Ravasi 1986 (SL 57) (+)
Ravasi 1986 (SL 57) (+)
Ravasi 1986 (SL 57) (+)
COMMEN'IO E ATTUALIZZAZIONE
ISBN 88-10-20536-7
SALMO 57 (56)
« O rmai n o n m i rivolgo più agl i uomini, bensì a te, Dio d i tutti gli
esseri, d i tutti i mondi, d i tutti i te mpi, se mai è lecito a deboli
creature, sperdute nell'im mensità e i m percettibili al resto dell'u
n iverso, di ardire chiederti qualcosa, a te che hai dato tutto , a te
i cui seg reti sono i m m utabili ed eterni . Degnati d i considerare
con occhi pietosi g l i errori inerenti alla nostra natura e fa' che
questi errori non d iventino la nostra sventura! Tu non ci hai dato
un cuore perché ci odiassimo e mani perché ci sgozzassi m o ;
f a ' c h e c i aiutiamo reciprocamente a tollerare i l fardello d ' una
vita penosa e passeggera i . . . Che tutte le m i n i m e sfu matu re che
distinguono g l i ato m i ch iamati uomini non siano segnali di odio
e d i persecuzione ! . . . Che coloro che domi nano s u una particel
la del mucchietto di fango d i qu esto mondo e che posseggono
alcuni fram menti arrotondati d ' u n certo metallo, godano senza
o rgoglio di ciò che ch iamano grandezza e ricch ezza e che gli
altri l i guardino senza invidia, perché tu sai che in codeste
vanità non c'è nulla né da invidiare né da insuperbire.
Possano tutti gli u o m i n i rico rdarsi che sono frate l l i ! che abbiano
orrore della ti rannia esercitata sulle anime, come hanno in
esecrazione i l brigantaggio chè con la forza rapisce il frutto del
lavoro ! Se i flagelli della gue rra sono i nevitabili, non odiamoci,
non laceriamoci a vicenda in seno alla pace e i mpieg h iamo
l'atti mo della nostra esistenza a benedire in varie lingue, dal
Siam fino alla California, la tua bontà che ci ha accordato
q uesto atti m o l » .
(Voltaire, Trattato della tolleranza, tr. it. d i P . Bianchi, Milano 1 967, pp.
1 04- 1 05 : « Preghiera a Dio• ) .
SALMO 57 (58) 1 45
3
1 nvocherò Dio, l'Altissimo,
Dio, il Vendicatore, I'Aitissimo.1
4 Mandi dal cielo e mi salvi ,
attacchi chi mi persegu ita, se/ah
mandi Dio il suo amore e la sua fedeltà.2
5 /1 mio essere riposa in mezzo a leoni
infiammati di rabbia contro gli uomini :
i loro denti sono lance e frecce,
· la loro lingua è spada affilata.
' Il TM ha 'alaj, «SU di me• ; meglio vocalizzare 'eli, •Altissimo, in parallelo con 'elj6n, "Altissimo,, del
primo stico•.
• Per le questioni poste dal testo ebraico di questo versetto vedi l'esegesi.
3 Si può intendere rOmsh anche come imperativo: «Innalzati!•. Noi lo traduciamo come sostantivo
rlJmsh, «altezza, grandezza .. .
• Lett. nafsi, «il mio essere vivente .. , ma il vocabolo ha spesso questa accezione somatica. Per la
versione «cappio• vedi l'esegesi.
5 Nel codice sinaitico e nel parallelo Sal 1 08,2 si ha anche il pronome personale «& te (/ak). ..
l {
-Introduzione all'inno nei vv. 6-7
a. Antifona parallela al v. 12 nel v. 6
,
b. Due distici che riprendono il tema del primo salmo (v. 7)
-Inno vero e proprio (vv . 8-12 = Sal 108,2-6) .
In altri termini tra le due composizioni sarebbe stato inserito un intervento
redazionale , una specie di ponte letterario coordinatore (i vv. 6-7).
