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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA

DIPARTIMENTO DI CHIMICA E CHIMICA INDUSTRIALE


CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN CHIMICA
(CLASSE LM – 54 SCIENZE CHIMICHE)
CURRICULUM INORGANICO

STUDIO DELLE CARATTERISTICHE ELETTROCHIMICHE DEL


CLUSTER
{Pt3}(CO)2 - C≡C - C≡C – (CO)2{Pt3}
[{Pt3} = Pt3(μ – Pbut2)3 ]

Relatore Candidato
Prof. PIERO LEONI Emanuele Giampedroni

Controrelatore
Prof. LORENZO DI BARI

ANNO ACCADEMICO: 2013-2014

1
2
Indice
1 Riassunto 5

2 Introduzione 7

2.1 Nuovi Materiali Magnetici Inorganici e Organometallici 8

2.2 Proprietà Magnetiche di Cluster di Metalli di Transizione 12

2.3 Cluster e strutture Policluster di platino 14

2.3.1 Cluster trinucleari di platino 17


2.3.2 Cluster trinucleari di Platino contenenti leganti σ – alchinilici 22
2.3.3 Composti molecolari contenenti due unità cluster 25

3 Risultati e discussione 30

3.1 Preparazione di (CO)2{Pt3}-CC-CC-{Pt3}(CO)2 (20) 30

3.2 Misure elettrochimiche 31

3.2.1 Spettroelettrochimica – IR 31

3.3 Ossidazione chimica di 20 39

3.3.1 Tentativi di ossidazione mono - elettronica di 20 40


3.3.2 Tentativi di ossidazione bi – elettronica di 20 41

4 Conclusioni 45

5 Parte sperimentale 47

5.1 Generalità 47

5.2 Solventi e reattivi 47

5.3 Misure chimico – fisiche 48

5.3.1 Misure elettrochimiche 48

5.4 Sintesi 50

5.4.1 Sintesi di [{Pt 3}(CO)3]CF3SO3 (1) 50


5.4.2 Sintesi del complesso [{Pt 3}(CO)2Cl] (3) 50
5.4.3 Sintesi del complesso (CO)2{Pt3} – CC – CC - {Pt3}(CO)2 (20) 50

3
5.4.4 Ossidazione mono - elettronica del complesso {Pt 3}(CO)2 – CC – CC -
(CO)2{Pt3} (20) 51
5.4.5 Ossidazione bi - elettronica del complesso Pt3}(CO)2 – CC – CC - (CO)2{Pt3}
(20) 51

Appendice A Voltammetria Ciclica 53

Appendice B Spettroelettrochimica 58

B.1 Spettroelettrochimica di complessi organometallici ricchi di carbonio 60

Appendice C Spettroscopia NMR 62

6 Bibliografia 69

4
Capitolo 1
Riassunto
Questa tesi è inserita in un programma di ricerca che riguarda la sintesi di cluster di metalli
del gruppo 10, lo studio della loro reattività e del loro comportamento redox. Obiettivo a
breve termine del progetto è trovare le condizioni che consentano di utilizzare questi
cluster come sintoni per la preparazione di composti oligomerici che contengano più unità
cluster (strutture “policluster”) connesse da spaziatori organici o organometallici a diverso
grado di coniugazione. A lungo termine ci si propone di utilizzare le conoscenze acquisite
per la progettazione di materiali “smart”, che sfruttino le caratteristiche peculiari delle
unità cluster, ad esempio la loro capacità di funzionare da riserve di elettroni o le loro
proprietà magnetiche.
In lavori precedenti era stata messa a punto la sintesi del cluster a 44 elettroni di valenza
[{Pt3}(CO)3]CF3SO3(1) [{Pt3} = [Pt3(μ-PBut2)3], che può essere facilmente funzionalizzato
mediante sostituzione parziale o completa dei leganti C≡O. Il precursore 1 e i suoi derivati
possono essere trasformati, mediante ossidazione, nelle corrispondenti specie a numero di
elettroni dispari e quindi magneticamente attive, termicamente più stabili rispetto ad altri
cluster a bassa nuclearità paramagnetici, che hanno in genere vita media molto breve. Tra
gli obiettivi del progetto era quindi la ricerca delle condizioni (set di leganti) che avessero
reso queste specie abbastanza stabili da poter essere impiegate come sintoni per la
costruzione strutture “policluster” paramagnetiche. Già in precedenza era stato osservato
che sostituendo uno o più gruppi carbonilici con leganti quali alogenuri o isonitrili si
ottenevano discreti miglioramenti in termini di stabilità delle specie radicaliche formatesi
in seguito a processi di ossidazione. Altrettanto interessante si è dimostrata la sostituzione
di un legante carbonile con leganti di tipo σ-alchinilico; quando il legante è un bis-
alchinile, oltre ad avere un notevole effetto sulla stabilizzazione delle specie radicaliche,
rende possibile la sintesi di “dimeri” di cluster triangolari di platino, fungendo da
spaziatore organico tra i due centri polimetallici. L’utilizzo di specie π-coniugate può
inoltre consentire un certo grado di comunicazione elettronica tra i due cluster posti agli
estremi del ponte organico.
In un precedente lavoro di tesi sono stati sintetizzati i seguenti cluster: (CO) 2{Pt3}-CC-1,4-
C6H4-CC-{Pt3}(CO)2, (19), (CO)2{Pt3}-CC-CC-{Pt3}(CO)2, (20), (ButNC)2{Pt3}-CC-1,4-
C6H4-CC-{Pt3}(CNBut)2, (21), e (ButNC)2{Pt3}-CC-CC-{Pt3}(CNBut)2, (22), per due dei

5
quali (20 e 22) l’indagine voltammetrica ha evidenziato una buona comunicazione
elettronica tra le unità cluster.
In questo lavoro di tesi ci siamo proposti di approfondire le conoscenze elettrochimiche
relative al cluster 20. La spettroelettrochimica IR è stata uno strumento importante per
questo scopo, poiché ci ha permesso di di caratterizzare i composti elettrogene rati nei tre
processi redox mostrati dalla voltammetria ciclica e di valutare meglio la loro effettiva
stabilità termica. In effetti, mentre la voltammetria ciclica indicava che il composto 20
subisce una prima ossidazione bielettronica, che forma il dicatione 202+, seguita da due
processi monoelettronici che generano prima il tricatione 203+ e poi 204+ e suggeriva che
tutte queste specie fossero termicamente stabili, grazie alla spettro elettrochimica, che
richiede tempi più lunghi, ha mostrato che in realtà i cationi 203+ e soprattutto 204+
decompongono molto rapidamente. Il dicatione 202+ risulta più stabile e la sua formazione
è stata riprodotta anche per via chimica, ossidando il composto “bicluster” 20 con due
equivalenti di [FeCp2]PF6 o di AgPF6. Il sale 20(PF6)2, formatosi in questa reazione è
stabile allo stato solido anche se non sembra stabile in soluzione per tempi molto
prolungati, soprattutto in presenza di ossigeno.
Sono stati eseguiti anche alcuni tentativi di ossidazione monoelettronica, facendo reagire il
composto bicluster 20 con un equivalente di ossidante, per verificare se in condizioni
diverse fosse stato possibile almeno osservare come specie transiente il monocatione 20+,
che non si forma nelle condizioni in cui sono state condotte le prove elettrochimiche.

6
Capitolo 2

Introduzione

La costruzione di grandi aggregati molecolari contenenti metalli di transizione, dei quali


sia possibile definire in anticipo la struttura tridimensionale e le proprietà chimico-fisiche,
costituisce una delle sfide più interessanti della moderna chimica inorganica. 1 L’interesse
per questo tipo di strutture è anche dovuto alla possibilità di utilizzarle nella costruzione,
seguendo lo schema bottom up, di macchine o dispositivi molecolari e, in generale, di
materiali cosiddetti intelligenti, in quanto in grado di svolgere specifiche funzioni in
risposta a stimoli esterni di vario tipo (irraggiamento, variazioni di pH, temperatura,
pressione, potenziale elettrico, presenza di specifici gas, ioni, biomolecole, etc.). 2 Vengono
preparate utilizzando diversi tipi di mattoni inorganici ed organometallici: da semplici
frammenti mononucleari LnM1-3 a unità dinucleari,4 catene lineari di centri metallici, 5
porfirine,6 poliossometallati,7 dendrimeri.8 Negli ultimi decenni sono state sviluppate
sintesi che prevedono l’impiego di composti di elementi dei gruppi principali, come
carborani9 e fullereni.10 Questi elementi strutturali vengono combinati tra loro da spaziatori
organici od organometallici. Grazie alle interessanti proprietà redox dei cluster di metalli di
transizione,11 che sono ritenuti validi candidati per l’assemblaggio di dispositivi adatti alla
conservazione dati e potrebbero rappresentare la soluzione definitiva per la
miniaturizzazione nel campo della microelettronica, 12 sta crescendo anche l’interesse per
strutture molecolari, spesso lineari o dendrimeriche, che contengono due 13,14 o più15,16 unità
cluster connesse da spaziatori con diverso grado di coniugazione. 12b,17 I cluster metallici
sono strutture a composizione definita contenenti da tre a oltre cento centri metallici legati
da legami covalenti metallo-metallo e stabilizzati da uno strato esterno di leganti. Per
essere adatti a questo tipo di impiego devono soddisfare questi requisiti:
 La sintesi dei cluster molecolari produce spesso complesse miscele di derivati con
diversa nuclearità e/o struttura. Specialmente quando il metallo è molto costoso,
questo preclude ulteriori studi di reattività. La sintesi deve quindi fornire il cluster in
alta resa e buona purezza.
 Il cluster deve essere resistente a reazioni di condensazione e/o frammentazione, che
sono piuttosto comuni se non si stabilizza opportunamente la struttura polimetallica
(p.es. introducendo atomi interstiziali o utilizzando leganti che si dispongono
stabilmente a ponte tra due o più centri metallici).

7
 Avere siti reattivi che consentano di ancorare il cluster ad altri frammenti molecolari;
è tuttavia auspicabile che siano presenti in numero limitato siti che hanno reattività
molto simile, in modo da ridurre la formazione di miscele di prodotti.

2.1 Nuovi Materiali Magnetici Inorganici e Organometallici

Lo studio dei materiali magnetici ha ricevuto un impulso straordinario negli ultimi anni,
grazie allo sviluppo dei concetti che stanno alla base del magnetismo molecolare. 18,19,20 La
crescente attenzione rivolta a questi nuovi materiali è giustificata, da una parte, dal fatto
che la natura molecolare di tali composti ne garantisce l’isolamento in forma pura, spesso
cristallina e quindi caratterizzabile con tecniche diffrattometriche oltre che spettroscopiche.
Questo assicura, inoltre, proprietà fisiche ben definite e riproducibili, che possono essere
variate in modo fine e controllato attraverso modifiche della struttura molecolare. D’altra
parte, sono previste ormai applicazioni tecnologiche di grande interesse, soprattutto nel
campo dell’elettronica molecolare e del calcolo basato su effetti quantici (quantum
computing).21
Lo sviluppo dei magneti molecolari organici ha avuto inizio dopo la scoperta che il
radicale nitronil nitrossido dà luogo ad una transizione ferromagnetica alla temperatura di
Curie (TC) di 0.6 K (Figura 1). Sebbene la temperatura estremamente bassa escluda
qualsiasi applicazione pratica, la scoperta fu ritenuta di fondamentale importanza, poiché
dimostrava che il ferromagnetismo molecolare era possibile. 22

Figura1. Strutture di radicali organici stabili con Tc o Tn < 40K

8
Il forte interesse suscitato da questo lavoro ha incentivato il proseguimento dello studio di
questi materiali, portando alla sintesi e caratterizzazione di altri radicali organici stabili con
TC più elevata23 e, successivamente, di polimeri organici poliradicalici. 23,24 Tuttavia, tra i
magneti molecolari studiati da quel momento in poi, quelli che hanno visto uno sviluppo
maggiore sono quelli contenenti metalli di transizione (in alcuni casi con l’aggiunta di
lantanidi). I primi risultati importanti in questo settore si sono ottenuti con il sale
[Cp*2Fe+]TCNE- (Figura 2),25 il quale mostra una transizione ferromagnetica con una T c di
4,8 K. Gli sviluppi successivi a questo lavoro, hanno portato alla caratterizzazione di
magneti molecolare ordinati in 1-, 2-, o 3- D con TC crescenti [per il composto
V(TCNE)2·yCH2Cl2, TC > RT].26

Figura2. Strutture di magneti molecolari contenenti l’anione TCNE-

Un’altra classe interessante di composti è sicuramente quella dei cosiddetti “single


molecule magnets” (SMM), dei quali il composto Mn12O13(OAc)16(H2O)4 (Figura 3) è
considerato il capostipite.27 Gli SMM sono molecole bistabili ad alto spin e ad alta
anisotropia assiale che mostrano una isteresi di origine molecolare per l’inversione della
direzione di magnetizzazione; ciò significa che la molecola può essere magnetizzata
all’interno di un campo magnetico e mantenere la magnetizzazione anche dopo che il
campo magnetico viene spento. A differenza dei magneti tradizionali, in cui sono
importanti le interazioni intermolecolari, questa proprietà dipende esclusivamente dalle
proprietà intrinseche della molecola. La molecola può essere dissolta in solvente o in altre
matrici, come ad esempio polimeri, o supportata su superfici solide, continuando a
mostrare questo comportamento.

9
Figura3. Struttura e spin totale del primo composto SMM: Mn12O13(OAc)16(H2O)4
In seguito a questa scoperta sono state sintetizzate molte altre molecole inorganiche che si
comportano come SMM, caratterizzate dalla presenza di più centri metallici (da 4 a 30),
generalmente isolati e collegati tra loro da leganti a ponte (ossido, idrossido, alcossido,
carbossilato, alogenuro,…).28 Alcuni leganti formano una sfera “protettiva” che protegge la
molecola da eventuali meccanismi di scambio con altre molecole. Generalmente i centri
metallici sono costituiti da atomi di manganese, anche se sono noti esempi di derivati di
ferro,29,30 cromo,31 cobalto32 o nichel.33 Oltre a Mn12O13(OAc)16(H2O)4, che contiene
quattro centri MnIV, ciascuno con S = -3/2, e otto centri MnIII (S = 2 per ognuno) ed ha
quindi spin totale S = 10, altri composti appartenenti a questa classe e studiati in dettaglio
sono [(tacn)6Fe8(O)2(OH)12(H2O)]8+ (tacn = 1,4,7-triazaciclononano),30 che contiene otto
centri FeIII (S = 5/2), sei spin up e due spin down, ancora con spin totale S = 10, e
[Mn4O3Cl4(CH3CH2COO)3(py)3]2,34 con un centro MnIV (S = -3/2), e tre centri MnIII (S =
2), che ha spin totale S = 9/2 (Figura 4).

