Ossola - Dal Cortegiano All'Uomo Di Mondo
Ossola - Dal Cortegiano All'Uomo Di Mondo
Ossola - Dal Cortegiano All'Uomo Di Mondo
~-
Carlo Ossola
Dal «Cortegiano »
all' «Uomo di mondo»
Storia di un libro e di un modello sociale
Indice
p. IX Minima moralia
xv Nota bibliografica
III. La rappresentazione
Il 'luogo' della Corte e le sue 'rappresentazioni'
I. Il 'luogo' della Corte
© 1987 Giulio Einaudi editore s. p. a., Torino 2. Il transito del principe
3. La rappresentazione
VIII Indice
Minima moralia
IV. Il compimento
L'Ho mm e accompli: dal Cortegiano ali' Uomo di mondo
P· 131 l, La «conversation politicque»
r36 2. La <fcivil conversazione»
r39 3. «Co1'tesan 1 un uomo di mondo}>
v. La lettura
«Rinascimento» e «Risorgimento»:
la Corte tra due miti storiografici «Il presupposto del tatto è la convenzione in sé compromessa ma an-
l 55 r. Un'ipotesi crociana? cora presente»': quando dall'esilio californiano, tra il 1944 ed il 1947,
157 2. Il <i medio evo in putrefazione»
Adorno compone quello che può essere considerato l'ultimo grande
63 3, Erasmo o Michelangelo
I
esemplare di filosofia per aforismi della tradizione borghese, già comme-
167 4. Solo «buone maniere»?
morata da Mann', dagli States un insorgente conformismo, una nuova
«cieca conformità»' già si prepara a sostituire l'unanimismo prono dei
183 Indice dei nomi fascismi al tramonto.
L'abolizione delle convenzioni consacra la rude esteriorità di «una
vita di dominio immediato»': losservazione, ancora di trasparente at-
tualità, lascia inalterata la stessa domanda: «una convenzione è ancora
presente?», o meglio: «quale convenzione si sta pattuendo?»'.
Il modo qui scelto per proporre storicamente la questione passa attra-
verso lanalisi di quei testi e di queila società - la società di corte in
Antico Regime - che a quella convenzione di «buone maniere» ha da-
to luogo e forma.
«Perché la Corte?», si domandava Alberto Tenenti introducendo la
versione italiana del libro di Norbert Elias, La società di corte'; da al-
tra, e contigua, prospettiva, ci eravamo domandati: perché far risorgere
il «cortegiano», quale scena storica egli calca e contempla?'. Da una
specola che approssima, almeno in forma introduttiva, il 'fuoco' verso
il presente, domando: quale 'convenzione' ha presieduto alla nascita di
«cortesia», che cosa rimane dei libri e dei trattati che hanno «formato»
l'uomo di corte, poi l' «uomo di mondo», e infine il «galantuomo»?
Rimangono soltanto svelti prontuari, chiamati ad ammorbidire di
doigté le falangi executive di una società sempre pili cruda?
Se i capitoli di questo libro sono inscritti in un progetto aperto an-
cora e operante, l'esigenza di raccoglierli e di proporli in questa sederi-
sponde tanto al fascinoso, e sempre vivo, disegno di Giulio Bollati di ri-
percorrere i libri che hanno modellato «un carattere per gli italiani»",
quanto alla necessità di evadere, verso una storicità di maggior sostan-
za, dal!' effervescenza di tanti florilegi e nuove massime di bon ton che
X Minima moralia Minilna moralia XI
invadono il nostro quotidiano, per suggerire comportamenti adeguati si sono dovuti contare pili anatemi" che studi. Quella civiltà si vorreb-
al successo, o promettere successi pari al portamento. be qui ripercorrere con !'antica discrezione":
Il quotidiano ne è affollato, non motivato. En effet, s' affranchir des règles de la civilité, n' est-ce pas chercher le
Questo libro ha l'ambizione di ritrovare, oltre la superficie del quo- moyen de mettre ses défauts plus à l' aise?
tidiano, la 'tradizione dell'ordinario': ciò che è (stato) ordinario per l'uo- La civilité vaut mieux, à cet égard, que la politesse. La politesse flatte les
mo; il rilevarlo e, per il possibile, definirlo è piu che un percorso à re- vices des autresi et la civilité nous empf:che de mettre les nòtres au jour: e' est
une barrière que les hommes mettent entre eux pour s' eropècher de se corrom~
bours lungo la storicità dei 'saper vivere'; sono «maniere d'essere» che pre1a.
situano appunto il nostro esserci (Dasein), configurano una dimora, un
abitare e un'abitudine, un patrimonio' irriducibile ai soli comporta-
menti.
Varcata la soglia, si delinea intanto (cfr. La nascita del modello, II.r
e 2) la struttura e la ricezione del primo e piu importante libro di 'for-
mazione' e di 'mariiere' dell'evo moderno, Il Libro del Cortegjano di Bal-
dassar Castiglione, un «modello europeo»'" che, per altro, i saggi di
Elias hanno quasi del tutto trascurato.
La letteratura di corte è poi studiata in due dei suoi generi esemplari
di rappresentazione lungo il Cinquecento: il pamphlet politico (nel se-
colo che piu ha articolato quel genere, dal nowhere della pasquinata al-
i' acronia del trattato utopico) ed il testo teatrale: qui la pastorale, per
genesi e cornice recita di corte.
Il modello inaugurato dal Cortegiano trova infine il suo compimento
nel!' Homme accompli, nel cortesan, <momo di mondo», sapidamente il-
lustrato e messo in scena dal Goldoni. Dal Cinquecento al Settecento,
dalla Civil conversazione di Stefano Guazzo ai «salons» parigini·della so-
cietà dei Lumi è un dispiegarsi delle «urbanità» nella conversazione,
un'arte che la corte comunica ai salotti come «agréable causerie», una
civiltà e un ceto che sa congedarsi, dal teatro della Rivoluzione, con
un'estrema 'sprezzatura': «nous nous ruiniùnes le plus aimablement du
11
monde» •
ora in: L'Italiano. Il carattere nazionale come storia e come invenzione, Einaudi, Torino
1983, pp. 34-123.
A questa storia chi scrive ha contribuito ripubblicando il primo 'romanzo d'emigrato'
dell'Italia unita: C. Cantll, Portafoglio d'un operaio, a cura di C. Ossola, Bompiani, Mi-
lano 1984.
? «La tecnicizzazione rende le mosse brutali e precise, e cosi gli uomini. Elimina dai gesti
ogni esitazione, ogni prudenza, ogni garbo. Li sottopone alle esigenze spietate, vorrei
dire astoriche delle cose. Cosi si disimpara a chiudere piano, con cautela e pur saldamen-
te una porta. [... ]Tra le cause del deperimento dell'esperienza c'è, non ultimo, il fatto
che le cose, sottoposte aIIa legge della loro pura funzionalità, assumono una forma che
Minima moralia. riduce il contatto con esse alla pura manipolazione, senza tollerare quel sutplus - sia in
libertà del contegno che in indipendenza de1la cosa - che sopravvive come nocciolo
dell'esperienza perché non è consumato dall'istante dell'azione>> (Adorno, Non bussare,
1 Th. Wiesengrund Adorno, Per una dialettica del tatto, in Minima moralia, Berlin-Frank- in Minima moralia cit., pp. 29-30).
_furt r95r; trad. it. Einaudi, Torino r954; cito dal reprint, ivi r974, p. 25. Il paragrafo 1° Cfr. aa.vv., La Corte e il «Cortegj.ano», voi. II: Un modello europeo, a cura di A. Prospe-
appartiene (con Asilo per senzatetto e Non bussare) a un trittico corrosivo dedicato alla ri, Bolzoni, Roma 1980.
fine degli «Usi della cortesia». , 11 È il ritratto che del crepuscolo di quella società d'Ancien Régime lascia a George Sand
2 Commentando il «concetto di "Behagen", compiacenza e comodità» in Goethe; cfr. Th. la grand-mère, Marie-Aurore de Saxe, sposa poi a M. Dupin de Francueil; la suggestiva
Mann, Goethe quale esponente dell'età borghese, 1932, poi in Ade! des Geistes, trad. it. rievocazione si legge in G. Sand, Histoire de ma vie, ora in CEuvres autobiographiques, a
J'Jobiltà dello spirito. Saggi critici, Mondadori, Milano 1953, pp. 123-58. E si veda anche cura di G. Lubin, Gallimard, Paris 1970, val I, pp. 40-41.
il saggio: Spirito della borghesia, in Considerazioni di un impolitico, trad. it. De Donato, 12 Sino a 'demolire' la corte dall'edificio della storia: «La nostra indagine sulla società fer-
Bari 1967, pp. 85-125. rarese del tempo di Ercole I ci ha condotti a demolire molte delle sovrastrutture create
~ Cosi' delinea Adorno la «scomparsa del momento cerimoniale»: «Oggi la convenzione dagli Estensi e dalle famiglie dominanti» (A. Piromalli, Congedo da La cultura a Ferrara
è irrimediabilmente crollata, e continua a vivere solo nella parodia delle forme, in un'e- al tempo dell'Ariosto, La Nuova Italia, Firenze 1953, p. 185).
tichetta arbitrariamente escogitata o ripescata ad uso degli ignoranti, come quella che 13 B. Croce, Libri sulle corti, in Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento, Laterza,
certi consiglieri non richiesti insegnano sui giornali: mentre l'intesa che era alla base di
Bari 1945, val. II, cap. XLIV.
quelle convenzioni nella loro stagione umana si è trasformata nella cieca conformità dei
14 Lo osservava rassegnato, invitando a risalire ancora ai benemeriti studi di Alessandro
radioascoltatori e possessori d'automobile» (Adorno, Minima moralia cit., p. 25).
Luzio e RodoHo Renier, l'editore princeps del Cortegiano, Vìttorio Cian, al momento di
1 <~L'abolizione delle convenzioni come di un orpello inutile, antiquato ed esteriore, con-
segnalare - «destinato da piU che un quarantennio a riferire in questo Giornale intor-
sacra la realtà piU esteriore di tutte, una vita di dominio immediato. E che il venir meno no aIIe pubblicazioni castiglionesche» - una stanca biografia del Castiglione; cfr.
anche di questa caricatura del tatto nel cameratismo a base di spintoni renda ancor piU V. Cian, recensione a E. Bianco di San Secondo, Baldassarre Castiglione nella vita e ne-
insopportabile l'esistenza, non è che un altro segno della crescente impossibilità della gli scritti, edizioni «L'Albe1·0», Verona r941, in «Giornale Storico della Letteratura Ita-
convivenza umana nelle attuali circostanze» (ibid., p. 2 7). liana;>, cxix (1942), fase. 355-56, pp. 49-53.
5 A partire dalla 'riproposizione' del Kant della Metafisica dei costumi (trad. it. La terza,
15 Rinvio alla ricostruzione storica, a tutto campo, di R. Bacchelli, La congiura di Don Giu-
Bari 1970) si è accentuata in Italia l'attenzione al problema; segnalo qui soltanto i con- lio d'Este, Treves, Milano 1931 [poi: Mondadori, Milano 1958]; al saggio di G. Mac-
tributi di H. Putnam, Meaning and the Mo1·al Sciences, 1978; trad. it. Verità e etica, Il chia, Il cortegiano francese, Parenti, Firenze 1943; alle proposte di metodo [ma cfr. qui
Saggiatore, Milano 1982; S. Veca, Questioni di giustizia, Pratiche, Parma 1985, e Una cap. v] di G. Getto, La corte estense luogo d'incontro di una civiltà letteraria, 1953, ora
filosofia pubblica, Feltrinelli, Milano 1986; J. N. Shklar, Vizi comuni, trad. it. Il M1ùino, in Letteratura e critica nel tempo, Marzorati, Milano 1968; ma non andrebbero dimen-
Bologna 1986. ticate le belle pagine di S. Battaglia, La letteratura del comportamento e l'idea del corti-
6 A. Tenenti, Introduzione all'edizione italiana di N. Elias, Die hOfische Gesellschaft,
giano, 1937, poi in Mitografia del pefsonaggio, Rizzali, Milano 1968.
Darmstadt 1975 (trad. it. Il Mulino, B~Jogna 1980), p. 7. Il volume completa il grande 16 «La notizia contrasta con il vanto che la Ferrara secentesca ebbe il "Teatro della No-
affresco tracciato dallo stesso Elias in Uber den Prozess der Zivilisation, 1936-37; trad. biltà Europea" ed è l'eco del disfacimento di quella stessa nobiltà la quale conclude il
it., in due volumi, Il Mulino, Bologna 1982-83 (I. La civiltà delle buone maniere; II. Po- suo ciclo di decadenza senza prenderne coscienza e sognando l'autorità estense che l' a-
tere e civiltà). veva tenuta in piedi. La sua inefficienza di classe dirigente esala i miasmi della dissolu-
7 Mi riferisco alle ricerche che, sin dal 1975, ha promosso il Centro Studi «Europa delle zione e si adatta al clima controriformistico i cui veleni porterà nell'Italia unificata in-
Corti» su una porzione - cosi cospicua e significativa - della storia di Antico Regime sieme con un ossessivo statalismo e con il peso di un particolare tipo di provincia cor-
che, dopo la mirabile 'commemorazione' di Taine, era stata quasi rimossa dai «sacerdoti rotta» (Pil'omalli, La cultura a Ferrara al tempo dell'Ariosto cit., p. 187).
di Clio». Di quel sodalizio questo libro è frutto e parte. 17 A edificazione anche di coloro che ieri esaltavano la cultura gesuitica e oggi demoniz-
8 A. Alfani, Il carattere degli italiani, Firenze 1878 [«Carattete infatti, universalmente zano le corti: «Envoyez dans un royaume nouveIIement découvert unJésuite et unJa-
considerato, è l'energia stessa della volontà, la forza suprema e piU nobile della nostra cobin: dans un an, vous apprendrez que leJésuite sera à la Cour, et leJacobin, parmi la
natura; è il nome di galantuomo», ibid,, p. 1]; citato e riproposto da G. Bollati, L'italia- canaille» (Montesquieu, Mes pensées, I 335; ora in CEuvres complètes, a cura di G. Vedel
no, in aa.vv., Storia d'Italia Einaudi, I. I caratteri originali, Torino 1972, p. 971; riedito e D. Oster, Seuil, Paris 1964, p. 1001).
XIV Minima moralia
1s Montesquieu, De l'Esprit des Lois, Barillot, Genève I748, libro XIX (Des lois da?s le rap-
port qu'elles ont avec !es principes qui forment l'esprit général, !es mreurs et !es mantères d'u-
ne nation), cap. 16; ora in (Euvres complètes cit., p. 644. Sull'autore si veda il bel pro-
filo diJ. Starobinski, Montesquieu, Seuil, Paris 1953.
[<dn effetti, affrancarsi dalle regole di civiltà, non è forse cercar di offrire mag~or ~gi?
ai propri difetti? La civiltà pili giova, all'uopo, che il riguardo. Il riguardo blandisce 1 vi-
zi degli altri, mentre la civiltà ci impedisce di mettere a nudo i nostri: è uno schermo che
gli uomini fra di loro frappongono per evitare di corrompersi a vicenda»].
Nota bibliografica.
Dei capitoli che compongono il volume sono inediti il cap. I (Una cultura del-
l'ordinario), ed il cap. IV (Il compimento; in sintesi annunciato in: aa.vv., Civilisa-
tion, in «Le temps de la réflexion», IV, Gallimard, Paris 1983).
Gli altri saggi, ad eccezione di II. 1 [prima edito in «Lettere Italiane», XXXI
(r979), n. 4, pp. 517-33], appartengono alla storia ed alla collana del Centro Studi
«Europa delle Corti» presso l'editore Bulzoni, che desidero ringraziare per avermi
consentito di riprodurre qui una parte dei miei contributi; ed in particolare: il cap.
rr.2, prima in: aa.vv., La Corte e il «Cortegiano», voi. I: La scena del testo, a cura di
C. Ossola, Roma 1980, pp. 15-82; il cap. III, prima in: aa.vv., Le cortifarnesiane di
Parma e Piacenza: r545-r622, voi. II: Forme e istituzioni della produzione cultu-
rale, a cura di A. Quondam, Roma 1978, pp. 273-301; il cap. v, prima in: aa.vv.,
La corte nella cultura e nella storiografia. Immagini e posizioni tra Otto e Novecento,
a cura di C. Mozzarelli e G. Olmi, Roma 1983, pp. 205-36. Tutti sono stati rivisti
e, ove necessario, ulteriormente politi.
Alla cortese e paziente sollecitudine di Giulio Bollati e di Paolo Fossati il vo-
lume deve il suo esserci: il ringraziamento cordiale è insieme gradito dovere e te-
stimonianza di fedeltà a una cultura ed a un'impresa: quella che ci ha formati.
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Dal Cortegiano all'Uomo di inondo
r. « Bon ton».
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niere» di un 'essere in società' illuminato dalla ragione; lesprit non 'di-
stingµe', ma si esercita nell'ordinario:
L'esprit, enlui-mSme, est le bon sens joint àla lumière 7 •
Quali che siano i «caratteri» delle nazioni, si è ormai affermata, co-
me scriverà l'Algarotti, una «scienza_~elle urbanit~j>'; e la «società
connaturale» degli uomini' si fonda su una comune sensibilità che è-
definirà lucidamente Voltaire - il Sens commun:
Sensus communis signifiait chez les Romains non seulement sens comrnun,
mais humanité, sensibilité 10 ,
Lungi dunque dal significare «distinzione»", il bon ton sceglie «l'e-
guaglianza per la sua comodità»"; Hippolyte Taine contemplerà con
stupefatta malinconia quell' «aristocrazia imbevuta di massime umani-
tarie e radicali, cortigiani ostili alla corte, privilegiati che danno una ma-
no all'eliminazione dei privilegi»"; citerà intere pagine dei Mémoires di
I
6 Una cultura dell'ordinario «Du je ne sais quoi»: una cultura dell'ordinario 7
Ségur, testimone di una giovane nobiltà che «marciava allegramente su la solitudine, l'onore sparisce, perché tolto dagli occhi quello che le dava appa-
un tappeto di fiori che ci nascondeva un abisso», pronta a «godere i renza e una specie di realtà, se ne vede I1irragionevolezza, la vanità e la :&ivo-
vantaggi del patriziato e le dolcezze della filosofia plebea»", quella Po- lezza. Sparisce l'onore, e il dovere non gli sottentra 21 •
pularphilosophie promulgata da Diderot e da Ernesti a tutta l'Europa
dei Lumi".
Il risultato di quel processo contemplerà il Leopardi: e dal momento 2. Fondamenti dell'ordinario.
che «la civiltà tira sempre, come altrove ho detto, ad uniformare»", e
«la civilizzazione per sua natura tende a conformare gli uomini e le cose
Spesso nel giudicare la civiltà di corte, la società delle «buone ma-
umane»", resta piu «niente di singolare né di curioso»", prevale I' «im-
niere», la fine stessa dell'Antico Regime, si è caduti nel paradosso già
pulso moderno di uguagliare ogni cosa»:
?escritto dal Leopardi: non partecipando pili a quel 'sistema d'onore',
Eccetto le piccole differenze provenienti dal clima e dal carattere di cia- 1 modi - ad esso propri - di regolare i rapporti di/in società son parsi
schedun popolo, i quali però vanno sempre cedendo all'impulso moderno di
uguagliare ogni cosa, e certamente da per tutto, massime nelle classi colte, si frivolezze, artifici, mero scenario teatrale.
ha cura di allontanare tutto quello che e' è di singolare e di proprio nei costumi Chi voglia davvero storicamente rileggere quel percorso di società e
della nazione, e di non distinguersi dagli altri se non per una maggior somi- di civiltà, dovrà intanto riconoscere (come sempre segnalò la cultura il-
glianza col resto degli uomfili. E in genere si può dire che la tendenza dello spi- luminata, da Montesquieu al Leopardi) che_guello fu il modo ordinario
rito moderno è di ridurre tutto il mondo una nazione, e tutte le nazioni una
sola persona 19 •
e
di 'essere società'. Ordinario, nel senso forte normatlvci'cohe-CÌggÌ non
abbiamo pìu, il concetto leggendosi come sinonimo stinto di usuale.
Distinzione è il «non distinguersi dagli altri se non per una maggior Mentre ordinario non è né usuale né quotidiano (il quotidiano essendo
somiglianza col resto degli uomini», è «l'uguaglianza per la sua comodi- fatto tanto di ripetizione quanto di improvvisazione): è cfo che può assu-
tà»; civiltà, al tramonto dell'Antico Regime, significa 'assenza d'accen- mere o fornire un ordine, indicare una pratica codificata, e in ciò agibi-
to'; ha formato, uniformando i comportamenti nelle« buone maniere», le, abitabile, indicante cioè heideggeriànamente il das Wohnen («Abi-
un qrdinario del viYere. che supplisce alla caducità degli ordinamenti. Il tare è il modo in cui i mortali sono qui in terra, terreni»)". O, se si
bon ton rimane l'unico fondamento e «anzi unica garanzia de' costumi»: vuole, è ciò soltanto che, in rapporto alla norma, ha reciprocità con uni-
Ma bisogna pur confessare [. .. ] che effettivamente lo stato delle opinioni versale:
e delle nazioni quanto alla morale è ridotto in questa precisa miseria che il Les seules règles universelles sont les lois du pays aux choses ordinaires, et
buon tuono è, non solo il pili forte, ma l'unico fondamento che resti a' buoni la pluralité aux autres 23 •
costumi, e che i buoni costumi non sono esercitati per altro, generalmente par-
lando e delle classi civili, che per le ragioni per cui si esercita il buon tuono, e Potremmo chiosare: solo lordinario, il das Wohnen, tocca I' univer-
che dove il buon tuono della società non v'è o non si cura, quivi la morale
manca d'ogni fondamento e la società d'ogni vincolo, fuor della forza, la quale sale; il resto è, nei termini pascaliani, pluralità soggetta a pirronismo.
non potrà mai né produrre i buoni costumi né bandire o tener lontani i cattivi. Ristabilire dunque la comprensione di una 'cultura dell'ordinario'
Cosi nelle dette nazioni la società stessa producendo il buon tuono produce la vuol dire contemplare la coazione dell' inJigni/icabile (insignificante) e del-
maggiore anzi unica garànzia de' costumi sf pubblici che privati, che si possa la morte". Assumere l'insignificabile e la morte è il solo modo di evade-
ora avere, e quindi è causa immediata della conservazione di se medesima 20 • re radicalmente dalla nostra abitudine a considerare solo ciò che «ha si-
Ove cessi quella convenzione, venga meno il 'sistema d'onore' come gnificato», ciò che è esprimibile come linguaggio: il «significato degli usi»
contratto e rimanga soltanto quale etichetta, ne affiorerà certo la «fri- (il modo oggi usuale, etico e politico, di considerare non già lordinario
volezza», ma non subentrerà nuovo ordine, né altro patto sociale a dar ma il quotidiano); di svincolarsi dall'intreccio, arbitrario insieme e con-
vita ed anima alla morale, alle «illusioni sociali», a stabilire dei minima venzionale, di linguaggio ed etica, come già osservava Pascal.
moralia: Dire infatti, nella ricerca dell'universale, che:
Gli uomini politi delle dette nazioni si astengono da fare il male e fanno il Universel. Morale et langage sont des sciences particulières, mais univer-
bene, non mossi dal dovere, ma dall'onore.[ ...] Le illusioni sociali cessano nel- selles25; -
8 Una cultura dell'ordinario «Du je ne sais quoi»: una cultura dell'ordinario 9
significa riconoscere lo statuto contraddittorio di scienze particolari, fiihrung in die Metaphysik Heidegger osservava che noi patiamo la scis-
che si ritrovano universalmente presenti, ma non universalmente valide. sione del detto parmenideo, di essere e pensare:
T aie relatività sarà criticata da Pascal in uno dei passi pili problematici Cercando l'origine della scissione essere e pensare, noi risaliamo al detto di
e pili ricchi delle Pensées: Parmenide: -rò yi:Xp ixO-rò voe.tv la't(V 't'E xixl e.!va~. Attenendoci alla traduzione e al-
le concezioni ordinarie, questo vuol dire: essere e pensare sono la stessa cosa ' 0 •
Ainsi les tableaux, vus de trop loin et de trop près; et il n'y a qu'un point
indivisible qui soit le véritable lieu: les autres sont trop près, trop loin, trop La questione è radicale e su di essa Heidegger ritorna sia in Der Satz
haut ou trop bas. La perspective I' assigne dans l'art de la peinture. Mais, dans
la vérité et dans la morale, qui I' assignera?
vom Grund sia in Was heisst Denken": «Inwiefern "sind" Sein und ra-
Quand tout se remue également, rien ne se remue en apparence, camme tio das Selbe?»". Dopo aver osservato che pili propriamente la senten-
en un vaisseau. Quand tous vont vers le débordement, nul n'y semble aller. za significa: «In un legame di appartenenza reciproca sono 'apprensio-
Celui qui s'arrete fait remarquer l'ernportement des autres, camme un point ne' ed 'essere'»", concluderà, in un ulteriore saggio, che il detto di
fixe. Parmenide è da leggere come: «Lo stesso è infatti I'" attirare-alla-pro-
Ceux qui sont dans le dérèglement disent à ceux qui sont dans l'ordre que pria-attenzione" che I"' essere presente" (di ciò che è presente)»". In
ce sont eux qui s'éloignent de la nature, et ils la croient suivre: comme ceux
qui sont dans un vaisseau croient que ceux qui sont au bord fuient. Le langage
tal senso «noi apprendiamo a pensare in quanto portiamo la nostra at-
est pareil de tous còtés. Il faut avoir un point fixe pour en juger. Le port juge tenzione su ciò che 1c'è da considerare', 'da pensare'» 3' . E ciò che 'c'è
ceux qui sont dans un vaisseau; mais où prendrons-nous un port dans la mo- da pensare' e 'dà da pensare' è appunto das Bedenkliche, il «Punto Criti-
rale?26. co», le «point fixe» (Pascal), il «punto di pensabilità»: das Bedenkli-
che", 'che dà da pensare', che segnala la soglia critica estrema ...
«li faut avoir un point fixe pour enjuger», «Un point indivisible», Ora sin da Essere e tempo (Sein und Zeit, 1927), Heidegger ha: indi-
un «punto fermo fuori» che sia «le véritable'lieu». Dentro i significati e
cato che tale 'punto di pensabilità', che riscatti il quotidiano della tri-
gli usi c'è soltanto la regressione ad infinitum del 'punto di vista' o la pe- vialità (Alltiiglichkeit) dal «vortice della deiezione», che renda il quoti-
titio principii. È l'aporia classica, già in Leibniz, e ora riproposta daJan- diano effettivamente ordinario (tatsiichlich)", è da riconoscere in quel
kélévitch, del vult velie". Uscire dall'arbitrarietà di linguaggio e mora-· 'punto critico' estremo che, assunto, ordina tutti gli altri, l'unico fisso,
le, dalla loro precarietà sempre in cerca di un 'fondamento' regressivo, ineludibile: la morte, das Bedenkliche.
è definire, per universale, lordinario come coazione dell'insignificabile Potremmo dunque dire conJankélévitch che «pensare dalla morte»
I insignificante (ciò che non arriva o non è definibile in linguaggio: dun- è «l'a priori létal qui englobe notre tout»": ma il fatto stesso che del
que senza significato) e della morte (come sospensione, riposo pascalia- morire io sappia solo la sua 'pensabilità', il« savoir que, sans savoir quai
namente, di ogni eticità): (ni où, ni quand, ni comment) » ":
Notte nature est dans le mouvement; le repos entier est la mort 2 s. Je vois ces effroyables espaces de l'univers qui m'enferment, et je me trou-
Per altro, «pensare l'ordinario» è impresa ardua, non solo per la dif- ve attaché à un coin de cette vaste étendue, sans que je sache pourquoi je suis
plutòt piacé en ce lieu qu'en un autre, ni pourquoi ce peu de temps qui m' est
ficoltà a definire positivamente I' «insignificabile» se non come il «Je ne donné à vivre m' est assigné à ce point plutòt qu'à un autre de toute I' éternité
sais quai» (un non so che, tuttavia, di eletta ascendenza: da Monte- qui m' a précédé et de toute celle qui me suit. Je ne vois que des infinités de
squieu aJankélévitch)"; ma anche per l'impossibilità, - come ha osser- toutes parts, qui m' enferment camme un atome et camme une ombre qui ne
vato Heidegger -, a pensare la morte (e pili dal momento che essere e dure qu'un instant sans retour. Tout ce que je connais est que je dois bientOt
pensare sono separati). mourir, mais ce que j'ignore le plus est cette mort mème que je ne saurais évi-
ter4o;
Riservando al «je ne sais quai» la parte finale, e storica, di questo
capitolo, converrà sostare un poco ancora sulla morte come 'punto di obbliga a considerare che ogni istante è 'seriamente da pensare' (be-
raccoglimento', per meglio chiarire la natura teorica (e anche storica, denklich) come estremo. Da tale 'punto di vista' (il «point indivisible»
seppure per noi perduta) cieli' ordinario. pascaliano) che confina (e in ciò definisce) l'esistenza già Montaigne
Nel capitolo fondamentale La limitazione dell'essere della sua Ein- aveva potuto concludere: « Que philosopher, e'est apprendre à mourir»".
IO Una cultura del!' ordinario «Du je ne sais quai»: una cultura dell'ordinario II
Citando infatti, in uno dei capitoli memorabili degli Essais, un luogo L'osservazione, piena di fascino e di risonanze, si aprirebbe a un
delle Tusculanes", ma significativamente elevandolo dall'esperienza lunghissimo excursus: basti qui ricordare che allo stesso raccoglimento
dei filosofi alla filosofia, Montaigne osserverà: « Cicero dit que Philo- «Sine materia», inestesa ed indefinibile, descritto - quale essenza della
sopher ce n' est autre chose que s' aprester à la mort»". Il guardare dalla musica - da Proust", attingeranno coloro che piu hanno cercato di
morte: preservare - per il nostro Novecento - questo «vide recueillement
Le but de nostre carriere, e' est la mort, c'est l'object necessaire de nostre sans matière», nel 'ricettacolo' sine materia della musica: li- osservano
visée 44 lo stesso J ankélévitch" non meno che Wittgenstein" e, su tutti, Ador-
fonda un 'guardare alla morte' («Le continue! ouvrage de vostre vie, no - il tempo «si addensa», si esprime improvviso morendo ...
c'est bastir la mort»)" che tutto pareggia: «La premeditation de la Scopo della sua musica [scil.: di Anton von Webern] è unicamente e ine-
mort est premeditation de la liberté. Qui a apris à mourir, il a desapris vitabilmente il momento nel quale il tempo si addensa e dilegua: per questo
non conosce sviluppo sia nel trascorrere da un'opera a un'altra, sia entro l'o-
à servir»", che tutto rende ordinario, puntuale: pera singola[ ... ].
Où que vostre vie finisse, elle y est toute. L'utilité du vivre n'est pas en Solo quando il suono si spegne - «ver!Oschend» [morendo] è una delle indi-
l'espace, elle est en l'usage: [... ] attendez vous y pendant que vous y estes 47 • cazioni di esecuzione a lui pi6 care - la creatura[. .. ] trova consolazione nel
suo dileguare 54 •
Solo la «premeditation de la mort », I' «a priori létab rende possibile
Un raccoglimento di tutto l'essere nel tempo che si addensa, dile-
non già il 'pensare a', ma il 'pensare'. Essere mortali significa, ripren-
guando: istante, e nascondimento", del «]e ne sais quoi».
derà Heidegger, partecipare del 'raccoglimento dell'essere' (das Gebirg
des Seins) nella morte:
I mortali sono gli uomini. Si chiamano i mortali perché possono morire. 3. «Distrazione, divertissement ».
Morire significa: essere capace della morte in quanto morte. L'uomo soltanto
muore. L'animale perisce. [.. .]La morte è lo scrigno del Nulla[. .. ]. La morte,
in quanto scrigno del Nulla, raccoglie in sé ciò che è essenziale dell'essere (das
Quando Pascal osservava che «ce iene sais quai, si peu de chose
Wesende des Seins). In tanto che scrigno del Nulla, la morte è rifugio dell'essere qu'on ne peut le reconnaltre, remue tonte la terre»", la formula - li-
(das Gebirg des Seins)". bratasi già in Gracian la «sprezzatura» «en una cierta airosidad»" -
aveva trovato nella Médée di Corneille la propria definizione: «Souvent
Come possibilità estrema dell'esistenza mortale, la morte non è fine del
possibile, ma il rifugio supremo (das hOchste Ge-birg), la 'messa al riparo', il je ne sais quoi qu'on ne peut exprimer I Nous surprend, nous emporte,
'raccoglimento' [cioè: «l'accogliente ricetto»], nel quale risiede il segreto del di- et nous farce d' aimer»". Cent'anni piu tardi la stessa «sorpresa» porrà
svelamento che ci chiama 49 • Montesquieu a fondamento del «iene sais quai», tornando a riflettere
sulla natura di quel «charme invisible»:
Questo 'punto supremo' non solo 'dà da pensare' (das Bedenkliche),
Il y a quelquefois dans les personnes ou dans les choses un charme invisi-
ma è il «raccoglimento» stesso dell'essere: con gli stessi accentiJanké- ble, une grRce naturelle, qu'on n'a pu définir, et qu'on a été forcé d'appeler le
lévitch definirà la meditazione della morte come «Un vide recueillement «iene sais quoi ». Il me semble que c' est un effet principalement fondé sur la
sans matière», un 'raccoglimento' puro del pensare e dell'essere che solo surprisen.
la morte e la musica sanno offrire:
(La sorpresa, direbbe Heidegger, del 'venire in luce' dell' &À-ljìlew;, la
Nessuno può dunque sinceramente pretendere di pensare il tempo, come se «non-latenza» [Unverborgenheit], il «prorompere-nella-non-latenza» [In-
il tempo fosse complemento diretto o oggetto pensabile di un pensiero transi- die-Unverborgenheit-hervor-kommen], cosi che «l'apprensione e il racco-
tivo [... ]; colui che crede di pensare il tempo pensa a degli avvenimenti nel
tempo, pensa ai contenuti che divengono, ma non già all'inafferrabile diveni- glimento sono la regia del manifestarsi della non-latenza nell'essen-
re, per se stesso, ipsum, non già all'ipseità del tempo[ .. .]. te»)'". Il «iene sais quoi» è dunque il 'raccogliersi' dell'&À-ljil&ta< in un
La «meditazione» del tempo, come la meditazione della morte o la medi- punto che la manifesti: la sorpresa dell'apparire .in verità.
tazione della musica, è dunque un vuoto raccoglimento senza materia ' 0 • Le «plaisir de la surprise», continuava Montesquieu nell'Essai sur le
12 Una cultura dell'ordinario «Du je ne sais quai»: una cultura dell'ordinario lJ
GolJt, è nell'«apprensione», nella «manière de l'apercevoir»": eque- della ragione. Perché chi si fissasse nella considerazione e nel sentimento con-
tinuo del nulla verissimo e certissimo delle cose, in maniera che la successione
st'apprensione 'dà da pensare': «Notre ame est faite pour penser, c'est- e varietà degli oggetti e dei casi non avesse forza di distarlo da questo pensie-
à-dire pour apercevoir »". ro, sarebbe pazzo assolutamente e per ciò solo, giacché volendosi governare se-
L' esp1it, del resto, dal quale nasce la 'sorpresa' della grazia, è descrit- condo questo incontrastabile principio ognuno vede quali sarebbero le sue
to da Montesquieu quasi nei termini giovannei di una divina &À1jlleta.: operazioni. E pure è certissimo che tutto quello che noi facciamo lo facciamo
in forza di una distrazione e di una dimenticanza, la quale è contraria diretta-
mais l'esprit ne se mentre que peu à peu, que quand il veut, et autant qu'il mente alla ragione 69 •
veut: il peut se cachet pour paraltre, et donner cette espèce de surprise qui fait
les gràces 63 • Si è persa oggi- dai modi di percezione della nostra 'mentalità' -
Ubi vult spirat... : il «iene sais quoi» è I' éclosion dell'&À1Jll•ta., dono la traccia di quella acuta 'coscienza di reciprocità' tra divertimento e
d'un istante di verità per chi 'sa ancora sorprendersi': morte. Abbiamo rimosso la morte, si è svuotato il divertimento. Ma sa-
rebbe impossibile affrontare uno studio, storico davvero, delle «manie-
Ainsi les gràces ne s' acquièrent point: pour en avoir, il faut etre nall. Mais re» nella società d'Antico Regime, obliando 'quanto di pensiero' do-
comrnent peut~on travailler à erre na1f? 64 '
mandi 'distrarsi da ciò che dà da pensare':
Come ci si può 'prodigare a essere ingenui', prodigare a sorprender- La seule chose qui nous console de nos misères est le divertissement, et ce-
si? La domanda di Montesquieu, nella sua disarmante nettezza, pone il pendant e:' est la plus grande de nos misères. [... ]Mais le divertissement nous
«je ne sais quoi» come l'istante stesso del!' apparire in verità: quis susti- amuse, et nous fait arriver insensiblement à la mort 10 •
nebit? Separarli è lasciar« appassire» (Pascal) il divertimento nel.frivolo e
Ed infatti il «prorompere-nella-non-latenza» di verità, il punto che
crescere un'ingombrante economia della morte: è in effetti sintomatico
a ciascuno «dà da pensare»" non è sostenibile: l'uomo non lavora a sor-
che accanto alle letture 'riduzioniste' della cultura di corte s'accentui
prendersi, ma a distrarsi, a divertirsi, a sviarsi cioè da quel 'punto di
- nella storiografia contemporanea - il bisogno d'instaurare quasi una
non-latenza'.
'contabilità' della morte. La bibliografia è sterminata, e piu rari sono
coloro che - come Huizinga e sulla sua traccia Tenenti" - riescono an-
Tale infatti sarebbe la 'presa', l'apprensione di quel 'punto critico'
cora a cogliere insieme «il senso della morte e l'amore della vita»", la
che non altro resterebbe da pensare se non I' immanenza e limminenza
reciprocità e codificata simmetria delle artes bene vivendi e delle artes be-
della morte. Perciò l'uomo si distrae, si distoglie dal pensare, e tanto piu
quanto piu forte è la 'non-latenza' di quel 'punto critico'. L'aveva già
ne moriendi 73 •
Richiama a quell'affascinante specularità il percorso critico stesso di
osservato Pascal: talmente ci sviamo, ci divertiamo che, per continuare
colui che piu alacremente si è consacrato allo studio della società d1 cor-
a divertirci, dobbiamo obliare la meta:
te: se è vero che quella ricerca è stata alla fine attratta dalla Solitudine
Nous ne cherchons jamais les choses, mais la recherche des choses 66 • del morente".
Divertissement. Les hommes n' ayant pu guérir la mort, la misère, l'ignorance, È uno spessore e un'inquietudine che non può essere risolta - co-
ils se sont avisés, pour se rendre heureux, de n'y point penset 67 • me pure hanno proposto recenti esegeti di Elias - soltanto nel cerimo-
Divertissement. Si l'homme était heureux 1 il le serait d'autant plus qu'il serait niale"; lo chiede l'archetipo stesso di quella letteratura di corte, il Cor-
moins diverti 68 • tegiano, il quale, sin «dal titulo», lungi dal proporre solo l'elogio e l'e-
E lo osserverà, dallo stesso 'punto di vista', il Leopardi: I' «uso inte- · pifanica celebrazione di un 'ceto n\]ovo'., ne è - già e insieme - com-
rodi ragione», ciò che «dà da pensare» è talmente infelice che possiamo memorazione, fondamento e lascito, 'instituzione' mirabile e malinco-
agire soltanto «in forza di una distrazione e di una dimenticanza»: nico congedo:
E qui voglio notare come la ragione umana di cui facciamo tanta pompa Cos{, per eseguire questa deliberazione cominciai a rileggerlo [scil.: il Cor-
sopra gli altri animali, e nel di cui perfezionamento facciamo consistere quello tegiano, in vista della pubblicazione]; e subito nella prima fr,onte, ammonito
dell'uomo, sia miserabile e incapace di farci non dico felici ma meno infelici, dal titulo, presi non mediocre tristezza, la qual ancora nel passar piU avanti
anzi di condurci alla stessa saviezza, che par tutta consistere nell'uso intero molto si accrebbe, ricordandomi la maggior parte di coloro, che sono intro-
i"
!I
14 Una cultul-a dell'ordinario 1
i!
«Du je ne sais quoi»: una cultura dell'ordinario 15
dutti nei ragionamenti, esser già morti: ché, oltre a quelli de chi si fa menzione 'Ii (mentre già tutto attenua l'alone morbide del decadentismo) che Hip-
nel proemio dell'ultimo [scil.: libro], morto è il medesimo messer Alfonso polyte Taine eleverà rievocando la società d'Antico Regime.
Ariosto, a cui il libro è indrizzato, giovane affabile, discreto, pieno di suavis- Citando affascinato i ricordi di Marie-Aurore de Saxe, posti ad
simi costumi ed atto ad ogni cosa conveniente ad omo di corte. [... ] Messer inaugurare quasi l' Histoire de ma vie di George Sand:
Bernardo, cardinal di Santa Maria in Portico, il quale per una acuta e piacevo-
le prontezza d'ingegno fu gratissimo a qualunque lo conobbe, pur è morto. Et puis, ajoutait-elle, est-ce qu' on était jamais vieux dans ce temps-là!
Morto è il signor Ottaviano Fregoso, omo a' nostri tempi rarissimo, magnani- C'est la révolution qui a amené la vieillesse dans le monde. Votre grand-père,
mo, religioso[ ... ]. Morti sono ancor molti altri dei nominati nel libro, ai quali ma fille, a été beau, élégant, soigné, gracieux, parfumé, enjoué, aimable, affec-
parea che la natura promettesse lunghissima vita. Ma quello che senza lacrime tueux et d'une humeur égale jusqu'à l'heure de sa mort. [... ] Il était excellent
raccontar non si devria è che la signora Duchessa essa ancor è morta 76 • violon, et faisait ses violons lui-mème, car il était luthier, outre qu' il était hor-
loger, architecte, tourneur, peintre, serrurier, décorateur, cuisinier, poète,
È una civiltà, osserverà Montesquieu, che non ha bisogno di rifu- compositeur de musique, menuisier, et qu'il brodait à merveille.Je ne sais pas
giarsi nel «vacuum improprium» "; il cerimoniale, in Italia, è la «mate- ce qu'il n'était pas. Le malheur, c'est qu'il mangea sa fortune à satisfaire tous
ces instincts divers, età expérimenter toutes choses; mais je n'y vis que du
ria prima», non solo l'aspetto formale, della politesse: feu, et nous nous ruinàmes le plus aimablement du monde. [. .. ].
En Italie, le cérémonial, qui· est précisément le matériel, non le forme!, de C'est qu'on savait vivre et mourir dans ce temps-là, disait-elle encore;
la politesse, est une espèce de garde-fou. En France, au contraire, on n' ad' au- on n'avait pas d'infirmités importunes. Si on avait la goutte, on marchait
tres règles que celles de la politesse et il faut prendre de ce fonds-là à chaque quand mème et sans faire la grimace: on se cachait de souffrir par bonne édu-
instant 78 • cation. [... ] On savait se ruiner sans qu'il y parfrt, camme de beaux joueurs
qui perdent sans montrer d'inquiétude et de dépit. [...]On trouvait qu'il valait
Proprio perché La società di corte studiata da Elias è essenzialmente mieux mourir au bai ou à la comédie que dans son lit, entre quatte cierges
quella francese di Luigi XIV si è potuto insistere su un aspetto 'formale' et de vilains hommes noirs. On était philosophe, on ne jouait pas l' austéri-
té, on 11 avait parfois sans en faire montre. [... ] On jouissait de la vie, et quand
(e quasi solo 'scenico') della civiltà di corte: mentre Montesquieu ben
l'heure de la perdre était venue, on ne cherchait pas à dégofrter les autres
vedeva, almeno per l'Italia, il fondamento 'materiale' di quel cerimo- de vivre 32 j
niale: rituale di corte, feudalità, corporazioni ed arti, statuti cittadini;
ordini che secernono immunità e distanze, «parapetti» appunto che of- lo storico non cesserà di ripetere: « C 'est qu' on savait vivre et mourir
frono una vista e serrano uno spazio. La corte è quella splendida balau- dans ce temps-là», si farà ammirato pittore di figurini: «Anche senza
strata. volerlo, non possiamo non attardarci a guardarli e ad ascoltarli! La gra-
zia è dovunque, nelle piccole teste, nelle mani esili[ ... ]. Abbandonate
la vostra fantasia a queste linee, a queste figure, e ritroverete nei loro
divertimenti le ragioni dell'interesse che vi provavano»". Ripeterà con
Cosi dunque, mentre nuovi studi mostrano i nodi ed i fili lungo i Talleyrand: «Chi non è vissuto prima del 1789 non conosce la dolcezza
quali la vita di corte, nel secolo xvr, s'intreccia agli ordini della socie- di vivere» 84 •
tà"; o il rayonnement che dal Cortegiano condurrà sino ali' ideale di hon- Ma insieme a questi ritratti alla maniera di Watteau e di Frago-
nete homme delineato da David Hume"; o ancora come il ragionamen- nard ", alla celebrazione di quest' ar.s bene vivendi («il loro ozio non pe- I'
sa, giocano con la vita»), Taine commemora l'ar.s bene moriendi della so- 'I
to di corte si prolunghi nella filosofia civile, l'esprit dei «salons »circoli
nella civiltà dei Lumi"; sia concesso a questo studio laver presunto di cietà di Antico Regime, la dipinge nel supremo distacco del patibolo: i'
suggerire quanto 'dia da pensare' lordinario, quanto il divertimento e Davanti ai giudici, sulla carretta, conserveranno la loro dignità e il loro ,I
1'
le buone maniere fossero cosi vicini, nell'Antico Regime, al 'luogo di ri- sorriso; le donne, soprattutto, andranno al supplizio con l'eleganza e la sere~
nità che avrebbero avuto a una serata di gala. Tocco supremo dd saper vivere '
fugio', allo 'scrigno' dell'esistenza. E se il Novecento nasce come 'figlio che, eretto a dovere unico e diventato per questa aristocrazia una seconda na-
della memoria' - la traccia mnestica che ricorre nella topica analitica tura, si ritrova nelle sue virtU come nei suoi vizi, nelle sue capacità come nelle
di Freud, nella filosofia di Bergson, nella 'scrittura del tempo' di Proust sue impotenze, nella prosperità come nella caducità, e l'adorna fino alla morte
- nasce anche dall'estrema commemorazione della vita e della morte dove l'ha condotta 86 • I
!