Esiste , però , anche un'altra interpretazione che, meno impressionata dal
salto di tono e di tema, non impossibile, come si è detto , nelle suppliche, suppone
una base unitaria. La cornice sarebbe quella del tempio (v. 2), l'arco temporale
quello di una giornata , dalla sera al giorno successivo (v. 9) . Si tratterebbe,
perciò, di una supplica inviduale di una persona perseguita da un «mandato di
cattura» spiccato da crudeli giudici. L'orante cerca, secondo la prassi del diritto
processuale ebraico, asilo giudiziario nel tempio a cui affida la sua causa
attraverso un'ordalia o, più probabilmente, attraverso il rito dell'incubazione
sacra nel tempio (Sal 3,6; 4,9; 5,4; 17,3; 59,17) . Il rito, notissimo nel mondo
orientale antico, supponeva una teofania notturna liberatoria cui seguiva all'alba
l'oracolo liberatorio pronunziato dal sacerdote o dal profeta cultico. Uno dei
cinque Salmi siriaci di Davide, prodotti apocrifi di origine giudaica, ha: «Sono
giunto per riposare . Ho dormito , ho sognato e l'aiuto venne in mia liberazione»
1 Oltre ai commenti generali si vedano gli studi di Grill S . , Psalm' 57 nach dem syrischen Text
eine Bine um Absetzung der gottfeindliche Fursten -, in «Theologische-praktische Quartalschrift» 107
(1959), 133-135; Hoope M. A . , <<In You, o Lord, I seek refuge». Considerations on Ps 57, in BiTod 72
(1974), 1608-1612; Auffret P . , Note sur la structure linéraire du Psaume 57, in Sem 27 ( 1977), 59-73;
Goldingay J . , Repetition and variation in the Psalms, io JQR 68 (1977-78) , 146-15 1 ; McKay J. W.,
Psalms of Vigil, in ZAW. 91 (1979) , 229-247. Vedi anche Beyerlin W . , Die Renung der Bedriìngten . . .
cit. (Sal 54) e Waaijman K. , Psalmen over recht en onrecht, Kampen s.d.
1 Per il titolo vedi Sl01novic E., FomuJtion of historical titles in the book of Psalms , in ZAW
(1979) , pp. 372-373.
Dimensione letteraria
Aperto sul tempio e la sua liturgia, il salmo ben presto allarga il suo
orizzonte sino a raggiungere il cosmo intero. Inizia come canto elevato a Dio nel
tempio che è, nella teologia biblica e orientale , un microcosmo e sfocia negli spazi
infiniti del cosmo. Al centro, però, c'è il «cuore» (v. 8) che è quasi il punto nodale
delle relazioni che infittiscono la trama simbolica del canne : io e la mia coscienza,
io e Dio, io e il cielo, io e la terra, io e l'universo intero. Ma su un altro piano al
centro c'è Dio, il re e il giudice della terra che risponde a tutte quelle relazioni e le
trasforma. Vediamo ora a livello letterario la stesura che il poeta ha fatto del suo
carme attraverso anche il contributo della citazione di un'altra composizione.
3 Moraldi L. , I mancscritti di Qumran, Torino 1971 , p. 499. Cf. anche Carmignac J., Notes sur
les Pesharim , in RQ 3 (1962), pp. 521-526. D testo del pe.fer del Sal 57 non è ancora stato pubblicato in
edizione critica definitiva.
1 50 SALMO 57 (56)
tracciare il giuoco generale dei rimandi che permetteranno poi di dipanare un
armonico piano di lettura. In questo schema ci troviamo per molti elementi in
concordanza con l'analisi strutturale del Sal 57 e,seguita da Auffret. Ecco lo
spartito letterario del salmo :
vv.
2- 4 La supplica
v. 5 L'incubo del pericolo
r+--+--- v. 6 Antifona-appello all'intervento divino
v. 7 La liberazione dal pericolo
Il salmo suppone come fondale l'area sacra del tempio che però sfuma
aprendo il cerchio di visuale verso l'infinito. Tempio e cosmo si intercettano e si
rimandano reciprocamente . Il simbolismo spaziale è, quindi, il coordinatore
generale del quadro. La dinamica teologica di questo simbolo è stata ben illustrata
da R. Lack.4 «Tanto Dio quanto l'uomo si trovano in un luogo duplice ! Dio è
4 Lack R . , Mia forza e mio canto è il Signore, Roma 1981, p. 93. Il tempio come centro
paradisi acodel cosmo, ombelico (tabar in ebraico) geografico del mondo, isomorfia della madre, della
metro-poli, della genitrix, archetipo del <<centro» e dell'intimità è un tema simbolico tipico degli inni a
Sion e di rilevanza costante in tutte le culture. Vedi Guimbretière A . , Quelques remarques sur la
fonction du symbole à propos de l'espace sacralisé, in «Cahiers Intemationaux de Symbolisme» n. 13,
(1967-68), 33-55 .
