Calvino
Calvino
Calvino
Nella sua vita Calvino ha attraversato le esperienze essenziali della storia intellettuale del dopoguerra
mantenendo sempre un lucidissimo rigore razionale, una volontà di capire i diversi aspetti della realtà, ha
percorso un lungo cammino dal giovanile impegno degli anni della Resistenza al mondo frantumato e privo
di un centro degli Anni ’80, dal neorealismo alla più sofisticata sperimentazione. Insieme alle opere vere e
proprie egli ha prodotto una serie vastissima di progetti, di interventi giornalistici, di riflessioni, giudizi
critici, prefazioni a testi della più varia letteratura. Ha vissuto un rapporto quotidiano con la scrittura e per
questo sono molteplici i testi da lui lasciati nel cassetto. VITA: nasce nel 1923 a Santiago de Las Vegas, Cuba,
dove padre dirigeva stazione sperimentale di agricoltura, 1925 torna in Italia con famiglia a San Remo, città
d’origine del padre, dove questi tenne la direzione di una stazione sperimentale di floricoltura. Italo si
interessò molto presto alla letteratura, scrisse racconti e collaborò al “Giornale di Genova” come critico
cinematografico. Dopo l’8 Settembre 1943 partecipò attivamente alla Resistenza, dopo la liberazione si
impegnò nella militanza nel PCI e collaborò a giornali e riviste comuniste, si laureò nel 1947 alla facoltà di
lettere di Torino con tesi su Joseph Conrad. A Torino entrò subito in rapporto con gli intellettuali legati alla
casa editrice Einaudi, in primo luogo con Pavese e Vittorini, e fu tra i collaboratori del “Politecnico”. Con il
breve romanzo “Il sentiero dei nidi di ragno” (1947) si rivelò come il più giovane e dotato tra esponenti
nuova letteratura neorealistica. Fu redattore della terza pagina dell’edizione piemontese de “l’Unità”, nel
1950 fu assunto nella redazione della casa editrice Einaudi in cui dal 1955 al 1961 svolse le funzioni da
dirigente, la metodicità e la costanza del suo lavoro contribuirono in modo determinante ai caratteri della
casa editrice negli Anni ’50 e Anni ’60. Dopo morte del padre (1951) fu impegnato in una vasta produzione
narrativa che condusse alle due raccolte dei “Racconti” (1958) e dei tre romanzi “I nostri antenati” (1960).
Notevoli furono anche le sue collaborazioni con musicisti che diedero luogo a interessanti canzoni
impegnate musicate da Sergio Liberovici. Vivacissima risultò la sua presenza nel dibattito politico
intellettuale con collaborazioni a “Rinascita”, al “Contemporaneo” e altre varie riviste. Nel 1952, come
inviato de “L’Unità”, compì un viaggio in Unione Sovietica di cui fece un resoconto in venti puntate. I fatti
ungheresi del 1956 provocarono il suo distacco dal PCI che abbandonò nel 1957 pur mantenendo uno
stretto rapporto con la sinistra. Sulla fine degli Anni ’50 si interrogò su nuovi problemi posti dallo sviluppo
della società industriale cercando una nuova progettazione intellettuale, in questa prospettiva diresse
insieme a Vittorini “Il Menabò”. Dopo un soggiorno di sei mesi negli USA (1960) preparò un libro di
riflessioni (“un ottimista in America”) che ritirò quando era già in bozze. Agli inizi Anni ’60 visse per un certo
periodo a Roma ma spinto da curiosità per la cultura francese trascorreva lungi periodi a Parigi. La
situazione di effervescenza dei primi Anni ’60 lo trovava attento alle trasformazioni in atto, alle iniziative
della nuova sinistra e quelle della neoavanguardia, il racconto “La giornata di uno scrutatore” definì il suo
punto di vista sulla crisi della cultura di sinistra. Nel 1964 Calvino sposa l’argentina Ester Judith Singer
( detta Chichita) interprete e traduttrice dall’ inglese e con lei si stabilisce a Parigi da dove continua a
lavorare per Einaudi, ha così modo di intrecciare più stretti contatti con cultura francese, si accosta
