Inglese Nicolò - Storia Di Ribera

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NICOLO' INGLESE

. STORIA DI ft lBERA
NICOLO' INGLESE

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DELLO STESSO AUTORE:
CRI SPI • Editore dall'Oglio • Milano (2a edizione)
I L MODELLATORE DI AN IME ( SOCRATE) Editore Castaldi· Milano (Esaurito).
Per rinunzia dell' Autore ad ogni
suo diritto, l'Orfanotrofio Maschile
((Filippo Bonifacio» di Ribera è pro·
prietario esclusivo di quest'opera.
PRESENTAZIONE

Questa fatica dell'avvocato Nicolò Inglese, che «con


intelletto d'amore » ci regala una storia completa della nostra
Ribera, è degna di apprezzamento oltre che di encomio.
Tramandare ai posteri quanto gli antenati ci hanno
fatto pervenire nell'integrità delle gesta e nella preziosità delle
opere è, fuor di dubbio, merito grande ed impegno di lealtà
di fronte agli uomini di oggi e di domani che, nella naturale
bramosia di sondare il passato nelle sue componenti sociali, nelle
sue epopee, nelle sue conquiste, desiderano conoscere uomini e
cose che contribuirono attraverso i secoli a edificare il presente.
La « Storia di Ribera » dell'avv. Nicolò Inglese, senza
avere pretese scientifiche, ma in una forma di rigoroso ed onesto
studio delle fonti disponibili, delle tradizioni popolari pervenute
sino a noi ed analizzate positivamente, degli elementi storici che
determinano le date salienti del passato riberese, risponde piena-
mente alle attese della nostra popolazione e dell'uomo di studio.
Divulgare un importante materiale storico che soddisfi
l'uomo di studio e il semplice curioso della strada comporta
una non indifferente fatica. Per questo abbiamo detto che l'opera
merita apprezzamento e sincero encomio.
A questi pregi, che vanno riconosciuti indiscutibilmente
all'opera, che ho il piacere e l'onore di presentare, è bene
aggiungere altri che, sebbene estranei all'intrinseco valore del
volume, tuttavia sono legati ad esso e alla bontà del suo autore.
E' espresso desiderio dell'avv. Inglese che il ricavato
di questa «Storia » vada tutto a beneficio degli orfani dell'Istituto
«F. Bonifacio» - dei PP. Vocazionisti di Ribera ..
Una fatica quindi di «carità », oltre che di appassionato
uomo di studio.
D. Alfonso di Giovanna
RIBERA
Nel secolo IX i Saraceni costruirono sopra un poggio, sulla sinistra
del fiume Verdura (Alba-Sosio) a due miglia dal mare, un castello che, da
quello del feudo, prese il nome di Misilcassin.
L'edificio era rettangolare, in pietra arenaria da taglio, con finestre
piccole, torre merlata, ed aveva due ingressi - il primo a mezzogiorno,
l'altro a settentrione - che davano in un ampio cortile.
Un muro alto e spesso costituiva la sua linea esterna di difesa mentre
altro muro, formato dai fabbricati interni, tutti collegati fra loro con opere
stabili, chiudeva la fortezza.
Un portone a sesto acuto serviva da ingresso ad un secondo cortile
ed un ponte in muratura, del quale sono ancora visibili alcuni ruderi ,
univa le due sponde del fiume.
Il 7 novembre 1510 Gian Vincenzo de Luna, sposato con Diana Mon-
cada, signore delle terre comprese fra Caltabellotta ed i fiumi Verdura e
Magazzolo (Isburo), ebbe la investitura del feudo Misilcassin e, attratto dal
clima mite e dalla bellezza incomparabile dei luoghi, annualmente, nella
stagione invernale, scese dal castello di Caltabellotta a quello di Misilcas-
sin , che chiamò «castello di Poggio Diana».
Ed in verità Diana Moncada lo prediligeva, era veramente felice di

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trascorrervi alcuni mesi dell'anno ed un luogo la ricorda perchè tuttora
conosciuto col. nome di "piano della Signora».
AI castello si raccoglievano le genti del contado, venute da Caltabel-
lotta.
Dati i tempi, non c'era sicurezza personale contro le scorrerie dei
Turchi e dei pirati africani e due passaggi segreti portavano direttamente
dall'appartamento del signore del castello all'aperto: il primo al greto del
fiume, l'altro a monte.
Diana Moncada, coraggiosa oltre che bella ed intelligente, quando il
marito s'allontanava per correre in aiuto dei suoi amici vicini o lontani,
non tornava a Caltabellotta, rimaneva nel castello e di notte ispezionava
le sentinelle poste sulle mura. Una notte d'inverno il silenzio fu rotto dallo
echeggiare dei rintocchi della campana: segnale d'allarme. Il castello
veniva attaccato ma Diana Moncada non corse ad uno dei passaggi se-
greti, affrontò arditamente gli assalitori e li costrinse a ritirarsi con perdite.
Lungo la costa, da Sciacca e fin oltre il Platani (Alico) non esistevano
centri abitati (Calamonaci, piuttosto distante dal mare, fu eretta a comune
nel 1570 e prima era soltanto un fortilizio di secondaria importanza) ; però
le terre erano popolate, per la presenza di contadini che coltivavano in
prevalenza l'olivo, il mandorlo, fra i cereali il gran o e nel secolo XV, nella
contrada del Verdura, la canna da zucchero, introdotta in Sicilia sin dai
tempi della dominazione araba.
Favoriva la pastorizia l'abbondanza della palma nana.
Dopo il 1531 altri lavoratori affluirono per la coltivazione d'un cereale
nuovo: il riso.
Esso esigeva un lavoro penoso. In primavera i risaioli entravano nella
risaia inondata per estirpare le erbe cattive con le mani; poi provvedevano

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a levare l'acqua dalla risaia per rinforzare le piante di riso e rendere
possibile il getto di nuove radici.
Era quella la stagione più nociva e molti ne risentivano, contraendo
la malaria, gli effetti resi più gravi dalla mancanza di cure efficaci, dalla
scarsezza del cibo e dal lavoro prolungato.
Appunto per difendersi dalla malaria e per ragioni di sicurezza per-
sonale, nella impossibilità di fare ritorno a Caltabellotta nello stesso giorno,
quei lavoratori ben presto finirono col raccogliersi al tramonto al piano
S. Nicola, distante dal Verdura quattro chilometri.
Il luogo era ricco d'acque che prendevano nome dalla località (Santa
Rosalia, Canale, Giordano) o dalla qualità (Acqua Amara, Acqua dei
Malati). Per altro, per la sua posizione in altopiano (m. 220) aperta e
ridente, offriva uno stupendo, ampio panorama: la montagna di Calta-
bellotta col centro abitato; il monte Nadore; il monte Cronio, e più vicini:
l'orrido di S. Rosalia; la sottostante vallata del Verdura; il mare.
Là furono costruite le prime case, con buon tufo arenario, estratto
da cave aperte alquanto più a monte.
Nel 1583 l'ingegnere Camillo Camiliani, incaricato dal vicerè di Sici-
lia d'ispezionare le coste dell'Isola e di studiare un sistema difensivo
contro le scorrerie dei Turchi e dei pirati, visitò il tratto di spiaggia fra
il vallone di Bellapietra e la foce del Verdura e segnò sulla carta un pun-
to: Macauda.
In quelle vic inanze, a ponente sopratutto, la spiaggia era tanto alta
da coprire due brigantini ed i temuti nemici, favoriti dalla natura dei
luoghi, potevano scendere a terra improvvisamente non visti, come di
fatto avveniva, per depredare e saccheggiare.
Fu così costruita sul ciglio dell 'altopiano di Macauda, nella parte

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più protesa verso il mare, una torre di guardia, ancora esistente in istato
di rovina.

Essa, per la sua altezza, consentiva collegamenti a vista con le altre


torri vicine, erette lungo la costa; in particolare a ponente con la torre
del Castello Nuovo di Sciacca ed a settentrione con quella del castello
di Poggio Diana. Ed il collegamento, attuato con emissione di fumo denso
durante il giorno e con fuochi durante la notte, si rivelava efficace perchè
rendeva relativamente possibile la tempestiva segnalazione dell 'avvici-
narsi dei pirati e dei Turchi - prima sempre tardiva perchè fatta a mezzo

del suono delle bucine - alla gente della costa, a quella dell 'alto Verdu ra
sino al castello di Acristia, in territorio di Burgio, e consentiva l'unica via
di scampo, che lo stesso grande ammiraglio della Sicilia (costretto com 'era
dall 'assoluta inferiorità delle galee a sua disposizione a limitare la difesa
a Palermo, Milazzo, Messina, Trapani) suggeriva :. allontanarsi in tempo.

Le migliorate condizioni della sicurezza favorirono l'afflusso al Ver-


dura di altri lavoratori.

Il 9 giugno 1627 ricevette l'investitura della sua signoria Luigi Gu-


glielmo Moncada, principe di Paternò , conte di Caltabellotta.

Era uomo di larghe vedute ed amante della giustizia.

Presidente del regno di Sicilia, nel 1635 abbellì Palermo costruendo


la porta Montalto, ultimando la porta Felice, erigendo la fontana della
Fiera Vecchia.

Successivamente fu anche vicerè prima di Sardegna e poi di Valenza.

Resosi conto che le terre del Verdura erano divenute uno dei più

importanti centri di produzione del riso , elevò a comune il piccolo gruppo


di casupole del piano di S. Nicola, decise di farne un centro importante e

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diede incarico al suo architetto in Palermo di redigere un piano regolatore,
con vie larghe, diritte, ben tagliate.
Scelse per il nuovo comune un nome spagnolo: Ribera.
Il significato della parola (riviera) fece pensare alla posizione topo-
grafica del Comune ma in realtà Ribera veniva a trovarsi in
posizione alquanto distante dai due fiumi Verdura e Magazzolo,
arretrata rispetto al mare e la denominazione non fu ritenuta
in un primo tempo felice. Ribera! La vera spiegazione venne l'anno suc-
cessivo con la celebrazione del matrimonio di Luigi Guglielmo Moncada
con Maria Afan de Ribera.
La sposa portava lo stesso nome del nuovo Comune ed apparve allora
chiaro che Luigi Guglielmo Moncada, nella scelta, non aveva avuto
altra guida che il sentimento ed altro fine che di rendere onore
alla donna amata.

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Chiesa Mad re
II

PRIME CHIESE

/I nuovo Comune nasceva nella posizione approssimativamente iden-


tificata dagli storici con quella che nei tempi più antichi fu sede di Allava,
piccolo centro abitato, del quale non rimane traccia, ed in tempi più vicini
denominata dal feudo, "S. Nicola» o "Pozzillo».
Nel 1640 produceva prevalentemente riso ed aveva una ' popolazione
di 200 anime; però continuava il trasferimento dal monte al piano, fatto
che finì per suscitare in Caltabellotta motivi di malcontento.
Come contea Caltabellotta era tassata nelle sue prestazioni e nei suoi
servizi in propo"rzione della popolazione ufficialmente riconosciuta di otto-
mila anime; -ma quante erano le anime in realtà?
Certo è che s'era visibile nella vallata del Verdura il progresso delle
risaie, in Caltabellotta l'unico progresso accertato era quello del debito
verso il fisco per gabelle non pagate ed il mancato pagamento era dovuto
al continuo spopolamento.
Un reclamo fu presentato il 23 giugno 1647 e, al suono della campana,
fu riunito il pubblico consiglio nel salone del convento del Carmine, sede
delle adunanze.
Luigi Guglielmo Moncada, animato da spirito conciliativo, propose lo

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sgravio della gabella della farina e l'imposizione di tasse meno onerose ma
:l'arciprete don Giuseppe Giandalia, interprete del parere del popolo,
dichiarò con molto rispetto che per obbedienza non si chiedeva alcun
mutamento di gabella ed insistette con pari fermezza per una nuova nu-
merazione di anime e di beni , precisando che la popolazione della contea
non arrivava a 3.500 anime.
Sul momento nessuna decisione fu presa e tutto si concluse con la
redazione di un verbale; però due anni dopo, con soddisfazione dei recla-
manti, alla deputazione delle nuove gabelle del comune di Palermo furono
assegnate sul comune di Caltabellotta onze 201, 10, 7. La popolazione del
Comune, sulla base dell'ultimo censimento, era risultata di 3.380 anime.
AI contrario, nel comune di Ribera in un decennio (1640-1650) la po-
polazione era già più che raddoppiata (496 anime) ed ormai s'imponevano
importanti problemi.
Il 18 ottobre 1653 vi fu in visita don Ferdinando Sanchez di Guellar,
vescovo di Girgenti.
Ribera non aveva ancora una chiesa ed il locale apprestato dal si-
gnore delle terre, costituito da un magazzino nella piana dell 'ex feudo
S. Ni co la, non presentava altro che un confessionale senza gradetta, un
sacrari o senza chiudenda, una porta d'ingresso a ponente cadente, e fuori
uso era anche la campana, attaccata alla torricella destinata a campanile,
perchè rotta.
Il vescovo Sanchez riconobbe l'urgente necessità di assicurare alla
popolazione riberese i conforti della fede e, mentre era ancora in giro per
la visita ai comuni della diocesi, da Caltabellotta il 27 novembre successivo
ordinò per Ribera: tre casule, rispettivamente di colore bianco, rosa
e verde ; un palio d'altare bianco; un altare con tabernacolo per la

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a

"

Chiesa Maria SS. del Rosario con annesso Istituto delle Suore Missionarie
del Cuore Immacolato di Maria
custodia del SS. Sacramento; un fonte battesimale di pietra forte; la «chiu-
denda» al Sacrario.
Dispose altresì: il rifacimento della campana, la gradetta per il con-
fessionale, le riparazioni alla porta d'ingresso della chiesa e «tutto da
eseguirsi senza replica alcuna e sotto pena dell 'interdetto» nel termine
di tre mesi, ad eccezione delle riparazioni alla porta, per le quali as-
segnò un termine più breve: quindici giorni. Di fatto però fonte battesimale
e campana al 19 marzo 1655 non erano ancora pronti e fu concessa
una proroga.
Appena ultimati i lavori, la ch iesetta, che risultò dalla trasformazione
del magazzino, ebbe, da quello del feudo, il nome di S. Nicolò, scelto a
protettore del Comune.
Finalmente i riberesi non avevano più bisogno di recarsi - come
sino a quel momento erano stati costretti a fare - a Calamonaci per san-
tificare le feste ed amministrare i battesimi.
Il primo battesimo fu annotato nel registro appositamente istituito e
che si conserva presso la Chiesa Madre, come segue: «Milleseicento-
cinquantasei, il ventitrè ottobre Anno del Signore.
lo don Calogero Rizzuto curato ho battezzato l'infante nato dai co-
niugi Pellegrino e Caterina Scilabra, a cui ho imposto il nome di Simone.
Padrini: Leonardo Galassi e Margherita Zuppardo».
Seguirono nel novembre altri due battesimi, quattro nel dicembre;
30 complessivamente nel 1657 per arrivare - indice sicuro dell'aumento
costante della popolazione - a 59 nel 1663.
Ora le case - in verità si trattava di fabbricati terrani, poveri e disa-
dorni - s'allineavano prospettando su un largo spiazzo, che diveniva poi
sede d'una ch iesetta denominata «S. Antonino" .

