Misc Nicolini Appunti
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Simonetta Nicolini
University of Bologna
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All content following this page was uploaded by Simonetta Nicolini on 29 November 2021.
Dalla metà degli anni Ottanta del Novecento l’editoria scolastica ha mostrato
un’attività frenetica con edizioni nuove, rivedute e compendi di manuali
precedenti. La fortuna critica dei libri per la scuola, nel frattempo, è assai diminuita,
e, dal punto di vista editoriale, il manuale si è trovato relegato in una nicchia di
lettura e diffusione solo scolastica faticando a trovare posto nei cataloghi delle
biblioteche. Il destino dei manuali, oggi più di ieri, è il mesto accumulo nelle aule,
nelle biblioteche e negli armadietti scolastici, dopo essere stati valutati dagli
insegnanti in vista di un’adozione. Da almeno tre decenni, infatti, la forma del
libro di testo (formato, numero di pagine, suddivisione delle parti) è sempre più
determinata dalle “gabbie” imposte dalle esigenze di “rinnovamento” didattico
(che si susseguono nella scuola italiana con frenetica compulsività a ridosso delle
molte riforme dei cicli), dal monte ore delle diverse discipline, dalle richieste delle
normative ministeriali, dal sistema di verifica delle conoscenze e, oggi più che
mai, delle “competenze”. Si evidenzia così il suo carattere di prodotto editoriale di
compromesso tra la comunità della scuola, l’editoria e gli autori che ha dato vita
nel tempo a un “canone interno”1. Strumento tra i più diffusi, grazie all’ampiezza
del pubblico a cui è rivolto, il manuale presenta però una veste di solito poco
accattivante per il lettore comune e molto distante da altre forme librarie
destinate a essere sfogliate con curiosità e piacere: perciò, difficilmente occupa un
posto nelle biblioteche private. Non si sottraggono a questo destino i manuali di
storia dell’arte, forse tra i più attraenti nel campo dell’editoria scolastica per il ricco
apparato visivo che portano in campo. La causa deve essere cercata anche nella
sedimentazione di convenzioni linguistiche e stereotipi narrativi a cui sembra
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Simonetta Nicolini
difficile trovare alternative valide. Oggi appare più che mai arduo, per tante
ragioni, raggiungere la perfetta sintesi tra divulgazione, didattica e accuratezza
storica che fu il merito della Storia dell’arte raccontata da Ernst H. Gombrich
(1950, prima edizione italiana 1966), la cui lunga fortuna editoriale, durata
quasi mezzo secolo, si dovette tanto all’alta qualità del testo e alla lettura
chiarissima quanto al formato maneggevole. La maggior parte dei libri scolastici
di storia dell’arte nel corso del tempo ha visto invece appesantirsi l’aspetto di
normalizzazione e schematizzazione didattica, che certo non agevola la libera
lettura, perdendo di conseguenza quel carattere autoriale che rendeva i manuali
più antichi oggetti culturalmente significativi. Perciò, oggi, appare ancora più
necessario segnalare le novità che appaiono in campo per quei volumi che si
possono definire “d’autore”.
La scrittura di un manuale, lungi dall’essere una sintesi di dati storici e di
formule critiche, ha sempre richiesto agli storici dell’arte di indicare i percorsi
da intraprendere attraverso una storia lunga e complessa e a fare chiarezza sul
metodo adottato, che, soprattutto oggi, non coincide con la vulgata dei media.
La vicenda del libro scolastico d’autore ebbe inizio con il volumetto di Adolfo
Venturi (L’arte italiana. Disegno storico, Bologna, Zanichelli, 1924) destinato ai
licei classici, e si è articolata nel tempo rispecchiando l’evolversi dell’idea di
disciplina. Alla metà degli anni Ottanta del secolo scorso, questo percorso sembrò
interrompersi subito dopo la pubblicazione dei bellissimi volumi di Carlo Bertelli,
Giuliano Briganti e Antonio Giuliano che rielaboravano per il lettore-studente le
ultime innovative ricerche sul campo, a partire dalla Storia dell’arte pubblicata
da Einaudi dal 1979. La proposta di Salvatore Settis e Tomaso Montanari è oggi
dunque un punto di ripartenza di questo percorso e suggerisce, fin dal titolo,
un’idea di arte che si contrappone alla visione genericamente estetizzante,
commerciale e di veloce consumo turistico diffusa negli ultimi tre decenni.