ambienti letterari più sperimentali, stringendo inoltre essenziali rapporti con il gruppo dell’Oulipo. Nel 1965
esce il volume delle “Cosmicomiche” e nel 1967 “Ti con zero”. Segue con attenzioni prime manifestazioni
studentesche in Italia e in Francia condividendone le istanze antiautoritarie ma la sua ricerca resta del tutto
sganciata dai programmi di quegli anni come mostrano “Le città invisibili” (1972) e “Il castello dei destini
incrociati” (1973). La sua fama si diffondono in tutto il mondo, collabora con “Il Giorno” e il “Corriere della
Sera”, infine con “Repubblica”. Negli eventi Anni ’70 avverte degradarsi generale della vita civile ma il libro
“Se una notte d’ inverno un viaggiatore” (1979) esprime nonostante tutto una gioiosa vitalità. Nel 1980
Calvino si trasferisce con famiglia a Roma. Le prose di “Palomar” (1983) rivelano una prospettiva amara e
disillusa, egli d’altra parte guarda al mondo intellettualistico italiano e alla confusa situazione del paese con
un senso sempre maggiore di estraneità. Nuovo motivo di amarezza è dato nel 1983 dalla crisi della casa
editrice Einaudi, nel 1985 prepara i testi della conferenza negli USA che dovrà tenere all’ Harvard University
ma colpito da emorragia celebrale muore a Siena nel 1985. IL TEMPO DELL’IMPEGNO E DEL NEOREALISMO:
Con il breve romanzo “Il sentiero dei nidi di ragno“(1947), con numerosi brevi racconti scritti nell’
immediato dopoguerra ( trenta dei quali apparvero nel 1949 nel volume “Ultimo viene il corvo”), con la sua
prima attività giornalistica e pubblicistica, Calvino offrì l’immagine più giovanile e vitale del neorealismo.
Nelle sue prime opere si rileva una singolare capacità di rappresentazione immediata che tocca la realtà ( in
primo luogo quella della Liguria anni guerra e Resistenza ) con spontanea leggerezza. I ricordi
dell’adolescenza e le vicende della lotta partigiana si inscrivono entro un bisogno di totalità che in ogni
gesto, paesaggio avventura, cerca di interrogare il significato dell’esistenza, sembra che la vita sia lì per
essere conosciuta attraverso il racconto. Rimanendo nell’orbita del neorealismo, mentre parallelamente
cercava le strade del comico, del fiabesco, della favola morale, Calvino ha prodotto negli Anni ’50 numerosi
racconti confluiti nel 1958 nel volume dei “Racconti” comprensivo di molti racconti in precedenza in
“Ultimo viene il corvo” di testi usciti su riviste e di tre racconti apparsi nel volume “L’entrata in guerra”
(1954). I “Racconti” sono divisi in quattro libri: “Gli idilli difficili”, “Le memorie difficili”, “Gli amori difficili”,
“La vita difficile”. L’ultimo contiene tre racconti più ampi rivolti a una riflessione problematica su caratteri e
situazione della vita sociale contemporanea: “La formica argentina (1952), “La speculazione edilizia” (1957),
“La nuvola di smog” (1958). La materia dei “Racconti” mostra come Calvino si rivolga a un’indagine sulla
nuova realtà industriale, sui rapporti che sostengono lo sviluppo della società italiana. IL COMICO E LA
FIABA: Calvino era dotato di una spontanea curiosità per le forme narrative originarie, di una singolare
disposizione ad abbandonarsi al fiabesco. Nel 1952 “Il visconte dimezzato” si impegna sulla via
dell’invenzione fantastica, dieci racconti scritti tra il 1952 e il 1956 trovano un originale intreccio di comico e
di fiabesco nella rappresentazione del rapporto tra una famiglia di origine contadina e la difficile vita di una
moderna città industriale. Questi racconti hanno al centro la figura del manovale Marcovaldo e i membri
della sua famiglia, in mezzo agli artifici della vita cittadina i personaggi si difendono con ingenuo coraggio
appoggiandosi su piccoli segni di spontanea vita naturale, stravolgendo gli oggetti del paesaggio industriale
in mezzo ai quali sono costretti a muoversi, usandoli in modi surreali, tentando fughe impossibili e ridicole.