Figura4. Strutture molecolari di [(tacn)6Fe8(O)2(OH)12(H2O)]8+ e


[Mn4O3Cl4(CH3CH2COO)3(py)3]2.

10
In alcuni casi, sono stati descritti SMM con un numero di centri metallici superiore a quelli
mostrati finora, ne è un esempio il composto ad anello
[Mn84O72(O2CMe)78(OMe)24(MeOH)12(H2O)42 (OH)6]· x H2O · y CHCl3, che ha uno spin
totale S = 6 (figura 5).35

Figura5.Struttura molecolare e impacchettamento di


[Mn84O72(O2CMe)78(OMe)24(MeOH)12(H2O)42(OH)6]· x H2O · y CHCl3

Sono noti, infine, anche derivati con struttura sostanzialmente diversa, tra i quali i più
numerosi sono caratterizzati dalla presenza di leganti cianuro a ponte, ed hanno strutture
correlate a quella del pigmento Blu di Prussia KFeIII[FeII(CN)6] (Figura 6).36

Figura6. Struttura del pigmento Blu di Prussia (KFeIII(FeII(CN)6].

11
2.2 Proprietà Magnetiche di Cluster di Metalli di Transizione

In generale i composti molecolari che hanno mostrato caratteristiche magnetiche


interessanti sono i derivati polimetallici con leganti a ponte (PLP) descritti nella precedente
sezione.
Meno note sono le proprietà magnetiche di cluster di metalli di transizione. Cluster con
nuclearità medio-bassa (LnMm, m ≤ 6) sono frequentemente specie a numero di elettroni di
valenza (NEV) pari e diamagnetiche, quindi di scarso interesse dal punto di vista delle
proprietà magnetiche. Al contrario le specie con NEV dispari, che hanno almeno un
elettrone spaiato, sono molto più interessanti, ma rare e spesso instabili. 37 All’aumentare
della nuclearità del cluster il numero di orbitali molecolari aumenta rapidamente, mentre le
differenze di energia tra gli orbitali stessi diventano sempre più piccole. Quando la
differenza di energia HOMO-LUMO diventa dello stesso ordine di grandezza di kT,
diventa sempre più probabile che anche un cluster con NEV pari abbia una struttura di
stato fondamentale (o comunque facilmente accessibile) di alto spin. Gli aspetti
sperimentali correlati a questo tema sono stati oggetto di intenso e controverso dibattito. In
effetti molti dei cluster impiegati sono soggetti a vari processi redox che procedono
attraverso stadi monoelettronici reversibili e si è dimostrato che, per esempio, il
paramagnetismo attribuito alle specie con NEV pari [Fe 3Pt3(CO)15]2 (86e ) o
[Ag13Fe8(CO)32]3 (274e ) era in realtà da attribuire alla presenza di impurezze delle
corrispondenti specie con NEV dispari, quella monoossidata per il primo ([Fe 3Pt3(CO)15] ;
85e )38 e quella monoridotta per il secondo ([Ag13Fe8(CO)32]4 ; 275e ).38 Tuttavia, la
previsione, basata su calcoli DFT, che i cluster [Fe6Ni6N2(CO)24]2 , [Co11RhN2 (CO)24]2 e
[Co10Rh2N2(CO)24]2 (tutti a 168 e ) dovessero essere caratterizzati da uno stato
fondamentale di tripletto (S = 1) è stata confermata da misure EPR.39 Un altro studio
dettagliato, condotto sul composto [Co8Pt4C2(CO)24]2 (170 e ) e basato su dati
cristallografici, NMR, EPR, elettrochimici e su misure di magnetometria SQUID, ha
indiscutibilmente confermato che il paramagnetismo della molecola deriva da uno stato
fondamentale di tripletto.40 Inoltre è stato dimostrato che le proprietà magnetiche del
cluster [Ni16Pd16(CO)40]4 (404 e ) sono compatibili con la presenza di quattro elettroni
spaiati.41 Altri cluster paramagnetici con S > 1/2 sono i derivati triangolari Cp3Co3S2,42
Cp*3Co3(CO)243 e Cp2Cp*IrCo2(CO)2,44 a 50 o 46 elettroni di valenza, che contengono due
12
elettroni spaiati o partecipano a equilibri singoletto-tripletto, Cp4Ni4H3 (NEV = 63, S =
3/2),45 [Cp6Ni6] (NEV = 89, S = 3/2)46 o [Cr2FeE2(CO)10]2 (E = Te, Se; NEV = 54, S =
2).47 Sebbene questi siano valori di S relativamente elevati per un cluster molecolare, sono
ancora estremamente bassi se messi a confronto con i derivati PLP descritti nel paragrafo
precedente, nei quali la molteplicità di spin varia da 3 fino a ben 51/2. 29 E’ però
ragionevole credere che, al crescere delle dimensioni del cluster, il progressivo infittimento
degli orbitali di frontiera possa permettere l’isolamento di specie con un numero crescente
di elettroni spaiati, indipendentemente dal fatto che il NEV sia pari o dispari. Poiché al
contrario di quello che succede nei composti PLP, dove gli elettroni spaiati sono localizzati
su orbitali atomici dei singoli ioni metallici, nei cluster molecolari gli spin disaccoppiati
sono disposti in orbitali molecolari delocalizzati su più centri metallici (e talvolta anche sui
leganti), i cluster molecolari, soprattutto quelli di grandi dimensioni, potrebbero in futuro
costituire i mattoni per l’assemblaggio di materiali magnetici di nuovissima
concezione.40,41,48 Le proprietà magnetiche dei derivati PLP dipendono dalla presenza di un
certo numero di singoli centri metallici magneticamente attivi nella stessa molecola, da
come questi sono ordinati nella struttura molecolare e da come i leganti a ponte mediano
gli accoppiamenti tra gli spin dei vari centri metallici. 29 In maniera analoga sarebbe di
grande interesse riuscire a costruire molecole, ordinate i 1-, 2- o 3-D, che contengano due o
più unità cluster magneticamente attive saldamente connesse tra loro da leganti a ponte
organici, inorganici o organometallici. In questo modo si potrebbero studiare gli effetti
sulle proprietà magnetiche della delocalizzazione degli spin sui centri metallici costituenti
il cluster, e fare un confronto con le proprietà magnetiche dei composti del tipo PLP.
Sebbene si sia sviluppata solo negli ultimi decenni, la ricerca sull’impiego di cluster
molecolari come sintoni organometallici ha già prodotto centinaia di composti che
contengono due cluster, spesso due unità triangolari M3 (M = Co, Os, Mo, W o Ru),
connesse da vari tipi di leganti a ponte, che sono frequentemente difosfine o bis – carbini.49

Figura7. Esempi di strutture policluster

13
Tuttavia, la preparazione di oligomeri o polimeri solubili che contengono unità cluster
saldamente inserite nella catena polimerica principale è stata descritta in un numero molto
limitato di casi,50 che si amplia di poco se si includono polimeri contenenti catene lineari di
metalli di transizione51 (la formazione di catene lineari è rara nella chimica dei cluster di
metalli di transizione, ed è indotta da leganti progettati ad hoc), polimeri con unità cluster
legate a ramificazioni della catena principale del polimero, 52 dendrimeri53 o composti che
conservano la loro natura oligomerica solo allo stato solido. 54

2.3 Cluster e strutture Policluster di platino

O
C 2+
OC P CO O
C
P Pt P
Pt
P P OC Pt Pt CO
Pt Pt
P P
C
O OC CO

Figura8. Struttura dei cationi [Pt3(μ-PBut2)3(CO)3]+, (1)+, e [Pt6(μ-PBut2)4(CO)6]2+, (2)+.

Un contributo significativo in questo settore è stato fornito dal laboratorio presso il quale è
stato svolto questo lavoro di tesi. Si è infatti mostrato che il cluster triangolare a 44 e
[Pt3(μ-PBut2)3 (CO)3]CF3SO3, e il cluster esanucleare a 82 e [Pt6(μ-
PBut2)4(CO)6](CF3SO3)2 (figura 8), sono adatti ad essere impiegati come sintoni
organometallici.55
Questi cluster possono i) essere preparati con rese e purezza soddisfacenti; ii) hanno un
cuore Pt3P3 o Pt6P4 notevolmente stabile, che resiste inalterato in molte delle condizioni
necessarie per l’accrescimento della struttura; iii) tutti i loro derivati sono termicamente
stabili e, almeno dopo l’isolamento, non reagiscono con l’ossigeno o l’umidità atmosferica;
iv) hanno pochi siti reattivi posizionati in modo da consentire una ragionevole previsione
sulle strutture ottenute in una serie di trasformazioni. L’elevata stabilità del nucleo Pt 3P3 e
Pt6P4 dei cluster 1 e 2 è da attribuire principalmente all’elevato ingombro sterico dei
sostituenti t-butile legati agli atomi di fosforo che avvolgono completamente gli atomi

14
centrali lasciando libero un numero limitato di posizioni reattive (figura 9), i tre siti di
coordinazione (coplanari e disposti a 120° l’uno dall’altro) che legano i leganti carbonilici
nel cluster triangolare e i due siti di coordinazione ai quali sono legati i due carbonili
“apicali” che giacciono sull’asse C2 longitudinale del cluster esanucleare (a 180° l’uno
rispetto all’altro, adatti alla costruzione di oligomeri lineari).

Figura9. Modelli ball-stick e space-filling delle strutture dei cationi [Pt6(μ-


PBut2)4(CO)6]2+ e [Pt3(μ-PBut2)3(CO)3]+.
La possibilità di funzionalizzare queste posizioni con leganti anionici quali idruro,
alogenuro, pseudo-alogenuro, alchinile, o con leganti neutri, come isonitrile, fosfina, nitrile
o piridina, in reazioni che procedono generalmente con buone rese e forniscono i composti
desiderati con grado di purezza elevato, 56 ha consentito l’utilizzo dei cluster 1 e 2 come
precursori di molecole “policluster” come quelle illustrate in figura 10. 55

Cl

(25)
H H
CuI
Et2NH
16 27

H Cl
Cl Cl
25
(10)
H H
CuI CuI
Et2NH
Et2NH
H
28

Figura10. Strutture policluster ottenute a partire dai cluster 1 e 2

E’importante sottolineare che l’elevato ingombro sterico intorno alle singole unità cluster,
che ne ha reso possibile l’utilizzo per la sintesi delle molecole illustrate in figura 10,
potrebbe giocare un ruolo determinante anche nella stabilizzazione di cluster con NEV

15
dispari, che, soprattutto quando la nuclearità è bassa come in queste specie, sono
generalmente specie instabili con ridotta vita media. Esempi di cluster paramagnetici
stabilizzati da un elevato ingombro sterico sono già noti in letteratura. 57

16
2.3.1 Cluster trinucleari di platino
Mantenendo a riflusso sotto atmosfera di CO una sospensione del derivato dinucleare
Pt2[μ-P(t-Bu)2]2(H)2[P(t-Bu)2H]2 in toluene, si ottiene il cluster triangolare neutro a 44 e
Pt3[μ-P(t-Bu)2]3(H)(CO)2:

Toluene, 100 °C, CO (1 atm), 3h


Pt2[ - P(t - Bu)2]2(H)2[P(t - Bu)2H]2 Pt3[ P(t - Bu)2]3(H)(CO)2

Il prodotto, ottenuto con resa quantitativa come solido arancione microcristallino, è il


precursore di un’ampia famiglia di cluster trinucleari di platino (schema 1) di formula
generale [{Pt3}L3–nXn](1 n)+
({Pt3} = Pt3[μ-P(t-Bu)2]3; n = 0, 1; CVE = 44 e ).

Schema1. Cluster trinucleari di Platino preparati a partire dal precursore


Pt3[μ-P(t-Bu)3](H)(CO)2; (X = Cl, Br, I, CC-TMS, CC-CC-H,…; L = Py, R-NC, …)58

Come mostrato dagli studi strutturali, eseguiti mediante diffrattometria di raggi X su


cristalli singoli, i leganti terminali L e X giacciono, a 120° l’uno rispetto all’altro, nel piano

17
della molecola contenente i nuclei di Pt e P. I leganti terminali possono essere tre π-
accettori neutri identici (CO, isonitrili); uno di questi, poi, può essere sostituito da un
legante neutro o monoanionico, ovviamente nel primo caso il cluster conserva la carica +1,
mentre nel secondo caso si forma un cluster neutro. Le caratteristiche elettroniche del
nuovo legante, neutro o anionico che sia, possono variare notevolmente. Si possono in
effetti introdurre sia leganti π-accettori che non accettori o anche donatori o ,
modificando così ogni volta le proprietà chimiche e elettrochimiche della molecola.
Come già detto, i cluster rappresentati in schema 1, hanno tutti 44 elettroni di valenza e
sono diamagnetici, quindi, come tali, non adatti a potenziali applicazioni nel campo dei
materiali magnetici. Di notevole interesse sarebbero invece i loro derivati generati da
processi di riduzione o ossidazione monoelettronica, ottenibili per via chimica o
elettrochimica. Questi avrebbero NEV dispari (rispettivamente 45 o 43) e almeno un
elettrone spaiato, e sarebbero quindi sicuramente paramagnetici. Anche se in genere specie
di questo tipo sono molto instabili e decompongono rapidamente, la presenza di tre leganti
fosfuro, che in genere rimangono legati saldamente a ponte quando sono coordinati a
metalli di fine transizione, e soprattutto l’elevato ingombro sterico dovuto alla presenza dei
sostituenti t-butile, avrebbe potuto innalzare la loro stabilità termodinamica o, almeno, la
loro inerzia cinetica. Lo strumento più largamente diffuso per valutare la stabilità di specie
di questo tipo è sicuramente la voltammetria ciclica (VC), che consente la determinazione
sperimentale dei potenziali elettrodici e della costante di comproporzione di processi
elettrodici consecutivi.
In passato, sono stati svolti studi voltammetrici sui derivati a 44e [{Pt3}L3-nXn](1-n)+ (L =
CO, CNC6H4I, CNC6H4CCH; X = Cl (3), Br (4), I (5), H (6), -CC-TMS (7), -CC-Ph (8), -
CCC6H4CCH (9)), per raccogliere informazioni sull’influenza dei leganti sul
comportamento redox di questa classe di cluster e sulla stabilità delle specie
elettrogenerate. Tutti i composti sono caratterizzati da due processi di ossidazione
monoelettronici consecutivi (equazione 1).
E°1 E°2
e e
[{Pt3}L3-nXn](1-n)+  [{Pt3}L3-nXn](1-n)2+  [{Pt3}L3-nXn](1-n)3+ (1)
e e

Il composto 1, a partire dal quale sono stati preparati tutti gli altri derivati, mostra
un’ossidazione a 1.13 V (vs SCE), reversibile nei tempi della voltammetria ciclica e una
seconda irreversibile a 1.56 V, complicata da processi secondari, oltre ad una riduzione

18
irreversibile (3e ) a -1.29V. Negli analoghi composti cationici, in cui i tre carbonili sono
stati sostituiti con isonitrili organici, come in [Pt3(μ-PBut2)3(CN-C6H4-p-I)3]CF3SO3, (10),
e [Pt3(μ-PBut2)3(CNC6H4-p-CH3)3]CF3SO3, (11), i due processi di ossidazione sono
spostati a potenziali catodici rispetto a 1 (+0.44, +0.90 V e +0.45, +0.92 V,
rispettivamente), e anche il secondo processo risulta almeno quasi reversibile. La
variazione di potenziale osservata era in effetti attesa, visto il maggior carattere σ-donatore
e la minore acidità π degli isonitrili rispetto ai carbonili.
Tabella1. Potenziali formali (V vs SCE) in CH2Cl2, separazioni picco-picco (mV) .costanti
di comproporzione per i complessi [{Pt 3}L3- nXn](1-n)+ (n = 0, L = CO (1), CNC6H4I (10),
CNC6H4CCH (11); n = 1, X = Cl (3), Br (4), I (5), H (6), -CC-TMS (7), - CC-Ph (8), -
CCC6H4CCH (9)).