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I'
r6 Una cultura dell'ordinario
In quel compimento, il lungo percorso che aveva condotto ~al «se:
cretum meum mihi» dell'umanesimo petrarches~o all~ co?versaz1one di
corte e da questa alla «civil conversazione», s1 offriva mteramente al
pubbllco. Nel vivere e nel morire, osservava Horace.Walpole, q':'ella so-
cietà aveva saputo «bruciare in pubblico la propria candela fmo alla
87
fine» •
1986], libro II, cap. VIII; cito dall'edizione a cura di B. Maier, Utet, Torino 1955 e
1973 3 , p. 200.
3 Ibid., II, VIII, p. 202.
4 Ibid.' XXXVII, p. 248.
commentati da M. Cerruti, La ragione felice e altri miti del Settecento, Olschki, Firenze
1973, pp. l 15-16. E si veda anche: R. Mauzi, L'idée du bonheurdans la littérature et la
pensée Jrançaise au xv11re siècle, Colin, Paris 1960.
io Voltaire, Sens commun, in Dictionnaire philosophique portati/, Londres e Amsterdam
1765 2; ora a cura di R. N aves e J. Benda, Garnier, Paris l 967, p. 388.
11 Cfr. P. Bourdieu, La distinction, Minuit, Paris 1979i trad. it. La distinzione. Critica so-
ciale del gusto, Il Mulino, Bologna 1983.
12 «La libertà, quale che fosse il suo linguaggio, ci piaceva per il suo ardimento; Pegua-
glianza per la.sua comodità. Si prova piacere a discendere, finché si crede di poter risa-
lire quando si vuole; e, senza alcuna preveggenza, godevamo i vantaggi del patriziato e
le dolcezze della filosofia plebea. [. .. ] Le forme dell'edificio restavano intatte, e noi non
ci accorgevamo che esse venivano minate dal di dentro. Ridevamo degli alla1'mi della
vecchia corte e del clero» (Paul-Philippe de Ségur, Histoire et Mémories, Firmin-Didot,
Paris 1873, 7 voll.; vol. I, p. 17; citato da H. Taine, Le origini della Francia contempo-
ranea. L'Antico Regime, 1876; trad. it. Adelphi, Milano 1986, p. 520)..
'
r8 Una cultura dell'ordinario «Du je ne sais quoi»: una cultura dell'ordinario 19
u Ibid. p. 518. La chiosa aderiva alle testimonianze dei protagonisti: <(Ridenti frondisti Quando tutto si muove egualmente, niente si muove in apparenza, come su una nave.
dei ~odi antichi, dell'orgoglio feudale dei nostri padri e delle loro gravi etichette, tutto Quando tutti vanno verso il traboccare nell'eccesso, nessuno sembra andarvi. Colui che
ciò che era antico ci sembrava fastidioso e ridicolo» (ibid., p. 520). si ferma rende visibile l'impeto degli altri, come un punto fisso.
14 E continuava Ségur: «l'eguaglianza cominciava a regnare nella società. In molte occa-
Quelli che vivono nella sregolatezza rinfacciano a quelli che vivono nell'ordine di essere
sioni i titoli letterari avevano la precedenza su quelli nobiliari. I cortigiani, servitori del- loro ad allontanarsi dalla natura, mentre essi credono di seguirla: come coloro che sono
la m~da, venivano a fare la corte a Marmontel, a Raynal, a d'Alembert. [...]Le istitu- su una .nave credono che ad allontanarsi si_an~ quelli rimasti sulla riva. Il linguaggio è,
zioni restavano monarchiche, ma i costumi diventavano repubblicani. Preferivamo una da ogni lato, della stessa natura. Il porto giudica quelli che sono su una nave· ma dove
parola di elogio di d' Alembert, di Diderot, al piU segnalato favore di un principe» (Iiis- prenderemo noi un porto nella mol'ale? »J. '
toire et Mémoires cit., val. I: De I792 au 20 brumaire r799; citato da Taine, Le origini 27
della Francia contemporanea cit., p. 521). «Pour vouloir, il faut le vouloir; et pour vouloir vouloir il faut encore le vouloir c'est-
à-dire vouloir ce vouloir de vouloir, et ita in infinitum, camme Leibniz lui-mém~ le dit
u Era stato il motto di Diderot nelle Pensées sur t'interprétation de la nature («l-l8tons-nous
de Dieu un jour où, cessant de s'arreter au perfectissimum qui est la raison supreme et le
de rendre la philosophie populaire»), ed il programma di Johannes August Ernesti, De
dernier mot du choix divin, il semble accepter la régression à l'infini dans l'insondable
philosophia papulari prolusio, Lipsia 1754; mi è caro rinviare, non solo per quel tema, a del' arbitraire divin: Vult velie eligere perfectissimum, et vult voluntatem volendi ... et de-
F. Venturi, Settecento rifonnatore, val. IV: La caduta dell'Antico Regime (z776-z789), Ei-
crevit decemere» (V. J ankélévitch, Le Je-ne-sais-quoi et le Presque-rien, III. La v~lonté de
naudi, Torino 1984, tomo I, pp. 462-63. vouloir, Seuil, Paris 1980, val. III, p. 55).
«Ora la civiltà tira sempre, come altrove ho detto, ad uniformare; e l'uniformità fra
t6
gl'individui di una nazione, e fra le nazioni è sempre in ragic;ine ~ei progre~si gei;e:a~ o
[«Per volere, occorre volerlo; e per voler volere bisogna ancora volerlo, vale a dire vo- ':
~re questa volontà di volere, e cosi all'infinito, come Leibniz stesso dice di Dio il giorno
particolari delle civiltà» (Leopardi, nota del 18 agosto 182 l; in Zibaldone d1 penszert cit.,
tn c~, ~essand~ di attenersi al perfettissimo che è la ragione suprema e la parola ultima
tomo I, p. 999, § 1517).
del divino scegliere, sembra accettare la regressione all'infinito nell'insondabile dell 'ar-
Il Leopardi si richiama a un'osserva~~ne l?rece~~ntemente .cosi formulata: «!u!~e ~~se bitrio divino: Vuol volere di scegliere il perfettissimo, e vuole la volontà di volere, ... e de-
[scil.: la lingua, la letteratura] tanto p1u tuuforrm 1n una nazione, quanto ella e p1u civile cise di decidere»].
o si va civilizzando di mano in mano» (ibid., 25 luglio 1821; tomo I, p. 929, § 1387). 28
Pascal, Pensées 198 [Brunschvicg, 129]; in CEuvres complètes cit., p. l l 3 7.
11 Leopardi, Zibaldone di pensieri cit., 25 luglio 1821, tomo I, p. 929, § 1386. 29
Cfr. oltre,§ 3,
1s «Perché la natura quando è piU libera, come anticamente e ora in gran ~arte al?p:esso 30
M. 1-Ieidegger, Einfiihrung indie Metaphyst'k, Max Niemeyer, Tiibingen l953i poi in
il popolo, è sempre varia. Ma certame~te nel moderno .non !rove:anno niente di smgo: Gesamtausgp.be, val. XL, Klostermann, Frankfurt am Main 1983, p. 15 4. Il testo è stato
lare né di curioso, e tutto quello che c e da vedere negli altri paesi possono far conto di
sempre confrontato con la versione francese, a cul'a di G. Kahn, Introduction à la méta-
averlo veduto nel proprio senza viaggiare» (ibid., 3 luglio 1820; tomo I, p. 165, § 147).
physique, Gallimard, Paris 1967; e con quella italiana, a cura di G. Vattimo: Introduzio-
19 Ibid. ne alla metafisica, Mursia, Milano 1968.
31
20 G. Leopardi, Discorso sopra lo stato presente dei costumi degt'Italiani, 1824; ora in.Le poe- Id., Der Satz vom Grund, Neske, PfulHngen 1957, p. 175; ed anche: Was heisst Denken?
sie e le prose, a cura di F. Flora, Mondadori, Milano 1940 e 19689 , val. II, pp. 559-60. in Vortr(ige ~nd.Aufs~tz.e cit., pp. 141 sgg. (cfr. anche Essais et conférences cit., pp. 166
Di quell'occorrenza arriva ancora eco, oggi, sin nel manualetto Bon ton, di Lina Sotis sgg.; e Saggt e discorsi cit., pp. 94-95).
(Mondadori, Milano I984, pp. 35-36, advocem). . 32
Id-,; Der Satz vom Grund cit., p. 175 [«Come, e fino a qual punto, l'essere e la ratio "so-
2 1 Leopardi, Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl'Itatiani cit., p. 560, nota 1. no lo Stesso?»].
33
22 M. Heidegger, Bauen, Wohnen, Denken, [Edifi~are, abitare, pensare], ~onferenza del Id., Ein/iihrung indie Metaphysik cit., p. 154.
1951, poi in Vortrd'.ge und Au/s<ftze, ~eske, ~full1ngen 1954, p. 14~; e s1 veda.anche la E piU sopra precisava: «Apprensione[ ... ] vuol dire un 'lasciar-pervenire-a-sé' [Zukom-
trad. fr. Essais et conférences, a cura di A. Preau e J. Beaufret, Gallimard, Parts 1958 e menlassen] nel quale non c'è semplicemente accettazione, ma è pre-occupata una linea
1980, pp. 170-93. Il testo è sempre stato confrontato anche con la versione italiana, a di 'resistenza' a fronte di ciò che si mostra» (ibid., p. 146).
cura di G. Vattimo, Saggi e discorsi, Mursia, Milano I976; la citazione a p. 98.
H I?·• Moira, parte non esposta nel corso Was heisst Denken?, ora in Vortnige und Aufsiitze
23 B. Pascal, Pensées, 2 38 [Brunschvicg, 299], in CEuvres complètes, a cura diJ. Chevalier, c1t., p. 246. Cfr. Saggi e discorsi cit., p. 168.
Gallimard, Paris 1954, p. 1152.
Non diversamente Pascal: «L'homme, par exemple, a rapport à tout ce qu'il connait»
24 In altri termini (nei termini descritti e proposti da S. Veca, La varietà dei nostri punti di (Pensées 84 [Brunschvicg, 72]; in CEuvres complètes cit., p. 11 lo).
vista sul mondo in Una filosofia pubblica cit., pp. l 25-35): la coazione, cioè il «contem- 35
poraneo prend~re come presente», del «nessun punto di vista>> (che è irriducibile a un
M. Heidegger, Was heisstDenken?, in Vortràge und Au/satze cit., p. 130. E cfr. Saggi e
discorsi cit., p. 86.
punto di vista: l'insignificabile) e dell'«estremo punto di vista» (cioè la morte).
E quest~ tanto pill <\In unserer bedenklichen '!-eit», nel «nostro tempo che ci preoccupa
25 Pascal, Pensées, 20 [Brunschvicg, 912]; in <Euvres complètes cit., p. l09I.
»,che dà da pensare sulla sua stessa natura (ib1d., p. 130). E cfr. Saggi e discorsi cit., p. 86.
26 Ibid., 85-87 (Brunschvicg, 381-83]; in CEuvres complètes cit., p. 1l12. 36
Ibid., p. 130. Potremmo dire insomma che Das Bedenklichste («ciò che pili dà da_ pensa-
[«Cosi i quadri visti troppo da lontano o troppo da vicino; e non c'è che un punto in- re)>, «Il Punto piU critico») è precisamente ciò che occorre pensare: Das zu-Denkende:
divisibile che c~stituisca il luogo esatto; gli altri sono troppo vicino, troppo lontano, «Ma ."ciò che~ da pensare" si tiene da sempre da parte» (ibid., p. 134), è «l'a priori lé-
troppo in alto o troppo in basso. Lo determina la prospettiva, nell'arte della pittura. Ma tal», il punto di vista dalla morte dal quale pili nulla è insignificante e tutto è ugualmen-
nella verità e nella morale, chi lo determinerà? te ordinario.
--------------------- ----
l7 Id., Sein und Zeit, in Gesamtausgabe, vol. II, Klostermann, Frankfurt am Main r977; su
52 Si veda in particolare: V. Jankélévitch, Debussy et le mystère, La Baconnière, Neuchiltel
1949; Le Nocturne, Albin Michel, Paris 1957; La Musique et l'Ineffable, Armand Colin,
Alltiig!ichkeit e Tatsiilichkeit, si veda il cap. IV, PP· 442-91 e 52.0-2~. . .
Paris 1961; De la musique au silence, Plon, Paris 1980; La rhapsodie, Flammarion, Paris
Sulla questione, assai c~mmentata: ri~vio sinteticamente al profilo di G. Ste1ner, Martin 1 955·
Heidegger, 1978; trad. it. Sansoru, Firenze 1980, pp. 73-86. . . 53
L. Wittgenstein, Vermischte Bemerkungen, Suhrkamp, Frankfurt aro Main 1977; trad.
1s V, Jankélévitch, Le puref l'iff!pur, Fl.~~arion, Paris 1960, p. 216 (e s1 veda tutto il ca- it.: Pensieri diversi, Adelphi, Milano 1980, passim.
pitolo, pascaliano, IV: L équivoque tnftnte, pp. 207.-~2). , . . . 54 Th. W. Adorno, Anton van Webern, 1932, in Impromptus, Suhrkamp, Frankfurt am
39 Id., Le Je-ne-sais-quoi et le Presque-rien, I. La maniere et l occaston, Seuil, Par1s 1980,
Main 1968; trad, it,, Feltrinelli, Milano 1973 e 1979, p. 45. Ma non si può dimenticare
p~. . . h la ricchezza della l'iflessione di Adorno sull"essere della musica'; si vedano almeno: Fi-
4o Pascal, Pensées 335 [Brunschvicg, .194]; in CEuvr~s cor;zp!ètes c1t., p. 1175; Citato anc e losofia della musica moderna, Einaudi, Torino 1959; Il fido maestro sostituto. Studi sulla
daJankélévitch, Le Je-ne-sais-quot et le Presque-nen ctt., P· 85 · , . comunicazione della musica, ivi 1969; Introduzione alla sociologia della musica, ivi 1971;
[«Vedo questi spaventevoli spazi dell'universo che mi r~nchiud?no, e m! ~ov:o confinato Wagner. Mahler. Due studi, ivi 1966; Dissonanze, Feltrinelli, Milano 1979 3 •
in un angolo di questa sterminata distesa~ senza ,c~e 10 sa~p1a perche 10. s1jcolldcat? 55 «Tale "residuo" di mistero è la sola cosa che valga la pena, la sola che importerebbe co-
piuttosto in questo luogo che in un altro, ne perche 1~ poco di te~po che ,rru è ,a~o a vi: noscere, e che, per l'appunto, dimori inconoscibile. Il segreto- cosi per la morte - è
vere mi sia assegnato in questo punto piuttosto che in un alt.ro .d1. t~tta I etin1ta cJ;echi davvero ben conservato, l'ignoranza umana è davvero ben assortita! Molti nomi sono
ha preceduto e di tutta quella che mi seguirà. Non vedo che mfirut1 ~a tutte. e part1bil e stati assegnati a questo innominato innominabile, e molte definizioni proposte per que-
m'inglobano come un atomo e come un'ombra che n?,n dur~ che un ~st?;t;: irrevoca e. sto "qualchecos' altro" che non è precisamente come gli altri perché fondamentalmente
Tutto ciò che so è che debbo tra poco morire, ma c10 che ignoro di p1u e quella morte non è né 'una cosa' né 'qualcosa'» (Jankélévitch, Le Je-ne-sais-quoi, in Le Je-ne-sais-quoi
stessa che non saprei evitare»). . , et le Presque-rien, I. La manière et l'occasion cit., p. 12).
41 È il titolo stesso del cap. xx del libro I deg~ Essais di ~ontaigne, ora in CEuvres comple- Pascal, Pensées 180 [Brunschvicg, 162}; in CEuvres complètes cit., p. 1133.
56
tes, a cura di A. Thibaudet e M. Rat, Galhmard, Pans 1962, PP· 79-95 .. 57 Per Gracian il «despeio» ['sprezzatura', 'disinvoltura'] «consiste en una cierta airosidad;
42 Cicero, Tusculanes, I, xxx (e vedi anche Montaigne, CEuvres complètes c1t., P· 1448). [. .. ]por robador del gusto le llamaron ga1·abato; por lo imperceptible, donaire; por lo
alentado, bdo; por lo galiin, despejo» (B. Gracian, El Héroe, ora in Obras escogidas de
43 Montaigne, Essais cit., I, xx, p. 79· fil6sofos [«Biblioteca de Autores Espafioles», tomo LXV], Rivadeneyra, Madrid 1873,
44 Ibid., p. 8 2 [«Il fine del nostro percorso è la morte, ed è l'oggetto necessario della nostra pp. 607-8).
mira»]. 53 P. Corneille, Médée, atto Il, scena v; in Thélitre complet, a cura di P. Lièvre e R. Caillois,
4:i Ibid., p. 91 . È un quotidiano 'costruirci la morte' che Montaig~e c?;i argo~enta: «Per: Gallimard, Paris 1950 e 1961, val. I, p. 583 [«Sovente un non so che inesprimibile I Ci
ché temi il tuo ultimo giorno? Esso conduce alla tua m~rte. non ~1u c;he c1~si;uno degli sorprende, ci rapisce, ad amor ci consegna»].
altri giorni. [ .. .1 Tutti i giorni approssimano alla morte, l ultlffio V1 arriva» (tbtd., P· 94). 59 Montesquieu, Du je ne sais quai, in Essai sur le GoUt, edito nell'Encyclopédie, tomo VII,
46Jbid.,p.85. . L' 1757; ora in CEuvres complètes cit., p. 849.
47 Ibid p [«Quale che sia il punto in cui la vostra vita finisce, in esso v1 è t~tta .. ~ [«C'è talvolta nelle persone o nelle cose uno charme invisibile, una grazia naturale, che
93
tilità' d~l vivere non è nell'eStensione, ma nell'intensione (lett.: nell'uso): dedicatevi non si è in grado di definire, e che si è obbligati a designare come il "non so che". Mi
essa mentre ci siete»]. sembra che sia principalmente un effetto fondato sulla sorpresa»].
4s Heidegger Das Ding, 1950 _195 1, ora in Vortriige und Aufsiitze dt., p. !-77 · Lo..stessJ 60
Heidegger, Einfiihrung indie Metaphysik cit., p. 198.
m'
concetto Bauen Wohnen Denken, [Edificare, abitare, pensare], sempre tn Vortrage un 61 Montesquieu, Des p/aisirs de la surprise, in Essai sur le Goflt, ora in CEuvres complètes dt.,
Aufsiitze cit., p. 1 ; 0 ; e anco;a nel saggio « .. , dick~c? wohnet der Mensch ... »[«Da poeta p. 848.
dimora l'uomo»], sempre in Vortriige und Aufsatze clt., P· 196. 62 Ibid., De la curiosité, in Essai sur le Godt cit., p. 846.
49 È l'affascinante conclusione del saggio Moira, in Vortriige umi Aufsiitze cit., ~· 2 56. Nel
segno de4,Ge-bi11?,:, «ricettacolo che raccoglie e 'p<;'n~ riparo'» era~o pres:nt~~i, ne~a pr~ Ibid., Du je ne sais quai, in Essai sur le GoUt cit., p. 849.
6-'
fazione dell'autore, gli stessi Saggi e conferenze (tbzd., ~· 7): Sul raccogliersi nel racco [«Ma lo spirito non si manifesta che poco a poco, e quando vuole, e quanto vuole: può
glimento dell'essere', cfr. Einfiihrung indie M_etaphystk clt.'. ,P· 17~. . . nascondersi per apparire, e procurare quella specie di sorpresa in che consistono le gra-
Jo Jankélévitch, Le Je-ne-sais-quoi et le Presque-nen, I. La maniere et l occaston c1t., p. 78.
zie»].
51 «Ma a un dato momento, senza poter distinguere nettamente un contorno, dar: un ~o
64 Ibid. [«Perciò le grazie non possono essere acquisite: per averne, occorre essere ingenui.
me a quello che gli piaceva, incantato [charme1 tutto a un tratto, ave~a tentato di co,gli~ Ma come ci si può prodigare a essere ingenui?»].
re la frase 0 l'armonia_ non lo sapeva egli stesso - che passando gli aveva ae~at? ~~dt 65
Rinvio, a conferma, non già al nostro presente, ma alla simbolica stessa della cultura qui
ma come certi odori di rose vaganti nell'aria umida della sera hanno la propr1eta 1 - in esame, all'Uomo al punto di Daniello Bartoli (1668).
lat~re le nostre narici. Forse perché non conosceva la musica, aveva pot~to pro~ar~ 66
Pascal, Pensies 203 [Brunschvicg, 135]; in CEuvres complètes eit., p. 1I38. Il pensiero ap-
un'impressione tanto confusa, una di quelle che tuttavia ~o.no ~o~se. le s<?l: ~mpress~o~ partiene, come i successivi, alla sezione Le divertissement (ibid., pp. 113 7-48),
puramente musicali, inestese [inétendues], intel'amente or1ginah, 1rr1du.c1bdi ~ ogru - 67 Ibid., Pensées 213 [Brunschvicg, 168], p. 1147.
tro ordine di impressioni. Un'impressione di questo genere dm:ante un istante e, per co-
si dire sine materia» (M. Proust, Du cOté dechez Swann, 1913; 1n A la recherche du temps [«Divertimento. Gli uomini non avendo potuto risanare la morte, la miseria, l'ignoranza,
perdu,' a cura di P. Clarac e A. Ferré, Gallimard, Paris 1954, val. I, PP· 208-9). si sono dati pensiero, per rendersi felici, di non pensarci punto»].
'
'
22 Una cultura dell'ordinario
«Du je ne sais quoi»: una cultura dell'ordinario 23
68 Ibid., Pensées 2I6 [Btunschvicg, 170], p. 1147.
69 Leopardi, Zibaldone di pensieri cit., 20 gennaio 1820, voL I, pp. 129-30, §§ ro3-4.
~tbo, grazioso, p[ro]f~mato, gaio, amabile, affettuoso, e di umore costante sino all'ora
e a. sua.mor~e. ;.. ra un eccellente violinista, e costruiva da solo i suoi violini iché
70 Pascal, Pensées 217 [Brunschvicg, r7 1], in CEuvres complètes cit., p. 1147. era liutaio, e insieme ?rolog~aio, ~chitetto, tornitore, dipintore, fabbro, dec~~ore
71 Si ricordno i capitoli centrali (vrn-xr) diJ. Huizinga, Herfsttii der Midde!eeuwen, r919; cuoco, poeta, compositore di musica, falegname, e sapeva ricamare a meravi Ha No~
sod~1l:v vero che. cosa i:oi: sap~sse fare. La sfortuna è che consumò il suo patr~m~nio a
trad. it. Autunno del Medioevo, Sansoni, Firenze 19662 ; A. Tenenti, Il senso della morte
e l'amore della vita nel Rinascimento, Einaudi, Torino 1957.
1
so _1s are t~ttl questi d1vers1 talenti, e a sperimentare ogni cosa.
n Un'articolazione e un'endiadi che Adriano Prosperi ha avuto ben presente nel comporre Ma10. non v~ trovai che ardore, ed andammo in rovina nel modo pili amabile che si po
tesse immaginare. [. .. ] -
la Premessa al volume collettivo: I vivi e i morti, in «Quaderni storici», XVII (1982), n.
50, pp. 391-410. Occorre altrimenti giustapporre e comporre perco~si che, dal Cinque !~~~~~~=t~i i:pev: vive3e e .morire,laa quel te~po, so_ggiungeva a!lcora; non si pati-
al Settecento, sempre pili sembrano divergere: si veda ad esempio: E. Callot, La phifo.. . d _por une. e si aveva gotta, s1 camminava tuttavia e senza smorfie·
sophie de la vie au xvrr1e siècle, Rivière, Paris 1965 1 con}. McManners, Morte e illumi- s1 nascon eva ~ vicenda ~ sofferenza per buona educazione. [. ..] Ci si sapeva rovinar~
nismo, 1981; trad. it. Il Mulino, Bologna 1984; senza contare i classici studi di Philippe ~enz~ nulldi~ lascrd~· traspanre, come dei buotrl giocatori che sanno perdere senza rivelare
Ariès, Miche I Vovelle, J acques Chiffoleau, Pier re Chaunu, Edga1· Mo rin, ecc. tnqruetu ne o 1sappunto. [. . .]
73 La natura ancipite di quell'arte è segnata, sin dalle origini, dal duplice abito di chi scrive: Si riteneva che fosse meglio morire al ballo 0 alla commedia i.uttosto eh nel ·
si pensi al De cardinalatu di Paolo Cortesi o al Relox de principes di Antonio de Guevara, ~ttf?• tr: quàttro ctri; brutti uomini in nero. Si era filosofi, ~on si soste~eva }f~t~~Ì~
insieme alMenosprecio de Corte; o ancora dalla duplice veste di chi può praticarla, come ,e au; ertt , e se o s1 ~ra non se n~ faceva sfoggio. [. .. ]Si godeva della vita, e uando
nel Principe cardinale di Fabio Benvoglienti. La simmetria, e reciprocità, si accentuerà I o~a d1 perderla era arnvata, non s1 cercava di togliere agli altri il gusto di viierla l
nel Seicento, soprattutto nella letteratura gesuitica: si pensi alla Ricreazione del Savio
33 T, at ne, Le orzgtnt 1·•- Francia contemporanea. L'Antico Regime cit p
· · · de"' »·
ed insieme all'Uomo al punto di Daniello Bartoli. E il di · ., · 2 75·
appena caso rtc~rdare quanto quest' «affresco» di Taine sia distante dalla prosa
74 N. Elias, Ueber die Einsamkeit der Sterbenden in unseren Tagen, Suhrkamp, Frankfurt as,ctut~a e ~~omentativ,a del.modell? che l'aveva preceduto: Alexis de Toc ueville
1982; trad. it. La solitudine del morente, Il Mulino, Bologna 1985. L 'Anczde?GRegzCmedet\la .Revolutto?, P~ts I856; traci. it. L'Antico Regime e la Rivdluzione'
n Cfr. aa. vv., Rituale, cerimoniale, etichetta, a cura di S. Bertelli e G. Crifò, Bompiani, a cura t . an e oro, Rizzali, Milano 198 1 . '
Milano l 98 5. :: !a~ne, Le origini della Franc~a contemporanea. L'Antico Regime cit., p, 246.
7 6 B. Castiglione, Il Libro del Cortegiano cit., dedica Al reverendo ed lllustre Sifj1or Don Mi- E 1autore stesso ad evocare 1 paesaggi umani di Watteau e di Fragonard (ibid )
chelDe Silva, §I, pp. 69-7r.
86 Ibid., pp. 3
15 -1 6. "P· 2 74 ·
77 Al quale sembra tendere invece il profilo di G. Patrizi, «Il Libro del Cortegiano» e la trat-
87
Ibt'd., p. 22 9 .
tatistica sul comportamento, in aa. vv., Letteratura italiana, vol. III: Le fanne del testo, to-
mo II: La prosa, Einaudi, Torino 1984, pp. 855-90.
78 Montesquieu, Spicilège, § 439; ora in CEuvres complètes cit., p. 403. I
(«In Italia, il cerimoniale, che è precisamente la materia prima, e non l'aspetto formale,
della politesse, è una specie di pal'apetto. In Francia, al contrario, non ci sono altre regole
che quelle della politesse e bisogna attingere da quel fondo ad ogni momento»]. I
19 Cfr. W. Barberis, Uomini di corte nel Cinquecento tra il primato della famiglia e il governo
dello Stato, in aa.vv., Storia d'Italia Einaudi, Annali, voi. IV: Intellettuali e potere, a cura
di C. Vivanti, Torino I981, pp. 857-94; G. Fragnito, Un pratese alla corte di Cosimo I.
Riflessioni e materiali per un profilo di Pierfrancesco Riccio, Società Pratese di Storia Pa-
tria, Prato 1986.
3o È uno dei percorsi proposti nel volume: aa.vv., Ragione e «civilitas». Figure del vivere as~
sociato nella cultura del Cinquecento europeo, a cura diJ.-C. Margolin, D. Bigalli, A. Te-'
nenti, A. Ingegno, C. Vasali, Franco Angeli, ivlilano I986. E già anche in D. Aricò, Re~
torica barocca come comportamento: buona creanza e civi! conversazione, in <,Intersezio-~
ni», I (I98I), n. 2, pp. 3I7-49.
81 Rinvio all'affascinante profilo di B. Craved, Madame du Deffand e il suo mondo, Adel-
II; ora in CEuvres autobiographiques, a cura di G. Lubin, Gallimard, Paris I970, vol. I,
pp. 40-41; ed era integralmente citato da H. Taine, Le origini della Francia contempora-
nea. L'Antico Regime, l 876; trad. it. Adelphi, Milano I986, pp. 268-69.
[«E poi, aggiungeva, forse che a quel tempo si era mai vecchi? È la rivoluzione che ha
portato la vecchiaia nel mondo. Vostro nonno, figlia mia, è stato bello, elegante, accu-
IL La nascita del modello
T
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Ma questa cornice costituisce, essa stessa, l'architettura ingressiva
del trattato, la prima costruzione simbolica nella quale è orgaoizzata la
materia e orientata la lettura. Ad osservarla nella sua funzione retorica,
quale esordio e scena del trattato, essa si presenta in realtà come una
I quadruplice e concentrica «cortina», dalla periferia e dall'assenza al
centro ed al dialogo degli interlocutori.
Il Libro del Cortegiano: cornice e ritratto
La nascita del modello
Il primo sipario s'apre sul libro stesso, proprio nel cuore della tiones, che lasciano a loro volta un testo ancor imperfetto inscriversi in
dedl.ca-postface al De Silva, e la cornice che si presenta è, per una calco- una cornice ormai perimée:
lata anticipazione delle personae rispetto ai luoghi del dialogo, fornita fui stimulato da quella memoria a scrivere questi libri del Cortegiano; il che io
dall'elenco di coloro stessi che «sono introdutti nei ragionamenti»: ma feci_ in i:oc~i giorni, con intenzione di castigar col tempo quegli errori, che dal
des1der10 d1 pagar tosto questo debito erano nati 7 •
la lor «compagnia» (I, xn) non è di eletti viventi, bensi di «morti», «la
Ond'io, spaventato da questo periculoi diterminaimi di riveder sUbito nel
maggior parte»'. lib~o quel poco che mi comportava il tempo, con intenzione di pubblicarlo;
La prima cornice non narra dunque un'azione ma com.menta un' as- est1mando men male lasciarlo veder poco castigato per mia mano che molto lace-
senza: non innesca un procedimento, ma evoca una memorià,. Situandosi rato per man d'altri 3 •
sotto il sigillo della morte, essa contravviene alla funzione, tradizionale
e medievale, di modulo incoativo, che era appunto quello di innescare Tale doppia distanza, dell'imperfettibilità del testo nell'inattualità
un processo di incombenza - fuga dalla morte, di impulso ad agire nar- della cornice, è del resto simmetrica all'inattualità del testo rispetto al
rativamente, sotto la spinta d'una tensione che lega il narrare al decide- destinatario, il quale (anche qui contro ogni tradizione del topos) è alie-
no non solo dal cursus famae di quella vicenda, ma persino dalla stessa
re, come osserva Harald W einrich:
« noticia » di quei nomi! '.
La cornice stessa è narrazione. Come è mai possibile dare alla cornice, seb- Ma queste assenze concentriche della dedica (cominciando dalla cor-
bene anch'essa sia raccontata, quella carica di drammaticità che altrimenti
nice come descrizione della propria sparizione, dall'autore rimosso a let-
spetta al mondo commentato? Ciò avviene grazie al motivo del costante peri-
colo di morte: sette giorni o addirittura mille e una notte! La minaccia di mor- tore, sino al destinatario remoto dall'uno e dall'altro) non sono, a loro
te è un motivo tematico al servizio della tensione; essa compensa ogni volta il volta, che la trasformazione narrativa, per il lettore, della costituzione
rilassamento proprio alla cornice in quanto mera cornice raccontata •
2
in absentia degli stessi «ragionamenti», l'estensione allo stesso 'invio'
di quella prima retorica assenza interposta, secondo il modello cicero-
Il Castig]iQ!)e dunque co!jg_çgndo studiatamente !'anticipazione della niano, tra la materia del trattato ed il suo testimone, quale il prologo al i
.c9tPk,e .e Ta propria «compagnia» nell'immobilità- iiu;Y.ocabi\it~ della I libro segnala:
;;;ortej çlisiµnesca ogni «attesa.», segnala sin dall'inizio che la str~tegia,
rinovando una grata memoria, recitaremo alcuni ragionamenti, i quali già pas-
dichiarata nella scrittura derlibro, e cioè la formazione d'un modellù e sarono tra omini singularissimi a tale proposito; e benché io non v'intervenissi
d'.un ruolo so~, ·$i è esaurita avanti la lettura, nell'emblematica i;iorte presenzialmente per ritrovarmi, allor che furon detti, in Inghilterra, avendogli
del primo déstinatario («morto è il medesimo Messer Alfonso Ariosto, poco appres~o il mio ritorno intesi da persona che fidelmente me gli narrò, li
a cui il libro è indirizzato»), cosi che la funzione dell' instituere narrando, sforzerommt a punto, per quanto la memoria mi comporterà, ricordarli 10 •
del «formar con parole»', è rovesciata nella narratio institutionis; onde In conclusione dunque, per un elegante chiasmo di funzioni, la cor-
il trattato si risolve in« ritratto»'. nice retorica del prologo (I, 1), istitutiva del trattato, invera testualmen-
E difatti tale narratio si istituisce proprio come reinvenzione della te, fissando ab origine la necessità dell'assenza, e legittima come propria
cornice nel racconto che l'autore fa della propria rilettura: reduplicazione la cornice 'postnma', 'esterna', della dedica; ma nello
Cosi, per eseguire questa deliberazione cominciai a rileggerlo; e sUbito nella stesso tempo quest'ultima trasforma la 'distanza retorica' stabilita dal
prima fronte, ammonito dal titulo, presi non mediocre tristezza[...] ricordan- prologo al testo (I, 1) in distanza storica, in irreparabile divaricazione
domi la maggior parte di coloro, che sono introdotti nei ragionamenti, esser che la 'chiusura' del libro apre tra autore e testo. . .
già mortij. Prenderà cosi piu profondo significato la metafora che accompagna
Il processo che trasforma !'incipit della cornice nella descrizione del- il congedo dal testo e l'invio del libro come «ritratto di pittura». Non
!' explicit, segnala anche una seconda distanza (e non solo quella dell'i- solo la formula testimonia l'avvenuta «traslazione» del trattato in ritrat-
i.
nattualità della cornice), l'assenza cioè dell'autore dai destini del testo ,to, ma questo poi si forma come «noticia dopo la mort(;,,, a quel modo
- «ritrovandomi adunque in Ispagna»' -, cosicché la sua responsabilità 'stesso che la scrittura «testa ancor», al di là delle parole e delle voci,
è come limitata da una duplice inconcludenza, dalle incompiute castiga- preservando «quasi una imagine o piu presto vita delle parole»".
i
I
Il Libro del Cortegiano: cornice e ritratto 31
30 La nascita del modello
Nel gioco incrociato di «rimozione» della congruenza storica tra de- t~oduzione del tema (I, I), segue la celebrazione del luogo (I, n) e del suo
stinatari e testo, messo in scena dalle cornici concentriche della dedica S~gnor~ ~I, l.rr). Solo ,a questo punto lo sguardo può allargarsi al circolo
e del prologo al I libro, si elidono le ragioni mimetiche, precettive, d1 cort1g1an1 che sara protagonista del dialogo.
maieutiche, I' «economicità» insomma della scrittura, che sola resta alla Esso ci appare subito inscritto come entro un aulico «libro d'ore»
fine misura, postuma offerta all'unica entità in grado di valutarla, al laico:.« Era~o. adunque tutte I' ore del giorno divise in onorevoli e pia-
tempo «padre della verità e giudice senza passione»". cevoli eserc1z1 cosi del corpo come dell'animo»".
Il testo traslava cosi le proprie ragioni di «formazione», e il proprio ~~nella seconda redazione questo «libro d'ore» s'apre al vertice
destinatario, non pili nello spazio della corte, ma in quello «della v~ta.o mer1d1ano, al centro dell'attività, e dell' epifanica magnificenza del du-
morte delle scritture» nelle mani di quel tempo che (con una vanatzo ca intorno ''.alla tavo.la lauti~simamente preparata» (al luogo p~r lungo
sulla citazione classic;, sperimentata egualmente dal Machiavelli)" è te?'po ~porum? del ntrovars1 a corte), che chiude da un lato l'elogio de-
gli studi~ del S1g?or~, e prepara il succe~siv? encomio dedicato agli otia
padre e garante della verità.
Veritas filia temporis: non compiuto e non «castigato» nel presente, et negotza delyrmc1p~,yer concludersi ali «inclinar» del giorno nella
il testo si affidava alla pili «giusta sentenzia» del futuro: nel Tempo il ra~segna degli « exerc1z11 » del corpo - giostre e giuochi - , con i quali si
Castiglione trovava l'ultima e pili vera cornice al proprio libro, quella di chiudevano !'ore (dentro le maniere d'una conosciuta «stampa») dedi-
cate alle «virtuose operazioni»:
poterlo destinare come livre à venir.
né meno esso in questo altrui delettava che fosse da altrui delettato come
quello ~he era ~ottissimo ~l'una e l'altra lingua et avea cognizione de i~finite
cose 1 dil che p1u a.Jlt.~ngo 111 qualche altra parte averno di lui scritto. Ma sopra
2. «Noi da noi stessi alienati». tutto nella conversa~~one er~ so~vissimo e.nelli ragionamenti grato) piU che al-
cuno alti;o u?mo c~ io a~~~ mai cognosciuto. Cosi !'ore del giorno sempre in
Ma ad arginare a posteriori, in «ritratto» per il Tempo, in calligram- onorev?lt. e ptacevolt ex~rc_tztt er~no divise: ché per el piU delle volte) quando nel
ma per la lettura, una struttura narrativa che si voleva in origine pre: ~ta~o si ritrovava, tutti l~ gen~iluomini alla tavola lautissimamente preparata
scrittiva, infarcita di exempla, non potrà certo bastare, una volta entrati msieme con esso a mangiare si poneano, né ivi erano cibi che di modeste pia-
nel meccanismo della /ictio dialogica, il sigillo esterno di uno speculare cevolez~e no~ fossero compos.ti, dopai in musica o in qualche gioco si dispen-
rinvio d' assenze e di distanze tra cornice e prologo dei «ragionamenti». sava ':1~.01~a.. di. t.e~po. [. .. ~Poi quando el giorno ad inclinar comminciava) ad
exerc1z11 p1u v1rih ognun s1 mettea, chi di correr lance, chi di giuocar alla palla,
Occorre al Castiglione insinuare questi segnali di «distanza», i di- e sp~~se volt~ ~e.or si faceano torneamenti e giostre e tutte quelle cose che a
spositivi di lenimento dell'attualità (attuabilità) del meccanismo narra- nobili cavagher1 s1 convengono. E benché questa vita non fosse sempre di una
tivo all'interno ancora del dialogo in quanto «pronunciato» e animato medema stampa, pur mai d'altro che di vertuose operazioni non era variata 1'.
da parvenze viventi in luoghi riconoscibili, in quanto codificato secon-
Il quarto capitolo (deputato nell'una e nell'altra redazione a fornire
do criteri di verisimiglianza, di mimesis.
A ciò provvederanno, nel rimaneggiamento compiuto tra la seconda la sce.na del di~ogo)yoteva ~_?si iniziare come una serale compieta,
redazione ed il testo dato alle stampe, le varianti indotte sulla terza cor- comp1i;iento, d una giornata gia esemplarmente trascorsa in Jactis, e che
nice, quella dedicata all'epifania della corte, come luog.o ?el Sign~re e era lecito ora prolungare, reduplicare e perfezionare in verbis. Cosicché
del cortegiano (I, III-Iv). Esse preparano la vera e propria mtroduz1one l'annunci~t~ te~~ di voler ricavare la «forma_ perfetta di cortiggiania»
del tema la «perfezion della cortegiania», che potrà darsi nella quarta (I! l; GH) ~1 gi.ust1f1cava con;e 1'.rodotto da «una medema stampa», come
e pili impegnata cornice, solo quando sarà entrata e uscita di scena la «~dea» d1 «Vltt~ose operaz1om» quotidiane, come compimento nel «ra-
«perfezion» del potere, nel passaggio da Urbino di papa Giulio Il. g10namento» d1 quanto fornisce I' «exercizio».
Converrà quindi, in questa sede, studiare - al di là dei segnali po- M.a.?dl~ reda.zione definitiva si consuma, tram e rv capitolo, tra
stremi, 'esterni', per la lettura - il fi:~nzionamento di qu~ste. due 'cor- exerc1z11 e d1scors1 quella rottura di continuità che restituisce anche alla
nici interne' del libro, quelle messe m opera nella cod1frcaz1one della di
cornice «interna» la stessa distanza, distanza passato irrevocabile tra
parola e fat:o, quale P?co prim~ nelle due dediche giustapposte (quel-
materia, nella regia della dispositio.
L'inizio infatti del trattato rispetta i canoni del genere: precede !'in- la a Don Miche! De Silva che s aggiunge al prologo a Messer Alfonso
Il Libro del Cortegiano: cornice e ritratto 33
32
La nascita del modello
quali tuttavia non conviene ormai piu il «giudicio» dell' «esercitar !'o-
. . il
della composizione e il tempo del de-
Ariosto) si costttutva tra temp~ d' ella lettura «postuma» (quella pere», mal' «ingegno e giudicio» del conversare; al duca, e per sempre
stinatario, ormai «altr~>>, partecip~. i q;i " nella cornice del Tempo. nella regia dell'argomentare e nel «senso» del trattato, si sostituirà, con
del «giudice sei;iza passione») ~he b:'d~::;~he nella redazione finale, compiti non pili politici ma r~turici, Emilia Pio, la quale appunto «pa-
A questa diversa econo.mta 0 • e d l me del IV capitolo· se in ori- reva la maestra di tutti» (I, Iv)".
con rigorosa simmetr!a: la sistema~ione ~ collocava a chiusu;a del cap. Su questi «soavi ragionamenti e oneste facezie» si costituisce dun-
gine la cornice «corttgiand~> del di~og~ intorno a lui nel rito della ma- que la cornice dei dialoganti e l'àmbito, ormai solo retorico, del dialogo
:ifl~:~~~a<~~ll~~~~~~aÌau~1;~::m~i~:::pt:~;;:;~~~da:::t~ ~r~:
entro una casistica di quaq,fiqnesfictae, puntigliosamente elencate nel
cap. v. Infatti come il cap.
IV aveva descritto con quali intenti si ritro-
della morte, verra espunto n~o mer ll'~gire ai negozii ed agli exer- vava a disputare la brigata dei cortigiani intorno alla duchessa, il quinto
tico, dei viventi, ed anche ~gnli accell~i~; delle ,:expedizioni delle cose fornirà gli argomenti di quelle retoriche dispute, i temi di quelle serate
cizii piu virili, al tempo socia e e po trascorse intorno al primato della parola.
del stato»"· l . ( p ml il solo elogio ormai elogio fu- I riti verbali di questa «consuetudine» (I, v) corrispondono ad al-
Cosicché da un ato rimane ca · d 'immobi'l~ presenza verba- trettanti generi e temi collaudati dalle dispute cortesi o dagli exempla
· · 1 ato a mera vox boia
nebre, d e1prmcipe, e ev
a
·-r'
omologa a quella occidua ficta della retorica, riproposti sotto nuovi «velami» per nuove <<im-
)
Il Libro del Cortegiano: cornice e ritratto 37
La nascita del modello
cavati dalla testa dai corvi prin1a che veggano quel tanto male che voi deside-
La lingua delle Lettere", lingua d'uso e di storia, ci riporta cosi ora rate, e la nefanda lingua, che adoperate per instromento di accendere fuoco
il cortigiano nella sua professione, lingua di «expedizioni» e di ben altre nel mondo, prima sarà lacerata dai cani, che mai possa indurre l'Imperatore a
«sprezzature», lingua di carnevali per Papi" e di peste per villani", di fru· cosa che non sia servizio di Dio 39 •
impiccagioni richieste per prestigio e puntiglio", di debiti e di giuppo-
ni", lingua economica, lingua di «ricordi», di« bonne histoire »: quella Cosi, in diversi «uffici» intenti, chiuderanno parallelamente la pa-
che il Montaigne ascriveva soltanto (pensando al suo Guicciardini) a rabola e la vita, il «cortegianm> ed il suo «libro»: mentre l'uno dalla
«ceux mesmes qui commandoient aux affaires, ou qui estoient partici- Spagna ammoniva minaccioso che «non mancheranno dell'ufficio loro
pans à !es conduire, ou, au moins, qui ont eu la fortune d'en conduire i signori inquisitori»'"; in Italia, dove i simuÌacri subalterni del potere
d'autres de mesme sorte». perp.etuav~o, .attar~andosi c?n !lu~to un po' retro «in altro tempo. e
«Gran cosa è Roma!», ma anch'essa dal gennaio 1522, dall'elezione s~azio», an11cl11 «ragionamentl», il hbro cltludeva nelle mani di Emilia
al pontificato di Adriano VI, è da collocarsi ormai «in altro spazio e Pio morente, e ancor fedele alla redta di quel laico ufficio" il conto
tempo», sempre phi remota e in subordine rispetto alle matrici del nuo- delle proprie ragioni, risolvendosi alla fine a toccare alme~o ~el desti-
vo potere in ascesa, quello di Carlo V; un mondo finiva, ben prima del natario, i temi d'origine, le «donne antiche, venend~ anchor fin ala età
sacco di Roma, ed il Castiglione, allontanandosene, ne prende malinco- nostra: che f~ssero state dare in qual si voglia cosa, o in lettere, o in ar-
nicamente nota: me, o m castitate, o in constantia, o qualche atto generoso»".
io sono, Dio gratia, sano, ma tanto confuso della mente et attonito che mi par L'inerzia del genere sembrava cosi avocare alla sua durata e alla fine
d'esser in un mondo novo, e parmi che Roma non sia pili dove la era, con tan- ricucire gli strappi della storia: ma dalle fisiche misure della' Corte Ca-
ta mutatione 37 , stiglioni a Casatico di Marcaria il fascinoso equivoco mostrava - e non
solo allora - tutta la sua provvisorietà; da quelle stanze, da quella ter-
Né a Roma phi tornerà se non per preparare la propria investitura, r~, altra .co;te da quella urbinate si profilava, quella oeconomica di Aloi-
con Clemente VII, a nunzio in Spagna, dal luglio I 524. Là, alla corte sia Castiglione, la donna altra dal Cortegiano, quella destinataria delle
imperiale, il cortigiano potrà finalmente misurare sé ed il proprio libro, Lettere e della storia di un «fastidito e fide! Servitor»".
il valore della parola e la difficile arte della teorizzata «sprezzatura»: Per un'abitudine disciplinare, son rimaste alla storia letteraria -
quanta ormai fosse l'incongruenza tra libro e storia del cortigiano, l'uno del ~~sti?o bifronte del Castiglione - troppo a lungo le sole ragioni di
e l'altra ormai per sempre situati «in altro spazio e tempo» - cosi lon- Emilia Pio e del suo Libro; nella fascinazione di quei «ragionamenti» si
tani Urbino e le teorie del Bembo - dirà, con estrema chiarezza, l'ulti- erano smarrite le «expedizioni», le vestigia del «camino d'Hispagna»
ma impresa del Castiglione, la Risposta al Valdés sulle responsabilità e dell'autore".
sul significato del sacco di Roma, scritta alla vigilia della morte, presu-
Ma solo di là, da quella distanza che misurava la storia e in essa le
mibilmente tra l'agosto e l'ottobre del 1528. propor~i~ni di '.'n «ritratto» ormai remoto, Il Cortegiano poteva alla fine
In essa il politico richiamerà, orgogliosamente e polemicamente, di
inviarsi, librarsi nel tempo come, il primo giorno, Urbino nei «venti cbe
fronte ai sottili veleni del dialogo valdesiano, il nitido argomentare del
parlano»". ·
proprio libro: «a noi altri ancora è nota la maniera academica dello scri-
vere in dialogo»; il Cortegiano è ormai, e sarà poi, nella fortuna e nella
lettura, «maniera academica» costruita secondo «il costume de' plato-
nici» nella fascinosa inconcludenza dialettica della contraddizione".