A proposito dell’attuale tendenza alle mostre-evento, Montanari ha scritto:
«ci si può chiedere perché queste mostre non facciano vendere neanche un libro
in più, […] quale rapporto abbiano con l’educazione, la formazione, la crescita
culturale e morale dei cittadini, condannati ad esser clienti anche in rapporto
all’arte e alla sua storia»2. Una storia naturale e civile (sottotitolo di questo nuovo
manuale) è il tema conduttore di Settis e Montanari, con un chiaro rimando alla
battaglia che gli autori hanno intrapreso, in pubblicazioni e interventi pubblici,
contro il degrado (fisico), il consumo (irresponsabile) e la violenza (mediatica)
che il nostro patrimonio artistico ha subito dagli anni Novanta del secolo scorso.
Il richiamo alla Carta costituzionale è il punto fermo del percorso, sulla linea
dell’impegno civile e politico che, tra gli storici dell’arte del Novecento, era stato
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di Carlo Ludovico Ragghianti, il quale, dal secondo dopoguerra, aveva affrontato
il tema della scuola nella società democratica occupandosi del «problema della
ricerca scientifica e dell’università, il ruolo della scuola professionale e, più che
mai attuale, il rapporto fra scuola pubblica e privata»3.
L’attenzione di questi volumi al contesto naturale e antropologico in cui si
inseriscono le opere d’arte non è nuova (qualche tentativo vi era stato anche nei
manuali della generazione precedente); ma, con più chiarezza, essi si ricollegano
all’eredità del sentimento di unità tra arte, paesaggio e vita originato dalle lucide
riflessioni di Antoine C. Quatremère de Quincy alla fine del Settecento4. Nel 1914,
Roberto Longhi aveva già proposto precocemente a scuola l’idea, letterariamente
sublime e isolata, di una visione “totale” dell’arte come esperienza fisicamente
concreta vissuta nei percorsi quotidiani: scriveva infatti per i suoi studenti dei licei
Tasso e Visconti di Roma: «[…] E non crediate una volta usciti dal respiro dell’arco
d’essere rientrati nella realtà bruta e impossibile ad interpretarsi artisticamente.
Volta volta tutto è artistico e nulla è artistico […] bisogna riacquistare quella
facoltà di esaltazione estetica che permetta di ammirare l’abbarbicarsi tenace del
paesello fuligginoso al suolo, a continuare quasi le stratificazioni verticali della
roccia, o i rapporti armonici di vastità di spaziosità di vacuità aereata, di dislivello,
di masse congiunte a sbalzi – Genova – […] Soltanto allora potete godere
dell’edificio isolato […]»5.
In Settis e Montanari il legame inscindibile tra opere, paesaggio e vita nella
storia è una costante: sono affrontate le vicende di luoghi periferici e di siti poco
noti alle masse turistiche (Santa Caterina dei Funari a Roma, Camerino devastata
dal terremoto), mentre l’apparato fotografico rinnovato e ampio costituisce
in tutto il percorso un punto di avvio per una aggiornata memoria del nostro
patrimonio e consente una lettura visiva più allargata al contesto, come nel caso
dell’ariosa decorazione all’antica di Raffaello a Villa Chigi mostrata nell’originario
respiro simbiotico con l’esterno che i soli dettagli della decorazione pittorica,
solitamente proposti nei manuali, non riescono a restituire.