Ossidazioni Riduzioni
Composto E°2 ΔE°2pa E°1 ΔE°1pa E°3 ΔE3pa Kc
(1)CF3SO3 1,56 1,13 90 −1,29b 1,4·1010
3 0,91 70 0,31 60 −1,91c 9,5·109
4 0,88 70 0,29 60 −1,91c 6.4·109
5 0,86 70 0,28 70 −1,91c 2,7·107
6 0,70b 75 0,26 80
b
7 0,63 0,26 70
8 0,75c 0,3 85
9 0,95c 0,31 85
(10)CF3SO3 0,90b 100 0,44 100 −1,24b 80 6,0·107
(11)CF3SO3 0,92 60 0,45 58 −1,67c 8,9·107
a
Misurati a 0.2 Vs-1
b
Complicato da reazioni chimiche relativamente veloci
c
Complicato da reazioni chimiche veloci

Cluster neutri del tipo {Pt3}(CO)2X (X = alogenuro, idruro o alchinile) mostrano lo stesso
comportamento elettrochimico di 1, ma con valori dei potenziali più bassi, in virtù
dell’assenza di carica positiva sul cluster. Per i complessi alchinilici 8 e 9 la prima
ossidazione è reversibile nei tempi della voltammetria ciclica, mentre risultano irreversibili
i processi di ossidazione successivi, complicati da reazioni chimiche secondarie la cui
velocità dipende dal tipo di legante. Quando il legante X è un alogenuro, le velocità di
questi processi secondari sono nettamente ridotte, e per questo motivo la seconda
ossidazione mostra una reversibilità quasi piena.

19
Il valore della costante di comproporzione Kc che fa riferimento all’equilibrio 2 è indice
della stabilità termodinamica della specie monoossidata [{Pt3}L3-nXn](1-n)2++, ed è correlata
alla differenza dei potenziali redox E° = E°2 – E°1 (Tab. 1 e eq. 1) dall’equazione 3, a sua
volta ricavabile dall’equazione di Nernst.

[{Pt3}L3-nXn](1-n)+ + [{Pt3}L3-nXn](1-n)3+  2 [{Pt3}L3-nXn](1-n)2+ (2)

Kc = e( E°F/RT)
(3)

I valori di KC calcolati per i processi nei quali anche il secondo processo redox è
reversibile, o almeno quasi reversibile, sono mostrati in Tabella 1 e sono tutti molto elevati
(107 – 1010) ad indicare che la specie radicalica monossidata è probabilmente molto stabile.
Quindi la sostituzione dei tre leganti carbonilici del catione 1 con tre isonitrili sembra
favorire la reversibilità di entrambe le ossidazioni. In effetti, i cluster
[{Pt3}(CNR)3]CF3SO3 (R = tBu (12), C6H4-p-OCH3 (13), C6H3-2,6-(CH3)2 (14)),
sintetizzati con rese elevate semplicemente addizionando tre equivalenti di isonitrile al
cluster 1,58 presentano un comportamento elettrochimico simile, con due picchi di
ossidazione monoelettronica entrambi reversibili nei tempi della voltammetria ciclica.

Figura11. Voltammogramma di 12 registrato a 0,1 Vs-1 su elettrodo di Platino in CH2Cl2.

20
Tabella2 . Potenziali formali (V vs SCE) e separazioni picco-picco (mV) per i processi
Redox dei composti 12, 13 e 14.

Ossidazioni Riduzione
Composto E°2 ΔE2pa E°1 ΔE°1pa E°3 Kc
1 1,56 1,13 90 −1,29b
12 0,82 73 0,26 74 2,9∙109
13 0,86 83 0,35 80 −1,99b 4,2∙108
14 1,01 92 0,45 155 −1,67b 2,9·109

a
Misurati a 0.1 Vs-1
b
Potenziale di picco per processi irreversibili

L’andamento crescente manifestato dai potenziali di 12, 13, e 14 (E °1 = 0.26, 0.35 e 0.45 V
e E°2 = 0.82, 0.86 e 1.01 V, rispettivamente; Tabella 2) può essere ascritto alla basicità dei
leganti isonitrile, che diminuisce progressivamente nella serie.
La piena reversibilità di almeno il primo processo di ossidazione è stata anche confermata
nella scala di tempi più lunga della spettro elettrochimica. In effetti, lo spettro infrarosso
del monocatione 12+ presenta un unico assorbimento per lo stiramento CN di leganti
-1
isonitrile a 2162 cm (Figura 12). Durante l’ossidazione, l’intensità di questo
assorbimento diminuisce progressivamente, mentre cresce l’intensità di una nuova banda
che compare a 2192 cm-1 (Figura 12) e può essere assegnata allo stiramento CN degli
isonitrili del dicatione monoossidato 122+; l’entità e la direzione dello spostamento sono in
accordo con l’aumento della carica positiva sul centro redox. Si osserva inotre un punto
isosbestico ben definito (Figura
12), che conferma la reversibilità
del processo e la stabilità del
composto monoossidato 122+.
Figura 12. Variazioni nello
spettro IR registrato con un cella
OTTLE durante la l'ossidazione
per un elettrone di (12)CF3SO3 in
soluzione di CH2Cl2. Uno spettro
di riferimento è stato registrato
prima dell'applicazione del
potenziale ed è stato impiegato per
calcolare le differenze.

21
L’ossidazione è stata in seguito condotta anche per via chimica, usando un equivalente di
triflato di argento come ossidante, la cui aggiunta ha provocato il viraggio del colore della
soluzione dal rosa al marrone, la scomparsa nello spettro IR della banda a 2162 cm -1 e la
comparsa di una nuova banda a 2192 cm-1. Il composto (12)(CF3SO3)2, isolato come solido
viola e caratterizzato tramite spettroscopia IR ed NMR, è risultato stabile per giorni sia
come solido che in soluzione e, se ridotto con un equiv di Cp 2Co, rigenera
quantitativamente il composto monocationico (12)CF3SO3.

2.3.2 Cluster trinucleari di Platino contenenti leganti σ - alchinilici


Tutti i dati riportati in tabella 2 confermano la drastica riduzione dei potenziali redox
indotta dalla sostituzione dei leganti carbonilici con isonitrili. In particolare quando i tre
carbonili contenuti nel cluster cationico 1+ sono sostituiti da tre leganti t-butilisonitrile
come in 12+, i valori di E01 e E02 scendono rispettivamente da 1,13 V a 0,26 V e da 1,56V a
0,82 V, con una riduzione per molecola di CO sostituita di ben 290 (E 01) e 247 (E02) mV
(tabella 3).

Tabella 3. Confronto tra i potenziali redox di 1+ e 12+

1+ 12+ ΔE ΔE/3
0
E 1 (V) 1,13 0,26 0,87 0,29
0
E 2 (V) 1,56 0,82 0,74 0,247

Un’ulteriore diminuzione dei potenziali redox si osserva sostituendo uno dei carbonili del
cluster 1+ con un legante anionico alchinilico, per formare composti neutri del tipo
{Pt3}(CO)2CC-R. In particolare, nel laboratorio in cui è stato svolto questo lavoro di tesi,
sono stati sintetizzati e caratterizzati i composti {Pt 3}(CO)2CC-Ph, (15), e {Pt3}(CO)2CC-
CC-TMS, (16). La diminuzione in questo caso è ancora più rilevante rispetto a quella
causata dall’introduzione di leganti isonitrile (tabella 4), anche se nei complessi
{Pt3}(CO)2CC-R il secondo processo di ossidazione rimane spesso irreversibile. Sono stati
quindi sintetizzati cluster di formula generale {Pt 3}(CNR)2CC-R [(17), R = -Ph; (18), R = -
CC-TMS], ipotizzando un ulteriore stabilizzazione delle specie ossidate.

22
Tabella 4. Confronto tra i potenziali redox di 1+ con quelli di 15+ e 16+

1 15 ΔE 16 ΔE
0
E 1 1,13 0,3 0,83 0,46 0,67
0
E 2 1,56 0,75 0,81 0,86 0,7

Figura 13. Voltammogramma ciclico (100 mV/s, elettrodo di platino) di una soluzione di
16 (elettrolita di supporto NBu4PF6 0.2M).

Figura 14. Voltammogramma ciclico (100 mV/s, elettrodo di platino) di una soluzione di
{Pt3}(CNtBu)2CC-CC-TMS, (18) (elettrolita di supporto NBu4PF6 0,2 M).

I voltammogrammi dei composti 16 e 18 mostrano due processi di ossidazione


monoelettronici, ma, mentre per il composto carbonilico 16 solo il primo processo di
ossidazione è reversibile nei tempi della voltammetria ciclica, il derivato isonitrilico 18
presenta due processi di ossidazione entrambi reversibili.
23
In tabella 5 sono riportati i valori di potenziali redox di cluster σ-alchinilici sintetizzati e
caratterizzati in un precedente lavoro di tesi, per confronto sono riportati anche i dati dei
cluster cationici 1+ e 12+.

Tabella 5. Potenziali formali (V vs SCE), separazioni picco – picco (mV) e costanti di


compro porzione per i processi redox dei complessi (1)CF3SO3, (12)CF3SO3, 15, 16, 17 e
18.

Ossidazioni
Composto E02 ΔE2pa E01 ΔE1pa Kc
[{Pt3}(CO)3]CF3SO3, (1)CF3SO3 1,56 1,13 90
t
[{Pt3}(CN Bu)3]CF3SO3, (12)CF3SO3 0,82 73 0,26 74 2,9 · 109
{Pt3}(CO)2CC-Ph, (15) 0,75 0,3 85
{Pt3}(CO)2CC-CC-TMS, (16) 0,86 0,46 68
{Pt3}(CNtBu)2CC-Ph, (17) 0,24 66 -0,29 64 9,1 · 108
{Pt3}(CNtBu)2CC-CC-TMS, (18) 0,36 90 -0,2 72 2,9 · 108
a
Misurati a 0.1 Vs-1

I dati mostrati in tabella 5 confermano gli effetti interessanti provocati dalla sostituzione di
leganti carbonilici con isonitrili già osservati confrontando i profili voltammetrici dei
cationi 1+ e 12+. In effetti, anche per i derivati 17 e 18, e contrariamente a quanto succede
per i corrispondenti derivati carbonilici 15 e 16, il secondo processo di ossidazione è
reversibile. Inoltre, i valori dei potenziali sono inferiori di 500-600 mV rispetto a quelli dei
corrispondenti carbonili e viene confermata la riduzione per carbonile sostituito di circa
300 e 250 mV rispettivamente sui valori E01 e E02. Infine, gli elevati valori della costante di
comproporzione calcolati per le specie 17+ e 18+ suggeriscono un’elevata stabilità della
specie mono-ossidata (almeno nei tempi della voltammetria ciclica). La sostituzione con un
legante neutro con un alchinile anionico provoca uno shift catodico dei potenziali ancora
più marcato, soprattutto quando si sostituisce un forte -accettore come il carbonile (670-
830 mV per E°1 e 700-810 mV per E°2, passando da 1+ a 16 o 15). Come atteso, visto che
gli isonitrili sono leganti che hanno una basicità superiore e un’acidità inferiore
rispetto al carbonile, l’effetto è inferiore (sebbene ancora molto rilevante) quando viene
sostituito un isonitrile (460-550 mV per E°1 e 460-580 mV per E°2 passando da 12+ a 18 o
17.

24
2.3.3 Composti molecolari contenenti due unità cluster

I carbonil-alchinili 15-16 erano stati preparati via deidroalogenazione in condizioni tipo


Sonogashira (catalizzatore CuI, solvente NEt3) a partire dal cloro-derivato {Pt3}(CO)2Cl,
(3), e dall’opportuno alchino terminale, ed erano a loro volta stati impiegati come
precursori dei corrispondenti derivati isonitrilici 17-18, ottenuti per semplice reazione di
sostituzione CO/CNBut.
Le interessanti proprietà elettrochimiche dei composti 15-18 e la relativa semplicità e
versatilità dei metodi sintetici impiegati per prepararli hanno stimolato la ricerca di
procedure adatte alla sintesi di strutture più complesse compatibili con l’obiettivo finale del
progetto di ricerca, nel quale si inserisce questa Tesi di Laurea, che si propone di realizzare
strutture “policluster” paramagnetiche.

