Sociologia Della Comunicazione

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SOCIOLOGIE DELLA COMUNICAZIONE Alberto Abbruzzese Paolo Mancini

Questo manuale è stato impostato non per fornire una sintetica e opaca visione
dei media moderni ma una storia lucida di questi a partire dalle origini e dalle
strutture culturali o dagli eventi che li hanno determinati.
La storia dei media è storia dell'evoluzione umana e per questo è da considerarsi
a pieno titolo storia dell'esperienza umana. L' essere umano, infatti, fin dalle sue
aurorali aggregazioni ha manifestato la sua voglia di comunicare ciò che vedeva o
sentiva intorno a lui e lo ha fatto in modo unico poiché é l'unico animale
razionale. Comunicare è da sempre stata una necessità insita in noi stessi, una
possibilità che ci permette non solo di esprimere i nostri bisogni o le nostre idee
ma anche di relazionarci con gli altri, di informarci su cose, persone,fatti etc.
La storia della comunicazione ha attraversato parecchie tappe, si è evoluta prima
lentamente e dopo sempre più velocemente, così l'oralità è stata ben presto
sostituita almeno in parte dalla scrittura (apparve per la prima volta circa 3500
anni fa all'interno della civiltà sumera) che rispondeva al bisogno sempre più
concreto di fissare i contenuti e di condividerli indipendentemente dal destino
degli interlocutori, di entrare in relazione con più mondi, culture, religioni, etnie.
La stampa ha ricoperto un altro straordinario posto di rilievo in quanto ha
portato alla standardizzazione del testo e alla sua diffusione più capillare, alla
penetrazione delle relazioni scientifiche ma anche della contestatissime tesi
luterane, ha insomma cominciato a mettere in crisi le coscienze del tempo
ponendo le basi a quella frammentazione tipica delle società di massa odierne.
Più tardi, il giornale riscuoterà ancor più successo,un eccellente mezzo di
comunicazione di massa. Nato per scopi commerciali ma sviluppatosi anche
all'interno dei circoli letterari in forma di gazzetta, inizialmente veniva stampato
in occasione di eventi importanti e poi sempre più frequentemente fino a
diventare il nostro quotidiano. E' il Settecento a gettare le basi di gran parte delle
forme e delle strutture della comunicazione di oggi ed è la successiva fase
industriale ottocentesca ad incrementare tale processo. E' infine importante, per
l'impostazione che da il manuale, non dimenticare che le forme comunicative si
sono evolute in seguito a precisi eventi storici che vengono qui nominati come
"eventi catastrofici" (guerre, pestilenze, invenzioni, scoperte), è fondamentale
quindi il ruolo che la storia ha ricoperto e continua a ricoprire nel cammino
evolutivo della comunicazione insieme a fattori altrettanto determinanti come
quelli socioculturali.

Origini della Modernità

Con l'avvento della società industriale tardo settecentesca l'accelerazione


tecnologica e lo sviluppo di nuove piattaforme espressive crea le premesse per
rappresentare meglio la realtà. La comunicazione si è evoluta attraverso tre
principali piani di esperienza individuale e collettiva aventi un forte legame tra
di loro tanto che Lotman parla di semiosfera come un insieme di diversi eventi
comunicativi che formano una cultura vivace e intelligente. Si possono quindi
distinguere: - la messa in scena dal vivo (teatro greco-romano, teatro medievale,
teatro rinascimentale, feste urbane. Spettacoli barocchi) - la scrittura e stampa -
le arti figurative (pittura e scultura; grande importanza è da attribuire
all'urbanistica, modo di territorializzazione degli spazi fisici che guarda alle
esigenze della società che li abita e alla loro individualità, così il territorio si fa
spazio di rappresentazione dell'uomo, quindi si modificano anche le modalità
comunicative). Per inquadrare lo sviluppo dei media occidentali è necessario
individuare tre piattaforme espressive: - la metropoli, luogo in cui si è andata
sviluppando la logica industriale e del progresso - la stampa di massa, che ha
favorito la circolazione di idee e messo in moto le strategie di socializzazione
all'interno dello spazio metropolitano. - lo schermo, che dopo la clamorosa
invenzione della fotografia diventa un potente medium metaterritoriale in grado
di poter coprire ogni spazio quotidiano che possa essere assoggettato dalle forme
di razionalizzazione, nazionalizzazione e mondializzazione del capitalismo. -La
mondanizzazione della vita attraverso le raffigurazioni di Callot e le trasposizioni
dei luoghi di Piranesi . - Primi grandi fenomeni di estetizzazione della vita
quotidiana attivati dall'Art Noveau e dal Liberty tra la fine del `800 e l'inizio del
`900. Mesmer: la teoria dei fluidi. La malattia consiste in uno squilibrio di un
fluido all'interno del corpo del malato. Con opportune pratiche, quali l'ipnosi, il
medico riesce a trasferire questo fluido insalubre da un corpo a un altro.
Bentham: il Panopticon, la società della trasparenza. Il Panopticon è una
particolare struttura carceraria che pone il sorvegliante al centro e i sorvegliati
disposti circolarmente intorno a lui ma distanti fra di loro. L'ambiente è leggero,
quasi trasparente. Tale idea reprime la corporeità mesmeriana, facendo sì che i
corpi possano abitare la società ma al contempo siano interdetti a praticare un
contatto fisico tra loro, veicolo dei deliri dell'immaginazione e del contagio della
malattia. Vi è uno stretto rapporto tra invenzioni letterario prodotte dai mercati
della letteratura di consumo e e i valori dominanti (conflitto tra bene e male, tra
vita e morte, ad esempio) nel processo di modernizzazione. La razionalità della
costruzione testuale,l'abile gioco tra verosimile e realtà, garantiscono il piano
dell'esperienza fantastica tra Settecento e Ottocento: Walpole, Poe. L'evento
comunicativo più importante dell'avvento della metropoli: Le esposizioni , il
sapere messo in scena, la società dello spettacolo - prima esposizione pubblica di
prodotti industriali (Campo di Marte Parigi, 1798) - Grande esposizione
universale a Londra, 1851 Nascita dei media moderni. Il sociologo Flichy, nella
sua storia dei media moderni , ha proposto una periodizzazione della loro
evoluzione tecno sociale, suddividendola in tre fasi distinte: - la comunicazione
di Stato e la comunicazione di mercato (1790-1870): sviluppo della fabbrica, dei
trasporti e della metropoli - la comunicazione familiare (1870-1930): avvento del
cinema, del telefono, della radio - la comunicazione globale (1870-1930) Flichy
mostra però che ogni nuova forma di comunicazione si distingue nel suo stato
nascente ma proprio grazie a questa sua distinzione passa poi a confondersi con
le successive forme mediali.
La progressiva deformazione delle strutture ideali e fisiche della città ha
motivazioni importanti, bisogna risalire a un lontano passato, alla differenza tra
polis greca e civica romana. Importanza della nascita della strada ferrata come
possibilità di accorciare tempi e distanze, di favorire lo scambio delle merci, di
allargare gli orizzonti. La scuola di Chicago Intorno agli anni venti del Novecento
Park istituisce una scuola di studi e ricerche sociologiche che pone i fenomeni di
metropolizzazione al centro della propria riflessione sulla società moderna. Egli
afferma che la città non è semplicemente un meccanismo fisico e una
costruzione artificiale ma è coinvolta nei processi vitali della gente che la
compone , è un prodotto della natura umana. La scuola di Chicago mostra
particolare interesse verso la fluidità delle forme urbane moderne in
contrapposizione con la rigidità dei territori tradizionali.