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Però quello di S. Antonino, che nasceva primo d'ogni altro , non era che
un quartiere periferico; le sue vi~ infatti, come disposto dal piano regolatore,
sboccavano, ben squadrate, piane, diritte, in un'arteria (via Roma) che per
le sue proporzioni fu provvisoriamente denominata «via larga», prose-
guivano sino ad incontrare altra arteria ancora più ampia (Corso Umberto)
che, fu detta «piazza» e s'allungavano oltre, incrociando con altre vie.
Proprio con prospetto sulla «piazza» fu eretta altra chiesa.
" 28 ottobre 1667 vi furono trasportati il Sacramento ed il fonte bat-
tesimale ed il 30 dello stesso mese, in occasione della festa della Madon-
na del Rosario, la chiesa fu aperta a tutte le solite funzioni sacre.
Sul suo altare maggiore era collocato un quadro antico - ora nella
Chiesa Madre - raffigurante S. Nicolò da Bari a destra, l'eremita S.
Pellegrino protettore di Caltabellotta a sinistra, e l'Immacolata Vergine
in alto, al centro.
Anch'essa nei primi anni ebbe il nome di « chiesa di S. Nicola»
poi, nel 1675, assunse quello di «chiesa del Rosario e di S. Nicolò».
Moriva intanto - grande di Spagna - insignito del Toson d'Oro,
generale di cavalleria, primo cameriere del re e cardinale di S. Chiesa
- Luigi Guglielmo Moncada ed il 24 aprile 1673 riceveva l'investitura
delle terre il figlio Ferdinando di Aragona Moncada, avuto in
seconde nozze da Caterina Moncada e di Castro, figlia del marchese
di Aitona.
" nuovo signore trovò che il comune di Ribera era in mezzo alle
terre di Caltabellotta, perchè mancava di territorio proprio, ma s'astenne
da qualsiasi provvedimento.
E così quelli del comune di Ribera, senza territorio, senza ammini -
strazione e senza magistrato comunale - che nei paesi feudali dipen-

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Chiesa parrocchiale Maria 55. Immacolata
deva completamente dal signore delle terre - continuarono per le loro
prestazioni militari e gli affari amministrativi e giudiziari, i loro rapporti
con Caltabellotta, in quel tempo sede d'amministrazione del territorio
posto tra il Verdura ed il Platani.
Ciò nonostante, continuarono ancora i trasferimenti di famiglie, anche
dai comuni vicini, a Ribera. Appartenevano alle classi sociali più diverse:
dalla famiglia di agiati agricoltori Genova che, lasciata Caltabellotta, fis-
sava la dimora nelle immediate vicinanze della chiesa del Rosario e di
S. Nicolò e dava il nome al cortile attiguo in origine di sua proprietà, a
quella del barone Turano di Campello che, venuta da Burgio, costruiva
abitazione e magazzini nel corso Minore, ora corso Margherita; dalle
famiglie Navarro e Pasciuta a quella di operai, artigiani e contadini.
Certo è che nel 1750 Ribera già contava 3.719 anime e l'eccezionale
aumento della popolazione aveva portato il suo abitato a tramontana sino
alla larga e diritta via denominata «Fiera», la seconda arteria per impor-
tanza del comune, ed a levante oltre l'odierna sede di Pretura
Le vie risuonavano del lavoro continuo di costruzione di nuove case;
dalle cave a monte scendevano senza sosta i carichi di tufo arenario.
Con pari rapidità avveniva l'organizzazione della vita religiosa. Risal-
gono a quel tempo: la chiesetta di S. Pellegri no, primo vescovo della vicina
Triocola verso l'anno 70 di Cristo, e da essa ebbe poi nome l'intero quar-
tiere; la chiesetta di S. Anna, nella sede attuale della Pretura; la nuova
,
chiesa del Rosario, confinante con quella pi ù modesta aperta al culto nel
1667, in unica navata, con pregevole disegno architettonico ed altare
maggiore imponente, con colonne, sul quale è ora collocato un simulacro
della Madonna del Rosario fra le figure di S. Domenico e di Santa Cate-
rina da Siena in ginocchio.

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Per disposizione del barone Turano, due lampade ardevano in devo-
zione perpetua ed una balaustra in ferro battuto, opera di Domenico Fa-
sulo, era posta davanti all'altare.
Decorava una parete della nuova chiesa del Rosario un grande quadro
a pennello sopra tela, con l'effige dei santi Cosimo e Damiano, offerto
da Matteo Di Salvo.
Completava la chiesa un campanile con tre campane, costruito da
Vito Caramella, a spese del Turano.
Nello stesso tempo, abbellita con colonne doriche, servita da due
monaci stanziati nell 'attiguo piccolo eremitaggio, sempre isolata, alle porte
dell 'abitato, la chiesa, già S. Nicola, nella piana dell 'ex feudo omonimo,
prendeva il nome di Santo Eligio
Era questi il Santo protettore degli orafi e dei cesellatori ma i riberesi ,
per quel fascino che la leggenda ha sempre esercitato, lo veneravano
soprattutto quale protettore miracoloso degli animali. E così , se un mulo
o un cavallo si ammalava, non mancava il proprietario di condurlo nei
pressi della chiesa e di fargli compiere, secondo la consuetudine, tre giri
attorno al fabbricato , per ottenere la grazia della guarigione.
Però fu nel 1750 che Ribera visse i momenti del più vivo fervore rel i-
gioso.
Ne diede l'ini zi o il canonico Paolo Bartolotta, co rleonese, che ripetu-
tamente, con parola ispirata, espose la necessità d'una chiesa madre mo-
numentale, a tre navate, ed invitò la popolazione a cooperare.
L'arc ip rete Stefano Bona, riberese, succeduto al primo arciprete
Vi ncenzo Scarp inato da Caltabellotta, mise a disposizione l'intero suo pa-
trimonio .
Il Duca di Bivona, fra l'altro, concesse il terreno occorrente per la

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--
Chiesa parrocchiale di S. Teresa del Bambino Gesù
chiesa e quello antistante per uso cimitero, come allora si praticava,
riservandosi il diritto di patronato perpetuo e cioè di proporre per l'arcipre-
tura tre candidati degni, con facoltà del vescovo di Girgenti, in caso di
provata indegnità, d'altra scelta.
Il 21 marzo 1751, sotto gli auspici di Lorenzo Gioeni, vescovo di
Girgenti, fu collocata la prima pietra.
Fra le acclamazioni del popo lo si presentarono uomini e donne con
offerte d'oro, argento e pietre prez iose e, sull 'esempio della baronessa
Turano, delle pie signore Pasciuta e Navarro e di altre, parteciparono al
lavoro trasportando acqua e pietre.
Il vicerè Viefuill , di passaggio , lasciò una sua personale sovvenzione
di sessanta onze.
Solo nel 1760 la chiesa, veramente monumentale per dimensioni e
linee architettoniche, nel suo stile rococò, potè dirsi compiuta.
Mancava il pavimento e provvedette a farlo eseguire a sue spese,
con mattoni di argilla cotta, il sacerdote Gaspare Gambisano; mancava
l'organo e l'arciprete Bona, dando fondo alle sue stremate risorse, ac-
quistò quello che arricchì sino a pochi anni addietro una parete dell 'abside
e poi fu rimosso perchè divenuto inservibile.
L'altare, magg iore fu ornato di un dipi nto ad olio, su tela, magistralmen-
te disegnato, con linee morbide, raffigurante la Madonna del Rosario dal
Provenzani.
L'opera, giudicata una grande composizione specialmente per le ca-
ratteristiche di chiaro-oscuro ed il trattamento dei capelli, ricorda il
Correggio.
Altri dipinti furono collocati sugli ultimi altari delle due navate late-
rali: uno, a destra, di ignoti, raffigurante S. Anna e S. Gioacchino,

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esiste tuttora; l'a!tro, nel primo ventennio del presente secolo, fu trasfor-
mato in sfondo panoramico per il gruppo del Crocifisso e dell'Addolorata
là posto.
Nel 1782, fondata da Stefano Navarro, con l'aiuto del popolo, era
. portata a termine ancora una chiesa - la seconda del comune per impor-
tanza - con una navata, stile rococò, stucchi dorati, prospetto sulla via
Larga, dedicata a Maria Immacolata e chiamata «chiesa del Purgatorio».
Un 'opera di grande pregio artistico di fra Felice da Sambuca (Gioac-
chino Viscosi , fecondo ed ammirato artista), raffigurante la Madonna tra le
anime Sante del Purgatorio, rimase fino al 1948 sull'altare maggiore e fu poi
collocata in una parete del presbiterio.
Nello stesso tempo venivano costituite nel Comune le confraternità
del Rosario, di S. Eligio , del Crocifisso e, nel 1814, a cura di Sebastiano
Salerno, Melchiorre Cardillo ed altri confrati, attiguo alla chiesa Madre,
pure in bello stile architettonico, dotato di piccole rendite, sorgeva il "San-
tissimo Oratorio». Era arciprete (il terzo di Ribera) Santo Samaritano da
Sciacca, dottissimo in teologia.

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Casa Comunale
III

COMUNE FEUDALE

Ad Antonio Alvarez de Toledo, duca di Bivona, erede universale del


padre Federico Toledo Aragona Moncada Luna, investito il 1° maggio 1764
della signoria delle terre, si devono l'assetto definitivo dell'organizzazione
civile del Comune e, nonostante la viva opposizione di Caltabellotta, l'as-
segnazione di un territorio proprio che risultò costituito da tutti i feudi
compresi fra il Verdura ed il Magazzolo, il mare e l'agro di Calamonac i
(Strasatto - Camemi Sovrano - Camemi Inferiore - Corvo - Castellana
- Gulfa Panetteria - Gulfa Giummarrella).
Però la perdita di Caltabellotta non si limitò a quella parte di terri-
torio. Per disposizione del duca di Bivona anche l'amministrazione di
tutte le terre fu trasferita a Ribera e nelle vicinanze della chiesa di ~.

Eligio venne costruito un fabbricato, ora casa Ciccarelli , che, dotato a


pian terreno da ampi magazzini, cortile, villetta, giardino , ingresso monu-
mentale e, a primo piano, da saloni ampi e stanze signorili, diede al Comu-
ne il suggello di nobiltà del suo signore.
Anche Ribera, come gli altri comuni feudali , ebbe riconosciuto il dirit-
to che i trattatisti proclamavano imprescindibile, inalienabile, tale che
nessuno potere umano poteva abolire - quello dell'esistenza - perchè

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il duca di Bivona lasciò agli abitanti il libero uso di alcune terre per il
pascolo, la raccolta di legna e l'estrazione della pietra da gesso e da
costruzione (usi civici).
Da inchiesta eseguita in Ribera nel 1947 fu accertato che, a monte,
una modesta, sterile estensione di terreno (in buona parte costituita dalle
antiche cave di tufo arenario in abbandono per esaurimento) era lasciata
- e lo è tuttora - per libero pascolo e, sulla base della demanial ità
delle terre intorno all'abitato, risultò che non poche case dei quartieri,
pure a monte, erano state costruite su terreno originariamente destinato
a pubblico uso; risultanze queste che autorizzano a ritenere che le terre
destinate per usi civici, avevano un'estensione, piuttosto ampia, che com-
prendeva - escluso il tratto fra la casa ducale e la chiesetta di S. Eligio
- tutti i dintorni dell'abitato e precisamente: i terreni confinanti con la
via Fiera a monte; le cave di tufo arenario; l'attuale sede del cimitero ed
il serbatoio comunale d'acqua potabile; le acque di S. Rosalia e del
Canale ; l'acqua Amara; le terre poi divenute di proprietà della Congrega-
zione di carità (successivamente recinti Bonifacio e Velia scomparsi;
recinto La Bella; terre della Conceria).
Gravava però allora sulla popOlazione, quale potere del signore, l'im-
posizione dei termini del contratto feudale con i diritti angarici e privativi
nonchè con gli altri oneri derivanti dalla feudalità: obbligo di corrispon-
dere al signore testatico, fumo, galline, vettura; trasportare i suoi generi;
dargli la preferenza nella vendita dei prodotti; eseguire le opere perso-
nali e le prestazioni militari e servili ; non molire in altri trappeti o molini
fuorchè di quelli del signore; non cuocere pane se non nei forni dello
stesso; non alloggiare altrove che nei di lui fondaci ed osterie; non ven-
dere commestibili e potabili in altro luogo che nella taverna del signore.

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Castello Poggio Diana
Tuttora in disuso esistono sul Verdura i molini ad acqua per la moli-
tura del grano, fatti costruire dal duca di Bivona, nei primi del 1800, sotto
la direzione del tecnico Angelo Abisso, da lui 'inviato dalla Spagna.
Inoltre, come gli altri feudatari, il duca di Bivona era investito della
potestà di: amministrare giustizia, dimostrata, secondo la consuetud ine,
con forche erette nel territorio; dar leggi alle proprie genti, in forza del
principio, prevalso per qualche tempo, che il re non poteva imporre leggi
sulle terre del feudatario, se questi non vi consentiva ; rinchiudere nelle
prigioni sotterranee (segrete).
Ed ancora aveva il diritto di eleggere il sindaco ed i giurati, d'ingeri rsi
nell 'udienza del municipio, di aver resi i conti della comunità,
Dalle amministrazioni locali del tempo, sia dei Moncada che dei
Toledo, non furono in verità commessi gravi abusi ; però le condizioni di
vita della popolazione riberese si presentavano , per sè stesse, sempre
cosi misere per quanto furono accolte con manifestazioni di gioia e di
entusiasmo le riforme dirette a limitare i diritti dei signori e ad impedirne
le angherie, adottate in Sicllia dal vicerè Caracciolo il 17 gennaio 1786
e con entusiasmo ancor maggiore fu salutata la costituzione approvata,
con riserva del placet regio , il 10 agosto 1812, dal principe ereditario
Francesco Borbone, sotto la spinta degli eventi storici in Sicilia, succes-
sivi alla rivoluzione francese ed alle guerre napoleoniche.
Finalmente arrivava l'alba della resurrezione: abolizione della feudalità,
fine dei patti angarici, privativi e degli altri oneri, reluizione, previo inden-
nizzo in favore del proprietario del cinque per cento sul fruttato e della
gabella ; finalmente veniva garentita la libertà personale, assicurato il go-
dimento dei beni. ..
Ad alimentare ancora più le speranze, già rosee, della popolazione ri-

- 25-
berese, concorsero in quegli anni: la scelta di Ribera a monte agrario; la
assegnazione del Comune al costituito distretto di Bivona per la nomina
d'un rappresentante al parlamento; la costituzione del decurionato (consi a
glio comunale) con sindaco; l'istituzione, con altre sei, della provincia di
Girgenti, della quale Ribera veniva a far parte.

Grande e generale fu in Ribera la delusione quando, dopo ritrattazioni


ed ostacoli, che in realtà resero inefficaci l'antica e la nuova costituzione,
si constatò che la proclamata abolizione del feudalismo si concludeva sol-
tanto nel senso che i diritti, che prima si esercitavano sopra i terzi in forza

della investitura, non erano più riconosciuti , pur bastando questo fatto a
porre Ribera, come ogni altro comune feudale, nelle stesse condizioni delle
città demaniale; ed ancora più grande la delusione si manifestò quando,

affermatasi la reazione, tutta la Sicilia divenne una provincia di Napoli, sen-


za costituzione nè parlamento.

Ne seguì che nel 1820, con i primi moti rivoluzionari, il malcontento


popolare esplose ; fu incendiato l'archivio notarile, profondamente turbata

la tranquillità del paese e non si verificarono eccessi sanguinosi sol per

l'intervento della milizia urbana.

Tuttavia il Comune apparve in quell 'anno ugu almente, per la pri ma

volta, alla ribalta della sto ria.

Per nulla impressionata dallo spirito ultra conservatore, che dal 1815
animava il governo, all'invito della Giunta provvisoria di Palermo , Ribera,

come tanti altri comuni , pronunziò il voto per l'indipendenza dell'Isola,


senza alterazione della legge della successione al trono e senza rottura

dei rapporti politici che di pendevano dal l' unicità del monarca: voto che in
realtà rendeva man ifesto il desiderio, destinato a rimanere vano, di vedere

- 26-
risorgere il regno di Sicilia, con la costituzione del 1812 e con l'altra costi-
tuzione.
Era quello il tempo in cui la società segreta dei Carbonari contava
più di un milione di aggregati, opera sua in quell'anno era stata la rivolu-
zione di Napoli e non mancò re Ferdinando, appena gli fu possibile, dal
perseguitare nemici tanto pericolosi alla sicurezza del Regno nè rispar-
miò mezzi, processi e condanne. Agenti regi, sotto i più svariati travesti-
menti, vennero anche a Ribera e, facendosi forti di un decreto di falsa
amnistia, con lusinghe, promesse e minacce, tentarono di conoscere se
nel Comune c'erano affiliati alla Carboneria ma ogni loro sforzo riuscì
vano di fronte al muro di silenzio ermetico incontrato.
La popolazione del Comune ammontava, al tempo del voto, a 4.976
abitanti contro i 4.780 di Caltabellotta, contava tre dottori in legge (Gioac-
chino Sortino, Antonio Russo e Calogero Samaritano) e un notaio (Pasquale
Leotta).

- 27-
IV

VINCENZO NAV ARRO

Fece ritorno in quegli anni alla natia Ribera, t!opo conseguita la


laurea in medicina a Palermo, Vincenzo Navarro e con lui il Comune ebbe
i primi impulsi della vita intellettuale.

Nato il 28 giugno 1800 dai coniugi Emanuele Navarro e Domenica


Turano, agiati possidenti, costretto nella infanzia, perchè malarico, a
prolungati soggiorni a Burgio, Caltabellotta e Sciacca, aveva studiato a Gir-
genti retorica con E. Lo Presti, facendosi conoscere per la memoria ferrea

e l'ingegno vivido come «l'astro della scuola», ed a Palermo metafisica,


presso il Collegio Massimo, scienze fisiche e speculative.

Due volumetti di poesie, da lui pubblicati appena ventenne, erano stati

accolti con sì vivo fervore dal pubblico e dalla critica da farlo chiamare
dal giornale l'Ape «la sicula sirena».

Di bello aspetto, buono di animo, di sentimenti generosi e patriottici,

egli fu accolto in Ribera con entusiasmo.

Ben presto guarigioni, ritenute sorprendenti, gli assicurarono larga

clientela anche fra i comuni vicini e di lui si disse che «l'alloro medico

cingevagli la fronte assieme alla fronda delle Muse».

- 29-
Però non doveva tardare a manifestarsi, da parte di taluni, una sorda r
ostilità. ~

Qualcuno lo trovò affetto di tipomania ed egli ribattè: «Ne convengo,


lietissimo che non è bricconomania »; qualche altro osservò che non si
poteva nello stesso tempo essere buon medico e buon poeta; qualche
altro ancora manifestò dubbi sulle sue facoltà mentali.