Schema6. Sintesi dei composti “bicluster” 19-22


25
Seguendo le procedure mostrate nello Schema 6 sono stati quindi preparati i derivati
”bicluster” (CO)2{Pt3}-CC-C6H4-CC-{Pt3}(CO)2, (19), (CO)2{Pt3}-CC-CC-{Pt3}(CO)2,
(20), (ButNC)2{Pt3}-CC-C6H4-CC-{Pt3}(CNBut)2, (21), e (ButNC)2{Pt3}-CC-CC-
{Pt3}(CNBut)2, (22). Dei nuovi composti 19-22, che contengono due cluster triangolari
indipendenti connessi da uno spaziatore bis-alchinilico, è stato in seguito studiato il profilo
ciclovoltammetrico (Tabella 6).
Ossidazioni
Composto E 0
4 ΔE4pa E 0
3 ΔE3pa E02 ΔE2pa E01 ΔE1pa Kc
b
19 · 0,90 0,30 81
20 1,07 40 0,69 44 0,16 100 2,7∙106
21 0,25 56 0,14 80 -0,30 72 7,2∙101
22 0,51 44 0,08 36 -0,30 56 -0,41 40 1,9∙107

Tabella6. Potenziali formali (V vs SCE, in CH2Cl2), separazioni picco-picco (mV) e


costanti di comproporzione per i processi Redox mostrati dai composti bicluster 19-22.
a
Misurati a 0.1 Vs-1
b
Potenziali di picco per processi irreversibili
*
Tabella presa da un precedente lavoro di tesi di Francesca Peruzzi: “Sintesi e caratterizzazione di nuovi Cluster triangolari di Platino”
Kc riferita all’equilibrio di comproporzione {Pt3}2+--- {Pt3}2+ + {Pt3}+--- {Pt3}+  2 {Pt3}2+--- {Pt3}+

Il complesso carbonilico 19, nel quale i due cluster sono connessi da uno spaziatore 1,4-
dietinilfenile, mostra due processi di ossidazione bielettronici a +0.30 e +0.90 V, solo il
primo dei quali è reversibile (Figura 15). Questo comportamento è compatibile con
l’ossidazione simultanea delle due unità cluster che simultaneamente perdono un elettrone
al primo potenziale, formando il dicatione stabile 192+, e un secondo elettrone al secondo
potenziale, formando il catione instabile 194+. e suggerisce quindi l'assenza di interazione
elettronica significativa (vedi appendice A) tra i due cluster sia nel composto di partenza
19 che nel dicatione 192+.

19

Figura 15. Voltammogramma ciclico (100 mV/s, elettrodo di platino) di una soluzione di 19
(elettrolita di supporto NBu4PF6 0.2 M).

26
Il voltammogramma del corrispondente complesso isonitrilico 21 (Figura 16) mostra
invece tre processi di ossidazione reversibili, il primo bielettronico a -0.30 V, e gli altri
due, monoelettronici, rispettivamente a +0.14 e +0.25 V, lasciando ipotizzare che il
composto neutro non mostri comunicazione tra i centri redox attivi, mentre il derivato
biossidato 212+ sia in grado di dare una qualche interazione elettronica. Gli equilibri redox
ipotizzati sono mostrati in figura 16, da notare che la reversibilità di tutti gli stadi di
ossidazione suggerisce che tutte le specie 21n+ (n = 0-4) siano stabili, almeno nella scala
dei tempi della voltammetria ciclica.

20

Figura 16.Voltammogramma ciclico (25 mV/s, elettrodo di platino) di una soluzione di 21


(elettrolita di supporto NBu4PF6 0.2 M), ed equilibri ipotizzati per i processi redox.

Il voltammogramma del composto carbonilico 20, nel quale i due cluster sono connessi da
uno spaziatore butadiindiilico, mostra invece tre processi d'ossidazione, tutti ben separati,
al contrario di quanto mostrato dal composto 21, e tutti reversibili (Figura 17). La prima
ossidazione, a -0.30 V, è bi-elettronica, mentre le due seguenti, a +0.14 e +0.25 V, sono
mono-elettroniche. Questo suggerisce un quadro simile a quello discusso sopra per 21, con
una interazione elettronica significativa tra i due cluster solamente dopo il primo processo
d'ossidazione. Tuttavia, in questo caso, la netta distinzione tra gli ultimi due picchi
avvalora l'ipotesi di una discreta delocalizzazione elettronica tra i due cluster nel dicatione
202+.

27
Figura 17. Voltammogramma ciclico (100 mV/s, elettrodo di platino) di una soluzione di 20
(elettrolita di supporto NBu4PF6 0.2 M).

Nel corrispondente derivato con leganti isonitrile 22 il profilo voltammetrico cambia


ulteriormente, poiché, come si vede nel voltammogramma in figura 18, i processi redox
diventano quattro, tutti monoelettronici e tutti reversibili nei tempi della voltammetria
ciclica. I primi due picchi risultano
molto vicini fra loro, ad indicare una debole comunicazione elettronica, che aumenta
passando
successivi processi redox, come già visto per il precursore carbonilico 21.

22

Figura 18. Voltammogramma ciclico (100 mV/s, elettrodo di platino) di una soluzione di 22
(elettrolita di supporto NBu4PF6 0.2 M).

28
Il voltammogramma osservato è in accordo con l’insieme di equilibri mostrati nello
schema 8.

Schema 8. Equilibri dei processi redox ipotizzati per il composto bicluster 22.

Dai dati elencati in precedenza si può concludere che l’interazione elettronica tra i due
cluster triangolari varia notevolmente al variare dello spaziatore organico, e sembra essere
molto più effettiva quando si usa lo spaziatore butadiindiilico piuttosto che l’1,4-
dietinilfenile. Inoltre, i derivati isonitrilici danno risultati migliori rispetto ai carbonili,
causando una sensibile diminuzione dei valori di E 0 e una migliore reversibilità di tutti i
processi redox osservati in voltammetria ciclica. Ricordiamo che mentre tutti i derivati
neutri di partenza 19-22 contengono cluster a 44 elettroni di valenza diamagnetici, le
specie ossidate che hanno carica totale 2+ dovrebbero contenere due cluster paramagnetici
a 43 elettroni di valenza, almeno quando non ci sia nessuna interazione elettronica tra le
due unità cluster, e che paramagnetica sarebbe anche la specie con carica totale 3+, che
dovrebbe contenere un cluster a 42 e uno a 43 elettroni di valenza e che, limitandoci ai dati
voltammetrici, sembrerebbe essere una specie sufficientemente stabile, almeno quando si
usano leganti isonitrile (si vedano le costanti di comproporzione riportate in tabella 5).

In questa tesi ci siamo posti l’obiettivo di approfondire l’indagine elettrochimica su questi


derivati, in particolare sul composto 22, mediante uno studio di spettroelettrochimica IR,
per meglio comprendere i processi redox successivi alla formazione del composto bi
ossidato e per avere, visti i tempi più lunghi dell’analisi spettro elettrochimica rispetto a
quelli della voltammetria ciclica, conferme o smentite sulla stabilità delle varie specie
elettrogenerate.
Ci siamo inoltri posti l’obiettivo di riprodurre per via chimica quanto osservato con la
voltammetria ciclica e la spettroelettrochimica, tentando l’isolamento dei variamente
ossidati osservati in voltammetria ciclica.

29
Capitolo 3

3. Risultati e discussione
Come già accennato nell’introduzione, nel laboratorio in cui questa tesi è stata svolta, sono
stati sintetizzati complessi di Platino trinucleari o esanucleari di formula generale
rispettivamente [{Pt 3}L3-nXn](1-n)+ (n = 0, 1; CVE = 44; L = CO; X = idruro, alogenuro,
alchinile, nitrile, isonitrile) e [{Pt 6}(CO)4(L)2-nXn](2-n)+ (n = 0-2; CVE = 82; L = CO; X =
idruro, alogenuro, alchinile). Questi derivati di platino hanno un core centrale Pt 3P3 o Pt6P4
e leganti terminali L e/o X mutuamente orientati rispettivamente a 120° e 180°. Sempre in
questo laboratorio sono state sintetizzate strutture policluster di platino del tipo {Pt 3}-
spaziatore-{Pt3} e {Pt6}-spaziatore- {Pt6}. Studi di voltammetria ciclica effettuati su questi
composti hanno permesso di acquisire informazioni sulla loro natura redox, contribuendo a
comprenderne la dipendenza dalla natura dei leganti terminali. Sulla base dei risultati
ottenuti, sono stati poi effettuati esperimenti di ossidazione chimica per riprodurre quanto
osservato con l’elettrochimica. L’ossidazione chimica permette inoltre di valutare quale sia
la stabilità delle specie paramagnetiche che si formano, a seguito della rimozione di
elettroni dai cluster trinucleari o dell’acquisto di elettroni da parte dei cluster esanucleari.

3.1 Preparazione di (CO)2{Pt3}-CC-CC-{Pt3}(CO)2 (20)

Schema 9

Visto che la sintesi e la caratterizzazione del composto bicluster 20 è stata già riportata in
lavori precedenti a questa tesi, mi limito a descrivere brevemente la procedura di sintesi e
le caratteristiche chimiche e chimico-fisiche del prodotto. Il composto 20 è preparato a
partire da due equivalenti di {Pt 3}(CO)2Cl ed uno di TMS-C4-TMS, con una reazione tipo
Sonogashira, con deprotezione in situ dell’alchino. Il rapporto stechiometrico deve essere
assolutamente rispettato, in quanto in presenza di un eccesso di alchino si possono formare
i prodotti {Pt 3}(CO)2(CC-CC-TMS) e {Pt3}(CO)2(CC-CC-H), che contengono una sola
unità cluster. Il prodotto è stato recuperato come solido marrone, stabile all’aria, e
caratterizzato mediante spettroscopia IR e NMR multinucleare.
30
Lo spettro infrarosso di 20 mostra l’assorbimento caratteristico dovuto ai moti di
stiramento C≡O a 2019 cm-1. Non si osserva alcuna banda relativa agli stiramenti C≡C,
probabilmente perché molto debole a causa della bassa polarità dei due tripli legami CC in
questa molecola.

31
Lo spettro P{1H} NMR (CH2Cl2, 293 K) presenta due segnali: un doppietto a 171.89
ppm relativo agli atomi di fosforo P1 e P2, chimicamente equivalenti, e un tripletto a 92
ppm, attribuibile al nucleo di fosforo P3. Entrambi i segnali sono affiancati da satelliti
dovuti all’accoppiamento con i nuclei di 195Pt.

Figura 17

195
Anche nello spettro Pt{1H} NMR (CDCl3) sono presenti due segnali. Un doppio
doppietto di doppietti,a -5663 ppm attribuibile ai nuclei di platino Pt1 e Pt3, a ciascuno dei
quali è legato un legante carbonilico, e un doppio tripletto a -6143 ppm, relativo all’atomo
di platino Pt 2, al quale è legato lo spaziatore organico. Infine lo spettro 1H NMR è
costituito da due segnali: un tripletto virtuale, centrato a 1.43 ppm (72 H), per i protoni dei
gruppi t-butile legati ai nuclei di fosforo P1 e P2, e un doppiento (36 H) per i protoni dei
gruppi t-butile legati al nucleo di fosforo P3.

3.2 Misure elettrochimiche


3.2.1 Spettroelettrochimica - IR

L’utilizzo della spettroelettrochimica IR ci permette di osservare le variazioni dello spettro


IR del cluster 20 durante i processi di ossidazione. I processi elettrochimici in questo caso
però avvengono su una scala temporale più lunga rispetto alla voltammetria ciclica e
questo ci permette di valutare in modo più realistico la stabilità dei prodotti derivanti dalle
varie ossidazioni.

31
In questo studio spettroelettrochimico ci siamo proposti di approfondire le conoscenze
precedentemente acquisite sui processi di ossidazione del composto carbonilico
(CO)2{Pt3}-CC-CC-{Pt3}(CO)2, (20). Questo presenta nello spettro IR il caratteristico
picco di assorbimento dei composti carbonilici a 2019 cm-1.

Figura 18 . Variazioni dello spettro IR registrato con una cella OTTLE durante
l’ossidazione per due elettroni di 20. Le frecce indicano il verso di crescita / decrescita
delle bande tre bande.

In figura 18 sono riportate le variazioni dello spettro infrarosso osservate durante la


scansione sino al primo processo di ossidazione (che inizia quando il potenziale applicato è
pari a 0,16 V), e che dalla voltammetria ciclica appare come bi-elettronico) del composto
20. Gli spettri sono stati registrati a intervalli di tempo regolari (uno spettro ogni trenta
secondi) e aumentando il potenziale dell’elettrodo di lavoro ad una velocità di 0.5 mV/s.
Quando si raggiunge il potenziale necessario a far partire la prima ossidazione, la banda a
2019 cm-1 comincia gradualmente a scomparire, e viene rimpiazzata da due nuove bande
che crescono rispettivamente a 1975 e 2052 cm-1. Quest’ultima può essere assegnata allo
stiramento carbonilico, e il suo spostamento verso numeri d’onda maggiori è compatibile

32
con l’aumento di carica positiva sul cluster. La comparsa della banda intensa a 1975 cm-1
può essere spiegata con una delocalizzazione elettronica lungo la catena alchinilica a ponte
tra i due cluster, che determina la formazione di una struttura cumulenica (figura 19 );
ipotesi analoghe sono state fatte per spiegare la comparsa di bande intense nella zona tra
1910 e 2000 cm-1 negli spettri IR dei prodotti di ossidazione di sistemi contenenti due
centri metallici connessi da uno spaziatore butadiindiilico. 58

Figura 19 . Struttura cumulenica ipotizzata per il dicatione 202+.

La crescita delle nuove bande si arresta quando il potenziale applicato raggiunge 0.67 V. I
punti isosbestici netti sembrerebbero suggerire una completa reversibilità di questo primo
processo di ossidazione; inoltre l’assenza di altre bande significative nello spettro, eccezion
fatta per quelle del solvente, suggerirebbe che la reazione da 20 a 202+ avvenga senza
formazione di sottoprodotti di decomposizione. Un’ulteriore conferma della piena
reversibilità del processo, suggerita sia dalla voltammetria ciclica che dalla presenza di
punti isosbestici bene evidenziati nella spettroelettrochimica IR, sarebbe dovuta venire
dalla scansione di potenziale inversa, che avrebbe dovuto rigenerare lo spettro del
composto neutro di partenza 20.

In effetti, gli spettri mostrati in figura 20 mostrano che l’inversione del potenziale provoca
la scomparsa delle bande caratteristiche del composto biossidato, e la comparsa di un’unica
banda centrata a 2019 cm-1. Tuttavia, osservando attentamente questa banda, si nota che
non ha la stessa intensità di quella osservata nello spettro di partenza, e che varia anche
nella forma, essendo più slargata e meno simmetrica rispetto al segnale di partenza. Questo
dato induce a sospettare la presenza di un sottoprodotto di decomposizione, la cui banda
IR, anche questa attribuibile a stiramenti CO, è sovrapposta con quella di nostro interesse.
Le informazioni ottenute da questi esperimenti confermano la reversibilità del processo in
tempi relativamente brevi, ma suggeriscono che il dicatione 202+ non sia stabile per tempi
più prolungati.
33
In un successivo esperimento si è aumentato il potenziale velocemente fino al
completamento del primo processo di ossidazione bielettronico (spettro finale di figura 18).
Si è poi ripresa la scansione fino a raggiungere il potenziale a cui avviene il secondo
processo redox, che in questo caso, come osservato in voltammetria ciclica, è
monoelettronico, e sono stati registrati più spettri in sequenza ad intervalli di tempo
regolari (uno ogni trenta secondi) fino al completamento dell’ossidazione

Figura 20. Variazioni dello spettro IR registrato con una cella OTTLE. Prova di
reversibilità del primo processo di ossidazione 20 → 202+.