Dopo l’edizione dei “Racconti” Calvino tornò su Marcovaldo e la sua famiglia con altri dieci testi, l’insieme
dei venti racconti fu raccolto nel volume “Marcovaldo ovvero le stagioni in città” (1963). L’interesse per il
fiabesco aveva indotto Calvino a un’indagine sulla tradizione delle fiabe italiane, dopo due anni di ricerca
aveva pubblicato nel 1956 un’ampia raccolta di duecento “Fiabe italiane” ricavate dalle più diverse
tradizioni regionali e trascritte in una lingua semplice e piana accessibile anche ai bambini. Il lavoro era
molto importante anche dal punto di vista documentario e anticipava quell’interesse per la fiaba che
sarebbe stato più tardi al centro delle ricerche della narratologia. I NOSTRI ANTENATI: L’interesse per la
fiaba in Calvino si lega sempre a una passione per la tradizione della letteratura fantastica, in primo luogo
per i personaggi e le avventure del romanzo cavalleresco, uno dei suoi autori prediletti è Ariosto ( all’
“Orlando furioso” dedicherà più tardi delle trasmissioni radiofoniche da cui trarrà il libretto “L’Orlando
furioso di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino, 1970). Questo gusto per il fiabesco e il meraviglioso,
e la capacità creativa accompagnata da una sfuggente ironia trovano un singolare punto d’incontro con la
passione ideologica degli Anni ’50, in tre romanzi brevi: “Il visconte dimezzato” (1952), “Il barone
rampante” (1957), “Il cavaliere inesistente” (1959). La disponibilità all’invenzione più libera si unisce qui a
un atteggiamento morale che si rifà anche ad alcuni aspetti della letteratura illuministica, soprattutto al
genere della favola morale e ironica diffuso nel Settecento. I tre romanzi furono raccolti insieme nel 1960,
nel volume “I nostri antenati”, il cui titolo sottolinea il legame che le loro vicende hanno con il presente, in
quelle figure artificiali si possono riconoscere modelli di comportamento umano e intellettuale che
agiscono anche nel mondo contemporaneo. I tre protagonisti che vivono rapporti inconsueti con la realtà
offrono altrettante allegorie della ragione, rappresentano ipotesi diverse sui modi di comprensione della
realtà. I tre romanzi possono insomma essere letti anche come delle parabole sulla ragione, sul legame tra
ragione e invenzione, le ipotesi di comportamento umano tracciate da Calvino vogliono però restare
sfuggenti, la sua ragione e la sua morale sono essenzialmente “elusive”, si sottraggono nello stesso
momento in cui si sta per raggiungerle. Quella de “I nostri antenati” è insomma una ricerca illuministica che
esprime tutti i limiti e le difficoltà che la ragione incontra in un mondo articolato e labirintico. Questa
ricerca è sostenuta da un linguaggio narrativo lucido ed essenziale che sembra voler identificare realtà e
finzione, ricondurre ogni aspetto dell’esperienza al controllo di una ragione incline a eliminare ogni dato
superfluo e ridondante. E’ facile parlare quindi di un “classicismo” di Calvino, ma si deve tener presente che
questo classicismo è strumento essenziale dell’elusività di cui sopra si è parlato. “Il visconte dimezzato” ci
trasporta nel tardo Cinquecento con le vicende del visconte Medardo di Terralba diviso letteralmente in
due in seguito a uno scontro con i Turchi, da questa scissione nascono due personaggi opposti e
complementari, il Buono e il Gramo, che rappresentano ciascuno un aspetto parziale dell’umanità e vivono
varie avventure che conducono alla ricomposizione della persona di Medardo. Il più ampio dei tre romanzi,
“Il barone rampante”, è una delle più affascinanti “parabole” della ragione che siano state composte nel
Novecento, il libero gioco fantastico si salda strettamente all’intento pedagogico. Personaggio principale è il
barone ligure Cosimo Piovasco di Rondò che, all’età di dodici anni, nel 1767, decide di salire su un elce e
trascorrere poi l’intera sua vita in cima agli alberi, attraversando tutte le esperienze storiche e culturali fino
agli anni della Restaurazione. Egli rifiuta le convenzioni della vita quotidiana, le regole e i costumi sociali,
ma partecipa dall’alto alla sete di conoscenza del suo tempo. Il personaggio, suscitando la curiosità di
viaggiatori e di potenti che passano per le sue terre, diventa un’immagine trasparente dell’illuminista,
dell’intellettuale e dello scrittore in genere che partecipa alla storia ma con distacco ironico; la sua fedeltà
alla vita sugli alberi resta segno della validità di un modello assoluto, naturale e razionale, frutto di una
scelta, che può avere un’origine oscura e paradossale, ma che va mantenuta e difesa fino in fondo. “Il
cavaliere inesistente” si confronta direttamente con il romanzo cavalleresco, siamo al tempo di Carlo
Magno, in un mondo ariostesco, la storia è narrata dalla monaca Teodora e riguarda le avventure di un
cavaliere, Agilulfo, di cui esiste solo l’armatura che si muove per il mondo: una trasparente immagine della
razionalità astratta che non riesce a commisurarsi con la realtà. L’interesse del romanzo sta
nell’esplorazione delle possibilità fornite dalla narrativa: le vicende comportano un continuo interrogarsi sui
modi in cui la scrittura può ricostruire il senso dell’esperienza, dar corpo a passioni e desideri.