fedeltà sono ancora nei cieli (v. 4) , oggetti di fede e di speranza. Quando il
Signore avrà accordato il suo aiuto, il salmista si ripromette di cantare tra i popoli:
"Il tuo amore è grande fino ai cieli e la tua fedeltà fino alle nubi" (v. 11). Il
rapporto cielo e terra si sarà invertito. La fede non dovrà più garantire sulla terra
per il Dio del cielo . La terra stessa, visitata dalla potenza di Dio , risponderà del
cielo (vv . 6. 12) . Più Dio fa riuscire la terra, più l'uomo crede al cielo». Il tempio
. .
5 ViganO L . , Il titolo divino Marbm: "L'Eccelso», in «Studii Bib. Frane. Liber Annuus» 24
(1974) , 188·201 pensa che anche in questi due vv . , come nel Sal 56,3 (vedi anche 7,8; 10,5; 92,9; 138,6;
Is 38,14; 57,15; Gb 21 ,22; Ger 3 1 , 12) , ci sia appunto questo riferimento all'appellativo divino Mar6m,
Eccelso. Interessante è la proposta di Dahood che legge l'imperativo rumah come un sostantivo (cf.
2Re 23,36; Gdc 9,41) con un significato simile al maschile ram, «altezza»: si tratterebbe di ramah,
«potenza, altezza, grandezza», anche <<lode» (Sal 66,17; 149,6; Mi 2,3). La proposta, già avanzata da
Podechard, avrebbe il vantaggio di stabilire un parallelismo col successivo kabòd, «gloria» e in questo
senso può essere presa in considerazione anche se il risultato dal punto di vista semantico è identico
alla lettura con l'imperativo. Siamo meno d'accordo col resto dell'applicazione di Dahood che,
traducendo rumah con «statura», cerca un riferimento «monarchico» eccessivamente laborioso. Ecco
la sua opinione: «C'è qui un'evidenza letteraria degli antichi criteri semitici per la qualificazione della
suprema divinità in parallelo con la concezione del re ideale. Saul è stato scelto re «a causa della sua
imponenza e della sua statura» (1Sam 16,7). Nel mito cananeo il dio 'Athtar tenta di occupare il trono
vacante di Baal ma la sua pretesa è respinta perché troppo basso di statura (UT 49: 1: 30-33) . . . La
statura di Jahweh torreggia sopra i cieli e la sua gloria si estende sino agli estremi confini della terra>>.
Graetz ha emendato senza necessità in romemah , «Sorgi!». Halévy, Buhl, Jacquet hanno aggiunto il
pronome di seconda persona rumeka, «la tua altezza»: per il principio ben dimostrato del suffisso con
doppio valore, il tua della «gloria» dello stico successivo può benissimo coprire la carenza e lasciare
intatto il sostantivo rfìmah.
6 Citato da Beaucamp E. - De Relles J. P., lsrael attend son Dieu cit. , II, p. 51.
' Iliade VI, 175; Odissea Il, l; V, 228. Vedi anche Is 14,12; Gb 3,9; 41 ,10 e Ovidio, Metamorfosi
Xl, 597.
Lettura esegetica
8 D TM ha: «svegliati kebodt» , «gloria mia», che è probabilmente una lettura erronea e più facile
della radicale kbd nella forma kaMd, «gloria», presente nel v. 6 e nel v. 12. Ma il parallelismo con leb,
«cuore», precedente rende più logica la vocalizzazione kebedf, «mio fegato». II parallelismo è presente
anche nella poesia ugaritica (UT l Aqht: 34-35; UT 75: I: 12-13) . Esemplare è Sal l6,9-10: «Per questo
gioisce il mio cuore (libbt) ed esulta il mio fegato (kebedt), anche la mia carne (bisrf) abita al sicuro
perché non abbandonerai il mio essere vitale (naftt) nello sheol». Non è accettabile la lettura di un
manoscritto ebraico e del TM del Sal l08,2 che hanno una specie di vocativo, «Sl, gloria mia», senza la
ripetizione del verbo «svégliati» . Per questo Duhm, Buhl, Podechard, Jacquet pensano che la lezione
originale fosse 'attah kebodl, <<tu, gloria mia» e Jacquet traduce il tutto cosl: «<l mio cuore è rassicurato,
o Dio, il mio cuore è rassicurato. Io voglio cantarti, acclamare te, mia gloria! Svegliati, arpa e cetra,
che io svegli l'aurora!». Più arzigogolata l'interpretazione di A. Maillot - A. Lelièvre che ritengono che
kbd possa anche designare «l'anima d'uno strumento musicale per cui kbd sarebbe parallelo con «arpa
e lira» dello stiro successivo. Vedi anche McKay, My g/ory - a mantle of praise, in «Scottish Journ. of
Theology>> 31 (1978) , 167-172.