La fotografia Nata durante gli anni trenta dell'Ottocento, la fotografia inaugura
l'avvento della riproducibilità tecnica del mondo. Essa blocca l'immagine che
rimane congelata in un istante, ma chi la guarda può rimettere in moto quanto
quell'immagine ha assorbito e fissato in se stessa. Mentre Baudelaire critica
aspramente la fotografia poiché sminuisce il ruolo dell'estetica, dell'arte ma in
particolare dell'immaginazione, Holmes parla di un mezzo di comunicazione con
qualità eccellenti: l'immagine si fa bidimensionale e ha la capacità di agire sulla
memoria e sul tempo. L'estetica: terreno di sviluppo dei media

La metropoli, il cinema e le avanguardie

2. LA METROPOLI, IL CINEMA, LE AVANGUARDIE Il Novecento perfezionerà


le innovazioni ottocentesche (treno, fotografia, telegrafo, architetture in vetro,
riorganizzazione territoriale) aprendo un futuro pieno di promesse che tuttavia
dovranno presto scontrarsi con la catastrofe della prima guerra mondiale. La
smaterializzazione del mondo fisico prenderà ancora più posto e si
verificheranno mutamenti tali da sconvolgere tempi e spazi. La straordinaria
mutazione dell'ambiente metropolitano ottenuta attraverso le opere urbanistiche
e le metamorfosi delle strutture dell'abitare viene ad essere completata
attraverso l'illuminazione prima a gas e poi elettrica. L'illuminazione diviene da
allora segno di democratizzazione della vita quotidiana nel senso che uniforma le
condizioni di tutti i cittadini ( prima l'illuminazione era in possesso solo dei ceti
più abbienti). Parigi fu una delle prime città non solo a riterrritorializzrsi
adottando la linea retta come struttura urbana distintiva ma anche a sviluppare
in fretta la rete di illuminazione tanto da conquistarsi il titolo di Ville Lumière.
La prima dimostrazione di illuminazione elettrica in Italia è a Milano, ma ben
presto tale innovazione varcherà l'oceano arrivando fino a New York. Infine poco
tempo dopo il tubo al neon fu un ulteriore invenzione che ricorreva sia al gas che
all'energia elettrica. Il telefono Nel 1860, Antonio Meucci dimostra il
funzionamento del suo apparecchio che chiama "teletrofono" e dieci anni dopo
presenta un brevetto provvisorio. Da quel momento vari imprenditori si fanno a
gara per dimostrare la nuova possibilità comunicativa. Il telefono a differenza
della fotografia non manipola ma riproduce integralmente l'evento
comunicativo. Con l'allargamento della metropoli erano scomparse le possibilità
di interazione e di socializzazione, così il telefono ricrea all'interno dello spazio
domestico un microcosmo che racchiude al suo interno le comunicazioni
mancate all'interno della metropoli. Il contatto telefonico cerca di avvicinare gli
affetti e di renderli controllabili ma al tempo stesso rischia di neutralizzare la
fisicità della persona che sta dietro all'apparecchio, di tenerla quasi a distanza,
come se fosse un carpo assente. Il segreto del grande successo del telefono è
proprio dovuto al fatto che il prossimo per essere vicino a noi deve essere
distante, è questo il messaggio che lancia una società divisa sempre più tra
individualità e collettività. Il telefono è strumento con cui un individuo si
confronta con una altro, può esprimere idee ed emozioni in via esclusiva a
differenza della radio che può raggiungere più persone contemporaneamente. Il
telefono entrerà a far parte dell'esperienza quotidiana a tal punto da scomparire
dall'attenzione delle critiche. Lo sviluppo della telefonia in termini di radicale
mutamento dei rapporti sociali tornerà in primo solo a cavallo tra Novecento e
Duemila con l'entrata della telefonia mobile in spazi multimediali e interattivi . Il
fonografo e la discografia Il fonografo, a differenza del telefono, si presta a
democratizzare i contenuti del suono. La prima approssimazione al fonografo
(Martinville) è stato il fono autografo, apparecchio che era in grado di registrare
l'intensità delle onde sonore ma non di riprodurre i suoni. Più tardi fu
sperimentato il paleofono (Cros), una sorta di macchina della memoria. In
questa direzione si muoverà Edison che realizza un ripetitore telegrafico in grado
di riprodurre il codice Morse grazie a una piccola punta che si muove su un
disco; egli si accorse che se il disco ruotava a una velocità sempre maggiore la
punta emetteva vibrazioni simili al timbro della voce umana. Il fonografo
sarebbe presto diventata una macchina istallata nelle fiere e nel lunapark
affinchè le persone potessero godere di buona musica, diventa un vero
strumento di intrattenimento, nasce il grammofono. Estetizzazione della vita
quotidiana L'industralizzazione ottocentesca creò non pochi disagi all'interno
degli spazi urbani che, con l'allargamento dei propri confini, dovettero fare i
conti con un crescente aumento demografico a cui non corrispondeva però
un'adeguata assistenza sociale e istituzionale. Vi era dappertutto uno scenario
degradato a cui solo la scolarizzazione potè dare risposte, strategicamente mirata
alla formazione dei ruoli sociali. La scolarizzazione raggiunse anche i livelli più
bassi tramite la divulgazione di saperi base. Istruzione e divulgazione furono
dispositivi fondamentali per la costruzione sociale dei sistemi moderni otto-
novecenteschi, , con l'intento di istruire secondo standard gerarchici e selettivi. A
cavallo tra Ottocento e Novecento la divulgazione verrà consegnata per intero ai
consumi, con l'affermazione dei fenomeni della moda. In questo periodo
nascono anche i musei come luoghi di eccellente rappresentazione e
comunicazione, contenitori eccelsi della storia nazionale e universale, delle
scienze e delle arti, si ricreano così gli spazi che sono stati sottratti alla freneticità
e ai processi astrattivi tipici della modernità. L'ottocento è anche il secolo della
nascita e della diffusione dell'art Noveau tesa alla riqualificazione estetica di
oggetti d'uso comune, che l'industria aveva prodotto in massa e reso brutti. Il
processo di estetizzazione non si ferma all’arte ma investe corpi, comportamenti,
relazioni, l'estetica, insomma, entra prepotentemente in ogni forma sociale,
collettiva o soggettiva.
Avvento del cinema Con la nascita del cinema il ruolo che le esposizioni avevano
ricoperto durante tutto l'Ottocento viene meno. Il cinema si incaricherà di
rappresentare la nuova realtà. I rapporti spazio-temporali della metropoli
avevano bisogno di un medium come il cinema in grado di soddisfare le esigenze
di socializzazione della metropoli. Il cinema potrà diffondere la vita moderna, la
velocità dei suoi rapporti sociali e la mobilità dei suoi soggetti, metropolizzando
l'esperienza collettiva grazie alle simulazioni del grande schermo. Il cinema
nasce da molteplici sperimentazioni ma per convenzione la sua nascita è fatta
risalire a Parigi nel 1895 ad opera dei fratelli Lumière, produttori di
apparecchiature fotografiche.
