubblici tra i quali il palazzo Senatorio
che sorgeva dove ora si trova il palazzo della
Corte di Appello e sopra una porzione di quel
suolo fu eretta la sua statua equestre gettata col
bronzo della campana maggiore del Duomo, do-
ve all’ ingresso della porta di centro se ne vede
segnata sul pavimento la circonferenza. Nell’ in-
surrezione del 1848 fu abbattuta dal popolo.
I terribili tremoti del 1783 distrussero quasi
intieramente la città, e pochissime case riman-
gono ancora in commemorazione della terribile
catastrofe, tanto bene e diffusamente descritta
dall’ illustre storico Carlo Botta (1).
Anche il secondo Ferdinando Borbone volle
esercitare le sue vendette quando nel 1849 ricon-
quistò Messina e con essa la Sicilia, la desolata
città fu la prima dell’ isola ad affrontare l’ ira
del vincitore che la saccheggiò vilmente. La li-
cenza dei soldati capitanati dal Generale Filane
geri, si ricorderà sempre con orrore e dispetto.
Dal sito in cui i realisti eseguirono lo sbarco
nella spiaggia di Gazzi, per la lunghezza di circa
quattro chilometri, sino in città, furono senza ec-
cezione incendiati quanti casini e case vi erano
sulla ridente strada del Dromo e nelle campa- ,

ti} Storia d'Italia, pag. 386 o seguenti.


,

—8—
gne adiacenti. L’ira nemica non si appagò del
solo sacco in città ma incendiò vigliaccamen-
;

te, e senza incontrare veruna resistenza palazzi


e chiese (1).
Dopo la conquista, onde ampliare la spianata
innanti alla cittadella, furono demoliti i vasti ma-
gazzini del Porto-Franco, la chiesa e monastero
S. Chiara, quella della Candelora, di S. Omobo-
110 ,
dei SS. Elena e Costantino, il palazzo del
principe S. Elia i quartieri dei soldati e molte
,

case. In detto grandioso largo denominato Ter-


ranova il progresso ha fatto sorgere la stazione
della ferrovia Messina-Palermo per Catania
edilizio meschino e gretto situato a sghembo,

per l’ indifferenza del municipio dell’ epoca , che


avrebbe almeno dovuto concorrere per la mag-
giore spesa di un più decente prospetto, ed op-
porsi all’impianto arbitrario in posizione non
ortogonale all’asse della strada Primo Settembre
e fuori centro della medesima.
Per non uscire dai limiti impostici taciamo
di molti uomini celebri che in ogni epoca ono-
rarono Messina loro patria, e ricordiamo soltan-
to i più famosi della remota antichità, dell’ evo-
medio e del presente secolo. Essi sono: Dicearco
filosofo naturalista, Evemero e Lieo istorici. Ibi-
co poeta, Policlete medico. Nei tempi meno an-
tichi, Guido delle Colonne, splendore della corte
di Federico lo svevo, nella quale nacque l’italia-
na favella; Matirolico matematico che si meritò
il nome di secondo Archimede; Molizio che in-
segnava matematiche nell’ Università di Padova,
dove morì nel 1580. Le tavole da lui composte
per ordine della Republica di Venezia col titolo

(1) L’autore presente Guida, testimone oculare del triste


cì'*Ihi

spettacolo, conserva fatto dal medesimo pochi giorni


uno specchietto
dopo deH’infausto avvenimento, dal quale si rileva, che tutte le ca-
se incendiate in città ascesero al numero di 26 del valoie com-
})lessivo di lire 600,000 circa. Andaiono in fiamme pure la chiesa San
Domenico e il Monastero dei Benedellini.
— 9 —
di Gregoriane servirono alla riforma del calen-
dario fatto da Gregorio XIII, il quale donò al-
r autore trecento ducati somma ragguardevole
,

in quei tempi, ma ricompensa non degna di chi


la donava. La Farina, storico e forbito scrittore,
e Bisazza distinto poeta vissuti nei nostri tem-
pi. Anche nelle armi furono celebri un Caleasso
Bardaxi, un Leonzio che valorosamente respinse
l’esercito angioino, e l’obbligò ad abbandonare
l’assedio di Messina, ed un Antonio Duro che
con piccola barca entrava nel porto di Gallipoli,
incendiava con increaibile ardire la flotta turca
e spirava quindi con sovrumano coraggio in tor-
menti crudeli. L’istoria ha del pari una pagina
gloriosa ed immortale per Dina e Clarenza che
con virile eroismo combattevano in difesa della
patria contro l’esercito angioino. Molte donne il-
lustri di grande rinomanza vanta pure Messina,
tra cui Nina poetessa. Pina Gallo commentatrice
di Euclide, Anna Arduino enciclopedica e poli-
glotta.
Anche in Messina nacque il famoso Cola so-
prannominato pesce dalla facoltà che aveva di
stare lungamente sott’ acqua e di traversare lo
,

stretto colla velocità di un pesce.


Morì nel vortice del mare profondo, per deli-
ziare Federico II il quale gettavagli una tazza
,

d’oro che per due volte prese; ma non contento


il re, per deliziarsi ancora, gettavala una terza
volta a maggiore profondità, e questo figlio del
mare, non ricomparve più. Si vuole che
tuffatosi,
sia stato divorato da qualche mostro marino.
Il celebre Schiller per questo fatto compose
quel bello episodio che è un capo d’ opera delle
sue poesie minori.
Presentemente non si difetta in città di valo-
rosi artisti. Alquanti giovani che hanno compiti
i loro studi all’estero esercitano con successo la

medicina e la chirurgia. Altri si distinguono nel-


r ingegneria per severi studi fatti nella scuola
di applicazione di Ponti e Strade in Napoli, ove
— 10 —
riportarono il primato, nei difficili esami, e pa-
role di sincere lodi. Provetti avvocati onorano
il foro, e giovani operosi di alte speranze per-
corron con amore la carriera politica.
Le medaglie di Messina sono di parecchie
.specie: le più antiche coniate molto prima del-
l’arrivo dei romani in Sicilia, rappresentano per
lo più una testa di leone, e sotto una lepre; ne
rovescio una corona di alloro, o la figura di
Giove sedutp, con in mano un vaso e un’aquila
ai piedi. Un delfino colla parola Zancle; nel ro-
vescio una testa su di una fortezza. Una testa
d’Èrcole, nel rovescio un leone, o una donna.
Una testa di Apollo coronata d’ulivo o d’alloro;
nel rovescio Marte in piedi, o una Vittoria, o
una lira o un toro, o alcune spighe. Una testa
di Giove; nel rovescio un soldato armato, e nel-
l’esergo la parola Mamertinori, o Messina. Una
lepre nel rovescio una corona d’ alloro o una
; ,

vittoria, o un cane.
Le medaglie del tempo dei romani hanno per
la massima parte l’ esergo in lettere greche e ,

l’appresentano o teste d’imperatori, come di Giu-


lio e di Cesare Augusto ,
o la figura di Marte o
quella di Apollo.
Messina in antico godeva di particolari privi-
legi; più volte fu la sede del governo in Sicilia.
Messina vanta due grandi epoche, la greca e
la romana. Quando fu città greca brillò per lo
spirito belligero degli abitanti e per ricchezza.
Allorché divenne romana fu anche opulenta e
grande. Verre vi trovò di che pascere la sua
ambiziosa sete dell’oro. I normanni che la libe-
l'arono dal gioco saraceno rimarginarono le sue
piaghe ma la maggior parte delle ricchezze il
,

conte Ruggero spendeva per innalzare chiese


e monasteri, dotandoli di pingui rendite, ed ar-
ricchendo vescovi ed abbati, i quali dominavano
al pari dei prepotenti baroni perchè feudatari
,

aneli’ essi; e con la forza e con la superstizione


tennero per molti secoli in uno stato abietto di
11 —
crassa stupidità tutti gli abitanti dell’ isola e ,

furono i principali nemici che ritardarono il no-


stro progredimento.
Ora Messina corre col secolo, e se il naturale
ingegno dei cittadini fu per lungo tempo sopito,
non fu spento mai e divenuta italiana al pari
;

delle cento città consorelle, più non invidia la


greca Zancla. Essa col profumo dei suoi aranci,
col sereno azzurro del suo cielo, con l’incompa-
rabile dolcezza del suo clima, l’attività del suo
commercio, con la generosità dei suoi figli, e con
la feracità del loro ingegno, sarà sempre la re-
gina del Tirreno.
Fortunato quel viaggiatore che nel passare lo
stretto del Faro s’imbattesse nell’ammirabile spet-
tacolo della Fata Morgana (fenomeno catrottico).
Per noi il sorprendente specchio aereo è come
r araba fenice non lo descriviamo perchè non
,

lo abbiamo mai osservato, nè i più vecchi tra i


viventi messinesi hanno avuto il piacere di os-
servarlo. Se non sarà dato al viandante di as-
sistere al grandioso fenomeno della bella Fata,
potrà vedere la già tanto temuta Cariddi, non
quale iperbolicamente la descrissero i più famo-
si poeti antichi e moderni; ma placida ed inno-
cua qual sempre fu e per migliore chiarimento
riferiamo ciò che sull’qggetto ne scrisse un som-
mo naturalista (1) « É adunque manifesto che
:

» Cariddi, sino al presente, è stata riputata un


» voracissimo vortice, nel che si accordano i viag-
» giatori sì antichi che recenti, che scritto anno
» di questo luogo. Siccome dunque mi trovava
» sul sito, avvisai di accostarmi più che poteva
» a Cariddi, per certificarmi presezialmente del
» fatto. Ella è distante dal lido di Messina 750
» piedi all’incirca, e dai paesani è chiamata Ca~
» lofaro, non già dal bollimento delle onde, sic-

(i; Spallanzani, Viag. T. 2, pag. 450.


,,

~ 12 —
» come alcuni lian supposto ma da Kalos e
,

» phapos cioè bella torre destinata di notte a


,

» porgere lume ai bastimenti , per esistere Ca-


» riddi presso la Lanterna.
« La barca che mi conduceA'a era corredata
» da quattro sperimentatissimi marinari che allo
» accorgersi, che dentro io vi entrava con qual-
» che ribrezzo, m’incoraggiarono, e mi promi-
» sero di farmi da vicinissimo vedere il Calofaro
» anzi di menarmici sopra, senzachè avessi nulla
» a temere. Osservato dal lido mi apparava in
» sembianza di un gruppo d’ acque tumultuanti,
» ed a mano a mano che mi ci appressava, il
» gruppo diveniva più esteso più agitato e più
,

» eminente. Fui condotto sino ai lembi, ove al-


» quanto mi fermai per farci sopra i dovuti esa-
» mi. Scopersi allora senza ombra di dubbio non
» essere questo altrimenti un vortice. Insegnano
» gl’ idrografi che per vortice nell’ acqua s’ in-
,

» tende quel corso in giro che ella prende in


,

» certe circostanze, e che questo corso, o rivo-


» luzione, genera nel mezzo una cava conoide
» capovolta, più o meno profonda, la cui base
» all’ intorno colmeggia e le interne pareti gi-
» rane a spira.
« Ma di questo ravvisai nel Calofaro.
niente
» Era esso circoscritto da un giro circolare tutto
» al più di 100 piedi , e dentro quei limiti non
» eravi cavo di sorta non moto vorticoso
,
ma,

» un’ incessante ribollimento di acque agitate


» che ascendevano, e discendevano, si urtavano
» e si respingevano. Questi irregolari movimenti
» però erano placidi in guisa, che non vi era a
» paventare di nulla nell’ andarvi sopra , sicco-
» me feci.
« Solamente perla continua agitazione bar-
» collava il mio piccolo legno, e conveniva far
» uso indefesso dei remi, perchè stesse ritto, nè
» spinto fosse fuori del Calofaro. Alcuni corpi
» da me lasciativi cadere se erano specifìca-
,

» mente piti gravi dell’ acqua vi si attuffavano


— 13 —
» nè più ricomparivano: se pii't leggieri resta-
» vano a galla, ma indi a poco l’ agitamento
» dell’ acqua li spingeva fuori di quel giro. Mi
» invaghì di rintracciare il fondo con lo scanda-
» glio, e trovai, che la maggiore profondità non
» oltrepassa i 500 piedi. Dippiù con maraviglia
» appresi che al di là del Calofaro verso il mez-
» zo dello stretto, la profondità ne è doppia. Tan-
» to poi è lungi che Cariddi faccia suoi i basti-
» menti entrativi dentro e li tranguggi, che anzi
» li ricusa e ne li caccia lontano da sè. »

La scienza che ha di molto dilatati i suoi


confini smentisce ora la fole dei poeti, e si bur-
la dei creduli antichi.
Potendo la presente Guida capitare in mano
di qualche geologo viaggiatore, non riuscirà di-
scaro un cenno del singolare fenomeno della
continua e sollecita riproduzione di una specie
di roccia arenaria, a qual oggetto riproduciamo
quanto ne scrisse il detto Spallanzani nella citata
opera :

«IFui condotto alle sponde del mare in faccia


» alla città, per vedere rarità ben più vera che
» quella della madrepore dentro del granito. El-
a la consiste in una pietra arenaria, che si va
» formando, e che ove venga tolta si riproduce.
» Oltre al Fazzello, che ne à pai'latOj come com-
» portavano i tempi di allora, il sig. di Saussure
» nelle sue Alpi ne dà un cenno ^ assegnando
a la vera ragione di un tale riproducimento.
» Dietro a questi due autori non ricuso di par-
» lame aneli’ io, della novità delle cose, che mi
» lusngo di poter produrre.
« La pietra non rigenera mai se non dentro
» all’ acqua; e dove sono occupati più uomini
» per cavarla, servendosene massimamente per
» macini da mulini. E levato che ne abbiano
» qualche grosso pezzo ,
sono sicuri di vederlo
» nel luogo stesso rigenerato. Ma è troppo na-
» turale che cotale rigenerazione non fassi di
,

» subito, ma con qualche estensione di tempo.