1 54 SALMO 5 7 (56)
contestatori del regime di Saul («quanti erano in miseria, quanti avevano debiti e
tutti gli scontenti», lSam 22 , 1ss). Il secondo riferimento può alludere alla famosa
scena della caverna di Engaddi nelle Rocce dei Caprioli (1Sam 24,1-23) in cui
Davide, pur potendo eliminare il suo avversario, si dimostra «più giusto» di Sau1
(v. 18). L'episodio è riedito in una variante narrativa presente nel c. 26 dello
stesso libro . Più problematica è, invece, l'altra indicazione , di tipo musicale , che
probabilmente introduce l'aria sulla quale modulare il salmo e che accompagna
anche i Sal 58 e 59 e che ritorna anche nel titolo del Sal 75 . Dahood, come si è
detto, pensa che sia da collegare alla preghiera di Mosè nel c. 9 del Deuterono
mio: «Jahweh Dio, non distruggere ('al tasf!et come nel Sal 57) il tuo popolo, la tua
eredità, che hai riscattato nella tua grandezza e che hai fatto uscire con mano
potente dall'Egitto» (v. 26) . Per altri , invece, il testo del carme a cui si allude
sarebbe da ricercare in ls 65 ,8: «Dice Jahweh : Come quando si trova succo in un
grappolo, si dice : Non distruggetelo ('al taS}Jit) perché v'è qui una benedizione ,
così io farò per amore dei miei servi per non distruggere (has}Jit) ogni cosa».
�aturalmente l'allusione all'uno o all'altro dei due testi condiziona anche la
datazione. Tuttavia i riferimenti sono piuttosto esili e vaghi: l'unica cosa certa
sembra essere l'indicazione di una melodia anche se Eerdmans tenta di suggerire
che l'annotazione significhi piuttosto «Non abbreviare (il salmo)». Entriamo ora
nella prima sezione del carme, la parte segnata da un grido di angoscia mescolato,
però, ad una professione di fiducia.
Essa si apre con una lunga invocazione stesa secondo i moduli classici delle
suppliche salmiche (vv. 2-4) . Il primo verbo è appunto il Miserere (Sal 5 1 ,3 ; 56,2)
ripetuto due volte come implorazione intensa alla «grazia» (lrnn) amorosa di Dio.
Ad esso si accompagna subito la professione di fiducia personale : è l'essere intero
dell'uomo (nefeS) che si pone sotto il segno, il rifugio, la protezione divina. Dio è
il «tU» della fede. Anzi , come per il verbo della «pietà» , anche il termine del
«rifugiarsi>> (J,sh) è ripetuto una seconda volta nello stesso v. 29 ed ha come meta
!"arca del tempio, il luogo davanti a cui le tempeste del mondo si arrestano.
Sappiamo già tutte le sfumature che questo simbolo delle ali connota, dall'arca al
tempio, dall'esodo alla tenerezza materna, dal diritto d'asilo nel santuario al
dialogo amoroso con Dio. Su quelle ali dei cherubini, sul kapporet, lo «sgabello
dei piedi di Dio», cielo e terra s'incontrano, il divino penetra e salva l'umano.
Intanto, fuori, nelle strade del mondo , sta imperversando la bufera. Il vocabolo
usato haww6t (Sal 52,4; 55 ,12), «calamità», «flagello» , «pericolo», è un plurale
astratto e quindi regge un verbo al singolare («passare») ed è stato reso
suggestivamente da Teodoro di Mopsuestia con «tormenta». Si può citare il più
drammatico passo di Gb 14,13 in cui però la tempesta è quella sollevata dall'ira di
un Dio incomprensibile: «Oh , se solamente tu mi celassi nello sheol, mi riparassi
dal fluire della tua ira e fissassi una data per tornare a ricordarti di me l». Un
• Non c'� bisogno, quindi, di correggere il secondo IJsh in 'eiJebeh, «mi nascondo,. come hanno
fatto Buhl e Jacquet, né di accogliere la versione LXX, come hanno fatto Oesterley e Kraus, versione
che suppone il verbo jltJ, «attendere», o btl!, «sperare»: «io attendo all'ombra delle ali» l'oracolo divino
liberatore dalla calamità e dall'accusa. Vedi per il v. Sa Dahood M . , A new metrica[ pattern in Biblica[
poetry , in CBQ 29 (1967), 574-579.