Si distinguono solitamente due tradizioni cinematografiche: una, americana,
votata alla progressiva elaborazione di un linguaggio di massa, l'altra, europea,
vincolata a un più intenso rapporto con le arti e con le avanguardie. Il nesso tra
metropoli e cinema è molto rilevante sia su un piano mediologico che su quello
sociologico. Si tratta di un rapporto che si può comprendere soltanto attraverso
l'insoddisfazione causata dalle preesistenti piattaforme espressive (messa in
scena dal vivo, fotografia, pittura, scrittura) . Il cinema rispetto a queste
piattaforme ha investito maggiormente sul piano economico, tecnologico,
artistico, urbano, commerciale. Siamo al punto d'arrivo del processo di
modernizzazione delle forme di comunicazione ottocentesche e al punto di
partenza delle forme immateriali dello schermo. Lo schermo cinematografico
rappresentava uno dei beni voluttuari verso i quali le classi popolari avevano
manifestato un forte orientamento di consumo a causa di una serie di motivi:
crudeltà dello sfruttamento delle condizioni di lavoro, rimpianto per forme e
tempi di vita arcaici e religiosi, desiderio di evasioni sensoriali forti e
rigeneratrici e di possibili sdoppiamenti della persona. Il cinema quindi si
proponeva come eccitante e allo stesso sedativo di una vita a rischio, sofferente,
spaesata. La sala cinematografica realizzava il progetto umanitario di Bentham
con la trasparenza della visione del mondo proiettata su uno schermo e con la
saper azione cautelativa tra un corpo e l'altro degli spettatori, concentrati lungo
l'asse del loro sguardo (rielaborazione del tema tardo settecentesco del controllo
sociale). Le immagini proiettate, ingigantite, ripristinavano poi effetti di
sensorialità corporea , suggestioni psicosomatiche analoghe alle pratiche di
magnetismo con cui Mesmer aveva inteso curare le malattie fisiche e mentali.
Nello spettatore si determinava l'incrocio tra stati psicologici e percettivi
contrastanti determinati dal continuo mutamento delle prospettive del territorio
e dall'ormai consolidata tradizione della scissione tra oggettività e soggettività
del mondo. Il cinema veniva riconosciuto sulla linea dello strano e del fantastico,
un vero e proprio divertimento, una deviazione netta dalla dimensione etica ed
estetica delle arti tradizionali come la tragedia. Vi è una forte analogia, in questo
senso, tra cinema e romanzo moderno: il linguaggio cinematografico è
strettamente connesso alla narrativa novecentesca (Poe, Dickens) e la scrittura
uscirà rafforzata da un iniziale scontro. Il testo entra prepotentemente
all'interno della struttura cinematografica grazie alla sceneggiatura, che esprime
l'idea di una ripresa del mondo tramite un testo scritto che poteva inizialmente
usare la musica (siamo di fronte a uno scontro tra vista e udito, uno scontro,
come dice McLuhan, che caratterizzerà tutte le fasi dello sviluppo dei media).
Nella sua primissima fase il consumo del cinema è all'insegna del meraviglioso,
del fantastico, dell'incantamento, poi il cinema tornò man mano a far prevalere
l'idea di immersione psicosomatica rispetto al dettato narrativo della
sceneggiatura. La sociologia di Simmel Simmel per primo si interessa dal punto
di vista sociologico dei fenomeni legati ai grandi agglomerati metropolitani. Per
Simmel la sociologia studia le forme dell'interazione più di quanto queste
incidano effettivamente; in pratica i sociologi non possono spiegare il perché di
un'azione, perché l'azione è legata alla spontaneità individuale, ma possono
analizzare le forme che l'azione può assumere. Simmel analizza gli effetti sociali
della modernizzazione e nella sua opera troviamo riferimento a tre temi
fondamentali: · · · la dimensione la divisione del lavoro il denaro-razionalità Egli
studia il passaggio dal piccolo gruppo al grande gruppo (il quale, raggiunta una
certa dimensione, deve sviluppare forme e organi), in cui l'individuo diventa
sempre più solo, analizzando gruppi di elementi (diade, triade, ecc.). La
divisione del lavoro porta alla frammentazione della vita sociale, le cerchie
sociali da concentriche diventano tangenziali e incoraggia l'individualismo e
l'egoismo. Il denaro è la fonte e l'espressione della razionalità e
dell'intellettualismo metropolitano ed è qualcosa di assolutamente impersonale,
è un livellatore, riduce qualsiasi valore qualitativo ad una base quantitativa. La
città moderna, la metropoli, porta ad una vita alienata. Nell'individuo
metropolitano le sfere della famiglia e del vicinato, tipiche della comunità,
perdono il loro peso, per essere sostituite dalla sfera dei mille contatti
superficiali. L'individuo metropolitano vive una vita nervosa, perché un
susseguirsi frenetico di immagini colpiscono il suo sistema nervoso, causando
una diminuzione della capacità di reazione agli stimoli (uomo blasé). Simmel
afferma che due sono le condizioni essenziali per la nascita e lo sviluppo della
moda, in assenza di una delle quali, la moda non può esistere: il bisogno di
conformità e il bisogno di distinguersi. La moda, secondo Simmel, esprime
quindi la tensione tra uniformità e differenziazione, il desiderio contraddittorio
di essere parte di un gruppo e simultaneamente stare fuori del gruppo,
affermando la propria individualità. ... così la moda non è altro che una delle
tante forme di vita con le quali la tendenza all'uguaglianza sociale e quella alla
differenziazione individuale e alla variazione, si congiungono. L'analisi di
Simmel poggia sulla comprensione dell'esistenza di due diversi tipi di società: le
società primitive e le società civilizzate. Nelle prime l'impulso a conformarsi è
superiore a quello del differenziarsi, in quanto l'individualità dell'uno viene
assoggettata ai valori e alle tradizioni della più ampia collettività. Le società
primitive sono governate da principi che fanno capo alla tradizione, ad antichi
valori e credenze e che difficilmente vengono messi in discussione perché
portatori di un'identità che vuole essere difesa nel tempo e a cui si vuole dare
continuità: un'identità che si identifica con quella indiscussa del gruppo di
appartenenza.
Conseguentemente, ci saranno relativamente pochi cambiamenti in ciò che le
persone indossano in quanto il bisogno di esprimere la propria individualità non
s'incontra con i bisogni della società. Nelle società "civilizzate", caratterizzate
dalla presenza di più numerosi gruppi sociali e quindi da una struttura sociale
più complessa e articolata, il desiderio per esprimere la propria individualità
viene incoraggiato dalla società stessa. Ciò che le persone indossano può essere
usato per esprimere questa individualità, questa differenziazione dagli altri e da
altri gruppi presenti nella società. Moda, infatti, secondo Simmel, significa, da
un lato, adesione di quanti si trovano allo stesso livello sociale, dall'altro,
significa chiusura di questo gruppo nei confronti dei "gradi sociali" inferiori.