— 14

» Cavata dunque la pietra arenaria da un sito,


» se vi si dopo tre, o quattro anni, trovasi
torni
» che 1’ arena ha acquistato un primo grado di
» consistenza, ma che però cede in guisa, che
» il cemento, che ne lega i granelli, sotto le dita
» si rompe. Acciocché esso diventi forte vi si ri-
» chieggono dieci o dodici anni, e ve ne voglio-
» no 30 0 a quel torno perchè si faccia fortissimo.
« Se poi si passi dove il mare batte la spiag-
» già e smuove la volubile arena, troviamo su-
,

» bito sott’ acqua le croste di cotal pietra. Esse


» sono a strati orizzontali, e molte ànno di gros-
» sezza più piedi. I cavatori adunque ne stac-
» cario degli intieri tavoloni, mettendo la mano
» a quelli che poco s’ internano nel mare. »
Nella spianata di Tei^ranova, innanti la citta-
della, e precisamente nel sito ove ora è stato
innalzato i’edifizio doganale, vi era l’antichissi-
ma regia, rifatta dal conte Ruggero, ed ampliata
con magnificenza dall’ aragonese Federico II nel
1309. Fu danneggiata dai ti’emuoti del 1783, ma
non in modo da non potere
essere facilmente
restaurata. In seguito vi si costruirono i ma-
gazzini del Porto-Franco, demoliti nel 1849 per
ampliare la spianata suddetta.
Un sol portone rimane in testimonianza della
vetusta magnificenza del quale i ruderi fu otte-
nuto di ricollocare nella porta della cinta finan-
ziaria in fondo alla, via Placida nel quartiere di
San Leone, quando si costruì la detta cinta nel
1854.
L’antico palazzo reale è degno di ricordo, per-
chè B'ederico lo svevo vi congregava il fiore del-
l’Jtaliana sapienza.
Nelle acque Peloritane sono abbondantissimi
i pesci che si pescano, e di una squisitezza par-
ticolare, principalmente le famose anguille tanto
ricercate nei simposi degli antichi romani, ed il
pescespada di cui si fa un gran consumo in
città e fuori.
— 15 —
Non manca Messina di acque minerali, e ne!
corso Vittorio Emanuele vi sono due Stabilimen-
ti balneari se non grandiosi, però comodi e de-
centi. Lo storico Reina (1) parla di taluni bagni
di acque termo-minerali che esistevano in un
fondo presso r ex convento di Santa Maria di
Gesù; di essi, ai tempi in cui scriveva il citato
autore, maestri ne facevano uso soltanto per
i

acconciarvi delle cuoja. Pochi anni sono pratica-


tovi uno scavo si rinvenne un’ingresso, ed innan-
zi ad esso un bassorilievo di marmo bianco di un
metro di larghezza e poco meno di altezza, rap-
l‘)resentante diverse figure una delle quali con
un vaso versa acqua sulla testa di un’altra (2).
Messina è sede di un Arcivescovo Metropo-
litano che tiene a sè suffraganei i Vescovi di
Cefalù, Patti, Lipari e Nicosia, ed un Capitolo
composto di diciotto Canonici. La città è divisa
in dieci parrocchie compresa la cattedrale. Vi
sono inoltre :

Cinque reclusori per orfane donzelle.


Tre asili infantili.
Un orfanotrofio dei Dispersi.
Un ospizio di beneficenza per gli orfani arti-
giani .

La casa di S. Angelo dei Rossi per 1’ educa-


zione gratuita di giovanetti e giovanette.
Il Collegio Alighieri.
Un’Accademia sotto il titolo di Peloritana.
L’Università degli studi.
Gl’istituti Liceale, Professionale e Ginnasiale.
Scuole comunali maschili diurne N. 24 Dette —
femminili N. 22 —
Serotine maschili N. -14.
Il ramo militare ha la Direzione territoriale
compresa nel Comando di Palermo.
Il 20“ Distretto militare.

(1^ Notizie storiche di Messina, T. 1, pag. 18, ediz. 1068.


(•2) Questo bassorilievo si possedeva dal barone Cianciolo ,
cd oggi
forse dagli eredi.
,

— 16 —
Le Direzioni territoriali di Artiglieria e del
Genio Militare che dipendono direttamente dai
Comandi di Roma.
rispettivi
La guarnigione è ordinariamente di un reg-
gimento di fanteria e poche compagnie di arti-
glieria.
La Gran Corte civile e criminale.
Sino a pochi anni sono Senatori (Assessori
i

municipali) nelle grandi funzioni vestivano un bel


costume antico spagnuolo con parrucca incipria-
ta, ed erano preceduti da quattro trombettieri in
abiti di panno scarlatto. Messina fu la prima cit-
tà di Sicilia in cui nel 1473 fu introdotta la stam-
pa da Enrico Alding alemanno.
I Messinesi si distinguono per gaiezza, cor-

dialità e franchezza di carattere. Sono astuti e


leali; ma s’incaponiscono facilmente quando so-
no contrariati. Non soffrono soprusi e si fanno
vendicare quando non possono vendicarsi da per
loro medesimi. Più scrii dei loro antenati amano
i divertimenti senza gioja chiassosa.

I giovani sono generalmente di bello aspetto,

dagli occhi neri e dalla gradita tinta brunetta


del tipo siculo. Sono di acuto ingegno ed emi-
nentemente sociabili.
Nelle fìsonomie delle donne predomina un
soave pallore, uno sguardo appassionato che le
rendono piacevoli e gaie. Ricche ed eleganti so-
no le tolette, tanto delle signore aristocratiche
quanto della borghesia.
II dialetto messinese come tutti gli altri di
Sicilia offre un quadro
assai vario di tanti ele-
menti delle diverse nazioni che dominarono nel-
l’isola, è armonico e patetico ed è parlato con
,

un accento che non lacera l’orecchio. La classe


bassa parla con sguajataggine sopprime la B ,

quando precede la Z" o altre consonanti e rad-


doppia questa, pronunciando motte, coppo, bac-
ca, codda ec. invece di morte, corpo barca,
, ,

corda. La classe media si sforza di correggerlo.


Anche nelle classi più elevate della società si
,

— 17 —
sente qualche frase che ha l’ impronta dei dia-
letto parlato dal popolo.
La lingua francese e la musica pianoforte — —
formano le basi fondamentali deH’educazione del
bel sesso.
Capo Peloro uno dei tre famosi dell’isola è
formato di una lingua di terra che si protende
tra due mari ,
Tirreno ed il Ionio avvicinan-
il
,

do l’isola al continente italiano ed è stato così


,

denominato, secondo lo storico Fazzello, dal no-


me del nocchiero di Annibaie, il quale fuggendo
dai romani vittoriosi, visti da lontano i lidi ca-
labro-siculi, gli sembrarono chiusi, e nell’impe-
to dell’ ira l’ uccise sospettando di essere stato
tradito. Ma non esitiamo a ritenere favolosa l’e-
timologia riferita dal suddetto storico e confer-
miamo ciò che dice Sernio, cioè, di essere de-
rivato il nome di Peloro dal greco peleros che
significa monte o capo.
Sul promontorio di Scilla dalle rupi brune e
dal fantastico aspetto, il quale dalle coste cala^
bre si spinge in mezzo alle onde spumose ,
e
sulla punta del Peloro sorgono due fortilizi a
custodia dello Stretto, il cui varco si rende al-
quanto pericoloso in tempi fortunali. Gli antichi
naviganti ne temevano il passaggio anche quan-
do il mare era tranquillo. La favola dava allo
scoglio nelle coste di Calabria, ed al mare vor-
ticoso presso alla lanterna all’ingresso del porto
i nomi delle Sirene" A'cf/to e ChariddiÌQ quiiVi col
loro maraviglioso canto ammaliavano i marinari
e li divoravano. Da ciò il volgalo adagio." /nddfil
in Scyllam cupiens vitare Carybdem. Cariddi
così chiamata dai greci il che vuol dire rabbio-
samente cadere siccome l’interpreta Tucidide
nel lib. IV.
Il porto se non molto vasto è uno dei mi-
gliori del Mediterraneo. Esso è lavoro della na-
tura che da sommo artista lo disegnò pria di
crearlo. Sta a guardia del suo ingresso lo antico
2
— 18 —
forte di S. Salvatore. Ivi esisteva una chiesa
innalzata dal conte Ruggero per voto fatto di fab-
bricarla in quel sito, se la grazia di liberare Mes-
sina dai barbari avesse ottenuta, commosso dal-
la vista di dodici messinesi appiccati dai sara-
ceni in quel luogo. Bravi anclie il monastero
dei PP. Basiliani, ma Carlo V nei 1546 lo fece
demolire insieme alla chiesa per far luogo al-
ringrandimento del forte, e li fece riedificare con
magnificenza suila spiaggia peloritana.
Non sarà superfluo di fornire al viaggiatore
le seguenti notizie statistiche officiali relative al
porto in parola.
Condizioni nautiche e commerciali.
Dominanti neir’inverno Grecali
t
Levanti.
1. Venti < Idem nell’està. . .)
'di traversia Greco-Levante. t

2. Direzione della corrente litorale da mezzo-


giorno a tramontana.
3. Media della marea ordinaria M. 0, 60.
Protetto da tutti i/

4. Estensione del ricovero; ’/•


1Id. dai venti
I
di traversia 67, 00 .

5. Estensione attuale dell’ aere di ricovero con


fondale da m. 7.
G. Lunghezza delle sponde di approdo mediante
scalandroni M. 900.
©pere eseg-uite nel decennio dal ISSI e 1870 .

Bacino carenaggio, spesa fatta (1) L. 1,770,159


di
Metri lineari 310 nuove banchine. » 209,513 .

Id. Id. 35 dette di carenaggio » 11,490


Gavitello di ormeggio in lamiera. » 8,000 .

L. 1,999,162

(]) Per i lavori di compimento del Bacino e suoi accessori e per


Taperlura di un canale di comunicazione sono ancora a spendersi li-
re 1,550,000.
— 19 —
Movimento Commerciale.
(in rilascio .... 2089
N. medio annuo di basti- <per operazioni di
menti (commercio. . . . 8560
L. 2,206,764
Media annua degl’introiti » 147,936
|

Nel falcato braccio del porto denominato di


S. Raineri vi sono il Lazzaretto di osservazione
con vasti magazzini, la torre della Lanterna edi-
ficata nel 1.566 sul disegno di Montorsoli delle cui
opere parleremo appresso, il bacino di carenag-
gio di recente costruzione, e la cittadella, fortez-
za di prim’ordine, capace di una guarnigione di
6000 uomini, e munibile di 300 cannoni, fatta
costruire da Carlo II dopo la famosa rivoluzione
del 1774 per eterno freno dei mcdcontenti. Du-
rante la sommossa del 1848 tormentò viln[iente
la città cannoneggiandola e nel settembre del
,

1849, per proteggere l’assalto delle orde borbo-


niche, lanciava bombe incendiarie che distrus-
sero molti edifizì. Da ciò il ben meritato epiteto
di Re Bomba dato a Ferdinando II.
Ora, mercè il patriottismo dei cittadini, è scom-
parso ogni vestigio di bombardamento e di case
incendiate. Notasi che per aversi lo spazio ne-
cessario per costruire la cittadella nel 1680, fu-
rono demolite varie chiese, monasteri e molti
edifizì pubblici e privati che insieme formavano
uno dei più belli rioni della città.
Nel 1860, dopo brevissima ed ostentata resi-
stenza o piuttosto dimostrazione, la guarnigione
napolitana la rese al Generale Cialdini e così ,

cadde la temuta, ma non inespugnabile rocca.