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parallelo più vicino in Is 26,20: «Popolo mio . . . , nasconditi per un momento finché
non sia passato lo sdegno».
ll grido dell'orante (qara', v. 3) ha un destinatario preciso, è 'Eljòn,
l'Altissimo , il titolo divino indirizzato a Jahweh nel culto di Gerusalemme (Sal
7,9) , un titolo che probabilmente è ripreso nella finale del versetto, in 'eli,
vocalizzato in 'alaj, «su di me>> dal. TM. Questo Dio trascendente che dall'alto del
suo trono può abbracciare l'intero arco della storia e dell'essere ora si deve
rivelare per quello che egli veramente è, il gomer, il Dio giudice, «vendicatore», il
«retributore» per eccellenza, colui che ristabilisce l'armonia infranta dall'empio.
Non è, quindi, esatto correggere gomer, letteralmente «colui che porta a
compimento (la sua opera)» (Bibbia di Gerusalemme, Castellino , Mannati), in
gomel nella linea dei LXX-Vg : «colui che fa il bene» (CEI , Buhl , Podechard,
Kissane, Oesterley, Dhorme, Jacquet) . 10 Dio è invocato come giudice giusto e
liberatore . Dalla sua trascendenza egli interviene, non resta impassibile, «egli
manda» la sua salvezza contro cfli attenta alla vita del giusto . Si tratta di un motivo
caro alla teologia salmica. Dio interviene attraverso le due personificazioni degli
attributi dell'alleanza, �sed ed 'emet, «amore misericordioso e fedeltà». Esse
costituiscono l'avanguardia di Dio, i suoi angeli, esecutori della sua volontà:
«Manda la tua luce e la tua verità: siano esse a guidarmi . . . » (Sal 43 ,3) . 11 La scena
finora è chiara: dal cielo Dio , l'Altissimo , lancia in difesa del debole il suo esercito
spirituale. È un aiuto salvifico soprannaturale come sottolineava nel suo
commento Calvino: «Coelum opponit terrenis mediis vel naturalibus», il poeta
oppone alle manovre terrene l'irruzione celeste di Dio. La salvezza è, quindi ,
grazia.
C'è, però, uno stico del v. 4 da precisare: la sua inintelligibilità ha forse
prodotto la reiterazione dell'espressione «mandi Dio . . . » nel v. 4. Nel TM
abbiamo : «Dio redarguì, stigmatizzò o insultò l affidò alla vergogna (�ref) i miei
persecutori». I LXX, Kraus, Oesterley, Maillot e Lelièvre conservano questo
vivace antropomorfismo: «è l'unico passo dell' AT in cui Dio insulta i suoi
avversari» (Maillot-Lelièvre II, p. 53) . Anche noi accettiamo questa soluzione
originale ricordando però che si deve leggere il verbo o come perfetto precativo o
come un imperfetto (jel,aref in cui lo j- iniziale è caduto per aplografia) .
L'«insulto» di Dio è efficace e demolisce senza tregua ogni azione perversa. Non
riteniamo, perciò, necessario ricorrere a ritocchi del testo come è stato fatto a più
riprese.
- Buhl , Dhorme, CEI hanno proposto mikkaf, «dalla mano dei miei persecutori•.
- Duhm ha suggerito di leggere hadaf, «respingere».
- Gunkel ha letto l]afer, «confondere».
10 Vedi Dahood M., The root GMR in the Psalms, in TS 14 (1953), 595-597 e Loretz 0 . , Das
hebriiische Verbum GMR, in BZ 5 (1961), 261-263.
11 I LXX e la Vg hanno i verbi al perfetto («misit . . . liberavi!») in un'anticipazione del
ringraziamento successivo. Inoltre mentre il TM ha il singolare, «colui che mi perseguita» (Io'aft) , i
LXX hanno il plurale Io'afe, <<coloro che perseguitano». Per il verbo Ia'af vedi l'esegesi di Sal 56,2.