Vincenzo Navarro trovò dura la inaspettata prova ma suo era il detto :


«l'uomo saggio e forte è un monte che non crolla». Poi il persistere della
lotta bassa e meschina orientò la sua mente verso pensieri amari ed egli
constatò che per l'individuo invidioso tutto è tormento, i mali propri e i beni
altrui, e d'altra parte che l'ignorante non può amare la causa del sapiente.

Del resto come avere fiducia nel giudizio degli uomini?

Ora la vita dell'uomo gli appariva un dramma tragico e comico o tra-


gicomico e buffo, nel quale ognuno recita la parte propria, trista o buona,
corta o lunga.

«Cambiano gli attori, diceva, ma la scena è sempre la stessa» . E nella


scena del mondo così vedeva la parte assegnatagli: «La virtù è premio a
sè stessa, la vera gloria consiste nell'essere utile e, come il medico,' con
le sue opere, così anche il letterato ed il poeta giovano agli altri. I buoni
comprenderanno e mi verranno in aiuto.

Restino sempre puri il cuore e la mente come il raggio del sole e can-
didi come la neve».

Ciò nonostante, improvvisamente tutto precipitò ed appena un anno


dopo, per il sorgere di opposizioni, così si disse, a certe sue aspirazioni sen-

timentali, lasciò per qualche tempo Ribera. «La stella riverberante, scrisse
Marco Imbornone, nelle acque dell'lsburo impallidì nel suo nascere e in

- 30-
meno che si dica il Navarro fu fatto bersaglio di altre angosce che non furo-
no il male aere, da cui era stato travagliato fanciullo».
Delusioni, amarezze, dolori! A Sciacca, spinto dagli amici Saverio Fri-
scia Tommasi, Bartolomeo Tommasi Amato, Gaspare Palermo, Francesco
La Marca, Francesco Tagliavia, compose in pochi giorni, di malavoglia la
tragedia «Giacomo Perollo»; dopo un anno, a Ribera, per invito dello edi-
tore palermitano De Luca, in nove giorni, altra tragedia «La Pazza di Brian-
zone» ma i due lavori riuscirono affrettati e stentati, privi di forza creativa
e di ispirazione.
Il primo a riconoscerlo fu lo stesso Navarro, che così si giustificò: che
dire delle slle tragediucce scritte Dio sa come, attraverso le mille e mille
cure professionali e private che travagliavano la sua vita? E che
tragedie potevano attendere gli altri da lu i? Però, nei momenti di abban-
dono, parlando con gli intimi, confessava : «Sono in letargo».
Nel febbraio 1832 lesse il «Giovanni Procida» di Giambattista Nico-
lini, ne restò commosso e, preso da patriottico zelo, decise di comporre
anche lui il suo Procida. Era un cimento arduo, dopo il successo avuto
dal Nicolini. Tuttavia in pochi giorni stese ugualmente il primo, il secondo
il terzo atto con una smania da febbricitante; ritornò nell'aprile al lavoro
e lo portò a compimento. Amici e letterati lo lodarono, sollecitarono anche
su giornali la pubblicazione dell 'opera ma egli lasciò lungamente il mano-
scritto nel cassetto e, a chi lo rimproverava, diceva come prima: «Sono in
letargo».
E così sino al 1833, anno in cui recatosi a Sambuca per ragioni profes-
sionali, vi sposava una Amodei, bella, virtuosa, intelligente, di ragguardevole
famiglia. Finalmente tornava a brillare il sole nella vita di Navarro ed egli
ritenne giunto i! momento di divulgare, con le sue famose composizioni gio-

- 31
vanili «Primi idilli di caccia» ed «I Sepolcri della Villa Giulia», anche il
«Giovanni Procida» che, sebbene preceduto - oltre che dall'opera del
Nicolini da altra più recente di Antonio Galatti - incontrò pieni, incondi-
zionati consensi della critica sino a punto da far dire che «l'atto terzo avreb-
be fatto far di berretto all'Alfieri».
Consacrato alla fama, tornò a Ribera per rimanervi.
I giovani lo avvicinarono solleciti, desiderosi d'essere suoi allievi, -ed
egli ricordò sempre con affetto Vincenzo Colletti, in seguito divenuto giu-
reconsulto; Emanuele Pasciuta, Serafino Cuti no e Francesco Colletti, poi
dottori in giurisprudenza, i quali, sul suo esempio, coltivarono anche la
poesia ; Domenico Colletti e Giuseppe Navarro, poi dottore in medicina il
primo, dottore in filosofia l'altro.
Particolarmente caro ebbe un giovane, suo allievo occasionale durante
le vacanze estive. Era nato - come dall'atto della parrocchia di Ribera -
il 4 ottobre 1818, nell'ora ventesima circa, dai coniugi Tommaso Crispi e
Giuseppa Genova e, secondo il rito della Chiesa Orientale, battezzato, con
licenza del parroco, il 6 dello stesso ottobre dal sacerdote di rito greco
Francesco Alessi della Reale Commenda di Palazzo Adriano: padrini Bal-
dassare Castelli e Maria Anna Gatto.
Gli era stato imposto il nome di Francesco e quel nome era destinato
a passare alla Storia.
Navarro lo prediligeva per «l 'alto ingegno, la bella alma ed il cuore
mite» ed a lui - ' più tardi - dedicò un poemetto, nel quale sono ricordate
le ore trascorse insieme:
«Tu giovanetto, al fianco mio / andavi a coglier del saper la palma;
/ volto sempre il pensier all'uomo e a Dio».
In realtà però Francesco Crispi in quel tempo, oltre che alle cose uma-

32 -
ne divine, rivolgeva innamoratissimo il pensiero anche alla giovane palermi-
tana Rosina D'Angelo, che poi sposò, e, quando nel 1837 arrivò a Ribera la
notizia che il colera infuriava a Palermo, partì dando a Navarro allibito
motivo per la composizione della novella romantica: Cecco e Roslna.
«Di campana nè un tocco si ascolta, / nè stridor di febbrile strumento;
/ tutto tace ; sospiri lamento / manda sol chi langue e chi muor;
/ ogni gioia in dolor si è volta / La città divenuta è una tomba;
/ morte orrenda sui miseri piomba ... / Sol Cecco non tema. Insensato
/ per amor che vince la morte / di Palermo sen vola alle porte,
/ la diletta Rosina a trovar ...».
Navarro visse giorni di ansia ed invano aspettò notizie dell'allievo pre-
diletto.
Arrivò invece anche a Ribera il colera, ed il Poeta, purtroppo ben pre-
sto duramente colpito con la morte di una figlioletta, finì col fare ritorno
a Sambuca.

- 33-
Villa Comunale
V

UNITA' COMUNALE

Nel 1841 il comune di Ribera produsse cinquemila quintali di riso e


fu classificato il primo centro di produzione di riso dell'Isola.
Era un primato non invidiabile perchè - contrariamente all 'assicura-
zione data dai medici che la dilatazione dei miasmi non oltrepassava il rag-
gio di tre miglia - stava la realtà allarmante dell'entità dei danni cagionati
dalla malaria alla salute della popolazione: danni che facevano proporre
a Vincenzo Navarro, anche dopo il suo trasferimento a Sambuca, la sop-
pressione delle risaie.
Ciò nonostante e nonostante le perdite arrecate dal colera, l'abbon-
danza del lavoro favoriva i matrimoni , le nascite colmavano i vuoti lasciati
dai decessi e la popolazione arrivava sempre a 5.000 anime.
Il 29 settembre di quell'anno, con regio decreto, il Comune fu elevato
a pretura di terza classe.
Lo sviluppo era notevole. L'abolizione del feudalismo e il relativo pro-
tezionismo borbonico contro la concorrenza favorivano il passaggio della
proprietà privata in mano dei borghesi, i quali spesso acquistavano gli
stessi terreni che prima avevano tenuto in affitto , ed i risultati vennero
ben presto. Sempre in quell 'anno il territorio produsse - oltre il riso -

- 35-
seimila salme di grano, novemila d'orzo, mille di fave, trecento di legumi,
venti quintali di mandorle, mille di olio, sei di cera, quattro di miele, tre-
mila botti di vino.
D'altra parte il Comune rivelava ormai la sua unità non soltanto con
l'aggregato delle persone ma anche con la istituzione di particolari consue-
tudini.
Così , per rendere più solenne la festa di S. Giuseppe, si praticò di
farla precedere dall'ingresso nel paese e giro per le vie di un
centinaio d'uomini, in duplice fila, a cavallo, con accompagna-
mento di tamburi e musica. Ogni uomo reggeva in mano un
ramo d'alloro raccolto sulle rive del fiume Magazzolo, nei pres-
si di Bivona, ornato con nastri di seta di vario colore; ordinatamente tene-
va il proprio posto nella fila, e faceva da seguito al governatore ed agl i
assistenti della festa, riconoscibili dalle insegne che portavano al petto.
AI termine dello sfilamento l'alloro veniva deposto davanti alla casa
del governatore della festa per essere poi impiegato nel rivestimento d'una
torre di legno costruita per l'occasione, alta sino oltre il tetto delle case a
...
primo piano, arricchita nell 'interno da altare con simulacro del Santo, ed
all 'esterno, alla vigilia della festa, letteralmente rivestita di pani destinati ai
poveri. La torre (straula). trainata per la sua pesantezza da due buoi, se-
guiva la processione, come avviene tuttora, ma con una torre molto ridotta
di proporzioni, trainata da un asinello.
Musica, scampanio, rullo di tamburi e sparo di petardi, prima ancora
dell 'alba, annunziavano il giorno della festa e, nelle ore del mattino, si met-
tevano in giro cortei raffiguranti S. Giuseppe, Maria col Bambino ed i tre-
dici Apostoli, i quali, dopo avere chiesto invano ospitalità presso i vari
fondaci del paese, finivano nella casa della persona che - per grazia rice-

- 36-
vuta dal Santo - li aveva predisposti e là trovavano accoglienza affettuosa,
pasto abbondante e doni.
,
Localmente S. Giuseppe era chiamato il «Santo dei poveri» ed in realtà
dalla festa i poveri traevano larghi benefici.
La stessa festa, in modo alquanto ridotto ma sempre solenne, veniva di
nuovo celebrata ogni anno nella domenica successiva a quella di Pasqua;
scomparve nel 1913.
Anche la festa di Pasqua ben presto presentò modalità particolari che
durano ancora. Così, come nel passato, dopo la celebrazione della messa
di mezzogiorno, tutta la popolazione si riversa nell'ampio e diritto corso
Maggiore. Chi può prende posto nei balconi e nelle terrazze ; qualcuno, ap-
poggiata una scala di legno portatile ad un muro, si siede su uno dei gradini
più alti; qua lche altro sale su una sedia portata con sè. Tutti restano in at-
tesa.

Ad un certo momento un'ondata di ragazzi, aprendosi un varco tra la


folla, scende di corsa lungo il corso Maggiore, gridando allegramente: «Lar-
... , go, largo»!

E' questo il preannunzio dell'incontro fra Gesù risorto e la Madonna.


Preceduto da gonfaloni portati da giovani, compare a monte del corso
Maggiore l'arcangelo S. Michele, splendente nell'elmo e nella corazza do-
rati, spada sguainata in alto nella mano destra, gagliardetto rosso nella
sinistra.
A distanza, al suono di marce festose, su un fercolo infiorato ed ornato
di grappoli di fave fresche, viene il Salvatore, con labaro color porpora nella
mano destra, in atto di bened ire con la sinistra.
Nello stesso tempo dalla parte opposta del corso Maggiore, dalla chiesa
del Rosario, esce e sosta davanti alla stessa la Madonna avvolta in un velo

- 37-
nero, mentre la musica al suo seguito intona una marcia funebre.
Ora parte della popolazione, ammassata nel corso, intervenendo diret-
tamente. partecipa alla cerimonia.
Ondate di giovani si succedono scendendo lungo il corso al grido:
(~ Largo, largo»; si apre fra la folla stabilmente il varco; passano correndo
i giovani e i gonfaloni, e, quanto è giunto all'altezza del corso Minore, anche
l'arcangelo S. Michele, come per rendere manifesta la esultanza suprema,
viene portato di corsa sino ai piedi della Madonna, alla quale fa tre inchini.
Si ricostituiscono le ondate che risalgono sempre di corsa, insieme con
i gonfaloni, il corso Maggiore e si sciolgono ai piedi del simulacro del Sal-
vatore, fermo all'incrocio del corso Maggiore col corso Minore.
Anche l'arcangelo risale il corso Maggiore, questa volta a passo di
danza, preceduto da giovani e da qualche vecchio, che regolano, con salti
di gioia, sul suo il loro movimento , gridando: «Viva S. Michele» .
Poco dopo si muove la Madonna, col suo corteo di giovani e di
vecchi , sempre avvolta nel velo nero, al suono della marcia funebre, mentre
a distanza echeggiano le note festose della musica al seguito del Salvatore .
Di colpo uno scampanio allegro parte dalla Chiesa Madre sovrapponen-
dosi alle note tristi della marcia funebre; nuove note festose escono dalle
trombe, cade il velo nero dal capo della Madonna e la Madonna, con un
serico manto stellato, ornata di fiori, fra le grida di giubilo e gli applausi
della folla , lo sparo dei mortaretti , lo scampanio assordante proveniente da
tutte le chiese ed i salti di gioia di quelli del corteo, a suon di musica, viene
di corsa portata al cospetto del Figlio risorto.
L'unità comunale si manifestava altresì nei bisogni e negli interessi
di carattere generale. Il volume degli affari e le esigenze delle attività
lavorative facevano avvertire la necessità d'una seconda fiera di mercanzie,

- 38-
attrezzi agricoli ed animali, in piena stagione autunnale (nonostante l'im-

, portanza e la durata di quella che aveva luogo nella stagione estiva


nei giorni 7 - 8 e 9 settembre in una con la festa della Madonna delle
Grazie) e s'istituiva così, in coincidenza della ricorrenza della commemo-
razione dei defunti, quella dell'1 e 2 novembre.
In particolare sempre più sentita era la necessità di vie di comunica-
zione con altri paesi, città e marine, ma sul riguardo i provvedimenti gover-
nativi non incoraggiavano speranza alcuna perchè, se anche c'era qualche
inizio di esecuzione di strade (Palermo - Girgenti; Palermo - Sciacca;
Palermo - Trapani; Palermo - Messina) , Ribera rimaneva tagliata fuori.
Nel 1842 una soluzione del vitale problema apparve possibile e, per
suggerimento di Tommaso Crispi, padre di Francesco Crispi, amministra-
tore ed affittuario del duca di Bivona, fu inviata dal sindaco del Comune,
con parere favorevole dei consigli distrettuale e provinciale, al Ministero
dell'Interno la richiesta ben motivata di costruzione d'un porto nella vicina
spiaggia di Seccagrande.
Nel gennaio del 1843 arrivò da Napoli il permesso ministeriale ed i
riberesi ne esultarono. Era tempo! Anche Ribera poteva avere una sua
via: quella sovrana del mare! Nell'ottobre dello stesso anno erano già
pronte la relazione redatta dall 'architetto Salvatore Gravanti da Sciacca
ed una pianta orografica , seguite da proposta del decurionato sui mezzi
necessari (imposizione di alcuni dazi sulle carni e sul pesce) per fronteg-
giare le spese occorrenti. Però, a questo punto, mentre Ribera attendeva
con comprensibile impazienza l'inizio dei lavori, tutto svanì come una bolla
di sapone ed il porto rimase soltanto nella relazione Gravanti; anzi nem-
meno in quella perchè il Ministero dell'Interno revocò il permesso già
concesso, adducendo disinvoltamente a pretesto la mancanza della rela-

- 39
zione. II risentimento fu generale nel Comune ma più d'ogni altro risentito
fu Tommaso Crispi, che dello scalo era stato l'ideatore.
, ""
L'unità comunale si manifestava ancora in esigenze sconosciute alle
generazioni precedenti.
Mentre nel passato le riunioni di persone avvenivano presso le fami-
glie, le nuove più elevate condizioni ambientali (il comune contava nella
sua popolazione tre dottori in legge: Vito Pasciuta, Emanuele Pasciuta,
Melchiorre Cutino; due notai : Pasquale Leotta e Giovanni Gatto; un medico :
Giuseppe Bruno, un dottore in chirurgia: Camillo Mandina) facevano sen-
tire il bisogno di avere, come in altri centri, una "casa di compagnia» o
" camera di conversazione» come allora si chiamavano i circoli.
A tal fine il barone Serafino Turano di Campello concesse gratuita-
mente, con tutti i diritti, due suoi vani terrani, siti nella "pubblica piazza»,
ed un finanziamento di 120 onze, fatto dallo stesso Turano, Filippo Pasciuta,
Francesco Pasciuta e Vincenzo Ciccone rese possibili l'acquisto di altro
vano di proprietà dei fratelli Giuseppe ed Antonio Guastella, l'abbattimento ,
la ricostruzione e l'arredamento dei locali.
" 31 marzo 1844 fu fondata da trenta soci - tutti professionisti e
possidenti, qualificati nell 'atto di fondazione gentiluomini - anche in
Ribera la " camera di conversazione».
La denominazione "Buoni Amici», data al circolo, metteva in tutta evi-
denza uno scopo puramente ricreativo ma sin dal momento della costi-
tuzione i fondatori tennero presente la possibilità della chiusura "per
ordine del governo» e predisposero, per tale eventualità, anche la moda-
lità della divisione dei beni che formavano il patrimonio del sodalizio.
Quale singolare e significativo timore! C'era già da credere che
soci, almeno in parte, nè si ritenevano sudditi fedeli di Sua Maestà borbo-

- 40-
nica nè pensavano di mantenere la destinazione del circolo nei limiti

· "
delle amichevoli conversazioni. Ed infatti i successivi eventi lo confer-
marono.
L'eco delle fucilate, tirate all'alba del 12 gennaio 1848 a Palermo dalla
Piazza della Fiera Vecchia e da Porta S. Antonino, non s'era spento
che a Ribera ad opera di Tommaso Crispi, Francesco Leotta, Francesco
Pasciuta e del barone Turano, tutti soci fondatori della camera di con-
versazione «Buoni Amici», circolava già lo storico proclama e si prov-
vedeva alla costituzione d'un comitato rivoluzionario provvisorio.