Corso Vittorio Cmanueie —
Giungendo in
Messina per la via di mare, la vista che presenta
al viaggiatore la città è delle più sorprendenti
per il suo caseggiato disposto ad anfiteatro e ,

per la lunga serie non interrotta di palazzi che


,

— 20 —
fiancheggiano la ridentestrada Vittorio Emanue-
le della considerevole lunghezza di un chilo-
metro e mezzo, la quale continua fuori città-
sino al Capo Peloro. Sono questi palazzi tutti in
contatto come se ne formassero uno solo, e si en-
tra in città per degli archi disposti simmetrica-
mente a distanze eguali.
La uniformità del disegno le ripetizioni dei
,

medesimi ornati con linee monotone che ricor-


rono parallelamente ed in continuità, non pre-
sentano all’ occhio dell’ osservatore quel bello
artisticoche risulta dalla svariata applicazione
dei membri architettonici, e non produce il pia-
cevole effetto che con linguaggio tecnico si chia-
ma movìimento. Però l’imponente massa che riu-
nisce alla robustezza del fabbricato una certa
semplicità è nell’insieme sorprendente.
La suddetta strada ben lastricata come del ,

pari sono tutte le altre nell’ interno della città


fiancheggiata da due comodi marciapiedi , offre
un’amena passeggiata per lo svariato paesaggio
che presentano i monti della vicina Calabria
disseminati di paesi e villaggi monti che for- ,

mano un confine segnato dalla natura a breve


distanza per rendere delizioso e bello l’orizzonte.
Appiè di quei monti, tra spiagge ridenti vestite
di perpetua verdura, sorge la città di Reggio (1).
Fonte di Mettono —
Nella suddetta strada,
in prossimità del grazioso e decente sbarcatoio
trovasi il monumentale fonte di Nettuno, lavoro
pregevole di frate Angelo Montorsoli distinto ,

discepolo di Michelangelo Bonarroti eseguito ,

nel 1547. L’abilità deH’illustre artista, l’eccellenza

(1) Se iì viaggiatore avrà voglia di vedere la graziosa Reggio^


ricca di memorie anticlie, e di glorie e sventure comuni con Messina,
potià profittare del piroscafo postale che fa due corse al giorno. V’im-
piega per la traversata dei canale poco meno di un’ ora. La corsa
sì paga indistintamente due lire, e cinque soldi la harchetta per l’im-
harcQ.
— 21 —
del suo scarpello non si rilevano solamente nel-
la felice composizione, nella squisitezza del gu-
sto degli ornati nella precisa esecuzione
,
ma ;

pure nella maestosa posa della ben disegna-


ta figura della colossale statua di Nettuno e ,

più ancora nelle due sirene rappresentanti Scil-


la e Cariddi avendo F autore con molta mae-
,

stria scolpiti in esse le truci forme dei favolosi


mostri. La Cariddi andò rotta in frantumi nel
1848, dalle palle lanciate dalla cittadella, e quella
che or si vede è una cattiva riproduzione di au-
dace scultore.
Biviera del Faro — Se il viaggiatore avrà
desiderio di fare una lunga passeggiata, potra
continuare per la riviera sino al capo Peloro
che dista dalla città per dodici chilometri. La
strada a ruota che gl’ istorici dicono di essere
stata costruita da Pompeo, discorre sempre in
prossimità dei lido, ed alpiede di verdeggianti
colline alle cui falde di dolce pendio le deliziose
villette si alternano con giardini di aranci, gli
i

oliveti, ed i vigneti che F industria agricola ha


man mano sostituiti ai cardi ai cacti ed agli
, ,

aloi, rendendo con lodevole industria feraci gli


ingrati sabbiosi terreni (1).
Lungo la detta riviera s’incontrano le borga-
te del Ringo, Paradiso, Pace, Sant’Agata, Gan-
zirri e Faro inferiore, tutte dipendenti dalla cit-
tà di cui fan parte. Oltre a dette borgate che
sono tutte traversate dalla strada questa viene ,

fiancheggiata da molti casini che la rendono as-


sai animata. Nella borgata Pace la chiesa di
forma circolare con portico intorno, dicata alla
Madonna della Grotta, fu edificata da Emanuele
Filiberto di Savoja nel 1622 e si crede su gli
avanzi dell’antichissimo tempio di Diana.

(1) Sarebbe un’onta orribile se la strada a ruota costruita da Pom-


peo divenisse mulattier;i ai nostri tempi per mancanza di regolare ma-
nutenzione. Reca un generale dispiacere il suo giornaliero deperimento.
,

22

I due laghetti tra Ganzirri e Faro erano in


fama presso gli anticlii romani per le squisite
chiocciole, cibo prediletto nei banchetti di Lu-
cullo e di Vitellio delle quali fanno mensio-
,

ne Lucilio ed Orazio. Anche oggigiorno se ne


fa abbondante pesca ed è una delle principali
risorse di quelli abitanti. Diodoro Siculo parla
di un antico tempio in uno dei detti laghi, e si
vuole dagli scrittori delle patrie storie che le
colonne monoliti del Duomo vi appartenessero.
Vi si osserva tutt’ora qualche rudero che si sup-
pone di essere servito di base alle colonne. An-
che altri avanzi di antichità sono tutt’ora visibili
nella prossimità cioè grossi muri rivestiti di
, ,

marmo, pavimenti a mosaico di due colori, bian-


co e nero. Furono molti anni addietro esegui-
ti vari scavi ,
e si rinvennero dei calidaiì coi
corrispondenti tubi di creta con sottostanti
,
i

ipocausti e due vasche per bagno di marmo


,

antico cotognino. Tutto ciò fa supporre di esser-


vi state delle ricclie abitazioni in tempi assai
remoti. Altro non offre di rimarchevole il vil-
laggio del Faro, meta della peregrinazione.
Abitato per la maggior parte da pescatori, vi
regnala miseria, quando il mare tempestoso
non permette la pescagione. Fornisce ottimi pi-
loti che conoscono a perfezione il corso delle
correnti nello Stretto, e guidano con molta pe-
]izia a salvamento i navigli quando sono assa-
liti da procella. Sulla estremità della lingua di
terra che forma il capo Peloro, sorge la torre del
Faro di antichissima costruzione, la quale fu in
epoca posteriore restaurata e circondata di un
fortilizio. Dalla sommità di detta torre si gode
il magnifico spettacolo di un paesaggio di fate
il quale presenta da un lato le verdeggianti col-
line nordiche della Sicilia, e le istoriche isole
Eolie, tra cui il vulcano Stromboli, chiamato lan-
terna dei naviganti dal continuo fiammeggiare;
e dall’altra parte l’interminabile catena dei monti
calabri dei quali le diverse distanze succedentesi
,

— 23 —
gradatamente sono marcate dalla varietà delle
tinte dal verde al bruno. Contemplando dall’ e-
minente sito la sublime scena, le più belle re-
miniscenze di poesia e di antiche storie si pre-
sentano alla mente dello spettatore Omero ed :

il suo esagerato canto sulle celebri rupi di Scil-

la, che coll’acuto vertice toccano il cielo ; il ra-


mingo Enea ed i suoi seguaci Ulisse ed i sei ;

compagni perduti nelle rocche di Scilla (1); An-


nil)ale e la fiotta cartaginese; Pompeo ed il suo
esercito condotto in Sicilia per battere Perpen-
na Ottavio e Pompeo ed il navale combatti-
, ,

mento avvenuto nello Stretto tra le flotte dei due


illustri rivali. Con la mente piena di tante re-
miniscenze ed emozioni lo spettatore colassù si
raccoglie e medita sulla caducità delle umane
grandezze.
Tempio dlrsato della Hadiazza Pria di —
rientrare in città il viaggiatore potrà visitare il
tempio della Madonna della Vaile, detto volgar-
mente della lJadia.;^a, che trovasi presso l’ori-
gine del torrente omonimo. Si deve ai norman-
ni la sua fondazione, e Guglielmo II lo dotò di
pingui rendite. Le suore die abitavano l’attiguo
monastero lo abbandonarono per stabilirsi in
quello costruito in città dopo la peste del 1347
sotto il nome di S. M. della Scala, da una im-
magine capitatavi dall’oiùente, siccome narr-a lo
•Storico Bonfiglio.
Esisteva in questo tempio un basso rilievo
in plastica rappresentante la Vergine col Bam-
bino in braccia, circondato da una cornice di
frutta verniciati in colore naturale; locchò mo-
stra di essere stata la plastica conosciuta in Si-

(1) Mentre in Carid'-H tenovam le ciglia.


Una murte lomentlorie vicina,
Sei de’ compa^uni, i più di man gagliardi
rapinimi dal naviglio.
Odissea, Uh. XIL
— 24 —
cilia prima di Luca della Robbia, il quale nacque
nel 1388 in Firenze.
L’antico tempio in parola alla cui rovina con-
tribuì più la vandalica mano dell’ uomo che la
edacità del tempo se non era un bel tipo di
,

architettura ogivale, meritava purnondimeno di


essere conservato come monumento storico e
ricordo dello stile architettonico dell’epoca.
Nei dintorni di Messina non esistono monu-
menti antichi degni di essere osservati ; nè in
città àvvene molti e tali da interessare l’archeo-
logo. Le guerre ed i tremuoti distrussero tut-
to ,
tempi j monumenti edifizì su cui stava
,

scritta la sua civiltà, non rimanendo oggi che il


solo vanto di averli posseduti. Però, Messina
odierna non invidia l’ antica Zancle ed il non,

sopito amor di patria e solerzia dei cittadini la


faranno ben presto ritornare alla floridezza delle
epoche greca e latina.
Strada Garibaldi —
Ritornando dalla gita
al tempio suddetto il viaggiatore potrà introdur-
si in città per la bella via Garibaldi dritta per
,

un chilometro e mezzo di lunghezza, e propor-


zionatamente larga ben livellata e lastricata
,

con comodi marciapiedi, fiancheggiata di elegan-


ti palazzi , decenti botteghe e ricchi negozi. É
il più bel corso della città ed il ritrovo deì-
,

l’aristocrazia, che rende molto animato il passeg-


gio coi suoi sfarzosi cocchi.
Villa pubblica —
Verso la metà della sud-
detta strada vi è il giardino pubblico che potreb-
be chiamarsi campione di villa. Se non vasto
però bene ordinato, con eleganza e ricco di pian-
te fìorolenti. Ha pregio non comune a simili
il
ritrovi di essere posto in un sito centrale per- ,

cui è molto frequentato, principalmente nelle se-


rate estive quando l’armoniosa musica cittadina
rallegra con melodiosi suoni la passeggiata che
il soave olezzo dei fiori e lo splendore dei lumi
rendono più gradita.
— 25 —
La vasta piazza, convertita in delizioso giar-
dino, fu, nei tempi della persecuzione di Giusti-
niano, teatro di orrendi sacrifizi. Molti frati, tra
cui S. Placido, vi furono martirizzati verso il
541 da Mamuk fiero pirata.
Teairo Vittorio Emanuele — Continuando
il cammino per l’istessa via s’incontra sulla de-
stra il teatro massimo, edifizio moderno degno
di una città cospicua qual’è Messina. Compren-
de cincpie ordini di palchi conN. 23 per ognuno,
ben decorati con ornati a stucco in oro. Nella
platea vi sono N. 260 sedie e tre file di posti di-
stinti. Comode e ben ricacciate sono le scale che
menano ai palchi per larghi anditi a pareti di
stucco lucido. In generale ben distribuita la pian-
ta. Un portico a tre arcate ornato di colonne
doriche sul quale soprastà un loggiato di ordine
ionico ad imitazione di quello dell’ antico tem-
pio di Minerva Poliade in Atene, forma la parte
di centro del prospetto con sufficiente aggetto
pel passaggio delle carrozze. Corona il loggiato
un gruppo marmoreo di statue colossali rap- ,

presentante il Tempo che scopre la Verità, sog-


getto che non ben si addice ad un tempio di
Tersicore. Il portico corrisponde conveniente-
mente all’uso cui è destinato, ed ai lati del
medesimo vi sono due magnifiche sale di aspet-
to che furono diversamente addette per caffè e
gabinetto di lettura. Nel primo piano ci è il Ca-
sino della Borsa, nobile appartamento con son-
tuosa galleria sfarzosamente ornata tenuto da
,

una società di distinti cittadini, piacevole ritro-


vo dove si ricevono i forestieri i quali accolti
,

con somma cortesia ed affabilità dai soci pos- ,

sono passare piacevolmente il tempo. Nel se-


condo piano vi sono le scuole comunali di canto,
musica e ballo ed inoltre gli appartamenti te-
,

nuti dai soci del Gabinetto di lettura, messi pu-


re con molta eleganza. É anch’ esso un luogo
di piacevole intrattenimento, e coi mezzi di cui
può disporre la società per 1’ esteso numero dì
— 26 —
soci, diverrà ben presto un appartamento son-
tuoso per passarvi piacevolmente le serate in
amichevoli ritrovi.
Il prospetto principale del teatro per concetto
non ben risponde al carattere che rappresenta.
La parte di centro più depressa delle parti late-
]*ali riesce meschina perchè non signoreggiante,
('ome di regola ed il gruppo delle statue alle
,

quali fa base uno sconveniente è pesante dado,


maggiormente lo schiaccia. Tal grup ])0 disar-
monizza col prospetto per sbagliate proporzioni
delle statue che sembrano di non essere state
fatte nò pel teatro, nè per stare a quel poco ele-
vato sito.
Il prospetto posteriore non lia nulla di ap-
puntabile. Le sagome delle modanature in gene-
rale si distinguono pel gusto con cui sono state
disegnate, e per accurata esecuzione. Nell’insie-
me il teatro è un magnifico edifizio esso fu
;

inaugurato nel 1851 e la spesa per la costruzio-


ne ascese a lire 1,485,225.
Teatro La Munizione — Giacche ci trovia-
mo a parlare di teatri, usciamo di carreggiata, e
conduciamo il viaggiatore al piccolo ma elegante
teatro denominato la Munizione dal perchè era
in origine sala d’armi. Vi si giunge per la stra-
da deiì’istesso nome che si dirama dal corso
Cavour. Non è guari è stato intieramente rifat-
to sul gusto moderno. Attesa T angustia dello
spazio, e l’obbligo imposto agli architetti di uti-
lizzare per quanto fosse stato possibile le anti-
che fabbriche, non fu dato ai medesimi di pro-
gettare una più comoda e confacente ripartizio-
ìie della pianta. Malgrado tale obbligo il teatro
nella sua piccolezza nulla lascia a desiderare, sì
pel bene scelto partito, gusto delle decorazioni
ed accessori regolarmente distribuiti, che per il
confacente carattere e semplicità dell’architettu-
ra dei due prospetti.
Palazzo di città — Ritorniamo nella strada
Garibaldi, dove s’incontra sul lato meridionale
,