Anche nella mitologia cananea gli dei erano accompagnati da due dignitari o attendenti. Anzi, secondo
Filone di Byblos citato da Eusebio nella Praeparatio Evangelica (I, 10.13), <<giustizia» e «rettitudine»
erano divinità del pantheon cananeo e fenicio. Naturalmente, se c'è contatto tra questa visione e quella
del salmo, dobbiamo però ricordare che la prospettiva biblica è totalmente smitizzata. Non si tratta di
divinità inferiori, ma di semplici personificazioni angeliche.
12 Per Jacquet il v. 4c sarebbe una prova dell'operazione di fusione tra due tèsti disparati e deD"a
relativa applicazione all'intera comunità d'Israele. Per questo egli trasferisce lo stico dopo il v. 5
perché serva da transizione alla seconda parte. Si tratta però di un'operazione discutibile ed ipotetica.
l'imbarazzo del v. 4 è segnato anche dalla selah posta dopo il secondo stico, a metà frase.
13 Naf!i del v. 5 (ove sarebbe un soggetto: «la mia vita è in mezzo ai leoni») si trasforma così in
un complemento oggetto del «perseguitare», del v. 4. I LXX, la Pe�itta e la Vg l'hanno conservato nel
' . 5 ma hanno tradotto: «Strappò la mia anima di mezzo dei cuccioli dei leoni; io dormii agitato» ( !) .
\"g: «Eripuit animam meam de medio catulorum leonum, dormivi conturbatus». Ma Gerolamo nella
Juxta Hebraeos ha: «Anima mea in medio leonum dormivit ferocientium». Queste versioni sono state
interpretate in chiave cristologica da Origene, Atanasio, Agostino, Gerolamo e da altri Padri. Il
ocsonno» dell'arante diventa un simbolo del sonno della morte in croce del Cristo ; anch'egli come
l'arante ha attorno leoni feroci, cioè i suoi nemici. Giustamente si parla di «sonno» perché Cristo nella
risurrezione «Si sveglia» dalla morte. «Io ho il potere di offrire la mia vita e il potere di riprenderla»
(Gv 10,18): secondo i Padri questo loghion di Gesù ha proprio lo scopo di convalidare la dichiarazione
del salmo. Infine il turbamento di Gesù nel sonno è causato dalla persecuzione e dalle sofferenze
ioflittegli dagli avversari: «magna humilitas turbati, magna potestas dormientis», scriverà Rufina
(«grande è l'umiltà di Cristo turbato, grande è il potere di Cristo addormentato») . Altrettanto
allegorica è la lettura fatta dall'ebreo contemporaneo che si cela sotto lo pseudonimo di Emmanuel:
•Nel mezzo delle nazioni Israele è un osso nella gola del cane: non può essere rigettato perché è
buono, non può essere ingoiato perché grosso, non può essere spezzato perché duro» ( ! ; p. 130).
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versetto l'elemento centrale («in mezzo»; i LXX , la Pe�itta e la Vg hanno «dal
mezzo>>) è rappresentato dal «Sonno>> (skb) , un'espressione forte e audace che
molti esegeti (Griitz, Buhl , Osty , Podechard, Jacquet) impoveriscono correggen
do in skn , «dimorare, abitare», sulla base del Sal 120,5-6. In realtà il verbo che
suppone un «riposare» e quindi una quiete crea tre effetti molto vivi. Da un lato
allude alla radicale fiducia del salmista che si abbandona a Dio anche nei momenti
più drammatici. Nel v. 4, infatti, si faceva balenare il prossimo arrivo degli
ambasciatori della salvezza di Dio, l'amore e la fedeltà. D'altro canto si introduce
un contrasto poetico vigoroso tra il terrore reale , umano, prodotto dai leoni
affamati e la scena idilliaca d'un viandante assopito . Non si tratta, però, di un
accostamento paesaggistico, si tratta di una conquista da raggiungere : anche se
attorno ho il ruggito delle belve, cioè la perfidia dei persecutori, devo addormen
tarmi sereno e fiducioso . Infatti il verbo è al coortativo ed esprime, perciò , una
necessità amara da affrontare con coraggio facendo forza a se stessi. C'è, forse ,
un'ultima ragione per conservare il simbolo del «riposo» ed essa è legata alla
successiva notte di preghiera che sfocia nel risveglio all'alba (v. 9) . Per chi pensa
all'incubazione sacra si avrebbe qui un'altra prova del riferimento da parte del
salmista a quel rito. La pittoresca raffigurazione del giusto addormentato in
mezzo alle belve sembra richiamare alla nostra mente la scena, già citata, di
Daniele nella fossa dei leoni o dei tre giovani «che passeggiavano in mezzo alle
fiamme lodando Dio» (Dn 3 ,24). Infatti nel quadretto dipinto dal v. S' c'è un altro
elemento curioso da precisare.