- 41-
VI

DAL 1848 AL 1860

Il comitato provvisorio risultò così costituito : Tommaso Crispi, pre-


sidente; Francesco Leotta, segretario; Vito Miceli, economo ; componenti :
barone Serafino Turano, notar Giovanni Leotta, Filippo Colletti , Matteo
Di Salvo, Luigi Abisso, sacerdote Pietro Pasciuta, Domenico Fasulo, Vin
cenzo Bonifacio, Leonardo Triolo.
Duplice compito del comitato inizialmente fu di rafforzare localmente
la rivoluzione e di prendere collegamento con i comitati di Girgenti e
e di Palermo.
Ben presto però le condizioni della sicurezza divennero tali da far
nascere gravi preoccupazioni e timori.
Elementi turbolenti incendiarono, come nel 1820, gli archivi e si die-
dero a delitti contro la proprietà e contro le persone.
Il 13 febbraio, in folto gruppo, scesero dalla vicina Calamonaci a
Ribera dei facinorosi e, spalleggiati da altri del luogo, abbattuto il por-
tone d'ingresso, invasero la casa del ricco possidente Filippo Pasciuta,
devastandola e tentando anche di violentare la figlia dodicenne e la
moglie del proprietario. Sfuggito ai saccheggiatori il Pasciuta, portatosi
in una casa vicina, con grida e spari, riuscì ad evitare il peggio facendo

- 43-
accorrere in suo aiuto persone del vicinato ed una squadra di polizia,
ma la tranquillità delle famiglie e la sicurezza, per i perduranti disordini,
continuarono a presentarsi gravemente compromesse e non pochi, chiu-
se le abitazioni, si rifugiarono nelle campagne.
L'ordine potè essere ripristinato sol per il sollecito arrivo da Girgenti,
su invito urgente del comitato rivoluzionario provvisorio, d'un reparto di
milizia e della sua permanenza nel Comune per venti nove giorni.
Ed ecco che il 13 successivo aprile da Palermo Francesco Crispi ,
entrato come deputato di Ribera alla Camera dei Comuni, invia copia
dell'atto ·di decadenza della dinastia borbonica, e scrive al presidente,
ai componenti del comitato ed ai cittadini.
«Mi fo un dovere significare alle SS. LL. un decreto dato oggi
ad acclamazione e con entusiasmo da questo Parlamento Generale e da
cui dipendono i destini della nostra Patria comune. E' questo un segno
del come oggi la Nazione si adoperi al suo miglioramento politico e
un motivo del doversi oggi preparare con ogni mezzo a sostenere questa
legge fondamentale dello Stato.
Noi bisogniamo di tutto e tutti dobbiamo chinarci a qualunque sacri-
ficio, che alla Patria si deve, perchè sia libera, potente e felice».
L'annunzio della vittoria riportata infonde coraggio e fiducia.
Tommaso Crispi ormai vede giunto il momento di riprendere una
vecchia pratica, quella dello scalo marittimo ; convoca il comitato prov-
visorio rivoluzionario e, quando il 25 aprile, aperta la seduta, prende la
parola, la voce rivela i tumultuosi sentimenti che lo agitano. Vibrante
di sdegno, egli ricorda che «alcuni controfilantropi con delle brighe presso
le officine del Ministero dell 'Interno }ecero revocare gli ordini opportuni
con menzognere pretesti», esalta il nuovo governo «libero e rappresen-

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·-

Palazzo Francesco Crispi


tativo, tendente a promuovere il commercio nazionale che si oppone al
soppresso governo dispotico che amava l'avvilimento dei suoi popoli», poi
fra gli applausi propone - ed il comitato all'unanimità delibera -
l'invio delle carte al figlio» avvocato Francesco Crispi, rappresentante
del comune di Ribera al Parlamento Siciliano in Palermo, col mandato
di chiedere con tutta sollecitudine la costruzione d'uno scalo nella spiag-
gia di Seccagrande».
Ed in realtà, con tutta sollecitudine le carte sono inviate.
Battuta d'arresto! Tommaso Crispi ed il comitato hanno avuto fin
troppa fretta perchè nella deliberazione non è fatto cenno sui mezzi oc-
correnti per fronteggiare le spese e d'altra parte non è possibile al Comune
l'imposizione di dazi senza l'approvazione del Parlamento Generale di
Palermo. Questo scrive il deputato Francesco Crispi al padre presidente
del comitato rivoluzionario di Ribera e non resta che eseguire i consigli
del deputato.
Così il 5 giugno Tommaso Crispi riconvoca il comitato, presenta pre-
paratissimo un'elaborata relazione redatta dall'agrimensore Calogero
Tavormina e propone un dazio proporzionato ed equitativo d'onze 1.516, 23
13 a carico dei proprietari delle terre adiacenti al costruendo scalo, con
tassa radiale a tre miglia circa collaterali, sino a raggiungere il fiume
Verdura da un lato ed il fiume Platani dall 'altro, per una profondità di
otto miglia; altra tassa da imporsi ai negozianti, ai trafficanti ed ai capi-
talisti di Ribera per onze 233, 6, 83 ed altra ancora di onze 250 da
ripartire, secondo le rispettive popolazioni e distanze, fra i comuni vicini:
Calamonaci, Villafranca, Burgio, Lucca, Bivona, S. Stefano, Alessandria,
Cianciana e Cattolica.
La proposta, approvata perchè «giust!3-, razionale e ben fondata» ispira

- 45-
piena fiducia. E fiducioso è anche Francesco Crispi che, poco dopo, a
Palermo nella sua mozione alla Camera dei Comuni, chiarisce i motivi
dell 'insuccesso della precedente richiesta, e chiede l'approvazione della
deliberazione, concludendo:
«Facciano i rappresentanti del popolo quella giustizia, a cui non sep-
pe sorridere un governo retrogrado ed incivile; portino la vita all 'industria
commerciale in una parte dello stato ove il terreno abbonda di prodotti
agricoli ma è difficile nei traffici" .
Purtroppo ·fu il crollo della rivoluzione a dire l'ultima parola ed il
municipio fu ricostituito - come gli altri - dal governo borbonico. Se-
guirono tristi tempi ed in Ribera un nome (quello del Maniscalco, capo
della polizia della Sicilia) acquistò ben presto significato di ammonimento
sinistro e di persecuzioni e fece tenere i riberesi lontani dai disordini
del 1850. Infatti al Maniscalco, fra l'altro, si attribuiva l'annotazi one «non
meritevole di grazia" apposta a fianco del nome di Francesco Crispi , in
un elenco in potere della polizia.
Veniva in quei tempi spesso a Ribera Vincenzo Navarro, presidente
in Sambuca nel 1848 del sub-comitato di pubblica sicurezza istituito dal
comitato provvisorio rivoluzionario; viveva nella sua nuova residenza , ri-
spettato, onorato, membro di accademie della Sicilia e di fuori, collabo-
ratore di riviste e giornali, infine anche direttore della «Arpetta» scri-
vendo innumerevoli composizioni in versi ed in prosa, anche di carattere
scientifico, e passando i giorni nella sua biblioteca ricca di 3.000 volumi.
In Ribera, ad uno che gli manifestava meravigli a nel vedere che trascor-
reva la vita sem pre curvo sulle carte e sui libri e gli chiedeva se intendeva
lasc iare eterna memoria di sè, rispose che tutto è destinato a cadere
nell'oblio e spiegò: «Non so resistere alla forza della abitudine» e con

- 46-
ciò intese dare un giudizio anche sulle sue composizioni del secondo

·. tempo e riconoscerle ben lontane da quelle della giovinezza, tanto am-


mirate per la fresca, viva ispirazione e la spontaneità della rima.

In verità era ormai un deluso che, non avendo avuto dalla vita quanto
aveva sperato, cercava nei libri e con gli scritti quello che la vita non
poteva negargli: il godimento dell'intelletto e della immaginazione.
~- Dimentico delle offese patite, amava sempre Ribera e scopo delle
sue visite nel 1855 era soprattutto quello di raccogliere notizie e docu-
menti per gli «Accenni Storici» che diede alle stampe nel 1856 e che
volle chiudere con la poesia ben nota:

«Bella Ribera, tu m'innamori / Con le riviere, co' pinti fiori; / Con


le colline, co' praticelli, / Che ognor verdeggiano, ridenti e belli. .. / La tua sì
fertile vaga pianura / E' un dolce incanto della natura / Tu sei il mio
tenero suolo natio / E sempre mesto ti ho detto addio!».

In Ribera soleva avvicinare Tommaso Crispi. I due si comprendevano


ma ormai anche l'animoso ex-presidente del comitato rivoluzionario prov-
visorio riberese del 1848, era stanco, sfiduciato ed alla fine della sua vita.

Scomparve infatti col pensiero rivolto al figlio Francesco che, dal 1849,
viveva in esilio, povero, tenuto d'occhio da tutte le polizie e che più tardi
sulla tomba dei genitori, nella Chiesa Madre di Ribera, doveva far apporre
il commovente epitaffio che tuttora può leggersi: «Alla memoria dei cari

e desiderati parenti - Giuseppa Genova - n. il 15-8-1789 - m. il 1-2-1855


Tommaso Crispi nato il 18-5-1793 m. il 10-8-1857.

Pose questa pietra il figlio Francesco infelicissimo - cui l'esilio lon-


tano - tolse il conforto delle supreme parole».

Nessuno nel Comune parlava più della indipendenza dell'Isola e lo

- 47-
stesso Navarro nei suoi «Accenni storici", per ovvie ragioni, non fece
nemmeno cenno degli eventi del 1848.

Però nell'estate del 1859, dopo i preliminari di Villafranca, e poi


nell'ottobre successivo, corse voce fra i riberesi che Francesco Crispi,
con passaporto falso, era stato a Messina ed altrove a preparare gli

animi a vicini e nuovi eventi, non ' più diretti all'indipendenza dell'Isola ma
all'unità nazionale: eventi che in realtà, carichi di destino e di gloria, cul-
minarono con l'impresa dei Mille e portarono Francesco Crispi - che
dell'impresa era stato artefice - a fianco di Garibaldi, a Palermo, ove fu
raggiunto da Vincenzo Navarro e da un figlio di quest'ultimo - Emanuele
- garibaldino.

Grande momento ma momento anche di gravi preoccupazioni!

In Ribera la paura serpeggia: non tenteranno elementi turbolenti ,


come nel 1820 e nel 1848, di commettere violenze ed eccessi? Non si

perde tempo. Garibaldi è appena da un giorno a Palermo e già nella


casa comunale di Ribera ha luogo la prima riunione di un comitato prov-
visorio.

Presiede Carmelo Parlapiano e ne sono componenti Michele Vaccaro,


Pietro Pasciuta, Vito Pasciuta, Gaspare Pasciuta, Antonino Parlapiano,

Nicolò Crispi, Natale Quartararo, Giuseppe Genova, Girolamo Turano di


Campello, Vincenzo Ciccone, Ciro Alessi , Melchiorre Biancaccio, Michele
Massaria e Serafino Cuti no, segretario.

Il presidente espone che, sebbene «tutti i gentiluomini e proprietari


del Comune prestino a turno il loro assiduo servizio di giorno e di notte,
perlustrando le vie per la sicurezza interna, pure è necessario la nom ina
di guardie provvisorie per meglio tutelare la sicurezza pubblica,,; invita

- 48-
il comitato a deliberare ed all'unanimità sono nominate, con soldo gior-
naliero di tre tari , quattordici guardie.

Però il prowedimento non appare adeguato alla situazione ed il 6


giugno, nuovamente riunito, il Comitato «al fine di reprimere abusi e mi-
sfatti da parte di malintenzionati .. delibera d'interessare il governatore
del distretto di Bivona perchè disponga la forza della compagnia di armi
da destinare a Ribera e riprenda il prowedimento già adottato il 18 feb-
braio 1848 dal Comitato Generale di Palermo (istituzione in ogni distretto
della forza della compagnia d'armi).

Quattro giorni dopo, di nuovo riunito, «considerato che senza membri


la legge ed i sacri diritti dei cittadini non verrebbero affatto garentiti e
tutelati e che gli impiegati del 1848, come disposto dal decreto 17 mag-

gio 1860, devono essere restituiti ai loro posti» il Comitato elegge il dot-
tor Gi useppe Sillitti da Caltanissetta a giudice Comunale, Vito Pasciuta a

supplente, Filippo Colletti a giud ice conciliatore, Nicolò Salerno a can-


celliere della giustizia comunale ed il giorno successivo, sempre «per

assicurare la viva vig ilanza per la sicurezza dei cittadini ad evitare che
persone sospette, di notte, si possano introdurre nel Comune, approfit-
tando del buio» autorizza l'acquisto di due fanali da collocare uno nei

pressi della casa di Luigi Tavormina e l'altro nella caserma delle Guardie
Nazionali, ch 'è nella piazza.

Nel contempo: restituisce ad Antonio Caruana un fucile sequestrato-


gli , in occasione d'una visita dom iciliare, dalla disciolta polizia ; awia
pratiche per indirizzare a Burgio - e non più a Bivona - il corriere ad-

detto al servizio postale di Ribera «per evitare ritardo e positivo attrasso»;


reintegra nell 'ufficio il notar Antonino Tallo, condannato dal passato go-

- 49 _ .
verno alla pena di anni sei di relegazione: propone alla presidenza muni-
cipale Luigi Pasciuta ed a membro Michele Massaria.
Ma é questa l'ultima deliberazione del Comitato Provvisorio perché,
per disposizione superiore, dev'essere ristabilito il Consiglio Civico come
nel 1848; ricostituzione di fatto non possibile sia per i decessi già av-
venuti sia per lo smarrimento della deliberazione di nomina di quel con-
siglio civico.
Comunque il nuovo Consiglio Civico viene costituito da : Filippo
Colletti, giudice conciliatore eletto dal disciolto Comitato Provvisorio
e già componente del Comitato del 1848, presidente; Serafino Turano
di Campello e Leonardo Triolo, già componenti del 1848, componenti;
Serafino Cutino, segretario, e Giuseppe Vaccaro , vice segretario; ed an-
cora da: arco Michele Vaccaro, Sac. Pietro Pasciuta, sac. Liborio Puccio
(in quell'anno erano presenti in Ribera diciotto preti), Francesco Pasciuta,
Francesco Petrusa, Francesco Parlapiano, Domenico Colletti , Francesco
Colletti, Bartolomeo D'Angelo, Giuseppe Barone, · Pasquale Montalbano,
Nicolò Bisogni, Pellegrino Quartararo, Carmelo Castelli, Antonio Parla-
piano, Nicolò Crispi, Calogero Tavormina, Antonio Quartararo, Luigi Ta-
vormina, Alfonso Friscia, Melchiorre Biancaccio, Gaetano Bonifacio, Na-
tale Pintauro ed Angelo Abisso.
l! 19 luglio, il presidente Filippo Colletti dichiara al Comitato riunito :
«Quest'oggi é per noi il dì più chiaro e lieto che mai fosse per essere:
il giorno onomastico dell'Eroe di Calatafimi , l'eccelso dittatore, Garibaldi »
ed invita a festeggiarlo .
l! patrimonio del Comune, ristrettissimo, si compone di : 66 ducati per
fitto delle terre comunali; 26 ducati per censi ; 108 ducati per proventi
dei pesi e delle misure; 750 ducati per dazi di consumo sulla carne e

- 50-
sul pesce; in totale 950 ducati mentre per far fronte ai bisogni del Co-
mune, occorre una somma non fnferiore ai ?.448 ducati.
Il più urgente fra i bisogni è quello di soddisfare una richiesta di
cavalli e di tela fatta dal Governatore dell'Isola in nome della Nazione
ed il Consiglio Civico s'affretta a rivolgersi, al duca di Bivona «come
colui che immantinente può fare lo sborso in favore del Comune» ma il