LETTERATURA E CONOSCENZA: SAGGISTICA E POSIZIONE DELL’INTELLETTUALE: Sulla fine Anni’50 Calvino
abbandona modelli dell’impegno del dopoguerra ma continua a credere in una letteratura capace di
intervenire nella realtà, di comprenderne i problemi, in questa direzione vanno sia la collaborazione con
Vittorini ne “Il Menabò”, sia il suo interesse per alcuni aspetti della cultura europea. Calvino vede nel
presente l’intreccio di possibilità diverse, che rifiuta di interpretare in modo semplicistico e unilaterale: e
queste posizioni gli attirano, da parte della neoavanguardia, l’accusa di continuità con il neorealismo e, da
parte della nuova sinistra, l’accusa di riformismo. Ma allo scrittore non interessa schierarsi, quanto
guardare alla problematicità del presente: compito dell’intellettuale gli appare proprio quello di entrare
fino in fondo nella rete di rapporti su cui appare costruita la società industriale. Questa coscienza della
complicazione della realtà esterna domina il racconto “La giornata di uno scrutatore”(1963) che appare
come un ultimo definitivo saluto di Calvino al neorealismo e alla tematica dell’impegno: è un racconto in
terza persona, scritto in modi volutamente naturalistici, sulla giornata che Amerigo Ormea, “anonimo erede
del razionalismo settecentesco” e militante del PCI (personaggio evidentemente autobiografico) passa in
qualità di scrutatore, durante le elezioni politiche del 1953, in un seggio elettorale situato in un celebre
ospizio per minorati. Ma al di là della tematica politico intellettuale la volontà di continuare ad indagare il
labirinto della realtà si apre ora verso una gamma sempre più ampia di interessi: in primo piano è
l’attenzione alle teorie della letteratura, soprattutto nell’orizzonte dello strutturalismo, e alle scienze
naturali. Realtà e letteratura appaiono ora ordinate in una rete di funzioni e di rapporti che occorre capire e
seguire in tutte le articolazioni. La nuova ricchezza degli interessi di Calvino si sente anche nella sua
produzione saggistica di cui ha fornito una scelta solo il parziale il volume del 1980 “Una pietra sopra.
Discorsi di letteratura e società”. La raccolta è la testimonianza del difficile tentativo di trovare un rapporto
non meccanico tra letteratura e società. Col titolo “Una pietra sopra” l’autore allude anche al proprio
distacco da quel tentativo: egli prende atto dell’impossibilità di concepire la società come un tutto unitario.
FANTASCIENZA E COMBINATORIA NARRATIVA: LE “COSMICOMICHE”: Le nuove curiosità culturale e
scientifiche di Calvino e la sua attenzione per i meccanismi narrativi trovano espressione in una serie di
racconti in due volumi “Le cosmicomiche” (1965) e “Ti con zero” (1967), il tutto è poi stato inserito nella
raccolta completa delle “Cosmicomiche vecchie e nuove” (1984). Il termine cosmicomiche, con cui Calvino
designa la maggior parte di questi nuovi pezzi narrativi, fa pensare alle “comiche” cinematografiche:
l’autore cercava un comico di movimento capace di istituire rapporti inconsueti tra le cose. Le situazioni
comiche nascono da un continuo confronto con ipotesi scientifiche sull’origine, sull’evoluzione, sul destino
dell’universo. Solo in parte queste storie utilizzano il metodo della fantascienza, mentre questa si rivolge a
ipotesi su mondi futuri, Calvino si rivolge al passato che ha preceduto l’esistenza dell’uomo con situazioni e
personaggi che traducono in forma narrativa i diversi scenari avanzati dalle ipotesi scientifiche. Si tratta di
“personaggi impossibili” che rappresentano un fascio di rapporti in cui si condensa la memoria di quanto è
avvenuto nell’abisso del tempo: la maggior parte delle storie sono affidate alla voce di un personaggio dal
nome impronunciabile Qfwfq che ha attraversato le più varie ere cosmologiche. Sorprendente è la
sottigliezza con cui Calvino riesce a ricavare combinazioni narrative a partire dai presupposti più strani, la
sua è una continua esplorazione di possibilità combinatorie. Il diverso presentarsi delle forme dell’esistenza
cosmica mostra la relatività estrema di ogni posizione dell’uomo: è proprio la scienza moderna a mostrare
che la stessa vita dell’uomo sulla terra deriva dalla realizzazione di una tra le tante possibilità di evoluzione
dell’universo. Il comico nasce dal contrasto che si crea tra il mondo “altro” che si rappresenta e le cose più
quotidiane del nostro mondo contemporaneo di cui l’autore si serve per costruire questa rappresentazione.