34
Figura 21 . Variazioni dello spettro IR misurato in una cella OTTLE durante
l’ossidazione per tre elettroni di 20. Le frecce indicano l’andamento delle bande osservato
durante la scansione di potenziale.

In figura 21 si possono osservare le variazioni dello spettro IR che hanno luogo a seguito
della rimozione del terzo elettrone dal composto 20. Durante la scansione di potenziale, a
partire da 0.69 V si osserva la graduale scomparsa dell’intensa banda a 1975 cm-1, che
suggerisce la perdita della delocalizzazione elettronica lungo la catena alchinilica e quindi
la scomparsa della struttura cumulenica ipotizzata per il cluster ossidato per due elettroni.
Contemporaneamente si osserva la diminuzione di intensità della banda a 2052 cm -1,
attribuita allo stiramento carbonilico, associata alla crescita di una nuova banda a 2076 cm-
1
, ancora ragionevolmente attribuibile allo stiramento di un legame C≡O. Lo spostamento a
frequenze più alte è in accordo con l’aumento della carica positiva sul composto.
Osservando con attenzione l’andamento della banda a 2052 cm-1, si nota che questa non
scompare completamente, ma diminuisce gradualmente di intensità, fermando a un certo
punto la sua decrescita e lasciando una banda a 2055 cm-1 (la freccia nello spettro indica la
direzione di spostamento della banda). Alla fine di questo secondo processo di ossidazione
abbiamo quindi uno spettro a due bande, che potrebbe essere spiegato dalla presenza di un
cluster bi-ossidato ed uno mono-ossidato nel tricatione (CO)2{Pt3}2+-C4-{Pt3}+(CO)2, 203+.
Una tale ipotesi sembra però in contrasto con il profilo osservato in voltammetria ciclica,
che suggerisce che a partire dal secondo processo di ossidazione ci sia una discreta

35
comunicazione elettronica tra le due unità cluster, in disaccordo con la netta separazione di
cariche poc’anzi descritta.

Figura 22. Variazioni nello spettro IR misurato in una cella OTTLE. Prova di reversibilità
del secondo processo di ossidazione del composto 20.

Coerentemente con quanto osservato in CV, quindi, è ragionevole ipotizzare che il


composto triossidato dia origine ad una sola banda, quella a 2076 cm-1, e che la banda a
2055 cm-1 sia dovuta ad una parziale decomposizione del composto, che inizia quando il
potenziale cresce oltre il primo processo di ossidazione. Nei tempi della voltammetria
ciclica la seconda ossidazione appariva completamente reversibile; quindi anche in questo
caso, come per il primo processo di ossidazione, la reversibilità del processo è stata
sottoposta a verifica utilizzando la tecnica spettroelettrochimica. Applicando un potenziale
di 0.0 V si riporta il composto triossidato nelle condizioni di partenza, e lo spettro IR
mostra che, a seguito della riduzione, scompare la banda a 2076 cm-1, assegnata a 203+,
mentre rimane, anche se leggermente diminuita di intensità, la banda a 2055 cm-1 attribuita
alla parziale decomposizione di 203+. Contemporaneamente compare una banda slargata
centrata a 2027 cm-1, simile a quella osservata nella prova di reversibilità di 202+, che
potrebbe essere dovuta alla sovrapposizione della banda del composto neutro 20, a 2019

36
cm-1, con una banda dovuta ad un sottoprodotto di decomposizione. La
spettroelettrochimica suggerisce quindi che anche la reversibilità del secondo processo di
ossidazione sia solamente parziale al contrario di quanto risultava dall’analisi
ciclovoltammetrica.
In un’altra prova, una scansione di potenziale veloce fino alla fine del secondo processo di
ossidazione è stata seguita da una scansione a 0.5 mV/s per studiare il terzo ed ultimo
processo redox, monoelettronico e reversibile nei tempi della voltammetria ciclica.

Figura 23 . Variazioni nello spettro IR misurato in una cella OTTLE, relative al terzo
processo di ossidazione di 20. Le frecce indicano l’andamento delle bande osservato
durante la scansione di potenziale.

In questo caso non compare nessuna nuova banda, ma l’aumento di potenziale è


accompagnato da una graduale scomparsa della banda a 2076 cm-1, alla quale non fa
seguito la comparsa di una banda a frequenze di stiramento più alte come ci si aspetterebbe
per un catione con quattro cariche positive. Quello che si osserva infatti, è la crescita
graduale della banda a 2055 cm-1, precedentemente attribuita ad un sottoprodotto di
decomposizione (figura 23).
Nei tempi della spettroelettrochimica IR, più lunghi rispetto a quelli della voltammetria
ciclica, il complesso 204+ o è altamente instabile oppure, più probabilmente, neanche si
forma, perché i suoi precursori 202+ e 203+ decompongono prima che lui possa formarsi.

37
Infine, è stata fatta una ulteriore prova per valutare la stabilità del dicatione 202+. Il
potenziale applicato è stato portato al valore necessario per ossidare tutto il cluster neutro
20 a 202+, dopo di che sono state fatte due distinte operazioni: la cella è stata mantenuta al
potenziale finale dell’ossidazione per 30 min, registrando spettri ad intervalli di tempo
regolari; trascorso questo tempo la cella è stata disconnessa e sono stati registrati spettri per
altri 30 min (figura 24).

Figura 24 . Variazioni nello spettro IR misurato in una cella OTTLE. Valutazione della
stabilità del dicatione 202+.

Lasciando la cella sotto tensione, si osserva una graduale diminuzione di intensità della
banda a 1975 cm-1, sintomo della graduale scomparsa della struttura cumulenica; a questo
si associa la graduale diminuzione di intensità della banda a 2052 cm-1, con contemporaneo
shift (come indicato dalla freccia) verso frequenze di stiramento leggermente più alte (2055
cm-1). Oltre alla diminuzione di queste due bande, osserviamo la crescita di due nuove
bande, una centrata a 2030 cm-1, attribuibile ad uno stiramento del legame carbonio –
ossigeno nei carbonili, ed una a 2126 cm-1, attribuibile allo stiramento di tripli legami CC.

38
Figura 25 . Variazioni nello spettro IR misurato in una cella OTTLE. Valutazione della
stabilità del dicatione 202+.

Dopo aver isolato la cella, sono stati registrati spettri a intervalli di tempo regolari, per altri
30 minuti (Figura 25). La banda a 1975 cm-1 continua a diminuire di intensità fino ad avere
intensità nulla. La banda a 2053 cm-1 continua la sua diminuzione, accompagnata da uno
spostamento verso frequenze più elevate, originando una banda a 2055 cm-1 del tutto
analoga a quella vista nelle ossidazioni verso i composti carichi +3 e, con maggiore
evidenza, durante i tentativi di ottenere il catione 204+. Risulta molto più netta invece, la
crescita delle due bande a 2030 cm-1 e 2126 cm-1, che ragionevolmente imputiamo alla
formazione di sottoprodotti di decomposizione.

3.3 Ossidazione chimica di 20

Le informazioni sul comportamento redox del cluster 20, ottenute dalle misure di
elettrochimica, indicano che il primo processo di ossidazione è quello più adatto ad essere
riprodotto chimicamente, poiché la specie biossidata, anche se non sembra stabile in
soluzione per tempi prolungati, potrebbe esserlo a sufficienza da consentire il suo
isolamento come composto puro se separata come solido dalla soluzione in tempi rapidi.
Sono stati effettuati anche alcuni tentativi di ossidazione monoelettronica, facendo reagire
il composto bicluster 20 con un equivalente di ossidante, per verificare se in condizioni
diverse fosse stato possibile almeno osservare come specie transiente il monocatione 20+,
che non si forma nelle condizioni in cui sono state condotte le prove elettrochimiche.
39
3.3.1 Tentativi di ossidazione mono-elettronica di 20

Quando ad una soluzione marrone di 20 in CH2Cl2 distillato è stata aggiunta una quantità
equimolare dell’ossidante monoelettronico [FeCp2]PF6, il colore non ha mostrato
significative variazioni, se non un passaggio ad una tonalità di marrone più scuro. La
reazione è stata seguita mediante spettroscopia IR ed NMR multinucleare in soluzione. Lo
spettro IR di un’aliquota della soluzione, eseguito subito dopo il mescolamento dei
reagenti, mostra due bande principali (figura 26), una a 2030 cm-1, attribuibile ad uno
stiramento C≡O, e una seconda, molto meno intensa, centrata a 2125 cm-1, in una zona in
cui non si trovano assorbimenti dovuti a carbonili in questi tipi di cluster e quindi
verosimilmente attribuibile ad uno stiramento C≡C.

Figura 26. Spettro IR della soluzione contenente quantità equimolari di 20 e [FeCp2]PF6.

Nello spettro sono presenti anche bande di intensità inferiore (alcune presenti come spalle
della banda a 2030 cm-1), attribuibili alla presenza di sottoprodotti di decomposizione. Le
due bande principali coincidono con quelle osservate sia nell’esperimento di
spettroelettrochimica IR in cui è stata valutata la stabilità del dicatione 202+ (figura 25), sia
in un esperimento analogo eseguito su una soluzione di un sale che contiene 202+ preparato
per via chimica (figura 29, § 3.3.2) e, a nostro parere, non possono essere attribuite
all’ipotetico monocatione 20+ per una serie di ragioni. Intanto non sarebbe ragionevole che
un composto abbastanza stabile da rimanere in soluzione come prodotto di decomposizione
di 202+ non possa essere neanche osservabile come primo prodotto di ossidazione di 20
40
nelle prove elettrochimiche. Inoltre, per l’ipotetico monocatione 20+, nel quale le due unità
cluster dovrebbero essere completamente indipendenti (altrimenti il primo processo di
ossidazione registrato in voltammetria ciclica non dovrebbe essere bielettronico), ci
aspetteremmo due bande, ben separate, dovute a stiramenti CO, una per i carbonili del
cluster monoossidato e una per l’altro, nel quale gli stati di ossidazione dei centri metallici
sono invariati rispetto a quelli del precursore 20.

3.3.2 Tentativi di ossidazione bi-elettronica di 20.

Ox: [FeCp2]PF6 o AgPF6


Schema 10

L’ossidazione bielettronica di 20 è stata effettuata in CH2Cl2 distillato, utilizzando


[FeCp2]PF6 o AgPF6 come ossidante. L’aggiunta dell’ossidante deve essere rigorosamente
stechiometrica, soprattutto nel caso di AgPF6, il quale, avendo un potenziale di ossidazione
più elevato di quello relativo al processo bielettronico, può spingere la reazione fino alla
formazione del catione 203+, che, come suggerito dagli esperimenti di
spettroelettrochimica, decompone rapidamente. Quando si impiega AgPF6 come ossidante,
la miscela di reazione deve essere mantenuta al buio, per evitare che lo ione Ag+ venga
ridotto ad Ag0 prima che la reazione sia andata a completezza. Con [FeCp 2]PF6 la reazione
non va oltre il primo processo di ossidazione.

Immediatamente dopo l’aggiunta di ossidante la colorazione della soluzione passa da


marrone a rosso intenso. Il prodotto è stato recuperato in due modi differenti, a seconda
dell’ossidante impiegato.

[FeCp2]PF6 (E0 = 0,146 V vs SCE) come ossidante: si allontana il solvente a


pressione ridotta e si lava il solido con Et 2O distillato, per allontanare il ferrocene
che si forma per riduzione dell’ossidante;

41
AgPF6 (E0 = 0.79V vs SCE) come ossidante: si filtra per allontanare Ag 0 che si
forma per riduzione dell’ossidante, dopodiché si allontana il solvente mediante
evaporazione a pressione ridotta, lavando il solido con Et2O distillato.

La reazione è stata seguita mediante spettroscopia IR prima di procedere al recupero del


prodotto. Lo spettro registrato subito dopo il mescolamento dei reagenti mostra quanto
visto con la spettro-elettrochimica, ovvero lo spostamento della banda relativa agli
stiramenti carbonilici, che nel composto neutro cade a 2019 cm-1, verso numeri d’onda più
elevati, 2050 cm-1, e la comparsa di una nuova banda intensa dovuta alla struttura

cumulenica 1975 cm-1 (figura 27). La presenza di altre bande di minore intensità è
sintomatica della presenza di sottoprodotti, che comunque sono nettamente minoritari
rispetto al cluster 202+

Figura 27. Variazione di frequenza di stiramento passando dal composto neutro (2018 cm-
1
) al composto biossidato (1975, 2050 cm-1).In rosso il cluster neutro; in nero le bande del
cluster bi ossidato.

Anche sui campioni del composto 20(PF6)2 ottenuti per ossidazione chimica sono state
eseguite prove di controllo per verificare la reversibilità della reazione di ossidazione e la
42
stabilità all’aria del prodotto ottenuto, in analogia con quanto già discusso per i campioni
ottenuti negli esperimenti ciclovoltammetrici e spettroelettrochimici. Operando sempre in
condizioni rigorosamente inerti e con vetreria anidra, si procede come per la reazione di
ossidazione, aggiungendo in quantità stechiometrica il riducente scelto (CoCp 2).
All’aggiunta del cobaltocene, la colorazione della soluzione vira rapidamente dal rosso,
colore del dicatione 202+, al marrone, tipico del composto neutro 20, e scompaiono dallo
spettro IR le due bande relative a 202+. Rimane una banda poco intensa centrata a 2126 cm-
1
e una banda, che però non è stretta e centrata a 2018 cm-1 come per il composto neutro
iniziale, ma è slargata e spostata a numeri d’onda più elevati (2025 cm-1). Quest’ultima

potrebbe derivare dalla sovrapposizione di quella del cluster iniziale a 2018 cm-1 e di
un’altra centrata a 2030 cm-1, che compare sempre insieme alla banda a 2126 cm-1 (vedi
tentativi di isolamento della specie mono-ossidata)

Figura 28. Variazioni spettrali osservate dopo l’aggiunta di CoCp2 ad una soluzione di
20(PF6)2.

Anche dopo altri tentativi di riduzione della specie bi-ossidata, la banda osservata è sempre
risultata spostata a frequenze leggermente più elevate rispetto a quella del composto 20. La

43
banda slargata è quindi probabilmente la risultante della somma di più bande, dovute alla
presenza, oltre che di 20, anche di sottoprodotti derivanti dalla degradazione di 202+.