-' - prestito non viene concesso ed il Consiglio Civico, nella riunione del
12 settembre, decide che «il mutuo sia forzato per così aversi l'effetto».
Ciò nonostante, lo stesso Consiglio respinge la proposta di cedere
a censo le terre comunali per non far perdere alla popolazione gli usi
civici essenziali ed utili, nel passato sempre esercitati e, «considerato
che una buona finanza pubblica produce la prosperità privata, per cui
ogni cittadino, oltre alle proprie spese, deve contribuire a quelli comuni;
considerato ancora che l'azienda comunale non può più reggersi» deli-
bera, per la costituzione d'un patrimonio Comunale, la sovraimposta alla
fondiaria.
D'altra parte le difficoltà non affievoliscono l'entusiasmo e così il Co-
mitato Civico: delibera l'istituzione nel Comune di scuole di umanità e
di retorica; propone la costruzione del vecchio progetto dello scalo di
Seccagrande, d'una rotabile provinciale Sciacca - Ribera - Girgenti e
d'altra sino a Chiusa» per avvicinarsi alla Capitale dell 'Isola»; dispone
che le rendite del SS . Oratorio del Rosario siano impiegate in opere di
restauro dello stesso Oratorio già crollante; chiede l'istituzione di un tri-
bunale nel circondario di Sciacca con estensione della circoscrizione al
mandamento di Ribera.
Le risaie «paludi artificiali », come Filippo Colletti le chiama, estese
ormai anche nella valle del Magazzolo agli ex feudi Castellana, Giardinello,

- 51-
Camemi inferiore, Strasatto, Camimello falciano la popolazione, ed il Colletti

.
ne chiede al Luogotenente Generale della Sicilia l'abolizione, con una
lunga ed elaborata relazione, nella quale fra l'altro scrive: «Le risaie cer-
chiano l'abitato, per cui , spirando i venti d'ogni dove e strisciando sulle
vaste superfici acquitrinose, depositano nel Comune un aliquid letale
che si sente e non si esprime».
Pur essendo sempre la campagna infestata da orde ·di ladri, per ne-
cessità di bilancio, le quattordici guardie istituite il 28 maggio sono ri-
dotte a tre e non manca il Colletti di proporre al Comitato «d'innalzare al
provvido Governo fervide e caldissime suppliche onde spingere i coman-
danti dei militi a cavallo a favorire immantinente le rispettive cauzioni,
come loro obbligo, a rifare i proprietari spogliati. ..» .
Però alle suppliche egli unisce la sua personale azione, affronta il
difficile compito e nella riunione del 16 ottobre così l'arciprete Michele
Vaccaro, vice presidente del Comitato, gliene dà ampio riconoscimento :
«Quale comandante la guardia nazionale, ha serbato incolume la
tranquillità pubblica e privata in mezzo ai vortici di una eclatante rivo-
luzione; le sue laboriose cure, le sue ininterrotte vigilie, l'immensa fiducia
che ha ispirato per l'ordine e l'abbandono dei suoi domestici interessi
per militarsi di continuo sotto le armi per la tutela del paese, lo rivelano
come il più atto a tutelare l'ordine pubblico del Comune, svegliano tutta
la generale riconoscenza per tributargli gli affetti dovuti al suo civico co-
raggio ed alla illibata morale che professa ...».
Il verbale della riunione viene inviato al Segretario di Stato della
Sicurezza, con voto unanime per avere eletto Filippo Colletti a delegato
del Comune e la nomina è sollecitata il 3 febbraio dell'anno successivo.
Il 10 aprile 1861 il Comune, per la prima volta, gode delle maggiori

- 52-
libertà amministrative ed il Consiglio Comunale, previa elezione, cosl
viene costituito: sindaco Melchiorre Biancaccio; assessori: Bartolomeo
D'Angelo, Antonio Tavormina, Camillo Mandina; assessori supplenti: Ni-
colò Bisogni, Giuseppe Navarro; consiglieri: Francesco Colletti, Filippo
Colletti, Emanuele Pasciuta, Luigi Tavormina, Vincenzo Ciccone, Giuseppe
Genova, Nicolò Montalbano, Antonio Quartararo, Vito Pasciuta, Pellegri-
no Musso, Calogero Samaritano, Antonio Cardillo.

- 53-
I ....
VII

COMUNE DEL REGNO D'ITALIA

La popolazione attendeva molti benefici sia dal nuovo regime sia


dalla nuova amministrazione comunale ma ben presto trovò motivi di
delusione e di malcotento.
Per la scarsa possibilità dei mezzi il nuovo assestamento si rivelò
lento ed insufficiente.
La casa comunale, sul corso Maggiore, architettonicamente impo-
nente, rimase per lunghi decenni costruita soltanto per metà.
La costruzione degli altri edifici pubblici fu resa possibile, dopo il
1866, dalla legge sulla soppressione delle confraternità religiose e dal
passaggio dei loro beni immobili àl demanio: sorse dall'abbattimento della
chiesa di S. Anna, nel corso Maggiore, già in rovina, l'edi fi cio destinato
a scuole elementari , attuale sede della pretura ; sorse la prima sede della
pretura, ora dell 'Istituto delle Suore Francescane, dallo abbattimento di
fabbricati , già della chiesa del Rosario.
Le risaie vennero soppresse ma i risultati non furono quelli sperati ,
perchè, pur non arrivando più la malaria in tutta la sua intensità ad am-.
morbare l'abitato, i due fiumi restavano sempre centro micidiale d'in-
fezione.

- 55-

• l'
Caratterizzano quel tempo le offerte di statue di gran pregio artistico
fatte da privati alle chiese.
Si devono : ai fratelli Pasciuta il decoratissimo altare di S. Giuseppe,
in legno intarsiato d'oro ed artisticamente colorato, la ninfa di cristallo
nella navata della cappella, il simulacro del Santo; a Carmela Pasciuta
nata Chiarenza il simulacro della Madonna con Bambino; a Leonardo
Becchina il gruppo della Vergine Annunziata e dell'Angelo, sculture in
legno del palermitano Genovese; ai fratelli Antonino e Carmelo Parlapiano
la bella statua dell'Immacolata.
A quello stesso tempo risalgono : le decorazioni con affreschi nella
parte centrale della chiesa del Rosario; quelle con stucchi e cornici ad
opera di Gioacchino Abisso che l'interno della chiesa ancora presenta in
pregevole disegno architettonico di ordine corinzio; le sei scenette con
figu re artistiche in terracotta dipinta, attribuite a Michele Millefiori da
Girgenti, rappresentanti episodi della vita e passione di Gesù, ed il bell is-
si mo presepe al centro, in basso dell 'altare maggiore, pure attribuito al
Millefiori.
La popolazione viveva, come prima, nella miseria.
• A

Giornalmente - e lo spettacolo si protrasse sino agli inizi del seco-


lo XX - vecchi e bambini andavano per le vie stendendo la mano per
avere un pezzo di pane. Gli stessi vecchi, nelle ore antimeridiane di ogni
venerdì immancabilmente si adunavano, sempre a scopo di elemosinare,
davanti alle abitazioni dei più ricchi (Parlapiano, Pasciuta e qualche altro)
e la loro condizione diventava tragica nel caso di malattia. .-
Particolarmen te triste fu l'anno 1893 per lo scarso raccolto del grano ,
e dell'orzo e per la distruzione di molti vigneti fatta in breve tempo dalla
filossera.

- 56 - .
Anche la pubblica sicurezza peggiorò e il malcontento divenne cos1
vivo, che in Ribera, come in altri centri, fu costituito un fascio, segretario
il colto ed insofferente Baldassare Castelli.
Il riberese Matteo Tallo nel 1894 si presentò a Roma a Francesco Crispi,
presidente del Consiglio dei Ministri, per l'autorizzazione - poi conces-
sa - della costruzione d'un magazzino sulla spiaggia di Seccagrande
ed, incoraggiato dalla benevole accoglienza, accennò ai bisogni di Ribera
ed alla possibilità di attuazione del vecchio progetto del porto, ma Crispi ,
pur riconoscendo la necessità della popolazione, ribattè: "Forse i riberesi
mi hanno mai chiesto qualche cosa?" .
Però Crispi dovette tenere presente il colloquio col Tallo ed
il 1° luglio di quello stesso 1894, presentò un progetto - che per altro
non potè nemmeno essere discusso - per il frazionamento del latifondo
a mezzo di concessioni perpetue ed obbligatorie, integrate con sussidi in
denaro e in natura ai concessionari e con una vasta organizzazione del
credito agrario.
Ancora più triste fu l'anno 1898 perchè le continue piogge danneg-
giarono il raccolto. I poveri soffrirono letteralmente la fame e si dovette
costituire un comitato di beneficenza mentre il Comune dava lavoro fa-
cendo eseguire riparazioni nelle vie ed il Governo cedeva a modico prezzo
il grano di riserva dei magazzini militari.
Filippo Colletti , già primo sindaco del Comune dopo la proClamazione
dell 'unità nazionale, tentò di lenire tanta miseria e soprattutto di fondare
un ospedale-orfanotrofio e vi spese tutto il suo patrimonio ; il fratello e
la sorella ne seguirono l'esempio.
I lavori furono iniziati. L'edificio doveva essere dotato d'ampio cor-
tile, avere ingresso monumentale con colonne nella via Re Federico e

- 57-
chiesetta dedicata a Sant'Andrea di Avellino, prospiciente sulla via Fiera
- ora corso Guglielmo Marconi - ma le opere per la morte del promo-
tore rimasero incompiute e furono poi vendute dalla Congregazione di
Carità a privati. L'ingresso monumentale in via Re Federico tuttora esiste.
In realtà il grave permanente disagio della popolazione - ed in
questo Crispi col suo progetto mise a nudo la piaga - era effetto della
disorganizzazione economica e sociale del tempo .
Nonostante l'abolizione della feudalità, la proprietà in quegli anni con-
tinuava ad essere quasi tutta nelle mani di pochissimi e le attività dom i-
nanti restavano l'agricoltura e la pastorizia, sempre tradizionalmente pra-
ticate.
Tre, quattro volte all 'anno attraversavano le vie del paese, preannun-
ziate dal suono di campanacci, grosse mandrie di bovini e, dai belati,
quelle di pecore in trasferimento dalla valle del Verdura a quella del
Magazzolo e viceversa. Loro pascolo permanente era la palma mana che
attecchiva in vaste contrade.
Le colture venivano così praticate: arborea in prevalenza attorno al-
l'abitato e lungo il Verdura, granaglie negli ex-feudi Strasatto, S. Pietro
e sulla sinistra del Magazzolo, in quello di Donna Inferiore.
Erano scomparse le colture della canna da zucchero e del ri so ,
decadute le produzioni del tabacco, della canapa e del lino; oliveti, ma n-
dorleti e vigneti costituivano, col grano, i maggiori cespiti d'esportazione.
Tuttavia anche le terre messe a coltura cerealicola in definitiva non
alleviavano la miseria dei coltivatori.
Di solito erano date dai proprietari in affitto con estagli moderati
ma, fra concedenti e COltivatori, si interponevano gli intermediari, i quali ,
col sistema del sub-affitto, di solito della breve dura,a d'un anno, senza

- 58-
Panorama di Ribera
nemmeno vedere le terre sulle quali speculavano, portavano gli estagli
sino ad otto e nove terraggi, e così realizzavano elevatissimi utili paras-
sitari, con altrettanto danno dei veri agricoltori.
D'altra parte gli strumenti di lavoro si riducevano sempre a quelli
primitivi della zappa e dell'aratro a chiodo; s'ignorava l'impiego dei fer-
tilizzanti; le condizioni di sicurezza imponevano in ogni ex feudo la pre-
senza del campiere, dal quale il coltivatore dipendeva per tutto, cosicchè,
dopo un anno di dure fatiche, al coltivatore rimaneva così poco che
- per lui - arrivare ad assicurarsi un paio di lire al giorno costituiva ra-
gione di grande felicità e fortuna .
Non pochi costretti dal bisogno ricorrevano a prestiti ma le condi-
zioni imposte dal mutuante erano talmente onerose che il debitore finiva
col non potere pagare nemmeno gli interessi: di solito due soldi per ogni
lira al mese e cioè il 120 per cento all'anno.
Ne derivava che l'emigrazione appariva come l'ultima via di salvezza
e chi poteva lasciava il paese.
Con il fine di combattere l'usura nel 1899 fu istituita in Ribera, una
Cassa Rurale dal sacerdote Michele Palminteri da Calamonaci ; però suscitò
diffidenze. La Cassa apparve come una novità pericolosissima, adescatrice,
e, lottata dagli usurai, ben presto scomparve.
Più compreso fu invece il principio cooperativistico e sorse, pure in
quel tempo, nel Comune la prima cooperativa fra gli agricoltori denomi-
nata " S. Giuseppe», al fine di conseguire un miglioramento delle condi-
zioni nei contratti mediante stipula diretta.
Il duca di Bivona, il proprietario terriero più importante, continuava
a vivere lontano, a Madrid, e nel C'omune la grande proprietà terriera
era rappresentata dalla famiglia Parlapiano, principalmente nella persona

- 59-
del suo esponente massimo, Antonino Parlapiano, deputato al Parlamento.
Era questi uomo d'azione, di larghe vedute, generoso al punto d'apri-
re, in tempi di carestia, i granai alla popolazione affamata e da venirle
in aiuto con sovvenzioni in denaro e in natura, nei modi più svariati e
discreti; da chiudere ben volentieri un occhio sui furti campestri nelle sue
terre, se commessi per necessità; da rinunziare in tutto o in parte agli
estagli nelle annate agrarie di scarso raccolto.
Godeva di prestigio illimitato ed era amato dai poveri, che trattava
con modi burberi ma affettuosi.
Se gli accadeva d'incontrare fuori dalle sue terre qualcuno con un ca-
rico di legna sulle spalle, non mancava di assumere un tono severo e
domandava: «Da dove vieni? Dove hai preso quella legna»? Ed al finto
imbarazzo dell'altro, alzando la voce ed il bastone, incalzava :
«Rispondi» «Nelle sue terre». «Ci vuoi tanto a dirlo? Diavolo ! Vat-
tene. Ma almeno ti basta la legna?» .
In tutto secondato dal fratello Carmelo, spesso costituiva anche delle
doti a giovanette orfane ed alla sua morte diede ancora una grande prova
d'affetto verso i bisognosi del Comune, conferendo, con testamento, in-
carico al fratello Carmelo di costruire un ospedale e di forn irlo di tutti
mezzi necessari.
Nell'autunno del 1899 arrivò al sindaco di Ribera, come a quelli de-
gli altri comuni dell'Isola, invito ad aderire alle onoranze a Francesco
Crispi in occasione del suo ottantesimo compleanno, deliberate nel pa-
lazzo Municipale di Palermo da una assemblea imponente di cittadini
d'ogni grado e condizione: senatori , deputati, consiglieri provinciali e
comunali, cospicue personalità, privati.
Durante i festeggiamenti - che in verità con carattere più nazionale

- 60-
che regionale durarono dal 3 all'11 ottobre - una rappresentanza del
comune di Ribera ed, in un secondo momento, alcuni riberesi, furono
ricevuti molto cordialmente da Crispi ma tutto finì là: il freddo distacco
fra Crispi ed il paese natio rimase.
Due anni dopo, alla notizia della sua morte avvenuta a Napoli 1'11 ago-
sto 1901, si tornò in Ribera a parlare di lui e della sua azione dicospi-
ratore, rivoluzionario, esule, artefice della leggendaria spedizione dei
Mille, statista.
Convocato il Consiglio comunale, il sindaco Salvatore Chiarenza in-
dicò come un dovere l'erezione d'un monumento alla memoria dell'Uomo
che tanto lustro aveva portato al paese natio.
Il consenso si delineò unanime ma la somma occorrente di L. 5.000
sollevò perplessità e dubbi.
S'accese una animata discussione. Altra proposta fu presentata da
un consigliere: dare alla via Speranza il nome dello statista scomparso.
E prevalse.