— 27 —
della medesima il palazzo di città con iananti la
bella piazza del Municipio ombreggiata da gi-
ganteschi platani, provveduta di sedili e due
,

graziosi clnoschi per lo spaccio di sigari gior- ,

nali ed altro. Il palazzo Municipale è opera di


qualche pi*egio per l’imponente massa e pel tipo,
di architettura. Difetta per sciupo di spazio inu-
tilmente occupato dalla scala principale qua-
si per un terzo dell’intiera superficie, non stan-
do per la sua grandiosità nel giusto rapporto
con 1’ edilìzio e suoi appartamenti ; ciò che ha
prodotto il grave difetto delle sale e gallerie che
si succedono senza passaggi laterali e conse-
guentemente non disimpegnate. Difetta pure per
poca precisione di sagome delle massicce mo-
danature.
Nel pianerottolo di detta scala vi è una sta-
tua di marmo rappresentante Messina con di-
versi emblemi di commercio e con in mano un
rotolo che figura il Decreto di Ferdinando II,
col quale ridonava alla città nel 1851 l’antico pri-
vilegio del Porto-Franco. La grossolanità del-»
le forme, le paffute sue membra, e la non na-
turale maniera con cui sono disposte le pieghe
del panneggiamento che sembrano corteggiate
dimostrano abbastanza di essere un primo lavo-
ro di giovane scultore commessogli per prote-
zione.
Nel pianterreno, dal lato di mare, vi sono gli
uffici della Banca di Sicilia e della Cassa di ri-
sparmio, e dal lato di tema la stalla e rimessa
del S. P. Q. M. e per vieppiù accrescere la scon-
cezza anche la caserma delle guardie municipali.
Sperasi per decoro del paese che i signori del
palazzo di città non tarderanno a far togliere lo
.sconcio di vedere nella piu bella .strada di Mes-
sina, cavalli, immondizie e letti.
La costruzione di questo palazzo costò Li-
re 1,275,0(XJ.
Fonte Orione — Per la via di S. Giacomo, po-
co prima del termine della Garibaldi , si riesce
— 28

nella piazza del Duomo, circondata da eleganti


palazzi tra cui quello di Giustizia innalzato, come
si disse, sul suolo dell’antico palazzo senatorio,
che fu demolito da Carlo II in pena della rivolu-
zione dei 1674 ,
e 1’ altro laterale già convento
dei Minoriti, ora destinato per sede del Coman-
do Militare.
Degno di ammirazione è il fonte monumen-
tale denominato di Orione, opera classica del già
nominato Montorsoli che lo terminava nel 1551.
Questo fonte sorge su di un basamento a tre sca-
glioni e sopra dei medesimi una gran vasca del
diametro di M.' 8, 54 a dodici lati ,
dei quali
quattro sono alternativamente rientranti per far
luogo a piccole, pile che ricevono acqua dalle
bocche di delfini. Le statue sdraiate sul bordo
della vasca rappresentano i fiumi Nilo, Ebro, Te-
vere e Camaro, torrente quest’ultimo che scorre
verso r estremità meridionale della città e dal
quale derivano le acque che animano il fonte.
A ciascun angolo della vasca fa ornamento un
Termine, e nei lati vi sono intagliate delle sto-
riette in bassorilievo tratte dalla mitologia, co-
me dire il cavallo Pegaso che fa il fonte Castalio,
Europa che passa il mare Icaro che volando
,

cade neH’acqua, Aretusa conversa in fonte Ja- ,

sone che passa il mare col montone d’oro. Nar-


ciso cambiato in fonte. Diana nel bagno che con-
verte Atteone in cervo, ed altri simili. Quattro
tritoni che sorgono dal centro della vasca sor-
reggono una tazza e su questa quattro ninfe
,

graziosamente annodate sostengono una secon-


da tazza di minor grandezza, la quale serve
di base a quattro putti cavalcati sopra a delfini
sorreggenti un globo su cui posa la statuetta di
Qrione col suo fido cane per dinotare la condi-
zione di famoso cacciatore.
Il concetto ben trovato, le armonizzanti pro-
porzioni, l’insieme svelto e gentile, e la finitezza
della esecuzione assegnano al fonte un meritato
posto tra le opere classiche, ed è degno del se-
— 29

colo del risorgimento in cui fu eseguito. Gli or-


nati sul gusto del cinquecento, le statue, princi-
palmente le quattro ninfe di un potente loagi-
gistero e di una grazia di movenza, scolpite con
isquisitezza, attirano l’attenzione dell’osservatore
ed il plauso degl’ intendenti.
Al di sotto della gran vasca trovasi una co-
moda galleria circolare in cui sboccano le docce
di un acquedotto praticabile per alimentare i get-
ti su nel fonte artifiziosamente disposti dai quali
nei giorni festivi zampillano le acque con bello
effetto.
IlDuomo — Il prospetto della cattedrale di
un’architettura mista, di cui la parte inferiore
rettangolare, quantunque bruttata da lapidi ara-
bescati di un’epoca posteriore, è bello pel suo ti-
po bisantino e pei lavori di marmo a commesso
che ne rivestono la superficie a liste di svariati
disegni. Le sculture in basso ed alto rilievo ne-
gli stipiti della porta maggiore e nei filari late-
rali appartennero ad altri antichi tempi sacri e
profani, e sebbene malamente accozzate e roz-
zamente eseguite, hanno il pregio dell’antichità.
La porta di centro, nel suo insieme di puro
stile gotico, è di bello effetto. Nel vertice staili
mezza figura il Padre Eterno, e nel triangolo, in
basso rilievo, Gesù Cristo che corona la Vergine.
La statua di tutto tondo della Vergine sedente
col Bambino nelle braccia, collocata sull’archi-
trave, è opera mediocre di Mazzolo scultore mes-
sinese come dell’ istesso autore sono le statue
,

di San Pietro e Paolo. La porta maggiore di


questo magnifico tempio è di grande ornamento
al prospetto, che, se manca di euritmia, lo rende
pregevole per la ricchezza degli ornati propri
deir architettura ogivale che sembra di essere
stata creata pei tempi cristiani.
La parte superiore del cuspidale frontespizio
di un’epoca posteriore è barocca di uno stile in-
definibile, che fa perdere di pregio e di venustà
alla sottostante parte antica. Il prospetto poste-
30 —
riore è stato da non guarì restaurato, anzi ri-
formato ,
sostituendo all’ antica architettura di
uno stile sai geneiàs una pseudogotica che non
ha alcun riscontro coll’ardita architettura cristia-
na; e per accrescere il malfatto vi si appiccarono
due mozzi campanili.
Gli scrittori messinesi vogliono fare rimonta-
re la costruzione del Duomo all’epoca di Boni-
fazio II Pontefice e di Giustiniano imperatore
mentre era Esarca d’Italia Belisario, dal perchè,
nel praticare taluni scavi presso le fondazioni, si
rinvennero monete d’ oro del tempo del detto
Esarca. Vero, o no tale dato, è però da credere
che una chiesa sia preesistita ove oggi è il Duo-
mo all’epoca della conquista dei normanni ma ;

in tale stato ridotta che Guglielmo III, Vescovo


di Messina, in un suo Diploma del 1123, parlando
della chiesa di Santa Maria, disseta, restaurata
per opera di Ruggero e di Adelasia. Sembra cer-
to quindi che a re Ruggero si deve Taverne fat-
to uno dei i^iìi grandi monumenti dell’ architet-
tura norrnanna-sicLda ,
poiché egli vi eresse,
erogando ingenti somme, il superbo edifizio che
non potè lasciare compiuto nei suoi giorni ma ,

che idi lui successori recai'ono indi a termine.


Dippiù sappiamo dallo storico Gallo, e da altri
selettori,die nel 1168 canonici, lasciando la pri-
i

mitiva cattedrale di S. Nicolò, vennero a celebi-a-


re nella chiesa di Santa Maria la Nuova, che
così chiamavasi allora il novello Duomo.
La consacrazione ebbe luogo nel 1197 come
si ha da un antico breviario gallicano, celebran-
do l’Arcivescovo Berti no coll’intervento delTim-
pei’atore Enrico VI, re di Sicilia.
Il barocchismo ed il cattivo gusto hanno gua-
stato in più guise la primitiva sublimità razio-
nale di questo tempio, ma la forma in tutto n’ò
rimasta illesa.
Al re Ruggei’o si deve dunque la grande ope-
ra della erizione del Duomo, perchè non rimane
alcuna orma dell’ antica chiesa di Santa Maria
— 31 --

che fu dal conte suo padre restaurata. Clie il


novello tempio sia stato edificato dal figlio ri-
sulta anclie dalla cronica di Romoaldo vescovo di
Palermo, e da un Diploma di Federico in data
del 1201, recato dal Pini.
L’antica cattedrale di S. Nicolò, dietro il pa-
lazzo arcivescovile, della quale rimane tuttavia
la porta maggiore, fu edificata dal conte Rug-
gero, il quale mentre ergeva in Messina mura-
glie e torri, ordinava anche fondazioni di diver-
se chiese. Questa porta merita attenzione per le
due colonne laterali all’ arco acuto con capitelli
buona forma,
follati di e per una singolarità nei
sommoscapo.
L’interno del Duomo a tre navate ha la for-
ma di croce latina ed è lungo M.‘ 1)3 e largo 31.
Le colonne monoliti si crede che appartennero
ad un antico tempio, probabilmente a quello che
Diodoro siculo dice di essere esistito al Capo
Peloro.
L’antico tetto fu distrutto da incendio nel
1254 allorquando, per Peccessivo numero di cerei,
si attaccò il fuoco al catafalco pei funerali di
Carlo IV. L’attuale è formato di massicce in-
cavallature dorate e dipinte. Il tempio ritornereb-
be alla sua prisca magnificenza, se si restauras-
sero le dorature del tetto, si togliessero tutti gli
arabescln barocchi di stucco che insozzano le
pareti, e si rendessero terse le inapprezzabili
colonne. L’Arcivescovo Cicala nel 1682, secondan-
do i pregiudizi del secolo, deturpavalo, e spe-
riamo che un altro Arcivescovo vero ortodosso,
sprezzando le superstizioni conformemente ai
,

tempi, lo restituisse qual’era facendo togliere al-


meno i bruttissimi lavori di stucco. Se il Muni-
cipio anziché spendere una rilevante somma per
il sacrilego restauro del prospetto posteriore da

non molto eseguito, l’avesse invece destinata per


decorare convenientemente F Interno avrebbe ,

fatta opera accetta a Dio e ad ogni buon cri-


stiano.
— 32

Tra le cose che meritano di essere osservate


primeggia l’altare maggiore che tutto insieme ò
di un inestimabile valore. 1 cinque gradini pei
quali si ascende alla mensa, sono di un bel la-
voro a commesso di marmo, e l’altare è intarsia-
to di lapislazzoli, agate calcedonie e diaspri a
,

svariati disegni, come del pari sono arabescati


con lapislazzoli incorniciati in bronzo dorato i
gradini che posano sull’ altare. Il baldacchino
che dal volgo vien chiamato macchinetta, addos-
sato aH’altare, poggia su di solida base incro-
stata di pietre preziose a disegno con un bas- ,

sorilievo dorato rappresentante l’ambasceria dei


messinesi alla Vergine (1). Quattro colonnette e
due pilastri di lapislazzoli scannellati a rame do-
rato poggiano sul detto basamento e sostengono
una elegante cornice a traforo dell’ istesso me-
tallo come sono tutte le altre parti che compon-
gono il baldacchino, il quale è alto M.‘ 15. Que-
st’opera che in magnificenza supera il celebre
baldacchino del Vaticano, fu progettata nel 1628
dall’architetto messinese Simone Gu Ili; morto co-
stui, ne prese la direzione Guarino Guarini il ,

quale col suo storico cattivo gusto ne accrebbe


il barocchismo. Dopo una serie di anni, sotto la
direzione di varii architetti che ci successero, fu
compiuta nel 1673. L’ insieme è sorprendente ,

quantunque sovraccaricato di ornati. Le sole


colonnette di lapislazzoli costarono L. 22,500 e
L. 1,500,000 il baldacchino.
Il quadro della Vergine di antico greco pen-
nello, sotto il detto baldacchino, è ricoperto di
una lastra di argento sulla quale è riprodotto a
cesello il disegno, lasciando due vuoti per po-

(1) Si ha per tradizione e pia credenza che i messinesi convertili


al cristianesimo spedirono alla Madre di Dio, vivente in Gerusalemme
verso il 42, uifamhasceria composta dei più illustri personaggi del pae-
se ai quali donò un prezioso foglio con cui dichiarava di benedire e
proteggere il popolo e la Città di Messina. Da qui il titolo di Maria
della Lettera alia patrona.
.

— as-
tersi vedere le facce della Vergine e del Bam-
bino. La detta lastra volgarmente chiamata man-
ta è ricca di gemme, e nei giorni festivi viene
sostituita da un’ altra d’ oro massiccio del peso
di chilogrammi 6, 40, la quale è tutta coperta di
ricchi doni in perle e pietre preziose votate dai
fedeli
Il mosaico nella vòlta della gran tribuna a
fondo dorato, rappresenta in figure colossali Cri-
sto seduto con Maria Vergine e S. Giovanni ai
lati, ed in più piccole dimensioni Federico II e
l’Arcivescovo Guidotto da una parte e Pietro II
dall’altra. La composizione è poco felice e le fi-
gure di secco stile greco antico. Detto mosaico
fu eseguito insieme agli altri due nelle tribune
laterali per ordine di Federico e Guidotto, i quali
rimisero più bella la cattedrale dopo l’incendio.
Gli stalli del coro sono del 1540 eseguiti in
intaglio e tarsia, lavoro di qualche pregio. Le
pareti della tribuna dipinte a fresco divisi in
quattro grandi quadri rappresentano in figure
colossali, la morte di S. Alberto, la predicazione
di S. Paolo, l’ambasceria alla Vergine, ed il mar-
tirio diS. Placido e compagni. Essi affreschi so-
no del pennello del Quagliata, e peccano dello
stileammanierato dell’ autore. Nelle tre urne
sepolcrali poggiate sugli stalli si conservano le
ceneri di Alfonso re di Napoli , di Carlo IV, e
della regina Antonia moglie di Ferdinando III
di Aragona.
Nelle due cappelle laterali non esistono cose
importanti, nè degne di osservazione, e potran-
no soltanto vedersi nel sagrario dietro l’altare
di quella del Sagramento talune reliquie legate
da re Alfonso a Sancio di Eredia e da questi alla
città di Messina, le quali sono conservate den-
me-
tro statuette, ostensori, e pissidi di preziosi
talli, lavori delicati che mostrano lo stato del-
l’oreficeria di quell’epoca. Il mosaico nella vòlta
di questa cappella rappresenta la Vergine col
3
— 34 —
Bambino Gesù sulle ginocchia, ed ai lati genu-
flesse le regine Eleonora ed Elisabetta moglie ,

Tana di Ferdinando e l’altra di Pietro d’Aragona.