E’ stata valutata anche la stabilità del composto 202+ in soluzione di CH2Cl2, lasciando la
cella IR esposta all’aria e registrando spettri IR ad intervalli regolari di tempo. Si osserva la
progressiva scomparsa delle due bande a 2050 cm-1 e 1975 cm-1; contemporaneamente si
assiste alla crescita delle due bande centrate a 2030 e 2126 cm-1 (figura 17). La comparsa
di queste due bande in questi ultimi due esperimenti rinforza l’ipotesi fatta in precedenza,
secondo la quale queste sono da attribuire a un prodotto di decomposizione piuttosto che al
monocatione 20+.

Figura 29. Prova di stabilità all’aria di 202+ seguita mediante spettroscopia IR

44
Capitolo 4

Conclusioni
Questo lavoro di tesi s’inserisce in un più ampio progetto di ricerca finalizzato alla sintesi
di strutture molecolari derivanti dall’assemblaggio di più unità cluster collegate fra loro da
spaziatori organici coniugati; in questo contesto particolare rilevanza è data alla
realizzazione di sistemi nei quali sia possibile il trasferimento elettronico da un’unità
cluster a quella adiacente, mediato dallo spaziatore. In particolare questo lavoro si è
focalizzato sui dimeri di cluster triangolari, dai quali si possono ottenere composti
contenenti due unità cluster che possono fungere da modello per lo studio di strutture più
estese.
In lavori precedenti erano state messe a punto strategie sintetiche per la preparazione, a
partire dal precursore [{Pt 3}(CO)3]CF3SO3 (1), di composti con due cluster (bicluster)
separati da spaziatori organici coniugati di tipo bis-alchinilico: (CO)2{Pt3}-CC-1,4-C6H4-
CC-{Pt3}(CO)2, (19), (CO)2{Pt3}-CC-CC-{Pt3}(CO)2, (20), (ButNC)2{Pt3}-CC-1,4-C6H4-
CC-{Pt3}(CNBut)2, (21), e (ButNC)2{Pt3}-CC-CC-{Pt3}(CNBut)2, (22); i cluster 19-22
possono essere preparati con rese e purezze elevate, e una volta isolati sono stabili per
tempi molto prolungati.
L’indagine voltammetrica ha evidenziato la presenza di comunicazione elettronica
significativa tra i due centri redox dei cluster 20 e 22 (i più interessanti dal punto di vista
delle caratteristiche elettrochimiche), mentre è completamente assente nel cluster 19 e
molto debole nel cluster 21.
Il lavoro svolto in questa Tesi di Laurea ha avuto come fine quello di approfondire le
conoscenze sul comportamento elettrochimico della specie carbonilica 20. Studi
voltammetrici precedenti avevano mostrato che il cluster carbonilico 20 subisce tre
processi di ossidazione, il primo bielettronico e i restanti due monoelettronici e ben
separati fra loro, tutti reversibili nei tempi della voltammetria ciclica. La spettroelettro-
chimica IR si è dimostrata un ottimo strumento per studiare in maniera più dettagliata e
realistica ognuno dei tre processi osservati in voltammetria ciclica; questo studio ci ha
permesso di dimostrare che è possibile ottenere le specie 202+ e 203+, anche se quest’ultima
va incontro a parziale decomposizione che in voltammetria ciclica non era stata osservata.

45
Non è stato possibile invece osservare il terzo processo di ossidazione, visto invece in
voltammetria ciclica, che avrebbe dovuto formare il catione 204+. Sebbene in bassa resa, è
stato isolato il sale (20)(PF6)2, ottenuto dalla reazione di 20 con due equivalenti di un
ossidante monoelettronico ([FeCp2]PF6 o AgPF6).
Il tentativo di ossidazione monoelettronica, eseguito per verificare se fosse possibile
almeno osservare il monocatione 20+ come specie transiente non ha avuto esito positivo,
confermando sostanzialmente il responso della voltammetria ciclica, che prevede che 20
venga ossidato direttamente al dicatione 202+.
In futuro sarà quindi necessario:
Ottimizzare la sintesi del sale (20)(PF6)2 per massimizzare la resa di reazione.
La specie 202+ è una specie diradicalica, e dovrebbe essere caratterizzata via
spettroscopia EPR e magnetometria SQUID, per comprendere se e come gli
elettroni spaiati risentano l’uno della presenza dell’altro.
Approfondire gli aspetti elettrochimici del cluster 22, analogo di 20 con leganti
isonitrile al posto dei carbonili, poiché, come osservato anche in lavori precedenti a
questo, è quello che ha mostrato il comportamento redox più interessante, sia per
quanto riguarda la possibile stabilità delle specie ossidate (bassi valori di E 0), sia
per quanto riguarda l’esteso grado di comunicazione elettronica tra le due unità
cluster mediata dallo spaziatore butadiindiilico.

46
Capitolo 5

Parte Sperimentale

5.1 Generalità

Tutte le operazioni , se non diversamente specificato, sono state condotte in atmosfera di


azoto anidro. La vetreria prima dell’uso è stata tenuta in stufa a 115°C per circa un’ora,
quindi evacuata alla pompa meccanica ed infine riempita di azoto.

5.2 Solventi e Reattivi

I solventi sono stati anidrificati secondo i comuni metodi descritti in letteratura e distillati
in atmosfera inerte. I solventi deuterati sono stati disaerati ed usati senza ulteriori
purificazioni, mantenendoli su setacci molecolari in atmosfera inerte.

Etere dietilico Carlo Erba, RPE

È stato fatto rifluire per dodici ore su lega Na/K, distillato su LiAlH 4 ed infine
ridistillato.
Acetone Carlo Erba, RPE

È stato tenuto a riflusso per dodici ore su Na2CO3 e quindi distillato.


Cloroformio J.T.Baker
È stato distillato dopo dodici ore di riflusso su lega Na/K.
Diclorometano Carlo Erba, RPE

È stato distillato dopo dodici ore di riflusso su P 2O5.


n-Esano Panreac

È stato distillato dopo dodici ore di riflusso su lega Na/K.


Tetraidrofurano Carlo Erba, RPE

È stato fatto rifluire per dodici ore su lega Na/K, quindi distillato su LiAlH 4 ed infine
ridi stillato.
Trietilammina Sigma – Aldrich

47
E’stata distillata dopo dodici ore di riflusso su Ca(OH) 2

CDCl3 Cambridge Isotope Laboratories, inc.


E’stato utilizzato senza ulteriori purificazioni.
CD2Cl2 Cambridge Isotope Laboratories, inc.
E’stato utilizzato senza ulteriori purificazioni.
I seguenti reattivi commerciali sono stati impiegati senza ulteriore purificazione:
Acido triflico (Aldrich)
Bis – trimetilsilil – 1,3 – butadiino (Sigma – Aldrich)
CO (Rivoira)
CuI (Sigma – Aldrich, 98%)
t-butilisonitrile (Aldrich)
AgPF6 (sigma – Aldrich)

I composti [FeCp2]PF6, CoCp2, {Pt3}(CO)2H (1), [{Pt3}(CO)3]CF3SO3H() sono stati


preparati secondo le procedure descritte in letteratura.

5.3 Misure chimico – fisiche

Le acquisizioni di spettri NMR sono state effettuate con uno spettrometro Varian Gemini
200 BB e con un Bruker Avance DXR (400 MHz). Le frequenze, espresse in ppm, sono
riferite a Me4Si (1H, 13
C), a H3PO4 85% (31P) e ad H2PtCl6 (195Pt); per l’interpretazione
degli spettri la simbologia adottata è: s = singoletto, d = doppietto, t = tripletto, dd =
doppio doppietto, ddd = doppio doppietto di doppietti, dt = doppio tripletto, m =
multipletto, tv = tripletto virtuale). Gli spettri IR sono stati eseguiti con uno
spettrofotometro Perkin Elmer FT-IR spectrum 100 per le acquisizioni in soluzione e
Perkin Elmer FT-IR equipaggiato con dispositivo UATR per campioni solidi.

5.3.1 Misure Elettrochimiche

Le misure di voltammetria ciclica sono state eseguite con un Princeton Applied Research
(PAR) 273A potentiostat/galvanostat, interfacciato ad un personal computer, che impiega il
PAR M270 Electrochemichal Software. Le misure sono state effettuate in una cella a tre
elettrodi. Un disco ed una spirale di platino saldati in un tubo di vetro, sono stati utilizzati
rispettivamente come elettrodo di lavoro e come controelettrodo. Come elettrodo di pseudo
- riferimento è stato utilizzato un elettrodo di platino. La cella è stata anidrificata per
48
prolungato riscaldamento sotto vuoto, ed è stata, successivamente, riempita con azoto. Le
misure sono state effettuate sciogliendo i composti in una soluzione 0.2 M di NBu 4PF6 in
CH2Cl2 (5∙10-4 M in CH2Cl2/NBu4PF6) sotto atmosfera di azoto. E’ stata fatta una taratura
dello strumento eseguendo dei cicli di voltammetria tra i limiti di interesse anodico e
catodico, fino a che lo strumento non dava cambiamenti nella corrente di carica. E’stato
registrato un voltammogramma per ogni campione a con velocità di scansione 100 mV s -1.
Per ogni campione sono stati registrati diversi voltammogrammi a velocità crescenti da 20
mV s-1 a 1 V s-1; dopo aver registrato un numero di voltammogrammi sufficiente alla
caratterizzazione del composto, è stato aggiunto ferrocene decametile nella cella come
riferimento interno ed è stato registrato un ulteriore voltammogramma. I valori dei
potenziali sono stati calcolati ponendo la coppia redox FeCP 2*/FeCp2*+ come riferimento,
e riportando poi i valori di E 0 all’elettrodo a calomelano.
Le misure di spettro elettrochimica registrate all’infrarosso sono state eseguite per mezzo
di una cella OTTLE ( Optically Transparent Thin – Layer Elettrode) equipaggiata con
finestre di CaF2, in cui l’elettrodo di lavoro e quello ausiliario sono costituiti da una
minigriglia di platino; mentre l’elettrodo di pseudo – riferimento è dato da un filo
d’argento.

49
5.4 Sintesi

5.4.1 Sintesi di [{Pt3}(CO)3]CF3SO3 (1)


Il complesso è stato preparato seguendo la procedura riportata in letteratura 56. La seguente
sintesi non necessita di atmosfera controllata e solventi anidri.
In un pallone da 100 mL sono stati sciolti 250 mg (0.232 mmol) di [{Pt 3}(CO)2)H] in 6 mL
di cloroformio. Alla soluzione arancione sono stati aggiunti 21 μL (0.232 mmol) di acido
triflico; Dopo 30 minuti di agitazione, la soluzione è stata posta sotto atmosfera di COe
lasciata in agitazione per circa un’ora ( si può controllare l’andamento della reazione
31
mediante spettroscopia P NMR). La soluzione verde così ottenuta è stata concentrata a
piccolo volume (3 mL) e per aggiunta di 10 mL di Et 2O è stata osservata la precipitazione
di un solido verde microcristallino, che è stato recuperato per filtrazione, lavato con Et2O e
seccato alla pompa meccanica. (258 mg, 0.206 mmol, Resa: 88,7%). I dati NMR e IR sono
in accordo con quelli riportati in letteratura 56.

5.4.2 Sintesi del complesso [{Pt3}(CO)2Cl] (3)


Il complesso è stato preparato seguendo la procedura già descritta in letteratura56. La
seguente sintesi non necessita di atmosfera controllata e solventi anidri.
256 mg di [{Pt 3}(CO)3]CF3SO3 (2) (0.204 mmol) e 66 mg (0.238 mmol) (il sale di
ammonio è stato aggiunto in leggero eccesso) sono stati sciolti in 10 mL di acetone e la
miscela di reazione è stata lasciata in agitazione per una notte. E’ stata osservata la
precipitazione di un solido marrone. Il solvente è stato allontanato per evaporazione a
pressione ridotta e il solido così ottenuto ripreso con 10 mL di acetonitrile. Il precipitato è
stato raccolto mediante filtrazione, lavato con acetonitrile e seccato alla pompa meccanica
(197 mg, 0.101 mmol. Resa: 86,7%). I dati NMR e IR sono in accordo con quelli riportati
in letteratura56.

5.4.3 Sintesi del complesso (CO)2{Pt3} – CC – CC - {Pt3}(CO)2 (20)


95 mg (0.085 mmol) di 3 sono stati messi in un pallone da 100 mL con 5 mL di metanolo
degasato, 5 mL di THF distillato e 5 mL di trietilammina degasata. Alla soluzione sono
stati aggiunti 8.3 mg (0.043 mmol) di TMS – C4 – TMS , 0.16 (0.043 mmol) di CuI e 2.3
mg (0.043 mmol) di KOH. La de protezione dell’alchino avviene in – situ. La soluzione è

50
stata lasciata in agitazione fino a raggiungimento della massima conversione dei reagenti in
prodotti, controllando i progressi mediante spettroscopia 31P NMR. Il solvente è stato
allontanato a pressione ridotta ed il solido marrone ottenuto è stato ripreso con acetone Il
precipitato è stato filtrato, lavato con acetone e seccato alla pompa meccanica.

Analisi elementare: Calcolato per C56H108O4P6Pt6: Calcolato C = 30.6%, H = 4.9%.


Trovato C =30.4%, H = 4.8%.
1
H NMR (CDCl3, 293 K) δ(ppm) = 1.43 ppm (vt, 3JHP + 5JHP = 7.3 Hz, C – CH3, 72 H);
1.31 (d, 3JHP = 14.9 Hz, C – CH3, 36 H).
13
C NMR (CDCl3, 293 K) δ(ppm) = 175.6 (s, Pt – C≡O), 112.8 (s, Pt - C≡C), 67.8 (s, Pt -
C≡C), 38.9 (s, PC – CH3), 33.5 (s, PC – CH3).
31
P NMR (CDCl3, 293 K) δ(ppm) = 172 (d, 2JPP = 131 Hz, 2P), 91.9 (t, 2JPP = 131Hz, 1P).
195
Pt NMR (CDCl3, 293 K) δ(ppm) = -5663 (ddd, 1JPPt = 1877 Hz, 2JPPt = 71 Hz, 2 Pt),
- 6143 (dt, 1JPPt = 2102 Hz, 2JPPt = 113 Hz, 1 Pt).
IR (CH2Cl2) υ cm-1 = 2019 (C≡O).

5.4.4 Ossidazione monoelettronica del complesso {Pt 3}(CO)2 – CC – CC - (CO)2{Pt3}


(20)
40 mg (0.018 mmol) di 20 sono stati sciolti con 3 mL di CH2Cl2 distillato. La dissoluzione
richiede qualche minuto a causa della bassa solubilità di 20. Mantenendo in agitazione la
soluzione sono stati aggiunti 582 μL (0.018 mmol) di una soluzione 0.031 M di
[FeCp2]PF6 in CH2Cl2 distillato. La soluzione è stata lasciata in agitazione per 30 minuti,
dopodiché è stato effettuato un prelievo, sotto flusso di N 2 e il prodotto di reazione è stato
controllato mediante spettroscopia IR in soluzione.