Ma nella storia del cortigiano, il costume platonico del ragionamen-
to come arte maieutica della conoscenza e della persuasione, cede ormai
a una nuova «sprezzatura», quella dell'intolleranza e dell'Inquisizione,
di cui il Castiglione è, ancora una volta, il primo a lasciarci dipinto e cu-
po «ritratto»:
Preparatevi pure, perché la giusticia divina non lascia impuniti cosf abo-
minabili peccati; e crediate che questi vostri malèfici occhi vi hanno da essere
Il Libro del Corlegiano: cornice e ritratto 39
8 Ibid., p. 69. Il corsivo è nostro.
9 «E poiché voi né della signora Duchessa né degli altri che son morti, fuor che del duca
!uliano e del Cardinale di Santa Maria in Portico, aveste noticia in vita loro, acciò che,
per quanto io posso, l'abbiate dopo la morte, mandavi questo libro come un ritratto di
pittul'a della corte d'Urbino» (Il Libro del Cortegiano eit., Dedica a Don Miche! De Silva,
I, p. 7•).
10 Ibid., Il primo Libro del Cortegiano [. .. ]a messer Alfonso Ariosto, I, 1, p. 81; questa distan-
za «retorica» del testimone dai luoghi della conversazione si replicherà (ma nella lettura
sarà pteceduta) nella distanza storica dell'autore dal proprio testo (cfr. nota 6).
11 «La scrittura non è altro che una forma di parlare che resta ancor poi che l'omo ha par-
Il Libro del Cortegiano: cornice e ritratto. lato, e quasi una imagine o pili presto vita delle parole» (ibid., I, xxix, p. 131).
12 «Il quale [scil.: tempo], pe1' esser padre della verità e giudice senza passione, suol dare
1 «Cosf, per eseguire questa deliberazione c.ominci~i a rileggedo; e subito nella p1'ifl?~ sempre deila vita o morte delle scritture giusta sentenzia» (ibià., Dedica a DonMichel
fronte, ammonito dal titulo, presi non med1ocre.tr1stezza, l_a qual ancora nel ~assar p1u De Si/va, III, p. 78).
avanti molto si accrebbe, ricordandomi la maggior parte d~ ~oloro, eh~ sono mtrodu.t- 13 Entrambi gli autori rovesciano la formula classica: Veritas filia temporis (dr. Aulo Gellio,
ti nei ragionamenti, esser già morti: ché, oltre a quelli ?e chi s1 f~ i_ne~1o~e.n~~roem10 Noctes Atticae, libro XII, cap. x1, 7), puntando sul valore conoscitivo della storia, sullo
dell'ultimo morto è il medesimo messer Alfonso Anosto, a cu1illtbl'oe1ndir1zzato» scorl'el'e, non neutro, del tempo: «il tempo, il quale dicono esser padre d'ogni verità»,
(B. Castigli~ne, Il Libro del Cortegiano, a cut'a di Bruno Maier, Utet, Torin? ~973 3 , De- asseriva con anche maggio!' impegno di generalizzazione il Machiavelli nei Discorsi sopra
dica al reverendo ed illustre signor Don Miche! De Silva, I, p. 69; da quest? e?izione sar~n la prima decadi Tito Livio, libro I, cap. 1n; cfr. l'edizione a cura di C. Vivanti, Einau-
no tratte tutte le altre citazioni). Va sottolineato che non solo a posterzort, nella dedica di, Torino 1983, p. 28.
post eventum, ma già in corso d'opera, come. segnala lo stess? Castiglione, il li~ro si :ap: 14 Il Libro del Cortegiano cit., I, IV, p. 85.
presenta come postumo alla materia, la scr1ttu1'a come residuo della memor~a: po1c.h~ u B. Castiglione, La seconda redazione del «Cortegiano», edizione cl'itica per cura di Ghino
non è morto solo «il medesimo messer Alfonso Ariosto, - ma ancora, - quelh de chi s1 Ghinassi, Firenze, Sansoni 1968, libro I, cap. rn, pp. 7-8. Le citazioni da questa edizio-
fa menzione nel proemio dell'ultimo»; ed infatti il quarto libro cosi co~inciava: <'.~en: ne saranno abbreviate nella sigla GH.
sando io di scrivere i ragionamenti che la quarta sera dopo le narrate net precedenti libri 16 «Da questo si ritraeva el signor duca a riposarsi pe1' buon spacio, la qual cosa fare dalla
s'ebbero sento tra varii discorsi uno amaro pensiero che nell'animo mi percuote[ .. .].
crudel infirmità spesso era necessitato; e medemamente in quel tempo attendea alle ex-
Tornami' adunque a memoria che non molto t~mpo d~p?i ~he q:i-esti.t~gionament~ pas-
pedizioni delle cose del stato, benché da questa cura mai da niuna ora libel'o non fosse;
sarono privò morte importuna la casa nostra di tre rar1ss1mi gentilom1i:u, quando di pro-
et in questo spacio ognuno a' suoi negozii quanto gli era di piacere attender potea)}
spera età e speranza d'onore piU fiorivano>~ (Il Libro del Cortegia~o. ctt., IV, 1, P· 445). (GH, I, 111, p. 7). Quanto sia distante questa «infirmità» attiva nelle <iCose del stato»
Il cenno si riferisce a tre interlocutori del dialogo, Gaspare Pallavtctno, Cesare Gonza-
dall'immobilità saporosa della redazione definitiva (inizio cap. IV), è confermato dalla
ga1 messer Roberto da Bari. rimozione finale del duca dai luoghi serali dei ragionamenti: Il Libro del Cortegiano ini-
2 Cfr. H. Weinrich, Tempus. Besprochene und erziihlte Welt, Kohlliammer, Stutt~art zia cosl (chiudendo il p1'oprio ciclo redazionale) lontano dal principe - di cui pure vo-
1 ~ 4 ; trad. it. Tempus. Le funzioni dei tempi nel testo, Il Mulino, Bologna 1978; la cita- leva essel'e «institutore» -, là ove, in assenza di prassi, Emilia Pio «pareva la maestra
zione a p. 183. di tutti» (I, IV).
r-J< Vorrei che 'l gioco di questa sera fusse tale, che si elegesse u.no della c~mpagnia ed a 17 «Ancor che esso [scii.: duca] non potesse con la persona esercitar 1' opere della cavalleria,
questo si desse carico di formar con parole un perfetto corteg1ano» (Il Libro del Corte- come avea già fatto, pur si pigliava grandissimo piacer di vedel'le in altrui; e con le pa-
giano cit., I, XII, p. 100). role, or correggendo or laudando ciascuno secondo i meriti, chiaramente dimostrava
4 Sulla strategia di questa doppia articolazione ~el prolo,~o del C~rtegiano insistoi:io le f~ quanto giudicio circa quelle avesse» (Il Libro del Cortegiano cit., I, rn, p. 84; il corsivo
osservazioni di Eduardo Saccone, Trattato e ritratto: l introduzione del «Cortegtano», In è nostro); una volta ristretta la pertinenza del potere all'ambito della parola, al solo «giu-
«MLN »,XCIII (1978), n. I, pp. I-2!. dicio», il duca dsulterà cosl per attributi inferiore all'<dngegno e giudicio» di Emilia Pio
' I/Libro del Cortegiano cit.; Dedica a Don MichelDe.Silva, I, p. ~9; ecfr. nota I. s~ mo- Q, IV), e dovrà dunque veni1' rimosso dalla scena, che - per altro - sarà solo pill teatro
dificarsi inoltre della distribuzione e del ruolo dei personaggi tra Seconda redazione e di meri «ragionamenti».
testo definitivo,' si vedano le osservazioni di P. Floriani, I personaggi del «Cortegiano», ia Cfr. GH, I, n11 p. 7.
in «GSLI», CLVI (1979), fase. 494, pp. 161-78. 19 Il Libro del Cortegiano cit., libro I, incipit del cap. IV, p. 85.
6 «Ritrovandomi adunque in Ispagna ed essendo di Italia avvisato che la signol'a Vittoria 20 Anche nella seconda redazione, s'intende, Emilia Pio funge da <i maestra de tutti» (GH,
dalla Colonna marchesa della Pescara alla quale io già feci copia del libro, contra la p1'0- I, IV, p. 8) ed il quarto capitolo, a parte la frase introduttiva - che è, abbiamo visto,
1
messa sua ne avea '
fatto transcrivere una gran parte, non potei• non sentirne
•
qualchfe ~- trasposta dal n1 capitolo - si snoderà senza altre significative differenze. Ma ciò che
stidio, dubitandomi di molti inconvenienti, che in simili casi possono occorr~re)> ~Il Li- qui importa notare, è la mutazione contestuale e funzionale di quella trasposizione, la
bro del Cortegjano cit., Dedica a Don Michel De Silva, I, pp. 68-69). Anche qui la distan- diversa valenza simbolica di quel «libro d'ore».
za è doppia, dell'autore dal libro, come prima del testimone dal dialogo (c_fr. nota ro). 21 Il Libro del Cortegiano cit., I, v, p. 87. La seconda redazione insiste sull'aspetto «alle-
1 Il Libro del Cortegiano cit., Dedica a Don Miche! De Silva, I, p. 68. Il corsivo è nostro. gorico» (quasi di reale costruzione di senso, anziché di dissimulata eleganza) di quei «ve-
La nascita del modello Il Libro del Cortegiano: cornice e ritratto 41
lami»: «ne li quali sotto varii velami, alcuna volta scoprivano i circumstanti allegorica- in meggio incatenato uno Amore. [...] E cosl presero una spada da due mani per uno, et
mente i pensieri suoi a chi pill loro piacea» (GH, I, v, p. ro). fecero una bella moresca con quella. Apresso tolsero una targa da pugno, con la spada
22 Il Libro del Cortegiano cit., I, VI, p. 89 ("' GH, I, v11 p. r r). da una mano, et fecero l'altra moresca, nella quale se ammazorno tutti, excetto che uno
21 <(E furono alcuni, i quali, tratti dalla dolcezza di questa compagnia, partendo il Papa e
il quale fu l'amante di quella donna. Et cosf fu finita la festa, assai bella invero» (Casti-
la corte, restarono per molti giorni ad Urbino» (Il Libro del Cortegiano cit., I, VI, p. glione, lettera a Federico Gonzaga, da Roma, del 13 febbraio 1521; in GLR- n, 506-,
89 == GH, I, VI, pp. ro-rr). pp. 714-20; le citazioni allepp. 714, 716-17).
24 Cfr. Alan Freedman, Il cavallo del Boccaccio: fonte, struttura e funzione della metanovella H «La peste invero fa pur gran danno, ma non è ancor entrata in persone nobili: gran cru-
di Madonna Oretta, in <(Studi sul Boccaccio», IX (1975-76), pp. 225-41. Sulla predica- deltà è, perché quasi tutti quelli che se amalano ancor d'altro male sono lassati morire
bilità dell'artificio a una piri generale tipologia degli indici di costruzione e di destina- di fame e necessità, perché ognuno li rifuta [...].Io sto qui in Belvede1:e 1 loco remotis-
zione della testualità, cfr, Maria Corti, Il viaggio testuale. Le ideologie e le strutture semio- simo e sicurissimo, e non prattico se non con pochissimi» (Castiglione, lettera ad Aloisia
tiche, Einaudi, Torino I978, pp. IO-I 1. Castiglione, da Roma, del 12 agosto 1522; in GG- n. 27-, pp. 41-44; le citazioni alle
pp. 43 044).
2:; Il Libro del Cortegiano cit., IV, LXX, p. 54I.
26 Cfr. lettera ad Aloisia Castiglione, da Roma, del I6 marzo I503; ora in B. Castiglione,
«È vero che pochi homini di cunto sono morti, ma questi poveretti cascano come le fo-
glie de gli alberi quando vien l'invernoi> (Castiglione, lettera ad Aloisia Castiglione, da
Le lettere, a cura di Guido La Rocca, tomo I (1497 - marzo I521), Mondadori, Milano Roma, del 24 ottobre 1522; in GG - n. 32 -, pp. 51-52; la citazione alla p. 51),
1978, p. 17 (lettera n. 13).
«La peste non fa troppo danno, almen in persone che se ne parli: pare che quasi tutta sia
n Si veda la fondamentale recensione di Carlo Dionisotti a Vittorio Cian, Un illustre nun- ridutta tra li Giudei e Corsi che stanno Transtevere, pe1'ché son gente mal regolati» (Ca-
zio pontificio del Rinascimento: Baldassar Castiglione, Città del Vaticano 1951, in <,Gior- stiglione, lettera ad Aloisia Castiglione, da Roma, del 26 aprile 1524; in GG- n. 49-,
nale Storico della Letteratura Italiana», cxxix (1952), pp. 31-57. Sulla funzione ideo- pp. 68-69; la citazione alla p. 68),
logica e letteraria della visita del Castiglione a Roma nel 1503, si vedano in particolare n «Al corso delle cavalle quella di Vostra Ex.ria subito se mise inanti, e quella dello Arci-
le pp. 41-45. vescovo di Nicosia era seconda, et cosi vennero sempre. Quando forno a dirittura del
'" Ibid., p. 48. Borgo, quella di Vostra Ex. li prese tanto vantaggio che, quando e1'a al palio, quella di
29 Su queste progressive mutazioni interne di struttura, e di funzione dei materiali, nelle Nicosia non era ancor alla fontana, et quando il paggio fu per tocare il palio, un bale-
varie redazioni e stratificazioni del Cortegiano, si vedano le fini osservazioni di Ghino striere di quelli dil barisello se interpose tra il palio e la cavalla, tanto che 'l paggio non
Ghinassi, Fasi dell'elaborazione del «Cortegiano;>, in <~Studi di Filologia Italiana», xxv poté tocarlo, e sopragiunse quella di Nicosia e toccò, et fulli datto el palio.[ ...] Doppo
(1967), pp. 155-96; sul tema in questione, in particolare le pp. 173-75. molte parole quel balestrero fu messo in pregiane, et èvvi ancor, et el Senatore et el Go-
3o Castiglione, lettera a Federico Gonzaga, da Roma, del 30 marzo 1521, in Le lettere cit.
vernatore mi hanno promesso che 'l non si partirà di là (prima} che 'l farà un palio a pon-
(lettera n. 539), alle pp. 766-67; la citazione alla p. 766. to, come quello~che l'ha impedito. Io deside1'avo piU che 'l fosse impicato, o almeno
31 Il Libro del Cortegiano, Dedica a Don Miche! De Si/va cit., p. 73, Sulla centralità di que-
quattro o cinque tratti di corda, e subito poi fosse messo in galea» (Castiglione, lettera
a Federico Gonzaga, da Roma, del 13 febbraio 1521; in GLR- n. 506-, p. 716).
sta teoria linguistica nel Cortegiano, insisteva già Giancarlo Mazzacurati, in Misure del 36
classicismo rinascimentale, Liguori, Napoli 1967, specie alle pp. 53 e sgg. «Et un'altra cosa vottei: questi gentilhomini tutti hanno un mantello da acqua alla spa- I
gnola, che è non troppo lungo, che basta che copra solamente el saio, con un bavaretto
n Oltre ali' edizione ora procurata con grande scrupolo ed erudizione da Guido La Rocca, et un collarino cusito dentro che se accosti al collo; el mantello vole esser tutto tondo,
occorrerà ancora rifarsi, per un buon gruppo di lettere familiari posteriori al marzo 1521 e perché a Mantua ne sono molti, Mr 0 Ant(oni)o saprà molto bene come ha da esser.
a: B. Castiglione, Lettere inedite e rare, a cura di Guglielmo Garni, Ricciardi, Milano- Vorrei adonque che V.S. me facesse cercare d'un panno bon d'acqua, che fosse misto,
Napoli 1969, Per le due edizioni si adotteranno, nelle note seguenti, le due sigle GLR purché tendesse al scuro o tanè scuro, o come si fosse, e far che m.ro Ant(oni)o me lo fa-
(ed. La Rocca), GG (ed. Gocni). cesse subito alla misura della lunghezza del saio, a quella foggia che ho detto; vorianle
33 «Dirò adunque prima delle feste, le quali sono passate non con molta belleza né caldez- intorno due listete de veluto negro larghe un detto, et intorno al bavaretto, e fosse ve-
za, ma si con grande frequentia di popolo, perché Roma è pienissima di gente. N."' S. 0 "' luto novo e bono. [. .. ] E perché la mia vesta de zambellotto è troppo lunga, vorrei che
è stato sempre in Castello insino al lune di sera, dove ha havuto piacere di vedere pas-
sare mascare, musiche e moresche, benché però cosa molto excellente non si è fatta. Il'
sabbato Sua S. 1ilà fece lottare nelle fosse dii Castello per un buon spatio. Forno lotta-
tor, gagliardi villani di questo paese, alcuni svizeri, guasconi et altri tali, pure tutti per-
V .S. facesse che m."' Ant(oni)o ne tagliasse via un palmo de sotto, e eh' el non guardas-
se de stringerla, perché in ogni modo la è troppo larga». Questo scriveva il Castiglione,
stando «continuamente in motu» ed in battaglia, ancora alla madre, da Pianello, il 24
settembre 1523 (cfr. GG, pp. 59-60). Sulle disposizioni d'animo del Castiglione «in ca-
r
I
sone di poco grado.[. .. ] La dominica di sera, in Castello, li Sanesi fecero una moresca stris contra Gallos » si vedano anche le osservazioni di V, Cian, Un illustre nunzio pon-
nel cortile, assai bella, la quale fu di questa sorte che, poi che fu notte, li morescanti, che tificio del Rinascimento; Baldassar Castiglione cit., pp. 99-101.
erano otto giovani sanesi, vennero in Castello accompagnati da circa cinquanta servi- 37 Castiglione, lettera ad Aloisia Castiglione, da Roma, dell'11 gennaio 1522; in GG -
tori, tutti in giuppone di raso e calze ad una certa loro livrea, e gran torze in mano, et n. 20-, pp. 32-33; la citazione a p. 32.
cosi se misero nel cortile dii Castello et allargorno uno pavaglione di raso berrettino, sot- 38 «Dico che a noi altri ancora è nota la maniera academica dello scrivere in dialogo e sap-
to il quale erano li morescanti. El Papa stava con molti altri signori alle finestre che ri- piamo che il costume de' platonici era sempre il contradire e non affermar mai cosa al-
spondono sopra il cortile. La moresca fu di questa sorte, che prima use( una donna, la cuna» (B. Castiglione, Risposta al Valdés, edita ora da Bruno Maier, in Castiglione,
quale con certe stantie in octava rima pregò Venere che gli volesse dare uno amante de- Il Libro del Cortegiano con una scelta delle Opere minori cit., pp. 651-99; la citazione alla
gno, e, cosf detto, se ne tornò. Dipoi a suono di tamburino cominciò dal pavaglione p. 671; sulla datazione dell'opuscolo, si vedano le note del Maier, p. 652, nota 7, e p.
uscire la moresca, che era otto heremiti, li quali in habito griso, ballando, se menavano 651note1-3).
42 La nascita del modello
conclusioni del Gilio, per cui la lingua cortigiana è la sola «vera lin- . ·i'
gua»". Ma, piu in profondità, una lingua che per offrire «una certa
Se la lingua del Cortegiano co · ,
maggior autorità alla scrittura» arrivi a suggerire «un poco, non dirò di ca» della koiné che inaugurava /?;{~ attraverso la «maniera academi-
difficultà, ma d'acutezza recondita»", sarà strumento omologo e neces-
sario a quell'arte dell' «arguzia>>, della «dissimulazione» che, dalla re-
recondita» dei trattati d'i ' I J
e parabola che va dalla «acutezza
tassiana legando sm· dal!' mpr_ese «pieghevole artificio» della prosa
i
i
dazione definitiva del Cortegiano al Malpiglio tassiano, s'imporrà come · .' ongme teona c rt" · M . .
mmore mfluenza avranno er 1 il o 1g1ana e aruensmo. non I
essenziale «avvertenzìa·», regimen del vivere a corte, e norma implicita e le -sillogi che, per altre « spu~esvallppo ddei sinffg~li generi, i paradigmi
df
delle «Conversazioni». Una lingua allusiva per un comportamento sem- tegiano. · · · » a mo a, o manna i libri del Cor- ''
pre piu chiamato a «infinger» (Tasso): paradigmatiche sono, al riguar- I
'
le «invenzioni ingeniose»" infatti culmineranno in una tattica, reticen- stiglione contribuirà con :ra o:mayano coi_ne ?e?er:"' al quale il Ca-
te, della «dissimulazione», ben piu studiata che non l'iniziale «tanto quecento, sino al Lomazzo'~ enti e soluz10ru c1tat1 per tutto il Cin-
modestamente» con cui si chiudeva, in sobrio distacco, la «parata» del
Cos{, nel terzo libro il «formar d
cortigiano: °:o? risponde solo alle e;igenze di co'/i;;:st~ onna ~i palazzo,» (III, m)
e se vorrà toccar qualche cosa che sia in laude sua propria, lo farà dissimulata- s1z1one» che renda piu perfett I . nd~tas, alla figura dell «interpo-
d a a grazia 1 « cort · · "
e_un p~rcorso genetico del testo stesso d 1C eg!anta» ; ma conclu-
mente, come a caso e per transito e con quella discrezione ed avvertenzia, che
31
ieri ci mostrò il conte Ludovico ; ch1este mtorno alle «donne antich e ortegtano, dalle prime in-
e se vorrà tocc~re qualche cosa che sia in laude sua propria, lo farà sempre-um- che fossero state dare in qual . ~venendo ~chor fin ala età nostra
castitate, o in constantia»J1 allavo_., a cosa, o in lettere, o in arme, o~
to modestamente che chi udirà penserà che a caso e non a posta sia in tali ra-
gionamenti entrato, e spesso parerà che fuggire gli voglia, seben gli seranno
fesa delle donne" sino al éI pm ru:gomentata Lettera al Frisia in di-
gratissimi 32 •
«donna di palazzd,, con la c~kb e c?ngmng!mento delJa tematica sulJa
Una lingua della dissimulazione, disponibile alle «invenzioni ingenio- gno non piu d'Ovidio (o di B razi~ne dell ~more spirituale, sotto il se-
se»,riiaaofata ancne aì quelr «acutezza recondita» ci>é fornisca concet- t~atta solo di sintetizzare mat~~i';ilic~?) mll d1 Pl~'.one. Anche qui non si
ti e argomenti a «chi disputa ne le corti», come iiriverà a concludere il g10 all'Equicola"; ma piuttosto d" gll sv .uppat1 m prec~denza, dal Go-
Tasso; una lingua appunto plasmata secondo la «maniera academica ' I r ancrare una tematica che proprio
La nascita del modello Il Libro del Cortegiano: esemplarità e difformità 51
in quegli anni ritrovava, sotto il segno del platonismo, pili fiorente suc- Et a queste tali bruttezze si ridurranno tutte le burle e beffe che scrive il
cesso" in un arco che va da Erasmo allo Speroni. Boccaccio et il Cortigiano, e parimente tutti i ridiculi e facezie e sali che sono
stati da Tullio, da Quintiliano, dal Boccaccio, da Poggio, e dal Cortigiano rac"
Non stupirà quindi di ritrovare il Cortegiano stesso, sin dalle sue pri- colti 48 ;
me edizioni, dedicato e letto come libro per le donne, cosi che «a tempo
il possiate a vostro bello agio portare in seno, ed avere a mano», come - e si noti che quella è l'unica volta in cui viene esplicitamente citato il
concludeva, sin dall'edizione del 1533, Francesco Asolano aggiungendo Castiglione in tutti i libri della Poetica trissiniana -, e poi ribadito, nei
al testo una vivace prefazione «alle Gentili Donne»", del Cortegiano loro trattati, dal Maggi" e definitivamente dal Riccoboni:
«prime e sole Autori» e insieme privilegiate destinatarie. Et hoc modo tollatur difficultas illius quaestionis a Cicerone propositae,
Anche la fortuna europea del Castiglione sarà spesso legata alla ricca utrum ridicula pertineant ad artem an ad solam naturam, quod eruditissi-
e sistematica collezione di esempi, alla paradigmatica casistica sulle don- mus Vincentius Madius notavit in sua De ridiculis disputatione, guae legen-
ne depositata in particolare nel III libro del Cortegiano, come mostrerà, da est illis qui copiosiorem hac de re doctrinam habere cupiunt, cum tracta-
in pili luoghi, lo stesso Montaigne, citando direlttamente, tra l'altro, tione Aristotelis lib. 3 Rbetoricae de urbana elocutione, et Ciceronis lib. 2
De oratore ubi sub persona Caesaris disputat de facetiis, et Macrobii lib. 2
l'incipit del capitolo xxv, osservando, nei suoi Essais, che «Le senat de Saturnaliorum, ubi multorum iocos ac dicteria colligit, et Balthesaris Casti-
Marseille eut raison d' accorder la requeste à celuy qui demandoit per- lionei, et aliorum 50 •
mission de se tuer pour s' exempter de la tempeste de sa femme »".
Ma se le questioni d'amore e le dispute sulla natura e sul ruolo della Non si tratta qui, a nostro avviso, del consolidarsi di un canone e di
donna, a lungo incerte tra la tipologia dell' ars amandi e la «maniera aca- una fortuna legati a una lettura «di superficie» del Cortegiano: in realtà
demica» dell'amor platonico, finirono per segnare, nell'aggregazione te- se il cortigiano è espressamente da «formar con parole», esso si formerà
matica del trattato la traccia di frattura tra l'origine cortese e la matu- intanto con ed in quei generi in cùi la parola è la sostanza stessa (e non
razione politica dei' fini del Cortegiano, distribuendosi infine tra il III ed solo veicolo o strumento), epifania della propria arte: la facezia, il mot-
il IV libro (natura delle donne e funzione della «donna di palazzo», va- to, il bischizzo sono per natura mera costruzione, ostensione, gioco di
lore della bellezza e dell'amor spirituale); ben altra compattezza e for- paròle, manifestano insomma quei «contrastfd'ingegno» (teorizzati poi
tuna mostrerà quello che si costituisce veramente come «libro nel li- dal Tasso) che sono ormai gli unici «convenienti» a chi serve e «conver-
bro », summa esemplare di un genere ormai giunto alla sua piena matu- sa» a corte. Essi soli sono in potere di chi sappia «instituirsi» nelle «ma-
tazione, l'organico trattato su facezie, motti, bischizzi, burle, etc., che niere academiche» della retorica, per trasformare la vanità di quel ruolo
\ occupa cospicua parte del libro II del Cortegiano (capp. XLII-XCIII), e fa «faceto e risibile»" in un artificio dissimulato, in un callido (e presto
'èla cerniera all'introduzione della tematica specifica sulla donna. manieristico) gioco di «arguzie».
Ora, anche qui, il Castiglione non compie soltanto una sintesi me-
morabile delle fonti classiche (Cicerone, Quintiliano) od umanistiche
(Pontano) sottolineata dai commentatori"; né si limita a divulgare per 3, «Uccellar sottilissimamente alle parole»: paradosso e catalogo,
tutto il Cinquecento, sino a Montaigne ", la raccolta pili elegante del
genere, il Facetiarum liber di Poggio Bracciolini giunto già a sei edizioni
alle soglie del Cinquecent_o", mentre intanto conoscevano nuovo suc- Ma queste «facezie», «arguzie», hanno luogo, e cosi ampio spazio,
cesso editodale, nei primi lustri del nuovo secolo, le raccolte del Cor- non solo perché sono pertinenti a quel modo peculiare dell' «essere a
i nazzano o di Arlotto Mainardi", Ma il Cortegiano opera, in questo corte» che è il «conversare», ma in primis perché rappresentano e signi-
campo, anche una rigorosa opera di definizione teorica, come la celebre fica~o! nella for~u~a pili letterale.' un «~armar con parole» (i.I per~ett'\
distinzione tra «festività» e «arguzie»", per cui nella trattatistica reto- cortigiano) che e - e proposto e s1 deve inscenare come - «gwco mge- 1
nioso»". Ora, se si ritorna dalla ricezione cinquecentesca alla struttura I!
rica del Cinquecento sarà dato di trovare il Castiglione piuttosto come
autorità «de ridiculis» che come teorico della lingua o dell' «instituzio- interna dei «giochi ingeniosi» del Cortegiano, si può agevolmente osser-
ne» del principe, Il valore canonico, in tale materia, del Cortegiano sarà vare che - tra i generi eletti e le« belle questioni» evocate - l'unico in
presto stabilito dal Trissino: cui i discorsi del dialogo si autopropongano già come paradigmi esem-
52 La nascita del modello Il Libro del Cortegiano: esemplarità e difformità 53
plari del libro, e l'esemplificazione altrove declinata in casi e citazioni la celebrazione rituale (nella cornice di una «convenzione» retorica, en-
si formuli subito in ideale grammatica, è quello della «lingua»: tro la «maniera academica» del darsi regole col solo fine di svolgerle in
Io non sono qui - rispose el conte - per insegnarvi né a parlare né a scrive- discorso, in «gioco di parole») dell'unico che sarà prescelto come con-
re; pur se a me si desse fede, direi che parlare e scrivere si devesse, come fac- gruo al patto iniziale, che cos{ dettava:
ciam or noi ~ 3 •
Signora mia, poiché pur a voi piace ch'io sia quella che dia principio ai gio-
Essa potrà affermare la propria esemplarità (nel «gioco ingenioso» chi di questa sera, non possendo ragionevolmente mancar d'obedirvi, delibero
proporre un gioco, del qual penso dover aver poco biasmo e men fatica; eque-
che è il «formar con parole» il perfetto cortigiano), proprio perché il sto sarà eh' ognun proponga secondo il parer suo un gioco non pid fatto; da poi
«gioco di formare» sarà esso stesso in una lingua «di giochi, di motti e si eleggerà quello che parerà esser piU degno di celebrarsi in questa compagnia 60 •
di burle», entro una perfetta circolarità tra ruolo del cortigiano e fun-
zione della lingua che Io forma, e ch'egli articola: ' Se non si parte da questa richiesta a priori, di un raddoppiamento
che si finge e si smente (il gioco consiste nel proporre un gioco mai fat-
Anzi da ognuno sarà inteso, - rispose il Conte-, perché la facilità non im-
pedisce la eleganzia. Né io voglio che egli parli sempre in gravità, ma di cose to, e che dunque gioco non è, se non come virtuale matrice d'«altro»
piacevoli, di giochi, dì motti e di burle, secondo il tempo H. 'gioco, quello che realizzi, in gioco, il gioco proposto), da questo «uccel-
Il gioco eleaQ_d_Ll<!ormar co1U2arole» (e il ruolo che ne consegue) si
:1ar sottilissimamente alle parole», non s'intende la natura paradossale, ,,
di calcolato paradosso, che sorregge la «maniera academica» di tutto il
comJ.>orrà dung~~A!Je nei) gioçhl.di J;>arQI~, «quegli [che] hanno bonis- trattato,-come corifermàìia: emblematicamente,. nella seconda redazione, ! :
sima grazia», i «bischizzi», I' «interpretare i nomi»". La lingua della il prologo al secondo libro, ove la natura, che è per essenza madre delle : !
«grazia» cosf non sarà piu, nella quete di un modello che sia anche mo- mutazioni e della variabilità, giocava al paradosso di non variare - per
dulo linguistico, quella del sublime, della rapita orazione del Bembo, del confermare la sua mutevolezza - (cosf come la miglior maniera di gio-
suo icario/dedaleo volo platonico: care sarà quella di giocare a propor giochi non piu fatti): I
Voi - disse - tutti avete stimolato messer Pietro a dire, et or che egli è in- Ma par che la natura, per mostrare meg1io quanto ami la varietà, non vo-
trato in cose tanto excellenti e belle, non lo lassate parlare». Rispose ridendo glia sempre essere varia, acciò che dir non si possa che sia stabilita e ferma in I
messer Cesare Gonzaga: «Signora, noi non vorrìmmo fare come Icaro; però la- questo, di essere in tutte le cose varia 61 •
sciamo, per amor de Dio, queste altezzeì>. Soggionse la signora Duchessa:
1:
«Tanto buone ali ce darà messer Pietro, che ce farà tutti Dedali; però non lo A ragione dunque Rosalie Calie poneva il Cortegiano ad apertura e ad
interrompete' 6 ; · eloquente illustrazione dei suoi Paradoxia epidemica:
l I
ma, nonostante l'iperbole della seconda redazione, toccherà a Dedalo Like the court of Urbino, Castiglione's book offers the proper environ- I,
discendere, tirato dalla signora Emilia «per la falda della robba»'', nei ment for paradox, concerned as the book is with the rules of «games» for eve-
rything in !ife (from stone-throwing lo choosing and living with a wife). The
regni piu congrui della «mediocrità» e di quella medietà linguistica che sprezzatura that informs the book is the very quality essential to a paradox's
si esprime nella quete misurata, e ironica, di un «motto argutissimo eri- life62.
sibile»", nei sottili giochi dei «contrasti d'ingegno», là ove, nella selva
della lingua e dei comportamenti, «bisogna essere avvertito ed uccellar 'Il valore paradossale della «sprezzatura» (che consiste nel dissimulare
sottilissimamente alle parole»". come «naturale» un atteggiamento costruito col massimo di artificio, ,I
Di piu, il «gioco» del Cortegiano non si manifesta e reàlizza solo nel- ,di studiato esercizio) emerge dal nucleo stes~o - che satura le contrad- ':I
I
le «sottilissim~» dispute di parole.che lo «formano» come libro e come dizioni nel neologismo della lingua - di quel gioco paradossale, propo-
ruolo, ma già all'inizio s'impone su un paradigma piu largo di giochi sto all'inizio: !usus e laus da «celebrar.si» come altri giochi self-sufficient
proposti, di possibilità enunciate e rimosse, che fungono sia da matrice della retorica:
generativa che da chiave ermeneutica di tutto il trattato .. Lo schema Qui si vederà il vostro ingegno; e se è vero quello ch'io già ho inteso, esser-
narrativo infatti, che muove tutto il Cortegiano, si fonda su un gioco (al- si trovato omo tanto ingenioso ed eloquente, che non gli sia mancato subietto '!
per comporre un libro in laude d'una mosca, altri in laude della febre quarta-
la lettera e in metafora) di raddoppiamenti e sdoppiamenti, che inciderà na, un altro in laude del caJ.vizio, non dà il core a voi ancor di saper trovar che
poi sulla funzione/finzione simulatrice di tutti i «giochi» proposti, e sul- dire per una sera sopra la cortegiania? 63 •
I'
La nascita del modello Il Libro del Cortegiano: esemplarità e difformità 55
Solo in tale prospettiva «par~dossale», del resto, di un discorso di rispondendo come figura a «vita! morte» - l'irresponsabilità dell'una
totale «autoriferimento», come ostensione ma autocritica («Paradox as rifletterà l' astoricità dell'altra, l'una nell'altra rivolvendosi e risolven-
an intellectual construct is self-critical, both of its technique and its dosi come frutto di quell'«impazzire nel pensate»'" che distilla «ma-
matter [ ... ] paradoxes are in one sense entirely self-sufficient in their nfa» e «maniera».
self-reference»)", si può intendere la perfetta e inquietante pertinenza Il paradosso congiungeva cosf, ribaltandoli l'uno sull'altro, i discor-
- al gioco di Emilia Pio e alla struttura retorica del libro - del propor- si, i «ragionamenti» estremi del trattato: pazzia e contemplazione, dé-
si, come argomento e compimento, quella «perfezion di publica pazzia» raison terrena e follia divina; ed in questo rovesciamento non solo i di-
che «risvegliata possa multiplicar quasi in infinito»", quella follia che scorsi si permutavano, ma anche i loro portatori, le personae del dialogo
sola condivide - tra i temi proposti - con il «formar il cortegiano» il ed i loro ruoli sociali. Cosf il Bembo si farà emblema eloquente, e per
privilegio di «perfezione». L'enunciato stesso testimonia, al piu alto specularità vittima, del paradosso, se i suoi modelli ed egli stesso do-
grado ossimorico («perfezion /di pazzia»), la struttura paradossale del vranno risolversi nella copia deforme, nella perfezione à l'envers, del
gioco proposto, e contribuisce in maniera decisiva a collocare il gioco di Grasso de' Medici:
«formar con parole» un cortigiano tra la perfezione della follia e le lodi
del «calvizia», come prescriveva la tradizione del genere", e come ve- credo che al mondo non sia possibile ritrovar un vaso tanto grande, che fosse
capace di tutte le cose, che voi volete che stiano in questo cortegiano -. Allor
niva in sostanza letto e associato, in quegli anni, lo stesso Encomion di . il Conte: - Aspettate un poco - disse-, che molte altre ancor ve ne hanno da
Erasmo, secondo il testimonio, tra gli altri, dell'edizione frobeniana del essere -. Rispose Pietro da Napoli: - A questo modo il Grasso de' Medici
1522, appunto intitolata: averà gran vantaggio da messer Pietro Bembo 11 •
Stulticiae laus, cum Listrii commentario et epistula apologetica ad Martinum
Dorpium, una cum ludo L.A. Senecae de morte Claudii, Synesii libro de laudibus
L'arguzia (nel senso tecnico di II, XLIII) del paragone risolve ancora
calvitii, S. Phrea interprete} cum scholiis Beati Rhenani. una volta in discorso, in «maniera academica», la cifra essenziale del
trattato: atteso che, nell'economia del libro, la perfezione del «cortegia-
Ma la natura del paradosso richiede che i giochi siano non solo per- no »si sorregge su una paradossale finzione d'equivalenza, basandosi
fettamente speculari,_c9_ll)e.quclli- almeno secondo le sottili didascalie appunto su una «sprezzatura» che tende a emarginare (se non elimina-
apposte aa1 Dolce·--sµ_gll"-riti,_ neLcapp, X-XI del libro I, da Ottaviano re), per ostentazione di «facilità» e naturalezza, il lungo catalogo di
Fregoso e da Pietro Bembo: esempi, giudizi, virru, citazioni, che la compongono e la «formano», fa-
Giuoco VI, proposto dal s. Ottaviano: per qual sorte di sdegno vorrebbe cendo sf che il modulo del Cortegiano derivi da eletti J?J.rdfjjj, dal loro
l'amante, che la sua donna si adirasse seco. ·catalogo fatto paradigma, come già Zeusi, per fare <<Una sola figura ec-
Giuoco VII, propostò da m. Pietro Bembo: da qual cagione doverebbe vo-
ler lo amante che nascesse lo sdegno della Donna, che fosse seco adirata 67 ;
cellentissima di bellezza», mise insieme i tratti'delle cinque fanciulle pili
belle di Crotone".
ma anche perfettamente reversibili. •Cosf la follia, che inaugura i giochi- Ma la «sprezzatura» è paradossale neologismo, <mova parola», men-
paradosso mostrandosi sìibtto self-critical e self-su/ficient («Però vorrei tre il catalogo, come epifania della citazione, è il paradigma della tradi-
che questa sera il gioco nostro fosse il disputar questa materia e che cia- zione, il canone che costituisce e rende riconoscibile un genere, ed è
scun dicesse: avendo io ad impazzir publicamente, di che sorte di pazzia quindi dotato di ben pili forte esemplarità, attraverso la produzione de-
si crede ch'io impazzissi e sopra che cosa, giudicando questo esito per gli exempla, che quella precaria dissimulazione «che nasconda l'arte»",
le scintille di pazzia che ogni df si veggono di me uscite»)", potrà an- ma che lascia alla fine trasparire lo «sforzo», la «fatica» di nasconderla,
che chiudere, in esemplare specularità e reversibilità, il gioco del Cor- la sforciatura, per il troppo «pensarvi» (come prima si poteva «impaz-
tegiano, nella divina alienazione perorata dal Bembo («e noi da noi stes- zire nel pensare»), che rende paradossale - e dunque reversibile
si alienati, come veri amanti, nello amato possiam transformarsi, e le- nell' «affettazione» - ogni «sforzo» di sprezzatura:
vandone da terra essere ammessi al convivio degli angeli, dove, pasciuti
Non v'accorgete che questo, che voi in messer Roberto chiamate sprezzaM
d'ambrosia e nèttare immortale, in ultimo moriamo di felicissima e vita! tura, è vera affettazione? perché chiaramente si conosce che esso si sforza con
morte»)": pareggiate nello stess.? ossimoro- «perfezion di pazzia» cor- ogni studio mostrar di non pensarvi, e questo è il pensarvi troppo 74 •
La nascita del modello Il Libro del Cortegiano: esemplarità e difformità 57
Poiché paradossale, rimane dunque precaria la normatività del Cortegia- «esempi», la serie dei «giuochi» che si conclude nel «motteggiare» e nei
no, la sua «sprezzatura»; non, nei lettori contemporanei, il suo catalo- «motti», sino alla finale «Utilità del riso» con cui si chiude il catalogo
go, la sua esemplarità, metanarrativa, di coagulo di trattati, la sua au- e si suggella il senso del libro".
torità di canone delle citazioni alla moda, degli argomenti da «conver- Ma la «Tavola copiosissima» è ben pili che lapparato sommario per
sazione» di corte. paradigmi di memorabilità: essa fornisce alla lettura una traccia, dise-
La «sprezzatura» insomma è cosi labile, cosl_cli~itJ:m!llta, cosi «no- gna, sotto e prima del «ritratto», una trama di ricorrenze e d'equivalen-
va» - rispetto alla consolidata tassonomia del catalogo - da non com- ze, entro le quali non solo la« sprezzatura» non «ha luogo», ma anche
parire neppure ad vocem, per la memoria e per il comportamento del- la pili cauta «discrezione» si perde tra le rubriche, senza distinzione nel-
l'uomo del Cinquecento, nella pili importante e nella pili ricca «Tavola l'elenco (e nel nuovo «ordine» alfabetico) disponendosi «Grandezza
di tutte le cose notabili contenute in questi quattro libri deLConegia- d'animo e mansuetudine; Grasso de' Medici; Grosseria d'un bresciano;
no», nelle 32 fitte pagine con cui il Dolce rubricò nel 1562 tutto il trat- Guido Ubaldo duca di Urbino; Guido Ubaldo infermo di podagre; Gui-
tato con un puntiglio di notomista e la virtuosità casistica d'un cerimo- do Ubaldo dottissimo»"'.
niere, tali da rendere il libro pili repertorio ormai che trattato, elenco L'ordine del catalogo, per la lettura, ha cosi dissipato, nella stridula
che si raccomanda alla consultazione, pili che alla 1ettura, man;,ale di dissonanza di tutto il «raccontato» come «enumerabile», la «maniera
comportamento che sciorina una materia tutta classificata, catalogata, academica» della scrittura; ma non si tratta solo del rovesciarsi dell'e-
sminuzzata in gesti e «maniere», in frammenti immediatamente dispo- semplarità nell'eccesso della difformità, per cui appunto l'unica citazio-
nibili tanto ali' occhio inquisitore dello scrupolo, quanto alla dilatazione ne obliqua della «sprezzatura» è ormai sotto il segno della sua dismisu-
«maravigliosa» del cannocchiale barocco. ra: «La troppa sprezzatura è affettazione»"; anzi, il catalogo del Dolce
Proprio perché deputata a «nascondere l'arte», la «sprezzatura», insinua anche, ed oltre leccesso nomenclatorio, una nuova normatività,
emblema del Cortegiano, non può «aver luogo» tra le «Cose notabili», quella del precetto e dello scrupolo. In verità moltissime rubriclle Clèlla
estensibili appunto alla memoria: di fronte alla triplice ricorrenza del «tavola» rion ricordano ma prescrivono, non segnalano, piuttosto am-
suo contrario, I' «affettazione», ed al richiamo alla «Discrezione condi- moniscono: «Come si dee ... », «Deesi fuggire ... », «Donna non dee ... »,
mento d'ogni cosa»", alle «moralità belle»", la sprezzatura, specchio «Giova alle volte ... », «In che consiste principalmente ... », «In che mo-
paradossale, si frammenterà, senza pili la possibilità né il fascino della do si fugge ... », «lnsino a quanto si dee ... », «Non si conviene ... », «Non
mediazione, tra l' «affo_t_tazione» e la «discrezione», tra la pompa e lo si dee ... » «Non basta... », «Nella guisa, che si dee ... », «Per qual cagione
scrupolo. - · non si dee ... », «Quanto importi. .. », «Quanto si dee procurar ... »,
Né sono, quegli indici, «moralità belle» aggiunte dal Dolce alla vi- «Quello che si conviene ... », «Quello che si dee osservare ... », «Si
gilia della conclusione del Tridentino: sin dal 1541 infatti il Cortegiano dee ... », «Si dee fugire ... »,«Tutti abbiamo qualche macchia»".