Avanguardie artistiche strettamente collegate con lo sviluppo dei media -
Impressionismo (1860-1880) Cubismo (1907-1919) Espressionsimo, Futurismo,
Dadaismo, Surrealismo Avvento della radio Tra il 1894 e il 1895, Guglielmo
Marconi, basandosi sulla teoria delle onde radio elaborata da Maxwell e
dimostrata da Hertz, e utilizzando un ricevitore inventato da Branly realizza
significative prove di trasmissione di segnali a distanza senza fili. E' la Marina
Britannica a interessarsi subito della nuova invenzione. Inizialmente la radio
non era quella di oggi, era solo una comunicazione telegrafica tra soggetti e
stazioni distanti tra loro (nel 1901 Marconi lancia il primo messaggio
radiotelegrafico dalla Cornovaglia alle coste del Canada). Presto, penetrerà in
ogni ogni casa e nei mezzi di trasporto, l'informazione viene resa più accessibile
anche a lunghe distanze, iniziano le prime trasmissioni radiofoniche . La radio
diventa così da stazione trasmittente e ricevente una forma di broadcasting tale
da acquistare rilievo sul piano dei rapporti tra media e società, media e politica
tanto che il regime nazista e quello fascista faranno uso della radio come mezzo
di diffusione e di produzione del consenso. La radio dimostrò quanto una
piattaforma espressiva adatta ad essere fattore di processi di socializzazione e di
democratizzazione potesse diventare uno strumento per le maggiori atrocità di
regimi autoritari. Nei regimi democratici la radio è andata a sviluppare altre
strategie altrettanto brutali di propaganda come quelle di mercato (si ricordano
le soapoperas, radiodrammi, sponsorizzati attraverso dei prodotti, come la
saponetta). La fiction seriale inaugura o comunque rafforza il sistema delle
attese che caratterizzano il consumo di vari programmi che si snodano lungo il
flusso della trasmissione radiofonica. La radio diventa non solo il campo di
visibilità dei mercati ma anche uno strumento di concorrenza politica ed
elettorale (Roosevelt fu ad esempio il primo presidente a rivolgersi regolarmente
al pubblico americano attraverso la radio con le sue "chiacchierate al
caminetto").

3. MASS MEDIA, MITI E TEORIE DELL'INDUSTRIA CULTURALE


L'INGRESSO DEI MEDIA NELLA DIMENSIONE AUDIOVISIVA DEL CINEMA
SONORO E DELLA TELEVISIONE Il presente capitolo sviluppa il conflitto tra
media e culture tradizionali concludendolo nei confini di una fase epocale
caratterizzata da due guerre mondiali, le più drammatiche di tutto il Novecento.
Gli anni Venti-Trenta del Novecento sono stato preceduti dalla prima guerra
mondiale, che, per quanto nei limiti di tecniche di guerra relativamente
tradizionali, aveva rivelato, con l'intensità dei suoi massacri , la fragilità e
ambiguità della cultura moderna e dei suoi progressi. Con la seconda guerra
mondiale la connessione tra tecnologia e orrore si fece estrema fino ad arrivare
alle drammatiche conseguenze dei lager nazisti e della bomba atomica. Inoltre il
capitalismo, considerata da sempre come dimensione armonica, progressiva del
mondo, si scontrò con la rivoluzione sovietica e dunque con il regime comunista.
Dopo la seconda guerra mondiale, con risoluzioni internazionali in cui i vincitori
confermarono un pianeta diviso e bloccato in base a ideologie diverse, la
dimensione universale del capitalismo subirà dunque un rallentamento (nel 1961
venne innalzato il muro di Berlinoche spaccò in due mondo democratico e
mondo comunista). Sul piano dell'innovazione sarà soltanto l'informatica a
riaccendere nuove speranze aprendo il varco a una tecnologia leggera e
flessibile , che ha contribuito a dare nuova vita ai paradigmi della visibilità e del
controllo civile, convinta di essere in grado di rimettere ordine nel caos di
informazioni prodotto dai pesanti effetti della modernità e di poter ridare
trasparenza alle sue forme di comunicazione e rappresentazione. Gli anni Trenta
e l'avvento del sonoro Costruire un'identità collettiva era lo scopo primario del
processo di modernizzazione ma a garantire i contenuti necessari per completare
questo progetto non erano sufficienti né la stampa, né il telefono, né il cinema,
né la radio. Negli anni Trenta del Novecento, il salto di qualità necessario
all'insieme dei media si rivela essere l'audiovisivo e la comunicazione di flusso
(broadcasting): la fusione sullo schermo tra media del vedere e media del sentire
necessitava di un rapido e netto perfezionamento della riproducibilità tecnica
della messa in scena e il superamento dei limiti radiofonici, come l'incapacità di
intensificazione di immagini di massa. Si trattava dunque di dare voce al cinema
muto e immagine alla radio. Anche la sonorizzazione degli schermi esprimette il
bisogno di rilanciare l'eccitazione del pubblico e insieme sottoporla sempre al
controllo di dispositivi ordinatori , dispositivi che fossero in grado di
normalizzare l'esperienza sensibile dei corpi. La suggestione delle immagini
poteva allora combinarsi utilmente con la suggestione delle voci, conseguendo
maggiori effetti di realismo ovvero di simulazione della realtà: il sistema mediale
aveva bisogno di un maggiore realismo per l'efficacia delle sue finzioni. Cinema
sonoro e televisione non potevano più essere considerati linguaggi artistici in
quanto il grado di perfezionamento tecnologico da loro acquisito, appunto quello
di riprodurre una realtà audiovisiva del mondo senza più dovere compensare il
vuoto di immagine con la parola e il vuoto di parola con l'immagine, privava tali
linguaggi del limite tecnico grazie al quale essi fino ad allora si erano potuti
manifestare allo stesso modo delle arti tradizionali (proprio grazie
all'imperfezione del cinema muto e della radio era stato possibile raggiungere u
risultato estetico pari alla pittura o alla scultura). Con lo sviluppo
dell'audiovisivo in sala e dell'audiovisivo a distanza siamo di fronte a un
passaggio ulteriore del distacco dei media di massa dall'orizzonte storico-sociale
delle estetiche con cui la modernità stessa aveva celebrato il culto delle arti.

I media audiovisivi si stanno emancipando da qualsiasi presupposto


tradizionale, ovvero da quella che sino alla pagine scritta e alla fotografia
potremo chiamare la stretta vicinanza tra la loro funzione di veicoli e i contenuti
formali della letteratura, del teatro o ndella pittura. Vi è un prepotente salto dai
media dell'arte alla tecnologia dei media. Il cinema come critica della metropoli,
dei mercati e dei media Il cinema ha sempre vissuto tra una sua possibile
vocazione di opera artistica e la sua natura oggettiva di zona mediale in cui fare
convergere i flussi di pubblico, sia metropolitani che televisivi. L'analisi
sociologica dello sviluppo storico delle cinematografie nazionali dimostra
ampiamente la loro tendenziale divaricazione tra impulsi artistici e contenuti
realizzati per circoli distributivi.