Pur gettando il suo sguardo negli abissi insondabili del cosmo, egli non può perdere di vista i paesaggi della
civiltà industriale. I quattro racconti che costituiscono la terza parte di “Ti con zero” portano all’estremo il
gioco combinatorio e la riflessione sulle possibilità della narrativa, lasciando da parte il piano cosmologico
per tornare a quello degli eventi umani, con una sottilissima misurazione della catena di condizionamenti
che pesa sulla vita dell’individuo, perduto nel labirinto del mondo. “L’inseguimento” e “Il guidatore
notturno” definiscono la rete di segnali insensati a cui sembra ridursi la vita contemporanea in un inseguirsi
di presenza vuote: il mondo si è tramutato in un luogo astratto. IL CASTELLO DEI DESTINI INCROCIATI E LE
CITTA’ INVISIBILI: Calvino ha approfondito ulteriormente la sua attenzione ai procedimenti narrativi
mettendo in scena la varietà delle combinazioni che il narratore si trova davanti. Questo lavoro si basa su
un confronto più esplicito con le pratiche della semiotica e della narratologia e proprio dalla partecipazione
a un seminario sulle strutture del racconto che Calvino ricavò l’idea di costruire un percorso narrativo a
partire dalle carte dei tarocchi. Utilizzando le immagini di una celebre raccolta di tarocchi (quella miniata da
Bonifacio Bembo per i Visconti verso la metà del XV secolo) lo scrittore costruì un testo singolare dal titolo
“Il castello dei destini incrociati” (1969), compose poi un altro testo, servendosi delle carte dei tarocchi di
Marsiglia, “La taverna dei destini incrociati”. Sia “Il castello” sia “La taverna” furono raccolti insieme nel
1973 nel volume “Il castello dei destini incrociati”. Nel corso di viaggi che si svolgono in universo astratto e
indefinito un gruppo di viandanti giunge nel primo testo in un castello, nel secondo in una taverna: essi
sembrano aver perduto la parola ma seduti intorno a un tavolo, disponendo le carte di un mazzo di tarocchi
in un certo ordine e seguendo il significato delle diverse figure, raccontano storie che si sviluppano
seguendo alcuni grandi archetipi narrativi. Il gioco con i tarocchi chiudeva la combinatoria in se stessa, in un
confronto con gli invariabili archetipi narrativi, ma Calvino sentiva il bisogno di confrontare in modo più
stretto l’analisi delle possibilità con la realtà civile, con il problema dell’intervento nel mondo (problema che
lo aveva sempre assillato). Da una tensione tra gioco combinatorio e ricerca della realtà nasce “Le città
invisibili” (1972), un libro costruito secondo una struttura quasi matematica e insieme agitato da vibrazioni
che corrodono il velo di una prosa nitida e ferma. Il libro può apparire come una serie di brevi descrizioni di
città ipotetiche che non corrispondono in nessun modo con città reali, spesso esse risultano da
combinazioni puramente fantastiche, si librano verso una dimensione surreale, ma questo effetto viene
superato dal loro inserimento entro una cornice nettamente definita: le descrizioni delle città vengono
infatti presentate come frutto di un resoconto che Marco Polo fa all’imperatore Kubai Kan, e si susseguono
distribuendosi secondo una serie di costanti e varianti, di rapporti numerici e tematici, tra le varie
descrizioni sono inseriti brani in corsivo che riportano i colloqui di Marco Polo con l’imperatore. Il
viaggiatore e l’imperatore sono trasparenti figure di conoscenza, della razionalità civile; l’imperatore, data
l’immensità del suo impero, non potrà mai vedere le città che Marco gli descrive, tuttavia Marco Polo stesso
non ha mai veramente visitato quelle città che emergono piuttosto dalla sua immaginazione a partire,
forse, dal modello della sola città di Venezia. Tuttavia le città che egli descrive, pur nella loro astrazione,