viene ormai pubblicato come catalogo, «con la sua Tavola di nuovo ag- Certo anche nel Cortegiano esiste una diffusa P!'."§_crittj_yit~: .II!~ @e-
giunta»", sino ai successivi interventi «dilatatori» del Dolce: del 1556 sta è velata sotto lenimenti s_intattici _di vario tipo («Qual di voi è che
è la sua prima edizione del Cortegiano, postillata («e nel margine apostil- non rida quando: .. », «Qual occhio è cosi cieco, che non vegga ... »,
lato, con la Tavola»)"; nel 1559 la ristampa «con l'Aggiunta degli Ar- «Poiché voi volete pur ch'io dica, dirò ancor dei vicii nostri», «Ma chi
gomenti»", nel l 562 infine ledizione completa di postille, argomenti, scrivesse, crederei ben io che facesse errore non usandole ... », «E parmi
e della nuova «copiosissima Tavola». che chi s'impone altra legge non sia ben-sicuro-dfoorì lrìcorrere in quella
Se si scorrono quelle 3 2 pagine di indici, troveremo intanto, in bel- affettazione tanto biasimata ... », «Non voglio già negar che non si tro-
i' ordine registrati, qul'i ge_ned e quegli exemplq che abbiamo visto for- vino ... », «Ma sia il cortegiano, quando gli vien in proposito ... »), miti-
nire nel Cortegiano il canone dell'esemplarità, e dunque la «Ambiguità . gata dalla considerazione dell'opportunità di adeguarsi alle «mutazio-
acutissima nelle facezie_» che ne regola il catalogo sino alle «F~cezie di ni», di non trascurare «quanto la natura cosi nelle cose piccole come
un detto solo»'"; la «bellezza delle donne» elencata copiosamente, poi- nelle grandi sempre di varietà si diletti»".
ché appunto la «Bellezza-si può godere in esempi»"; e poi le «Burle e Ma nel registro del Dolce tutto è pesato, contato, diviso: la norma
la loro qualità», i «costumi», i «detti», gli «esercizii d'innamorati», gli di un'elegante influenza, attraverso il paradosso della« sprezzatura>>,
La nascita del modello Il Libro del Cortegiano: esemplarità e difformità 59
dell'abito culturale sul comportamento sociale, diviene precetto etico Perché da una parte è [scil.: il Cortegiano] ripieno di tanta vaghezza e leg-
da misurarsi non pili in base all'eletta novità, ma ad una prudente «con-· giadria, che gli uomini dotti e scienziati della sua lezione, quasi di bellissimo
venevolezza». Pesata tra «Quanto possano i denari» e «Quanto vaglia- giatdinoi pet onesta ricreazione si possono servire; e dall'altra è di tanti avver-
timenti copioso, che al conversare con i grandi sono necessari, che niuno è il
no le imperfezzioni>>, anche la «sprezzatura» è ormai operazione misu- quale di belle creanze e di maniere nobili si voglia adornare, che non se lo re-
rabile e meritoria, purché «convenevole»: «Quanto è lodevole nna con- puti altrettanto giovevole, quanto è piacevole e grazioso 'H.
venevole sprezzatura»". Nel divario e nella distanza tra la vaghezza di
quell'iniziale «una certa sprezzatura» (I, xxvi), e la cautela raccoman- Ma questo catalogo si disponeva ormai secondo due integrati e com-
dabile di <rnna convenevole sprezzatura» registrata dal Dolce, mutava plementari moduli di lettura, da un lato riducendo il memorabile agli
semanticamente e si consumava ideologicamente, ali' altezza del Triden- exempla moralizzati dell' «Onesta ricreazione», dall'altro enfatizzandò
tino, la parabola di lettura, la «maniera» e I' <<idea» del Corte.ziano. èostentando nel libro le «arguzie», cosf che «da ogni sorte d(i:i~minl è
Cosf, nel nuovo contesto culturale cbe maturava con lapplicazione letto con incredibil gusto»''. Nell'edificazione e nello stupore, nel-
dei decreti conciliari, la «convenevole sRrezzatura.&.B.ar.à.intanto quella l'«onesta ricreazione» e nell' «incredibil gusto» si compendiava, nelle
esercitat~ sul testo: da espurgare da allusioni .e facezie, di«ttQppa licen- letture dell'ultimo Cinquecento, nei «triboli»" della Controriforma, il
za» foriere, e da limare secondo I' «incomparabile prudenza de' ~uperio percorso editoriale ed ermeneutico del Cortegiano. S'acconciava la sua
ri», alla quale si conformerà «con tanta diligenza e fedeltà» Antonio lezione «quasi di bellissimo giardino», di scelto repertorio, ai Detti et
Ciccarelli nella sua riedizione espurgata del Cortegiano del 1584 '". fatti piacevoli e gravi di diversi principi, filosofi et cortigiani. Raccolti eri-
La sua studiata lettera dedicatoria a Francesco Maria II Della Rove- dotti a moralità da Lodovico Guicciardini", o ai Concetti divinissimi di
re, duca d'Urbino, mette in luce, intanto, il sottile lavoro di dissimula- Girolamo Garimberto". Il laico «libro d~» di Emilia Pio s'appaiava
zione di quella ch'egli chiama «rammendatura» del testo, volta a far cosi a L'hore di ricreazione'", dell'«onesta ricreazione» tridentina:
«quella che nei primi venti anni del Cinquecento - ci sia lecito conclu-
emergere solo l' «artificiosa vaghezza»" del trattato, negli stessi termi-
dere con le parole del Dionisotti - era stata la poesia delle corti diven-
ni cioè di «tanta vaghezza e leggiadria»'" che vedremo affiorare nella
tava la letteratura a un soldo delle amorose plebi italiane»".
lettura del Tasso, nella «leggiadra usanza» (qui evocata al primo para-
grafo), che farà del Cortegiano un remoto e astorico arazzo di «donne e
cavalieri», una commemorazione - neofeudale - dei tempi di «valore
4. «Ogni di muti stile e modo»: !'«odor» della mutazione.
e cortesia» 91 •
Ma il lavoro editoriale s'infittisce soprattutto intorno ai ragiona- Il catalogo, come «forma» del Cortegiano, non è soltanto il volgariz-
menti del quarto libro, trasformandolo, sempre per suggerimento dei zamento, nei formulari della «letteratura a un soldo», di quel nucleo di
'.'medesimi» superiori, in epifania autorizzata della dottrina platonica, generi alla moda che fornisce la traccia tematica del trattato; e neppure
m modo che «nel margine del quarto libro si notassero quelle parti nelle si costituisce solo come esito tardo di un ossessivo <rnccellar sottilissi-
quali l'Autore non secondo il parer proprio, ma secondo la scuola Pla- màmente alle parole» che non sa piu coniugare nel paradosso gli opp~
tonica ragionasse»". Si consolidava cosf definitivamente, corroborato sti, ma si estenua in «scrupolose» notomie che disBociando e disti!J-
dalla parallela lettura del Tasso, un canone interpretativo del Cortegia- guendo producono elenchi d' «onesta ricreazione>>: il catalogo insomma
no, platonico e «leggiadro», classicamente composto a celebrare le virt~ non è tanto l'ipertrofia della lettura quanto piuttosto l'aporia indotta
di «cortesia» e le armonie spirituali dell'amor platonico, che durerà sino già nella scrittura dall'infinita variabilità della natura, dall'impossibilità
al Cian, alla Prefazione del suo, ancor insostituito, c0 mmento, che s'i- di ricavare dagli uomini altro che «differenzie», dai comportamenti e
naugurava in esergo con la citazione del Tasso, del «valore e cortesia» dai costumi altro che «mutazioni»,_cosiccbé il prescrivere cede al descri-
celebrati nel Cortegiano. vere, la norma all'elenco, l'esemplarità all'exemplumfictum . .
Di pili, ledizione del Ciccarelli sanciva anche l'operazione iniziata Non a caso, infatti, proprio quel capitolo (II, xvn) che si chiuderà
~a Ludovico Dolce, trasformando il trattato in «bellissimo giardino», nella celebrazione di «cortegiania» come mera epifania della retorica,
m catalogo copioso di «belle creanze» e di «maniere nobili»: come «subietto» prossimo alla «laude d'una mosca» o «della febre j I
il I
---------------------------------·--·------------~-----------· ------·-----·--------~----·----------~
libro della seconda redazione qiwe uajversale mutazione, come ciclo di Ma l'uso, nel regno della mutazione terrena, regno affidato al di- ,'
perenne morte e rinascit~, come «9rdinaria va_ri~t~>~ di un incessante scernimento dell' «instinto», non ha altra regola che il suo riflesso spe-
«mutarsi e pigliare nuove forme», si ."PParent,erà-stn:ttamente, qµ]!s~fo culare, quella con.suetudine la quale tutto regola e tutto norma, persino
gato da un unico circolo biologico, il,c_iclo della parola, rappresentato in - come perentoriamente dettava la seconda redazione - la bellezza:
I, xxxvi, là dove si opporrà alla durata delle regole retoriche la labilità «La consuetudine fa parer bello ogni cosa e la dissuetudine 1:5ruttò » "'.
delle parole sulle quali esse si esercitano: Del resto era proprio in nome della mutevolezza delle consuetudini che
Maravigliosa cosa patria parere a qualunque considerare volesse quanto la il Castiglione giustificava, ad apertura del Cortegiano, la sua ritrosia e
natura cosi nelle cose piccole come nelle grandi sempre di varietà si diletti; che la storica impossibilità ad «eleggere la piu perfetta forma e quasi il fior
comminciando da questa machina del mondo, veggiamo per el continuo vol- di questa cortegiania »:
gere del cielo ancor li continui successi della notte al giorno, le diverse staggio-
ni de l'anno, il freddo, caldo, pioggie, s.ereni; veggiamo la generazione e di- arei fuggito questa fatica, per dubbio di non esser tenuto temerario da tutti
quelli che conoscono come difficil cosa sia, tra tante varietà di costumi che s'u-
struzzione de tante erbe} piante~ arbori e de tanti varii animali in terra et in
mare, la extrema diversità tra gli uomini del' aspetto., de' pensieri _e delle ope- sano nelle co:ti ~i Cristi~ità, elegger: la pili perfetta forma e quasi il fior di
questa corteg1arua, petche la consuetudtJJe fa a poi spessa le medesime cose pia-
re; ma oltre qu~§te e molt'altre ordinarie varietà.che la natura per suo consueto cere e dispiacere[ ... ].
corso produce, veggiamo i siti de' paesi per lunghezza di tempo mutarsi e pi-
gliare nuove forme [. .. ]; ritrovasi ancor alcuna volta un legno farsi sasso e mol- Però si vede chiaramente che l'uso piU che lq raJ!)Qne ha forza d'introdur co-
te altre simili mutazioni 102 • se nove tra noi e cancellar l' antiche; delle quali chi cerca giudicar la perfezione.
spesso s'inganna 110 • '
Ma delle parole son alcune che durano bone un tempo, poi s'invecchiano
ed in tutto perdono la grazia; altre piglian forza e vengono in prezzo perché, Il passo, nonostante le amplificazioni di chi è costretto «a fare un
come le stagioni dell'anno spogliano de' fiori e de', frutti la terra e poi di 'novo
d'altri la rivesteno, cosf il tempo quelle prime parole fa cadere e l'uso altre di
poco di es~usazione», conserva il suo valore testimoniale, la sua perti-
novo fa rinascere e dà lor grazia e dignità, fin che, dall'invidioso morso del nenza teorica: sarà dunque congruo che la «tanta varietà» dei costumi
tempo a poco a poco consumate, giungono poi esse ancora alla lor morte; per- vigenti nelle corti non solo sconsigli di «eleggere la piu perfetta forma
ciò che, al fine, e noi ed ogni nostra cosa è mortale 103 • di cortegiania», di simulare cioè il modello, ma legittimi, anzi, solo il se-
62 La nascita del modello Il Libro del Cortegiano: esemplarità e difformità 63
condo polo dell'endiadi, «i(fior. di quest,a corte~ia~ia»: meglio corri- ; :date non piu dalla fallacia della ragione, ma dal «sentite» e dal «gusta-
spondendo alle «tante varieta» piuttosto I antologia, il fior appu~to: chi; . Te» di un altro «giudicio», quello dei sensi.
un astratto modello. Onde di fatto predetermina, questa «vaneta» di · -- Alle sottili, impalpabili, percezioni dell'olfatto, ai discernimenti del
costumi e di consuetudini, nell'antologia il catalogo, nella scdta l'elen-
«gusto» e di un «certo odore», meglio sensibili che la ragione alle sug-
co nella somma dei generi costituenti la materia del Cortegzano quella
ges:i~ni dell' «instinto di natura», non è affidato soltanto, quasi in una
fu~zione latente di «repertorio», alla quale sarà ridotto il tr~ttato ne~a anticipata «sprezzatura» delle «ragioni» dei letterati e dei pedanti il
lettura tardo-cinquecentesca, nella Tavola del Dolce o negli <<avverti-
giudizio ed il destino del Cortegiano; ma piu in generale ai «sensi» ~n
menti» del Ciccarelli. cora è _tribµtario lo stile, quando voglia sceverare dagli studi;;J;i ricàlchi
Ma, piu ancora, è radicale la conclusione, v!sto eh~ «l'~so piu che I~ dell'affettazione le «proprietà del natural parlare»:
ragione ha forza d'introdur cose _no~e tra.no!»: cosicche c~l cerca di
«giudicar la perfezione», usando il discernimento della «ta~ion~>~, ~p . ~e .adunque degli omini Htterati e di bon ingegno e giudicio, che oggidf tra
noi SI ritrovano, fossero alcuni, li quali ponessino cura di scrivere del modo che
punto s'inganna: poiché infatti- s_'è ?ra. n_otato - la vera_gm?a e I «lll- s'è detto in questa lingua cose degne d'esser lette, tosto la vederissimo culta ed
stinto suo naturale» <di suo propr10 md1cio naturale» («mstmto natu- abundante ~e ~ermini e belle figure[ ... ]; e se ella non fosse pura toscana anti-
rale» che v~rrà ~pp~na mitigato: nel qua.rto l~bro, o~e p~u forte.sarà l_a ca, sarebbe Italiana, commune, copiosa e varia, e quasi come un delicioso giar-
spinta ali' astraz10ne, alla platonica ascesi, ali emanC!p~10ne dai sensi, dino pie~ di diversi fiori e frutti. Né sarebbe questo cosa nova; perché de1le
dal ricorso all'endiadi «della artificiosa consuetudme e della ra- quattro lingue che aveano in consuetudine, i scrittori greci, elegendo dacia-
.
~~»
) "'
. . . . d I scuna parole, modi e figure, come ben loro veniva, ne facevano nascere un' al-
tra che si diceva commune, e tutte cinque poi sotto un solo nome chiamavano
Questa insufficienza della «rag10~e~ ad .1llummare ~a ~ce!t~, a et- lingua greca; e benché la ateniese fosse elegante, pura e facunda pili che l' altre
tare il comportamento fra «tante vaneta» di co;is,uetudmi'. ~1 i~d;ice a i boni scrittori che non erano di nazion ateniesi, non la affettavan tanto, eh~
porre la domanda di fondo per il Cortegi~no: ~ c!Oe _quella d_i md1v1du~ nel modo dello scrivere e quasi al!'odor e proprietà del suo natural parlare non fos-
re, nell'aporia della ragione, quale fac.olt,a as~1curera ~lo~~ il pr~nto d'.- sero conosciuti; né per questo però erano sprezzati; anzi quei che volevan parer
scernimento del valore fra «tante var1eta» di costumi, di mfmglnlenti, troppo ateniesi, ne rapportavan biasimo Hl.
od offrirà la capacità di applicare, fra tante « affetta.zioni», '.a cal~olata Il rinnovato impiego cli tale immagine in una impegnata sede teorica,
eleganza della «sprezzatura». Quale è insomma, per il Cortegzano, il luo- nella ripresa, entro il dibattito sulla lingua, delle ragioni addotte nella
go del «giudicio»? . , prefazione («né credo che mi si debba imputare per errore lo aver eletto
Ancora una volta coerentemente alla teoria dell «USO» e della «con- di farmi piu tosto conoscere per lombardo parlando lombardo, che per
suetudine» esso co~sisterà negli strumenti di discerniniento cli quella non toscano parlando troppo toscano; per non fare come Teofrasto, il
« commune 'opinione» che veicola quell'uso, che. in esso crea la consue- qual, per parlare troppo ateniese, fu da 1ma simplice vecchierella cono-
tudine: alla «moltitudine» dunque, a quel suo «odore del bene e del ma- sciuto per non ateniese»)'", ci conferma che il richiamo «all'odor e pro-
le», il Castiglione affiderà destino e durata, discernimento e valore, del prietà del suo natural parlare» come prima a quel «certo odore del bene
suo stesso libro: e. del male» del proprio pubblico poggia non su una metafora, piu o meno
La diffesa adunque di queste accusazioni e, forse, di molt' altre rimett~ io ncorrente, ma su un paradigma ermeneutico di grande rilevanza per il
per ora al parere della commune opinione; perché il piU delle volte la moltitu- Castiglione, poiché messo in opera nei momenti teorici piu delicati.
dine, anèor che perfettamente non conosca, sente però per instin~o di n~tura un
Ma loccorrenza avrebbe una pertinenza limitata, se non la ritrovas-
certo odore del bene e del male e, senza saperne rendere altra ra?1~ne, l ~no g~
sta ed ama e l'altro rifiuta ed odia. Perciò, se universalmente 11 libro p1acera, simo, nella stessa sede di «appello al lettore», di chiave per la lettura,
terrollo per bono e pensarò che debba vivere; se ancor non piacerà, terrollo per anche nel Prologe de l'auteur del Gargantua rabelaisiano, nel quale i
malo e tosto crederò che se n'abbia da perdere la memoria 112 • «beuveurs très illustreS>> cui il libro è dedicato, sono invitati a degustare
il libro come «onques chien rencontrant quelque os médulaire»:
L' «instinto di natura» della moltitudine è quello stesso «instinto na-
turale» che guida lo scrittore nella scelta della prop~ia !ingua: scrittur.a A l' exemple d'icelluy vous convient estre saiges pour f!eurer, sentir et estimer
ces beaulx livres de haulte gresse, légiers au prochaz et hardiz à la rencontre·
e giudizio sulla scrittura divengono dunque operazioni omologhe, gm- puis par curieuse leçon et méditation fréquente, rompre l'os et sugcer la sus~
64 La nascita del modello Il Libro del Cortegiano: esemplarità e difformità 6
5
tantificque mouelle - e' est à dire ce que j' entends par ces symboles Pythago- E sarà 1m caso, in qu~sta temperie culturale, che quella stessa dedica
ricques avecques espoir certain d'estre faictz escors et preux à ladicte lecture:
de! Cortegiano al De Silva, la quale si chiuderà confidando il libro
car en icelle bien aultre goust trouverez et doctrine plus absconce 1 n.
ali «odor ?el be~e e dc;! male» del proprio pubblico, si aprisse, quanto , , ,
Ancora una volta, il «luogo della lettura» sarà quel <<fleurer, sentir et alla materia e ali occasione del trattato, proprio nelle prime righe ricor-
estimer», ancora una volta ciò che è promesso «en icelle» è «bien aultre dando «come nell'animo mio era recente !'odor delle virtu del duca Guido
goust»; l'omologa funzione del ricorso alfleurer, all'odor, all'instinto suo e la s~tis~azione che io ~ quegli anni aveva sentito della amorevole com-
naturale ci conduce, al di là dei dispositivi della lettura, in trame di ri- p~gma _di cosi eccellenti persone, come allora si ritrovarono nella corte
ferimenti culturali piu ampi, in quel!' episteme cinquecentesca cosi fine- di Ur?1?0>> onde lautore fu «stimulato da quella memoria a scrivere
mente studiata da Lucien Febvre, e proiettata oltre il Seicento da Gas- questi hbri del Cortegiano »? "'.
ton Bachelard. ~i~r.o,nato ~~ll'i~tensit~ della «memoria dei sensi», dedicato alla
«Nous sommes des hommes de serre; ils étaient des plein-vent», se~s1b~ita e a~ «mstmto» di un pubblico disposto pili a «sentire» che
scriveva Febvre definendo contrastivamente i contemporanei di Rabe- a sillogiz~are, il Cortegiano poco concederà ali' astrazione della vista alle
lais; l'appello al «parere della commune opinione» è, piu che un topos, g~opietr1~ c~ncettuali, se persino l'invio del trattato offerto «com'e un , ,<
pili che un artificio di captatio benivolentiae rivolto al destinatario, è il ritratto di pittura della co;te di Urbino», rifuggirà dall'equipararsi (e
segnale specifico d'orientamento verso il punto di convergenza episte- n?n solo co?le calcolat~ re.t1cenza, come retorica pretermissione) ali' arte
inoTogica, ove le «tante varietà» della natura, l'uso e la consuetudine, _d1prospett1va,. a quell umca conq'1sta che la vista aveva regalato, al di \ F ~':,.,,,! ,'\
l'«instinto naturale», l'odore e il gustare, trovano concordanza epos- là dellapercez10ne «naturale», ali uomo del Quattrocento:
sibilità ermeneutica: in quel microcosmo fatto di un_a sola ragione, ma mando':i questo libro ~ome un ritratto di pittura della corte di Urbino, non di
di cinque sensi, che è l'uomo: ~an? di Raf~ello o !'Ji?ie~ Angelo, ma di pittor ignobile e che solamente sap-
Je l'ai dit ailleurs: nous sommes des hommes de serre: ils étaient des plein- pia tt~are le lin~e pnnctpah, senza adornar la verità de vaghi colori o far parer per
arte dz prospettzva quello che non è 122 •
vent. Des hommes proches de la terre et de la vie rurale. Des hommes qui,
dans leurs cités mème, retrouvaient la campagne, ses bètes et ses plantes, ses . Al primato d~i sensi si rip~rteranno i lu~ghi essenziali del Cortegia-
odeurs et ses bruits. Des hommes de plein air, voyant mais sentant aussi, hu-
mant, écoutant, palpant, aspirant la nature par tous leurs sens:
no. la stessa fun~i?i;e dell~ scrittura, operazione allegorica, 0 registrato
record ~ne~a defo~izione di ~ac~one), ancora si collocherà sotto il segno
Le gouster, le toucher, I' reil, l' oreille et le nez
Sans lesquels nostre corps seroit un corps de marbre 116 della V!rt11 olfattiva> traccia di quella divinità ai sensi misticamente
ascosa ed in essi tuttavia percepibile:
Ma prima delle, pur affascinanti, citazioni di Rabelais o Du Bellay, di . Vedete eh~ Salo,mone, v?lendo scrivere misticamente cose altissime e diM
Ronsard, o di un Lutero che affermerà: So/ae aures sunt organa Christia- v~ne, ~er coprirle d un grazioso velo finse un ardente ed affettuoso dialogo
ni"'; prima dei trattati di Joannes Bravus o di Hieronymus Fabri- d ~n? 1-??am?rato con la .s~a donna, parendogli non poter trovar qua.giU tra
cius "', prima del trionfo della vista, come organo della scienza, cosi fi- noi similitudine alcuna piu conveniente e conforme alle cose divine che r aM
nemente studiato da Raimondi "'; nei primi decenni del Cinquecento mar verso le do.nne;. ed in tal mo.do ~?lse dar? un.poco d' odar di quetta'divinità,
che esso per sc1enz1a e per grazia piu che gh altri conoscea 123.
l' esperienza5 la pratica delle corti, la dimensione sociale e la comunica-
zione si affidavano alla sensibilità del tatiò appunto, virtu politica, al di- Ai presentimenti del/leurerverranno insomma affidate le sensazioni
scernimento dell'odorato, all'apprezzamento del gusto (parametro di estreme, l'acme dell'esperienza, sia che questa si rivolga all'indietro co-
lunga durata, del resto, nel!' estetica moderna come negli stereotipi sco- me nel ;ammemorare ?ei
vecchi, sia che si protenda, come nella fi;,ale
lastici): pero~azione neoplatomca, alla contemplazione delle bellezze celesti alle
Donc, lignes, couleurs, ordonnances, perspectives, tout le plaisir des yeux? quali certo sarà fatta «oculatissima» da una rinnovata vista illumi;,ata
Non. Sons, bruits, voix, le plaisir des oreilles. [... ]. ~alla grazia, ma alle quali ancora potrà aderire solo in virtu di quel sen-
Ce XVIe siècle, qui ne voit pas cl' abord, qui entend et qui flaire, qui hume tire «un certo odor nascose della vera bellezza angelica»:
les souffles et qui capte les bruits - ce n' est que tard, lorsque le xvlf siècle apM e, per cont.rario, recandosi a me~oria i passati piaceri, si arrecano [scii.: i vecM
pioche, qu'il s'occupe sérieusement, activement de géometrie 120 • chi] ancor il tempo nel quale avutt gli hanno, e però lo laudano come bono per-
6
66 La nascita del modello Il Libro del Cortegiano: esemplarità e difformità
ché pare che seco porti un odore di quello che in esso sentiamo quando era cosi è ancora quella [scii.: «idea»] del perfetto cortegiano; alla imagine della
presente 124 • quale s'io non ho potuto approssimarmi col stik, tanto minor fatica averanno i
però lanima, aliena dai vicii, purgata dai studi della vera filosofia, [ ... ] apre cortegiani d'approssimarsi con l' opere al termine e mèta, ch'io col scrivere ho lo-
que_glj·o-C.él\i che tutti hanno e poco adoprano, e vede in se stessa un raggio di ro proposto; e se con tutto questo non potran conseguir quella perfezion, qual
quel lùme· Che è la vera imagine della bellezza angelica a lei communicata, della che ella sia, ch'io mi son sforzato d'esprimere, colui che piU se le avvicinerà sarà
quale essa poi communica al corpo una debil umbra; però, divenuta ciec~alle ìl piU perfetto, come di molti arcieri che tirano ad un bersaglio, quando niuno
cose terrene, si fa oculatissima alle celesti; e talor, quando le virtll mòtlve del è che dia nella brocca, quello che piU se le accosta senza dubbio è miglior degli
corpo si trovano dalla assidua contemplazione ~str~te, o vero dal sonno lega- altri 131 •
te,- nOn essendo da quelle impedita, sente un certc:f oéfOÌ) nascose della vera bel- Non si maravigli alcuno se, nel parlare ch'io farò de' principati al tutto
lezi!a ~~gelic~, e rapita _dal splender di quella lucècOinincia ad infiammarsi e nuovi, e di principe e di stato, io addurrò grandissimi esempli; perché, cammi-
tanto avidamente la segue, che quasi diviene ebria e fuor di se stessa, per de- nando gli uomini quasi sempre per le vie battute da altri, e procedendo nelle
siderio d 1unirsi con queJla 125 • azioni loro con le imitazioni, né si potendo le vie di altri al tutto tenere, né alla
virtU di quelli che tu imiti aggiugnere, debbe uno uomo prudente intrare sem-
Persino il giudizio' etìcò, lappello velato al Tribunale dell'Inquisizione, pre per vie battute da uomini grandi, e quel1i che sono stati eccellentissimi imi-
si produrrà, al chiudersi della parabola QQ!it_iça e letteraria del Castiglio- tare, acciò che, se la sua virtti non vi aniva~ _aln;,~no ne renda.quakhe odore; e fa-
ne, entro una metafora olfattiya, rimproverando il nunzio al V aldés di re come gli arcieri prudenti, a' quali parendo el loco dove disegnano ferire
troppo lontano, e conoscendo fino a quanto va la virtU del loro arco, pongono
seguire una dottrina «nella quale invero si sente molto QQQJ;~ di lutera- la mira assai pili alta che il loco destinato, non per aggiugnere con la loro frec-
nesimo» 126 • cia a tanta altezza, ma per potere, con lo aiuto di s:i' alta mira, pervenire al di-
Ma anche gli altri sensi, non astratti, vengono chiamati a fornire pa- segno loro a:.i,
rametri di giudizio: cosi le orecchie che «avidamente attendono e gusta-
no»"' le perfette consonanze, cosi il tatto cui devono rendersi palpabili «Gusto» e «maniera» coincidono dunque come procedure dell' « ap-
prossimazione», dell' «approssimarsi col stile» a una materia che è posta
le metafore, tangibile la loro trasposizione:
sotto il dominio dei sensi, legata alle mutazioni cicliche della natura;
Talor vorrei che pigliasse alcune parole in altra significazione che la lor 'jl:ruirri~i:a chç_ dey" y!!fi;;re_çpnJa IJ!l!tahilità, non riducibile a modello,
propria e, trasportandole a proposito, quasi le inserisse come rampollo d' albe- \ del proprio referente. Se si sono esplorate sin qui le metafore dell' affi-
ro in piti felice tronco, per farle pili vaghe e belle, e quasi per accostar le cose
al senso degli_occhLproprii e, come si dice, farle toccar con mano, con diletto
·oarsi della scrittura all'intensità, alla sensibilità di «lettura» dei sensi,
di chi ode o legge 128 • occorrerà ora vedere quale è la «maniera» della loro emergenza teorica.
Già si è notato che nel regno della varietà e della mutazione, il discer-
Ancora_ u11a volt~ il linguaggio dei sensi diviene, nel Cortegiano, mi- nimento è affidato all' «instinto naturale»: ma anche dei concetti che la
sura dello stile: la verifica, anzi, della sua duttilità, osserva finemente teoria platonica preservava dalla provvisorietà degli usi, dall' edacità del
Mazzacurati, s'impone come nodale per la teoria linguistica del Casti- tempo, la definizione è data dal Castiglione per 'approssimazioni cor-
glione, teoria che del resto è estensibile a tutti coloro per i quali, come porali', per maniere che fanno appello ai sensi.
affermava I<lein, «"maniera i' e i' gusto,, sono complementari» 129 • Cosi non solo la virtli essenziale del «cortegiano», I' «eccellente gra-
zia» sarà sin dall'inizio definita «una certa grazia e, come si dice, un
E la loro complementarità consiste appunto nel loro potere di «ap- sangue»"'; ma ancora i poli opposti di vizio e di virtu, i vertici estremi
prossimare», di avvicinare ai sensi (contro la distanza della prospettiva, dell'uno e dell'altra, la plenitudine della perfezione e l'aporia della «ma-
o dell' «imitazione» classica) il referente e la scrittura; occorre cosi rile- licia», saranno rappresentati nel!' eccesso delle misure fisiche, I'ecceden-
vare che la metafora stessa su cui è costruita la difesa dell'intera materia za cedendo alla difformità:
del Cortegianp (nell'ipotesi di mirare al «perfetto cortegiano»), quella -Anzi troppo [scil.: «Si è parlato»] - rispose il signor Ludovico Pio; - per-
celebre del bersaglio, metafora per eccellenza dell'4pprossimazion~, si ri- ché credo che al mondo non sia possibile ritrovar un vaso tanto grande, che
trova bensi, come segnalò Mazzacurati "", nel Principe, ma agisce in ,j fosse capace di tutte le cose, che voi volete che stiano in questo cortegiano -.
Allor il Conte, - Aspettate un poco, - disse, - che molte altre ancor ve ne
correlazione al simbolo della pili acuta delle approssimazioni, quella del- hanno da essere-. Rispose Pietro da Napoli: -A questo modo il Grasso de'
!' olfatto: Medici averà gran vantaggio da messer Pietro Bembo 134 ;
68 La nascita del modello Il Libro del Cortegiano: esemplarità e difformità
p~re che per testimonio della medesima natura l'uomo abbia qualche diffetto, qui la sua piu esplicita affermazione, ed il suo piu eloquente catalogo,
quasi per un sigillo e segno della sua malicia 135 • esteso dalla «magnanimità» al «mangiare, bere e dormire»:
Nelle fisiche disproporzionL quasi prima sanzione stilistica di quella Chi non sa che al mondo non saria la giustizia, se non fossero le ingiurie?
«sprezzatura» teorizzata dal Cortegiano, rifluiva dunque, per un'ulte- la magnanimità, se non fossero li pusilanimi? la continenzia, se non fosse la in~
riore convergenza di sensi e maniere, l'eccesso nel bene e nel male: co- continenzia? la sanità, se non fosse la infirmità? la verità, se non fosse la bu-
gia? la felicità, se non fossero le disgrazie?[ ... ] Chi po aver caro il riposo, se
me, per converso, il «difetto della lingua», l'ineleganza stilistica s'ap- prima non ha sentito r affanno della stracchezza? chi gusta il mangiare, il bere
"_ pros~imava alla fine, per omologia di corpo e parola, alla deformità cor- e 'l dormire, se prima non ha patito, fame, sete e sonno? H 9 .
' porea:
cosi in questo breve [scil.: parlare] devesi guardare il cortegiano di non parer Uno dei luoghi piu significativi di epifania di questo gioco di «Con-
maligno e velenoso) e dir motti ed argtìzie solamente per far dispetto e dar nel trapesi» che regola la natura e la storia umana diverrà, nel passaggio
core, perché tali omini spesso per diffetto della lingua meritamente hanno ca~ dalla seconda redazione a quella definitiva, la complessa sistemazione
stigo in tutto 'I corpo 136 • della materia del IV libro culminante in quell'elogio del «mondo crea-
to» (del macrocosmo della «gran machina del mondo» come «della fi- ii
Nel convergente eccedere·, fisica dismisura, della plenitudine del ''' i
~
Bembo e della ripienezza del «Grasso de' Medici», nell'omologo «siiillo gura dell'omo, che si po dir picco! mondo»), per il quale il Castiglione
è andato lungamente celebre, nella storia della critica, come il vertice
e segno» del «diffetto» del corpo come rinvio al «diffetto della lingua»,
p!U maturo di una concezione. umanistica antropocentrica nell'ambito
i
il calcolo mediano della «sprezzatura» sarà appunto lo sforzo d'appros- I!,,
simazione ad una mi~urata equidistanza, «concatenata contrarietà» che del classicismo rinascimentale. Ebbene il passo, preparato nel capitolo 11
si costruisce, come paradossale «contrapeso» (ebbe a notare Rosalie Co- precedente dall'inno a Dio, nel quale «è la bontà come centro e la bel- "
lie), su una doppia e simmetrica negazione. lezza come circulo,» "", sarà nella redazfone àefinitiva inserito al cap. ji
LVm, ma dopo averlo infine temperato e coerentemente pareggiato nel ,I
no di tentare su quei moduli l'ascesi a «perfezion di publica pazzia» che i colossi per la loro medesima gravità ponderosa si sostengon ritti; ed es-
(I, vm). Atarantati e risibili, follia e deformità, mania e maniera percor- si, perché dentro son mal contrapesati, e senza misura posti sopra basi inequa-
rono dunque la scena del Cortegjano sino alla loro piu fisica eccedenza, li, per la propria gravità ruinano da se stessi e da uno errore incorrono in infi- il
non quella discorsiva, sempre pareggiabile nel contrappunto della sprez- niti 06. 'I
zatura, ma quella storica della reale composizione della corte cinquecen- Non si tratta qui di isolata licenza, di censura tanto piu «letteraria»
tesca, della sua coacervazione di cuochi e cavalli, di armigeri e di scude- ed innocua quanto piu iperbolica: in realtà la versione definitiva costi-
rie, di buffoni e di musiche, di lazzi e di lezzi, quali sarà costretto con tuisce già un lenimento rispetto alla sistematica amplificazione di defor-
«fastidio» ad evocare lo stesso Castiglione:
mità denunciata dalla seconda redazione, ove quel «divengono superbi,
Alcuna volta, pensando per quello esser arguti e faceti, in presenzia d'ono- e col volto imperioso e costumi austeri» suonava molto piu cupamente:
rate donne e spesso a quelle medesime, si mettono a dir sporchissime e disone-
ste parole; e quanto piU le veggono arrossire tanto piU si tengon bon cortigiani «e divengano tanto superbi et insolenti che con una certa torvità di volto
[... ].Ma per niuna altra causa fanno tante pecoragini, che per esser estimati e parlare imperioso»"'; ove ancora in luogo della finale «ignoranza loro
bon compagni; questo è quel nome solo che lor pare degno di laude e del quale accompagnata da quella falsa opinion di non poter errare»"', si leggeva,
pili che di niun altro essi si vantano; e per acquistarlo si dicon le pi6 scorrette con piu esplicita condanna: «l'ignoranza loro accompagnata da quella
e vituperose villanie del mondo. Spesso s'urtano giU per le scale, si dande' le- arrogante persuasione de non poter errare»"'.
gni e de' mattoni l'un raltro nelle reni, mettonsi pugni di polvere negli occhi,
fannosi ruinare i cavalli addosso ne' fossi o gili di qualche poggio; a tavola poi, Alla fine dunque tanto la fisicità arrogante e deforme occupa lo spa-
minestre, sapori, gelatine, tutte si danno nel volto, e poi ridono[.,.]. Ma io vi zio della corte, tanto ai colossi di stoppa o «pieni di terra e di legno e ca-
vo' dir peggio. Sono alcuni che contrastano e mettono il prezio a chi può man- pecchio» (come recitava la seconda redazione) s'accompagnano principi
giare e bere piU stomacose e fetide cose; e trovanle tanto aborrenti dai sensi «inveterati nei vicii, come li ftisici nella infirmità» '", che davvero il
umani, che impossibil è ricordarle senza grandissimo fastidio u4 • modello platonico s'allontanerà nell'utopia: «però dubito che sia come
Questi« bon compagni» occupano le corti, si esibiscono per «farri- la republica di Platone e che non siamo per vederne mai un tale [scii.:
der sempre» (II, XLVI), il gran corteggio di «pazzi e gli imbriachi e i «principe»] se non forse in cielo»"'.
sciocchi ed inetti, e<medesimamente i buffoni»: e sebbene non a questi E cosi in terra rimane, sulla scena della corte, il principe dei corpi,
sia rivolto il trattato, è tuttavia rivolta la disponibilità ed il favore della quello che spende e dona «ad ognuno senza riservo» (IV, XXXVI), che
corte: «e benché nelle corti queste sorti d'omini par che si richieggano, s'indebita, poiché comunque «Dio, come si dice, è tesauriero dei prin-
pur non meritano esser chiamati cortegiani»"'. cipi liberali» (IV, XXXVI), ma che in tal modo trova l' «amabile e bona
Ma «queste sorti d'omini» si richiedono, in realtà, perché sono per- maniera d'accarezzare e i sudditi e i stranieri discretamente»; rimane
fettamente congrui a un potere che si specchia nella loro deformità, che l'esercizio di un potere che risarcisce la deformità nella pompa, che cela
74 La nascita del modello Il Libro del Cortegiano: esemplarità e difformità 75
la «torvità» nella festa, e divulga il proprio «eccesso» nel legittimare al d'Inghilterra, a portare certezza e compimento alla materia del proprio
buffone e al nano, al pazzo e all'adulatore, il ruolo epifanico di emblemi trattato, un'unica volta il Castiglione si farà citare nel proprio dialogo,
del beneficio, della partecipazione, graziosamente elargita, ad uno testimone di perfezione:
«splendor regale» diffusivum sui, «liberalissimo e splendido» nel
ché, come di là scrive il nostro Castiglione e pili largamente promette di dire
far conviti magnifici, feste, giochi, spettacoli publici; aver gran numero di caM al suo ritorno, pare che la natura in questo signore [«il signor don Enrico,
valli eccellenti, per utilità nella guerra e per diletto nella pace; falconi, cani e principe di Vuaglia»] abbia voluto far prova di se stessa, collocando in un cor-
tutte I' altre cose che s'appartengono ai piaceri de' gran signori e dei populi; po solo tante eccellenzie, quante basteriano per adornarne infiniti 166 •
come a' nostri df averno veduto fare il signor Francesco Gonzaga marchese di
Mantua, il quale a queste cose par piU presto re d'Italia che signor d'una L'esemplarità del Cortegiano si realizzava dunque nell'esempio stes-
città 162 • so addotto dal proprio autore: s'approssimava cosi al nucleo generatore
Alla fine del Cortegiano dunque il perfetto principe mostra la propria del trattato Vittoria Colonna quando insinuava il Castiglione aver vo-
opulenza da «re d'Italia» piuttosto con gli argomenti del Grasso de' luto in realtà proporre un autoritratto («Alcuni ancor dicono ch'io ho
Medici che con quelli di Pietro Bembo: di fronte a quel fisico apparato creduto formar me stesso»)"'; ma s'approssimava non nel senso, limi-
«la republica di Platone» si riduce ai tratti di una «risibile» difformità tato e provvisorio, della mimesi storica (ove regnano «tante varietà» di
rispetto al volto della storia, di una malinconica maschera che agita, tra costumi e dunque di codificazioni e norme sociali), bensl sul terreno piti
corpi intenti a «conviti magnifici», «quella orrida faccia della vera vir- congruo della scrittura. Quel «piti largamente promette di dire al suo ri-
t1i»; ad essa, come concludeva la seconda redazione, al «severo filoso- torno» infatti non diventava soltanto la citazion!,', lanticipazione après
fo», i «principi de' nostri tempi» e la loro corte preferiranno sempre coup, dell'epistola Ad Henricum VII"', ma il piti prezioso inveramento
<mn buffone scioco», od il volto della «sceleritate»: di quella «nova forma e figura di dire», di quella inusitata retorica del-
Però se agli principi de' nostri tempi venisse inanti un severo filosofo, el ]' autocitazione che il Castiglione aveva celebrato nel trattato:
quale cosi apertamente e senza arte alcuna volesse mostrargli quella orrida facM Parmi ancor ricordare che Cicerone in un loco introduca Mare' Antonio
eia della vera virtU [... ] son certissimo che al primo aspetto lo aborririano come dir a Sulpizio che molti sono i quali non imitano alcuno e nientedimeno per-
un aspide, o vero se ne fariano beffe come di cosa vilissima, e piU estimariano vengono al sommo grado della eccellenzia; e parla di certi, i quali aveano intro-
un buffone scioco o vero un nuovo inventore de qualche sceleritate che quello 161 • dutto una nova forma e figura di dire, bella, ma inusitata agli altri oratori di
quel tempo, nella quale non imitavano se non se stessi 169 •
Orrida pare la virtti, perché ormai inconsueta, «poiché oggidl i prin-
cipi son tanto corrotti dalle male consuetudini e dalla ignoranzia» (IV, La lunga vicenda redazionale del Cortegiano istituiva cosi, in quella
IX) che è difficile anche solo «dar loro notizia della verità» (IV, IX). E maniera «nella quale non imitavano se non se stessi», il proprio testuale
poiché per tutto il Cortegiano l'uso e la consuetudine sono stati presi per compimento: nella «nova forma» dell'autocitazione il «formar con pa-
norma, è ovvio che alla fine la virtti, che non è praticata e cosi inconsue- role» trovava infine pertinenza e perfezione, quella dell' autoriflessività.
ta da non poterne quasi dar notizia, risulti - essa si - la vera difformi-
tà, il «contrapeso» vilissimo a «inventori de qualche sceleritate [de qual-
che tristizia] » '". 6. «Il capriccio impregnò la chimera».