-61-
VIII

PRIMO VENTENNIO DEL SECOLO XX

Nel 1906 l'ospedale "Fratelli Parlapiano» s'i mponeva già con la sua
mole e le armoniose linee come opera grande di carità, dotato da Carmelo
Parlapiano d'una rendita di dodicimila lire annue : somma per quel tempo
cospicua.
A spese dello stesso Carmelo Parlapiano fu anche pavimentata in
marmo la chiesa Madre.
Ecco come Ribera in quegli anni si presentava: pochissime erano
le case che raggiungevano il secondo piano (casa Di Giovanna, Castelli
nel corso Maggiore; Bisogni sulla via Larga, qualche altra): molte più
numerose, ed alcune costruite con arte impeccabile, quelle a primo piano ;
nella grande maggioranza le altre a pianterreno, composte da uno o
due vani ad uso abitazione e spesso anche ad uso di stalla con la dolo-
rosa conseguenza che, in tali condizioni, la casa si trasformava in un
lero centro di infezione.
Così il sacerdote agrigentino Francesco Chiaramonte, nel suo opu-
scolo dedicato a Gioacchino Scalia, sindaco di Ribera, scriveva :
"Posta ad una altezza non tanto notevole dal livello del mare, Ribera
si estende sopra una vasta pianura che da un lato si prolunga, immensa

- 63-
e lussureggiante di vegetazione, fino alla spiaggia del mare, che chia-
mano Seccagrande. Per le sue origini non tanto remote, il taglio del
paese è operato con criteri veramente sani ed è addirittura uno splen-
dore l'ampiezza delle strade che, intersecandosi fra di loro, formano
stupendi incrociamenti, dai quali si dominano con lo sguardo gli estre-
mi limiti del paese, sorpassandoli molte volte per raccogliere la visione
del verde magnifico degli alberi e di una striscia rifulgente della solitaria
marina ...
Scorrendo queste poche pagine, o cittadino di Ribera, e contemplando
il magnifico quadro della bellezza del tuo paese, con i fremiti d'amore che
lega l'uomo alla terra, ove egli ha respirato le prime aure vitali, forse tu ti
sollevi nella euforia nobilissima di quell 'orgoglio , che è fierezza del natìo
luogo e, raggiungendo la sommità di quella collina, da cui si domina il
tranquillo abitato, raccogli la visione incantevole della libera campagna,
dei risorgenti vigneti, del mandorlo che prepara i sospirati fiori, degli oliveti
immensi, delle vacche e dei buoi che aprono la terra che dà il pane allo
uomo, delle larghe fiumane, che aggirandosi per le fertili sterminate pianure
corrono a baciare le glauche onde di un mare sereno ...
Un grande avvenire ... ecco l'ideale nobilissimo di chi sente i doveri
della vita ; la meta gloriosa di ogni cittadino integro ed onesto; l'idea forza
che fa scattare le latenti energ ie di un popolo, spingendolo ai primi gradini
della civiltà e del progresso.
Ed un grande avvenire, degno dei destini di questo popolo, è possibile
per Ribera» .
Come programma idoneo a porre il Comune fra i più fortunati paesi
d'Italia proponeva: utilizzazione delle acque dei due fiumi Verdura e Ma-
gazzolo; costruzione di case popolari nell'abitato ; stipula di contratti agrari

- 64-
di lunga durata direttamente fra i proprietari e coltivatori, con ogni esclu-
sione dell'intermediario; estagli moderati; uso di fertilizzanti ; scuola profes-
sionale o, quanto meno, l'impianto di un campicello sperimentale ; disciplina
nella vendita dei generi alimentari ed in particolare del vino e delle carni;
disinfezione in caso di malattie infettive; servizio di beneficenza a domicilio
dei malati poveri; equa distribuzione dei pesi e dei balzelli; allargamento
dell'elenco dei poveri.
In quel tempo il Comune contava 12.060 abitanti.
Però l'apertura dei lavori di due opere di pubblica utilità (acqua pota-
bile e fognatura interna) fece affluire in quell 'anno, specialmente da Favara,
molti operai, in gran parte terrazzieri, con le famiglie.
Dopo circa due anni i lavori ebbero termine, nei vari quartieri, la popola-
zione inaugurò festosamente , con musica, ogni fontanella ma gli immigrati
rimasero ed anzi ne vennero altri in attesa dei lavori di costruzione della
ferrovia a scartamento ridotto e finirono col fissare anch 'essi nel Comune
stabile residenza.
Si aggiunsero temporaneamente gli impiegati statali dell'Ufficio Costru-
zioni delle Ferrovie e dell'Imp resa dei lavori (Foti) con le rispettive famiglie,
cosicchè il Comune si trovò di fronte ad esigenze più ampie e la popolazione
di fronte a nuove correnti di pensiero ed a nuovi costumi di vita.
Aumentarono le case ad uso abitazione ed accanto alla locanda sorse
l'a!bergo, accanto all'osteria il ristorante. La fragola, prima considerata
come frutto grazioso, dal sapore e profumo squisiti, ma raro, e l'arancia, di
scarsissimo consumo, ora erano largamente richieste.
Anche la proprietà terriera e l'attività agricola non apparvero più come
le uniche atte ad assicurare una posizione invidiabile e solida e molti del
ceto medio videro, per i figli, negli studi la porta aperta verso l'avvenire.

- 65-
Nel 1907 risorse la Cassa Rurale, questa volta ad opera del sacerdote
Nicolò Licata da Sciacca, chiamato - quale successore del l'arciprete Mi-
chele Vaccaro - a reggere la parrocchia, ancora unica, di Ribera. Intelli-
gente, colto , oratore, già noto per l'attività svolta nella città natìa come in-
novatore, tenace, appena giunto, impiantò una piccola tipog rafia, fondò un
settimanale - il primo per il Comune - al quale diede il nome chiaramente

orientativo di «II Lavoratore»; istituì una bibl ioteca circo lante e tenne testa
ad ogni movimento a lui ostile. E, com 'era nei suoi fini , la Cassa, combat-
,I

tendo efficacemente l'usura, s'affermò, potè venire in aiuto dei poveri con

concessioni di prestiti ad un interesse onesto, rendere possibile l'acquisto


di piccoli appezzamenti di terreno, animali da lavoro, sementi , attrezzi e,
nel campo della piccola industria, di macchine casalinghe.

Con l'aiuto della Cassa fu costruito in paese un primo molino idrau lico
e la popolazione fu liberata dalla necessità d'arrivare, per la mol itura del
grano, attraverso trazzere accidentate e spesso impraticabili d'i nverno, sino
ai pressi del fiume Verdura, ove i molini ad acqua si trovavano ; fu costru ito
il primo forno meccanico.

E quasi per sopraggiunta maturità di tempi, Ribera si trovò su lla via del
progresso.

Nel 1911, grazie all'interessamento appassionato del sindaco, dott.


Gaetano Velia, fu impiantata la villa comunale.
In quello stesso tempo l'arciprete Licata, con le somme raccolte neg li
Stati Uniti d'America, arricchì la Chiesa Madre del campanile e del pro-
spetto ed il Banco di Sicilia istituì una sua agenzia.
Nel 1913, il dott. Antonino Parlapiano Velia, deputato al Parlamento,
inaugurò l'ospedale «Fratelli Parlapiano» e, a ricordo dei fondatori, suoi

- 66-
zii, aprì a sue spese, al primo piano dell'edificio, un orfanotrofio femminile
con venticinque posti.
Qualche anno dopo Ribera divenne sede di ufficio di Registro, più
tardi, per ingiustificato principio di economia, soppresso; d'un vivaio foresta-
le; di un ufficio pubblico telefonico ... Poi il ritmo delle opere fu rallentato,
sospeso ... ed alla fine della guerra 1915-18 Ribera contò 126 suoi caduti,
aumentati negli anni successivi a 186 per decessi in conseguenza di ferite
riportate in combattimento.

- 67-
X

LOTTA CONTRO IL LATIFONDO


Anno 1919. Tempi nuovi! Ora nel Comune i reduci sopratutto commen-
tavano, con amarezza mai manifestata, l'assenteismo del duca di Bivona
che - proprietario degli ex feudi Camemi Soprano, Camem i Inferiore.
Corvo, Strasatto, Gulfa Panetteria, Gulfa Giummarella, Castellana,
e delle terre di Poggio Diana godeva in una grande capitale straniera delle
sue rendite, senza contatto alcuno con le terre e senza pensiero dei doveri
che la proprietà gli imponeva, lasciando le cure dell 'amm inistrazione ad un
procuratore generale, residente in Palermo, e ad un amm inistratore locale.
La questione del latifondo diveniva scottante.
C'era - ed erano pochi - chi riconosceva la necessità di una modi-
fica dei contratti agrari in modo da migliorare le condizioni dei coltivatori.
Altri spolveravano il progetto di frazionamento del latifondo, presentato
da Crispi.
Altri ancora - in considerazione di una più alta livellazione delle con-
dizioni economiche e sociali - non esitavano a scendere in lotta contro
le maggiori fortune e chiedevano senz'altro la espropriazione della pro-
prietà terriera, l'attribuzione d'essa allo Stato e, per dare una dimostrazione
di forza, finivano con l'invadere per poco tempo alcune terre, prometten-
done la distribuzione ai contadini.

- 69-
Una sezione del Partito Socialista Italiano veniva aperta da Giuseppe
Gagliano.
Nell 'autunno del 1919 Antonio Alvarez de Toledo, grande di Spagna,
duca di Bivona, si recò a Ribera e prestò benevole ascolto alle aspirazioni
dei lavorator.i agricoli ma, al sorgere delle prime difficoltà, l'irrigidimento
degli animi e la tensione della situazione fecero precipitare gli eventi.
Ad opera di alcuni istigatori, si formarono dei gruppi di persone che
s'avviarono verso la casa ducale. Si trattava nella quasi totalità di conta-
dini, i qual i, uniti dall'interesse comune, strada facendo , si scambiavano
impressioni , dubbi ; speranze, sentimenti e risentimenti e che, quando giun-
sero davanti alla casa ducale, formavano già con il loro numero una folla.
Trovato il portone chiuso, invitarono con grida, dalla piazzetta antistan-
te, il duca a presentarsi al balcone, ma l'invito cadde e la folla fu ag itata
da un sentimento improvviso : quello dell'odio di classe.
Partirono nuove grida: «AI portone, al portone»; i più violenti si fecero
avanti e fu allora una esplosione che travolse in un batter d'occh io le spa-
rute forze armate presenti.
Abbattuto il portone, le ampie sale vennero rapidamente invase. Quadri
e sedie volarono e qualcuno scese portando qualche mobile leggero.
Suggestionata la folla seguì l'esempio e la casa fu ben presto saccheg-
giata.
" duca, sottrattosi in tempo ed a stento alle violenze, riuscì a trovare
asilo sicuro insieme col suo procuratore generale, l'amm inistratore locale
e la moglie di quest'ultimo nella casa del farmac ista Liborio Friscia ; però ,
perdurando l'agitazione ner paese, dovette recarsi nella sede della coopera-
tiva agricola «S. Giuseppe» e firmare la cessione degli ex feudi Castellana,
Camemi Soprano, Gulfa Giummarrella, Gulfa Panetteria, come egli stesso

-70 -
dal balcone annunziò sorridendo, fra gli applausi scroscianti della folla.
In realtà, per mancanza di consenso valido, la cessione era nulla ma,
qualche anno dopo, la questione fu ugualmente risolta per l'interessamento
vivissimo dell'onorevole Angelo Abisso, deputato al Parlamento, in via di-
plomatica: previo indennizzo, i quattro feudi furono ceduti, tramite l'Opera
Nazionale dei Combattenti, in parte agli ex combattenti , in parte a privati.
Era già un gran passo e la popolazione vide arrivato il momento dello
inizio della realizzazione d'una aspirazione secolare.
Sorsero una nuova cooperativa (Cesare Battisti), un circolo fra ex com-
battenti (Vittorio Veneto) ed una nuova Banca (Banca di Ribera, ora agen-
zia della Cassa di Risparmio V. E.). La sezione del Partito Socialista Italiano
aderì alla costituzione del Partito Comunista Italiano ed i due partiti uniti
raggiunsero 16 iscritti.
Per assicurarsi più ampio campo d'azione la cooperativa «S. Giuseppe»
si trasformò nella cooperativa agricola «La Bonifica» e la Cassa Rurale
nella «Banca Popolare».
Sovvenzionata dalla Banca Popolare - garante il direttore arciprete
Nicolò Licata - nel 1922 la cooperativa «La Bonifica» potè acquistare le
altre terre che ancora al duca restavano (ex feudi Strasatto e Camemi
Inferiore; giardini di Poggio Diana) e le distribuì a numerosissimi agricol-
tori.
Molti di essi ricorsero a debiti su cambiali.
Viveva in quel tempo nel Comune il riberese Giuseppe Bonifacio, ora
residente in Roma. Era un medico che esercitava con successo la profes-
sione e coltivava con tenacia e passione anche le scienze agrarie, divenen-
do in materia tecnico di tale valore da essere richiesto quale apprezzatis-
simo collaboratore da parecchi giornali di agricoltura e da ricevere i più
lusinghieri riconoscimenti da eminenti personalità.

-71 -
Amante del progresso agricolo il Boni facio diede a Ribera un netto
indirizzo verso la frutticultura, la coltura delle uve da tavola e la mandor-
licultura. Fece di più. A lui si devono l'introd uziqne della concimazione azo-
tata del grano, sino allora sconosciuta nel Comune, e le classiche nitrature
. .
ripetute: pratiche che, subito seguite, resero possibile un aumento enorme
della produzione ed apportarono il benessere della classe agricola.

" Comune si estese, progredì: un marciapiedi, fiancheggiato da case,


unì l'abitato alla stazione ferroviaria già in esercizio; fu eretto nella villa
Comunale un monumento a Crispi (in verità così modesto per quanto nel
1939, in occasione della celebrazione dei grandi Siciliani, non se ne tenne

conto e fu posta la prima pietra - senz'altro seguito - nella stessa villa


Comunale per un nuovo monumento, opera dello scultore Messina, a spese
dello Stato): sorta una centrale elettrica sulla riva destra del fiume Verdura,

di fronte al castello di Poggio Diana, la vecchia illuminazione a petrolio


dell 'abitato fu sostituita dalla luce elettrica; fu portato a compimento il
Palazzo Municipale.

Con decreto 1° luglio 1928 venne concesso al Comune l'uso di stemma


civico, azzurro, al monte di tre cime verdi, sulle quali sorge una torre d'oro ,
merlata, murata, aperta, finestrata, con sole raggiante pure d'oro, col motto

ispirato all 'antica dominazione del fiume Verdura (Alba) ed al centro abi-
tato. Allava, scomparso, sulla cui sede approssimativamente era sorta Ri-

bera: «Allavam signat Alba» (Alba indica Allava) - Altre opere furono
compiute: l'imponente edificio delle scuole elementari «Francesco Crispi» ;
macello comunale; campo sportivo; nel piano S. Antonino altra villa comu-

naie con denominazione «Vincenzo Navarro», della quale restano ancora


due filari di palme; scuola d'avviamento con campicello sperimentale;

-72 -
rotabili interpoderali; ampliamento della vecchia villa comunale; bastione
nel quartiere S. Antonino; chiesa «S. Teresa»; monumento alla memoria
dei caduti in guerra, nel dopoguerra inconsideratamente rimosso.

Fu ripristinata la Pretura con giurisdizione su Burgio, Villafranca Sicula,


Lucca Sicula e Calamonaci ; inaugurato il cinema teatro «Gaetano Velia».

La chiesa del Rosario, un gioiello d'arte, a giudizio del pittore Giovanni


Bucalo, minacciante di crollo, - promotore Luigi Gueli - fu restaurata con
sostituzione del prospetto armonioso architettonicamente, ma alquanto pe-
sante, con l'altro più leggero.

Per opera dell'arciprete Pietro Castellini, succeduto all'arciprete Licata,


tornato alla natia Sciacca quale ciantro di quella città, venne istituito l'Isti-
tuto delle Suore di S. Anna per l'educazione dell 'infanzia e costruita la
casa parrocchiale della Chiesa Madre.

Sorsero quattro molini, dei quali due con pastifici ed - in esercizio


per qualche anno - uno stabilimento di conserve di pomodoro.

AI progresso dell'abitato, favorito dalle migliorate condizioni di sicu-


rezza, s'unì quello delle campagne.

Pochi anni dopo il frazionamento degli ex-feudi del duca di Bivona,


la destra del Magazzolo aveva già cambiato aspetto. Là ove, nel passato,
le terre erano state sempre in abbandono, deserte, destinate a pascolo,

biancheggianti d'estate di erbe secche, dominava ormai il verde di vigneti,


oliveti, mandorleti e, grazie ad una più raz ionale canalizzazione delle acque
del fiume, il verde anche dei frutteti e degli orti: colture, queste ultime, quasi
esclusivamente praticate sino allora nella valle del Verdura.

Immutato invece restava l'aspetto delle terre a sinistra del Magazzolo,


e le mandrie di bovini ed ovini continuavano a svernare sull'altipiano del-

-73 -
l'ex-feudo S. Pietro ed a scendere giornalmente al Magazzolo per disse-
tarsi.
Nel 1934 la cooperativa «La Bonifica» assunse in affitto, per diciotto
anni, l'ex-feudo S. Pietro, di proprietà degli Ospedali Riuniti di Sciacca,
esteso circa seicento ettari , con terreno dunoso per un terzo, e lo suddivi-
se in 79 quote.
Primo suo lavoro fu la trasformazione in rotabile della via d'accesso,
lunga sette chilometri dallo stradale nazionale all'altipiano. Seguirono
lavori d'estirpazione della palma nana, costruzione di strade interne, ca-
nale d'irrigazione, case coloniche, stalle, silos per foraggio, magazzino,
case per l'amministrazione dell'azienda; opere di prosciugamento, disso-
damento e sistemazione di terreni, impianti di oliveti e vigneti, nuovo ac-
quedotto, vasca, strada interpoderale.
Anche le dune furono messe a coltura.
Alcune famiglie riberesi vi si trasferiscono.
Intervenuto l'Ente Nazionale per la colonizzazione del latifondo, il 10
dicembre 1940 fu ufficialmente inaugurato un borgo rurale, frazione di Ri-
bera, distante dal Comune tredici chilometri , e denominato «Antonio Bon-
signore»: nome del capitano dei carabinieri , nato ad Agrigento, medaglia
d'oro, caduto in combattimento a Gemu Gador (Africa Orientale Italiana)
il 24 aprile 1936.
Il borgo era costituito da un complesso imponente di opere costruite
dal l'Ente : municipio, scuola elementare, ristorante, venticinque case colo-
niche, ufficio postale, caserma dei carabinieri , ambulatorio medico, chiesa
parrocchiale con affreschi pregevoli di Amorelli da Sambuca e con vetri
colorati.
Vi furono destinati, con obbligo di residenza permanente, un medico,

-74 ·-
una levatrice, un ufficiale d'ordine e due guardie con attribuzione anche di
fontanieri.
Dopo qualche anno vennero a far parte del Borgo anche alcune terre
dell'ex-feudo Cuci-Cuci, gli ex-feudi S. Pietro della Palma e Giardinello,
che portarono i confini del Borgo dal Magazzolo al Platani ; fiume questo
ultimo già divenuto da tempo confine del territorio del comune di Ribera.
Gli abitanti - cento al momento dell'inaugurazione - rapidamente
salirono a seicento.
Nella valle del Verdura compariva intanto in esperimento una pianta
nuova, esotica, dalle larghe foglie ornamentali e portava il frutto a matu-
razione: la banana.