Il TM definisce i leoni come lohatim , «fiammeggianti», ((infiammati» (Sal
104,4), un'espressione che dalla maggior parte degli esegeti è corretta in lO'atim ,
«divoratori» , o (<pronti a piombare» come traduce Beaucamp . S e lasciamo da
parte l'erronea versione dei LXX e della Vg che attribuiscono il participio
all'arante (<<conturbatus» Vg) , merita considerazione la versione di Gerolamo
(nel salterio Iuxta Hebraeos) e Aquila che traducono «feroci». L'ira - diciamo
anche noi con una locuzione comune - infiamma: i leoni sono dipinti carichi di
ferocia, pronti a sbranare, sono appunti «infiammati» di rabbia e questa
annotazione rende ancor più vigoroso e acceso il contrasto col riposo sereno ed
abbandonato dell'arante. Anche nel Sal 58,7 i nemici dell'arante sono rappresen
tati come leoni feroci a cui Dio dovrebbe spezzare le mascelle . Questa simbologia,
abbastanza costante pur nella varietà delle sfumature e delle applicazioni, non
ammette, perciò , un'interpretazione troppo puntuale e circostanziata come quella
suggerita da B . Mazar (VT 13, 1963 , p. 312) secondo cui questi «leoni» sarebbero
una specie di «squadrone della morte» composto da mercenari detti appunto
leba'im, «leoni» , sia per la loro ferocia, sia perché il loro emblema era quello della
dea-leonessa. A questo punto il salmista, attraverso l'introduzione di elementi
somatici (denti e lingua) e militari (lance, frecce, spada) , decifra il simbolo
svelando la qualità della persecuzione a cui è sottoposto , una persecuzione fatta di
calunnie e accuse ingiuste. Osserva giustamente Jacquet (II, p. 235) : «L'autore ha
il talento di non "tagliare" le sue metafore dalla realtà umana: egli passa
gradualmente dall'allegoria (v . 5a) alla semplice comparazione (v . 5b) perché la
lingua e i denti dei "leoni" sono già lingua umana che perfora e denti umani che
attaccano» (cf. Sal 22,14. 17.22; 52,4; 55 ,22; 58,7; 59,7-8; 140,4) . La lingua del
persecutore è, infatti, «una lama affilata» che semina morte (Sal 52,4) .
1 58 SALMO 57 (56)
Antifona-appello (vv. 6.1 2)
v. 11 v. 12
gadol 'ad-§amajim IJasdeka romah 'al §amajim . . .
Il Il ><
we'ad §el,aqtm 'amineka 'al kol-ha'arq keb6deka
grande fino ai cieli il tuo amore la tua grandezza è sopra i cieli . . .
Il Il ><
fino alle nubi la tua fedeltà su tutta la terra la tua gloria
stesso che porta in sé i germi e gli strumenti della condanna, gli empi stendono una
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rete da caccia14 senza sapere che ben presto si trasformerà in un boomerang,
scavano una fossa per far piombare la preda ma non sanno che essa è destinata
alla loro caduta. Se il senso generale del v. 7 è abbastanza chiaro ed è basato
sull'iniziale sofferenza del giusto che si trasforma poi , per contrappasso , in
martirio per gli empi stessi, i dettagli del testo sono un po' più faticosi . Il problema
principale è legato al singolare del v. 7b: «Hanno teso una rete . . , ha umiliato il.
mio essere (nafsi)» I LXX e le versioni, seguite dalla maggioranza degli esegeti,
.