IR (CH2Cl2): ν (cm-1) = 2030 ( C ≡ O); 2125 ( C ≡ C).

5.4.5 Ossidazione bielettronica del complesso Pt 3}(CO)2 – CC – CC - (CO)2{Pt3} (20)


40 mg (0.018 mmol) di 20 sono stati sciolti in 3 mL di CH2Cl2 distillato. La dissoluzione
richiede qualche minuto a causa della bassa solubilità di 20. Mantenendo in agitazione la
soluzione sono stati aggiunti 11.9 mg (0.036 mmol) di [FeCp2]PF6. E’ stato osservato un
immediato cambio di colore da marrone a rosso intenso. La soluzione è stata lasciata in
agitazione per 30 minuti, dopodiché, sotto flusso di N 2, è stato effettuato un prelievo ed il
prodotto di reazione è stato controllato mediante spettroscopia IR in soluzione. Il solvente

51
è stato allontanato mediante evaporazione a pressione ridotta, ed il solido rosso formatosi è
stato lavato con 5 aliquote da 2 mL di Et 2O distillato.
IR (CH2Cl2): ν (cm-1) = 1975 ( cumulene); 2052 ( C ≡ O);

52
Appendice A

Voltammetria Ciclica

La voltammetria ciclica (CV), facente parte delle tecniche voltammetriche a scansione


lineare, è indubbiamente uno dei metodi più semplici ed utili per una valutazione
preliminare delle proprietà redox di una specie, nonché della comunicazione elettronica tra
centri remoti. Tale tecnica analitica consente la misurazione della corrente in funzione del
potenziale applicato ad un elettrodo stazionario, in condizioni di completa polarizzazione.
Il potenziale, sotto forma di onda triangolare, viene fatto variare linearmente a velocità
costante ( solitamente compresa tra 20 mV · s -1 e 100 V · s -1), da un valore
iniziale Ei ad un valore finale Ef, dopodiché la direzione di scansione viene invertita sino a
che non viene raggiunto nuovamente il valore iniziale.
Nell’ esperimento voltammetrico vengono utilizzati tre differenti elettrodi: l’elettrodo di
lavoro, di materiale inerte ( generalmente Pt, Ag e Hg), sul quale avvengono i processi
redox; l’elettrodo di riferimento, dal potenziale noto, come riferimento interno; ed infine
l’elettrodo ausiliario (o contro – elettrodo), generalmente una grata di Pt, che assicura che
la corrente non passi nell’elettrodo di riferimento, impedendo così che il potenziale di
quest’ultimo venga alterato.

Il voltammogramma registrato, dalla forma caratteristica a doppia onda ( una per il


processo anodico, una per quello catodico), è ricco di informazioni termodinamiche e
cinetiche del sistema redox in esame. I parametri più significativi da prendere in
considerazione sono:
Epc: potenziale di picco catodico;
Epa: potenziale di picco anodico;
Ipc: intensità della corrente al picco
catodico;
Ipa: intensità della corrente al picco
anodico.

53
Attraverso l’esame del profilo voltammetrico e della sua variazione in funzione della
velocità di scansione, la CV offre l’opportunità di comprendere il tipo di meccanismo con
cui avviene la reazione e le sue caratteristiche di reversibilità.
Reversibilità chimica ed elettrochimica, pur non essendo equivalenti, sono strettamente
correlate. Un generico processo viene definito elettrochimicamente reversibile quando la
velocità del trasferimento elettronico è superiore a quella del trasporto di massa, così da
conservare la coppia redox all’equilibrio nel corso della scansione di potenziale.
Si parla, invece di processi elettrochimicamente irreversibili quando la velocità del
trasferimento elettronico è inferiore a quella del trasporto di massa . L’irreversibilità
elettrochimica è collegata alla presenza di una grande barriera di attivazione per il processo
redox che, facilmente, può portare alla rottura del frammento originario, con la formazione
di nuove specie.
In tutti quei casi intermedi in cui le velocità dei due processi (trasferimento elettronico e
trasporto di massa) siano paragonabili, si parla di quasi – reversibilità. Si tratta di processi
caratterizzati da importanti riarrangiamenti molecolari, ma che non necessariamente danno
decomposizione.

Figura A.2: profili voltammetrici per un processo di riduzione dall’aspetto: a) reversibile,


b) quasi reversibile, c) irreversibile.

54
Per quel che concerne gli aspetti caratteristici di un voltammogramma è possibile parlare di
reversibilità quando:

La separazione tra il potenziale di picco catodico ed il potenziale di picco anodico


(ΔEp), a 25 °C, è pari a mV (n = numero di elettroni coinvolti nel processo
redox)
Il potenziale del picco di andata (E f) è indipendente dalla velocità di scansione
Il rapporto tra la corrente del picco di andata (ipf) e la radice della velocità di
scansione ( ) rimane costante al variare della velocità di scansione
Il rapporto ipa / ipc è costantemente pari a 1.

Viceversa un processo irreversibile è caratterizzato dall’assenza del picco di ritorno e dal


fatto che il potenziale di picco di andata (E f) varia in funzione della velocità di scansione.

Nel caso di un processo quasi reversibile invece, questi valori cambiano con la velocità di
scansione: il valore di ΔEp cresce con la velocità di scansione, mentre il rapporto ipa / ipc
rimane, comunemente, uguale a 1.

La tecnica CV consente di valutare se c’è comunicazione elettronica tra centri metallici,


quando questi sono separati da leganti coniugati. Riportiamo, a titolo di esempio, il profilo
voltammetrico relativo alla rimozione di
due elettroni da un composto co0ntenente
due centri metallici M connessi da uno
spaziatore organico. In caso di
comunicazione elettronica tra i due centri,
il voltammogramma mostrerà due picchi
distinti, e , derivanti da due
ossidazioni monoelettroniche successive
(Fig. A.3, profilo b). La rimozione di un
primo elettrone su uno dei due centri
metallici causerà, infatti, una variazione
della densità elettronica influenzando così, tramite il ponte organico, il potenziale di
ossidazione del secondo centro metallico, che si ossiderà a potenziali più elevati. In caso di
assenza di comunicazione , il profilo ottenuto evidenzierà un unico picco, dovuto alla
contemporanea ossidazione dei due centri metallici (fig. A.3, profilo a).

55
L’entità della interazione fra i centri metallici viene in genere valutata attraverso la misura
della costante di equilibrio Kcom. Nel caso del complesso dinucleare I, portato ad esempio
nello schema A.1, la rimozione di un elettrone da uno dei due centri metallici porta alla
formazione di un complesso a valenza mista (VM), che in seguito subisce un’ulteriore
ossidazione monoelettronica, generando la specie II.

Le specie I, II, e VM sono correlate dall’equilibrio di compro porzione mostrato nella


schema A.2, la cui costante, Kcom, è funzione della differenza tra i potenziali dei due
processi redox riportati in figura ( ΔE° = ).

La concentrazione della specie a valenza mista VM tende a zero al diminuire di ΔE° e la


comunicazione elettronica è efficiente quando si osservano valori elevati di ΔE°e, quindi,
di Kcom. In questi casi è in genere possibile isolare la specie VM anche per via chimica59.

Un’efficiente comunicazione elettronica lungo la struttura lineare è il risultato di molti


fattori e dipende, non solo dalle caratteristiche elettroniche dei frammenti organico e
metallico, ma anche dal modo in cui essi interagiscono. E’ quindi impossibile definire
spaziatori in assoluto più efficaci di altri; tuttavia i molti studi condotti su questi tipi di
oligomeri hanno reso possibile evidenziare qualche tendenza generale:

Gli spaziatori organici insaturi, in particolare unità alchiniliche o poliviniliche, si


sono spesso dimostrati buoni conduttori per il trasferimento elettronico creando una
rete π coniugata su tutta la molecola;

56
Il legame σ metallo – carbonio tra il ponte alchinilico ed il centro metallico porta in
genere ad un aumento della delocalizzazione elettronica rispetto alle connessioni
ottenute attraverso un legame π60.
Al progressivo aumento della lunghezza organico corrisponde una diminuzione del
ΔE°, condizione che presuppone un indebolimento della comunicazione elettronica
fra i centri metallici61. Questo andamento generale risulta però meno marcato in
sistemi coniugati poli – enilici o poli – inilici.

57
Appendice B

SpettroElettrochimica

Le tradizionali tecniche analitiche elettrochimiche costituiscono metodi eccellenti sia per le


determinazioni di concentrazioni e dati energetici sotto forma di potenziali redox, sia per la
comprensione di meccanismi di reazione attraverso analisi cinetiche. Tuttavia, spesso,
queste tecniche da sole non sono sufficienti per l’identificazione di specie ignote, formatesi
come intermedi o prodotti nel corso di una reazione redox. Pertanto la possibilità di poter
utilizzare ulteriori, ed eventualmente più specifiche, caratteristiche fisiche delle molecole,
per monitorare i processi elettrodici, sia in condizioni dinamiche che di equilibrio, ha
generato enormi sforzi nello sviluppo e messa a punto di tecniche elettrochimiche 62.

L’impulso decisivo
all’affermazione della spettro
elettrochimica (SEC) è stato fornito
dalla disponibilità, a partire dalla
fine degli anni ’50, di elettrodi
trasparenti otticamente (OTE) che
hanno consentito di effettuare
misure spettroscopiche
direttamente attraverso l’elettrodo
(in situ)63. L’ossido di stagno
drogato con indio è uno dei
materiali più indicati per avere
trasparenza ottica in spettroscopia
IR ed UV – Vis, mentre più recentemente sono stati messi a punto elettrodi costituiti da
film di diamante drogati con boro, i quali permettono ampi range di potenziali
scansionabili, inerzia in ambienti chimicamente aggressivi e biocompatibilità. Una
strategia alternativa all’utilizzo di elettrodi trasparenti è data da conduttori nobili
sottoforma di griglie o garze sottili64. Le celle comunemente impiegate fino alla fine degli
anni ’60 avevano tempi di risposta variabili, da circa 10 s, sino ad alcuni minuti, perciò
processi giudicati come reversibili sulla scala dei tempi della voltammetria ciclica,
58
potevano risultare meno o quasi reversibili nel lungo intervallo necessario all’esperimento
elettrochimico. Tuttavia il tempo di risposta è stato ridotto grazie all’introduzione di celle
in cui lo spessore dello strato dell’elettrolita attorno all’elettrodo di lavoro è ristretto (Fig.
B.1).

Un’ulteriore attenzione al fine di una comparazione dei risultati ricavati da voltammetria


ciclica e spettro - elettrochimica riguarda le concentrazioni: per quest’ultima, infatti,
devono essere più elevate per evitare problemi d’intensità insufficienti.

I metodi spettroscopici applicati congiuntamente all’elettrochimica sono numerosi,


sicuramente tra i più comuni troviamo le spettroscopie di assorbimento nelle regioni UV –
Vis, NIR, IR, la spettroscopia Raman, le risonanze magnetiche ESR o NMR, ma anche la
spettroscopia di assorbimento dei raggi X e la luminescenza in UV – Vis.

Nel corso delle ultime decadi la spettro elettrochimica si è andata affermando come
strumento efficace nel seguire processi elettrochimici e nella simultanea raccolta di dati
identificativi dei prodotti elettrogene rati. Sono state messe a punto numerose
configurazioni per le celle impiegate con differenti gradi di sofisticatezza, soluzioni
ingegnose hanno permesso di adeguare la cella ai vari requisiti sperimentali, come la
rigorosa esclusione di umidità e aria, un controllo più accurato del potenziale, la capacità di
condurre misure a differenti temperature, specialmente basse, o geometrie di cella speciali
per adattarsi allo spettrometro desiderato 65. I motivi per cui si ricorre alla spettro
elettrochimica possono essere diversi e si estendono ben oltre la semplice raccolta di dati
spettroscopici delle specie elettrogene rate. Possono riguardare: l’identificazione del reale
sito coinvolto nel processo di trasferimento all’interno di una molecola con due o più
costituenti redox attivi, con potenziale di ossidazione o riduzione simili, ma proprietà
differenti delle rispettive forme ridotte e ossidate; oppure l’ottenimento di informazioni
circa la forza dell’accoppiamento elettronico fornito dal ponte all’interno di molecole in
cui metà redox attive, identiche o simili, sono collegate da spaziatori. La spettro
elettrochimica consente inoltre di variare, in maniera reversibile, proprietà elettroniche di
un legante o sostituente redox attivo in alcuni punti della molecola e contemporaneamente
monitorare i cambiamenti spettroscopici.

Tra le problematiche più comuni legate all’analisi spettro elettrochimica vi sono: la


difficoltà nel rilasciare o mantenere un’uniforme distribuzione corrente – potenziale
all’interno di una cella a strato sottile in cui si hanno , spesso, separazioni notevoli tra gli

59
elettrodi; la richiesta in alcuni casi di un tempo di elettrolisi lungo per convertire tutto il
reagente di partenza; la possibilità che l’elettrolita di supporto od il solvente interferiscano
nell’identificazione degli intermedi e la difficoltà a lavorare a basse temperature 66.
Nonostante ciò, rispetto all’ossidazione chimica, la spettro elettrochimica mostra i seguenti
vantaggi: elimina il problema del trasferimento del campione nella cella spettroscopica,
consente di individuare ed acquisire informazioni strutturali anche su intermedi con tempo
di vita breve e soprattutto consente la diretta correlazione di dati spettroscopici ed
elettrochimici in funzione del tempo e del potenziale67.