Solo quando la natura industriale e finanziaria del cinema entrerà in una
dimensione mediale in tutto integrata a quella televisiva, questa tendenza si
ribalterà in un'aperta e forte rivendicazione della natura di intrattenimento del
cinema e dunque di prodotto inconciliabile con l'arte, anzi suo esatto contrario:
l'estetizzazione del prodotto filmico viene ritenuta una tentazione da evitare in
quanto nociva al suo consumo. A questo proposito è significativa la distinzione
tra cinema spettacolare e cinema d'autore, tra cinema americano, aperto a nuovi
stimoli culturali, e cinema europeo, più chiuso nelle tradizioni nazionali. Il
cinema infine veicolato dalla televisione metterà in particolar risalto
l'attaccamento a radici culturali ben diverse nel tempo e nello spazio. Sin dal suo
inizio la televisione opterà per una critica della forma del cinema, cioè per una
sua decostruzione e ricomposizione testuale in altri formati in base a esigenze di
consumo o ai diversi target di riferimento. Teorie sulla cultura di massa: tra
metropoli e avvento della televisione Le forme espressive della televisione,
seppure per gradi, hanno ridefinito e diffuso ogni forma di comunicazione e
rappresentazione sociale, ogni ambito relazionale tra individuo e territorio. La
televisione si rivelerà fin dall'inizio in linea con le forme di estetizzazione già
maturate alla fine dell'Ottocento. Con la definitiva apparizione della televisione
si può dire che inizia un processo altrettanto radicale di mondanizzazione delle
arti (la pittura, la scultura, la musica etc assumono sempre più la dimensione
"pop" dei consumi televisivi). WALTER BENJAMIN Per B. la metropoli è la
razionalizzazione dei rapporti sociali. Moda e straniamento sono due fattori
conviventi all'interno dell'esperienza metropolitana. Per B. la sociologia dei
media è partita dall'approccio estetico formatosi prima dell'avvento assoluto
della tecnica prima dell'avvento del Kitsch (o cattivo gusto come lo definisce
Broch), definizione che emergerà sempre di nuovo a ogni progressiva apertura
della produzione artistica industriale verso l'inclusione dei barbarismi formali
dei mercati di massa, sino a quando, in particolare a partire dalle avanguardie
pop americane degli anni Cinquanta, il punto di vista dei mercati dell'arte sarà
rivalutato e riesprimerà una società interamente mediatizzata e mercificata. Per
Broch il disprezzo dell'ornamento significava la degenerazione dell'arte in una
dimensione puramente funzionale, svuotata di vita; la tecnica, intervenendo
sulle qualità dell'arte stava rischiando di mettere in pericolo la Kultur, anche per
Adorno, infine, persino le trasformazioni più vistose dell'esperienza estetica
stavano subendo un forte arretramento rispetto al loro significato tradizionale.
C'era alla radice perciò un conflitto politico e identitario talmente forte da
esprimersi in un conflitto tra bene e male, dove nell'arte moderna il risultato del
male era il Kitsch che porta i valori tradizionali al loro limite estremo, sconvolti
dall'egemonia della tecnica. La riflessione benjaminana inserisce il valore della
riproducibilità all'interno di una discontinuità tra passato e presente: è lo stesso
Benjamin a suggerire esplicitamente che l'aura sottratta alle opere d'arte si
riproduce sui prodotti della tecnica, idea poi modificata da Dal Lago che si
concentra sulla natura relazionale dell'arte: l'aura di un'opera d'arte è
semplicemente d'effetto che produce. Se B. resta in qualche modo impigliato in
un'analisi ancora estetologica delle tecnologie di comunicazione , la sua
attenzione alla riproducibilità tecnica risulta tuttavia un fondamentale punto di
partenza per lo sviluppo della serialità come forza espansiva, sociale e
individuale. Insorgenze arcaiche nel mondo moderno Vi sono altri interpreti
dell'impatto tra tecnologie e modernità: Mauss e Bataille. Mauss attenziona il
corpo come luogo di ripetizione e di abitudine. Il consumo, secondo M., ruota
attorno a quelle che chiama "tecniche del corpo". La logica inerziale della
ripetizione è una risorsa su cui le società e le loro classi dominanti costruiscono
regimi più ampi di periodicità. Soprattutto attorno ad alcune forme di
periodicità stagionale. La comune esperienza della frenesia del dono natalizio
negli Stati Uniti è un buon esempio di questo tipo di regime. Negli anni Venti
Mauss elabora , riferendosi a ricerche sulle comunità primitive, una tesi sul dono
volta a leggere la sfera simbolica che avvolge i prodotti di consumo (sistema delle
prestazioni totali di tipo antagonistico). Nell'analisi di Mauss quindi lo scambio
simbolico di doni precederebbe dunque le forme di scambio del mercato
moderno. L'istituzione del dono, che da Mauss viene chiamata "potlach", è un
obbligo (un vincolo tra dare e avere che riguarda la proprietà e che era entrato
nell'etica del capitalismo), uno scambio che non lascia distinte la sfera
dell'individuo e la sfera delle cose scambiate. A questo punto risulta più chiaro il
riferimento i ragionamenti sul dono in riferimento alle piattaforme espressive
costituite dai media di massa: es il cinema forma di vincolo, ma realizzata
attraverso la dimensione non necessaria, individualmente disinteressata,
dell'individuo. Altrettanto evidenti sono le analisi che riguardano gli studi sulle
feste e sulle cerimonie pubbliche, importanti per gli studi della messa in scena
del potere politico. In ultima analisi Mauss svela della comunità il suo carattere
conflittuale: tutto è basato sul principio dell'antagonismo e della rivalità. Proprio
su questo filone si inserisce Bataille che tra la fine degli anni Quaranta e gli anni
Cinquanta elabora la sua teoria della dissipazione: in cui al razionalismo che
governa l'attività umana si sostituisce l'idea di una forte sintesi tra dimensione
produttiva e dimensione improduttiva, tra acquisizione e perdita di ogni capitale
sociale e personale, La dissipazione per Bataille si estende a una serie ben più
vasta e profonda di azioni umane e sociali: lusso, lutto, guerre, culti, monumenti,
giochi, spettacoli, arti, attività sessuali perverse.
Le tesi di Bataille contengono preziose indicazioni sul rapporto tra tempo di
lavoro (la dimensione di una ricchezza produttiva) e tempo libero (la dimensione
di una ricchezza dissipativa), tra il tempo statico di regimi sociali e il tempo
dinamico in cui le eccitazioni dissipatrici sono assimilabili a "stati
d'intossicazione". La collettività e l'individuo sono costantemente attraversati da
questi stati d'eccitazione per cui la loro ricchezza ovvero la loro proprietà sociale
deve essere spesa volentieri o meno. Bataille coglie un duplice piano
dell'esperienza umana divisa tra utile e piacere, la morale del lavoro e il suo
rovesciamento.
La Scuola di Francoforte (marxismo critico, feticismo delle merci, industria
culturale) Il nucleo originario della S.F. si forma dal 1922, attorno all'Istituto per
la ricerca sociale, fondato da F. Weil e diretto da K. Grünberg, uno storico
austriaco fondatore dell'Archivio per la storia del socialismo e del movimento
operaio. Attorno all'Istituto gravitano inizialmente il sociologo K.A. Wittfogel
(studioso delle società asiatiche precapitalistiche e della società sovietica), gli
economisti H. Grossmann e F. Pollock, lo storico F. Borkenau, i filosofi M.
Horkheimer (che assumerà la direzione dell'Istituto nel 1930) e, in seguito, T.W.
Adorno. Più tardi si uniranno al gruppo il sociologo della letteratura L.
Löwenthal, il politologo F. Neumann, lo psico-sociologo E. Fromm, il filosofo H.