Quello nella vòlta dell’ altra cappella dedicata a
San Placido figura il giovanetto re Ludovico e
lo zio duca di Atene suo tutore, con in mezzo
San Giovanni Evangelista.
Tra le migliori sculture in marmo va anno-
verato il pregevole pergamo di squisito lavoro
e di elegante forma, attribuito da taluni a Ga-
gino, da altri a Calamech. D’ingegnosa inven-
zione è il capitello del pilastro sul quale posa il
vaso del pergamo nelle cui facce tra le foglie
porta scolpite le teste dei famosi novatori Mao-
metto, Calvino, Lutero e Zuinglio. I bassorilievi
del vaso rappresentano varie virtù di bellissimo
lavoro.
La statua di S. Giovanni, posta sull’altare a
destra della porta maggiore, attribuita al Gagino,
è stata innalzata nel 152.'). È un lavoro inspira-
to, bella per concetto, per posa, sveltezza di for-
me studiate dal vero, e per finitezza di esecu-
zione.
Le due navate laterali sono adornate da do-
dici statue rappresentanti gli apostoli eseguite ,

da vari autori. Esse, taluna eccettuata, non han-


no nessun pregio artistico.
Presso la cappella del Sacramento vi è l’altra
della Madonna della Pace, fatta eseguire a pro-
prie spese dall’ Arcivescovo La Lignamine nel
1530, in ricordanza della pace ottenuta per sua
mediazione tra i nobili ed i popolani che per
qualche tempo tennero la città negli orrori di
una iuttuosa guerra fratricida.
SuU’altare in separate nicchie vi sono la Ver-
gine sedente col Cristo morto sulle ginocchia,
ed ai lati S. Antonio di Padova e San Pietro. Nel
frontespizio semicircolare il bassorilievo rappre-
senta la Vergine che percuote il demonio, sim-
bolo della discordia per salvare un bambino.
,

Le statue, quantunque di uno stile tagliente, non


sono spregevoli; come squisiti e di ottima ese-
cuzione sono gli arabeschi nei pilastri cornici ,

e basamenti.
Da taluni viene attribuito questo lavoro al
Montorsoli ; ma 1’ epoca in cui fu eseguito non
risponde a quella della venuta in Messina del
detto scultore che fu posteriore, nò lo stile è del
supposto autore.
Tra i diversi sepolcri di Arcivescovi non ve
ne ha alcuno che si distingua per bel pensiero
di composizione e per buona esecuzione. Sono
congerii di bei marmi più o meno mediocremen-
te accozzati che servono, se non altro per ri-
, ,

cordi storici dai quali si rileva 1’ epoca in cui


vissero gTillustri prelati ivi sepolti, ed il giorno
della loro morte. Però quello dell’ Arcivescovo
Guidotto de Tabiatis ha dei pregi per essere un
prezioso monumento dell’italiana scultura del se-
colo decimoquarto scolpito nel 1333. I bassi-
,

rilievi che rappresentano l’ annunziazione della


Vergine, l’adorazione dei Magi, Cristo flagella-
to e crocifisso , e 1’ Epifania sono da reputarsi
òpera degnissima di quel secolo tanto per la,

composizione dei soggetti bello accordo delle


,

figure e delle masse quanto per la diligente


,

esecuzione connessa col sentimento morale e ,

l’idea intimamente religiosa che dappertutto vi è


diffusa.
Presso all’altare della Resurrezione, laterale
alla porta della sagrestia, è un bassorilievo rap-
presentante S. Gerolamo penitente, di mediocre
scarpello, ma di stile secco. Il tronco di colonna
che sta al disotto, sorreggente l’urna dell’acqua
benedetta, è notevole per sua antichità. In esso
sono scolpite due dediche in greco le cui tradu-
zioni riferiamo qui appresso :

Ad Esculapio e ad Igea servatori titolari della città.


Ad Elio Adriano Antonino Augusto Pio PadfC della Patria.

Le pareti della navata di centro sono impia-


stricciatecon arabeschi a stucco di biasimevole
opera fatta eseguire nel 1682 dall’ Arcivescovo
Cicala. Gli affreschi chiusi in contorte cornici
anche di stucco sono del Bova, tra di essi ve ne
ha qualcheduno mediocre per composizione e
freschezza di colorito , ma non per purgato di-
segno. Il primo a destra entrando rappresenta
il Gran Maestro di Lodi Liladamo liberato colia
sua comitiva dal pericolo di naufragio avvenuto
nel 1523. Nel secondo viene figurato il portento-
so avvenimento della Vergine detta di Dinnam-
mare, la cui immagine fu veduta dai pescatori
sui dorso di due delfini. Nel ferzo è dipinfa
Tambasceria inviafa dalla citfà alla Madre di Dio
ancor vivente in Gerusalemme, e la Vergine che,
benignamente ricevendo gl’inviati, dà ai medesi-
mi il preziosissimo foglio in cui promette la sua
perpetua protezione. Il quarto rappresenta il por-
tento dell’ apparizione della Vergine in bianca
veste sulle mura della città per liberarla dall’as-
sedio dei francesi dopo il Vespro siciliano — Il
quinto il conte Ruggero che disbarcato sul brac-
cio del porto, spiega il vessillo coll’immagine del-
la Vergine, sotto la cui tutela combattè e vinse,
liberando la Sicilia dai Saraceni. L’ultimo, rap-
presentante S. Luca, è opera mediocre di Giu-
seppe, Paladino.
A sinistra nel primo è dipinta l’ istoria della ,

'

Madonna della Scala. Nel secondo il soccorso


di vettovaglie ottenuto prodigiosamente per le \

orazioni di S. Alberto allora vivente, quando la ;

città era stretta di assedio da Roberto duca di >

Calabria. Nel terzo 1’ apparizione della colomba i

che delineo in presenza del Senato sul monte


della Caparrina il sito per erigere la chiesa di
S. M. dell’Alto; cosi denominata dal sito elevata
in cui fu edificata.
Nel quarto Don Giovanni d’Austria che riceve
per mano dell’ Arcivescovo nel 1571 in questo
Duomo lo stendardo Pontificio. Nel quinto Ni-
colò IIPontefice che dà al conte Ruggero il ves-
sillo coll’immagine della Vergine col quale ven-
— 37 —
I
i: I

ne a liberare la Nel sesto (finalmente


Sicilia.
eseguito nel 1838 per voto del popolo in comme-
morazione di essere stata Messina liberata dal-
rinvasione colerica, che nel 1837 fece moltissime
vittime neir.isola), la Vergine che protegge la cit-
tà allontanando il pestilenziale morbo, lavoro di
puerile concetto, e di pessima esecuzione.
La meridiana costruita nel 1804 è opera sti-
mabile dell’Abate Jaci. Su di una tavola di bianco
marmo, lunga M.' 31, 71 e larga M.‘ 1, 30 vi sono
segnati in rettangoli colorati i gradi deU’eclittica,
cominciando dal solstizio estivo e terminando al
solstizio d’inverno. Addippiù di altre famose me-
ridiane è arricchita di dati necessari per le mol-
teplici osservazioni astronomiche che giovano
alla nautica. Vi sono descritti i giorni che cor-
rispondono ai gradi dell’ eclittica segnati con ,

trapezi in relazione dei suddetti gradi in due


linee equidistanti dalla linea meridiana coi nu-
meri dei giorni progressivi. Sono esattamente
notati i punti equinoziali, ossia i due giorni dei-
ranno 21 marzo e 23 settembre. Per comodo dei
naviganti e di coloro che volessero calcolare le
varie altezze dei pianeti e delle stelle, si trova-
no segnate in piccoli archi di diverso colore le
altezze meridiane del sole per ogni giorno del-
l’anno, come anche le declinazioni, collo stesso
ordine, partendo dai punti equinoziali. Non di
poca utilità si rende per la nautica il conosce-
re la declinazione e V ascenzione del sole sul me-
ridiano, per calcolare l’ altezza del sole , e così
avere la latitudine del luogo.
La meridiana dell’abate Jaci è degna di am-
mirazione e merita di essere ben conservata ,

anche perchè è la sola opera che esiste in città


del dotto matematico, il quale visse miseramen-
te cieco gli ultimi anni di sua esistenza, per cui
il Bisazza disse di lui :

A cui vivo mancò la fiamma e il pane


E morto ,
un’ara sepolcral non ebbe.
— 38 —
Nella sagrestia si conservano taluni quadri
di pittori patrii, tra i quali sono di maggior pre-
gio r Assunta di Salvo, il Lot di Rodriquez, la
Presentazione di Alibrandi, ed un dittico fiam-
mingo.
Il tesoro è ricco di argenterie e di preziosi
arredi. Sono notevoli due candelabri di stupendo
lavoro a cesello del valore complessivo di L. 20
mila, quattro grandi vasi con fiori, una statua di
Santa Rosalia donata dalla città di Palermo nel
1670; una cassa del rilevante peso di chilogram-
mi 262 a trafori con bassorilievi ed arabeschi,
eseguita nel 1613 in occasione dell’ invenzione
delle ossa di S. Placido; una statua di S. Alberto
fatta per voto del Senato nel 1629; un paleotto
del 1769 cesellato con buon gusto, tutti d’argento.
Inoltre un’ostensorio d’oro del pesodichil. 6, 50
adorno di 42 grossi diamanti.
Da quanto abbiamo riferito si deduce che in
Messina per la chiesa si spendevano dei bei mi-
lioni, principalmente nei secoli XVII e XVIII, e
si spendevano con fede e per la fede. La civiltà
odierna insegna spendere il danaro con maggio-
re utile in opere di beneficenza che sono me-
,

glio accette a Dio. La Religione cristiana non


ammette sfarzi: sola fides sufficit.
Università degrli Studi —
Per la via rimpetto
al prospetto del Duomo si va all’Università già
edilizio dei PP. Gesuiti sorto nel 1548 che fu
,

molto danneggiato dai terremoti del 1783. Per


effetto della rivoluzione del 1674 Messina ebbe
tolta l’antica rinomata Università la quale era
,

situata con apposito edifizio nel largo dell’Ospe-


dale, e fu invertito per maggiore disprezzo ad
uso di forni militari che tuti’ ora si conservano
al medesimo uso, ed invece venne sostituito un
collegio sotto la direzione dei Gesuiti. Nel 1838
Ferdinando II Borbone ridonava a Messina l’Uni-
versità che Carlo le avea con vilipendio tolta.
Nel medesimo edifizio si comprendono: la bi-
blioteca pubblica con num. 20,000 volumi e qual-
,

— 39 —
die prezioso manoscritto; il museo dove si con-
servono dei buoni quadi'i perloppiù di scuola
messinese, tra cui il Davidde e l’Amalacita dello
Scilla, la Vergine col Bambino dipinto a tempra
dagli Antoni! il Presepe di
,
Pelidoro da Cara-
vaggio, la strage degl’ innocenti del Rodriquez
la vedova di Naim del Meliniti, la trasfigurazio-
ne di Cristo del Catalano, e diversi altri, che fatti
restaurare con male usato prestigio, hanno per-
duto quel bello che difficilmente possono rido-
nare i restauratori.
Nei nostri giorni è invasa nel Consiglio mu-
nicipale la smania di acquistare molti quadri di
putrii pittori viventi che si conservano nel pa-
lazzo di città. Per non destare suscettibilità la-
sciamo all’osservatore di giudicare dei loro pregi;
diciamo però che non tutti meritavano di essere
acquistati, e lo sciupio del danaro non potreb-
be altrimenti giustificarsi che col motto incorag-
giamento. Ottimo pensiero è l’ incoraggiamento;
ma agli artisti in generale, e non solo ai pittori.
Le collezioni di vasi- greco-siculi di conchi-
,

liologia e di numismatica non sono molto ric-


che ma;
tra le monete vene sono delle rare ,

cioè, dell’epoca greca con una falce quando la


città si chiamava Zancla, con la M
quando pre-
se il nome di Messene con il castello turrito
,

dell’epoca del dominio mamertino, e con la cro-


ce dei tempi posteriori. Ci duole dirlo, il museo
oggi è in istato di abbandono ed i compianti
,

professori Carmelo La Farina, che lo proponeva


nel 1806, e priore Cianciolo cassinese che lo fa-
voreggiava, non sono stati ancora rimpiazzati.
Grande Ospedale — Di figura quadrata so-
pra un’aria di M.‘ 11,600 sorge il maestoso edi-
lizio dell’ospedale costruito nel 1605 sui disegni
di Sferrandino e Carrara, architetti messinesi —
L’architettura è semplice e ben si addice al ca-
rattere di edifizi di simil fatta. Spaziose e ben
ventilate sono le sale, diligentemente distribuiti
gli accessori. Comprendonsi anche in esso edili-
— 40 —
zio, il sifilicomio, Feducandario delle trovatene,
locale pei proietti.
Da recente è stato tutto restaurato e compita
la facciata dal lato di oriente. Spiace che non
siasi date alla nuova cornice le dovute propor-
zioni secondo le buone regole d’arte, di modo-
cliè non armonizza colla massa nè il suo ca-
,

rattere sta con quello dell’edifìzio.