- 75
Chiesa di S. Giuseppe con annesso Orfanotrofio femminile
r

XI

TEMPI NUOVI

Anno 1943. Fra maggio e giugno bombardamenti aerei alleati in Ribera


fecero undici vittime ed arrecarono danni ai fabbricati. Ai primi di luglio
la popolazione abbondonò il paese e cercò sicurezza nei paesi vicini, nel-
le campagne, nelle vecchie cave di tufo, nella galleria S. Rosalia; al ritorno,
dopo l'arrivo delle truppe alleate, trovò non poche case rase al suolo ed
altre danneggiate.
In quello stesso luglio una lunga fila di automezzi alleati, impiegati
nel trasporto di militari catturati prigionieri, sostò nel corso principale.
Un prigioniero chiese ai molti che s'affollavano in silenzio attorno agli
automezzi, un pò di pane e da allora l'offerta gratuita del pane e dell 'acqua
ai prigionieri divenne una gara fra uomini e donne di ogni condizione, che
si ripetè al passaggio di tutte le autocolonne con prigionieri.
Però ben presto la vita sembrò arrestarsi per l'impossibilità dei mezzi
di comunicazione e di trasporto, la mancanza d'illuminazione, la penuria
dei viveri e solo nell'inoltrato autunno dell'anno successivo, fra difficoltà
estreme, riprese lentamente. Divenne possibile il viaggio in carrozzino
sino a Sciacca e anche sino a Palermo quando un autocarro - ed era
un avvenimento - ne offriva, previa prenotazione di due - tre giorni , la
occasione.

-77 -
Nell 'autunno del 1944, promotore il professore Vincenzo Cardillo,
furo no aperte le scuole medie, ora statali.
Il Comune fu diviso in tre parrocchie (Chiesa Madre, Purgatorio ,
S. Teresa) ed al fine di favorire altro istituto, destinato alla educazione del-
l'infanzia, l'arciprete Pietro Castellini iniziò i lavori di trasformazione dei
vecch i locali della pretura, chiusi ed abbandonati, e dell 'attiguo oratorio
(Nicchie) della chiesa del Rosario: lavori che - con aggiunta di donazione
d 'un ampio cortil e - nel 1946, per trasferimento del Castel lini alla natì a
Pal ma Montechiaro, furono continuati e portati a compimento dal succes-
sore arci prete Vincenzo Birritteri , tuttora parroco della Chiesa Madre.
Cessate le ostilità, il Comune contò i suoi caduti (ventidue) sui lon-
tani fronti, ma, come per sottrarsi al ricordo degli orrori del la guerra, la
popol azione, nei vari quartieri, gareggiò nelle celeb razioni di feste reli-
giose.
Fu istituita una nuova fiera di merci ed animali , (la terza annuale del
Comune) con rico rrenza nell'ultima domenica di luglio, destinata alla ce le-
brazione della festa di S. Antonio. La festa del Corpus Domini , prima so-
fennemente celebrata dalla Chiesa Madre per otto giorni con musica, spa-
ro di mortaretti , ad dobbi di altarini entro le case private e nelle pubb lic he
vie, balconi ornati con coperte di seta e lancio di fiori al passaggio della
processione, divenne parrocchiale e come tale celebrata in giorni diversi
da ogni parrocchia. D'altro canto, se prima un sol giorno dell 'anno -
qu ello dell'Ascensione - era dest inato alle scampagnate ora si cercavano,
per renderle più frequenti , altre ricorrenze quali il primo giorno di quaresima
e il lu nedì dopo Pasqua.
Seccagrande! Vi dominava ancora, lungo la fascia costiera, l,a palma
nana, ma anche d'inverno, nelle belle giornate, la spiaggia non era più si-

- 78
lenziosa nè la solitudine rotta soltanto, come nel passato, dalla presenza di
qualche pastore, a guardia di greggi ed armenti al pascolo, che sostava sul
. .
ciglio dell'altipiano a guardare la sconfinata distesa delle acque. I riberesi
non pensavano più a costruirvi un porto ma la frequentavano e d'estate
l'affollavano, proponendosi di farne, oltre che una stazione balneare in piena
regola, anche un'accogliente località di villeggiatura, come dimostravano
già le prime costruzioni.
Nel paese due nuovi circoli furono fondati («Cappelli di Paglia» «ed
Unione») e fu iniziata la costruzione del «Cinema Sarullo» con sala da ballo
e grande terrazza per spettacoli estivi all'apert.o.
Scomparve la malaria con i trattamenti chimici adottati dagli Americani
durante il periodo d'occupazione.
Intanto rivendicazioni sociali, repubblica, governo di popolo erano pa-
role che correvano sulle labbra di tutti.
Un foglio quindicinale «Voce Amica» diretto con intelligenza dal
sacerdote Emanuele Gambino, si fece subito notare per la chiara esposizio-
ne dei problemi e trovò larga diffusione negli Stati Uniti d'America, fra gli
emigrati riberesi.
Venuti in missione, tredici Padri Passionisti, a loro ricordo, lasciarono la
croce di ferro, ch 'è collocata al Calvario. Rimasero alcuni giorni e la sera
nella Chiesa Madre, affollatissima, e nelle altre Chiese tennero delle con-
ferenze di carattere religioso e sociale.
Un celebre predicatore (padre Alessandrini), di passaggio da Ribera,
lasciò pure lungo ricordo di sè per un discorso ispirato, eloquentissimo ,
tenuto in una piazza.
Però gli stessi temi venivano giornalmente trattati dalle locali sezioni
socialista e comunista e spesso erano oggetto di lunghi discorsi che nelle
piazze, la folla fremente ascoltava.

-79 -
In occasione del referendum e delle prime elezioni amministrative che
portarono al Comune i partiti di sinistra (sindaco Ignazio Mascarella), di
quelle nazionali (eletti Michele D'Amico, comunista, Gaetano Di Leo demo-
cristiano), e di quelle regionali si arrivò al punto che i più vecchi e non
poche donne, portavano con sè la sedia e, seduti, rimanevano in paziente
attesa anche delle ore per udire l'oratore.

La questione del latifondo, sempre più agitata, ormai orientava ed as-


sorbiva l'attività della vecchia cooperativa «La Bonifica» e di altre due
nuove: "La Terra» comunista e «La Riforma» fra ex combattenti.

L'onorevole Antonino Parlapiano Velia, come prima, praticava gli esta-


gli più bassi ed a sue spese continuava a mantenere in vita il piccolo orfa-
notrofio femminile sistemato nei piani superiori dell'Ospedale «F.lli Parla-
piano».

Animato da vivo spirito d'indipendenza personale, superiore alle distan-


ze sociali, continuava a vivere a Ribera, in semplicità estrema, ispirandosi
ad alto sentimento di concordia ci\(ile e, per naturale bontà d'animo ed
elevato senso di comprensione, interveniva in mille modi in aiuto ai biso-
gnosi.

Sempre presente, aveva finanziato l'acquisto del fabbricato divenuto


sede dell'Istituto «Figlie di S. Anna», la costruzione delle opere murarie

esterne e del tetto della chiesa di «S. Teresa», l'altare maggiore in marmo,

la balaustra, pure in marmo , e la porta centrale della Chiesa Madre; contri-


buito al restauro della chiesa di S. Pellegrino; elargito in tempo di care-
stia, grano ...

Dopo il frazionamento degli ex-feudi del duca di Bivona, rimasto unico


latifondista del Comune, con scrittura 7 settembre 1946 egli concesse le sue

- 80-
Chiesa parrocchiale di S. Giovanni Bosco con annesso Orfanotrofio maschile
.. Comm. Filippo Bonifacio ••
terre (ex-feudi Donna Inferiore, Camemi e Giardinello) alla cooperativa a-
gricola «Francesco Crispi »; così facendo , intese venire incontro ai nuovi
tempi ma l'ultima ora del latifondo era ormai suonata. Infatti, prima ancora
della registrazione della scrittura, alcune centinaia di persone appartenenti
alla Cooperativa «La Terra» , il 16 dello stesso settembre, occupavano le
terre di Giardinello, iniziando l'estirpazione della palma nana, e due giorni
dopo il prefetto di Agrigento concedeva alla cooperativa occupante, per il
periodo di un anno, ettari 113,30 di terreno a pascolo ed ettari 0,76 di terreno
improduttivo rinviando per le modalità della presa di possesso (di fatto
eseguita l'otto ottobre successivo) e per le norme di conduzione ad apposi-
to disciplinare dell'Ispettorato Provinciale dell 'Agricoltura.
Non fu tutto. Nella notte sul 17 ottobre circa duemila contadini delle
cooperative «La Terra», «La Bonifica» e «La Riforma» invasero anche le
terre di Donna Inferiore. I tempi nuovi ormai imponevano l'attuazione dei
principi di giustizia sociale, iniziata nel primo dopoguerra.
Così il 2 novembre successivo, in accoglimento delle proposte della
Commissione, il Prefetto di Agrigento, decretava la concessione, in favore
delle tre cooperative, di ettari trecento dell'ex feudo Donna Inferiore, da
staccare nelle contrade Giuncheria, Ferlazzo e limitrofe, nonchè di ettari
settanta dal fondo Giard inello da distaccare dal confine dell'ex feudo
S. Pietro , nella zona dove già erano iniziati i lavori di estirpazione della
palma nana.
Alla cooperativa «Francesco Crispi » rimasero le altre terre prima in
affitto e poi in concessione enfiteutica.

- 81-
XII

DUE ORFANOTROFI

Fra tanta agitazione d'idee, principi, interessi e passioni non man-


carono le manifestazioni di solidarietà umana.
Per qualche tempo, un disegno esposto in una elegante vetrina d'un
negozio in un punto centralissimo, richiamò l'attenzione dei passanti:
raffigurava una bambina poveramente vestita, scalza, con i capelli arruf-
fati davanti alla porta di un grande orfanotrofio.
Un cO!T1itato fu costituito (Francesco Scalia, Giuseppe Grado,
Pietro Coniglio, Giuseppe Sajeva, Vincenzo Simonaro, Crispino Lombino
ed Alfonso Marchetta); non mancarono le offerte ma la spesa per l'ere-
zione dell'edificio si presentava superiore ad ogni possibilità locale.
Un appello ai riberesi emigrati negli Stati Uniti d'america, ripetuta-
mente fatto dal quindicinale «Voce Amica», fu accolto e due comitati sorse-
ro: uno ad Elisabeth (presidente Filippo Amari, componenti Giacomo Col-
letti, Lorenzo Giacobbe, Calogero Coniglio, Vincenzo Carlino, Domenico
Renda, Salvatore Caterinicchia); l'altro a Chicago, composto da Filippo
Bacino, James Di Giorgi, Nicolò Diana.
La nostalgia della tèrra lontana, l'amor di patria, l'ansia di venire in
aiuto alle orfanelle riberesi bisognose fecero il miracolo: nessuno emigrato

- 83-
riberese mancò all'appello e le offerte - per la loro generosità - supe-
rarono tutte le previsioni.

In tal clima, nello stesso tempo dell'erigendo orfanotrofio, nel nuovo


quartiere «Villa Isabella» una nuova chiesa, ricavata dalla trasformazione
di due magazzini donati da Filippo Bonifacio, commendatore di S. Gre-
gorio Magno, veniva aperta al culto e nel 1950 elevata a parrocchia.

Era soltanto ornata da un altare e da una bella statua del santo, da


cui prendeva il nome: «S. Giovanni Bosco», offerta da Francesca Simonaro
vedova Abisso.

In verità quella chiesa, sorta in un momento in cui tutti gli sforzi


erano diretti alla costruzione dell'orfanotrofio femminile, sembrava desti-
nata a rimanere nuda, umile, povera, alla periferia dell'abitato.

Fu invece una nuova pagina del commovente capitolo che il supe-


riore sentimento della solidarietà umana apriva.

Non furono costituiti comitati nè elaborati programmi e tutto avvenne


in silenzio per volere di poche persone.

Nel 1948, Vincenzo, Matteo e Rosa Bonifacio, sull 'esempio del padre
Filippo Bonifacio, e la madre Caterina Maniglia donarono all'arciprete
Birritteri, quale parroco della Chiesa Madre, i locali d'un ex-pastificio siti
in Ribera, corso Margherita (già corso Minore) composti da un vano ter-

rano , dodici a primo piano, scala d'accesso, accessori ed un magazzino


composto di due vani, con ingresso in via Castelli, confinante con la chie-
sa S. Giovanni Bosco.

Si trattava di locali semi-distrutti, ma l'arciprete Birritteri si propose


subito di fare un!altra grande opera di bene, un orfanotrofio maschile,
capace di ospitare 100 orfani, ed a tal fine lì riparò, trasformò , arredò ,

- 84-
fornendoli d'una grande cucina a gas per 200 ricoverati; poi acquistò anche
un tratto di terreno edificabile, confinante, esteso are 2,30.
Su suo invito, vennero i primi padri della congregazione religiosa «So-
cietà delle Divine Vocazioni con sede in Napoli, i quali aprirono subito
l'orfanotrofio maschile «Filippo Bonifacio» e inaugurarono la scuola d'arte
e mestieri (sezione falegnameria).
Però le difficoltà erano gravi e scoraggianti, specialmente per l'insuf-
ficienza dei locali.
Ed ecco che Francesca Simonaro vedova Abisso, già donatrice della
statua di S. Giovanni Bosco, vende la propria casa di abitazione, sita in
I:Jn punto centrale del paese e mette a disposizione dell'arciprete Birritteri
il prezzo che ne ricava, ritirandosi a vivere presso le Suore Francescane.
L'offerta si rivela veramente provvidenziale perchè in quel momento rende
possibile l'acquisto d'un appezzamento di terreno (recinto Palma) esteso
are 15,40, antistante all'orfanotrofio maschile e da questo soltanto sepa-
rato dalla strada statale, e così, si risolve in linea di mass ima il problema
dei locali. Non restano , per la disponibilità dell'intero recinto che due vani
terrani , ad uso pagliera, già diroccati, con ingresso in via Ospedale, ap-
partenenti ad altri proprietari ma lo stesso arciprete Birritteri li acquista
ed , insieme al recinto «Palma», li dona ai Padri Vocazionisti. Giunge così
sollecita ed imp revista l'ora della realizzazione ed i Padri Vocazionisti
senza indugio iniziano nel recinto la costruzione d'una ampia scuola indu-
striale conserviera e, appena possibile, mentre preparano l'apertura della
«sezi one meccanica» con macchinari del valore di lire 12.000.000, vi tra-
sferiscono la sezione «falegnameria»: trasferimento che rende liberi tutti
i locali dell'orfanotrofio e possibile anche il ricovero di altri orfani sino

all'esaurimento dei 100 posti.

- 85
Nello stesso tempo è portato a compimento con una spesa di 100 mi-
lioni di lire l'orfanotrofio femminile e giustamente due lapide collocate
all'ingresso ricordano i generosi promotori.
E' un 'opera veramente grande, architettonicamente imponente, con
due ingressi , ampia terrazza, chiesetta con campanile artistico ed aiuole.
Inaugurato con grande solennità (presenti il prefetto della provincia,
deputati, i rappresentanti dei due comitati di Elisabeth e Chicago, appo-
sitamente venuti, quelli del Comitato locale, e grande parte della popo-
lazione del Comune) e denominato «Orfanotrofio S. Giuseppe», è affidato
alle suore della congregazione «Le serve dei poveri » (Bocconiste).
Le ricoverate arrivano a 100.