B.1 Spettroelettrochimica di complessi organometallici ricchi di carbonio


Una delle questioni centrali nella maggior parte dei lavori pubblicati è il modo in cui il
trasferimento elettronico influenza il legame all’interno della molecola. I cambiamenti
osservati negli spettri vibrazionali od elettronici riflettono l’alterata distribuzione
elettronica e, considerando valida l’approssimazione per cui il processo redox coinvolga
principalmente gli orbitali di frontiera HOMO – LUMO, l’esperimento spettro
elettrochimico può venire utilizzato per la mappatura dei cosiddetti orbitali redox 68. Queste
indagini sono particolarmente interessanti per i composti che presentano legami altamente
de localizzati, di cui fanno parte i composti organometallici ricchi di carbonio, in cui il
centro metallico è legato direttamente con un legame singolo o multiplo metallo – carbonio
a leganti organici insaturi, coniugati o cumulati.
Buona parte del lavoro su complessi polimetallici con leganti ricchi di carboni insaturi o
coniugati è motivato dall’abilità di questi leganti di fornire efficienti percorsi per
interazioni elettroniche (comunicazione) tra i gruppi terminali redox attivi. Questo li rende
interessanti candidati per fili molecolari e, in un contesto più ampio, come costituenti di
dispositivi miniaturizzati nel campo emergente dell’elettronica molecolare 69.
Ponti oligo – inilici a catena corta sono particolarmente popolari perché coniugano, in
maniera altamente favorevole, conveneienti vie d’accesso, efficiente delocalizzazione
elettronica attraverso due sistemi π ortogonali indipendentemente dall’angolo di torsione
tra le singole sub – unità ed un effettivo controllo della durata del trasferimento elettronico.
Ponti oligo – enilici, sebbene meno comuni, sono in grado di fornire anche una migliore
delocalizzazione elettronica, grazie ad una miglior combinazione tra gli orbitali del metallo
e quelli del ponte70. In sistemi così altamente coniugati, la differenziazione tra i gruppi
terminali redox attivi ed il ponte diventa quasi arbitraria, se non impossibile. La ragione
alla base di ciò sta nel fatto che gli spaziatori contribuiscono in maniera significativa agli

60
orbitali di frontiera, costituendo così una parte integrante dell’orbitale redox direttamente
coinvolto nel processo di trasferimento elettronico 71.
La capacità dello spaziatore di trasmettere informazioni elettroniche tra i siti redox
terminali viene spesso comprovata attraverso l’elettrochimica. Il parametro di interesse è lo
splitting dei potenziali a mezz’onda tra processi redox consecutivi, . Generalmente

questo aumenta man mano che le interazioni elettroniche attraverso il ponte divengono più
forti. I potenziali e le loro differenze dipendono, tuttavia, da una certa varità di fattori tra
cui, la stabilizzazione elettronica di stati a valenza mista; questi contributi spesso
dominano lo splitting di potenziale osservato 72. Ovviamente perciò è ben auspicabile una
misura maggiormente diretta e meno ambigua dell’estensione della delocalizzazione
elettronica all’interno di questi sistemi.
Robin e Day distinsero tali sistemi in base al grado di delocalizzazione elettronica in tre
classi73:

Classe I, sistemi caratterizzati da siti redox essenzialmente non interagenti: ogni


singola ub – unità si comporta come in un simile analogo mononucleare nel
corrispondente stato d’ossidazione;
Classe II, le specie formalmente ossidate o ridotte acquistano già le proprietà
dell’altro stato redox: la velocità del trasferimento elettronico intramolecolare è
comunque troppo bassa per renderli veramente equivalenti;
Classe III, sistemi in cui anche la più rapida prova spettroscopica non riesce a
distinguere siti redox chimicamente equivalenti nello stato a valenza mista,
vengono denominati come intrinsecamente de localizzati.

Sistemi appartenenti a quest’ultima classe mostrano la comparsa di una caratteristica banda


di trasferimento di carica intervalenza nella regione del vicino infrarosso. La forma,
l’energia, l’intensità, la dipendenza dal solvente di questa banda permettono la
determinazione del potenziale di accoppiamento elettronico VAB ed il parametro di
interazione α. Entrambe sono misure quantitative del grado di interazione elettronica tra i
due siti74.

61
Appendice C

Caratterizzazione di cluster di platino mediante


spettroscopia NMR dei nuclei 31P, 195Pt, 1H

La spettroscopia NMR ha fornito un supporto determinante in questo lavoro come


strumento utile per la caratterizzazione dei nuovi composti isolati. Poiché i complessi
preparati in questo lavoro di tesi sono costituiti da tre centri di platino con leganti fosfuro a
ponte e in un caso con un legante fosfina terminale, le spettroscopie 31P e 195Pt NMR sono
risultate particolarmente utili come strumento di indagine.
31
Il nucleo P(I = , abbondanza isotopica 100%, sensibilità relativa rispetto al protone =
0,063) risuona in un campo di frequenze compreso tra 450 e -150 ppm fornendo segnali
molto stretti che quindi risultano ben separati fra loro.
I segnali dei fosfuri possono spostarsi o a campi molto bassi nello spettro ( 150 ÷ 450
ppm)75,76 quando sono a ponte tra due centri metallici uniti da legame metallo-metallo, o a
campi alti (-50 ÷ -150 ppm)79 in mancanza di tale interazione. Nel caso di fosfine
terminali, i segnali cadono in zone di spettro comprese tra 70 e -70 ppm.
Mentre il chemical shift ci da indicazioni qualitative sul tipo di fosforo in esame (fosfina o
fosfuro)43 e la molteplicità del segnale indica il numero di altri nuclei di 31
P accoppiati ad
esso, le costanti di accoppiamento danno informazioni sul tipo di geometria indicando le
posizioni relative di tutti questi atomi all’interno del complesso.
In figura C.1 sono riportati alcuni esempi limite di segnali di fosfuri a ponte in comples
i dinucleari

Figura C.1

62
Lo spettro 31P NMR accoppiato con il protone indica con chiarezza se una delle fosfine
coordinate è secondaria: in questo caso infatti il segnale viene splittato78b da una grande
1
JP-H = 200 ÷ 300 Hz, mentre i segnali di fosfuri e fosfine terziarie risultano semplicemente
slargati ( il valore 1JP-H viene comunque valutato con maggiore precisione dallo spettro al
protone che non da quello 31P NMR, che dà in genere segnali slargati).
Per i complessi da noi studiati, gli spettri vengono ulteriormente complicati per la presenza
195
di nuclei Pt (I= , abbondanza isotopica = 33,8%, sensibilità relativa rispetto al
protone = 3,36∙10-3)78a.
Nel caso più semplice, quello di una specie mononucleare, questa è presente per il 33,8%
di 195Pt ( isotopomero A ) e per il restante 66,2% come specie di platino inattivo all’NMR
(isotopomero B). Nello spettro questa distinzione produrrà un segnale centrale dovuto
all’isotopomero B e una coppia di satelliti dovuti all’accoppiamento con l’isotopomero A:
l’area rappresenta approssimativamente il 66,2% e il 33,8% dell’area totale. Le costanti di
accoppiamento P-Pt in composti mononucleari, nei quali due nuclei sono sempre
direttamente legati, sono molto grandi in valore assoluto ( 1JP-Pt= 1000÷5000 Hz) e molto
più grandi delle costanti di accoppiamento P-P (JP-P< 500 Hz). Questo fa si che i satelliti
195
dovuti all’isotopomero contenente Pt siano in genere ben separati dal segnale centrale
più intenso dovuto all’isotopomero con Pt NMR inattivo.
Quando si ha a che fare con sistemi con complessi polinucleari la situazione diventa più
195
complicata, poiché si possono avere nuclei di fosforo direttamente legati al Pt o separati
da esso da due o più legami; nel secondo caso, le costanti di accoppiamento diminuiscono
rapidamente (2JP-Pt = 0÷300 Hz). La maggiore complessità degli spettri al fosforo di sistemi
polinucleari, permette di ottenere maggiori informazioni sulla molecola in esame. Per
esempio, oltre al valore di chemical shift, anche le costanti di accoppiamento P-Pt sono
utili per distinguere tra un atomo di fosforo a ponte o tra un atomo di fosforo di una fosfina
terminale.
31
In figura C.2 sono mostrati gli spettri P{1H}NMR osservabili nel caso, relativamente
semplice, in cui si abbia un solo atomo di fosforo legato ad un sistema dinucleare di
platino. Si possono distinguere tre casi in cui, rispettivamente, il fosforo è legato:

a) a ponte tra due atomi di platino chimicamente e magneticamente equivalenti;

b) a ponte tra due atomi di platino diversi tra loro;

c) terminale su uno dei due atomi di platino.

63
Figura C.2: sottospettri dovuti ai differenti isotomere e spettro finale ( 31P{1H}) di un
complesso dinucleare di platino con un solo legante fosfuro.

Nei casi (a) e (b) P si accoppia con entrambi i centri metallici con una grande 1JPPt; i
satelliti più intensi, dovuti agli isotopomeri B e C, sono quindi due doppietti (che
coincidono nel caso (a) con 1JPPt1 = 1JPPt2), con linee ben distanziate dal segnale centrale. I
deboli satelliti dovuti all’isotopomero D completano il segnale, che nel caso (a) appare nel
suo complesso come un quintupletto (rapporto di intensità circa 1:8:18:8:1, Japparente =
1
JPPt/2).

64
Il caso (b) è leggermente complicato dalla non equivalenza delle due 1JPPt, ma nel suo
complesso ricorda da vicino il quintupletto osservato nel caso (a): in totale si osservano
nove linee in rapporto di intensità circa 1:4:4:1:16:1:4:4:1.

Nel caso (c) invece i satelliti più intensi, dati dagli isotopomeri B e C, sono caratterizzati
da una piccola 1JPPt e una grande 1JPPt; si ha quindi un doppietto intenso molto vicino al
segnale centrale ed un altro doppietto, di uguale intensità, ben separato. Le linee di
quest’ultimo sono affiancate dai deboli satelliti dovuti all’isotopomero meno abbondante
D. il segnale appare nel suo insieme come un triplo tripletto con nove linee di intensità
relativa circa 1:4:1:4:16:4:1:4:1.

Anche gli spettri 195Pt NMR81 di specie polinucleari risultano estremamente utili. Il range
di chemical shift è di circa 13000 ppm, quindi i segnali sono generalmente ben separati. È
difficile prevedere in quale zona dello spettro cadranno i segnali: non è possibile formulare
regole di validità generale che mettano in relazione il chemical shift al numero e al tipo di
195
leganti che si trovano sull’atomo metallico. In ogni caso lo spettro Pt NMR ha il
vantaggio di fornire pochi segnali ben separati. Per sistemi simili a quelli esaminati in
questo lavoro, risultano estremamente utili le 1JP-Pt comprese tra 1400÷5000 Hz. Molto
importanti sono anche le 1JPt-Pt, utili per comprendere il grado di interazione metallo –
1
metallo nella molecola: grandi valori di JPt-Pt (1000÷9000 Hz) sono associabili a
interazioni di legame M-M. Essendo questa però una regolarità non sempre osservabile, la
presenza del legame metallo-metallo, deve essere affrontata utilizzando altre tecniche di
indagine.
Gli spettri NMR di 31P e 195Pt dei composti oggetto di studio sono la risultante della somma
di otto differenti isotopomeri con diverso contenuto di 195Pt.
La composizione e l’abbondanza di ciascun isotopomero vengono riportate in figura C.3. I
31
cluster preparati in questo lavoro di tesi mostrano spettro P{1H} NMR 195
Pt{1H} NMR
dall’aspetto caratteristico, conforme con il sistema di spin AA’MXX’Y (AA’ = P 1P3, M =
P2, XX’ Pt2Pt3, Y = Pt1), definito da quattro valori di chemical shift e da nove costanti di
accoppiamento.
31
Gli spettri del nucleo P mostrano due segnali in cui i picchi centrali, dovuti
all’isotopomero A, sono un doppietto ed un tripletto conformemente con la presenza di due
nuclei di fosforo equivalenti (P1, P3) accoppiati ad un terzo (P2). Ogni segnale è affiancato
dai satelliti legati agli isotopomeri B – H. I satelliti più intensi sono quelli dovuti agli
isotopomeri B – C con abbondanza totale 29.6% [sistema di spin AA’MX, AA’ = P 1, P3,

65
M = P2, X = Pt2 (in B), o Pt3 (in C)]. La parte M può essere analizzata come
approssimazione del primo ordine e fornisce un doppietto di tripletti, mentre la parte A non
può essere considerata del primo ordine. Il sottospettro del primo ordine legato
all’isotopomero D (sistema di spin A2MX, A = P1 , P3, M = P2, X = Pt1; 14,8 %) consta di
un doppietto di doppietti (parte A) e di un doppietto di tripletti (parte M). Infine il segnale
è completato dalla presenza di deboli satelliti dovuti agli isotomeri E – H.

Figura C.3: isotopomeri del cluster trinucleare.

Gli spettri 195Pt{1H} NMR mostrano due segnali, rispettivamente un doppietto di doppietti
(dovuto agli isotopomeri B e C) corrispondente ai nuclei magneticamente equivalenti Pt 1 e
Pt3 ed un doppietto di tripletti (dovuto all’isotopomero D); in più ogni segnale è complicato
dalla presenza di segnali più deboli dovuti legati agli isotopomeri E – H meno abbondanti.
Generalmente δP e δPt, nonché numerose delle nove costanti di accoppiamento che
31 195
determinano la forma degli spettri NMR dei nuclei P e Pt, possono essere ottenute
direttamente dagli spettri, le restanti, invece, possono essere ricavate, in maniera
relativamente semplice, servendosi di programmi di simulazione.

66
Un importante indicazione strutturale è fornita anche dallo spettro 1H NMR quando sono
presenti due nuclei di fosforo con sostituenti alchilici, con protoni sul carbonio in α o in β
(R= Me, tBu), coordinati allo stesso centro metallico, sia in sistemi mononucleari che
polinucleari.

Se i due nuclei di fosforo sono in posizione cis o pseudo-cis (angolo P-M-P ~ 90°, figura
C.4), lo spettro 1H NMR appare come un doppietto per l’accoppiamento del protone
alchilico con il solo fosforo cui l’alchile è direttamente legato (2JH-P se R = Me, 3JH-P se R =
t
Bu).

Figura C.4: segnale dei protoni alchilici all’interno dello spettro 1H NMR in sistemi cis o
pseudo – cis

Se invece i due nuclei di fosforo sono in trans o pseudo - trans(angolo P-M-P~180°, figura
C.5), la costante di accoppiamento fosforo-fosforo diventa grande tanto da influenzare lo
spettro 1H NMR dei protoni alchilici. In tal caso nello spettro compare un segnale simile ad
un tripletto, che viene chiamato tripletto virtuale; la separazione tra i picchi del tripletto
non fornisce il valore di una singola costante di accoppiamento ma la somma degli
accoppiamenti tra i protoni alchilici e i due atomi di fosforo ( 2JH-P+4JH-P se R = Me e 3JH-
5
P+ JH-P se R = tBu).

Figura C.5: segnale dei protoni alchilici all’interno dello spettro 1H NMR in sistemi trans o
pseudo – trans.

67
Ad una disposizione spaziale dei due atomi di fosforo, con angolo P-M-P compreso tra 90°
e 180°, corrispondono costanti di accoppiamento fosforo-fosforo di valore intermedio e,
nello spettro, per i protoni alchilici, andamenti intermedi tra un doppietto e un tripletto
virtuale. Anche in questo caso la separazione tra i picchi è la somma delle costanti di
accoppiamento tra i protoni e i due atomi di fosforo (2JH-P+4JH-P se R = Me e 3JH-P+5JH-P se
R = tBu).

Figura C.6: segnale dei protoni alchilici all’interno dello spettro 1H NMR in sistemi
intermedi.

68
Capitolo 6

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