Marcuse, il critico letterario e filosofo W. Benjamin. Nel 1932 Horkheimer fonda
la "Rivista per la ricerca sociale", di fama internazionale. Con l'avvento del
nazismo la scuola emigra prima a Ginevra, poi a Parigi, infine a New York. Al
termine della II guerra mondiale restano in USA Marcuse, Fromm, Wittfogel,
Neumann e Löwenthel, mentre Horkheimer, Adorno e Pollock tornano in
Germania, riedificando l'Istituto, nella cui atmosfera culturale si forma una
nuova generazione di studiosi, fra i quali A. Schmidt, O. Negt e J. Habermas
(quest'ultimo è l'erede più significativo della scuola). Tutte le elaborazioni
teoriche della scuola devono essere messe in rapporto ai tre fenomeni storici
principali dell'epoca: 1) nazifascismo in Europa occidentale (che stimola la
problematica dell'autorità e i suoi nessi con la società industriale moderna, 2)
stalinismo nella Russia sovietica (visto come l'altra faccia del capitalismo
odierno), 3) moderna società tecnologica e opulenta americana (di qui gli studi
sull'industria culturale, sull'individuo eterodiretto ecc.). Queste esperienze
costituiscono agli occhi dei francofortesi il segno di una crisi socio-economica e
teoricofilosofica di portata universale: 1) il fascismo viene considerato come la
verità esplicita del capitalismo (l'illuminismo porta al fascismo), 2) il marxismo
ufficiale sovietico è l'antitesi del marxismo di Marx ed Engels, 3) il pragmatismo
americano ha sostituito il concetto di verità con quelli di probabilità e utilità.
Posizione filosofica della Scuola Si tratta di una teoria critica del capitalismo e
del comunismo sovietico, alla luce dell'ideale rivoluzionario di un'umanità futura
libera, disalienata. Questo pensiero critico e negativo mira a smascherare le
contraddizioni dei due suddetti sistemi e a prospettare un modello utopico
alternativo a entrambi. Gli autori fondamentali cui la scuola si rifà sono Hegel,
Marx e Freud: 1) dalla tradizione hegelomarxista la scuola deriva la tendenza
filosofica a impostare un discorso dialettico e totalizzante intorno alla società: si
mette in discussione la società globalmente intesa (come sistema), esprimendosi
su come dovrebbe essere; 2) da Freud la scuola deriva gli strumenti analitici per
lo studio della personalità e dei meccanismi di "introiezione" dell'autorità (molto
importanti sono gli Studi (collettivi) sull'autorità e la famiglia del 1936 e Sulla
personalità autoritaria del 1944-50). I concetti di libido e ricerca del piacere
devono essere interpretati come istinti creativi che devono essere liberati dalle
imposizioni autoritarie della società classista (vedi soprattutto la sinistra
freudiana: Reich). Non solo, ma i teorici di questa scuola, in forte polemica con
le correnti neopositivistiche, criticano le premesse di fondo della concezione
scientifica del mondo, radicata nel cartesianismo e nel galileismo. Ciò che non
tollerano è l'elevazione della metodologia quantitativa e matematizzante delle
scienze naturali a rigido modello logico di valore universale, applicabile cioè
all'intero campo delle scienze. La scuola di F. si serve della nozione di "criticità"
(desunta da Marx) estendendola a campi scientifici non previsti originariamente
dal marxismo (come la sociologia, psicologia, ecc.). Del marxismo tuttavia la
scuola non ha mai tenuto in particolare considerazione l'unità di teoria e politica,
anzi si è servita del fallimento della politica rivoluzionaria bolscevica per
affermare il diritto di distinguere teoria e prassi. La ragione critica deve infatti
separare la teoria dalla prassi per poter giudicare i tradimenti di quest'ultima e le
falsificazioni di quelle teorie che pretendono di giustificare una prassi reificata.
L'esigenza di una prassi conforme alla teoria resta comunque salvaguardata,
anche se qui la scuola si limita a rimandare a un futuro indeterminato il compito
di realizzare tale esigenza. Il concetto di "utopia" ha sempre avuto in tale scuola
una valenza positiva e costruttiva. La ragione critica è una dialettica che conserva
entrambi gli elementi (teoria e prassi), ma è solo negativa, perché non ambisce a
postulare una prassi politica alternativa (solo la coscienza o la cultura possono
pretendere una valenza alternativa). D'altra parte la dialettica negativa esclude
che nella storia sia possibile una compiuta identità di teoria e prassi: ciò che è
possibile è solo una continua ricerca di questa identità. Quindi ogni ideologia
totalitaria viene severamente condannata. Qualunque ideologia o filosofia che da
critica si trasforma in positiva, si sclerotizza e muore. E' la non-identità di essere
e pensiero che garantisce la verità, poiché essa è la sola che permette al pensiero
di criticare le contraddizioni della realtà. Critica dell'Illuminismo L'opera-chiave
della scuola è Dialettica dell'Illuminismo (1947), scritta da Horkheimer e
Adorno. L'Illuminismo qui non è solo l'ideologia del movimento filosofico del
XVIII sec., ma anche l'ideologia dominante della società capitalistica e persino
tutto il complesso di atteggiamenti che, dall'uomo primitivo a quello moderno,
ha perseguito l'ideale di una razionalizzazione del mondo tesa a renderlo
soggiogabile da parte dell'uomo.
L'Illuminismo, che da sempre ha perseguito l'obiettivo di togliere all'uomo la
paura, di smascherare i miti, di rendere l'uomo padrone della natura, si è rivelato
esso stesso mito e totalitarismo, proprio in quanto ha avuto bisogno di miti per
celare la propria intrinseca irrazionalità. La quale è determinata dal fatto che la
pretesa di dominare sempre più la natura tende a rovesciarsi in un progressivo
dominio dell'uomo sull'uomo e in un generale asservimento dell'individuo al
sistema sociale. Nato per sottomettere la natura al dominio dell'uomo,
l'Illuminismo ha finito per rendere l'uomo vittima di quella stessa legge di
dominio. Questa situazione viene vista prefigurata, nell'opera suddetta, dal
racconto omerico del passaggio di Ulisse davanti alle sirene.