Cosi, nello scacco e nella beffa, si chiudeva, nel Cortegiano, quella
- piti volte ricordata - « instituzione che ha da far il cortegiano nel suo L'unica «instituzione» praticabile, in uno spazio storico gremito di
principe»"': si chiudeva per lo spazio fisico e storico delle corti italia-
II
difformità, tra principi «inveterati nei vidi, come li ftisici nella infir-
ne, per lo scenario sociale e politico ove «il nome italiano è ridutto in mità», era dunque rimasta quella letteraria dell'autocitazione: la virtù
''
obbrobrio» (IV, IV). Si esauriva certo quel progetto nello spazio degli che doveva «formare» si era, per «concatenata contrarietà», fatta spec-
interlocutori del trattato, vanamente tesi a istituire un duca e un corpo chio e elenco del difforme. Il paradosso della sprezzatura viveva, spazio
«deformato e guasto nella sua verde età»: ma non ancora per il cortigia- di scrittura, tra contrarie negazioni.
no che aveva saputo scegliere loltre, che si collocava a distanza, che par- Ma questo bilancio non è nella deformità della nostra lettura, ma nel
lava dalle corti dei veri principi. Cosi infatti, da lontano, dalla corte catalogo del Dolce, e piti ancora nel rifacimento che del Cortegiano farà
La nascita del modello Il Libro del Cortegiano: esemplarità e difformità 77
il Gilio alla chiusura del Tridentino, entro ben altri canoni, della cui Il Gilio sceglie il secondo percorso di scrittura («non ho io voluto di-
mutata normatività basterebbe a dar misura lo svolgimento semantico sputare per via di Silògismi, né risolvere per via di questioni come molti
di un' endiadi del Cortegiano, trattandosi in questo «delle facezie e dei hanno fatto, ma solo dimostrarle per via di essempi d'istorie antiche e
motti» (II, XLIII) e di «motti e riprensioni»"' nel Dialogo del Gilio. moderne»)"', e subito, e coerentemente, anche il Cortegiano non si
Il suo trattato De le parti morali appertenenti a' Letterati Cortigiani, presenta piu che nella lista delle «istorie antiche e moderne» dopo le
del 1564, sarà qui assunto come paradigmatico, e primo, emblema di corti celebrate dall'Ariosto: «Che diremo de la corte d'Urbino, ne la
un'intera serie di rifacimenti, espurgazioni, correzioni, volte a «ri- quale fu quella hella scuola di si nobili e letterati Signori e gentiluomini,
formare» il perfetto cavaliere cristiano, il cortigiano «catolico, devoto, tanto dal Castiglione nel suo Coitigiano celebrati?» (p. 6v).
buon cristiano» (p. 19v), che saranno approntate nell'età della Contro- Ma nel catalogo del Gilio lesemplarità non sarà piu la proporzione
riforma. della grazia ma l'esaustività dell'accumulo; il difetto non si presenterà
Ed il suo esempio sarà particolarmente significativo, non solo per la piu «risihile» ma ossessivo, non contrappesato dalla «sprezzatura»,
nota acutezza e fortuna del Gilio come teorico d'arte e di retorica"', esorcizzabile solo nell'esaurimento degli attributi.
ma per il puntiglio cori cui, volendo riscrivere la materia del Cortegiano, · E per cominciare dagli elementi minimi, dai dettagli del vestire e
seppe misurarne la distanza storica, traducendola in fascinosa distanza dell'apparire, anche là dove comune è la disapprovazione, nel Castiglio-
semantica, moltiplicando l'elenco in «labirinto», !'<<idea» platonica in ne bastavano ca.librate dittologie come «I' andar in giornea con le calze
«chimera», la difformità in coacervazione abnorme e portentosa. aperte e scarpette pulite» (II, m), mentre nel Gilio l'elenco si dilaterà
E sin dalla Dedica, singolare mutazione che s'affermerà proprio con nel «bene ornare il corpo di vesti fregiate, di cappe listate, di calze
la Controriforma, il principe del Gilio non sarà piu quello del Castiglio- strinciolate, pompose, e piene di vanità» (p. rn).
ne (quello da «condurre» sulla «strada della virtu», «or con musica, or E anche dove il ricalco è letterale, nella «disgrazia dell'affettazione»
con arme e cavalli, or con versi, or con ragionamenti d'amore») 112 , ma che corrode chi si studia là di <<non guastarsi la zazzera», e qui di <<non
quello del Machiavelli, di cui si misura, sin dall'identico incipit, non la iscompigliar la zazzera», anche nella citazione piu diretta, il Gilio tra-
«parità» ma lassoluta distanza: sforma il «vicim> in caricatura bestiale:
Sogliono, el pili delle volte, coloro che desiderano acquistare grazia ap- CASTIGLIONE Però non estimo io che minor vicio della affettazion sia nella
pressa uno Principe, farsegli incontro con quelle cose che infra le loro abbino sprezzatura, la quale in sé è laudevole, lasciarsi cadere i panni da dosso, che
pili care, o delle quali vegghino lui pili dilettarsi; donde si vede molte volte es- nella attillatura, che pur medesimamente da sé è laudevole, il portar il capo 'i'
sere loro presentati cavalli, arme, drappi d'oro, pietre preziose e simili ornamenti cosi fermo per paura di non guastarsi la zazzera, o tener nel fondo della ber-
degni della grandezza di quelli"'. retta il specchio e 'l pettine nella manica, ed aver sempre drieto il paggio per
le strade con la spenga e la scopetta; perché questa cosi fatta attillatura e
Altri poi per fare gli amici, a Signori piU celebri et illustri, gli dedicano sprezzatura tendono troppo allo estremo; il che sempre è vicioso (I, XXVII).
opere latine o volgari, in prosa o in rima. Ma penso che a la maggior parte de
GILIO L'altra parte, che io vorrei in lui, è che non si dilettasse di andar pre-
Prencipi pili grati di gran lunga siano i cavalli, le gioie, e gli altri presenti, che i
fumato, ·unguentato, lisciato, e specchiato di maniera che un pelo de la bar-
nobili e ricchi fanno, che gli epigrammi, le canzoni, i sonetti, e l' opere quanto ba non gli vada intorto; e s'una volta bisognasse toccarla non faccia piano
si vogliano belle e dotte 174 • piano col dito picciolo per non iscompigliar la zazzera: e faccia anco il sacco
Cosi non si tratterà piu di formare il «perfetto cortegianm>, ma «forsi per attuffarvila la sera quando va a dormire, e rassomigli un mulo di viaggio
. ; I
con la gabbia al muso 176 •
castelli in aria, o vero formate nuove chimere» (p. iv), come propongono !
':'I
le prime battute del dialogo. Di fronte insomma ad un principe sempre Ma l'esempio piu eloquente è fornito dai modi della pur comune
piu assoluto e astratto nella «ragion di stato», sta ormai un «formar con condanna dell'adulazione ai potenti: nel Castiglione la requisitoria si
parole» simmetricamente astratto a «formar nuove chimere». Lo spazio concludeva nella citazione classica da Plutarco, nel simbolo politico del
della mediazione storica, del paradosso e della sprezzatura, si è.dissolto, «fonte infettato», mentre nel Gilio si ingorgherà nell'accumulo del de-
vanificato il luogo della parola e della storia come «uso», come «com- forme, nel paradigma del mostruoso:
merzio»: rimane solo la norma e lo schema (il «sillogismo» spinto sino CASTIGLIONE Però non è ancora pena tanto atroce e crudele che fosse ba-
al concetto), oppure il catalogo, I' in temporale sequela degli exempla. stante castigo a quei scelerati cortegiani, che dei modi gentili e piacevoli e
La nascita del modello Il Libro del Cortegiano: esemplarità e difformità 79
delle bone condicioni si vagliano a mal fine, e per mezzo di quelle cercan la perché non penso che ad un uomo si possa dir la maggior ingiuria, né la mag-
grazia dei loro principi per corrumpergli e disviarli dalla via della virtli ed gior vergogna, che dirgli ignorante [. .. ]come nome per se stesso atto a far ver-
indurgli al vicio; ché questi tali dir si po che non un vaso dove un solo abbia gognar la vergogna; e che ciò vero sia, pensa bene, che quando dici ignorante
da bere, ma il fonte publico del quale usi tutto 'l populo, infettano di mortai ti pare di dir peggio assai che bufalo, asino, castrone, pecora; ti par che quella
veneno (IV, x). parola ti caschi di bocca puzzolente, stomacosa, bassa, languida, insipida,
GILIO O adulazion pessima, adulazion mascherata, adulazione nemica di sconfatta, e pili fetida che la merda degli Ebrei, e pili noiosa che l' assa fetida,
Dio, coritraria a la verità et a' buoni costumi, compagna de le bugie, amica nome sprezzato senza suono, senza considerazione, e senza riputazione al-
de le lusinghe, figliuola del Diavolo, signora de le corti, albergo de gli animi cuna 177 •
vili, posseditrice di cose vane, serva del timore, guida de malvagi. Velo di • ~e stesse marionette dell'affettazione cortigiana, gli emblemi tutti di
cuori doppi, colorata finzione, dessiderio insaziabile, offuscamento di ragio-
ne, pervertimento d'intelletto, cagione d'ogni vizio, sentina d'ogni male. ignoranza e «disgrazia», contenuti nel Cortegiano dietro la smorfia ri-
L'adulatore è occhio di basilisco, dente di lupo, rostro di corvo, artiglio d' a- sibile della maschera, nella legnosità del manichino, nel chiaroscuro del-
quila, cor di volpe, pelle di pantera, voce di iena, orma di ippopotamo, coda le empiastrature, ritornano qui in un «lambiccato» di difformità, in una
di crocodillo, e di cane, camaleonte e polipo (p. 6rv). rassegna di contorti eccessi, di viluppi fisici e verbali, che.sempre si
Ma alla deformità dell'adulazione, declinazione di bestiario, fa del resto compie nel sigillo fecale apposto su ogni elenco, su ogni nome:
da specchio, nel Gilio, la bestialità della natura del principe; e se nel Io ho veduto a le volte certuni che fanno il letterato recarsi in tanto con-
Cortegiano bastava una comparazione a dipingere la perversità («prin- tegno che parlando par proprio che lambicchino le parole, e mentre studiano
di consertare i gesti del corpo con le parole, acciò non venga lor torto un deto
cipe di cosi mala natura, che sia inveterato nei vidi, come li ftisici nella pili del dovere, paiono pili tosto scimie che uomini [... ]. Quando escono di ca-
infirmità» - IV, XLVII-), qui occorrerà l'elenco, l'accumulo nomin'!le: sa, s'ingrugnano se castello non ne fa segno con I' artiglierie, se non si suonano
«Ma quando sia [scii.: "la natura del Prencipe "] altiera, bizzarra, super- le campane, se ~on corrono i fanciulli e 'l volgo a gridar viva, viva, se non s'ac-
ba, traversa, bestiale, zotica e ritrosa, bisognerà usare altra maniera di cendono le torc1e, se non si cavano fuora i baldacchini, se non si spazzano le
motti e di reprensioni» (p. zrv). strade, e non sono come oracoli attesi e come Iddii adorati[. .. ]; e per il pili vo-
gliono sentirsi sanare intorno i terzi peli, vogliono parere ricchi, nobili, e ma-
Quest'accumulo nella deformità trae del resto legittimità dalla uni- gnifici, pomposi, eccellenti, favoriti e grandi. Si accattano le code de clientoli,
versale presenza dell'ignoranza che, come nel Castiglione, è significata uccellano a le sberrettate, attendono a le riverenze, e quando sono lor fatte si
dal difetto fisico (essendo, quella, cagione dei mali e dei vizi, e manife- toccano con un deto la beretta, o vero danno una chinatella al capo[ ...]. E 'l
standosi questi ultimi fisicamente come deformità: «perché pare che maggior segno di manifesta ambizione, e d'occulta superbia, è quando ne va
per testimonio della medesima natura l'uomo abbia quel diffetto, quasi dietro a questi fumi, acciò si dica: Signor merda, Messer squacquara e mae-
stro stronzo, e buon santo e pudico 178 • '
per un sigillo e segno della sua malicia» - IV, xr-). L'ignoranza è nel
corpo impronta della «disconvenienzia» dell'animo, e proprio per que- Ugualmente, la disputa sulla lingua, che occupa larga patte anche del
sto, già nel Castiglione, essa si manifesta nell'inganno dei sensi, con trattato del Gilio, si articolerà, nel gioco speculare di eccedenze/eccezio-
quelle reazioni corporee che la assimilano al vomito: ni, sino a coprire l'area dell'abnorme, dal «pomposo» al <<Sottile»; estre-
perché sempre quella cosa per la quale l'appetito vince la ragione è ignoranzia, mi, questi, di un'anormalità che mina persin il toscano: «par che ricer-
né po mai la vera scienzia esser superata dallo affetto, il quale dal corpo e non chi uno stile pomposo, affettato, gonfio con le sottilità delle regole»
dall'animo deriva[. .. ]; e questo ancora si conosce manifestamente in molti, li (p. 4rv). Cosi, «incapricciati ne loro concetti» (p. r8), sfileranno i pe-
quali, non sapendo, talora mangiano qualche cibo stomacoso e schifo, ma cosi danti, macerandosi a triturare nella lingua «la notomia di ciò che far
ben acconcio, che al gusto lor pare delicatissimo; poi risapendo che cosa era, dessiderano, sottilizzare, bilanciare, lambiccare, ciò che far pensano»
non solamente hanno dolore e fastidio nell'animo, ma 'l corpo, accordandosi (p. 62).
col giudicio della mente, per forza vomita quel cibo (IV, xvi).
In questo sottilissimo gioco di maniere, di dosaggi da bilancino, la
Ma nel Gilio la degradazione dell'ignoranza non è mantenuta nel «con- «disconvenienzia» è molto pili prossima e incombente che nel Cortegia-
trapeso »dell'apologo, pur «stomacoso»; essa si declina in tutto lo spet- no, cosf che ad ogni pagina fadisproporzione, senza il contrappeso della
tro dei suoi corrispettivi fisici, si riversa, ancora una volta «stomacosa», sprezzatura, s'ingorga nel disfacimento della lettera e della lingua. Là
dal vomito sino alla deiezione anale: si vede «pedantizzate» con «parole tanto vecchie, tarlate, e rancide, e
80 La nascita del modello Il Libro del Cortegiano: esemplarità e difformità 8r
mucide» (p. 37), con «stile pedantesco, che è cosa da sassate e da fi- la dim~ra a corte e l'inizio dell'arruolamento scolastico, questi balbet-
schiate»; e qua all'opposto tamenti trovano, nella prosa del Gilio, fascino e corpo, spazio ed esem-
quando parlano latino, par che vogliano sputare le parole, o masticarle, o plarità: poiché nell'autorità di Plinio (evocato dal Gilio), tutto il diffor-
squarciarle, o separare una lettera da l'altra, o le pronunziano con tanta goffez- me .~e~ scartato e «sprezzato» dai giochi del Cortegiano, atarantati ed
za che par che vi faccino cadere i denari (p. 36v). asp1d1, ritrovano la mostruosa meraviglia della gestazione nella parola.
'.'Il cap~ic~io impregnò la chimera» (p. 35v): un emblema fecondo per
Anche la parola, infine, preda di «spigolistri» o di «puzza papa»"',
il Man1er1smo, la conclusione del nostro itinerario tra i «sensi» e le
si fa oggetto deforme, bolo da masticare o da sputare, quanto lontano «maniere». -
da quel lieve rapprendersi delle voci, nelle terre di Moscovia, e «gelarsi
in aria» e infine «liquefarsi e descender gili mormorando» evocato nel
Cortegiano "'.
In realtà, per concludere un elenco che potrebbe ancora decomporsi
in altri grumi, in altre occorrenze, il Gilio bene aveva compreso, e signi-
ficava in una prosa ossessivamente notomizzatrice, che nella mutata si-
tuazione economica e politica dell'Italia la «sprezzatura» era stata una
felice giunta a «conviti magnifici, feste, giochi, spettacoli» (Cortegiano,
IV, xxxvr); ma che ora non era tempo neppur pili di «buone creanze»,
ma di povertà e sbirreria:
E se ben considerate, non è oggi sf trista sbirreria, che non si venda, e non
è pili quel tempo, nel quale la virtU, la prudenza, e le buone creanze .de l'uomo
si eleggevano. Però è forza che ogni povero dottoruzzo se vuol vivere faccia le
simonie, e rubbi in segreto et in palese, perché molto pili è quello che si paga
al sensale che quello che si guadagna (p. 24v).
L'amaro realismo del Gilio attestava la coscienza storica della fine
del ruolo privilegiato dell'intellettuale cortigiano, e insinuava, nel re-
taggio della cultura umanistica del pieno Cinquecento, una crisi di iden-
tità e di funzioni profonda e non pili rimarginata. Intanto, tale progres-
siva perdita dell' «uso politico» come del «commerzio» sociale della pa-
rola si manifesta nel Gilio per turgori subito lacerati in frammenti, sino
al balbettamento stentato di chi non spalanca pili la bocca nel riso e nel-
le gelatine, ma biascica il quotidiano «bus, base bos» di povero pedan-
te, destinato a «passeggiare e ragionar con Caronte», a ingoiar sentenze
· alla mensa dei nuovi parvenus:
E bene diceva Filippo Strozzi, che 'l ricco muore una volta sola: ma il po-
vero mille il giorno. Oltre di questo non credo che si trovi la pili sciagurata ca-
naglia de' letterati[ ... ]. Sono anco da pochi, muccicusi, vili, infermi per il pili,
a pena si sanno vestire, sciocchi, mal composti, e tolti da i libri, non sanno al-
tro fare che passeggiare e ragionar con Caronte. [... ]. E se non saprò dire bus,
base bos, al pane saprò dir pane, e al vino vino (p. 9v).
Al letterato ormai appartiene il «bus, base bos», la routine della de-
sinenza, la ripetizione dell'inarticolato: ma nell'intervallo tra la fine del-
7
Il Libro del Cortegiano' esemplarità e difformità
classicismo) risale del resto già a A. Luzio e R. Renier, Mantova e Urbino, Isabella d'Este
ed Elisabetta Gonzaga, Roux, Torino 1893, e ad essi difatti rinviava il Cian (ibid., Pre-
fazione, p. IV). L'edizione del Cortegiano, a cura di G. Prezzolini, a decenni di distanza
(dr. B. Castiglione- G. Della Casa, Opere, Rizzoli, Milano-Roma 1937), non faceva che
incrementare polemicamente, e sul versante negativo, tale associazione Bembo-Casti-
glione, come osserva puntualmente Giancarlo Mazzacurati: «Si spiega forse cosf il di-
sagio di pagine come quelle del Prezzolini, che finiscono per trasformarsi in un verbale
di accusa contro lo scrittore, dove si perpetua lanacronistico tema di un Rinascimento
dimidiato tra brutalità realistiche (Machiavelli, Aretino) e vuoto idealismo platonico-
aristocratico (Castiglione, Bembo)» (in Misure del classicismo rinascimentak, Liguori,
Il Libro del Cortegiano: esemplarità e difformità. Napoli 1967, p. 23).
Quanto la diarchia fosse legata alle ragioni esterne della polemica, tutta pertinente alla
1
critica e molto meno alla storia dei testi, sul classicismo mostrò ineccepibilmente Carlo
La lettera di risposta al dialogo di Alfonso de Valdés, Di.ilogo de las cosas ocunidas en Dionisotti nella sua citata recensione al Cian; ricorderò qui soltanto due conclusioni del-
Roma, scritto nel 1527 con l'intento di mostrare la «provvidenzialità» del Sacco di Ro- lo studioso che riconducono i due scrittori su due clivages assai distanti, se non proprio
ma, si articolerà non solo come replica ufficiale del nunzio pontificio in Spagna, ma an- divergenti, della storia culturale del Cinquecento. Sull'iniziazione poetica a Milano del
che come rivendicazione personale 1 e teorica, di piena maftrise dell'arte «dello scrivere Castiglione, non esiterà il Dionisotti ad affermare: «E, sia detto subito, la sua vocazione
in dialogo». Tale polemica precisazione del Castiglione non solo consente di definire a poetica non fa eccezione a quella di altri contemporanei lombardi che all'uscir della gio-
posteriori, nel giudizio dell'autore, il genere di «pertinenza» del Cortegiano, ma anche
di meglio valutare argomenti già enunciati nel corpo del testo, come paradigmaticamen- vinezza, incontratisi nello stil nuovo del Bembo, finirono, sfiduciati della poesia, col
te dimostra la definizione stessa della «materia» dell'incipiente trattazione: «vorrei che cercar nella prosa la misura libera e propria del loro ingegno» (recensione citata, GSLI,
'l gioco di questa sera fusse tale, che si elegesse uno della compagnia ed a questo si desse cxxrx, I952, p. 37); ed in termini conclusivi, cosf separerà le due espel'ienze culturali
carico di formar còn parole un perfetto cortegiano, esplicando tutte le condicioni e par~ e poetiche: «E questo risultato dell'Ariosto si appaia a quello dell'uomo cui si deve la
ticular qualità, che si richieggono a chi merita questo nome; ed in quelle cose che non pa~ demolizione critica della letteratura cortigiana, cioè il Bembo. Vita e opera del Casti-
reranno convenienti sia lecito a ciascun contradire, come nelle scale de' filosofi a chi tien glione restano al di qua deila meta che per diversa via il Bembo e l'Ariosto attingono:
conclusioni» (B. Castiglione 1 Il Libro del Cortegiano, con una scelta delle Opere Minori, restano comprese fra i rischi e i miraggi di un'età avventurosa» (ibid., p. 4I).
a cura di Bruno Maier, Utet, Torino 1973 3 , libro I, cap. xrr, alla p. 100; il corsivo è no- Nonostante tali decise correzioni di prospettiva, la congiunzione Bembo-Castiglione
stro). agi.J:il ancora a lungo come coagulo critico e filtro storiografico della letteratura proto-
2
La duttile abilità del Castiglione nel risolvere la mimesi in percorsp diegetico, l'«even- cinquecentesc!_t, se i pii.I recenti studi sul classicismo rinascimentale nascono tuttavia nel
to» in «ricordo», è esemplarmente attestata dalla formula stessa del «narrare il ragiona- loro nome, pur con un impianto argomentativo che tende ormai a compararli per «dif-
mento di due che parlano in contradizione»1 ed ulteriormente amplificata dal gioco delle ferenza>>; cfr. G. Mazzacurati, Misure del classicismo rinascimentale cit. (cap. I: Baldassar
«assenze» dell'autore, che si presenta, al letto1·e, come scriba fedele di una testimonian· Castiglione e l'apologia del presente; cap. rr: Pietro Bembo e la barriera degli esemplari) e P.
za postuma: «Assente, dunque, e ora portavoce di un portavoce: registratore, recorden>, Floriani, Betnbo e Castiglione. Studi sul classicismo del Cinquecento, Bulzoni, Roma I976.
conclude- assai a proposito-Eduardo Saccone [cfr. Trattato e ritratto: l'introduzione È però vero che proprio Giancarlo Mazzacurati ha, già a partire da quel saggio, e negli
del «Cortegiano», in <{MLN», XCIII (I978), n. l, pp. l-21; la citazione alla p. 4]. interventi successivi, riportato il Castiglione entro un piU mobile «mito di autorappre-
' L'esemplarità1 normativa per la lingua, del Bembo è stata precocemente associata, per sentazione collettiva» (dr. G. Mazzacm·ati, Il Rinascimento dei moderni, Il Mulino, Bo-
la definizione di un ideale canone della composta classicità del primo Cinquecento, al logna 1985). Il richiamo del Dionisotti a ristudiare l'area cortigiana lombarda, lungo
codice comportamentale del Cortegiano, sin dai lavori del primo, e pii.I informato, edi- una possibile congiuntui'a Castiglione-Bandella, è ancora nella citata recensione al Cian:
tore moderno del Cortegiano, da Vittorio Cianche collegherà appunto il prezioso com- «Neppure il meraviglioso recupero operato in tarda età dal Bandella è valso a ridestare
mento al trattato del Castiglione a una fitta trama di rinvii eruditi, come ha osservato il ricordo di una società che era cosf viva al tempo della sua giovinezza e di quella del
Ca1'lo Dionisotti, all'attività ferrarese ed ai riferimenti mantovani di Pietro Bembo. Si Castiglione. Sicché oggi chi studia la giovinezza dell'uno e dell'altro sa come accada di
ved~o infatti: B. Castiglione, Il Cortegiano, annotato e illustrato da V. Cian, Sansoni, dover procede1'e fra ombre suggestive e di 1'emota selvat> (id., Baldassar Castiglione e la
Firenze 1894; il critico concludeva la propria Prefazione ai «giovani lettori)> (il volume teoria cortigiana cit., p. 37). ·
compariva infatti entro una collana scolastica) celebrando appunto: «il ritratto idealiz- Ora la nostra ricerca partirà proprio da qui, nella parabola significativamente allusa dal
zato ma fedele, d'un' età e d'una società per molti riguardi gloriosa, frutto saporitissimo Dionisotti per il Castiglione, dai luoghi estremi di quello sperimentare e distillare la
di un innesto del nuovo pensiero sull'antico, dovuto ad uil cavaliere umanista, amico di «mutazionei> che accomuna una generazione cresciuta tra «i miraggi di un'età avven-
Raffaello e del Bembo, degno cortigiano d'Isabella Gonzaga» (ibid., pp. xv-XVI; il corsivo turosai>i nell'arco che va da Milano a Roma, a quella Roma di Clemente VII, alla quale
è nostro); ed ancora, V. Cian, Pietro Bembo e Isabella d'Este Gonzaga, in «Giotnale Sto- convergerà anche il Guicciardini. Si formerà cosf il Cortegiano nel ricercato e sempre
rico della Letteratura Italiana», IX (1887), pp. 81 sgg. Le osservazioni del Dionisotti sfuggente equilibrio tra il raccontare e il ricordare, tra quel «racconto» e quei «ricordh>,
inaugurano la fondamentale recensione a V. Gian, Un illustre nunzio pontificio del Ri- tra il Bandella e il Guicciardini, i quali ritroveranno, ciascuno per proprio conto, le mi-
nascimento: Baldassar Castiglione, Città del Vaticano 1951, in GSLI, CXXIX (I952), pp. sure di generi e di funzioni (tra lo scenario del pubblico e la discrezione della memoria)
31-57; la questione, qui evocata1 alla p. 3 l, Una quota, non trascurabile, di responsa- ·che il Castiglione aveva fascinosamente tentato di congiungere in un'unica trama di «1'a-
bilità nel costitui.J:si del binomio critico Bembo~Castiglione (emblemi di un temperato gionamenti».
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11
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u «lo estimo che la conversazione, alla quale dee principalmente attendere il cortegiano casione, rip1'ovato in GH, I, xxxr, p. 42.
con ogni suo studio per farla grata, sia quella che averà col suo principe; e benché questo 22
Il Libro delCortegiano cit., I, xxxv, p. 142. Cfr. GH, I, XXXII, p. 44: «et in tal modo ne
nome di conversare importi una certa parità, che pare che non possa cader tra 'l signore resulterà una lingua che si potrà dire italiana, comune a tutti, culta, fiorita et abondante
e 'l servitore, pur noi per ora la chiameremo cosf» (Il Libro del Cortegiano cit., II, XVIII, de termini e be1le figure». La polemica antitoscana è accentuata nella redazione finale,
p. 2I6"'" GH, p. Ioo). Si noti come, nella stessa frase, la natura della «conversazione» dove la battuta contrastiva («e se ella non fosse pura toscana antica, sarebbe italiana,
si affermi quale «congruità retorica» che comporta «una certa parità)>, e insieme quale commune, copiosa e va1'ia») è richiamata dal paragrafo seguente cui era confinata nella
«discontinuità sociale» e scenica dei ruoli. seconda redazione: «E se non sarà in tutto pura toscana, non per questo meriterà essere
16 Il brano dedicato alle virtU della «conversazione i> cosf infatti si conclude: «Voglio adun- sprezzata, che già non fu rifiutato Tito Livio, avenga che colui dicesse avere trovato in
que che 'l cortegiano [. .. ]si volti con tutti i pensieri e forze dell'animo suo ad amare e esso la patavinità» (GH, ibid.).
quasi adorare il principe a chi serve sopra ogni altra cosa; e le voglie sue e costumi e mo- 23 Cfr. C. Tolomei, Il Cesano. Dialogo nel quale si disputa del nome, col quale si dee chia1na-
di tutti indrizzi a compiacerlo -. Quivi non aspettando piU, disse Pietro da Napoli: re la volgar lingua, Giolito, Vinegia 1555, pp. 18 sgg.
- Di questi cortegiani oggidf trovarannosi assai, perché n1i pare che in poche parole ci 24 Cfr. C. Lenzoni, In difesa della lingua fiorentina, per cura di C. Bartoli, Torrentino, Fio-
abbiate dipinto un nobile adulatore -» (Il Libro del Cortegiano cit., II, xvm, p. renza 1556, p. 25. Un elenco dettagliato delle citazioni del Castiglione nelle dispute sul-
2I6 ~ GH, p. 100). la lingua lungo il Cinquecento è dato in appendice a B. Castiglione, Opere volfjlri e la-
17 Cfr. B. Castiglione, Il Cortegiano, annotato e illustrato da Vittorio Cian, Sansoni, Fi-
tine, a cura di G. A. e G. Volpi, Comino, Padova 1733 (1732 1), pp. 401-14.
renze 1894, nota 21 alla p. 31. n «In questa fase, la polemica di cui il Castiglione ci è testimone segna il momento dit-i-
18 In molteplici luoghi, nel quarto libro, nella struttura «academica» finale data dal Casti-
mente e decisivo di un distacco che se non è ancora rifiuto del mito trecentesco, segna
glione ai propri «ragionamenti», si insisterà su questo tema; basti qui una sommaria con1unque la consapevolezza d'una condizione intellettuale e d'una pressione socio-
campionatura: politica incommensurabile ad esso. Il presidio di alcuni testi fondamentali basterà poi
«vorrei sapere se quella: instituzione che ha da far il cortegiano nel suo principe deve es- a dar fondamento a questa lenta ribellione, perché essi (si chiamassero Arcadia, Corte-
ser cominciata dalla consuetudine e quasi dai costumi cottidianh> (IV, xxrx, p. 483); giano od Orlando Furioso) creavano il senso d'una tradizione già adulta, diffusa, "comu-
«però bisogna che 'l cortegiano, per la instituzion del quale il principe ha da esser di tan- ne", perfettamente trasferibile (a differenza di quanto era avvenuto per tante opere
quattrocentesche) da un centro all'altro» (Mazzacurati, La mediazione trissiniana, in Mi-
ta eccellenzia, sia pill eccellente che quel pl'incipe; ed in questo modo sarà ancora di piti
dignità che 'l principe istesso, il che è inconvenientissimo» (IV, XLIV, p. 503);
sure del classicismo rinascimentale cit., p. 264).
26 Si osservi la perentoria affe1'mazione del Giovio, ad apertura di trattato: <do vi rispon-
«per rispondere adunque alle vostre obiezioni, dico ch'io non ho detto che la instituzio-
derò amorevoln1ente, purché non mi oblighiate alla severità delle leggi di questo scelto
ne del cortegiano debba esser la sola causa per la quale il principe sia tale» (IV, XLV, p.
parlar toscano perché io voglio in tutti i modi esser libero di voler parlare alla cortigia-
504);
na» (P. Giovio, Dialogo de!l'imprese militari e amorose, Barre, Roma 1555; cito ora dalla
«onde forse si poria dir che 'l divenir institutor del principe fosse il fin del cortegiano » riedizione commentata da M. L. Doglio, Bulzoni, Roma I978, alla p. 34).
(IV, XLVII, p. 507). 27 G. A. Gilio, De le parti morali appertenenti a' Letterati Cortigiani, et ad ogni altro gentil
19
Il Libro del Cortegiano cit., IV, XLIII, p. 502. È importante osservare che nella seconda uomo, in Due dialogi, Camerino, per Antonio Gioioso, 1564, p. 4ov: «Quanto a la lin-
redazione l'irrealizzabilità dell' «instituzione» del principe è risarcita dalla sopravviven- gua cortigiana fu già di molti opinione, che fusse la ve1:a lingua». Nelle stesse pagine
za del tema della «pompa delle donne», nella repressione della quale si realizza, in un (4ov-4I) è evocata l'autorità del Castiglione, per rapporto al Bembo ed al Calmeta.
fru:e che è pari al dire, il concreto<~ buon governo di quella patria i>. Nell'edizione defi- 28 Il Libro del Cortegiano cit., I, xxx, p. 132.
nitiva l'etica per le «donne)> è sostituita dalla «politica)> per il principe: e la praticabilità
29 Ibid., II, vm, p. 201.
di quella «repressione» cederà all'impraticabilità utopica di questa, vagheggiata e vana,
«instituzione». Recitava infatti la seconda redazione: 30 Ibid.: «procurerà esser nell'arme non meno attillato e leggiadro che sicuro, e pascer gli
«si può dire che esso non solamente sia quel perfetto cortigiano che noi cerchiamo, bastante occhi dei spettatori di tutte le cose che gli parrà che possano aggiungergli grazia; e porrà
per instituire bene el suo principe, ma se la fortuna gli sa1'à propizia, che debba ancor esser cura d'aver cavallo con vaghi guarnimenti, abiti ben intesi, motti appropriati, invenzio-
degno et ottimo principe, il che a' df nostri è cosa tanto rara-. Disse allor Terpandro: ni ingeniose, che a sé tirino gli occhi de' circonstanti, come calamita il ferro».
- Per vostra fé, signor Ottaviano, dite; davvi or il cuor di servm·, quando sarete duce di 31 Ibid., II, VIII, p. 202.
Genova, tutti quegli modi e costumi che avete detto convenirsi a buon principe?-. Ri- 32 GH, II, VIII, p. 90.
spose el signor Ottaviano: - Se mai giungo a quel grado, non so quello ch'io mi farò
l 3 Tasso, Il Malpiglio overo de la Corte, in Dialoghi cit., tomo II, p. 561.
del servargli; so ben forse quello che dover1·ei fare; ma se in ogn'altra cosa mancassi, non
34 Segnalo soltanto due testi capitali, nell'arco delle possibili lettui'e o riferimenti del Ca-
mancarei almeno nel reprimere la pompa, arroganza et ambizione delle donne, ché gli
userei sempre ogni diligenzia per mettergli fi·eno; e questo credo saria tanto giovevole e stiglione: il De re aedificatoria di Leon Battista Alberti, esce a Firenze nel 1485; ma le
necessario al buon governo di quella patria quanto akun'altra cosa delle già dette o di quelle fonti essenziali per il Cortegiano, e cioè i libri XXXV e XXXVI della Naturalis historia
che restano da dire, che sono molto piU» (GH, III, XLIII, p. 231). Il corsivo è nostro. di Plinio, erano già disponibili nella traduzione del Laudino sin dal 1476 (cfr. Historia
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dee ... », ben diversa ormai dai dispositivi di lenimento disseminati con cura dal Casti- création, par François de Belleforest, Paris 1636.
glione, come prima «discrezione» del suo trattato. 99
Cfr. C. Dionisotti, Niccolò Libumio e la letteratura cortigiana, in «Lettere Italiane», XIV
86
Si tratta dell'incipit del II libro, nella seconda redazione; cfr. GH, II, 1, p. 77. (1962), n. r, pp. 33-58; la citazione, alla p. 58, chiude anche il saggio del Dionisotti.
87
B. Castiglione, Il Libro del Cortegiano, ed. Dolce 1562 cit., Tavola di tutte le cose nota-
10
° Castiglione, I/Libro delCortegiano cit., II, xvn, p. 215 (= GH, II, xvn, p. 99).
101
bili, p. K6. Castiglione, Risposta al Valdés cit., p. 671.
102
88
Il Cortegiano del Conte Baldassarre Castiglione, riveduto e corretto da Antonio Ciccarelli GH, II, 1, p. 77. Lo stesso scenario di univetsal mutazione governerà i Ricordi del Guic-
da Fuligni, Dottore in Teologia; con le Osseroazioni sopra il N Libro fatte dall'istesso. Al ciardini: «Se voi osservate bene, vedrete che di età in età non solo si mutano e modi del
Sereniss. Sig. Duca d'Urbino, in Venezia, appresso Bernardo Basa, MDLXXXIV, in 8°. parlare degli uomini e vocaboli, gli abiti del vestire, gli ordini dello edificare, della cul-
Una dettagliata descrizione dell'edizione è fornita da Gaetano Volpi, alle pp. 420-21 del tura e cose simili, ma, quello che è piU, e gusti ancora, in modo che uno cibo che è stato
suo già citato Catalogo di molte delle principali edizioni del "Cortegiano" stampato in ap- in prezzo in una età è spesso stimato manco nell'altra» (F. Guicciardini, Ricordi, ed. cri-
pendice alla ricordata edizione cominiana delle Opere volgari e kuine dcl Castiglione, nel- tica a cura di R. Spongano, Sansoni, Ffrenze 195 l, p. 80).
la quale è pure edita, alle pp. i-iii, la Lettera dedicatoria del Ciccarelli, da cui citeremo. Non minor peso avrà la teoria della «mutazione» presso Machiavelli: basterebbe ricor-
Quanto ai criteri dell'edizione, il Volpi osservava: dare l'incipit del V libro delle !storie fiorentine: «Sogliono le provincie, il pii.i delle volte,
«Dopo una tale Dedicazione, séguita la Tavola, quasi affatto simile a quella del Dolce. nel variare che le fanno, dall'ordine venire al disordine, e di nuovo di poi dal disordine
94 La nascita del modello Il Libro del Cortegiano: esemplarità e difformità
95
all'ordine trapassare; perché, non essendo dalla -?atura conceduto a!~e mon~ane cos~ il 1
2
° Febvre, Le problème de l'incroyanceau xv.I" siècle cit., pp. 464 e 467-68.
fermarsi, come le ari'ivano alla 101·0 ultima perfezione, no-? a_vend? J?lU da s.ahre, conv1e* 121
Il Libro del Cortegiano, Dedica cit., I, p. 68.
ne che scendine; e similmente, scese che le sono, e per .h d1sord1n1 a4 ultima bassezza
1
22
Ibid., Dedica cit., I, p. 71. Il corsivo è nostro.
pervenute, di necessità, non potendo piU scendere, conviene che s~?h~no; .e cos{ sempre 12
da il bene si scende al male, e da il male si sale al bene». Ora tale_v1~1ss1~u?ine del tempo 1 Ibid., III, LII, p. 413 (,,,, GH, JII, LXXXV, p. 278). Sul rapporto tra percezione dei sensi
come mutazione sembra collegare, nel Castiglione come nel Gutcctardin~ come ?el Ma~ ed ascesi mistica, nel XVI secolo, mi sia consentito di rinviare a C. Ossola, Apoteosi ed
chiavelli, esperienze politiche assai prossime, che solo la dive7s~ collocaz1one dei g~nert ossimoro. Retorica della «traslazione» e retorica deil'«unione» nel viaggio mistico a Dio:
letterari, ai quali sono state ascritte le !oro oper~, h? s?rr~tt~zt~ente. separato'. S1 ve- testi italiani dei secoli xw-xv_rr, in aa.vv., Mistica e retorica, a cura di F. Bolgiani, Olschki,
dano, a questo proposito, le importantl osservaz1on1 dt G1;J10 Fe.rroru, «Mutazione» e Firenze 1977, pp. 47-103.
124
«riscontro» nel teatro di Machiavelli, Bulzoni, Roma 1972, 1n part1c?Iru.:e le pp. 17-13 7· li Libro del Cortegiano cit., II, I, pp. 189-90 (:=: GH, II, I, p. So).
Va infine detto che tale teoria della mut~zione, .che ~ttta:'e1'sa tutto il Cinquecento «P~~ 125 Ibid., IV, LXVIII, p. 536.
litico» avrà la sua ultima radicale, man1festaz1one in Giordano Bruno: «qualunque su 12
il punt~ di questa sera ch,'aspetto, si la tnutazione è vera, io che son ~e la notte, as~~tto " Castiglione, Risposta al Valdés cit., p. 673.
il giorno, e quei che son nel giorno, aspettano ~a notte: tut~o quel eh è, o è equa o a, o 121IlLibrodelCortegianocit.,I,xxvn,p.128.
vicino, 0 lungi, o adesso o poi, o presto o tardt» (Candelato). . . . . 128
Ibid., I, XXXIV, p. 142. Il passo era già citato da Mazzacurati, Misure del classicismo ri-
103 Castiglione Il Libro del Cortegiano cit., I, XXXVI, p. 145; quasi simile ladclmparaz1di nascimentale cit., pp. l 20-21. Occorre rilevare che in GI-I (I, xxxv, p. 48) il paragone
in GH, I, x~xVI, p. 48, dove semmai si insiste sull' «Uso, dal qual depen e a norma e era utilizzato, ma privo della parte relativa al tatto:«(. .. ] et accostare le cose quasi al
parlare». . . . . senso de li ochi proprii con diletto di chi ode o legge».
129
104 Ib 'd I XXXII p 13 7 Lo stesso concetto era già enunciato sin dalla dedica a D?n Af.tchel Scriveva infatti Robert Klein: «Questo processo di presa di coscienza critica ha alle sue
D; Silv~ dov~ si rico;da che «per le guerre e ruine d'Italia si son fatte le mutazioru della
lingua, degli edifici, degli abiti e costumi» (ibid., p. 75).
spalle fonti e modelli letterari: Poliziano, Giovanni F1'ancesco Pico, l'Aretino; ma non
sono i soli, come si può constatare considerando un'evoluzione semantica parallela a
105 Ibid., Dedica, II, p. 73. qudla del ter1nine "maniera": il trasformarsi cioè del termine "giudizio" in qudlo di
106 Ibid., I, XXXVIII, p. 15 l ( :=: GH, I, XXXVIII, p. 52). "gusto". La scoperta dell'originalità individuale nell'espressione soilecitava, e presup-
poneva, quella della originalità individuale nella valutazione delle opere; "maniera" e
101 Ibid., Dedica, II, p. 73·
"gusto" sono complementari. Ma di questa comple1nentarità e delle ragioni profonde
1oa GH, I, xxxvII, p. 49 (:=: I/Libro del Cortegiano, I, XXXVII, p. 147). di essa si parla poco nella critica letteraria ed esse non sono giunte alia critica artistica
109 GI-I, III, cxx, p. 315. . , per il canale tradizionale delle lettere; provengono da un terzo campo, quello della fi-
110 Il Libro del Cortegiano cit., I, I, p. 80 (= GH, I, I, pp. 3-4). Il corsivo e nostro. losofia natutale, e soprattutto dalle discipline di essa che piU da vicino riguardano l' a-
111 Ibid., IV, XIII, p. 462 (= GH, III, XII, p. 198). . ' nima: astrologia, teoria dei temperamenti, magia e le loro forme pili mondane e sottili:
teorie dell'amore, pella bellezza femminile, della persuasione, dei modi musicali, del ge-
112 Il Libro del Cortegiano, Dedica cit., III, pp. 77-78. ll corsivo e nostro.
nio malinconico. E in. queste teorie che si trovano il principio e la spiegazione dell'af-
113 Ibid., I, xxxv, pp. 142-43. ll corsivo è nostro. finità tra un'anima e una cosa» («Giudizio» e «gusto» nella teoria dell'arte nel Cù;quecenff
114 Ibid., Dedica, II, p. 7.5· . to, 1961; poi in La forma e l'intelligibile. Scritti sul Rinascimento e l'arte moderna; trad.
1u F. Rabelais, La Vie très horrificque du Grand Garf:antuapère de Pantaff!Ue~ (1535), ora in it. Einaudi, Torino 1975, pp. 373-86; la citazione alle pp. 374-75).
130
CEuvYes complètes, a cura di Guy Demerson, Seuil, Part.s 1973; Premter livre, Prologe de Mazzacurati, Misure del classicismo rinascimentale cit., pp. 9-10.
131
t'auteur, p. 39. · · Castiglione, Il Libro del Cortegiano, Dedica cit., III, pp. 76-77. Il corsivo è nostro.
132
116 L. Febvre, Le problème de t'incroyance au xv.t siècle: la religion de Rabelais, Albm Mi- N. Machiavelli, Il Principe, a cura di F. Flora e C. Cordiè, Mondadori, Milano 1949;
chel, Paris 19 622; si fa riferimento al paragrafo Odeurs, saveu~ et sons.,pp .. 461-71, la no- cap. VI, p. 17. Ancora una volta, ritroveremo, nella stessa a1'ea metaforica, le riflessioni
stra citazione alle pp. 461-62. 1 versi che chiudono, e adempiono, la c1taz1~~e sono trat- del Guicciardini: «Diceva el duca Lodovico Sforza che una medesima regola serve a fare
ti daJ. Du Bellay, Divers Jeux Rustiques; il saggio cui fa c~nn? Febvre, e 11 seguente: conoscere e principi e le balestre. Se 1a balestra è buona o no, si conosce dalle freccie che
L. Febvre, Une civilisation, la première Renaissance,(rançats<;, ,1n «Revue des C?urs ~t tira; cosi el valore de' prfncipi si conosce dalla qualità degli uomini mandano fuora»
Conférences», 1924-25, II; trad. it. Il problema del! zncredulzta nel secolo XVI, Einaudi, (Guicciardini, Ricordi cit., p. 184). La metafora avtà ancora eco e fortuna, sempre as-
Torino 1978. . . sociata al «gusto», ma rovesciata di valore simbolico, presso Campanella, nella prefaff
Il saggio di Gaston Bachelard, cui si faceva riferimento, ,sop~att~tto.per il Se~cento, .è zione alla Metaphysica: «Novam condere metaphysicam statuimus, uhi[...] reducti su-
il seguente: Le mythe de la digestion, in La formation del espnt scientifique, Vr1n, Par1s mus ad viam salutis et cognitionem divinorum, non per syllogismum, qui est quasi sagitta
1977 10 ,pp. 169-8r. . . qua scopum attingimus a longe absque gustu, neque modo per authoritatem quod est tan-
117 La citazione è ancora fornita da Febvre, Le problème de l'incroyance au xvr" stècle c1t., gere quasi per manum alienam, sed per tactum intrinsecum in magna suavitate» (il passo è
citato da Klein, La/orma e l'intelligibile cit., p. 383; il corsivo è nostro).
p. 466, nota 1. .. . F b · 133
11s Joannes Bravus, De saporu.m et odon:.m differentiis, Venetns 1591; H1eronymus a rt- Castiglione, Il Libro del Cortegiano cit., I, XN, p. 105 ("" GH, I, XVII, p. 25).
134
cius De visione, voce, auditu, Patav11 1600. lbid., I, XLVI, pp. 167-68 (,,,, GH, I, XLVI, p. 64). Per le varianti, e la natura paradossale
119 Mi ;iferisco al capitolo introduttivo del saggio di Ezio Raimondi, Il romanzo senza idil- di tale «eccedenza», cfr., qui, la nota 71.
115
lio, Einaudi, Torino 1976. Ibid., IV, XI, p. 459·
--------------~----------------------------------------------------------------------~
H6 Ibid., II, LVII, p, 277 (= GH, II, LVI, p. 143). 16~ L'insistenza su questi compiti di «instituzione» del principe, nei capitoli centrali del IV
H7 Ibid., II, II, p. 192 (= GH, II, II, p, 82). libro, dovrebbe far meditare sulle intenzioni politiche del trattato (tanto che nel Gilio,
vedremo, il Castiglione è associato a Machiavelli). Se ne veda una breve campionatura,
na Ibid., II, II, pp. 191-92 (= GH, II, 11,p. 82). oltre a quella suggerita alla nota 18: «però parmi che ancora che 'l cortegiano instituisca
u 9 Ibid., II, II, p. 192 (,,,, GH, II, II, p. 82). il principe, non per questo s'abbia a dir che egli sia di pii.I dignità che 'l principe» (IV,
140 GH, III, XCVII, p. 291. Va notato che già qui, come accadrà piU vistosamente per l'e- XLVI, pp. 505-6);
sempio successivo, la redazione finale fornirà «contrapeso » e lenimento all'incipit trop- <<Però, se a me toccasse instituirlo [scii.: il principe]» (IV, XLI, p. 499);
po «alto», facendo scivolare l'argomento e l'affermazione qualche riga oltre l'attacco «circa il fine della co1tegiania si po dir che non solamente siate quel perfetto cortegiano
l
del capitolo introdotto ora da battute dialogiche di posata medietà: «Rise messer Pietro che noi cerchiamo, e bastante per instituir bene il vostro principe» {IV, XLIII, p. 502) (e
e disse[ ... ]» (cfr. Il Libro del Cortegiano cit., IV, LVII, pp. 52 r-22). anche IV, xuv, p. 503).