Pensiamo che l'idea di tradurre naf!i con «gola» , anche se contrasta con l'uso
del termine nel resto del salmo ove significa «essere vivente , vita» , possa
giustificarsi col fatto che il v. 7 è ricco di riferimenti somatici (i passi, il movimento
del cadere, il volto)." Ormai la scena del v. 7 ha contorni precisi . La speranza
espressa dal poeta è la stessa di quella avanzata da Bildad in Gb 18,7-10: «< passi
vigorosi dell'empio si faranno stentati, i suoi stessi progetti lo faranno inciampare,
i suoi piedi incapperanno in una rete e camminerà tra le maglie, un laccio lo
afferrerà al tallone, un nodo scorsoio lo impiglierà, una trappola sarà nascosta nel
suolo , una tagliola gli sarà aperta nel suo sentiero».
Si apre a questo punto un inno di ringraziamento di eccezionale bellezza (vv.
8-1 1 ) . Pur essendo limitato a poche battute, il canto di todah si rivela colmo di luce
come l'aurora che suppone. 18 Potremmo definirlo un canto del cuore che vive la
freschezza d'un'alba . Il rito dell'incubazione , a cui forse può alludere il v. 9, il
14 D vocabolo re§et, «rete», ricorre anche nell'ugaritico (rtt) . Vedi Dahood M., in Bib 47 (1966) ,
404-405 .
" Gerolamo nello Iwcta Hebraeos pe r evitare l a difficoltà traduce «ad incurvandam animam
meam». Buhl, Calès e Osty, invece, per conservare il parallelismo integrale nel versetto hanno
corretto cosi:
20 Anche in ugaritico esiste il vocabolo §/p' ed indica la dea dell'aurora. Vogliamo citare anche il
curioso commento cristologico-pasquale del v. 9 scritto da Ruperto di Deutz: «Svegliati, salterio e
cetra! II corpo di Cristo che riposa nel sepolcro è il salterio, è la cetra. I giudei l'avevano spezzato. Ma
egli si svegliava per non essere mai più spezzato e per spandere tra i popoli e le nazioni il canto della
sua confessione . . . Svegliati, salterio e cetra: è la voce del Padre. Non la sentirà quell'anima unita al
Verbo come sposa, unita a lui da un bacio eterno? Oh sl, l'ascoltava pienamente, rispondeva nella
gioia: All'aurora io mi alzerò! Ci fu mai risposta più gioiosa? Quale cuore fu mai più pronto? Perché è
nella persona di Cristo che il salmo dice: "Il mio cuore è pronto (nak6n di per sé può significare anche
«pronto»), o Dio, il mio cuore è pronto". O gioia di questo cuore pronto che si slancia per accogliere
,l'ordine divino che dice: Alzati! II cuore pronto risponde: All'aurora io mi alzerò . . . Questo cuore, che
era pronto ad obbedire a suo Padre deciso a non risparmiarlo ma a consegnarlo per noi, era pronto a
rispondergli: All'aurora mi alzerò!» (PL 169, 1484-1485) . L'applicazione pasquale era, nella patristica,
favorita dal fatto che uno dei verbi usati per indicare la risurrezione è appunto egherthènai,
«risvegliarsi» (Mt 9,25 ; 10,8; 1 1 ,5; 14,2; 16,21; 17,9; 26,32; 27,52.64; 28,6; Mc 12,26; Gv 2,22; 5,21 ;
12, 1 ; At 3,15; 26,8; Rm 4,24-25; 6,4.9; 7,4; 8,11 .34; 10,9; 1Cor 6,14; 15,4. 12.20.29.32.35; 2Cor 1 ,9;
4,14; 5,15; Gal 1 , 1 ; Ef 1 ,20; 1Ts 1 , 10; 2Tm 2,8; Eb 1 1 , 19).
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sono percorse e quindi guidate dalla «grandezza» e dalla «gloria» di Dio. Iniziato
nel lamento e nell'abbandono, il salmo si chiude nella gioia e nell'inno. Gioia e
dolore inestricabilmente s'intrecciano nella vita di ogni uomo. Scriveva Kh.
Gibran : «Tra voi , alcuni dicono: "La gioia è più grande del dolore" , e dicono altri:
-n dolore è più grande" . Ma io vi dico che sono cose inseparabili . Essi giungono
insieme , e se l'una vi siede accanto alla mensa , ricordatevi che l'altro sul vostro
letto dorme» !1 E in Così parlò Zarathustra Nietzsche osservava: «Anche
mezzanotte è mezzodì; anche il dolore è gioia; anche l'imprecazione è benedizio
ne; e la notte è sole . . . , anche il saggio è un folle . . . Avete mai detto sì a una
semplice gioia? Oh, amici, allora avete detto sì anche a tutto il dolore». 22
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