Ulisse, per sentire il canto delle sirene, senza restarne ammaliato, rinuncia al
lavoro e si fa legare all'albero della nave (come il padrone terriero che fa lavorare
gli altri -qui i marinai- per sé. Ma questa è anche la sorte della borghesia, che si
nega tanto più la felicità quanto più, crescendo in potenza, l'ha a portata di
mano). Nelle società classiste, il signore che fa lavorare gli altri, pur potendo
accogliere gli inviti della felicità, è chiuso nel suo alienante ruolo sociale. Mentre
i servi, che con le orecchie chiuse dalla cera continuano a lavorare, pagano la loro
capacità produttiva con l'incapacità di ascoltare dei richiami che trascendono la
loro situazione. Cioè il proletariato, integrato nel sistema, perde la carica
rivoluzionaria. A dominare è il ruolo sociale, alienato, cui ognuno deve
conformarsi. La società ha perso la fiducia in una ragione oggettiva, che crede
nell'esistenza di verità universali e immutabili (Platone, Aristotele, Scolastica,
Idealismo tedesco), cioè nella capacità dell'uomo di scegliere i fini per orientare
la propria vita. La società si è affidata a una ragione strumentale (soggettiva),
tesa a individuare i mezzi per perseguire dei fini che la società stessa non può
controllare (dal pragmatismo al neoempirismo). Le scelte non aderiscono alla
logica della ragione e della verità, ma a quella del dominio e del potere. La
filosofia ha quindi il compito di criticare la ragione strumentale, ridando fiducia
all'uomo (vedi Eclisse della ragione di Horkheimer). Critica dell'hegelismo Sia
Marcuse (in Ragione e rivoluzione) che Adorno (in Tre studi su Hegel) hanno
cercato di liberare Hegel dall'accusa di aver precorso il nazismo e di aver creato
un "sistema reazionario" pur al cospetto di un "metodo progressivo" (tesi di
Engels). Marcuse afferma che la ragione hegeliana è in grado di prendere
coscienza delle proprie contraddizioni, anche se Hegel avrebbe poi tradito i
contenuti della sua stessa filosofia. Adorno afferma che il contenuto filosofico
dell'idealismo hegeliano possiede la capacità di superare l'idealismo stesso. La
colpa di Hegel sta nell'aver fatto coincidere "totalità" con "conclusività", cioè
nell'averla conciliata con la realtà. La vera forma della totalità è invece una
costante "non identità": essa può esprimersi solo nella negazione e nel continuo
rimando utopico. Nella Dialettica negativa (1966) Adorno spiegherà ancor
meglio che la funzione primaria della dialettica non è quella hegeliana della
sintesi o conciliazione, ma quella critico-negativa, in virtù della quale si possono
mettere in discussione le varie pretese d'identità fra ragione e realtà, e svelare le
contraddizioni non conciliate che caratterizzano il mondo in cui viviamo. Adorno
ritiene che dopo Auschwitz ogni filosofia idealistica, che giustifichi la realtà, non
abbia più senso. Critica del marxismo In quanto anticapitalisti, i franfortesi si
sono richiamati a Marx (specie a quello "giovane"). Tuttavia essi hanno sempre
trascurato il carattere strutturalmente economico dei conflitti sociali e
l'importanza dei rapporti produttivi. Horkheimer ha negato al proletariato del
suo tempo la capacità rivoluzionaria e ha attribuito il compito di portatore della
verità più all'intellettuale critico che alla classe degli sfruttati. Forte è stato
l'influsso su tutti loro delle posizioni di Luckàcs e di Korsch. Dopo la morte di
Adorno (1969), la filosofia di Horkheimer (che è sempre stata la più vicina al
marxismo) si aprirà addirittura alle posizioni teologiche (vedi La nostalgia del
totalmente Altro, 1970). In gioventù Horkheimer era convinto che il marxismo
avrebbe potuto fermare il nazifascismo. Nella Nostalgia invece afferma che la
situazione sociale del proletariato è migliorata anche senza rivoluzione, per cui
oggi i lavoratori pensano a migliorare le loro condizioni materiali di vita, non a
superare qualitativamente il sistema. L'umanità non cammina affatto verso il
regno della libertà, ma verso un mondo totalmente amministrato. Giustizia e
libertà stanno anzi in un rapporto di esclusione: quanto più aumenta una, tanto
più diminuisce l'altra. Horkheimer nega che possa esistere un dio di fronte a
tanta ingiustizia, però l'idea di un dio può costituire una speranza o una
nostalgia, in virtù della quale l'ingiustizia non può pretendere di dire l'ultima
parola. Il richiamo alla trascendenza deve appunto servire all'uomo per rendersi
meglio conto dei propri limiti. Critica dell'industria culturale Horkheimer, ma
soprattutto Adorno, hanno costatato che uno degli aspetti più caratteristici
dell'odierna società tecnologica è la creazione del gigantesco apparato dei mass-
media. Essi lo ritengono il più subdolo strumento di manipolazione usato dal
sistema per conservare se stesso, tenendo sottomessi gli individui. E' subdolo
perché illude che il consumatore sia il soggetto di tale industria, mentre in realtà
ne è il puro oggetto. L'industria serve alle minoranze per suscitare bisogni e
determinare i consumi, per imporre certi valori e modelli, riducendo gli individui
a una massa informe. Persino il "tempo libero" diviene programmato. Attraverso
i media passa l'ideologia più vitale per il neocapitalismo: l'idea della "bontà" del
sistema e della "felicità" degli individui eterodiretti che lo costituiscono. La
critica dell'industria culturale verrà portata avanti, dopo Adorno, soprattutto da
J. Habermas, il quale, in Storia e critica dell'opinione pubblica (1961), afferma
che l'istanza dell'opinione pubblica, originariamente fatta valere dalla borghesia
in ascesa contro la politica assolutistica, e rivendicata come condizione stessa di
legittimazione del potere, ha finito per perdere ogni funzione critica: una volta
istituzionalizzata negli organi dello Stato di diritto, essa si è assoggettata ai fini
della manipolazione capitalistica. Edgar Morin Edgar Morin, nato nel 1921, è la
figura che è diventata emblematica di una riflessione sui media della società
industriale in tutto diversa da quella dei francofortesi e sostanzialmente
indipendente dal pensiero di Benjamin, Seguendo il suo più celebre saggio, Lo
spirito del tempo, possiamo esporre le tesi avanzate da Morin, profondamente
influenzate dal punto di vista non occidentale e per più aspetti ancora primitivo
delle culture indigene afro-brasiliane, da lui indagate. Dopo sistemi sociali
governati nella separazione tra culture d'elite e culture popolari,
l'industrializzazione dei media determina un processo che penetra nella vita
quotidiana e da essa è penetrato. Culture d'elite e culture di massa sono
sconvolte da questi processi, che portano a una terza Cultura, nata dalla stampa,
dal cinema, dalla radio, dalla televisione, che compare e si sviluppa disponendosi
accanto alle culture classiche e nazionali, una cultura che si riconosce con il
nome di mass-culture, ovvero cultura di massa.