Nel giardinetto del cortile vegetano diverse
piante medicinali ,
e supplisce in piccolissime
proporzioni alla ingiustificabile mancanza di un
confacente orto botanico. L’ira spaglinola che an-
nullò ogni argomento di civiltà, distrusse l’antico
orto botanico dopo la rivoluzione del 1674. E si-
no a quando non sorgerà un emulo di Pietro
Castelli che lo aveva reso celebre, Messina che
è dotata di un’Università, che possiede un ma-
gnifico teatro, che spende ingenti somme in ope-
re di lusso, ricca e popolosa, soffre ancora l’onta
di non averne uno confacente al suo stato, e co-
me lo reclama il progresso.
L’ annua rendita di questa grande opera di
beneficenza ascende a lire 150,000.
Ospizio degli Storpi —
Proseguendo il cam-
mino perla contrada Zaera ad un chilometro cir-
ca dall’ ospedale trovasi lo Stabilimento degli
,

storpi fondato dal principe Collereale nel 1827 ;


che lo dotava di cospicue rendite le quali fu-
,

rono in seguito considerevolmente accresciute


dalla beneficenza di Giov. Walser, ricco nego-
ziante estero ,
morto in Messina dove dimorò
molti anni, e da altri filantropi cittadini.
L’edifìzio è situato in luogo salubre ed ame-
no, ma F architettura del prospetto è meschina
e non corrisponde affatto al carattere voluto da-
gli edifizi di simile destinazione. L’interno è me-
diocremente distribuito e vi si trova ordine e
nettezza, essendo stato sempre amministrato da
onesti e distinti cittadini. Trovatisi attualmente
ricoverati numero 160 uomini e 20 donne che per
— 41 —
difetti organici, o per vecchiaia non possono la-
vorare .

Camposanto — Poco più in là del suddetto


Ospizio è camposanto in corso di esecuzione,
il

opera che ben merita di essere visitata. Gli ap-


passionati versi del Foscolo, e del Pindemonte
pare abbiano trovato un bel riscontro nella ne-
cropoli di Messina, e volentieri li citiamo :

ravvisti a tempo
I miei concilladin miglior riposo
Già concedono ai morti; un proprio albergo
Quindi aver lice anco sotterra

E con bel pensiero furono eretti in luoghi


distinti i monumenti
di La Farina, Natoli e Bi-
sazza, pregevoli opere di giovani scultori mes-
sinesi. É voto di tutti i cittadini che vi si eriga-
no pure i cenotafl in onore di Maurolico e Jaci.
Il Municipio farebbe atto lodevole se lo scio-
gliesse .

Ma il s^'litario loco orni e consacri


Religion, senza la cui presenza
Troppo è a mirarsi orribile una tomba.

E la Religione ha consacrato il solitario luogo


con uno elegante cenobio di puro stile gotico e
di finita esecuzione.
Pietosa insania che fa cari gli orti
De’ suburbani avelli alle britanne
Vergini

Ed ottima è stata l’ idea di non fare del cam-


posanto un luogo tristamente mesto, ma mesta-
mente armonico, sparso di giacinti e di viole.
Per questa grandiosa opera il Municipio ha
speso largamente senza restrinzione.
Il nostro compito di guidare il viaggiatore
essendo adempito lasciamo a lui di giudicare
,

dei pregi, o dei difetti, e ci limitiamo soltanto a


riferire, che la critica trova da osservare nei
portici un’architettura voluttuosa e pomposa non
propria di un camposanto, di ma un tempio di
,

— 42

Venere o di Diana; una profusione di ornati, ed


in generale troppo classicismo. Ma 1’ arte è dif-
ficile e la critica è facile.
Slatina di E’on Giovanni d’Austria Prima —
della rivoluzione del 1848 , Messina conteneva
molte statue dei Borboni le quali furono abbat-
tute a furia di popolo nella sommossa avvenuta
in detto anno. Dopo la restaurazione se ne in-
giunse alla città la riproduzione, e talune se ne
innalzarono con grandissime spese; nel 1860 ma
furono nuovo abbattute per mai più risorge-
di
re. Una sola è stata meritamente rispettata in
tutte le rivoluzioni ed è quella che si vede nella
piazza Annunziata di Don Giovanni d’Au-
dell’ ,

stria figlio dell’ imperatore Carlo V. Nel 1571


,

Don Giovanni, reduce dalle acque di Lepanto do-


ve combattè capitanando le galere della santa
lega, tia le quali talune furono fornite dai mes-
sinesi e vinse la memorabile battaglia contro
la potente fiotta turca, entrava nel porto trion-
fante portando molte galere nemiche conquista-
te. Il popolo lo acclamava vincitore e la città
decretava all’ illustre guerriero una statua in
bronzo dorato, che fu eseguita da Calamech con
molta maestria^ ed è pregevole non solo per leg-
giadria e maestà ma qual monumento storico,
,

perchè ricorda un fatto glorioso, la vittoria del


vessillo della croce su quello della mezza luna,
della civiltà sulla barbarie.
Il piedistallo su cui posa la statua è elegante,
ed bassirilievi in bronzo rappresentano diver-
i

se fazioni della battaglia, e l’ingresso della flotta


nel porto di Messina.
Rocca Gueìfonìa —
Da vari siti della città
si scorgono sull’ alto delle circostanti colline i
monasteri di S. Gregorio, Montalto e Basico, ed
in prossimità di questi spicca una torre ottago-
na denominata Giielfonia. La rocca omonima su
cui sorge, era fortificata nell’epoca cartaginese,
e nel sito ove oggi trovasi l’edifizio del carcere,
era il regio palazzo in cui verso il 1284 dimorò
— 43 —
la regina Costanza. La detta torre fn edificata
dal conte Ruggero, ed in epoche posteriori di-
verse volte restaurata.
La falda orientale della collina su cui sta la
torre a cavaliere, è rivestita di solida muratura
con una scarpa molto inclinata, e nel lato occi-
dentale di l’obusti ed alti bastioni. Negli antichi
tempi cpiando si guerreggiava colle fionde e col-
le frecce, la rocca era inespugnabile.
Altre opere pubbliche e monumenti merite-
voli di essere osservati, non troviamo da indi-
carne ai viaggiatori, i quali, se avranno voglia
di camminare, potranno girovagare per le ridenti
circostanti campagne, che sono veramente deli-
ziose, amene e di rigogliosa vegetazione. Potran-
no ascendere sul monte S. Rizzo per la strada
rotabile lunga chil. 9, sino alla vetta da dove si
gode una magnifica veduta, e si scoprono i due
mari Jonio e Tirreno.
Per coloro che amano di visitare chiese ne
indichiamo qui appresso talune tra le principali,
degne di riguardo sì per pregi architettonici, che
pei pregevoli quadri che vi si conservano.
Molte chiese vi sono in città, oltre a venticin-
que conventi e diciannove monasteri di donne
che dopo la soppressione delle corporazioni re-
ligiose sono stati destinati la maggior parte ad
altri usi.
Chiesa di S. Micolò —
Nella strada Cavour,
accanto palazzo della provincia, è il magnifico
al
tempio di S. Nicolò, unico in Messina per l’in-
terna distribuzione a cinque navate, con due file
di colonne doriche di marmo siciliano ed al-
,

trettanti pilastri arabescati in marmi di vari co-


lori. Sono ammirevoli due cappelle sul lato de-
stro nelle quali è dovizia di marmi e pregevoli
pietre dure.
Il quadro all’altare maggiore è capolavoro di
Alibrandi pittore messinese creduto allievo di
,

Leonardo da Vinci, ma .se non tale, certo uno


dei più rinomati imitatori della sua .scuola. Rap-
— 44 —
presenta la presentazione al tempio del bambi-
no Gesù, e fu dipinto nel 1519. Grazia e verità
nelle figure ben distribuite e disegnate con pre-
cisione, armonia e trasparenza nel colorito, va-
ghezza nei putti, ricchezza e verità negli acces-
sori,principalmente nell’ architettura del fondo
che ne aumenta le attrattive. L’autore nel com-
porlo pare abbia domandato alla pittura oltre
alla varietà dei toni la vivacità degli effetti e
,

r animazione della vita. Da non guari è stato


ristaurato per contaminare 1’ opera del grande
artista,rendendola pesante, densa e stonata.
La chiesa fu donata ai gesuiti nel 1547 venuti
in Messina vivente il Lojola; poi passò ai Padri
Cisterciensi che ingrandirono il Monastero , il
quale dopo la soppressione è stato ridotto con
molta eleganza per uso di uffici della Prefettura
e dell’Amministrazione provinciale.
Monte di Pietà — Questo grandioso edifizio
situato nella strada dei Monasteri presso il tea-
tro della Munizione, fu fondato nel 1541 dalla
nobile confraternita degli Azzurri, cosi denomi-
nata dal colore delle cappe che vestono i con-
fratelli, filantropica istituzione all’oggetto di con-
fortare i condannati al patibolo, sprigionare nei
di festivi alcuni carcerati per debiti e ricevere
in apposito reclusorio le donne convertite. Nel
1581 aprirono anche un monte di prestanza do-
tandolo di pingue capitale.
Il gran vestibolo, le spaziose sale per ripor-
re i pegni e la magnifica scalea che mena alla
chiesa, furono aggiunte nel 1741. L’ architettura
del prospetto se non di purgato stile, è superiore
al gusto dell’epoca in cui fu eseguita; il caratte-
re ben risponde alla sua destinazione, e l’insie-
me dell’edifizio è di sorprendente effetto. Nella
chiesa si conserva un pregevole quadro rappre-
sentante Cristo che porta la croce , attribuito a
Giulio Romano.
Chiesa di S. Paolo — Lungo la suddetta via
dei Monasteri s’incontra la vaghissima chiesa di
— 45 —
S. Paolo tutta ornata di marmi ben commessi.
Vi si conservano bellissimi quadri di scuola mes-
sinese. Il martirio di S. Placido è del Maroli, il
quale ritrasse se nel S. Placido , la sua donna
nella Santa Flavia, il figlio in un fanciullo, ed il
Bey di Tunisi di quel tempo, il tiranno Mamucka
che ordinò il martirio del santo. Sono anche di
molto pregio lo sposalizio di Santa Caterina del
Gabriello, l’ambasceria alla Vergine di Catalano
il giovane, la caduta di S. Paolo capolavoro di ,

Barbalonga allievo del Domenichino ed il San ,

Benedetto dello Scilla. Tutti sono stimabili per


composizione, per disegno, e per brio di tavo-
lozza. Sono anche commendabili gli affreschi nel-
la vòlta rappresentanti le gloriose gesta dell’apo-
stolo delle genti, dipinti dal Suppa. Il monastero
attiguo alla chiesa è tra i migliori esistenti in
città.
Chiesa di Maria delia Scala Presso —
la suddetta chiesa di S. Paolo trovasi l’altra di
S. M. della Scala, il cui prospetto è rimarche-
vole per la bizzarra architettura di uno stile di
transizione dal gotico al licenzioso, di non sgra-
devole effetto. Fu eretta per voto dopo il con-
tagio del 1347; e le monache in seguito edifica-
rono in contatto della chiesa un’ampio mona-
stero dove si stabilirono abbandonando quello
della Badiazza. L’ interno della chiesa, da non
guari restaurato, è ben decorato con isfoggio di
ornati. L’affresco della vòlta, opera contempo-
ranea ai restauri, rappresenta S. Benedetto nella
grotta di Subiaco nell’atto di ricevere i due fan-
ciulli Placido e Marno presentati dai loro genitori
Tertullo ed Equizio patiàzi romani.
S. Francesco di Assisi —
Poco discosta da
S. M. della Scala è la chiesa e convento di San
Francesco di Assisi, edificati nel 1264, avendone
ottenuto il terreno sotto pontificato di Grego-
il

rio IX. Nel 1721, per istolti restauri, fu devastata


la chiesa, essendosi sostituito il pieno centro al
sesto acuto degli archi, aggiunta una brutta cor-
— 46 —
nice ed annientato generalmente qualche vesti-
gio, della pi’ima striutni'a.
É una delle più spaziose chiese della città, e
vi si conservavano molti marmorei sepolcri di
antiche illustri famiglie, taluni forse distrutti dal
tempo. Ne esistono ancora altri tra cui quello
di Federico III nella tribuna maggiore, di rozza
esecuzione, eretto da Elisabetta sua madre. Al-
tro sarcofago di greco scarpello posato sul pavi-
mento, rappresenta il ratto di Proserpina. In es-
so vi sono i-accliiuse le ceneri di Elisabetta e dei
due figli Guglielmo e Giovanni duca di Randaz-
zo, come si rileva da una lapide di marmo col-
locata lateralmente. Alti'O ricchissimo sepolcro
trovasi nella stanza retrostante alla terza cap-
pella tutto di bronzo dorato eretto nel 1618 da
,