Il passo più innovativo in questi volumi è però il rovesciamento del canone
e della narrazione diacronica lineare, a partire dalla lezione che Aby Warburg
aveva dato nel 1928 con le tavole di Mnemosyne e con la lettura del passato
attraverso il tramando delle Pathosformeln nel presente. Il modo di costruire il
testo ci ricorda quanto scriveva Henri Focillon in Vies des formes (1934): «la storia
non è affatto unilineare e puramente successiva: può essere considerata come
una sovrapposizione di presenti largamente estesi»6. In questi volumi, l’intreccio
di tradizione dell’antico e contemporaneità è offerto in approfondimenti, vere e
proprie Vie di fuga (questo il titolo generale che accomuna alcune delle schede
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Simonetta Nicolini
di ampliamento del testo) che vanno dal Medioevo come set cinematografico
allo spiazzamento dell’osservatore moderno che cammina sul pavimento della
cattedrale di Otranto, dalla fotografia del centro di Palermo che provocatoriamente
ingloba la periferia devastata e dalle navi da crociera sullo sfondo dei canali di
Venezia alla moda delle mostre sull’Impressionismo e alla fruizione alternativa
delle opere a “chilometro zero”. Fino alla Biancaneve disneyana che, affiancata
alle immagini di regine nella scultura medievale, chiarisce quanto del nostro
patrimonio visivo sia frutto di una storia di metamorfosi le quali, senza soluzione
di continuità, trasmutano rielaborate nelle dinamiche dell’iconografia di massa.
Già Ragghianti scrivendo di programmi scolastici, nel 1954, osservava:
«Ma poi di quale storia dell’arte si parla? Il concetto di “storia dell’arte” è tutt’altro
che pacifico»7. Nel manuale di Settis e Montanari, senza concessioni a usurate
definizioni di maniere e stili, si procede per snodi problematici: sottolineando il
rapporto letteratura/immagini tra Medioevo e XIX secolo, la genesi dell’idea di
stili architettonici nell’Ottocento, l’intreccio tra modi scultorei e pittorici in Bernini,
il problema della riproduzione fotografica e delle copie, l’invenzione dell’artista
come individuo eccezionale tra Sette e Ottocento, il rapporto tra stile, significato
e funzione, e molto altro ancora. Le calibrate introduzioni storiche sono incentrate
sul rapporto tra arte e società. Le citazioni dalla letteratura artistica, straordinario
contenitore lessicale che aiuta a sfuggire alla meccanica ripetitiva della lingua
“da manuale”, sono invece il filo conduttore per la comprensione di fatti che
prendono vita nel lessico del tempo (l’affondo sul ruolo di Vasari artista e
scrittore), ma anche di artisti a noi più vicini (le osservazioni di Henry Moore sulla
Pietà Rondanini). Gli autori rendono chiaro che la storia dell’arte non è una pura
sequenza di capolavori e biografie, ma l’intreccio tra lavoro dell’artista, committenza,
collezionismo (il caso esemplare di Michelangelo), gusto e sue trasformazioni
(il colore perduto nella scultura antica, la lettura longhiana di Piero della Francesca
come precursore di Cézanne); mentre l’interpretazione dell’arte barocca come
stile “globale” diffuso anche oltre oceano riporta al punto dell’acculturazione di
popoli sopraffatti, al colonialismo e alle migrazioni. Sicché, si dovrà immaginare
che, giunti al quinto volume, i lettori siano già preparati al cambio di prospettiva
che il Novecento richiede con il suo complesso e frammentato panorama non
sempre di facile definizione. Come ormai di necessità per ogni libro destinato alle
scuole, questi volumi sono poi accompagnati da dispositivi digitali per gli studenti
(videolezioni e videotutorial per imparare a leggere le opere d’arte; bacheche per
approfondire il contesto dei periodi) e per gli insegnanti (lezioni in PowerPoint; HUB
test per creare esercitazioni personalizzate; tavole di programmazione e verifiche;
atlante di oltre 2000 immagini) che dovrebbero renderne più fluido l’utilizzo.
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Il lavoro di ideazione e scrittura è opera, oltre che di Settis e Montanari, anche di
un gruppo di ottimi specialisti (Anna Anguissola per l’antichità, Claudio Franzoni
per il Medioevo e per un contribuito al quarto volume accanto a Montanari
e Fabio Belloni – quest’ultimo autore anche del testo sul contemporaneo –,
Gabriele Fattorini per il Quattrocento e la prima età moderna); ma l’intreccio tra
metodo e limpido tono narrativo rende gradevole e omogenea la lettura. Ottimi
per i licei e per la conoscenza di base necessaria all’università, questi volumi,
scontato il formato da manuale scolastico che certo non ne rende agevole la
lettura, possono essere anche un viatico chiaro, profondo e talvolta inaspettato
per chiunque voglia percorrere per la prima volta i fatti della storia dell’arte.