La terza cultura individuata da Morin trova una definizione il più possibile
lontana da quella francofortese: "si può definire un a cultura come corpo
complesso di norme, simboli, miti e immagini che penetrano l'individuo nella
sua intimità, ne strutturano gli istinti e orientano le emozioni...." Il prodotto
culturale è strettamente determinato, da una parte, dal suo carattere industriale,
e dall'altra dal suo carattere di consumo quotidiano, senza potersi sollevare
all'autonomia estetica. Morin mette in discussione inoltre non solo le astrazioni
senza conenuto reale di tipo intellettualistico, ma anche gli approcci sociologici
che deformano il proprio oggetto di ricerca con l'invadenza di se stessi e del loro
metodo. Morin distingue sfera privata da sfera pubblica: "il sistema privato vive
perché si diverte: vuole adattare la sua cultura al pubblico. Il sistema di Stato è
rigido e greve: vuole adattare il pubblico alla propria cultura" da ciò scaturisce
che "la creazione culturale non può essere totalmente integrata in un sistema di
produzione industriale". Morin aplica ai media una teoria della moda fondata
sull'incastro perpetuo tra ripetizione e innovazione, imitazione e trasgressione,
omologazione e individualizzazione . L'abbandono di un punto di vista est
etologico da parte di Morin è quasi netto: "l'autore non po' più identificarsi con
la sua opera allora viene meno la sua soddisfazione...". Morin prende poi in
esame il progressivo slittamento identitario assecondato e prodotto
dall'industrializzazione e tecnologizzazione dei media secondo cui l'uomo medio
è una sorta di anthropos universale. Il linguaggio che meglio gli si adatta è il
linguaggio audiovisivo, linguaggio a quattro registri: immagine, suono musicale,
parola, scrittura. Lo spettatore tipicamente moderno è colui che è votato alla
tele-visione, che vede sempre tutto in primo piano ma nello stesso tempo a una
distanza impalpabile , la sua partecipazione avviene sempre in modo filtrato,
tramite l'altro. La cultura mediale secondo Morin, manifesta conflitti tra diverse
correnti culturali e identitarie, che, in quanto dispositivi di integrazione sociale,
non possono non avere il carattere dialettico di sue sole grandi correnti, l'una
affermativa dei valori della cultura dei media e l'altra negativa. Inoltre ci sarebbe
a suo avviso una terza corrente denominata "nera" radicalmente refrattaria a
ogni possibile direzione della cultura di massa. Ci sono riferimenti alla
riproducibilità tecnica che per Mori non distrugge il carattere di feticcio dei
prodotti artistici. Infine Morin, da buon sociologo, si interroga sulle
caratteristiche di una cultura di massa che ha le parvenze di una religione della
salvezza terrena ma che manca tuttavia della promessa dell'immortalità , del
sacro e del divino, per potersi mutare in una religione vera e propria, tale cultura
alimenta e sviluppa processi religiosi in quanto vi è di più profano ed empirico e
processi empirici sull'idea madre delle religioni moderne ovvero la salvezza
individuale. Al di là delle filosofie del tempo moderno Un recente lavoro di
Andrea Miconi "Una scienza normale" può servire da base per mettere in
discussione le questioni trattate da Benjamin e Morin, in particolare la scienza
normale di Thomas Kuhn, con il suo realismo cognitivo, è particolarmente in
grado di mostrare i punti più deboli e soggettivi del pensiero di Benjamin e
Morin in campo mediologico, a questi autori allora può aver senso contrapporre
i rigorosi principi di oggettività ispirati a Weber e al peso che ha avuto sulle
scienze sociali. I riferimenti di una possibile alternativa a tali approcci
culturologici si troverebbero dunque nella storia economica di "lunga durata": le
teorie dei cicli lunghi di Kondratieff e l'economia-mondo di Braudel. Tale
percorso può incontrasi anche con una mediologia altrettanto di lunga durata
come quella di Innis o al tipo di ricerche condotte con vastissimo respiro storico,
economico e geopolitico da Mattelart. La necessità di estendere l'arco temporale
degli studi di comunicazione anche affrontando i contesti tecnologici, dipende
dal fatto che la società e divisa in livelli diversi, dei quali alcuni mostrano
maggiore suscettibilità al cambiamento mentre altri vivono di evoluzioni
lentissime "i media nascerebbero per effetto dell'azione di gruppi sociali
pertinenti". La ricerca proposta da Miconi delinea un quadro in cui gli eventi
contemporanei assumono senso all'interno di un ciclo storico più ampio.
Secondo l'ideologia weberiana il piatto determinismo tecnologico deve essere
sostituito dall'idea che le forme di potere abbiano un peso oggettivo per la
nascita delle tecnologie mediali, determinandone l'uso sociale. C'è un
determinismo sociologico invece che meccanicistico dietro alla nascita e allo
sviluppo dei media. Questo approccio consente la lettura sociologica della fase
immediatamente successiva a quella della costruzione sociale dell'uso dei media
al fine di trasmettere determinati contenuti piuttosto di altri. Infatti, quando i
media si diffondono, rendono manifesta la potenzialità che gli è propria, un
effetto di framing: un orizzonte di pertinenze e quindi di vincoli ai quali la sfera
sociale deve sottomettersi in forza della sua stessa mediatizzazione. In sintesi
servono sia il determinismo sociale sia quello tecnologico, ma non vi deve essere
nessun compromesso tra i due. La nascita di un medium è materia per il
determinismo sociale e la sua diffusione la spiega il determinismo tecnologico.
Quanto ai risultati che si attendono dagli approcci emersi da questa prospettiva
di ricerca è da considerare la possibilità di inserire i cicli della comunicazione
moderna , dunque l'alternanza tra momenti “esplosivi" e "riflessivi" nel mercato
dei media, nei cicli lunghi dell'economia.
L'idea pilota è che l'innovazione e l'invenzione di nuove tecnologie si concentrino
nelle fasi di crisi del capitalismo internazionale, proprio in quanto tentativo di
risposta allo stallo economico, mentre la diffusione dei media avvenga sempre
nelle fasi di crescita del ciclo economico. Le sociologie dell'immaginario Gustave
Le Bon: particolare attenzione rivolta alla folla nella sua dimensione moderna.
Essa da vita a una forza emotiva che supera la mera somma di individui che la
compongono; la folla è mossa dalla potenza delle immagini al punto da ribaltare
l'equilibrio tra visibile e invisibile facendo sì che l'irreale predomini sul reale (per
questo le folle si nutrono di leggende, miti, religioni). Gabriel Tarde:
l'immaginario interviene in tutti i processi di socializzazione e a scandire i ritmi
dell'esistenza interiore e sociale è la legge dell'imitazione .
Vilfredo Pareto: il mito organizza le immagini attorno all'archetipo della fede di
cui se ne può valutare la potenza manipolatrice e l'efficacia sociale. Emile
Durkheim: le rappresentazioni collettive illustrano il modo in cui un gruppo si
pensa e si riconosce come "corpo sociale". La società è una realtà sui generis, la
vita sociale è interamente costituita da rappresentazioni. I miti, le leggende
popolari, le credenze religiose traducono costantemente in forme simboliche la
dimensione del reale che sfugge alla e dalla interiorità privata del soggetto
sociale; inoltre si ricorre alla sfera simbolica anche nel passaggio dalla vita alla
morte. Georg Simmel: i rapporti di reciprocità che gli uomini intessono nel dare
una forma e un'anima alla società sono retti da scambi reciproci di immagini.
L'interazione sociale avviene esattamente nel momento in cui un soggetto,
nell'ambito del suo rapportarsi all'altro, si fa di quest'ultimo un'immagine e ne
rinvia a esso un'altra. Simmel si pone come il primo osservatore sociale che
rivela nei dettagli apparentemente più insignificanti della vita quotidiana le fonti
più profonde dell'essere-insieme. Gilbert Durand: il campo dell'immaginario è
quello in cui ogni cultura si dota di un ordine simbolico tramite variazioni o
attualizzazioni degli archetipi a opera di un contesto storico, geografico e
psicologico. Un sistema immaginario socio-culturale emerge sempre da un
insieme più vasto e contiene degli insiemi più ristretti. Le strutture
antropologiche dell'immaginario derivano dalla differenziazione esistente tra
l'immaginario diurno e quello notturno. Ogni epoca storica dispiega il proprio
ordine simbolico a partire dall'equilibrio che tali dimensioni istaurano nello
spazio dell'immaginazione collettiva. Il sistema mitologico, in particolare, si
articola nell'ambito di un processo storico-sociale all'interno di un bacino
semantico, laddove un segno nasce, sgorga, muta e infine giunge alla
saturazione. Michel Maffesoli: l'immaginario collettivo è il mesocosmo che
connette il microcosmo (lo spazio e l'esperienza del vissuto collettivo) al
macrocosmo (il divino, la natura, l'altro. Il sistema dei media e degli oggetti si
pone come la cristallizzazione contemporanea di questo spazio , rap
rappresentando nell'ambito di società postmoderne il territorio in cui in maniera
prevalente si manifesta il meccanismo di base i ogni società: la perdita del sé in
un ordine fusionale più vasto. L'immaginario si sradica dalle matrici
trascendenti lasciando prevalere il sensibile, il ludico e l'onirico.

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