Giovanni Lancia alla sua consorte contessa Cibo,


morta nella fresca età di anni quindici. Le gem-
me che lo adornavano furono in parte tolte ed
impiegate per ornare il serto della Vergine, le
altre involate.
Il quadro rappresentante San Francesco che
riceve la stimmatizzazione è di Salvatore di An-
tonio, padre del famoso Antonello, dipinto a tem-
pra prima che suo figlio introducesse in Italia la
maniera di dipingere ad olio. É degna anche di
essere osservata una statua della Vergine coi
bambino tra le braccia del Gajmo. Il convento
in cui oggi vi sono gli uffici dell’ Intendenza di
Finanza, è un grandioso edifizio la cui facciata
è rimasta spiacevolmente incompleta.
S. Gregorio —
A questa stupenda chiesa, si-
ta su di eminente luogo, si va per strada rota-
bile salendo per la via S. Agostino, ed anche
per quella dei monasteri passando per sotto il
piccolo arco rimpetto la chiesa di S. Rocco, da
dove si ascende per una ben sviluppata e co-
moda gradinata. La chiesa edificata nel secolo
XVI sul disegno di Calamech, è in forma di cro-
ce greca, tutta incrostata di bei marmi e pietre
dure a vari disegni di purgato stile. La custodia
— 47

è di lapislazzoli di squisito lavoro. Tra i belli


quadri che vi siconservano, si distinguono una
Vergine con S. Giuseppe del Guercino, eseguito
nel 1665, lavoro pregiatissimo come sono tutti i
quadri di questo celebre artista; un S. Gregorio
del Barbalonga ,
dipinto con tale un’armonia,
intonazione vigorosa, precisioni di contorni e
.sorprendente movenza, che confermano la cele-
brità deir autore un S. Bernardo tra S. Placido
;

e S. Marco di Antonello Riccio opera degna di,

encomio per semplicità di composizione e fre-


schezza di colorito; la circoncisione, e l’adora-
zione dei Magi, pregevoli lavori di Godyn dipin-
ti in Roma nel 1682; la Madonna della Giambetta
rappresentata in mosaico, lavoro prezioso per la
sua antichità. I quadretti intorno a questa im-
magine sono del Fei fiorentino dipinti sopra
, ,

rame con molto gusto e delicatezza.


Nel parlatorio si conservano cinque preziose
tavole del celebre Antonello da Messina che in-
trodusse in Rafia la maniera di dipingere ad
olio che aveva appresa in Fiandra da Giovanni
di Bruggia. Rappresentano la Vergine col Bam-
bino, r Annunziata, un Angelo, un S. Giuseppe
ed un S. Benedetto. Sono forse le sole opere
che esistono nel paese sulla cui autenticità non
cade dubbio, avendovi l’autore scritto il suo no-
me e r epoca. Pei pregi artistici e per la rarità
questi quadri sono d’inestimabile valore.
Il prospetto della chiesa è di stile barocco ed
il campanile che dà al gotico sono nell’ insieme

di piacevole effetto.
Dall’ampio pianerottolo che sta a capo della
maestosa gradinata e dalla spaziosa terrazza
,

innanti la chiesa si gode la magnifica veduta di


una svariata prospettiva a volo di uccello della
maggior parte della città, del porto e dello stret-
to del Faro. É un paesaggio incantevole che me-
rita di esser veduto e contemplato.
Il monistero è annoverato tra le più belle case
religiose dell’isola. Spaziose celle, larghi corri-
48 —
doi, magnifica scala marmorea che mena all’am-
pio refettorio preceduto da vasta sala con nel
mezzo uno stupendo fonte di bianco marmo or-
nato di cavalli marini che tengono tra le zampe
teste di mostri , dalle cui bocche , zampillano
ciliare e fresche acque ; soprastà ai medesimi
un delfino, portando sul dorso un grazioso put-
to. 11 detto fonte fu eseguito nel 1731 da Bru-
gnani che morì in giovine età.
Bello è il coro per ricchezza d’ intagli. Il mo-
nastero di S. Gregorio a cui va unita una gra-
ziosa villetta è per la sua ridente posizione su
di aprica collina, per la vastità e sontuosità del-
r edilizio , e per la ricchezza della chiesa , uno
dei più belli monumenti della cristianità, e sa-
rebbe molto adatto per uso di un ben ordinato
istituto provinciale femminile di cui si manca
in Messina.
Chiese di S. M. dell’ Alto e di Basico A —
contatto del sudetto monastero sta l’ altro di
,

Montalto poco più in là quello di Basico. Li


,

accenniamo entrambi, poiché nel primo merita


di essere osservato un quadro della Santa Fa-
miglia deir immortale Tiziano. Nel secondo nul-
la trovasi di ammirare ; ma un bel ricordo lo
onora, quello di esservi dimorata tra le antiche
suore la celebre Camiola Turinga di cui parla
il Boccaccio nella sua opera delle Donne Illustri.
Oratorio di S. Francesco — Nel vicolo del
medesimo nome che mette capo alla strada Ca-
vour, è la chiesa di S. Francesco detta dei Mer-
canti, ricca di stupendi quadri. La gran tela sul-
l’altare maggiore rappresentante S. Francesco che
si getta nelle spine per isfuggire alle tentazioni
del Demonio sotto forma di bellissima donna, è
attribuita a Rubens; ma indubitamente è di auto-
re Fiammingo, come leggesi nel catalogo dei con-
frati: che un tale Massena genovese confratello lo
fece venire dalle Fiandre nel 1629 per regalarlo
all’ Oratorio. L’ opera è pregiatissima per com-
posizione, impasto e brio di colori, prerogativa
— 49 —
della celebre scuola fiamminga. La Vergine che
si mostra a S. Francesco è del Vanderbrach, di-
scepolo di Rubens, morto in Messina nel 1665 e
seppellito in detta chiesa come confrate. Sono
del pari stimabili i tre quadri del messinese Ro-
driquez rappresentanti la nascita del titolare ,
, ,

il battesimo e la vestizione dell’abito. Nel se-


condo di essi l’artista ritraeva sè e la sua fami-
glia.
Chiesa di S. Giovanni di Malta —
Presso
la villa pubblica è questa chiesa che appartenne
ai cavalieri gerosolimitani , ai quali la donò il

conte Ruggero nel 1099; ed attiguo ad essa è il pa-


lazzo già posseduto dagli stessi cavalieri, 11 qua-
le in seguito divenne proprietà regia e vi di-
moravano i sovrani tutte le volte che venivano
in Messina. Oggi lo possiede il Demanio ed è
r ordinaria residenza del Prefetto della provin-
cia. Nella chiesa trovasi la modesta tomba del
celebre Maurolico, a cui la patria non ha anco-
ra innalzato un condegno monumento. La fac-
ciata del tempio non è sgradevole se non altro
perchè scevra di barocchismo.
Chiesa di S. Andrea Avellino —
Nel lato
meridionale della piazza in cui si comprende la
villa pubblica, trovasi col prospetto a settentrio-
ne la detta chiesa di moderna costruzione di ,

figura rotonda. La facciata principalmente è di


poco buon gusto. Tra i quadri merita di essere
osservato quello rappresentante S. Gaetano e S.
Andrea Avellino del Barbalonga.
Uex convento dei PP. Teatini, unito a detta
chiesa, fu fondato nel 1730 coll’eredità di Pietro
Cibo conte di Naso. É un grandioso edilìzio di
una massa imponente, di un architettura piut-
tosto grave.
Nel lato ad occidente della piazza vi si trova
l’ospizio di beneficenza, spazioso edifizio capa-
ce di contenere molti alunni che apprendono
arti e mestieri.
,
,

— 50 —
Chiesa dell’ Annunziata —
Questa chiesa,
in via Cavour è notevole per il barocco prospet-
to sul disegno del licenzioso e bizzarro Onerino.
L’interno è vasto, ma non vi sono quadri de-
gni di attenzione. Gli affreschi del Suppa nella
cappella di S. Gregorio , rappresentanti la peste
cessata ad intercessione del santo, e la sua glo-
riosa morte, sono commendabili.
Chiesa di S. Gioacchino —
Poco distante
dall’Annunziata è questa chiesa in cui trovasi
un S. Ilarione moribondo uno dei più bei qua-
,

dri dello Scilla, la discesa al limbo del celebre


Alberto Dura, il S. Carlo Borromeo del Barba-
longa, condotto con vaghezza e brio di tinte , e
tre quadretti su rame dell’olandese Casembret,
rappresentanti la Madonna che lava i piedi al
Salvatore, la Flagellazione e la Resurrezione di
Lazzaro.
Chiesa dell’ Annunziata dei Catalani —
Al-
l’ estremità della strada Garibaldi ed al princi-
pio della Cardi nes, trovasi la Chiesa dei Catalani
edificata sui ruderi dell’antico tempio di Nettu-
no , come lo attestano le colonne della navata
e quelle che adornano il muro esterno di forma
semicilindriea nel lato sulla strada Cardines.
Nei tempi del dominio saraceno fu convertita in
Moschea, come si rileva dalle iscrizioni arabe
incise negli stipiti della porta maggiore ,
delle
quali riportiamo qui sotto la traduzione di P. Kir-
cherio.
Messala figlio di Charam re degli Alamidi
introdotto nella gloria magna da Nathur e da
Messala.
Posseduta nel 1270 dai Domenicani fu poi con-
ceduta ad una confraternita di mercanti catalani.
Chiesa dei Cappuccini —
Pria di por termi-
ne alla presente Guida, invitiamo il viaggiatore
a salire sulla collina dei Cappuccini. Il cammino
non è lungo nè disagioso, potendovisi ascende-
re in carrozza. La chiesa non offre di notevole
se non dei quadri mediocri dipinti da frati. Quel-
— si-
lo della natività è uno dei più belli lavori di
Michelangelo da Caravaggio.
Il già soppresso convento è stato da non gua-*
ri'iPidotto convenientemente a carcere peniten-
ziario per donne.
Vale bene la pena di salire sull’amena apri-
ca collina per godere della stupenda vista di
uno svariato magnifico orizzonte. La terrazza di
S. Gregorio ed il colle dei Cappuccini sono due
siti incantevoli, da dove lo spettatore rimane esta-
siato mirando tante bellezze artistiche e singoli
doni, largiti dalla natura nella creazione di que-
sto angolo di terra non mai cambiato o peggio-
rato per cataclismi , nè pel declinare ed invec-
chiare del mondo.
Se il viaggiatore volesse visitare tutte le altre
chiese di cui non facciamo mensione per la loro
poca importanza, potrebbe avvalersi delle Guide
del La Farina e del Grosso Cacopardo, ora per
altro poco soddisfacenti pei molti cambiamenti
avvenuti in città dall’epoca in cui furono pub-
blicate (1840 e 1826).
In esse sono descritte diffusamente tutte le
chiese e tutti i quadri che vi si trovano, essen-
doci noi limitati soltanto d’indicare quelle che
meritano di essere osservate e nelle quali si
conservano importanti opere di belle arti.
Auguriamo a Messina un migliore avvenire
e taleda rendere necessari^ tra breve una se-
conda edizione della presente Guida per aggiun-
gervi la descrizione di altre opere pubbliche, la
cui desiderata attuazione i cittadini sperano
nell’ amor patrio del corpo dei magistrati mu-
nicipali.
Allo straniero che di passaggio visita questa
ridente e culta città, un Addio ed un desiderio
di ottimo viaggio.
LA GIUNTA IVÌUNICIPALE DI IVIESSINA
Veduto 93 N. IO Legge Comunale e Provinciale 20 marzo 1865
l’art.
con cui è dato alla Giunta di dichiarare i prezzi delle vetture di piazza;
Veduta la tariffa del 15 gennaio 1871, fin oggi osservata ;

Ritenuto il bisogno di addurvi delle modificazioni per la maggiore re-


golarità del servizio pubb., e derogando alla stessa, stabilisce la seguente:

AD UN A 3UE ]

Città
CAVALLO CAV ALLI
cPordine

Distanza
in Chilometri
CORSE DELLE VETTURE Gita [e Kit Gita e Rit.
della

N. L.|jC. C. L. C. L.| C.

1 Dalla Città sino alla cinta


murata del Porto Franco
1
1

50 — 85 1 — 1 50
2 — — Alla staz. ferroviaria e vice-
.

versa di giorno col piccolo


bagaglio — 50 — 85 1 — 1 70
3 — — Idem. di notte 1 — 1 70 2 — 3 —
4 — — Per la prima ora senza desti-
. .

nazione 1 50 2 —
. 5 — — Per le ore susseguenti . . .
1 — 1 50
6 1 Per la via Santa Marta al tor-
rente Camaro — 85 1 10 1 50 2 —
7 1 Al Campo Santo — 85 1 50 1 50 2 —
8 2 li4 Cazzi 1 — 1 25 1 50 2 25
9 3 Contesse 1 25 2 — 2 10 3 20
10 4 Pistunina 1 70 2 2 55 60 4 —
11 6 Tremestieri ........ 2 3 — 2 — 70 4 —
12 8 lt2 Mili (torrente) 3 —
4 50 4 50 6 50
13 9 Mili (marina) e Calati. 3 75 5 50 5 50 7 50
14 13 S. Stefano fmarinaj
. . .

4 50 6 6 — — 9 —
15 18 Scaletta 7 11 — 11 — — 16 —
16 2 SS. Salvatore dei Creci — 70 1 10 1 10 1 50
17 1 Fonte del Paradiso
. . .

1 —
1 50 1 50 2 25
18 4 Pace 1 70 2 60 2 60 3 90
19 5 Fiumara della Cuardia 2 3 — 3 — — 4 50
20 Sant’Agata
. . .