141 GH, III, XCVIII, p. 292. 166 Il Libro del Cortegiano cit., IV, XXXVIII, p. 496. Anche piU marcato, nella seconda reda-
142 Il Libro del Cortegiano cit., IV, LVm, pp. 522-23. Anche qui il Castiglione, come nella zione, questo ritratto della perfezione, annunciato dal Castiglione: «ché come di là scri-
rielaborazione del capitolo precedente, ottiene il lenimento dell' «inno al creato», richia- ve il nostro Castiglione e piU largamente promette di dire al suo ritorno, non è corpo
mando in testa di capitolo e amplificando brevi battute che nella seconda redazione ave-
va fatto rifluire in fondo, e in margine, al capitolo precedente XCVII: «Ma invero esten- l wnano oggidf nel qual piU chiaramente si conosca la natura aver voluto collocare tutte
le doti et excellenzie sue e mostrar al mondo quasi un virtuoso specchio delle cose divine
dersi molto in laude della bellezza, parmi superfluo, perché ognuno sa che al mondo cosa che in questo» (GH, III, XXXVIII, p. 225).
non è che naturalmente tanto sia grata e desiderabile quanto la bellezza, né tanto molesta 167 Il Libro del Cortegiano, Dedica cit., III, p. 77.
quanto la bruttezza. [XCVIII] E se considerate tutte le cose, trovarete che sempre quelle 168 L'epistola, del giugno l 508, è ora edita in B. Castiglione, Le lettere, a cura di Guido La
che sono bone et utili ... » (GH, III, XCVII-XCVIII, p. 29i). Rocca, tomo I: I497 - marzo r52r, Mondadori, Milano 1978, pp. 162-98.
14J Il Libro del Cortegiano cit., I, XXVI, pp. 123-24 (= GH, I, XXIX, p. 39). Il corsivo è nostro. t69 Il Libro del Cortegiano cit., I, XXXVII, p. 149 ( = GH, I, XXXVII, pp. 50-51).
144 Ibid., I, XXVI, p. 124 (= GH, I, XXIX, p. 39).
170 Cfr. G, A. Gilio da Fabriano, Dialogo de I.e parti morali appertenenti a' Letterati Cortigiani
14' Ibid., I, XX.VI, p. 125 (= GH, I, XXIX, p. 40). et ad ogni altro gentiluomo, In Due dialogi, in Camerino, per Antonio Gioioso, l 564. La
146 Ibid., III, v, p. 343. Il corsivo è nostro. citazione a p. 2I.
171 Per il rapporto tra la teoria dell'arte giliana ed i precetti del Tridentino sono ormai ca-
!4 7 Ibid., I, III, p. 83 ("' GH, I, III, p. 6).
nonici gli studi di F. Zeri, P. Barocchi, P. Prodi, ai èi,uali richiamo in Autunno del Rina-
l4S Ibid., I, XIV, p. 104 (= GH, I, XVII, p. 24).
scimento, Olschld, Firenze 1971. Meno nota è l'attività del Gilio come teorico della re-
"' Ibid. (= GH, ibid.). torica: per tale aspetto mi permetto di rinviare al mio intervento: La «Topica poetica»
1' 0 Ibid., I, xx, p. 115 (= GH, I,xxnI, p. _32). di G. A. Gilio, in aa.vv., Retorica e poetica, a cura di G. Polena, Liviana, Padova 1979,
1'l Ibid., II, XXVIII, p, 234 (= GH, II, XXVIII, p. 113). pp. 261-8,.
172 Il Libro del Cortegiano eit., IV, x, p. 457, Le altre citazioni saranno per lo piU indicate
u 2 GH, Il, XLVJ, p. 134.
nel corpo del testo.
u 3 Il Libro del Cortegiano cit., II, XLVI, p. 261.
in Machiavelli, Il principe cit.; dedica: Nicolaus Maclavellus ad Ma@iftcum Laurentium Me-
u 4 Ibi<i., II, XXXVI, pp. 246-47 (= GH, II, XXXVI, p. 123). Altro elenco di «pecoragini» da
dicem; incipit. Il corsivo è nostro.
evitare in Il, XXXVIII.
174 G. A. Gilio, Dialogo de le parti morali... cit.; dedica All'Illustrissimo et Reverendissimo
1" Ibid., II, XLVI, p. 262 (= GH, II, XLVI, p. 134).
15 6 Ibid., IV, VII, p. 454. Cospicue varianti, come vedremo, in GH, III, VIII, pp. 192-94.
I Monsignor, il Cardinal Farnese, p. Aii. Il corsivo è nostro. Le altre citazioni saranno per
lo piU indicate nel corpo del testo. L'argomento è poi ripreso pro domo sua: «E se con-
157 GH, III, VIII, p. 193. siderassero i Prencipi l'utile che si cava dai letterati, buona parte di quello che spendono
15 8 Il Libro del Cortegiano cit., IV, VII, p. 454.
'1 ne' cavalli, ne' cani et in altre cose tali, spenderebbono ne' virtuosi» (ibid., p. 3).
' 1 7' Ibi d., dedica All'illustrissimo et Reverendissimo Monsignor, il Cardinal Farnese, p. Aiii.
1' 9 GH, III, VIII, p. 19.3·
160 Il Libro del Cortegiano cit., IV, XLVII, p. 510; e si tratta di amplificazione rispetto a GH,
I
162 Ibid., IV, XXXVI, p. 492 (= GH, III, XXXVI, p. 222).
te, di specchi, di guanti profumati, di ricette da far belle, di profumi, di misture, altro
163 GH, III, VIII, pp. 193-94. Nella redazione definitiva manca la parte conclusiva, qui ri- non si vede per le tavole che sonettini, et ottavi amorosi, dialoghi d'amore, modi di
portata in corsivo (cfr. Il Libro del Cortegiano cit., IV, VIII, p. 456). Ugualmente nella re- comporre lettere d'amore, et altre cose da lisciare e da cinguellare» (ibid., p. 49v).
dazione definitiva verrà ridotta la portata di quel «però se agli principi de' nostri tempi» ' 177 Ibid., p. 10. Per altre forme di metaforica antisemita, in quel torno d'anni basterebbe
in un pii.i sfumato: «ma se ad alcuni de' nostri principi». riferirsi all'Ospedale de' pazzi o al Teatro de' Cet'IJelli del Garzoni. L'ignorante è poi, su-
164 «Qualche tristizia» è attestata come variante di «qualche sceleritate» (GH, III, VIII, bito dopo, apostrofato sugli stessi toni: «ti morresti di fame in uno spedale, o striglie-
p. 194). ·1 resti i cavalli, o' meneresti a cacare i cani» (ibid., p. 1ov). Per il valore semantico, e sim-
I
'l.
La nascita del modello
bolico, di assafetida, cfr. Rabelais, Pantagruel cit. (cap. r6: Des ma:urs et conditions de III. La rappresentazione
Panurge), p. 28r.
11s Ibid., pp. 27v-28.
179 «Né vorrei che fusse [scil.: il letterato cortigiano] di questi spigolistri, che ogni volta che
sentono, ancor che con garbo, volgarizzare una qualche parola latina, si stomacano, crol-
lano il capo, e fanno l'archipenzolo o 'I puzza papa» (ibid., p. 37).
mo Il Libro del Cortegiano cit., II, LV, pp. 274-7.5.
La nascita del n1odello
bolico, di assafetida, cfr. Rabelais, Pantagruel cit. (cap. x6: Des ma:urs et conditions de III. La rappresentazione
· Panurge), p. 28x.
1n Ibid., pp. 27v-28.
179 «Né vorrei che fusse [sdl.: il letterato cortigiano] di questi spigolistri, che ogni volta che
sentono, ancor che con garbo, volgarizzare una qualche parola latina, si stomacano, crol-
lano il capo, e fanno l'archipenzolo o '1 puzza papa» (ibid., p. 37).
1so Il Libro del Cortegiano cit., II, LV, pp. 274-7,5.
Il 'luogo' della Corte e le sue 'rappresentazioni'
Tra sbirri ed età dell'oro, quale luogo assegnare alla Corte, un <<luo-
go» simbolico, un topos d'affabulazione mitica proteso ad una restau-
razione edenica, oppure la sede, architettonica e giuridica, del!' autorità
politica: «immagine» o luogo d'esercizio del potere?
Nel toccare uno dei nodi culturali e metodologici pili complessi della
storiografia dell'età moderna (dal XL.V al XVI!Cseoolu)._quello cioè dei
rapporti tra struttura e funzione, tra 'istituzioni' e morfologie di un fat-
to storico, tra gestione del potere ed organizzazione degli apparati e del-
!' apparire, balza evidente la difficoltà preliminare di «situare» la corte,
tra famiglia e signoria, tra il governo del palazzo e gli statuti cittadini,
tra corte residente e corte itinerante, tra committenza d'arte e campa-
gne di guerra. .
Tra i dati «anagrafici» cbe la lingua registra, primo è lo spessore se-
mantico che il nome stesso corte alla metà del Cinquecento testimonia,
nel sovrapporre, sotto lo stesso etimo, leredità di una tradizione feu-
dale e i primi tratti distintivi dei nuovi ruoli che la nascente 'società di
corte' va organizzando.
102 La rappresentazione Il 'luogo' della Corte e le sue 'rappresentazioni' 103
Se sotto il segno di Saturno e della sua «deliciosa» età dell'oro il Ca- fonti da cui sono tratti gli esempi, oltre ai canonici Virgilio, Dante, Pe-
stiglione collocava il frutto, ritualmente utopico, di «cortegiania», ap- trarca, Boccaccio, appunto lAriosto ed il Bembo, di corti esperti) ag-
pena pochi lustri piu tardi, sotto lo stesso pianeta Saturno, lAlunno giunge, nel cielo di Giove, il senso piu attuale di corte, quello di sede del
elencherà, nella sua Fabrica del mondo (in un vocabolario che è insieme, potere regale o signorile, includendola in una serie che comprende: «re-
partendo dal cielo e da Dio, teatro cosmologico delle «congiunture» tra gno, reame, reggia, corte, aula, duca, duce, doge, signore, monsignore,
il mondo creato, le sue gerarchie, i suoi nomi) e sanzionerà - come piu signoria, signoreggiare». Essa è il luogo ove si «signoreggia», ed è tale
alto e antico dopo Dio - il lessico ed i simboli derivanti dal corteggio esercizio che determina, come risultato corrispettivo della sua efficacia,
di Saturno appunto, allegando dunque nell'ordine i paradigmi di Reli- il «corteggiare» - secondo le giunte che il Porcacchi sarà in obbligo di
gione, Vecchiezza, Tempo, Agricoltura, Povertà, Avarizia, Prigione. apporre nel I 584 alla riedizione del!' Alunno, allegando le nuove auto-
In fondo all'elenco, tra gli attributi e sinonimi di «PRIGIONE. Carcere, rità e citazioni del Caro, eccellente interprete del circolo farnesiano, e
Distretto, Laberinto, Gabbia, Calappio, Trappola, Stipa, Stiva, Rete, Cep- ancora del Bembo: «Corteggiare significa far corte, cioè accompagnare
pi, Catene, Legami, ecc.» aggiungerà la lista pertinente a quella «catena» Principe e Signore per onore o per debito, o per altro. BEMBO, As.
stabile che è la Servitti, includendovi: «servigio, servo, servente, sergen- "Gran senno faranno i suoi compagni, se essi questo Prence cortegge-
te, servile, cattività, schiavo, mancipio, soggetto, suddito, vassallo, li- ranno"». «Per onore o per debito» - e si ricordi parallelamente il Ma/.
gio, famiglia, fante, valetto, paggio, ragazzo, scudiere, famiglia, birro, piglio del Tasso: «La corte dunque è congregazion d'uomini raccolti per
corte, sbirraglia». onore»-, o «per debito» (e sarà cura dei sovrani, e sviluppo delle cor-
La «corte» chiude quindi e compendia, nella prima e primeva delle ti, far passare dall'uno all'altro, da cortegiano a segretario, o magari solo
sue occorrenze, tra «vassallo» e «sbirraglia», una serie di legami perso- piu cifratore, se non infine misero grammatico costretto a declinare, ab-
nali e servaggi, dopo i quali, nel corteggio saturnino - e prima di Gio- biamo visto, il «bus, base bos» del pane quotidiano). In ogni modo il
ve -, troveranno posto solo piu i nomi della consunzione o del nascon- nuovo rituale per «giuntarsi» intorno al potere, ed il suo codice piu ef-
dimento, il macerarsi nella «pallidezza, smorto, squallore, squallido, li- ficace per manifestarsi, è «far corte», convenire ad un luogo ed a una
vidore, macero, exhausto», ma anche il ripiegarsi nelle «tristizie, stan- funzione.
chezza, malinconia, spelonche, nascondimenti, celato, occulto, coverto, Nel «signoreggiare» dunque il principe crea anche gli spazi per «cor-
secreto, secretario», entro cui- in un rinvio non coperto all'arte di go- teggiare»: la corte non è solo il 'luogo' saturnino, caro all'esecrazione
verno - si chiudono i nomi di Saturno, per dar luogo a quelli sovrani romantica, dei «nascondimenti, celato, occulto, coverto, secreto, secre-
di Giove. tario» della nascente ragion di Stato, ma è insieme il luogo aperto della
La corte poi «in vece della famiglia del Podestà o del Bargello» te- rappresentazione e dell'esercizio 'festivo' del «corteggiare». A questo
stimonia la tenace durata delle sue origini feudali, la secolare gerarchia campo semantico lAlunno ascriverà il terzo e ultimo significato di cor-
che serra il <<Soggetto, suddito» intorno al «vassallo», attraverso la corte te, unendola dunque a «giardino, verziero, orto, brolo, cortile, corte»,
appunto del «famiglio, fante, valetto, paggio, ragazzo, scudiere», e lo e cosi definendola: «CORTE, lat.: cavaedium, è il luogo piu spazioso del
sottopone alla forza esecutiva del proprio diritto attraverso quel!' altra palazzo, che alcuni lo chiamano cortile. BOCCACCIO: la corte del palazzo
«famiglia» (citata tanto nella definizione quanto nell'elenco dell' Alun- [... ]Veduta lamplissima e lieta corte del palagio».
no) che è il «birro», la «sbirraglia>;. E che la corte sia proprio lo spazio pubblico deputato alla manifesta-
La corte dunque perdura nella sua funzione di epifania dell'autorità zione del «signoreggiare» e la «lieta corte» del!' entretien, degli esercizi
quanto di paradigma dei modi rituali del «servaggio». Non a caso lo e dei giochi, è esemplarmente confermato proprio dal caso farnesiano,
stesso Castiglione ammetteva «che la principale e vera professione del dove il cortile, aperto al popolo, del gioco della «pilotta», diverrà epo-
cortegiano debba esser quella del!' arme; la qual sopra tutto voglio che nimo dello stesso palazzo di corte, testimoniando mirabilmente I' esem-
egli faccia vivamente e sia conosciuto tra gli altri per ardito e sforzato e plarità della sua funzione: il palazzo della Pilotta che ancor indica, a
fidele a chi serve» (I, xvm). Parma, la residenza e la «politica» dei Farnese.
Accanto a questo primo significato lAlunno (del cui repertorio I' au- Nel «far corte» si compendia cosi l'intus e lextra delle sue funzioni,
torevolezza è per le corti confermata dall'aver incluso nella lista delle il governo e lo spettacolo, il retaggio ancor feudale della struttura del
ro4 La rappresentazione Il 'luogo' della Corte e le sue 'rappresentazioni'
potere (con le sue gerarchie ed epifanie: da «vassallo» a «paggio», da della nostra favola pastorale nella sua «traslazione» scenica da Ferrara
«scudiere» a «birro») ed insieme I' «amplissimo» scenario del suo rap- a Parma), vorrebbe qui congiungersi la storia del loro interferire, del va-
presentarsi, corte e cortina della città. riare del testo non solo nello spazio, ma anche nel tempo, del potere: co-
me crediamo testimonierà la parabola delle varianti dello stesso dialogo
lucianesco antifarnesiano, quando il suo tempo sia quello del trionfo di
2. Il transito del principe. Carlo Ve delle speranze di riforma universale (1547), oppure solo pili
quello della lotta di successione a Paolo III e del ripiegamento sulla ri-
Insomma, chi vuol comprendere la qualità de la
prudenzia che rivolge il petto del felice imperadore, forma cattolica (1549).
pongavi mente; avenga che la testitnoniate col mo- I testi qui scelti infine insistono sul potere come Catabasi, come en-
strarvi e occhio e orecchio e lingua di ciò che ne le fac- tità descrivibile solo dai recessi infernali di Caronte e di Plutone, ma
cende di sua Maestà egli non vede, non ode e non
parla. anche come muta onnipresenza, come occhiuto incombere - cosf se-
PIETRO ARETINO, lettera a Don Diego de Mendoza, gnalano le citazioni in esergo - dell'Invisibile.
del 2. agosto 1542. Il potere si esercita e si ritrae muto: si fa lontano, remoto, «assolu-
to»; allora qualcuno lo deve «rappresentare», «mostrarsi e occhio e
So che un vero Signor, ciecchi mortali
Sempre dee star con gli occhi aperti a i tanti orecchio e lingua», segno e scena dell'Occulto, come ripeterà, in specu-
Casi celesti o pur diciam fatali lare metafora, il Tasso:
Che sovente mutar sogliono i canti.
Splende il castel come in teatro adorno
G. cuccHETI, La pazzia. Favola pastorale, suol fra notturne pompe altera scena,
Parma 1586; Intermedio secondo.
ed in eccelsa parte Armida siede,
onde senz'esser vista e ode e vede 1 .
Le due citazioni - tratte da testi e contesti che esamineremo - vor-
rebbero segnalare i modi di quell' «occultarsi» e di quel «rappresentar- La corte sarà anche, alle soglie della ragion di Stato, il luogo di discorso
si» del «signoreggiare», attestandoli proprio nei luoghi di quel princi- del potere e dei discorsi sul potere, pubblico e testo che solo s'interpreta
pato «inusitado», artificiale, che fu la creazione del ducato farnesiano rappresentandosi. Ma essa diviene insieme lo spazio narrativo per dar
di Parma e di Piacenza (1545). Ma nel pamphlet politico o nella favola forma all'occulto, al silente, all'Incombente: il «luogo» di quei generi
pastorale, qui prescelti, non è in questione soltanto la legittimazione o che del potere cercano o fingono una, pur orrida, «riconoscibilità»: una
la messa in scena di quel potere. Si tratta piuttosto di ricostruire - at- scena ove la follia del potere, come nell'incubo di Macbeth, si eserciti
traverso la tradizione e la traslazione dei testi - non già la storia delle solo per metafora, come «a dagger of the mind» (Shakespeare, Mac-
varianti, ma la storia nelle varianti, l'incidenza appunto di quei «Casi beth, atto II, scena r).
celesti o pur diciam fatali I Che sovente mutar sogliono i canti», come
ammoniva, vestito di furie infernali, Plutone dal palcoscenico dei Lupi
di Soragna.
Certo, che la storia s'incida immediatamente nella testualità, è caso «La vita del tiranno non è altro che una sembianza della morte pie-
piuttosto rado: le costanti del genere prevalgono sul variare di commit- na di mille visioni, una grotta oscura di un aspro camino»': la sentenza
tenti e destinatari; ma le vicende redazionali possono talvolta meglio sug- è pronunciata da Caronte apostrofando l'anima di Pier Luigi Farnese,
gerire le ragioni del« mutar dei canti» pili che non pacate filze d'archivio. appena assassinato, che s'avvia - irriconoscibile - al regno dei morti.
La corte, di pili, è - nell'Italia del Cinquecento - luogo del testo e Si tratta di una delle argomentazioni centrali del lucianesco Dialogo tra
del destinatario, spazio redazionale ed insieme contesto di decodifica l'anima di Pier Luigi Farnese e Caronte, testo manoscritto conservato,
di molti generi, dal poema epico alla favola pastorale, che in essa e per nella versione italiana, alla Biblioteca Palatina di Parma'.
essa si formano e si rappresentano. L'originale, spagnolo, è dovuto all'acre inventiva di don Diego Hur-
Alla geografia delle 'mutazioni' tra testo e potere (come sarà il caso tado de Mendoza, nome prestigioso per lo scacchiere di Carlo V in Ita-
ro6 La rappresentazione
II 'luogo' della Corte e le sue 'rappresentazioni'
lia ed altrettanto eminente nella geografia letteraria della Spagna del CARONTE [. .. ] o che gli venghi il cancaro, uomo straniero deve essere costui.
Cinquecento': ambasciatore a Venezia dal luglio r539 al dicembre Carnina senza piedi, e senza mani, la testa spartita, come si suol dire, da
r546, «veedor cesareo» per conto di Carlo V al Concilio di Trento, dal un'orecchia all'altra, scannato, e con due stoccate nel petto 10 •
dicembre 1545 al novembre 1546, ambasciatore a Roma dal 1547 al
r554, e nello stesso periodo Capitano della guardia spagnola in Siena, Il disfacimento fisico segnala la disfatta politica, l'inconsistenza dei ti-
fu non solo autore dei quattro libri della Guerra de Granada e traduttore toli che Pier Luigi Farnese adduce per farsi riconoscere e traghettare:
della Mechanica di Aristotele, ma per lungo tempo gli si attribuirono an- ANIMA Come non conosci il Duca di Castro, Principe di Parma, il Duca di
Piacenza, il Marchese di Novara, il Capitan generale [della Chiesa] I".
che lanonimo Dialogo de Mercurio y Caron e sino a tempi recenti la pa-
ternità persino del Lazarillo de Tormes'. I gradi della carriera politica risultano tuttavia «tutti nuovi» a Caronte,
Parlando di lui l'Aretino lo rappresenterà «occhio e orecchio e lin- che invita allora lanima a farsi riconoscere per il nome di famiglia, ri-
gua» dell'imperatore, e iperbolicamente «ora filosofo, ora legista, ora conducendola alla dimensione «privata» della sua storia; ma nella gra-
teologo, ora poeta, ora isterico, ora gentiluomo, ora cavaliere e ora datio delle «ragioni del potere», addotte dal Farnese, la stessa filiazione
ognuno»', mentre dieci anni piu tardi lo ritroveremo, in un pasquillo trova la massima legittimazione proprio dall'eccezionalità della trasmis-
senese, cosi dipinto: sione:
Diego Urtado Mendozza, arcimarrano, ANIMA O vecchio ignorante, o pazzo! È pur posibile che tu non conosci il fi-
Nemico a tutt'Italia, al cielo e al mondo, glio del Papa/
Pensando farsi in Siena a Dio secondo,
Fu privo de' favor ch'avea in mano. La risposta di Caronte ribalta l'irriconoscibilità politica della situazione
Oggi depinto è qui, come ognun vede, nella sua piu radicale inammissibilità religiosa, riconducendo tuttavia
Senza favor, senz'arme e senza fede 7 , il caso farnesiano alla tipologia del «principato nuovo» machiavelliano,
quello già tentato da Alessandro VI per Cesare Borgia:
E la parabola della carriera è esemplarmente parallela a quella del-
!' iter culturale: allievo di Pietro Martire d' Angleria e poi di Agostino CARONTE Io non lo conosco, e sin ora io non pensavo che gli papi avessero fi-
gli; ma adesso mi ricordo d'un certo duca Valentino, che passò di qua non
Nifo, si distinse, nel periodo veneziano, per lattività di umanista bi- so quant' anni sono tanto arrogante, come tu, e forse anca tanto ben ferito
bliofilo, paziente raccoglitore di codici e manoscritti greci (in partico- e mal trattato, che disse esser figlio d'un altro Papa, e voleva pur come tu,
lare di quelli provenienti dalla biblioteca del cardinal Bessarione), poi che gli portassi rispetto 12 •
donati alla biblioteca dell'Escorial", egualmente collezionando le opere
Sin dall'inizio della sua parabola, I'«artificialità» dello stato farne-
di Archimede e di Erone, come di San Basilio e San Gregorio N azian-
siano è ricondotta dal Mendoza alle forme, già note, del nepotismo pa-
zeno, cosi che non stupirà vederlo destinatario della dedica delle opere
pale, con lucido scetticismo adombrando lesito lapidariamente traccia-
filosofiche di Cicerone per parte di Paolo Manuzio, come della Suma de
to dal Machiavelli per il prototipo borgiano: «Dall'altra parte Cesare
los concilios da parte del Carranza; terminati con la fine del 1554 i suc- Borgia, chiamato dal vulgo duca Valentino, acquistò lo stato con la for-
cessi pubblici in Italia, ebbe tempo a «vedere dall'interno» la storia di tuna del padre, e con quella lo perdé»".
Spagna, a giudicare e scrivere con occhio critico della politica di Filip- L'unica legittimità ammessa da Caronte e solo titolo di riconosci-
po II nella Guerra de Granada contro i «moriscos» (r568-72), che rima- mento son quelli anagrafici, debitamente scindendo famiglia e papato:
se infatti inedita sino al r627, e forse anche a «vedersi dall'interno» co-
CARONTE Oh, oh, oh, or si che ti conosco come [me] stesso; non sei tu il co-
si bene da meritare le consolazioni epistolari di Santa Teresa'.
lonello Pier Luigi figlio di Alessandro Farnese, che al presente è Paolo 3°
Nel Dialogo tra l'anima di Pier Luigi Farnese e Caronte lassunto del sommo Pontefice Romano de' cristiani? Alla prima t'averei conosciuto se
Mendoza è quello da noi sopra descritto (cfr. qui§ r): la legittimità del mi avessi detto il tuo proprio nome; ma per questi altri titoli nuovi et inu~
potere è proporzionale alla sua «riconoscibilità», mentre l'irriconosci- sitati, appena t' avr[ebbe] conosciuto chi ti gli ha dati 14 •
bilità reduplica l'illegittimità del potere nella deformità, nella sua infer-
Siamo dunque in grado di trarre qualche conseguenza sulla defini-
nale catabasi:
bilità della natura del potere di Pier Luigi: la distinzione sottile tra
ro8 La rappresentazione Il 'luogo' della Corte e le sue 'rappresentazioni'
persona e funzione, tra Alessandro (in quanto appartenente alla fami- Sin dalle prime battute solitudine e sospetto, tradimento e inganno.
glia Farnese) e quel momentaneo ruolo «al presente Paolo III», insiste sono le dimensioni del potere, il modo del suo affermarsi e del perdersi:
sul carattere privato della donazione: si tratta di «titoli nuovi et inusi- CARONTE Ma come, come, essendo tu tiranno stavi solo?
tati>>, noti solo a chi li ha elargiti, e non tali dunque da legittimare il ANIMA 'Chi si può guardare da' traditori?
configurarsi di un «principato nuovo». La stessa distinzione tra Ales- r
CARONTE Chi non la fa, non aspetta[. .. ]
sandro Farnese e la natura del papato consente a Caronte di contestare ANIMA A quelli che mi amazzarono poco gli aveva levato, ma s'aspettavano
non solo la procedura ma lammissibilità stessa della donazione: quatto ore ancora ...
CARONTE Già t'ho inteso, di modo tale che [. . .] se loro non ti avessero anti-
CARONTE [. .. ] quello che mi causa maraviglia grande è che tuo padre ti faces-
.se signor di quello che non era suo, [e] neanche poteva esser tuo.
cipato, tu averessi anticipato loro 18 •
ANIMA Come? Non puote il Papa far quello che gli pare e piace del patrimo-
In questo groviglio cupo di macchinazioni e sospetti, la vita del tiranno
nio della Chiesa? u.
non è pili che una «sombra de la muerte», un incubo «pieno di mille vi-
Ovviamente il «patrimonio» non appartiene a chi lo anuninistra, è lari- sioni», un cammino crudele di disfacimento:
sposta di Caronte; anzi Piacenza è semmai «patrimonio dello Stato di CARONTE [ ... ] atteso che essendo tiranno, e vivendo come vivevi, avesti ar-
Milano», donde la necessità di ottenere non dal Papa la donazione, ma dimento di fidarti di te medesimo, considerando che la vita del tiranno non
dall'imperatore l'investitura: è altro che una sembianza della morte piena di mille visioni, una grotta
CARONTE . [ ... ] e se riguardi bene il titolo della concessione vedrai che non v' e- oscura di un aspro camino[ ...] ripieno di mille sorti d'inconvenienze, di lac-
ra in quella sottoscritto alcun vassallo né affezionato di sua Maestà. Di dove ci e di pericoli, senza potersi accertare di non cadere in alcun di questi 19 •
chiaramente si scorge che fu una concessione fatta per [aliamtiam], e come
dice lo spagnuolo, fu una concessione [di manica] 16 • Né serve a tutelarsi opprimere i piu deboli e risparmiare i pili poten-
ti («Nunca yo !es hice agravio particular :i ellos, que el pueblo no lo re-
Gli argomenti di Caronte, ineccepibili dal punto di vista del diritto cibiese muy mayor»), poiché il potere tirannico della forza è senza al-
d'investitura, della trasmissione del potere per «infeudamento», ven- leati, può solo farsi temere e temere, come ricorda Caronte cogliendo
gono tuttavia messi in crisi dalle argomentazioni «nuove» di Pier Luigi,
dalla storica consapevolezza del «diritto della forza» contro il vano ar-
il Farnese in fatale contraddizione:
gomentare-della forza del diritto, dalla certezza del «possedere» e del . CARONTE [.,.]E se eri temuto da molti, come non temevi d'inganno? essendo
-«conqrustare »: che di buona ragione quello debbia temere [che] di molti è temuto[ ... ]
ANIMA Perché non erano uomini da poter contender meco.
ANIMA Che m'importava a me 1 s'io era duca cli Piacenza o con gusto dell'Im-
CARONTE Ah, ahi ah, questa è la maggior balordagine che io mai abbi inteso:
peratore o a suo dispetto; e se il mio ius era buono o cattivo, io non aveva furono uomini a quali bastò l'animo per ammazzarti, e dici che non erano
bisogno cli porlo in disputa con nessuno; [... ] ma se andiamo con miglior cu- bastanti a competer teca! 20 •
riosità cercando la pretensione dal ius di ciascheduno, non è miglior di quel-
lo che ne tiene il possesso 17 , Chi sceglie la forza può solo esercitarla sino alla fine, assumere il po-
Il diritto è di chi «tiene il possesso», di chi stabilisce un «dominio tere nella sua totalità distruttiva o soccombere vittima della propria esi-
fermo»: all'evidenza della conclusione non può che convenire anche tazione; il potere <muovo» che ha fatto della forza diritto, può eserci-
Caronte, riconoscendo a Pier Luigi, pur come usurpazione, di aver fatto tarsi solo come epifania di morte, necessità di «disfare», tragico eccesso
«de la fuerza derecho», della forza diritto, o addirittura - come pro- (come aveva teorizzato Machiavelli, ben presente, parrebbe, alle con-
pone la versione italiana - di «avere fatto della forza giustizia». Ma le clusioni del Mendoza) nella rovina:
ragioni della forza sono pili implacabili di quelle del diritto, e ad esse, Perché, in verità, non ci è modo securo a possederle [scil:: le città di nuovo
fatte proprie, si appoggia la replica di Caronte che, accettando e portan- acquisto], altro che la ruina. E chi diviene patrone di una città consueta a vi-
do alle estreme conseguenze il discorso di Pier Luigi, non solo rivela vere libera, e non la disfaccia, aspetti di essere disfatto da quella 21 •
l'insufficienza, in termini nettamente machiavelliani, della posizione
del Farnese, ma arriva per questa via a definire la natura del potere Ed in un bagliore d'impotenza, nell'alternativa non assaporata di pote-
nuovo che solo nella forza si legittima. re o «tuina», si chiude infatti la vana congettura di Pier Luigi: «mi pi-
Il 'luogo' della Corte e le sue 'rappresentazioni' III
!IO La rappresentazione
sto, fallito l'esempio piu vistoso di nepotismo papale, per riprendere
gliò la morte quasi col fuoco nella mano, e se tardava due mesi, o io ab- sotto l'impulso dell'imperatore la riforma della Chiesa attraverso il con-
I I
brugiava l'Italia, overo il maggior principe d'essa diveniva»". cilio: nella perorazione finale di Caronte si uniranno cosi le cause della
' \ Ma la stringente requisitoria del Mendoza, mostrata l'incapacità del divisione religiosa, da riparare, agli auspici dell'unità politica da ricom-
I beneficiario a trasformare la forza in diritto, il potere in «ragion di sta- porre per far fronte (secondo uno schema ormai tradizionale) al pericolo
to», si rivolge, dalla metà del dialogo, alla fonte di quella «Usurpazio- turco che incombe sull'Occidente: ma all'una e all'altra si potrà prov-
ne», al potere reale che permise la formazione del ducato, a Paolo III, vedere solo <rnniéndose y reformandose la Iglesia», «mudada y reforma-
dipinto a tinte fosche come dedito alla negromanzia, circondato da ne- da la Iglesia»:
mici, ed artefice della rovina morale della Chiesa. CARON'l'E [ ...]la prima occasione che mosse li primi Alemani a negare l'obbe-
E qui il Mendoza, per bocca di Caronte, inizia un lungo monologo dienza alla Chiesa nacque dalla dissoluzione del clero e dalle sceleragini che
sulle speranze di riforma della Chiesa, di successo del Concilio, ma af- in Roma si sofrivano e si commettevano ogni giorno. Pensi tu per avventura
fidate alla saggezza dell'imperatore, chiamato a «rimediare unitamente che io voglia concilio e che io lo desideri? Sarà la maggior perdita che mi po-
al!' eresia del!' Alemagna e la vigliacheria di Roma»: tese venire, perché ravvedendosi e riformandosi il Clero, perdo il guadagno
di tanti alamani eretici, che passano di qua a branchi come i corvi, i quali di
CARONTE Sai quel che temo Pier Luigi? che questo tuo sangue alla fine abbia
loro propria volontà vogliono andare all'inferno; supposto che, per l'altra
da venire sopra tuo padre, figliuoli e lignaggio; e perché sappi che ho spirito parte, credo che unita e riformata la Chiesa, li principi cristiani si uniranno
profetico, e che non parlo senza fondamento, ti voglio dire quello che sento medesimamente ad andare contro il Turco, donde io potrò far meglio il fat-
di questo negozio: a tuo padre rincresce cioè della buona fortuna dell'impe-
ratore, come quello che ha inteso che non ha da consentire che duri tanto to mio 2' .
tempo la dissoluzione del clero et il dissordine che è nella Chiesa di GesU Ciò che colpisce, nelle conclusioni del dialogo, non è tanto il voto
Cristo, e che ha da vincere l'impresa tanto santa che ha presa di convocare
il concilio, e rimediare unitamente all'eresia dell' Alemagna e la vigliacheria cbe l'Occidente cristiano ritrovi la propria coesione rimuovendo dall'in-
terno all'esterno, contro i Turchi, le proprie lotte- motivo che percor-
di Roma 23 •
re tutta la letteratura del Cinquecento"-; ma che, alla base della paci-
Di fronte all'impegno riformatore di Carlo V (secondo la lettura che ficazione religiosa e dell'unità politica invocandosi la riforma della
ne davano gli umanisti spagnoli dal V aldés al Mendoza, come ha osser- Chiesa, questa sia cautamente smorzata nella versione italiana del l 549
vato Marce! Bataillon - cfr. nota 5), l'attività di Paolo III pare tutta rispetto al testo originale spagnolo del Mendoza, redatto verosimilmen-
volta alla ricerca del «particulare», tepida nel promuovere il Concilio,
ma destinata a durare - come forza religiosa e politica - quanto «Un te nell'autunno del 1547·
Si trattava allora di una speranza universale che inglobava tutta la
pequeiio torbellino de polvo ante un viento recio y poderoso»: cristianità: <rnniéndose y reformandose la Iglesia»; in effetti il 13 di-
Però Dio che non volse acconsentire a questa malignità, apri gli occhi a cembre l 545 il Concilio aveva iniziato ilavori a Trento, il colloquio di
quelli che ti ammazzarono, e gli aprirà all'Imperatore acciò tiri avanti il suo
buon proposito, per il quale tuo padre, che avanti aveva poca voglia del con- religione di Ratisbona s'inaugurava il 27 gennaio 1546; nel frattem-
cilio, ora ne avrà meno, e lasciando il negozio di Dio per avversario, vedrai che po sparivano dallo scenario politico i principali antagonisti politici e
ha da pigliare il tuo [per] principale, senza ricordarsi che è Vicario di Cristo religiosi delle mire <rnniversalistiche» di Carlo V: il 18 febbraio 1546
obligato a dar bene per male; vorrà, come tu speri, vendicare la tua morte, e moriva Martin Lutero, il 28 gennaio 1547 Enrico VIII, ed il 31 mar-
per questo non vedrà il danno della Cristianità, né si sdegnerà di farsi nemico zo Francesco I. Con la vittoria poi di Miihlberg sulla lega smalcaldi-
d'un Imperatore il quale conservava [lui] e tutto il resto della Chiesa con la
propria virtU, con la propria religione e spada; [... ] dal che seguirà che l'Impe- ca (24 aprile 1547) Carlo V pareva ormai, nell'autunno 1547, - colpi-
ratore mosso con la sua giustissima colera tornerà a mettere insieme il Conci- to direttamente anche il Papa con l'uccisione di Pier Luigi e l'occupa-
lio, e vorrà vedere l'effetto che d'esso riuscirà; e questo non si potrà fare senza zione di Piacenza - signore d'Europa: «Nulla poteva piu impedirgli di
danno e vergogna di tuo padre, figli e lignaggio, li quali essendo pochi e soli dare ora inizio al nuovo ordinamento dell'Europa secondo la sua idea
[dureranno] avanti la fu1·ia dell'Imperatore quello che suol durare un picciolo di un impero universale e di ristabilire l'unità della fede»".
24
venticello avanti un vento molto gagliardo et impetuoso •
Ma nello scorcio del 1549, l'anonimo che da Roma «in foro Bulgen-
La fine di Pier Luigi non è dunque tanto vista come lauspicato si» volgeva- in funzione chiaramente antifarnesiana, nei giochi d'al-
eclissarsi di un'avventura politica, quanto piuttosto come il presuppo-
',
II2 La rappresentazione Il 'luogo' della Corte e le sue 'rappresentazioni' IIJ
leanze e negli strumenti di propaganda e pressione per l'elezione del nuo- [...] il Papa è vli':cchio e, come dicon, vive di grazia, e, come credo, è permis-
vo Papa - il pamphlet ed il monologo finale di Caronte, si accontentava sione di Dio acciò si emendi, perché morirà domani, e morto il pastore, non
darei un fico per le pecore del suo lignaggio, e se Ottavio resta in disgrazia
ormai di dire« ravvedendosi e riformandosi il Clero», non potendosi piu dell'Imperatore, ~lui!' abbandona, dimmi chi lo favorirà, chi allora gli farà
sperare né l'unità né la riforma della Chiesa, come mostrava il ripiega- ombra( E tanto p1U se si fa, come si farà, il concilio, li cardenali tuoi figliuoli
mento dello stesso Carlo V, dopo la sospensione anche del Concilio (3 saranno tanto riformati come gli altri 31 ,
febbraio r548), sulle formule separate dell'Interim di Augusta per i pro-
testanti e la Formula Reformationis per i cattolici (maggio-luglio r 548). Nello spègnersi della metafora è non solo l'emblematica parabola
Ma c'è soprattutto, nell'anonimo traduttore, non solo la consapevo- (r547-49) dell'esaurirsi della riforma, ma il segno anche delle mutate
lezza del diverso peso semantico di quelle formule a due anni di distan- «condizioni di scrittura» di quell'area testuale: nell'intervallo delle va-
za, ma l'attenzione - vigile e cautissima - a quel potere ed a quella cu- rianti inscrivendosi il potere e le sue parole: il testo della storia.
ria che nel testo si voleva, troppo esplicitamente, «mudada y reforma-
da». In effetti, nella versione del r 549, sparisce intanto ogni riferimen-
to alle responsabilità avute da Pier Luigi nel comando delle truppe pon- 3 . La rappresentazione.
tificie (cosf che nel presentarsi l'anima di Pier Luigi si priverà del legit-
timo titolo, ed esercitata funzione, di «confalonier de la Iglesia»)" e «Beata e dolce pace, allor ne' pianti I De' notturni teatri»": il luogo
corrispettivamente si omette di segnalare ogni intervento di legittima- scenico dell'evasione, la favola pastorale, è già, nel suo periodo di mag-
zione del potere di Pier Luigi da parte delle gerarchie ecclesiastiche: gior successo (tra la pubblicazione dell' Aminta, r 58 r, e quella del Pastor
fido, r590), «dura scena», eco cupa «ne' pianti de' notturni teatri»",
Y aun si miraras al tltulo de la concesion, vieras que no habia en él ninguna fir- spettacolo che si chiude «nel crudo sen di Pluto»", nella catabasi di
ma de cardenal ni de ningun vasallo ni aficionado asu majestad.
una per sempre sottratta Primavera.
E se riguardi bene il titolo della concessione vedrai che non v'era in quella sot- La parabola è esemplarmente attestata da La pazzia. Favola pastorale
toscritto alcun vassallo né affezionato di sua Maestà 29 •
di Giovan Donato Cuccheti (o Cucchetti), composta per le nozze di
Quale che sia il peso semantico dell'omissione, è sempre la parola vesco- Marfisa d'Este con Alderano Cybo, marchese di Carrara, nell'aprile del
vo o cardinale ad essere soppressa dai luoghi dell' «infrazione» o del «di- r580, e pubblicata da Vittorio Baldini nel gennaio r58r ". La favola
sdoro»: cosi l' obispo (il vescovo di Fano) che nell'Inferno aveva infor- pastorale fu poi ripresentata a Parma dalla celebre «Compagnia de' Pel-
mato Caronte delle procedure turpi e tiranniche dei Farnese: legrini», nella riedizione procurata da Francesco Mammarello, nel
CARONTE Antes, segun me dijo un obispo, mozo de buen gesto, que tU mar- r 586, sotto l'impulso di Isabella Pallavicina Lupi, marchesa di Soragna
tirizaste diab6licamente [... ] cui l'opera è dedicata. Per loccasione sono aggiunti il Prologo, gli In'.
Avanti, secondo mi disse un giovinotto di buona grazia quale si diabolica- termezzì, due sonetti a' Pellegrini, uno alla marchesa di Soragna, ed una
mente martorizasti [... ] 30 • canzone del Cuccheti agli Accademici Fioriti". Le «giunte» e le corre-
zioni" possono cosf essere interpretate secondo un duplice e correlato
Cosf anche alla fine, quando il Mendoza assaporava, nello spettacolo registro di lettura: da un lato misurando lincidenza della vicenda degli
di Paolo III vacillante e dei Farnese dispersi, il momento di arrivare, nel- Intermezzi (che rappresentano Utrionfo del potere degli Inferi su Pro-
la riforma del concilio, a« tosare» le scandalose ricchezze dei cardinali (e serpina-Primavera) sulla trama, ad essi intercalata, della favola pasto-
di Alessandro Farnese in primis), il traduttore alla sempre attuale meta- rale; d'altro lato ricollocando la filigrana ideologica del testo (dalla città
fora preferirà sostituire l'ormai vana e spenta lettera del «riformare»: viene l'inganno, il furto e la follia) nel contesto di una rappresentazione
CARONTE [., ,] el Papa es ya viejo, y corno dicen, vive de gracia, y corno yo non già allestita in Parma, alla corte del principe, ma alla corte parallela
creo, es permision de Dios para que se enmiende. Moririise mafiana, y heri- - e che in quegli anni diviene vero centro di promozione delle novità
do el pastor, no te daria un higo por todas las ovejas de tu linaje, y si Octa- «p~storali» - dei marchesi di Soragna, feudatari assai potenti, ed il cui
vio queda en desgracia con el Emperador, y él lo desampara, dirne <_quien lo
favorecera 6 cual iirbol le hara sombra? Tanto massi se hace, corno se hara, solido potere è ben radicato nel tempo e nel territorio a differenza delle
el concilio, que los cardenales, tus hijos, quedartin cercenados coma los otros. concessioni «de manga», su cui si fonda il potere farnesiano.