contengono a volte segni molto definiti della realtà a noi contemporanea, appaiono come immagini distorte
delle città industriali, nel mare delle città appare sempre più difficile edificare la “città perfetta”. SE UNA
NOTTE D’INVERNO UN VIAGGIATORE: Il romanzo “Se una notte d’inverno un viaggiatore” (1979) porta
all’estremo il gioco sulla combinatoria narrativa: qui Calvino raccoglie il frutto finale della diffusione della
semiotica e delle teorie letterarie dei decenni precedenti, il libro può apparire come un vero e proprio
“romanzo semiotico” che si costruisce sul farsi stesso della comunicazione narrativa, su un intreccio di
incidenti e malintesi che la disturbano, ed è anche un “romanzo della teoria del romanzo” (Segre), un addio
gioioso ai vari progetti sperimentali e avanguardistici esauritisi negli Anni’70. La tensione conoscitiva che
caratterizza la maggior parte delle opere di Calvino appare qui sospesa in funzione di un gioco virtuosistico.
Il libro si rivolge direttamente al lettore presentandosi come il suo romanzo costruito secondo le diverse
fasi del rapporto che questo instaura con la sua forma fisica e con i suoi contenuti, per una serie di
incidenti, di cui si cerca a un certo punto di ricostruire l’origine, il lettore non riesce a trovare davanti a sé
un romanzo tradizionale, omogeneo e concluso: mentre sta leggendo quello intitolato appunto “Se una
notte d’inverno un viaggiatore”, si accorge che la copia di cui dispone contiene solo le prime sedici pagine,
per errore rilegate più volte insieme e continuamente ripetute. Messosi alla ricerca del resto del libro si
imbatte in altri nove inizi di romanzi diversi in ciascuno dei quali sono riprodotte le forme di generi e
modelli caratteristici della narrativa contemporanea. Il romanzo si costruisce così a partire dalle avventure
del lettore, sollecitato da sempre nuove possibilità di lettura, a confronto con testi che non giungono mai a
compimento. VERSO LA FINE DEL MILLENNIO: Nell’avvicinarsi della fine del millennio Calvino sente
disintegrarsi la stessa visibilità del mondo il cui aspetto si frantuma e si perde in mille particolari, in una
molteplicità di situazioni e rapporti in cui non sembra possibile individuare nessun ordine. Già sul finire
degli Anni ’70 e poi con maggiore insistenza all’inizio degli Anni’80 egli preferisce occuparsi di situazioni
marginali della cultura e dell’esperienza: lo testimoniano la maggior parte degli scritti giornalistici raccolti
nel volume “Collezioni di sabbia” (1984). Di questa posizione di osservatore del particolare egli dà
l’immagine esemplare in una serie di prose pubblicate fin dal 1975 sul “Corriere della sera” e poi su
“Repubblica” e raccolte nel 1983 nel volume “Palomar”: vi si seguono attraverso il racconto di una terza
persona esterna le riflessioni quotidiane di un certo signor Palomar. I gesti di Palomar, la sua distaccata
partecipazione alla vita del mondo fanno di lui una figura esemplare ed ironica dell’intellettuale che può
conoscere solo collocandosi ai margini della realtà. Confinato ai limiti dell’orizzonte sociale contemporaneo,
Palomar affida la sua volontà di conoscenza ai caratteri più impercettibili delle cose, sa che c’è una frattura
di fondo tra i progetti, i programmi, gli schemi di comportamento, e le forme concrete della vita. Calvino
continuava a pensare a una letteratura che esplorasse proprio le pieghe più sottili dell’esistenza e aveva
progettato un libro sui cinque sensi di cui al momento della morte erano già stati scritti tre racconti, raccolti
nel 1986 con titolo “Sotto il sole giaguaro”. Il suo ultimo lavoro è costituito dalle “Lezioni americane. Sei
proposte per il prossimo millennio”, elaborate nell’estate del 1985, pubblicate nel 1988: si tratta di scritti
destinati alle sei conferenze che lo scrittore avrebbe dovuto tenere alla Harvard University.