2 25 3 25 3 50 5 —
7

4 50 5 — —
21
22
9
13
Canzirri
Torre di Faro
3
4 50 6 50 6 — 107 —
23 1 Via Nuova (miglio) 1 — 1 401 60 2 20
24 2 Ritiro 1 50 2 50 2 60 3 90
12 Castanea

6 — 8 20 9 12 50 —
25
26 Cesso 7 — 10 —10 50 15 —
1 27
15
19 Divieto 10 — 13 50 14 20 —
AWEJFtTJSIV!Z:E:.
a)

b) I
Le fermate durante
quarto d’ora.
cocchieri
la gita o ritorno

non si possono negare alle richieste dei passaggieri


quante volte si trovano fermate le vetture nelle piazze o vie
....
non potranno oltrepassare un

pubbliche (articolo 152 lleg. P. U. 1872).


c) I contravventori saranno puniti a norma del Regolamento in vigore.
Messina, 10 Febbraro 1871.

PER LA GIUNTA - II Sindaco - G. SILIPIGNl


.. .

s.
G VI \7V/ Sicofhnfi H V. 2^15
G.V __ " Salf(*rnio D \1 _ .

G V. " S.SlrfhiK) H. J\,


E IV. Viro ' H. ÌV 22a
Xì 7/ e/ Strafico F. w: 13?
I. W. T.
K.iv: V/a /. Teatro V. h\ G V. _
E V . 92 II. ^ r G V 2m
neescoY. IV. Xico ?’ G. V. 222
icp G.IV. Và/Zei. 7 cafro la Miinixì, ’g V 188
HI ri E . V. 82 V n G. V. 189
F. V l'48 Vico ” G. 197 V
CHI. — Via Templari F. I\^ __
M.V^. ’
S/Teresa E. IV __
E. IV. 75 ' del Terone E IV
Vico! „ 7 E. IV. 5J
F. IH. 10? V IT y. E. III fVi

E . IV 55 V m V E. III fi3

H.T. Via del Traffico E. VI .

D I\ Torrente Trapani L. VI
H IV Via delle Trel orci F IV
ìfrna7t/ì H \ .
” del Triangolo I V. 2H2
IVI. ” SS. 'frinita E V. 90
V IV. ” del Trionfo I. VI
G.IV ’» I. Tutti Santi F. IV
G IV. 1?? ” II. V F. IV
G IV. 176 \J.
GTV. 179 Via ticcelliera K. IV
G IV 180 Università degli stadi E. IV.
K V Vico ” ” E. V. 80
NOMI DELLE VIE
I7V» S Cecilia C I\’. Via Giacinto H m. 312 GM . f Sieofànfi H V'. 245
E. V' ?8 Cent once E. V. " dei Giardini F. IH G.V .Solferino VI
E. V 81 " delia Cernaia D IV. 28 det Giqlio K.IV' _ G V. SS te fa ito
I)
un,
. _

(1 IV _ Chiesa dei marinai K. V.


E.V. 94
- ••
Gì OS fra
S.Giovanni Decollato
M.V.
H. IV'.
Via dei Voviziaiv
O.
E !V. M .IV' 228
H. IV. 22? ' I. Cicerone ••
___ a ite/ Strafico 1’
E in. 51 Cilindro 1. V. _ ..
Il I. IV 27 4 Via dell' OH velo T.
IV' 137

• Allessanrirolam a D. V. 33 - S Clemente A IH. Girolamo Conti E.G' __ • dell Ohim '/ /. 'lenirò E. G V.

Alighieri H V. _ Cola Pesce
" K VI K V ••
dell Oratorio '

E. V. 92
1’.

G V 218
'
Alloro E. m. Vico della Concezione 286 I, V. S.Giiiseppe E \1. _ Oratorio di SPranoes\eoV. IV.
••

Vico ••
//. -

G. V. 222 •

de^li Amici E. ni. <i9 l 'iaCon caga 45 E. HI de/ Gonfalone H IH 234 della Pace G.IV. Via/.d. Teatro hi .Muntz t. G. V 188
'

E. 111. ” Corta K V ‘
_ Gordiano 1 rv'. 2-7 Viro Idetjlì Orqanar'i E V.
.

82
E. _ S. Cosmo e Damiano E IV 123 V
„ 148
'
Ili ir. F,
loa SS. Crispino e Crispiniai ni.v. Gran Priorato degli Orti Tempinei

F’. Ili t r. IH. . Via


F IH. 11.3
IV. __
S.CriatoCoro
'
G. V.
Cristoforo Colombo F Y. _ S .àrsola M.V. _ E. n’
Via Andrea I. " I _ eo Ospedale E. IV 75 ' del Terone PI n'
' S Andrea Ai'elll no H V. " CrociCisso ritrovato D IV 27 IV I. V. F». E IV 51
’ degli Angeli D IV. " Cubba E. V. 279 r V _ Via Palmizio F. IH. 107 K. Ili ’i'i

Vico l .-lnffeìi D IV. 25 ’’


JJ. Cnbba L, V. a Grande Ospedale E. IV'. ... .. Panatica •E IV. . 55 E HI 4.3
Salita della Caperina F. 131 dei Gran ili
I) IH. 26 " rv. E. VI, Pantano H V. __ Via del Traf'fìeo E
H V. 247 .

_ Granoni G 111._ •

• SPaolino Il IV Torrente Trapani


VI

VI. _
7 L. VI. _
eiaJa 0 V. Via detta Darsena r VI ,
dei Greci I.
SEnoto H IV Via delle Trel orci F n' 124
.. //
Annunciala
G V. 207
Bill
•'


IH
Davrcnzati
•• F. V. 160
I VI
Salita S. Gregorio
Gnglielaio 'Pepe
F
H
IV 120
VI. . .
SPaolo dei Disciplii r/.//H V.
Parinì
_
_
'• del Tri •ngolo 1 V. 2H2
E V. 90
Zaeru, 2
"

K _ ” Dieeareo I. n' _ Giìicci ardili i H. VI. _


I VI.
_
"
'
Antonio Jori
degli Anioni
V.
H. IV. 239
- Dina e Clarenza K V. — ••
Peculio
S. Pel agi n
I-',

G. IV
IV
__
l. VI,

F. lY
• dèli'Appailo II V. 256.
•'
S.Dionisio G.IV' 192
G.IV 17- F IV
irò I Arces
Vi E . IV 62 " S " Do/n en tea E.V 7 6 G.IV'. 176
Archi ha g 1 IV. Wco ••
E. V. 7 7 G IV. 179 Via Ifee/lierri K.
'
lungo Arcipeschieri F. Ili Via S.Domenico F IV. 139 K. V. • DI. G IV 180 " ('nh-ersilà degli slt/fli
Via l.degli Argentieri F. V. 165 F IV. _ H rv. 233 Via Pia Casa K V __ Vico •• •' ••
!

G V. _ I. I\'. — Legnano
H
L
IV. 232 ' Pia nella ri F V. V'.
f;.

Via dell'Armeria G ,
VI C IV. 8 l'I Chiasso Pieno K VI ._ Via del Valore f i

B C.IV. 9 Lonzi E
K.V.
HI Vai Pia ri da K V ” Varese D
Via SJÌacchilo Vescovo I VI 291
.
F. V 161 S.Leone _. ’ SPlacido I VI __ " dei Verdi FI
'• lìarhalongo H.IV, F. V. 162 S.Liherale I . V. IPo I IV', ._. -
delta Versa K
Vicol. » H . IV 235 Ligname K.IV __ IlPo
" l. IV. 27 5 ’
Villetta 11,
••
// - li IV 2.36 Log otria H.IV'. 238 Poi ir loto
' I IV. 272 ' svito F’.

Via I.S.Rarbera E . IV. 52 H 226


IV S.Lnca H V' ••Polidoro Caldura W IV 122 Corso l 'li torio Puianaele
- // E IV, 53 D IV 20 .S.L lieta G. Y _ " dei Poi verni K.IV. __ ’E..
' Bastione S.Vincenzd I V. 292 V>'« Evemero H.IV 23? G. IV. 191 Vico dei Pompieri H V'. 248 Via detta '/erra F’
XF-. IVI Via Porla Messina F.Vl
’•
al Belvedere F IV. 119
dei Macellai
_ Cortile ••
F;.
' delle Bian cucce F. IV. 133 Via delle Fabbriche K.IV

.E.V' 89 Porta Imperiate
••
Bill - Via '/.ioga ri I.
•’
Bi saia ri F IV. —

” del Fanale
” FntaMorgana
K IV 294
K VI. _
Maddalen a
Maffei
H. IV
1). IV _
14 - ••
Ileo le-
Boccetta
I
HV
IV'. ^
-
" Bocca Barile F. V ••
-

Vico ’ •’
Fansiinó Tartatlo li. IV 230 Malva gnu F’ V . _ - legni ••
E IV 59 PIAZZE E LAR6H
VV a Boccetta '•
SEilippo dei bianchi E. V. F. V. 149 Torrente PÒrtalegni E IV _ tuzzadet Duouio F'. V.
’ Bonfiglio K V Cortile S.Filippo F. V 147 II. - F. V. 146 Via Porto salvo I. l'I .
„ •’ Mitnieipio G V'. 2
" de! Borgo K IV 293 Via del Forno scoverto G V. __ 14,a della Monna E V. 86 Pozzo leone
••
GII' _ Anitunziafa
••
G.V 2
F. IV'. 121 " del Fortino U. V37 Manzoni I VI " Pei ni o Settembre •• detta ConceUione
E . IH _ Fossetta
" K.V. __ S.M. la Stella G V'. „ ' Procidu. '•
S.Giovanni I V. 288
S.Francesco
•'
L .\'. __ S.M.la Porla H V - ••
PIOVITI ri ale ’ Garibaldi I V'. 290
Via CajoGalto
Calafati
K.V
K IV 295
Cortile T. S.Franeeseo
'• II.
d.P^. L
E
V. 300
V. 301
SM. della Luce
S.M.detl'Arco
II. V.
K.V.
255
- Via Quagliata
Q H IV _ _
'•

'
del Popolo
deila Darsena
I)

F
IV
V4. 167
24

" Caloria E IH. _ Via - ^ M A'! .


S.ALla Fiiova K.IV'. Quartiere H IH . '
dei Catalani F. A’ 154
" Camerette I) IV'. Vical. •• ••
M, VI 308 Chiasso deiMarini K.n. " Quoti Quueres K rv •• de! Campo E. VI. 10 5
VicoJ. " D. IV. 29 ..
II. .. •.
M. VI. 307 Mia Maroncelli IVI. Ft " del Im m a colala H VI 240
U l\ 23 I ia l’ralelti Danf/iera '
“TT Vfartrt RePugio F’
un
ni rei dot
- ///. n D I\'. 22 ” dei Funai K.IV. _ SMarlino
SMaffeo
I). VI. ”
'
deìltisoryiinento
Doern GuelFunia G A'
del Jìiscirgimen io
yj: '
D IV 21 Ci, t«,5 Vii fonia t>.. ..

t: '
c 10 Via Oagino HIV'. _ Maurolico ’• dette Bocche E lU 40 S.f'ianeeseo rii Paola M.VI .311
Via S.Camillo G V
. rv,
__ Gliri bai di
•' delMercato Porche portalegni E m 41 della Stazione D vn 39
dei Cainoglia F. m 112 " Garofnro K.IV. _ irlile Merced? •'
Bodriguez I IV _ Pàtzzeflo S. Agata F. IV' 134
••

" de! Campo E. VI. __ ” del Castaido


dei (rassonietro
11 IV'. _ a sMerciirio
col. dei Merli
' Boniagnosi
deità Bavere
G V
F V _
__
Largo det
degli Ardili
Pii rga torio
E. IH. 47
F VI. 168
Campo santo
•’ A. HI. ” M. VI 309 . .
•'

" Canario 271 " dei Generosi D .rV' 32 // -


JS di S.P. ° dei Di Si
/ rfe/Zf rareeri
I

G. IV
IV'.
” Gente Armena F. IV _ HI. ••
T>. > Via della Sanità H .VI
- delici Zecca f:

E V
V' a
OR
i

G. IV Vico LG. e M. del Selciato C. IV'. 5 Via SMichele al Tirano E. I S. Mercurio


.. //. ..
• Savonarofa I VI
- Caedines ” IL C IV'. 6 dei Mille E.l detta Srotta A’
•'
Midvagna F. V. 150

rwr/» E HI 50 E. IV'. „ Monachella 1.
’’

S.Sebttsliano

FI
F'.
.

IH
'
5<l
svifa' F IV 127
m
" dei Catalani F. A'I E. 64 Monasteri G. I
••
Spirito Santo D. IV
.
Viro F. HI IO
” Catalano Rorcrtta H 229 E. 65 Montanara e Catartone H I
1
SALdei sette dolori F IV. 126
' S.Catarina Vatvrrde E. V.
IV, IV' .
Via Seggiiiota U 1\'. 12

TorreUa. K. IV 296
E. IV' 66 Munte della l’irta G. ’
Viro detta Segejiitola D. A’,
«

v ” dei Bottegai G .V, a GeAt.di SLeoni K. IV'. _ Alante Vergine G. '


(‘orlile D. A'
1

H. y _ • Ghìbeìlina D. IV'. _ delle Mura K. 1 Via ilei Seminario


'•

E V. _
1.3

G. V. - _ • l.S.Giaeomo F. \'. _ Viro ••


E. '' 98
F V.
Via SotainoH I \'
F. V'. 157 - S. M. dei seta- dolori
I
h

• •
' •
fi. . . .

1
'!

4 I
UNIVERSITY OF ILLINOIS-URBANA

12 077582978

ez/0 Lira, 50 .

Potrebbero piacerti anche