9
Il 'luogo' della Corte e le sue 'rappresentazioni' "5
II4 La rappresentazione
Cosi per le insistenze di Isabella Lupi, I' ancor inedita pastorale Dan- La follia si scatena insomma come spia linguistica di una radicale impos-
za di Venere di Angelo Ingegneri viene affidata nel 1583 alla rappresen- sibilità ormai a far coincidere parole e cose, dissociate dall'arbitrio e dal
tazione della figlia Camilla Lupi, e l'anno dopo dedicatale dall'Ingegne- calcolo della nuova «ragion di stato», i cui «concetti», come teorizza
ri, nell'edizione di Vicenza del 1584". Poco prima, Girolamo Pallan- Branco nel suo monologo della scena terza nel secondo atto, servono so-
tieri aveva dedicato alla stessa Isabella Lupi la sua versione della Buco- prattutto a dissimulare l'inganno, «a tempo e loco I E celarsi, e sco-
lica virgiliana, accompagnata da un sonetto del Tasso". E la troveremo prirsi»:
infine allusa, col nome di Fiori, appunto nella Flori. Favola boscareccia Quanto vive felice astuto ingegno,
di Maddalena Campiglia, ed elogiata col nome di Calisa nei componi- Che sapendo mostrar per nero il bianco
Nel creder delle genti sia tenuto
menti poetici di Bernardino Baldi'". Da quel, che chiude in cor, tutto diverso;
Si tratta comunque di un'attenzione non isolata alla favola pastora- La faccia accomodando e le parole,
le, poiché semmai continua la tradizione inaugurata un decennio prima or liete, or meste; e sappia a tempo e loco
dal!' Accademia degli Innominati (in una sorta di emula concorrenza a E celarsi, e scoprirsi, e con laltrui
quell'atelier di favole pastorali che è nel secondo Cinquecento la corte Fatiche proveder al suo bisogno 46 .
di Ferrara)", nella quale il citato Girolamo Pallantieri figurava col no- Di fronte alla simulazione, al perfetto coincidere di volto e maschera
me di Solingo, ed i cui fondatori, dal Visdomini - in una linea cultura- nel monologo di Branco, sta in posizione rigorosamente speculare, nel
le che si riferisce concretamente al Sannazaro" - a Muzio Manfredi, parallelo monologo che inaugura il secondo atto, il dissociarsi dell' espe-
erano autori di celebrate pastorali, quali L'Erminia o La Semiramis". rienza e del discorso di Fileno, il vano rifrangersi della parola nella sua
In questo assai folto panorama La pazzia del Cuccheti spicca tutta- vacua eco:
via non solo per la lucida coerenza con cui porta agli estremi esiti la la- Chi con letizia, e con piacer immenso
tente «dissociazione» ideologica, la fuga dalla scena e nella scena della Ascolta il suon del dolce canto mio? io
corte implicita nel genere, e teorizzata quasi nell' Aminta, ma anche per E chi sei tu, che con voce suave
la sperimentazione linguistica di questa «follia», cosi che il Tasso stes- Mostri goder de la mia gioia meco? Eco
Eco sei dunque, che gioir dimostri
so, inviando ali' autore un sonetto d'elogio - poi compreso nella prima De lo stato felice in eh' ora i' sono? sono 47 .
edizione della Pazzia - lo includerà, con Virgilio, Teocrito, Guarini
(o forse Sannazaro) nell'eletto numero di coloro che si sono distinti Nell'ironica e drammatica dissociazione dell'ultimo verso («felice so-
«cantando pastorali I amori»: no»<-> «Eco sono»), nell'inanità di uno «stato felice» subito vanificato
dal!' eco ed in eco, prende avvio e si dilata lallucinata fissità ossirnorica
Ciò che ammirò già Manto e Siracusa
ne' duo fa1nosi, e ciò che al mio vicino del discorso di Fileno, sperimentato sino al nonsense:
dettò già spirto di celeste musa, FILENO Non ti posso parlar stammi ascoltare
puro in te trapassò, qual matutino [ ... ]
raggio in cristallo o in fonte onda transfusa Si che me lo diss' ella non parlando
od aura per fiorito alto camino 44 • Non vi fosti ancor tu? buon df buon anno 48 •
Nell'edizione ferrarese la trama è tutta giocata sul contrasto, prati- Il momento cosi dell'incontro con l'amata, al chiudersi del terzo at-
cato sino all'ossimoro, tra le astuzie della «ragione» cittadina (e corti- to, al centro esatto dell'azione scenica, non costituisce l'occasione del-
giana) rivendicate da Branco - l'intruso nella comunità arcadica - e le !'agnitio, della riparazione di follia, ma semmai la sua piu acuta espan-
«semplici ragioni» di Lupino e Fileno; contrasto esemplarmente denun- sione, il reduplicarsi del vuoto in discorso («ridir quel ch'io non dissi»),
ciato dall'incipit stesso della favola pastorale: dell'ombra in desiderio:
Queste tue folli e semplici ragioni FILENO Filen dov'è? Sf, sf, Io corrò bene,
che da lo stato vile ove tu sei Ascoltami di grazia: io fui per dirgli
Non s' alontanan punto, non han forza 4}. Che 'l corso del veloce e leggier Pardo
Il 'luogo' della Corte e le sue 'rappresentazioni' II7
n6 La rappresentazione
Nell'aria assunto, io non vedrei qui intorno
Non è proprio d'alcun, che ancor ch'io sia
Tanto e sf bel paese; o tu vaneggi
Senza piedi, non son sf trascurato Che sei nel ciel? io son nel cid? nel cielo,
Che non sappia ridir quel ch'io non dissi 49 . Certo ch'io sono nel' ottava sfera,
Le ardite slogature logiche e sintattiche consentiranno al discorso non O quante stelle rilucenti, o quanti
solo di rifrangersi e di dissociarsi in antitesi, ma di moltiplicarsi poi in Superni lumi, una lucente stella
In Mar fisa ha la luce[ ... ]''.
ossessive tautologie, in manieristici bisticci sospesi tra isteria e afasia:
FILENO Ardor non è [scii.: Amore], gl' è ben d' ardor pensiero,
L'apoteosi, ali' «Ottava sfera» celeste, di casa d'Este, la rivelazione
Anzi non è pensier, per eh'el pensare del nome «superno» di Marfisa avviene dunque come compimento ed
Dal pensier nasce, et io che ho già pensato esaurimento del discorso di follia, come cifra letterale e sigillo del chiu-
Quanto pensar si può, non ho pensiero, dersi del circolo tautologico nel nome e sulla realtà stessa del destinata-
Anzi pur ho pensier, che col pensare rio, del principe, in quella «perfezion di pubblica pazzia» che il rito del
Rinovo il mio piacer [.. .] «far corte» esige, quasi estrema catarsi della dissociazione del servire
' ............... .
Dunque pensar vogl'io, ma che pensiero
nella specularità del contemplarsi servire, «sforzato efide!e a chi serve»
Il mio sarà? sarà d'amor, sU dunque ad un tempo.
Che tutto in preda mi darò al pensiero, E la citazione di uno dei piu inquietanti luoghi del Cortegiano non
lo vo' pensar che la mia Donna è Donna 50 • è affatto esterno richiamo di terni, poiché la definizione stessa del «ser-
Ma questo impazzire nella fissità del nome, questo allucinato gioco vire» data da Fileno prima d'impazzire, è la letterale riproduzione, la
di specchi non è in fondo che la coerente conclusione d'un lontano gio- puntigliosa replica delle qualità del perfetto cortigiano secondo il trat-
co, il gioco che s'impone a primo argomento del Cortegiano del Casti- tato del Castiglione:
glione, il gioco di pazzia, l' «impazzire nel pensare»: FILENO L'util genera amor, onde chi serve,
E de la servitude util ne tragge,
Però vorrei che questa sera il gioco nostro fusse il disputar questa materia Sforzato è fedelmente di servire".
e che ciascun dicesse: avendo io ad impazzir publicamente, di che sorte di paz-
zia si crede ch'io impazzissi e sopra che cosa, giudicando questo esito per le [ ... ] e sia conosciuto (scii.: il cortegiano) tra gli altri per ardito e sforzato e fide le
scintille di pazzia che ogni df si veggono di me uscire[.. .]. Di questo gioco si ri- a chi serve".
se molto, né alcun era che si potesse tener di parlare; chi diceva- lo impazzi- Nella perfetta equivalenza delle formule («sforzato e fidele a chi
rei nel pensare-; chi - Nel guardare-; chi dicea, - lo già son impazzito in
serve», «sforzato è fedelmente di servire») si chiudeva cosf, da Urbi-
amare-; e tali cose' 1 •
no a Ferrara, la parabola ideologica e letteraria che avea cercato -
La pazzia, dilatazione all'infinito del medesimo: ossessivo ballo di lungo il Cinquecento - di fare della corte il luogo platonico, «la idea
«atarantati» a corte, ridotti alfine, osservava il Castiglione, «a perfe- della perfetta republica e del perfetto re e del perfetto oratore, cosf [... ]
zion di pubblica pazzia»: del perfetto cortegiano»"; si serrava nella dissociazione ossimorica -
Tengo io adunque per certo che in ciascun di noi sia qualche seme di paz- e nella restituzione retorica - del ruolo del letterato, di chi al servire
zia, il qual risvegliato possa multiplicar quasi in infiniton. «sforzato è fedelmente», fedelmente sino alla follia, alla ritrovata coe-
«Multiplicar quasi in infinito» l'eco, fissando - «a perfezion di paz- renza dei segni nella tautologia.
zia» - il nome: cosf nella fissione perfetta del segno, in Mar-fisa, si Se nella prima edizione lo schema narrativo s'appunta tutto sul pro-
moltiplicherà, di cielo in cielo, di nome in nome, e alfine si fisserà I' a- gredire della follia di Fileno, e il protagonista è collocato, secondo una
scensione di follia nell'elogio, il concrescersi delle tautologie - nella formula tipica del genere, come «vittima dell'inganno» (e delle arti cit-
tadine); nel riallestimento parmense, promosso dalla Pallavicini, l'ottica
«lucente luce» del nome epifanico:
assunta, attraverso la «giunta» degli Intermezzi e del Prologo, è risolu-
FILENO So di non esser vinto, e pur mi reggo tamente quella dell'interrogare e del rispondere al potere, quella di non
In piedi, in piedi no, ch'io son nell'aria? eludere ma di svelare l'ideologia di Barco. E la mutazione è già esem-
Tu, sei nell'aria? s{ che s'io non fossi
II8 La rappresentazione Il 'luogo' della Corte e le sue 'rappresentazioni' "9
plarmente allusa nell'unica vistosa variante apportata al testo, nella ri- So che un vero Signor, ciecchi mortali
scrittura dell'incipit della favola che ora (pur riferita alle seduzioni d' a- Sempre dee star con gli occhi aperti a i tanti
more, - ma la ritraducibilità politica è trasparente-) sostituisce all'os- Casi celesti, o pur diciam fatali,
simoro impotente delle «folli ragioni» del pastore Lupino la nuova e piu Che sovente mutar sogliono i canti 61 •
scaltrita coppia d' «ingegno e inganno»: Ed è tuttavia trionfo che si consuma in rogo, nei bagliori di una celebra-
LUPINO E pur ogniun mi dice: «o car Pastore, zione che è forse anche vendetta in contumacia, abbruciamento in ef-
E' dolce cosa Amore», figie, epinicio ed epicedio del potere:
Ma io nol credo e'dico: è fanciullino
Ch' alle man di Lupino
Et è ben di dovere che a lei, né ad altri, faccia dono di queste boscareccie
Avria la mala pasca et il malanno, fiamme, non si potendo ella ritrovar presente, quando in publica scena con ap-
parenti Intramedii furono accese, e con non poco applauso spente; ella intanto
Ch'ingegno ho piU di lui, arte e inganno.
nelle pii.I fredde ore di questi giorni se ne accendi, nel cui di loro primo fiam-
ELIGIO Queste tue folli e semplici canzoni meggiare vedrà, e scoprendo riconoscerà [... ] questo mio vivo e pronto deside-
Che da lo stato vile ove tu sei rio di servirla 62 •
Non s' a1ontanan punto, non han forza n.
E cosi pare di dover leggere la simbolica degli intermezzi, poiché il
ELIGIO Queste tue folli e semplici ragioni Prologo che li precede e li illustra, si chiude con l'immagine sinistra di
Che da lo stato vile ove tu sei
Non s'alontanan punto, non han forza' 8 •
lacci e catene che soffocano le città, con la sete di «distruzione» che di-
vora i «prencipi», dai quali ormai Astrea è fuggita, solo piu commisu-
E non è improbabile che lagguerrita dichiarazione di Lupino, non randosi la schiavitu e la crudeltà:
suffragata da specifiche ragioni testuali, sia da ascrivere al calcolo ana- «Amico - dissi-, deh, per cortesia,
grammatico che la dedica di Francesco Mammarello artificiosamente Dimmi se le città son cosi grandi
esalta: Et si pompose e belle, e cosi vaghe».
Cosi a voi, nostra PALLA, VICINA pili a questi nostri monti d'Arcadia, non «Altro non ti so dir - disse-, o pastore,
uno agno, non una damma, né un sol capretto, ma tutta la ricchezza d'armen- Se non quanto è palese e fora inscritto;
ti, e nel te1npo apunto di pazzia, acciò sia giudicato quanto saviamente offero, April'orecchie, nota, ascolta~>, e disse:
dono e dedico. [... ]Il che mi affida, udendo il gran nome di V.S. Ili. da LUPI «Quasi del mondo le città e i castelli
essere riverito, e dal dominio che meritevolmente tiene di SORAGNA, quasi Di crudeltà son pieni e di rancore,
d' AGNA, essere riconosciuto 39 ; Di Circe, di Medee e di Meduse,
E di quei che portò l'aquila in cielo.
e che si prolungherebbe dunque nella variante all'incipit, come riaffer- La servitU è con mille lacci al collo,
mazione della capacità di rispondere alle insidie con maggior «ingegno, Mille catene e mille intorno ai piedi,
arte e inganno» da parte del rinnovato Lupino, emblema- come la de- Invidia di regnar è distruzzione,
dica suggerisce - dei LUPI di Soragna. Et è fuggita Astrea con le bilancie,
Se dice anca de Prencipi, et è scritto» 63 ,
In questa sorta di «controcanto» alla follfa di Fileno, l'inserimento
degli intermezzi costituisce la ripresa e la risposta al «celarsi e scoprirsi» La metafora cortigiana di chi «sforzato è fedelmente di servire» si
esaltato dal monologo di Branco («Se ben a voi nascosto I Parà forse il dilata ora, nel nuovo testo e nella nuova corte di Parma, alle proporzio-
mio fare I Visibil fiala piaga, I Me invisibil, che 'l piaga»)", il manife- ni collettive di una servitu che «è con mille lacci al collo I Mille catene
starsi di «ingegno e inganno» parallelo all'«astuto ingegno» messo in e mille intorno ai piedi», nell'affermarsi di un potere («invidia di re-
opera da Branco. gnar») che è «distruzione» soltanto. La risposta di Plutone, nell'Inter-
E che l'apparato degli intermezzi rappresenti la metafora del potere, medio secondo, non smentirà il prologo: il potere è distruzione, e solo lo
il suo infernale trionfo sulla follia del servire, è subito rivelato dall' In- può esercitare - in una definizione che è quasi l'atto di nascita dell' as-
tennedio secondo, introdotto da questa didascalia: solutismo moderno - chi sa operare «sottratto e solo»:
Esce Plutone per la strada d'Etna sopra il carro, con il tridente in mano, E in ver Sicilia me ne vado, e solo
con doi de' suoi ministri, con le vesti di Furie infernali, e dice: per veder ch'uom può far sottratto et solo 64 •
120 La rappresentazione
Nella scommessa di Plutone - «solo I per veder ch'uom può far sot-
tratto et solo»-, il potere esce finalmente di scena, non avrà piu biso-
gno di rappresentarsi a corte: già s'avvia a cercare - «sottratto e solo »
- l'imm~gine'. presto ossessiva, della sua tragica ineluttabilità, già «to-
wards his design I Moves like a ghost »".
t T. Tasso, Gerusalemme liberata, VII, 36. E poco prima, fuor di metafora, segnalava le
pieghe di «inganno occulto» di quella <(altera scena»: «Dubita alquanto poi eh' entro si
forte I magione alcuno inganno occulto giaccia» (VII, 30). Corrispettivamente la <(cor-
tigiana prudenza» consisterà nell' «occultare», nello schivate, «occultando», le «occul-
te» arti del potere, come il Tasso dbadirà nel Malpiglio: «Dunque occultando il corti-
giano schiva la noia del principe, e occultando ancora par eh' egli possa celarsi da l'invi-
dia cortigiana»; «Dunque appari il cortigiano piU tosto d'occultare che di apparere» (Il
Malpiglio overo de la Corte, ora in T. Tasso, Dialoghi, a cura di E. Raimondi, Sansoni,
Firenze 1958, voi. II, tomo II, pp. 547-65; le citazioni rispettivamente a pp. 559 e 557).
2 La versione anonima (Dialogo tra l'anima di Pier Luigi Farnese e Caronte) è conservata al-
la Biblioteca Palatina di Parma, sotto la segnatura Ms 963, è costituita da 11 carte, per
22 pagine complessive, ed è datata (si vedrà poi perché) 1549. La citazione a c. 4v. Se-
gnalo ancora la Vita di Pier Luigi Farnese Duca di Parma e Piacenza manoscritta, anch'essa
anonima, contenuta nel Ms 3749, cart., sec. XVIII, in 4°, costituita da 89 carte "(pp.
177), ancora alla Biblioteca Palatina di Parma.
3 Il dialogo citato è la versione letterale, con qualche fraintendimento lessicale e seman-
tico, del Didlogo entre Caronte y el dnima de Pedro Luis Farnesio, composto da Diego
Hurtado de Mendoza subito dopo la morte di Pier Luigi (10 settembre 1547), e pubbli-
cato per la prima volta da Adolfo de Castro, Curiosidades bibliof}"dficas, «Biblioteca de
autores espafioles », voi. XXXVI, Madrid 1855, pp. 1-7. Tuttavia è probabile che il ma-
noscritto parmense sia piU precisamente riferibile al Ms 8755 [= X53] della Biblioteca
Nacional di Madrid (ove il dialogo è compreso nei ff. 22-40), come confermano i con-
simili explicit, non attestati altrove che nei due manoscritti citati. Il Ms 8755 (Madrid)
cosi termina infatti: « ... no te valdrà tu padre aqui, quia in infetno nulla est redemptio.
Rame apud Parrochiwn in foro Bulgensi anno 1549· Pauli iij quintodecimo sub correc-
tione sanctae Matris Ecclesiae»; e quello di Parma, Ms 963: «non ti valerà tuo padre,
quia in inferno nulla est redemptio. Romae apud Parochianum in foro bulgansi anno
1549. Pauli 3' quintodecimo sub corectione» (c. 11v). Il testo pubblicato da Adolfo-de
Castro termina con redemptio e presenta «valdria» in luogo di «valdrà», su cui sarà ap-
punto esemplato il <(valerà» della versione italiana. La giunta nell'"explicit delMs 8755
madrileno è stata segnalata da R. Foulché-Delbosc, Les reuvres attribuées à Mendoza, in
«Revue Hispanique», XXXII (1914), pp. 1-86; la citazione a p. 8.
4 Un recente profilo critico del Mendoza è tracciato da Bernardo Blanco-Gonzalez, nel-
1' ampia Introducci6n biografica y critica a D. Hurtado de Mendoza, Guerra de Granada,
Castalia, Madrid 1970, pp. 7-86. Sull'attività, non esigua, del Mend.oza sul versante della
«satira» vale ancora il rinvio ai saggi di A. Mord-Fatio, in particolare Poésies burlesques
et satiriques inédites de Diego Hurtado de Mendoza, in «J ahrbuch fiir romanische und en-
glische Sprache und Literatur», Neue Folge, II (1875), pp. 63-81e186-210. Opera di ri-
ferimento complessiva è quella di A. Gonzalez Palencia e E. Mele, Vida y obras de don
Diego Hurtado de Mendoza, lnstituto de Valencia de donJuan, Madrid 1941-43, 3 voll.
I22 La rappresentazione Il 'luogo' della Corte e le sue 'rappresentazioni' 123
' Il Dialogo de Mercurio y Caron fu tradotto in italiano e pubblicato a Venezia, per cura 10
Tutte le citazioni dal Dialogo tra l'anima di Pier Luigi Farnese e Caronte saranno tratte
di G. A. Clario, nel 1 545 con il titolo Due dialoghi. L'uno di Mercurio et Caronte, l'altro dalMs 963 della Palatina di Parma, citato. Tra parentesi quadre sono segnati gli inter-
di Lattanzio et di uno archidiacono; I' opera usci anonin1a (anche se è ormai attribuita ad venti del curatore, di cui si darà ragione di volta in volta. La citazione a c. 1.
Alfonso de Valdés) e poté quindi indurre a confusioni con il successivo, ed altrettanto
anonimo, dialogo del 1547, co1ne ancora attesta nel 1761 Juan dc Iriarte (la testimo-
11 Ibid., c. r. L'integrazione tra parentesi è deducibile dal testo spagnolo:<<. .. marqués de
nianza è riportata da R. Foulché-Delbosc, Les ceuvres attribuées à Mendoza cit., p. 9). La Novara, capitan genera! y confalonier de la Iglesia» (Dialogo entre Caronte y el dnima de
possibilità di ascrivere anche il Lazarillo tra le opere attdbuibili al Mendoza parve le- Pedro Luis Farnesio cit., p. 1). Si assiste qui a un fenomeno tipico di soppressione dei ri-
gittimata dai comuni accenti corrosivi di matura e umanistica ironia, di ascendenza era- ferimenti o delle allusioni alle funzioni politiche (od alle gerarchie religiose) dell' ammi-
smiana, che segnano le due opere; cosi già indicava il Morel-Fatio, e ipotizzava poi an- nistrazione papale: e questo si spiega (e si vedrà meglio in seguito) con il ricordare che
cora Luis FernUn Cisneros, nell'edizione del Lazarillo de Tormes (Kier, Buenos Aires la versione italiana è del I549 da Roma, e che il bersaglio non è piU il ducato farnesiano,
1946, pp. _38-43). L'improbabilità dell'attribuzione è discussa, con ricchezza di riferi- ma il partito farnesiano nell'elezione del nuovo pontefice (Paolo III muore il 10 novem-
menti, da Marcel Bataillon, Erasmo y Espafia, Fondo de Cultura Econ6rnica, México- bre I549).
Buenos Aires I 9663 , pp. 609- I 2, che conferma tuttavia la sostanza di una trasmissione 12 Ibid,, c. IV.
indiretta di nuclei di <'erasmismo » attraverso il veicolo, tipicamente attestato nella cul- u N. Machiavelli, Il principe, cap. VII (~De principatibus no vis qui alienis armis et fo1·tuna
tura spagnola, del dialogo lucianesco.
acquiruntur ))) ,
Ma ciò che accomuna, nel I535 come nel I546, l'atteggiamento e la <i distanza critica)>di 14 La versione italiana (c, IV) fraintende in due punti il testo spagnolo: «01· s{ che ti cono-
Valdés come poi del Mendoza, è precisamente l'inserimento della prospettiva della«ri-
forma» spirituale entro il rinnovamento politico che può derivare piU da Carlo V che dal
a
sco, come stesso» («Aora si que te conozco coma ml»); ed alla fine: <ima per questi al-
tri titoli navi et inusitati appena t'avrei conosciuto. Chi ti gli ha dati?» («pero por esos
Papa, piU dalla «pacificazione» attraverso la ricomposizione dell'impero che dal dibattito
otros tfrulos nuevos é inusitados apenas te conociera quien te los di6»).
teologico. In questo senso insistono le osservazioni di Marcel Bataillon, e che è oppor-
tuno ribadire ancora per valutare correttamente l'incidenza politico-religiosa del movi- Si tratta di <(titoli nuovi et inusitati» che i Farnese, non solo dal punto di vista della
mento valdesiano in Italia, come pure la co1·rosività critica del Mendoza: «Asi corno Juan legittimazione del «dominio», ma anche da quello del consolidamento dei gradi di
de Valdés, en I535i cuenta muchos mas con el Emperador que con el Papa para la paci- nobiltà, avranno cura di assicurarsi, soprattutto di fronte a feudatari <dmperiali» co-
ficaci6n del munda y la reforma dc la Iglesia, asi también, en I 546, los humanistas espa- me i Lupi di Soragna od i Pallavicina; tanto che Girolamo Muzio non mancherà di
fioles cuentan menos con el Concilio que con el nuevo Coloquio convocado en Ratisbona, notare «Che l'esser gentiluomo viniziano è di tanto pregio, che i Prencipi illustrissi-
La correspondencia de PUez de Castro, secretario del embajador imperial Don Diego mi et eccellentissimi procurano di esser di quel numero: et a nostl'i giorni da una
Hurtado de Mendoza, es muy instructiva desde es te punto de vista» (ibid., p. 497). succession di Pontefici è stata impetrata quella nobiltà alle famiglie loro nobilissime.
6
P. Aretino, lettera a Don Bernardino de Mendoza del I.3 agosto I542, da Venezia; in Et qual può esser nobiltà maggior che la romana? Et pur Paolo Terzo a gli illustrissi-
essa parlando enfaticamente delle virtU dei due fratelli, Bernardino e Diego de Mendo- mi suoi Farnesi procurò anche la viniziana» (G. Muzio, Il Gentiluomo del Muzio Iu-
za, li proclaQ1erà «tiranni della gloria», secondo una amplificatio già sperimentata nella stinopolitano, In questo volume distinto in tre dialoghi si tratta la materia della nobiltà,
lettera di pochi giorni prima a don Diego, da noi citata in frontespizio (cfr, ora P. Are- Venezia MDLXXV, p. I9l).
tino, Lettere. Il primo e il secondo libro, a cura di F. Flora, Mondadori, Milano I96o, ri- I:.> Anche qui la versione italiana (c. 2) è approssimativa: <c .. tuo padre ti facesse signor di
spettivamente pp, 937-38, e pp. 928-30). Altl'e lettere dell'Aretino a Diego de Mendoza quello che non era suo, ne anche poteva esser tuo» (: <(. ,, tu padre te hiciese seiior de lo
confermano gli interessi e la sensibilità di quest'ultimo come collezionista d'arte: cosi que no era suyo ni podia ser tuyo»).
nella lettera del ro febbraio r540, nella quale gli l'accomanda il Sansovino (ibid,, pp. 16
Anche qui si è dovuto correggere il testo italiano: <1Di dove chiaramente si sco~ge che
627-28) ed in quella, soprattutto, del r 5 agosto 1542, nella quale invia all'ambasciatore
fu una concessione fatta per li anciani, e come dice lo spagnuolo, fu una concessione de
spagnolo il sonetto richiestogli sul ti tratto di donna che Tiziano esegui' su commissione
del Mendoza: manga», secondo l'edizione spagnola: «Donde se ve claro que fué concesion injusta, he-
cha per aliamtiam y de manga, coma se suele decir» (Dialogo entre Caronte y el dnima de
«Furtivamente Tiziano e Amore, I presi a gara i pennelli e le quadrella, I duo essempi Pedro Luis Farnesio cit., p. 2),
han fatto d'una donna bella I e sacrati al Mendozza, aureo signore, Il Ond'egli altier di 17
L'unica differenza è nell'ordine del possesso: <dn modo tale che solo in questo po triana
si divin favore, I per seguir cotal dea come sua stella, I con cerimonie apartenenti a
quella, I l'uno in camera tien, l'altro nel core I[... ]» (ibid., pp. 942-43). superarmi gli altri principi, in che io l'ho acquistato e loro ereditato» (le due citazioni
7 a c. 3 e 3v). Si noti che il testo spagnolo del I547 concede: «habérmelo yo conquistado»
La citazione, tratta da Il successo delle rivoluzioni della cità di Siena (Siena 1577) di Ales- (Dialogo entre Caronf,e y e! dnima de Pedro Luis Famesio cit,, p. 2) mentre la versione ita-
sandro di Girolamo Sozzini, è riportata da B. Blanco-GonzUlez, Introducci6n biografica
liana del 1549 precisa e sfuma in «acquistato i> - il potere - appunto piU per <(conces-
y critica cit., p. 19.
8
sione» che di forza. È un ulteriore segnale deila diversa destinazione ormai del dialogo,
Cfr. l'elenco inJuan de Iriarte, Regiae Bibliothecae matritensis codices graeci MSS, Ma- non piU rivolto ai Farnese del ducato, ma a quelli del papato,
drid r769, p. 2n 18 <(A quelli che mi ammazzarono poco gli aveva levato», e dunque di essi meno temeva,
9
Una lettera indirizzata al Mendoza da Santa Teresa è pubblicata nella traduzione di poiché - privilegio nell'oppressione- <inunca yo les hice agravio particolar a ellos, que
Orazio Quaranta, in Lettere della Serafica Madre S. Teresa di GiesU, presso Paolo Baglio- el pueblo no lo recibiese muy mayor; y sufriéndolo este, pensaba yo que aquellos lo su-
ni, Venezia 1671: lettera XI, «All'Illustriss. Sig. D. Diego di Mendoza del Consiglio di fririan1> (la versione italiana qui fraintende: <i Non gli ho fatto mai aggravi, se non che
Stato di S, Maestà», avente per argomento: «Mostra grande stima di sue lettere e con- il premio non fosse molto maggiore i> - c. 4). È la conferma che nell'esercizio della for-
tento dell'ottime ispirazioni, che scopre nell'anima di lui con desiderio di libertà eri- za non ci può essere gradazione (come invece nel diritto}, ma solo, machiavellianamente,
tirata dal Mondo» (ibid., pp. 2I-22),
una tragica e totale alternativa tra potere e <(ruina»,
Il 'luogo' della Corte e le sue 'rappresentazioni' 125
124 La rappresentazione
della qual cosa essendone io informato [. ..], io presi sicurtà di persuaderlo a contentarsi
19 Migliore gradatio è nella sequenza originale spagnola: «considerado que la vida del ti- ch'io la dessi alle mie stampe, promettendogli ch'io la dedicarei a V.E. come a quella per
rano no es otra cosa que una sombra de la muerte, una gruta obscura Ilena de mil malas cui egli l'aveva composta» (Dedica «all'Illustrissima et Eccellentissima Signora D. Mar-
visiones, un camino a.spero y estrecho}> (Dialogo entre Caronte y et dnima de Pedro Luis fisa da Este»). Sarà da paragonare alla dimessa storia editoriale di questa dedica, lo stu-
Farnesio cit., p. 3). diato elogio, tessuto di sapienti giochi anagrammatici, del Mammarello a Isabella Lupi,
20 Anche qui il te.sto italiano (c. 5v) ftaintende l'originale spagnolo: «y si eras temido de nel riallestimento parmense.
mucho.s, l~6mo no temias de ninguno?» (Dialogo entre Caronte y el dnima de Pedro Luis 36 Soltanto il sonetto del Tasso, Queste, che fur già voci a l'aria sparte, è comune alle due
Farnesto c1t., p. 3). edizioni; la canzone «Agli Accademici Fioriti» - l'unica che è con certezza attribuibi-
21 1'.1-achiavell~, Il principe cit., cap. v: «Quomodo administrandae sunt civitates vel prin- le al Cuccheti - è una sorta di autobiografia in versi, una lamentazione il cui tema è
c1patus, qui, antequam ocuparentur, suis legibus vivebant». già enunciato nei primi versi: «Lasso, sempre smarito per la via I De la disgrazia mia
son caminato I Dal mio destin n:ienato». Le restanti «giunte» paiono tutte da attribuire
22 C. 9v della versione italiana citata.
all'ambiente parmense che commissionò la riedizione.
21 Ibid., c. 8. 37 Il testo rimane, nelle due edizioni, sostanzialmente invariato, tranne l'incipit, che sarà,
24 Ibid., c. Sv. Le integrazioni sono ricavabili dal testo spagnolo: nel secondo caso «dura-
come vedremo, ampiamente rimaneggiato.
riin» è erroneamente tradotto <<dovranno».
' 8 Cfr. la Danza di Venere. Pastorale di Angelo Ingegneri. Nel/' Academia de' Sig. Olimpici di
2
' Ibid.' c. I I. Vicenza detto il Negletto. Et l'Innestato in quella de' Signori Innominati di Parma. All'il-
26 Cfr. almeno C. Dionisotti, La guerra d'Oriente nella letteratura veneziana del Cinquecento lustriss. S. Camilla Lupi, in Vicenza, nella Stamperia Nova, MDLXXXIII!. Converrà ripor-
ora in Geografia e storia della letteratura italiana, Einaudi, Torino 1967, pp. 163-82. ' tate integralmente la dedica «All'illustrissima Signora Camilla Lupi», per gli elementi,
27 E. Iserloh! Riforma e conf:1?riforma, in aa.vv., Storia della Chiesa, a cura di H. Jedin, val. che da essa emergono, di «lettura» del contesto, di dosaggio delle gerarchie e della fama
VI; trad. 1t. Jaca Book, Milano I975, p. 346. nelle concorrenti iniziative - e nel disporsi in esse dell'intellettuale - tra nobili e prin-
28 Trascrivo le due ~edazioni: «~No conoces al d~que de Castro, al principe de Parma, al cipe, tra corte e accademia:
duque de Plasenc1a, al marques de Novara, cap1tan generai y confalonier de la Iglesia? »; <,Illustrissima Signora, il gran favore et il singolare ornamento che ricevè questo mio
«Come non conosci il Duca di Castro, Principe di Parma, il Duca di Piacenza il Mar- poema da V .S. illustrissima, quand'ella in compagnia d' altre nobili Damigelle (fra di
chese di Novara, il Capitano generale» (cfr. anche nota 11). ' quelle sembrando vera Diana, cinta delle sue vaghe cacciatrici: o piutosto chiarissima
luna nel mezzo di tante rilucenti stelle) si degnò di recitarne la parte di ninfa piU prin-
29 Il testo spagnolo a p. 2 dell'ed. cit.; la versione italiana a c. 3. Cfr. anche nota I6.
cipale: mi mette in obligo (pubblicandol'io al presente) di non dedicarlo ad altri che a
Jo Il testo spagnolo a p. 3 dell'ed. cit.; la versione italiana a c. 4v. lei. Tanto piU che, se bene io mi diedi a comporlo già a contemplazione dell' Academia
31 Il testo spagnolo a p. 7 dell'ed. cit.; la versione italiana a c. II. Olimpica, oggidi famosissima e gloriosa, et a particulru: richiesta d'un Academico di es-
32 G. D. Cuccheti, La pazzia. Favola pastorale. Di nuovo.recitata in Parma nella Compa-
sa, Signor mio molto caro e segnalatamente qualificato, ch'è il Signor Giacomo Ragona,
gnia de' Pelleg1'ini. Et aggiontovi il Prologo et Intermedii. Con·una canzone del medesi- non l' arrei però mai (per le mie indisposizioni, e per gli tanti altri travagli) ridotto a fine,
mo, in Ferrara, appresso Giulio Cesare Cagnacini e fratelli MDLXXXVI ad istanza di se dall'illustrissima vostra madre, la Signora Donn'Isabella, non m'en fosse sopravenuto
Francesco Mammarello, Librato in Parma. La citazione è t'ratta dal so~etto d'elogio commandamento; di cui so poi, ch'io non sarei stato da lei favorito, s'ella non avesse
Sc;hiera leggiadra, che .ne l'apre illustri, dedicato A' Pellegrini, compagnia assai nota e avuto pensiero d' essercitar con tale occasione, la pronta memoria, il felicissimo ingegno
dtrett.a da quel <~saggio Verato» (come ricorda il sonetto), dal quale presero nome le e la grazia, incomparabilmente leggiadra, di V.S. Illustrissima, la quale, s'ebbe virtU
du.e difese del Pastor fido (cfr. G. B. Guarini, Il Verrato, ovvero difesa di quanto ha scritto (spiegando si dolcemente i concetti miei, et accompagnando le mie parole di tanto af-
~t~son Denores contra le tragicomedie, Caraffa e Galdura, Ferrara I588; e G. B. Gua- fetto) di render pastorale e rozza Musa, grata ali' orecchie d'una Corte quasi regale, co-
r1n1, Il Verato.s~condo,, ov~ero .replica dell'ATTIZ~ATO Accademico ferrarese in difesa del m'è quella di Parma, et al piU che regale aspetto d'un Principe, in età tenerella si valo-
Pastor.Ji.do, Filippo Giunti, Firen~e 1592). Tah sonetti non sono compresi nella pri- roso, com'è l'eccellentissimo Sig. R.AINUTIO FARNESE: ragion ben è ch'ella vaglia ancora
ma ed1z1one ferrarese (quella allestita per Marfisa d'Este) stampata in Ferrara per Vit- a far prezzar dal mondo il medesimo componimento. Et dritto è dunque ch'io 'l mandi
fuori inscritto dd vostro Illustrissimo nome; et che ciò alla fine mi sia perdonato, non
torio Baldini, nel l58I. '
pur dall' Academia mia suddetta e dall' Academico, ma dall'istessa Signora Donn'Isabel-
13 A;nche l'imma~ne d~a «~ura s.cena» è tr att?, .come la seguente, dal sonetto Schiera leg-
la: cui so che soverchiamente ricordarei che chi voi onora, onora insieme la madre vo-
gta~ra, che ,ne_ i apre ~!lustri, ag.g1unto nell ed1z1one «parm~nse» a lode della compagnia
1
stra. Ora, cosf facendo, io non vo' già pormi (come per aventura si ricchiederebbe) a cer-
de Pellegr1n1; ma prima traccia anche del nuovo contesto ideologico in cui la favola pa- car di far palesi altrui i merti di V.S. infiniti, s( perché malagevole fora l'impresa, come
storale viene chiamata a «significare». perché quel eh'ella può da sé far in un solo cenno, egli è vano che per altri faticosamente
34 G. D. quccheti, La pazzia, 1586, Interm~dio primo: è Cupido che parla e sin da principio si tenti; senza che, quand'ho nominato l'Illustrissima Casa LUPI, ho detto in una parola
annuncia che '<nascosto», occulto, sarà il suo modo di operare: «Se ben a voi nascosto la vostra nobiltà pareggiarsi a quella di qualunque piU principal figlia d'Italia; potendosi
I Parà forse il :nio fare I Visibil fiala piaga, I Me invisibil, che 'l piaga» (ibid.). della famiglia vostra dir anca questo: eh' ella sia annoverata fra le patrizie veneziane, e
35 La favola non fu tuttavia terminata in tempo per le celebrazioni della circostanza e fu sopra tutto ch'ella si trovi nd vostro nascimento congiunta alla PALLAVICINA Illustrissi-
lo stampatore a dedicarla nel gennaio successivo a Marfisa d'Este: «L'autore dell~ pre- ma pure, e antichissima al par d'ogn'altra [. .. ].Da Vicenza, l'ultimo giorno dell'anno
~ente Favola (IJlustrissima Signora) la compose con animo ch'ella fosse rappresentata MDLXXXIII. Oi V.S. Illustrissima, Affezionatissimo Servitore Angdo Ingegnerh>.
~n scena alle felici nozze di V.E., et per certi suoi impedimenti egli non sodisfece alla sua Ora, tra le iperboliche e stereotipe formule della dedica, emergono tuttavia alcuni cle-
intenzione, ma però gli restò vivo il desiderio, poi ch'ella non l'aveva veduta in scena menti di preciso, storico rilievo: cosf per esempio, Isabella Lupi commissiona, o riesce
ch'ella la vedesse in scritto; e di già egli ne avea fatto una copia con questa intenzione;
r26 La rappresentazione Il 'luogo' della Corte e le sue 'rappresentazioni' r27
ad avere la prelazione su testi destinati in origine al circuito intellettuale dell'accademia; 43 L'Erminia. Favola pastorale di Eugenio Visdomini è segnalata nelle lettere di Muzio
di pili, le rappresentazioni da essa allestite, e recitate dalla figlia, sono date alla presenza Manfredi, e dall'Affò è registrata come «manoscritto originale in-foglio della Reale Bi-
di Ranuccio Farnese, probabilmente alla corte stessa: rispetto alla quale («Corte quasi blioteca di Parma)> (Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani cit., vol. IV, p.
regale») pili risplende l'antica nobiltà dei Lupi, ascritta a quel patriziato veneziano, al 323), che tuttavia non mi è stato possibile identificare. Nel I 580 era principe dell'Ac-
quale invece - secondo la testimonianza del Muzio sopra riportata - Paolo III deve cademia Muzio Manfredi, il quale pubblicherà poi La Semiramis boscareccia a Bergamo,
chiedere, per la famiglia, tardivo accoglimento. C. Ventura, I593· Vicina al Manfredi, e all'Accademia degli Innominati - essendo
>9 Il sonetto del Tasso «A Isabella Pallavidni Lupi, marchesa di Soragna, per la dedicazio- anche cugina di Pomponio Torelli-, fu Barbara Torelli Benedetti, la cui favola pasto-
rale Partenia, elogiata anche dall'Ingegneri, e pronta per le stampe nel I593 1 era già ir-
ne de la "Bucolica" tradotta da Girolamo Pallantieri» appartiene al periodo 1579-82 e :[ reperibile per I' Affò (Memorie degli scrittori e letterati parmigiani cit., vol. IV, p. 297).
fu pubblicato dal Solerti; è ora riedito in T. Tasso, Opere (Aminta, Amor fuggitivo, In-
44 T. Tasso, Queste, che fur già voci a l'aria sparte, sonetto «A messer Giovan Donato Cuc-
termedi, Rime), a cura di B. Maier, Rizzali, Milano I963, vol. I, p. 757.
cheti per "La pazzia", sua favola pastorale. Risposta», attestato sia nell'edizione del
40 La notizia è fornita da A. Solerti, Le rime di Torquato Tasso, Bologna I898-I902, voi.
III, p. 354. La Fiori di Maddalena Campiglia fu pubblicata in Vicenza, per gli eredi di
I58I che in quella del I586; si veda ora Tasso, Opere cit., p. III 2. In nota il curatore
discute della plausibilità del riferimento a Guarini od a Sannazaro nell'allusione tassiana
Pedn e T. Brunelli, nel I588. Angelo Pezzana infine, nella sua Continuazione delle me-
al «mio vicino)>.
morie degli scrittori e letterati parmigiani (ora nella ristampa anastatica di Forni, Bologna
4 ~ G. D. Cuccheti, La pazzia, Ferrara 1581, atto I, scena 1, p. I. Il corsivo è nostro.
I973), nel supplemento al tomo IV delle Memorie degli scrittori e letterati parmigiani di
Ireneo Affò (Parma I793i ma ora Forni, Bologna 1969) segnala che Anton Maria Ga- 46 Ibid., atto II, scena rr1; monologo di «Branco solo», p. 14.
rofani dedicò a Isabella Pallavicini Lupi, con lettera del I 0 gennaio I584, la sua riedi- 47 Ibid., atto II, scena 1; monologo di «Fileno solo», p. I rv.
zione de Il Beffa, Commedia di Niccolò Secchi (in Parma, per gli eredi di Seth Viotti, 48 Ibid., atto III, scene II e 111, rispettivamente; a p. 26v.
I584). Si tratta evidentemente della commedia Gl'inganni, pubblicata la prima volta a
49 Ibid., atto III, scena v, p. 29.
Fiorenza, i Giunti, I 562. Un primo allestimento della commedia del Secchi fu promosso
dai duchi nel I569 (almeno secondo annota G. Drei, I Farnese. Grandezza e decadenza ! 'o Ibid., atto IV, scenarr, p. 32.
i,1
di una dinastia, Libreria dello Stato, Roma I9542 ): di quella rappresentazione è conser- n B. Castiglione, Il Libro del Cortegiano cit., libro I, cap. v111, pp. 92-93.
vata manoscritta alla Biblioteca Palatina di Parma (Hl-I. V. 94, Drammatica, Ms 763) n Ibid., p. 92.
una anonima Descrizzione detti intermedi fatti nelli Inganni Comedia del signore Nicolò 53 Cuccheti, La pazzia cit., atto IV, scena IV, p. 34v. Il corsivo è nostro.
Secchi l'anno MDLXIX, alti XXII di febraio il giorno di Carnovale. Del manoscritto e del-
1' Accademia degli Amorevoli parla il Pezzana nelle sue Giunte e comzioni al tomo quar- ' 4 Ibid., atto I, scena n1, p. 9v.
to cit., dell'Affò, pp. 459-60, ed infine, senza aggiungere nuovi elementi, Michele May- 55 Castiglione, Il Libro del Cortegiano cit., libro I, cap. XVII, p. 109. La finale parabola della
lender, Storia delle Accademie d'Italia, Cappelli, Bologna 1926-30 (ed ora riedizione ana- «follia» della corte si concluderà ne La pazzesca pazzia de gl'uomini e donne di corte in-
statica: Forni, Bologna I976), vol. I, p. 175. namorati, trattato di Gabriel Pascoli (G. Somasco, Venezia I592), autore insieme, per
4 1 Sull'Accademia degli Innominati, si veda il Discorso preliminare su le Accademie di Par- una sorta di edificante concinnitas, de Il perfetto ritratt:o dell'uotno formato da Dio, Viani,
ma dell' Affò, nelle citate Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, vol. IV, pp. I-XXIII; Pavia I592.
e Maylender, Storia delle Accademie d'Italia cit., vol. III, pp. 292-98. Il prin1ato di Fer- 56 B. Castiglione, Il Libro del Cortegiano cit., dedica «.Al reverendo ed illustre signor Don
rara, nell'«invenzione» e nella rappresentazione di azioni teatrali di tipo pastorale è sto- Miche! De Silva vescovo di Viseo», III, p. 76.
ricamente accertato sin dal profilo critico che ne tracciava il Tiraboschi: ferrarese è Ago- H G. D. Cnccheti, La pazzia dt., Ferrara e Parma I586, a:tto I, scena I, pp. I-Iv. Il corsivo
stino Beccati, il cui Sacrifizio fu rappresentato due volte a Ferrara nel I554 in presenza è nostro.
del duca Ercole II e con le musiche di Alfonso dalla Viola; e già prima Giambattista Gi-
raldi aveva allestito la sua Egle (con scenografie di Girolamo Carpi) nel I545i e ancora
' 8 Ibid., Ferrara 1581, p. r. Il corsivo è nostro.
ferraresi furono i primi cultori del nuovo «genere»: cosl Alberto Lollio che rappresentò 59 Ibid., I586: dedica di Francesco Mammarf;"Jlo «All'Illustrissima Signora D. Isabella Pal-
la sua Aretusa nel 1563 al palazzo Schifanoia, ed Agostino Argenti che pubblicò nel lavicina Lupi, Marchesa di Soragna)>.
1568 lo Sfortunato (cfr. G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Modena 1779, to- 60 Ibid., Intermedio primo [s.p.].
mo VII, parte III, cap. LXVI, pp. 149-57). E tutte estensi furono ovviamente poi l'Amin- 61 Ibid., Intermedio secondo, p. I I.
ta e il Pastor fido. E pur tuttavia l'attività degli Innominati si muoverà in una direzione 62 Ibid., dedica «All'Illustrissima Signora D. Isabella Pallavicina Lupi, Marchesa di Sora-
non semplicemente ripetitiva, puntando, per esempio, al recupero dell'esperienza del
gna».
Sannazaro.
42 Nel I 575 Eugenio Visdomini pubblica infatti Il Parto della Vergine di M. Giacomo San-
63 Ibid., Prologo [s.p.].
nazaro fatto in ottava rima per E. V. nell'Accademia de' Signori Innominati di Parma il Ro-
64 Ibid., versi finali dell'Intermedio secondo, a chiusura del monologo di Plutone; a p. I I.
co, presso Seth Viotti, Parma I575· Ed è anche la prima opera riferita all'attività del- 0 W. Shalcespeare, Macbeth, atto II, scena 1, monologo di Macbeth.
1' Accademia (cfr. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani cit., vol. IV, p. m).
PiU tardi un altro Innominato, Giambattista Massarengo, pubblicò delle Annotazioni
all'Arcadia del Sannazaro, Venezia I6r6. Ad imitazione dell'Arcadia fu anche composta
la Leucadia di Antonio Droghi (Bologna, presso gli eredi di Gioanni Rossi, I598) an-
ch'essa dedicata a Isabella Pallavicini (cfr. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmi-
giani cit., vol. IV, p. 300).
IV. Il compimento
L' Homme accompli:
dal Cortegiano all'Uomo di mondo
· r. La «conversation politicque».