- 86-
XIII

«VOI PURE MUTASTE NON POCO»

C'erano ormai periodi, in coincidenza con le campagne elettorali, du-


rante i quali la vita del paese avvertiva e faceva proprio un particolare
travaglio: il travaglio dei partiti.
I vecchi partiti stringevano le fila, e quelli di recente costituzione in
campo nazionale, come il partito Socialista Democratico Italiano e il Mo-
vimento Sociale, s'affrettavano ad aprire le rispettive sezioni.
La popolazione si presentava divisa in due blocchi contrastanti: da
una parte dai partiti di sinistra s'intendeva portare più avanti la posizione
vittoriosamente raggiunta e dall'altra, incoraggiata dai risultati dell'elezioni
nazionali del 1948, si contava d'arrivare, risalendo la corrente, a conqui-
stare la maggioranza.
Nelle elezioni regionali del 1951 i riberesi videro eletto un altro figlio
d'elezione di Ribera - Franco Di Leo, democristiano - e poterono con-
statare che nel Comune in quell'anno si trovavano residenti tre deputati
(due nazionali: Michele D'Amico e Gaetano Di Leo; uno regionale: Franco
Di Leo) ma, ciò nonostante, le forze dei partiti rimasero immutate. In
quello stesso 1951 le elezioni amministrative mantennero al Comune l'am-
ministrazione social-comunista e ve la confermarono ancora nel 1955:

- 87-
(sindaci comunisti Stefano Gullo ed Emanuele Cufalo) mentre quelle na-
zionali riportarono alla Camera dei Deputati il democristiano Gaetano
Di Leo.
Venne in quegli anni da New York a Ribera un uomo alto, distinto,
già sessantenne, e andò in giro per la campagna, a piedi, instancabile,
facendo vita piuttosto ritirata ; poi ripartì e circolò una sua composizione
poetica ...
«Ribera! mio suoi natio - son io, son io - Ricordi? L'adolescente
- che un dì ti lasciò, dolente - e mesto ora trova il ritorno - 'Quasi
vecchio ei ti rivede; - è stanco, deluso, e ti chiede - la gioia, la fede
d'un giorno ... ».
Era il dottor Di Giovanni che, emigrato diciottenne, ancora studente,
aveva voluto rivedere il paese natio quando già le sue composizioni (Alle
stelle - Poesia e Scienza - A Vincenzo Bellini - Alla Poesia - Igno-
rabimus - Manfredi - Terra e Luna - La prima pioggia ecc.) lo avevano
rivelato grande poeta lirico e la critica di lui si occupava con lusinghieri
giudizi. «Vi si riconosce - così in quel tempo Selezione Poetica - uno
di quei rari poeti, per i quali l'arte suole essere umana, più che uno spraz-
zo frettoloso dell 'estro, un lento e serio lavoro di pazienza, quasi cesel-
latura, che riesce a farsi senza ricadere nell 'artificioso e nel barocco.
Alcune liriche hanno respiro di poema. Le traduzioni da Keats e da Shelly
possono considerarsi tra le più perfette che sono state eseguite nel nostro
idioma».
Nella sua breve permanenza a Ribera vo!le soprattutto rivedere il
Verdura, il fiume della sua giovinezza, ne percorse le rive. Sì, era quella
la valle, quello il fiume: c'era sempre il vecchio molino ma ormai in ab-
bandono, diroccato ed il cammino era a lui nuovo: orti, due cartiere, giar-

- 88-
dini che prima non c'erano. Scrisse: «Vi guardo, bei campi - Voi pure
mutaste non poco ... - E' vero, è vero, tutto il mondo muta; - né più
quelli voi siete».
Si, tutto muta ed anche il natio borgo mutava e mutavano i suoi
costumi di vita. Ribera non era più il paese raccolto, tranquillo, dalla vita
tradizionale. Due nuovi quartieri, villa Isabella e - abbattuta l'antica chiesa
di S. Eligio, da tempo divenuta proprietà di privati ed adibita ad uso ma-
gazzino - del Pozzillo erano sorti; tre grandi edifici (il primo per scuole
elementari in via Platania, l'altro per scuole d'avviamento professionale
ed il terzo per scuole medie) accoglievano centinaia di studenti. Nelle
ore del mattino, circa 300 alunni di ambo i sessi, frequentavano il nuovo
istituto delle Suore Francescane, aperto per scuola materna, scuola ele-
mentare e taglio.
Il corso Umberto era sempre affollato da automobili in sosta o in
movimento; lungo gli stradali non circolavano più carri e rari diventavano
anche i quadrupedi e le biciclette.
Di buon mattino braccianti e contadini andavano al lavoro montati
sulle «vespe» e sulle <<l ambrette»; zappatrici meccaniche erano diventate
di largo uso. L'agricoltura rapidamente si rinnovava: fragole, arance, ba-
nane e frutta diversa erano note non più solo in Palermo ma anche in
altri centri della Sicilia e nei più importanti mercati oltre lo Stretto.
E si rinnovava l'abitato, ampliandosi con fabbricati decorosi, a primo
piano, che arrivavano ormai alla stazione ferroviaria.
Un 'arena signorile consentiva nelle calde serate estive il godimento
di spettacoli all'aperto e del lo stupendo panorama della valle del Verdura
e del mare; nelle vicinanze sorgeva ancora un'altra arena; un nuovo circolo,
col nome «Luigi Pirandello» rivelava le sue finalità culturali; i caffè si se-

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guivano ai caffè, tutti ben messi, per nulla inferiori a quelli delle città, af-
follati ed aperti sino a notte inoltrata.
Nel corso principale e nella via Roma i marciapiedi si presentavano
con mattonelle di asfalto e con mattonelle di asfalto venivano sistemate
Piazza Duomo e la spaziosa piazza antistante l'edificio scolastico «Fran-
cesco Crispi", mentre varie vie erano bitumate.
Anche la vecchia villa comunale, resa più accogliente dalla nuova
recinsione di leggere maglie di ferro, con la sua rotonda, i suoi amplia-
menti , il laghetto con cigni, la piccola fonte con pesci rossi, la galleria
verde e l'imponente bastione sul fianco occidentale, si metteva a livello
delle migliori ville comunali dell 'Isola.
Ribera mutava e prendeva da un anno all'altro un aspetto decisamen-
te cittadino. Rifatte parzialmente le fognature e la conduttura dell'acqua
potabile, alle vecchie case terrane composte d 'uno o due vani si sosti-
tuivano alla periferia fabbricati popolari dignitosi a più piani, con alloggi
di tre e quattro vani, con bagno; nei negozi, nei magazzini alle porte di
legno le saracinesche.
La Chiesa Madre veniva decorata con dorature e stucchi; ed anche
la nuda chiesetta di S. Pellegrino, a cura del sacerdote Territo, dopo im-
portanti restauri , era scompartita da Giovanni Bucalo in finti riquadri
decorativi con disegni simbolici, ed ornata nella volta della navata da una
grande pittura ad olio raffigurante la Incoronazione della Vergine e lateral-
mente da altri dipinti ad olio con le figure delle martiri Santa Lucia, Santa
Agnese, Santa Agata, e Santa Rosalia : tutte opere molto pregevoli per sen-
timento, armonia e ricchezza delle tinte, dolcezza delle linee e soprattutto
per espressione mistica.
A Seccagrande, collegata col Comune da strada bitumata, le case

- 90
dai prospetti civettuoli ormai s'allineavano, ingenti lite da aiuole, su un
lungomare illuminato, con luce elettrica, affollato da villeggianti e bagnanti
sino a notte. Nell'altipiano, per fervido interessamento del sacer-
dote Carmelo Gattuso e del comitato presieduto dal signor Paolo Di Caro.
su area donata dalla baronessa Giuseppina Spoto vedova Turano,
sorgeva già un'artistica ed accogliente chiesa, poi consacrata a Maria
SS. Stella del Mare.
Il vicino Borgo Bonsignore, pure collegato col Comune con strada
bitumata, aveva luce elettrica ed acqua.
L'elezioni del 1959 portarono al Comune la Democrazia Cristiana:
sindaco l'on. Gaetano Di Leo, deputato nazionale per la terza volta e nel
1963 per la quarta: sindaco nel 1964 il prof. Nicolò Inglese.
S'accelerò il ritmo delle opere. Furono: provvisti di marciapiedi in
mattonelle di asfalto il corso Marconi ed altre vie importanti; iniziate le
graduali eliminazioni dei vecchi ciottolati la sistemazione razionale delle
altre vie; prolungati i marciapiedi con mattonelle di asfalto del corso
Garibaldi sino alla stazione fe rroviaria; alberato il co rso Umberto; sosti-
tuita sullo stesso corso Umberto l'illuminazione elettrica con quella al
mercurio.
Ribera divenne un centro di studi: scuole magistrali statali, scuole
statali per geometri e ragionieri, istituto professionale statale, edificio
nuovo per le scuole medie, altro statale per duecento sordomuti; affidato
alle Suore Francescane un istituto per studentesse con sede nei locali
del SS. Oratorio, ampliati e trasformati.
L'ospedale «F.lli Parlapiano», già fornito di due sale ch iru rgiche e di
gabinetto oculistico e rad iologo, fu ampliato con nuovo padiglione ; la
piazza Navarro fu destinata a sede d 'Istituto di maternità ; la Banca Po-

- 91-
polare di Ribera succedette alla vecchia Banca Popolare e la Banca Si-
cula istituì una sua agenzia. S'impose la necessità della costruzione di una
via di circonvallazione per ridurre il movimento degli automezzi. Con atto
15 giugno 1961 , notar Stalteri, l'Arciprete Birritteri donò alla «Società delle
Divine Vocazioni » un appezzamento di terreno, sito alle porte di Ribera,
esteso are 76,05, acquistato con impiego anche di somme da lui raccolte
negli Stati Uniti d'America, per costruirvi una casa di riposo per anzian i.
Nello stesso tempo alla foce del Platani , di fronte alle rovine dell 'antica
Eraclea, l'arenile diventava bosco rigoglioso di migliaia di alberi di pini
e di eucalipti. Si popolavano le campagne di case rurali e di vie inter-
poderali.
Le acque del Verdura e del Magazzolo erano fina lmente app rezzate
nel loro giusto valore quale fonte preziosa di ricchezza e si teneva conto
che la maggior parte di esse, non utilizzate, andava sem pre a fi nire a
mare.
Sul Magazzolo la costruzione della prima opera (uno sbarramento
del subalveo del fiume e la formazione d'un invaso della capacità di circa
400.000 mc. di acqua) iniziata nel 1952 era portata a comp imento e la spesa
di oltre 300 milioni di lire si rivelava molto utile; incoraggiava grand i tra-
sformazioni in tutte le zone sottostanti, non faceva più guardare l'agricol-
tura con lo spirito del passato ed impianti di agrumeti specializzati e frut-
teti vari erano sollecitamente eseguitI.
In realtà però l'opera non era che un grande passo iniziale perchè i
sistemi d'irrigazione in uso rendevano irrigui , lungo la fascia de l Verdura
ed in minor parte del Magazzolo, soltanto 1.500 dei 16.000 ettari costi -
tuenti il territorio del Comune.

- 92 -
XIV

PROGREDIRE SEMPRE

Negli ultimi anni 591 ettari di terreno sono stati dall 'E.R.A.S. conse-
gnati a 127 assegnatari.

Secondo precisazione fatta nel 1962 da Girolamo Scaturro, deputato


al Parlamento Siciliano dal 1959, ben 5.000 lavoratori dell 'agricoltura e

dell 'industria nell 'ultimo decennio sono emigrati da Ribera. Ciò nonostante,
la popolazione del Comune nello stesso 1962 risultò di 19.870 abi~anti.

L'imponente emigrazione ha risolto il problema della disoccupazione

ma ha creato quello di una quasi permanente mancanza di mano d'opera


in tutti i settori.

I risultati dovuti alla trasformazione nel campo dell'agricoltura con


gli ampliamenti della canalizzazione a scopo irriguo sono per sè imponenti.

La produzione media annua apprç>ssimativa è: grano oltre 200.000 q.1i


arance 25.000 quintali - fragole q.li 1.000-1 .200 - pere q.1i 5.000;
decaduta la produzione della banana per la sopravvenuta concorrenza di
quella somala; pomodoro q.1i 35.000 - cotone q.li 7.000 - olio q.li 4.000

uva q.li 25 .000 - mandorle q.li 16.000; pesche, susine ecc. rispettiva-
mente nell 'ordine di centinaia di quintali.

- 93-
Sulla scorta di tali elementi l'apertura della scUola industriale con-
serviera si presenta degna d'essere pienamente sostenuta.
Notevolissimo è nelle terre non irrigue l'impianto di nuovi mandorleti
e vigneti.
Studi preliminari già eseguiti hanno posto in evidenza la necessità
della costruzione d'un serbatoio in località Castel lo, quota 280, in ter-
ritorio di Alessandria della Rocca: serbatoio della capacità di circa 15 mi-
lioni di metri cubi d'acqua destinato a consentire il collegamento delle
acque del Magazzolo con quelle del laghetto Gorgo e, col completamento
della rete di canalizzazione, ad estendere la zona di irrigazione ad altri
tre mila ettari del territorio di Ribera (Contrade Spataro, Piccirilla, Giordano,
Piana Giummarella, Magone, Mazzarino, Camemi, Piana Grande sino al
mare).
<<I terreni, così si legge in una relazione dell 'E .R.A.S., che beneficiano
e che potrann o beneficiare dell'irrigazione relativa a questo programma
sono particolarmente suscettib ili a trarne un alto giovamento e le colture
ortive ed arboree, di alto reddito, potranno trovarvi l'ambiente più adatto ,
come stanno dimostrando gli orti e gli stupendi agrumeti della conca del
Verdura ed i nuovi del Magazzolo. Trattasi infatti di terreni in parte allu-
vionali recenti, in parte su tufi calcarei conglomerati terziari e quaternari,
sciolti, permeabili, freschi e profondi.
/I clima è molto mite e la zona non è eccessivamente soggetta ai venti

sciroccali. Si prevede che gli orti e gli agrumeti potranno essere lalla
base dei nuovi ordinamenti colturali».
An,che il Verdura è divenuto oggetto di studi particolari.
E' un grosso fiume, d'inverno soggetto a straripamenti.
Ettari ed ettari delle migliori terre vengono annualmente inondati e

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non pochi, erosi dalla furia dell'acque, sono trasportati a mare con gra-
vissimi danni dei piccoli proprietari rivieraschi.
Un progetto di arginatura del fiume, dell'importo di 190 milioni di lire,
prontamente elaborato, è tuttora in corso, in seguito ad osservazioni mosse
dall'ufficio competente.
Altro progetto per la razionale utilizzazione dell'acque di scarico della
centrale elettrica di Poggio Diana, valutate in litri 3.500 al secondo, è stato
invece favorevolmente accolto; non viene aumentata la superficie irrigua,
ma assicura la sufficienza irrigua a circa 500 ettari , anche nei periodi di
siccità e di inattività della centrale.
Altri studi sono stati predisposti per la costruzione di un invaso in
località Martusa, sullo stesso fiume Verdura.
L'invaso dovrebbe sorgere nella valle delle Giraffe con la capacità
di circa 10 milioni di metri cubi d'acqua, ed aumentare di circa 1.800 et-
tari l'estensione dell'attuale zona irrigua del Verdura, in essa compresa
parte della piana di Martusa e della pianura del Verdura sino alle terre
di Macauda da un lato ed al torrente Bellapietra dall'altro.
Con le opere di canalizzazione, in parte in corso, in parte in istato di
progettazione, e con la costruzione degli invasi Castello e Giraffe, la
zona d'irrigazione da circa 1.500 ettari , qual 'è in atto, dovrebbe arrivare
à 7.000 ettari e costituire una fascia ininterrotta lungo il mare, per circa
25 chilometri.
Si tratta in realtà d'un avvenire veramente grande e per la sua
realizzazione i figli di Ribera lottano col lavoro tenace e con coraggio.

Ribera, ottobre 1964.

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INDI CE

RIBERA

Il PRIME CHIESE

III COMUNE FEUDALE

IV VINCENZO NAVARRO

V UNITA' COMUNALE

VI DAL 1848 AL 1860

VII COMUNE DEL REGNO D'ITALIA

VIII PRIMO VENTENNIO DEL SECOLO XX

IX LOTTA CONTRO IL LATIFONDO

X TEMPI NUOVI

XI DUE ORFANOTROFI

XII cc VOI PURE MUTASTE NON POCO »

XIII PROGREDIR SEMPRE


BIBLIOGRAFIA

M. AMARI: Storia dei Musulmani in Sicilia

ARCI-UVIO: Chiesa Madre di Ribera: Registri battesimi

1656 . 1963

ARCHIVIO COMUNALE DI RIBERA: Deliberazioni 1860 • 1861 ·1901

v. CARDILLO: La rivoluzione siciliana del 184849

F. CHIARAMONTE: Ribera

F. CRISPI: Mozione alla Camera dei Comuni di Palermo ed allegati -

(certificazione 5 giugno 1948 del segretario del Comitato

provvisorio e verbale di riunione del Comitato provvisorio

25 aprile 1848)

G. FARINA: Appunti storici

V. NAVAIlRO: Accenni storici di Ribera

SAVASTA: Sciacca

I. SCATURRO: Storia di Sciacca

Atto eli costituzione del circolo «Buoni Amici» di Ribera

31 marzo 1844

Libri di cultura
TIPOGRAFIA VESCOVILE

DEI PADRI VOCAZIONISTI

AGRIGENTO 1966
L. 1.000

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