Je voyais tous les jours la Famille Royale, les Princes du Sang, les Grands
du Royaume, les Ministres François, les Ministres Etrangers. Tout le monde
se rassembloit au Chàteau, on alloit aux levers, aux dìners dans les apparte-
mens, on suivoit la Cour à la Messe, à la chasse, aux Spectacles sans embarras,
sans gene, sans confusion 92 •
E come dal centro della tela emanando e riproducendosi il disegno
verso la periferia, cosi ogni rapporto sociale che fosse intessuto, a quel
centro si riferiva: «J' ai vu les autres, je leur ai fait ma cour»". O alme-
L' Homme accompli: dal Cortegiano all'Uomo di mondo.
no cosi aveva vagheggiato Montesquieu essere, nello spazio sconfinato
e mentale della Cina, il modello di ogni corte, di ogni Stato:
* ENRICO O Caterina, le buone maniere s'inchinano ai grandi re! Cara Caterina voi ed
Le palais de l'Empereur est une toile d' araignée et il est au milieu comme
1 io non possiamo lasciarci confinare entro i deboli limiti delle usanze di un paese: 'noi sia-
l'araignée. Il ne peut remuer que tout ne remue, et on ne peut remuer qu il ne mo i creatori delle usanze, Caterina.
remue aussi 94 • 1 È la definizione di «conversazione» quale propone, alla metà del secolo XVI, Francesco
La lancetta al centro di un orologio (La Bruyère), il ragno al centro Alunno nel suo dizionario cosmologico Della fabrica del mondo r 548. Cito dall'edizione
Uscio, Venezia 1588, Tavola (ed anche p. 213a), n. 1574· '
di una tela (Montesquieu): senza brusio tutto muoveva la corte, sans 2 F. Petrarca, De vita solitaria, libeJ: II, 1; cito dall'edizione a cura di G. Martellotti Ric-
bruit compiendo e consumando il corso: «La mort et l'amour se con- ciardi, Milano-Napoli 1955, p. 410 [e in reprint: Einaudi, Torino 1977, p. r 261'.
llii somment par !es memes moyens, l'expiration»". 3 Secondo la formulazione sintetica di S. Tommaso: «Praterea, omnia nomina quae com-
' muniter de Dea et creaturis dicuntur, dicuntur de Dea sicut de causa omnium ut dicit
: •'I Dionysius»; poco oltre cosf motivata: «Respondeo dicendwn quod in omnib~s nomi-
nibus guae de plu_ribus analogice dicuntur, necesse est quod omnia dicantur per respec-
I tum ad unum: et ideo illud unum oportet quod ponatur in definitione omniwn» (Sancti
Thomae de Aquino, Summa Theologiae, Prima Pars, Quaestio XIII, art. 6, 3; Editiones
I Paulinae, Alba-Roma 1962, p. 65).
4 B. Casti~lione,,Il ~i~ro del Corte~iano, ~ldo, Venezia 1528 [1'eprint: Bulzoni, Roma
1986]; etto dall edizione a cura di B. Mater, Utet, Torino 1973 3 , p. 73.
~ Montaigne, Essais, libro III, cap. xrir: De l'expérience; in CEuvres complètes, a cura di
I A_. Titlbaudet e M. Rat, Gallimard («Bibliothèque de la Pléiade»), Paris 1962, p. 1045.
: :: S1 veda, su questo punto, J. Starobinski, Montaigne en mouvement Gallimard Paris
I ',I., 1982 [trad. it. Montaigne, Il Mulino, Bologna 1984]. ' '
6 ~· Rabelais, Gargantua, cap. XLi in CEuvres complètes, a cura di G. Demerson, Seuil, Pa-
I ns 1973, p. 161.
[«La ragione indiscutibile è che essi (scil.: i monaci) mangiano la merda del mondo, vale
I a dire i peccati, e nella loro qualità di ruminamerda sono rigettati nelle loro ritirate cioè
I': i loro conventi e abbazie, separati dalla pubblica frequentazione come lo sono le l~trine
di una casa»l.
1:. , Rabelais vol~e in ironia un veJ:setto di Osea («Peccata populi comedetis») ripreso da
Erasmo negli Adagia, III, 11, 3 7: Pontificalis coena.
'
I':! ''
1,1
il
7 «Soleva Roma, che 'l buon mondo feo, I due soli aver, che l'una et l'altl'a strada I fa-
cean vedere, e del mondo e di Dea. Il L'un l'altro ha spento; ed è giunta la spada I col
pasturale, e l'un con l'altro insieme I per viva forza mal convien che vada» (Dante Pur-
gatorio, XVI, vv. 106-11). '
8 S~a corte di Roma ed il suo funzionamento, si veda lo studio fondamentale di P. Pro-
'" di, Il sovrano pontefice. Un corpo e due anime: la monarchia papale nella prima età moder-
na, Il Mulino, Bologna 1982; in particolare qui il cap. II: Il sovrano: principe e pastore,
pp. 4"79·
9 La definizione è di Giovan Battista De Luca (1614-83) nella sua Relatio romanae curiae
citata e commentata da P, Prodi, Il sovrano pontefice cit., p. 75. '
'44 Il compimento L' Homme accompti 1 45
10 Il rapporto tra accentramento dei poteri_, ~ei 9uali la ~ort_e ~ l'ostensione, e na~dta dello 22
T. Accetto, Della dissimulazione onesta, Napoli 1641; si veda ora edizione a cura di S.
stato moderno è stato tema di ricerca pr1vileg1at? nell attività del Centro St~di <(Europa Nigro, Costa & Nolan, Genova 1983. Un libro di scabra essenzialità, quasi «aplogra-
delle Corti» sin dagli interventi di A. Tenenti, A ..Stegm~nn, G: Ferroni, A. ,Quon- fico» - osserva giustamente Nigro-, «esangue» «per le continue ferite»: «Si conosce-
d m C O~sola E Battisti in aa.vv. Le corti famestane di Parma e Piacenza ranno le cicatrici da ogni buon giudizio, e sarò scusato nel far uscir il mio libro in questo
(r~ 5-r622 ) Bul;oni. Roma 1 ~ 8, val. I, Ì>P· IX-LV. E si veda poi anc~e il volume m~
4 7 modo, quasi esangue, perché lo scriver della dissimulazione ha ricercato ch'io dissimu-
nografico Ld corte in Éuropa. Fedeltà, favori, pratiche di govern~, a cura d~ M. A. Romani, lassi, e però si scemasse molto di quanto da principio ne scrissi» (L 'autora chi /ey,ge cit.,
in «Cheiron», 1 (19 s3), n. 2; e C. Vasali, La cultura delle corti, Cappelli, B~logna 1980. pp. 31-32).
Il problema è ora, da diverse prospettive, discusso i~ H. A. Ll?yd, La nascita del/~ s::o Ciò che rimane dunque è un libro di massime: «La dissimulazion è una industria di non
moderno nella Francia del Cinquecento, 1983; trad. tt. Il M~hno, Bologna 19.86, e in far veder le cose come sono. Si simula quello che non è, si dissimula quello ch'è» (ibid.,
J. A. Maravall, Potere, onore, étites nella Spagna del Secolo doro, 1979; trad. 1t. Il Mu- cap. VIII: Che cosa è la dissimulazione cit., pp. 50-51; e sulla storia del termine, si veda
lino, Bologna r984. . , . . . fl' d. la nutrita nota di S. Nigro, ibid.).
Sulle figure che pili hanno nutrito il mito di tale 'assoluta centralità , i:nv10 al ~ro 11 1
G, Parker, Un solo re, un solo impero. Filippo II di ~pag1!fl, l 978; tra1. 1t; Il 1'.lulino, _Bo:
21
Cfr. Breviarium Politicorum secundum rubricas Ma~arinicas, Coloniae 1684; e poi in vol-
logna 19s5 ; G. Treasure, La vertigine del potere. R_tc?e!teu e l~ Fran~ta d Anczen Rég)m~, gare: Epilogo de' dogmi politici I Secondo i dettami rimastine dal Cardinal Mazzarino,
trad. it. Il Mulino, Bologna, 1986; J.-M. Apostohdes, Le roi-machzne. Spectacle et polt- Gio. Selliba, Colonia 1698; cito dalla riedizione, per cura di Giovanni Macchia: Brevia-
tique au tempsde Louis XN, Minuit, Paris 1981. . . rio dei Politici secondo il Cardinale Mazzarino, Rizzoli, Milano 1981. La formula è tratta
dall'indirizzo al lettore (Lo stampatore a chi legge cit., p. 4).
Ma in tale processo, occorre notare, ~a Cu:i~ ro~an~ si. era da te~po distlnt~, quant~
meno nei deliberati: «Et cum cardinalis off1c1u~.1n prums versetur ~frequenti Romaru E per il nostro tema, si veda soprattutto la «rubrica»: Vestir qualsisia affetto (ibid.,
p. 88).
pontificis assistentia et sedis apostolicae .~egotus, propterea statmm~s, ut .ox~Bc/~
dinales in Romana curia resideant» (Conctlzum Latera_nense V! ~512-17, Sess10. I · u 24
T. Tasso, I/Malpiglio overo de la corte, in Dialoghi cit., voi. II, tomo II, p. 560.
re/ormationis curiae, De cardinalibus; ora riprodotto In Co~czl~orum oecumenzcorum de- 25
Id., Il Beltramo overo de la cortesia, in Dialoghi cit., vol. II, tomo I, p. 123.
creta, Istituto per le Scienze Religiose, Bologna 1973, la citazione alle PP· 620, 39-41). 26 Ibid., p. 124.
11 Castiglione, Il Libro del Cortegiano cit., IV, XIX, P· 470. 27
Id., I/Forno overo de la nobiltà, in Dialoghi cit., vol. II, tomo I, p. 22.
12 Ibid., XXII, p. 473·
26
«Pratico cortegiano è il signore Antonio: perché da le buone corti trasporta I' usanze lo-
!I .I D Ibid., XXIII, pp. 475-76.
devoli ne le scuole e ne' ragionamenti de' filosofi» (Il Forno overo de la nobiltà, in Dia-
14 Ibid., XXIX, p. 483. loghi cit., vol. II, tomo I, p. 30).
::., u F. Alunno, Della/abrica del mondo cit., p. 213a, n. 1574· . . . 29
B. Gracian, Oraculo Manual y Arte de Prudencia, 1647; trad. it. Oracolo manuale e arte
16 Cfr. La seconda redazione del «Cortegiano» di B. Castiglione, a cura di G. Gh1nass1, San-
',, i! di prudenza, a cura di A. Gasparetti, Guanda, Parma 1986, p. 85 (§ 118: Acquistarsi/a-
:'! soni, Firenze 1968; I, III, p. 7. . . . ma d'uomo cortese).
11 Sulle funzioni ed i significati simbolici dello scamb~o alime~tare nel Rinas~unento, rin- 30
T. Tasso, Il Beltramo overo de la cortesia, in Dialoghi cit., vol. II, tomo I, p. 124.
vio a M. Jeanneret, Quand la/able se metà ta_bl~, 1n «P~éuqi:e?>, 54, aprile 1983, PP· 11
Jean de La Bruyère, Les Caractères de Théophraste traduits du grec con i Caractères ou !es
163-8o. Riassumo qui rapidamente argomenti gtà esposti analiticamente sopra, al cap. Maurs de ce siècle, 1688, 1689, 1692; ed ora: Flammarion, Paris 1965; De la Cour, re-
II, pp. JO·J4· I ali . marque 79, p. 220 [«Il saper parlare ai re, è forse il culmine di tutta la prudenza e di tut-
1s «E de I' adunanze alcune son fatte per diletto, come quelle del carnevale, ;ie e qu. ci3- ta la souplesse del cortegiano »].
scun porta la sua parte de la cena e si s~or~a di super~ .ciascuno ne la bonta ?e l~ v1van e 32
e de' vini preziosi; altre sono raccolte insieme P~.utilità, con;e le comp.a~e di mercan~ Id., De la cour cit., remarque 75, p. 220 [«Chi vorrà considerare che il viso del principe
ti; ma questa de la corte, quantunque ad a~cun1 sta mo!to utile, a molti piacevole,. non~ è tutta la felicità del cortigiano, il quale si studia e si sazia per tutta la vita di vederlo e
dimeno non è congregata per utile o l?er d~letto ~e~phcemente, ma per altra cagione» di offrirsi alla sua vista, potrà un poco comprendere come il veder Dio può fare tutta la
(Tasso, Il Malpiglio overo de la Corte, in Dtaloghz ctt., voi. II, tom<;> II, R· 557): La «et: gloria e pieno il gaudio dei santi»].
!'
gione» preciserà il Tasso, è l'onore: «La corte dunque è congregaz10~ d'ed1uomG1ru
per on~re)> (ibid.). Sullo sviluppo del ~e~a, dal Castiglione~ Ta~so, st v a: · · eri
Ba:b t~ 33
«E, per dir forse una nova parola, usar in ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconda
larte e dimostri ciò che si fa e dice venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi» (Il
,, Squarotti, L'onore in corte. Dal Casttgltone al Tasso, Angeli, .Milano l 986 ·
19 II termine ritorna a suggellare il compiersi dei «ragionamenti»: «A~ora ognuno s1 !ev;?
.
14
Libro del Cortegiano cit., I, xxvi, p. 124).
' Jean de La Bruyère, Les Caractères, De la Courcit., remarque 65, pp. 217-18 [«Le rotel-
in piedi con molta maraviglia, perché non pareva che i ragi~namentl fosser<;> dura11 plu
le, le molle, i movimenti sono nascosti; nulla appare di un orologio che la sua lancetta,
del consueto i ma per l'essersi incominciati molto piU tardi. e per la l;ird ~~acev(I/i~
aveano ingannato quei signori tanto, che non s'erano accorti del fuggir e ore)> t- che insensibilmente avanza e compie il suo giro: immagine del cortigiano, tanto piU cal-
bro del Cortegiano cit., IV, LXXIII; pp. 543-44). zante poiché, dopo aver fatto un bel po' di cammino, ritorna spesso al punto stesso da
cui era partito»].
20 Cfr. Il Libro del Cortegiano cit., I, VI, pp. 88-89. .
H Montesquieu, De l'esprit des lois, libro XII, 25; Barillot, Genève 1748; ora in <Euvres
21 «Non tutte egualmente [scil.: le virtU] né sempre si manifestano ma si. c~1!1-e .ne le pit-
1 complètes, Seuil, Paris 1964, p. 606.
ture con l'ombre s'accennano alcune parti lontane, altre sono da colori ptu vivamente
espresse, cosf avverrà p~im~nte d~ l~ virtU che sono con la prudenza» (T. Tasso, Il Mal- % «Ils ne viennent d'aucun endroit, ils ne vont nulle part: ils passent et ils repassent. Ne
piglio overo de la corte, 1n Dialoghi clt., vol. II, tomo II, p. 560). les retardez pas dans leur course précipitée, vous démonteriez leur machine» (Id., De
n
L' Homme accompli 147
Il compimento
50 Secondo la coscienza acuta che già ebbe il Tasso, sottolineando: «Molti nobilissimi ba-
la coureit., remarque I9, p. 205; «Non vengono da nessuna pa7t7 e non vanno in.alcun roni ancora, ch'anticamente in quegli stati medesimi [scil.: ferraresi] prendevano !'in-
luogo: passano e ripassano. Non ritardateli nella loro corsa prec1p1te, smontereste il loro vestiture da l'imperatore, ora la prendono dal duca; e fra questi sono i Rangoni, i Mon-
tecuccoli, i Fogliani, a' quali tutti il duca, come prudentissimo principe, compatte gli
ingranaggio»).
n Id., De la Cour cit., remarque 4, p. 202 [«Sottrarsi alla corte anche un s.ol momento è onori e le grazie; e ciascun di loro, non che tutti insieme, son tali ch'adornerebbono un
rinunciarvi: il cortigiano che l'ha vista il mattino, la rivede la sera per nconosceda al- regno}> (T. Tasso, Il Forno overo de la nobiltà, in Dialoghi cit., vol. Il, tomo I, p. 84).
l'indomani, o per esserne riconosciuto)>). n Castiglione, Il Libro del Cortegiano cit., II, XLIII, p. 256.
52 «Cortesia[ ... ] è umana e graziosa liberalità con destri e moderati costumi, cosi detta dal-
}s Ibid., remarque 62, p. 216.
39 Ibid., remarque 64, p. 2r7 [«La vita di corte è un gioco serio e melanconie~, che ~ede
le corti de buoni Principh> (F. Alunno, Della/abrica del mondo cit., p. 92, n. 674).
applicazione: bisogna dis~orr.e i pr?Pri,pez~i, le batterie, ~vere un.~ strate~ta e seguirla! '' Id., Tavola, alla voce «urbanità)>.
neutralizzando quella dell avversario, nschiare talvolta e ~tocare d impulso, e dopo tuttt ' 4 Ibid., p. l2ob, n. 892.
questi divisamenti e misure, ci si trova in scacco, magari matto»). 55, N. Elias,. Uber den Prozess der Zivilisation, 1936; trad. it. La civiltà delle buone maniere,
4o «Già s'avanzano sulla scena altri uomini, che reciteranno la stessa commedia, copren?o Il Mulino, Bologna 1982; e: Potere e civiltà, Il Mulino, Bologna 1983; da integrare con:
i medesimi ruoli· si dissolveranno a loro volta; e coloro che ancora non sono sul proscenio, Die hii/ische Gesellschaft, 1975; tl'ad. it. La società di corte, Il Mulino, Bologna 1980.
un giorno nonl~ saranno pili: nuovi.attori avranno pres;> .il l'?ro posto» (Id., De la ~ou~ ~ 6 Secondo il proposito già illustrato nel Malpiglio: «For. Nap.: "Tutti gli artefici dunque
cit., remarque 9, p. 224). L'immagine traduce ed amplifica 11 c~lebr~ passo e~?sn_i~ano. sono ne la corte?" Giov. Mal.: "Parimente". For. Nap.: "Dunque il sartore sarà non so-
«Porro mortalium 9 vita omnis quid aliud est, quam fabula quaeptam, 1n qua alu alits ob-
lamente sartore ma cortigiano, e 'l calzolaio e l'orafo e 'l pittore e lo scultore e ciascun
tecti personis procedunt, aguntque suas quisq1:1e partes, donec.~hora]!Us educate prosce- altro". Giov. Mal.: "In questo modo stesso"[... ] Far. Nap.: "La corte dunque è una rac-
nio?» {D. Erasmus, Morias Encomium, in aedibus Io. Frobenit, Basileae MDXV, p. r 10). colta di tutte l'eccellenze di tutte I' arti e tutte l'opcre le quali sono fatture")> (T. Tasso,
41 Jean de La Bruyère, Les Caractères, De la Cour cit., remarque 47, p. 212 ~<(A migliaia alla Il Malpiglio overo de la Corte, in Dialoghi cit., voi. II, tomo II, pp. 562-63).
corte passano la loro vita ad abbracciare, pressare e congratulare quelli che sono bene- Su quest'epifania della moda e del moderno a corte, l'invio allo studio di G. Mazzacu-
ficati, sino a morirvi senza nulla aver ottenuto)>]. rati, Il Rinascimento dei moderni, Il Mulino, Bologna 1985 (in particolare cap. 1v: Per-
42 «Chi può dar nome preciso a certi colori cangianti, e che variano al variare dei gio~ni nei corsi dell'ideologia cortigiana, pp. 209-35).
quali li si guarda? Allo stesso modo, chi può definire la corte?» (Id., De la Courcit., re- 57 Cfr. Castiglione, Il Libro del Cortegiano cit., Il, XL-XCIII.
S. Guazzo, La civil conversazione, divisa in quattro libri, Sabbio, Brescia 1574; poi:
ho veduto molti signori fare nelle corti loro, sforzando~i di con.s~gnru;le agli sventurati
60
Salicato, Venezia 1575, I579, 1580, 1586 (dalla quale citiamo); Perchacino, Venezia
servitori per salario)> (G. Della Casa, Galateo ovvero de costumi, in Rime epr;ise, Vene: 1581, ecc. Il libro ebbe numerose altre ristampe in Italia, una decina in versione latina,
zia 5 8, cap. XVII; ora in Opere di B. Castiglione, G. Della Casa, B. Celltnt, a cura d1 molte altre in francese, inglese, spagnolo. Il primo libro del trattato celebra i benefici
1 5
C. Cordié, Ricciardi, Milano-Napoli 1960, p. 401). della ~onversazione; il secondo propone i differenti tipi di conversazione, appropriati
45 La corte sarà come già nel Tasso un «sapere» e una «disciplina)>: «Un homme quisait alle diverse persone e circostanze; il terzo è dedicato alla «conversazione domestica»
la Cour est ~aìtre de son geste, de ses yeux et de son visage» Gean de La,Bruyère, Le~ (tra marito e moglie, genitori e figli, padrone e servitori); il quarto illustra la «forma pei·-
Caractères, De la Cour cit., remarque 2, p. 202: <(Un uomo che sa la Corte e padrone de1 fetta)> della «civil conversazione», descrivendo un banchetto esemplare, officiato na-
propri gesti, dei propri occhi, del proprio volto»). turalmente a Casale.
46 È il prologo emblematico dell'Enrico V: <(CORO: Oh, aver qui una M~sa di fuoco che 61 Sulla fortuna del trattato (conosciuto e utilizzato, tra gli altri, da Shakespeare) rinvio
sapesse salire al pili luminoso cielo ~ell'invenzi'?ne; un regno.c~e servisse da palcos:e- agli studi diJ .-L. Lievsay, Stefano Guazzo and the English Renaissance (r575-r675), The
nico, principi che facessero da atton e monarchi da spettat?ri di questa scen~ gr~nd10- University of North Carolina Press, Chapd Hill 1961; E. Benfatti, La «Civil conversa-
sal i> (W. Shakespeare, Enrico V, Prof.ogo, in Opere, a cura di M. Praz, Sansoru, Firenze zione» di Stefano Guazzo in Germania, Del Bianco editore, Udine 1980; R. Auernhei-
mer, Gemeinschaft und Gespriich. Stefano Guazzos Begri/f der «Conversazione civile»,
1964, p. 551). Wilhelm Fink, Mi.inchen 1973; A. Quondam, Nel cuore della <iforma del vivere»: la
41 Jean de LaBruyère, Les Caractères, De la Courcit., remarque 9, p. 203.
«Civil conversazione» di Stefano Guazzo, in aa.vv ., La Corte e il «Cortegiano», val. II:
48 Cfr. La Doctrine des Princes et des Servans en court, testo anonimo del XVI secolo, in
Recueil de poésies françoises des xv" et xvf siècles ~ ré~nies et annotées par An~t?le de Un modello europeo cit., pp. 58 sgg.
Montaiglon, Paris 1856, tomo IV, pp. 31-35, la cttaz1one all~ p. 33· N?n sfuggi;a ~La 62 Guazzo, La civil conversazione cit., libro I, p. 30.
Bruyère questa <~struttura pro~o~~a )> d:~a corte, que~ta soglia .dura ~et rapporti di poM 61 «Meglio s'apprende la dottrina per l'orecchie, che per gli occhi»; «dal che potete rico-
tere: «La Cour est camme un edtfice bau de marbre: Je veux dire quelle est composée noscere quanto pili util cosa sia il parlar coi vivi, che coi morti» (Guazzo La civil con-
d'hommes fort durs, mais fort polis» (Les Caractè~s,,De la Courcit., ref!larque 10, P; versazione cit., I, p. 20). '
: «La Corte è come un palazzo di marmo: voglio intendere che essa e composta di 64 «Non si può essere vero uomo senza conversazione; perché chi non conversa, non ha
203
uomini ben duri, ma ben polith>). sperienza, chi non ha sperienza, non ha giudicio, chi non ha giudicio è poco men che be-
49 Questa breve esposizione suppone la lettura ed il rinvio al volume: a~. vv., ~a corte e i~ stia)> (ibid., p. 24).
«Cortegiano>>, vol. II: Un modello europeo, Bulzoni, Roma 1?80 (ed m pa~ucolare agh 6' Ibid., p. 19.
argomenti sviluppati nei saggi di Amedeo Quondam ed Adriano Prospen).
L' Homme accompli 1 49
Il compimento
u Stéphanie-Félicité Ducrest de Saint-Aubin, C. tm•e de GenlJ-s, Dictionnaire critique et rai-
66«Ma lasciando le favole non siamo noi certi che le importanti et ammirabili instituzio-
sonné des étiquettes de la cour, Mongie, Paris 1818, 2 voll. E fonte primaria nell'affresco
ni di' santa Chiesa non Procedono da un solo Pontefice, ma dai sacrosanti Concilii gç_-
che Taine ci propone dell'Antico Regime.
nerali dove sono state maturatamente considei·ate et approvate?» (ibid., I, p. 2ob). E
76 F. de La Rochefoucauld, De l'air et des manières, in Maximes et réf!exions mora/es, 1665,
verisi:nile che l'autore voglia qui unirsi all'elogio rituale del concilio di Trento; mal' ar-
gomento, se non è maldestro, sottintende una tesi pii.i generale e pili ar~ita che ~embr~ 1666, ecc.; con l; aggiunta delle Réflexions diverses, in ffiuvres inédites de La Rochefou-
raccogliere l'eco ancora dd concili~ di Cost~nza (in speci: ne~ ~ua Sessto N,. s~ poteri cauld, a cura di Edouard de Barthélemy, Hachette, Paris 1863; ed ora in Maximes, La-
dd concilio: «Et primo [scil: statuit], quod 1psa synodus in ~pn:tu san~to leg1tlme co~ rousse, Paris 1975, p. 115.
gregata, generale concilium faciens, [...] yotestatem a ~hnsto i~~ed1ate habeat» (1n 77 «L'allegria è una specie di ebbrezza che attinge fino al fondo della botte, e dopo il vino
Conciliorum Oecumenicorum decreta, Istituto per le Scienze Religiose, Bologna 1972, beve la feccia» (Taine, L'Antico Regj,me cit., p. 294). TI Taine si riferisce evidentemente
p. 4o8). Era davv:ero una 'teori~ conc~liare', c~: si es~rimeva come cultura: <~~requens all'esperienza storica della Rivoluzione ed a quella biografica della Comune. L'assunto
generalium conciliorum celebrat10, agri donumc1 praecrpua cultura est» (Concilium Con- è esplicito nella Prefazione: «Perciò, quando vogliamo comprendere la nostra situazione
stantiense, Sessio XXXIX cit., p. 438). presente, i nostri sguardi devono sempre appuntarsi sulla crisi terribile e feconda me-
diante la quale l'antico regime produsse la Rivoluzione e la Rivoluzione il nuovo regi-
67 Guazzo, La civil conversazione cit., II, p. 75b.
me» (ibid., p. 49).
68 Sulla tradizione medievale della fqrmula, mi permetto di rinviare al mio saggio: 'Ver-
78 Ibid., libro II: I costumi e i caratteri, cap. n, pp. 294-95.
1. bum' et 'Secretum' (Des Pères de l'Eglise et de Pétrarque), in« Versants», III (1982), PP·
79 Jean de La Bruyère, Les Caractères, De la Courdt., remarque 81, p. 221 [«C'è un pron-
' 23-43. tuario di frasi bell'e fatte, che si tira fuori come da uno scaffale di magazzino e di cui ci
i: 69 Cfr. M. de Certeau, Lafable mystique, Gallimard, Paris 1982; trad. it. Il Mulino, Bo-
si serve per congratularci gli uni gli altri a seconda degli avvenimenti. Benché esse si
logna 1987. pronuncino spesso senza partecipazione, e siano accolte senza gratitudine, non è tutta-
10 È quanto contempla Le Brevière des courtisans di Jean Puget de La Serre, Bruxelles,- chez via consentito ometterle»].
François Vivien, l63I. 80 Montesquieu [Charles-Louis de Secondat], Mes pensées: I720-I755, in Pensées et frag~
11 M. Boutauld, Méthode pour converser avec Dieu, 1679? «nouvelle édition.» ~ma .13a], ments inédits de Montesquieu, a cura di Henri-Auguste Barckhausen, Bordeaux 1899-
i
chez Labbey, Rouen 1788, cap. IV, pp. 39-4~ [«Non l?sc1ate p~sare le ore e 1 gi~rru s~n 1901; ora in ffiuvres complètes, a cura di D. Oster, Seuil, Paris 1964, p. 999, n. 1296
za guardarlo e senza pensare a luii o s~~za n~olgergl~ paro~a: intrat~enetelo (sc1L: Dio~ [«Non sono stupito delle attrattive che si trovano a corte e dell'impossibilità di cambiar
I con qualche discorso, se avete un br1c1olo di devoz~o~e; l s?ggettl e le parole non v~ vita. Non si sarebbe pii.i insieme ad ogni istante. E le cento piccole cose che vi divertono
I mancheranno. Ditegli ciò che sapete della vostra fatrugha, e ciò che non manchereste di o vi appassionano, ed entrano nd piccolo piano di ambizioni che vi siete proposto; e an-
Il riferire a un altro amico che fosse da voi, e a voi vicino»]. cora, non prender pili parte a questa lotteria di premi che dalle grazie dd principe s'ef-
"i Nella sua prima parte il 'metodo' proposto ricorda da vicino la «remarque» 75 di La fonde sulla nazione; e infine il piacere di vedere che, per piccolo che sia il posto occu-
'I Bruyère relativa al «guardare» il principe e offrirsi d~l cortigiano alla sua vista. pato, è comunque oggetto d'invidia; in fondo questa vita attiva non saprebbe essere so-
72 È il compendio proposto, tra gli altri, dall' Abbé Dupreaux, Le Chréti~n parfait honn~te
stituita dalla quiete)>].
81 «Je pensais autrefois - je dis, je pensais autrefois - que toutes ces choses - remises
homme ou l'artdiallier la piété avec la politesse, Huart et Moreau, Par1s 1750, 2 totn1: la
il citazio~e al tomo I, p. 303. Tutto il trattato è diviso in «conve~sazionii> che hanno la
'I dans le sac - si trop tOt - remises trop tOt - qu'on pouvait les reprendre - le cas
I il misura di capitoli; e, con una perfetta mise en abime i la Conversatton centrale ha appunto échéant - au besoin - et ainsi de suite - indéfiniment - temises - reprises» (S. Bec-
I' per soggetto la «conversazione» (si veda il tomo I, Conversation VI-VII, pp. 257 sgg.). kett, Oh !es beaux jours, Minuit, Paris 1963 e 1974, p._53). Frasi 'tutte fatte', memoria
I
i ji
I n H. Taine Les Origines de la France contemporaine. L'Ancien Régime, 1876~ trad. it. L.e
- di ciascuno e ddla storia- dei 'bei giorni':
«Pensavo una volta - pensavo, dico, una volta- che tutte queste cose - riposte nella
,f origini deita Francia contemporanea. L'Antico Reg~me, a cura di~· ~acch1a! Adelph1, borsetta - cosi in fretta - riposte troppo presto - si potessero ritirar fuori - se nel caso
Milano 19 86, da cui citiamo. L'intero libro II, dedicato a I.costun:i et caratt~ ~drebbe
-per un'evenienza- e cosi di volta in volta- all'infinito - riposte - riprese».
qui citato, per la seduzione delle testimonial!z~ evo.cate, il fascrn~ partecipe ~1 quella
82 Ibid., p. 61 [«C'è cosi poco che si possa dire ... E si dice tutto ... Tutto ciò che si può ...
scrittura. Mi limito a riportare un passo che dipinge il modo con cui il <{meccarusmo so-
ciale» si risolve appunto in conversazione e politesse: E non una parola di vero da nessuna parte»].
83 ~Les hommes, ne pouvant guère compter les uns sur les autres pour la réalité, semblent
<<Ricevere, dare pranzi, intrattenere piacevolmente i propri ospiti,. il. compito di un ~ran
signore è tutto qui, ed è questa la ragione per cui il governo e la religione sono per lm so- etre convenus entre eux de se contenter des apparences )) Oean de La Bruyère, Les Ca-
ractères, De la Cour cit., remarque 81, p. 22 li «Gli uomini non potendo in realtà per
lo argomenti di conversazione» (ibid., p. 490).
nulla contare gli uni sugli altri, sembrano essersi accordati per accontentarsi delle appa-
Ma la politesse ormai è di tutti e - per distinguersi - <<essere a~fabile no°: basta piU, ?i- renze»).
sogna ad ogni costo apparire amabili» (<;3aston du~ de ~év1s~ SouvC?1'zrs ~t portrazts, 84 C. Goldoni, La donna di garbo, 1743; ora in Tutte le opere, a cura di G. Ortolani Mon-
Il8o~I 7 89, Beaupré, Paris 1815, p. 321; citato da Taine, L Antico Regime c1t., p. 245).
dadori, Milano 1935, vol. I, pp. l013 sgg. Si legga l'eloquente giustificazione dei titolo
H <{In questo momento è [scil.: alla moda] il parfilage, la sfilacciatura, e a Parigi e nei ~a
nell'indirizzo al lettore:
stelli tutte quelle mani bianche sfilaccian~ galloni, sp~lli.n~ e vecchie stoffe'. per fare ~n
1 «Mi potrebbero opporre in risposta, che se è difficile che si dia una Femmina dotta, cre-
cetta di fili d'oro e d'argento. Trovano 1n quest attlvita una parvenza d1 e.conOf?la,
un'apparenza di impegno, in ogni caso un modo per tenere occupate le manH> (Tru.ne, sce la difficoltà, essendo la mia Donna di Garbo una povera figlia di una miserabile la-
vandaia. Ma io replicherei francamente che gl'intelletti non si misurano dalla nascita,
L'Antico Regime cit., p. 277).
L' Homme accompli 151
Il compimento
Mi . An . c .
cortesia è, al declinare ddJ.A.nci~~~~aim~o~':np~~:1eon:t1ntrfa~tenere un rapporto
nel dicembre 1785 - del n
né dal sangue, e che anche una Femmina abbietta e vile, la quale abbia il comodo di stu- di
diare ed il talento disposto ad apprendere, può erudirsi, può farsi dotta, può diventare M . f>" • e«a1resacour».
una Dottoressa; il che suppongo io essere accaduto nella mia Rosaura» (L'Autore a chi
94 l'I ontesquieu~ Spicilège, 443-47; or~ ii:t CEuvres complètes cit., p. 404 [«Il palazzo del-
mperhtore e una ragnatela ed egh siede al centro come il ragno Non può fare una
legg,e, in Goldoni, La donna di garbo cit., val. I, p. 1018). m~ssa c e tutto non muova, e non c'è movimento che non lo facci.a muovere»]
8' Ibid., vol. I, atto III, p. 1081. ,, {~lien Offroy de ILa Mettrie, Systéme d'Épicure, LXIX; in CEuvres philosophiques. à Ber
86 Sui Mémoires ed il loro scenario europeo, rinvio almeno a F. Fido, Da Venezia all'Euro- l~ 1775, tomo , p. 264 [«La morte e l'amore si consumano ad un modo, 1·n' un so--
spiro»].
pa. Prospettive sull'ultimo Goldoni, Bulzoni, Roma 1984; non meno che ai molti, affa-
scinanti capitoli goldoniani (e qui Il francese di Goldoni) di G. Falena, L'italiano in Eu-
ropa. Esperienze linguistiche del Settecento, Einaudi, Todno 1983.
87 Goldoni, Pifémoires, parte I, cap. XL, Paris 1787; ora in Tutte le opere cit., val. I, p. 185
[«Scrissi dunque una commedia di carattere, il cui titolo era Mamo lo Cortesan. Momolo
in veneziano è il diminutivo di Girolamo. Ma non è possibile tradurre l'aggettivo Cor-
tesan con un aggettivo francese adeguato. Il termine Cortesan non è una corruzione di
cortigjano, bensf deriva da cortesia e cortese. Gli stessi italiani in genere non conoscono
il Cortesan veneziano; cosf, quando diedi alle stampe quest'opera, l'intitolai l'Uomo di
mondo; e se dovessi volgerla in francese, credo che il titolo che potrebbe esserle adatto
sarebbe quello di Homme accompli.
Vec!iamo se m'inganno. Il vero Cortesan veneziano è un uomo probo, premuroso, zelan-
te. E generoso senza scialacquare, allegro senza essere sventato, ama le donne senza la-
sciarsi andare, ama i piaceri senza dissiparsi, fa tutto il possibile per il bene di una causa,
e tuttavia preferisce la tranquillità, ma non sopporta soperchieria; è affabile con tutti,
è amico cordiale, patrocinatore disinteressato. Non è forse tale l' Homme accompli?i>].
Su L'Uomo di mondo si vedano ancora le osservazioni di Falena, L'italiano in Europa
cit., pp. 163-66.
88 C. Goldoni 1 Prefazione al tomo XV delle Commedie edite a Venezia da G. B. Pasquali,
1761-78; riprodotta ora in Tutte le opere cit., val. I, p. 739.
89 Id., L'Uomo di mondo, L'autore a chi /egg,e, in Tutte le opere cit., val. I, p. 781. Su questo
punto si veda: M. Baratto, La letteratura teatrale del Settecento in Italia, Neri Pozza, Vi-
cenza 1985, p. 68.
9o Id., L'Uomo di mondo, atto I, scena xvi, in Tutte le opere cit., val. I, p. 809.
Si concludeva cosf, «en cette eschole du commerce des hommes» che è il teatro goldo-
niano, la parabola che aveva unito, per tre secoli, cotte e civilità: un percorso di reciproca
assimilazione già notato da Montaigne, al quale si deve il conio della formula «§tre ci-
vilisé à la courtisane» (cfr. Essais, libro I, cap. xxv; ora in CEuvres complètes, a cura di A.
Thibaudet e M. Rat, Gallimard, Paris 1962 1 p. 139). Debbo la segnalazione a L. Feb-
vre, Civilisation: évolution d'un mot et d'un groupe d'idées, 1930, in Pour une histoire à
part entière, Sevpen, Paris 1962. E si veda ora il finissimo saggio diJ. Starobinsld, Le
mot «civilisation», nel volume collettivo, a cura dello stesso Starobinski, Civilisation, in
«Le temps de la réflexion», IV (1983), pp. 13-5 r.
91 «Già il mobile de' seggi ordine augusto I Sovra i tiepidi strati in cerchio volge: I E fra
quelli eminente i fianchi estende I Il grave Canapè. Sola da un lato I La matrona del lo-
co ivi si posa; I E con la man, che lungo il grembo cade I Lentamente il ventaglio apre e
socchiude» (G. Parini, La notte, parte conclusiva de Il giorno, a cura di D. !sella, Ric-
ciardi, Milano-Napoli 1969, val. II, vv. 260-66).
92 C. Goldoni Mémoires, parte III, cap. 1n; ora in Tutte le opere cit., val. I, p. 450 [«Ve-
1
devo· ogni giorno la Famiglia Reale, i Principi di Sangue, i Grandi del Regno, I Ministri
di Francia, i Ministri stranieri. Tutti si ritrovavano al Castello, si rendeva visita di pri-
ma mattina e, per i desinati, negli appartamenti; si faceva ala alla corte alla Messa, alla
caccia, agli spettacoli, senza impaccio, senza disagio, senza confusione»],
9 3 Ibid., parte III, cap. xxxrx, val. I, p. 600; è il modo nel quale Goldoni riassume i suoi
rapporti. con gli ambasciatori veneziani succedutisi a Parigi, in occasione dell'arrivo-
v. La lettura
«Rinascimento» e «Risorgimento»:
la Corte tra due miti storiografici
1. Un'ipotesi crociana?
Ad autorizzare l'endiadi che il titolo propone, provvide - sin dal
1942 - il celebre saggio introduttivo di Benedetto Croce a Poeti e scrit-
tori del pieno e del tardo Rinascimento, prefazione appunto dedicata a
La crisi italiana del Cinquecento e il legame del Rinascimento col Risorgi-
mento', la quale infatti si concludeva con le seguenti osservazioni e
proponimenti:
La passione del Risorgimento, come di sopra si è accennato, trasferendo
nel passato i suoi amori e i suoi odi, contribui non solo a porre un hiatus tra Ri-
naschnento e Risorgimento, ma soprattutto a rendere reciprocamente estranee
le due età; sicché, quando si ricercò un riattacco ideale lo si trovò, con maggio-
re consenso dell'immaginazione, nel medioevo e nell'età comunale, e il Rina-
scimento parve l'età del paganesimo e del materialismo italiano, di un'Italia
sensuale e gaudente e letterata e rettorica, contro la quale gli italiani nuovi
avevano il dovere di reagire. Dimostrare che il Risorgimento fu, sostanzialmente,
la ripresa del Rinascimento, ossia del suo motivo razionale e insieme religioso,
e che anche il hiatus tra i due nella intermedia età di decadenza non è da inten-
dere come distacco e decadenza totale, è stato l'oggetto di queste mie conside-
razioni 2 •
Che poi l'opposizione tra l' «Italia sensuale e gaudente e letterata e
rettorica» del Cinquecento e l'Italia delle libertà comunali si compen-
diasse nel vituperato modello / flagello delle corti, ricordava lo stesso
Croce riprendendo un tipico modulo storiografico desanctisiano:
!
La precettistica politica non andava oltre i consigli dell'astuzia, non coro-
nati pili nemmeno, come nel Machiavelli, dalla poetica visione di un uomo del-
\! la astuzia e della violenza, che scacciasse dall'Italia gli stranieri e la raccogliesse
"H in un potente stato. Al cittadino era succeduto il cortigiano, al desiderio dico-
mandare e governare quello di servire con proprio utile privato, virtU capitale
a tal fine la prudenza con gli altri annessi avvedimenti e infingimenti; e copiosi
3
manuali vennero stampati De re aulica e Del servire nelle corti •
Ma questa lettura del Macliiavelli, teorico di una violenza «che scac-
ciasse dall'Italia gli stranieri e la raccogliesse in un potente stato», non
è che la ricomposizione dialettica ("cittadino" versus "cortigiano") del-
«Rinascimento» e «Risorgimento» 157
La lettura
sicché l'Italia[ ... ] passò per tutti gli stadi che la storia europea percorse dalla
l'interpretazione desanctisiana che aveva fatto del Machiavelli l'ante- monarchia antipapale e laica alla monarchia riformatrice e da questa al giaco-
signano del Risorgimento italiano: binismo e alle repubbliche democratiche, e poi alle richieste di costituzioni li-
C'era nel suo spirito la bella immagine di un mondo morale e civile, e di un berali e alla lotta contro la potenza straniera che voleva mantenerla nelle vec-
popolo virtuoso e disciplinato, ispirata dall'antica Roma: ciò che lo fa eloquen- chie costituzioni assolutistiche, peggiorate dal nuovo ultramontanismo; finché
te ne 1 suoi biasimi e nelle sue lodi. Ma era un mondo poetico troppo disforme col trionfo della concezione liberale si giunse a una di quClle conclusioni ideali
di là dalle quali non si può andare, né di fatto si è andati, perché esse son tali
alla realtà[ .. .]. Ond'è che la sua vera musa non è l'entusiasmo, è l'ironia. La
che ammettono l'infinità delle innovazioni, degli svolgimenti e degli avanza-
sua aria beffarda congiunta con la sagacia dell'osservazione lo chiariscono co-
menti, e anzi ne danno la formala 9 •
me uomo del Risorgimento 4 .
Non si tratta ora di ripercorrere, informa storiografica, la varia for-
Lo sforzo, e la novità, di Benedetto Croce furono quelli di suggerire
tuna e l'enorme bibliografia riguardante il concetto di «Rinascimento»;
e tracciare le linee portanti di una continuità ideale tra il «razionalismo
ma piuttosto osservare - come già suggeriva Delio Cantimori" - che
del Cinquecento»' e il Risorgimento: a tal fine egli puntò su quegli ele-
in tale esegesi, condotta in termini simmetrici alla specola politico-
menti, cari anche alla propria filosofia, dell'autonomia della politica ri-
nazionale di «Risorgimento», cioè secondo una categoria (quest'ultima
spetto alla morale', del legame del razionalismo rinascimentale con la appunto) egemone dal De Sanctis almeno sino al Croce, proprio la cul-
Riforma, della libertà di coscienza nella ricerca, eh' egli vide compendia- tura di corte sia costantemente risultata il polo negativo di commisura-
ti, attraverso l'eredità della "diaspora" degli eretici nella dimensione
zione di una " scrittura in assenza di libertà" .
laica e progressista, ed europea, della nuova cultura "risorgimentale"; Ora, tanto si associ l'idea di «Risorgimento» a quella di «popolo»,
la quale prendeva inizio, nell'emblematica parabola che vi costru! il come nel De Sanctis, e quindi se ne vedano le radici nelle libertà comu-
Croce, dalla vicenda esemplare del Giannone: nali; quanto si faccia risalire il primo embrione del pensiero risorgimen-
I" Ma lo stretto legame col razionalismo e coi bisogni spirituali che con la Ri- tale alla "ragione", alla libertà di coscienza del Cinquecento riformato,
forma e attraverso la Riforma si erano avvivati nel Rinascimento italiano, si come nel Croce; sempre la civiltà di Corte rimane il momento negativo,
vide nella ripresa che il Giannone fa e nella soluzione che viene dando del pro- espressione - piu precisamente - di una cultura cattolico-imperiale, in-
blema religioso, perché l'autore della Storia civile fu anche l'autore del Trire-
gno. E volle fortuna che egli, nell'esilio che ebbe in comune coi riformati ita- trisa appunto di assolutismo e di dogmi: tutto quello insomma che piu
liani del cinquecento (come poi ebbe in comune il martirio che lo attendeva ripugnava allo spirito laico, libertario, anticlericale, della cultura risor-
della lunga prigionia e della morte nel carcere), fosse condotto a Ginevra, dove gimentale:
tante memorie rimanevano del pensiero, degli sforzi e dell'opera di quei suoi Quanto alle classi colte, ritirate da gran tempo nella vita privata, negli ozi
precursori, dove erano tra le altre famiglie i discendenti di Francesco Burla- letterari e ne' piaceri della città e della villa) niente parve loro mutato in Italia,
macchi, i quali tutti, intrinsecamente correggendo o approfondendo il disegno perché niente era mutato nella lor vita. Contenti anche i letterati a' quali non
che fu di lui, invece di escogitare combinazioni politiche per la libertà italiana, mancava il pane delle corti e l'ozio delle accademie. Questa Italia spagnuola-pa-
avevano intrapreso la via lunga e faticosa di essa libertà, il rinnovamento re- pale aveva anche un aspetto piu decente. A forza di gridare che il male era nel-
ligioso; e donde, un secolo piU tardi, un altro di quei discendenti di esuli, il Si- la licenza de' costumi, massime fra gli ecclesiastici, il Concilio di Trento si die-
smondi, doveva, in un famoso libro di storie, rimettere nella memoria e nel de a curare il male riformando i costumi e la disciplina. Si non caste tamen cau-
cuore degli italiani le glorie delle loro libertà comunali e il fato che le colpi nel te. AI cinismo succede l'ipocrisia 11 •
cinquecento e la crisi che segui della forza e della civiltà italiana nell'età della
Controriforma, e cosl pungerli di taciti rimproveri e confortarli nel già iniziato
loro risorgimento 7 •
La lunga citazione, meglio di ulteriori allegazioni o commenti, fornisce, 2. Il «medio evo in putrefazione».
in eloquente sintesi, la linea di connessione proposta da Benedetto Cro-
Nella visione desanctisiana la civiltà di corte è in sostanza quella dei
ce tra il Rinascimento della ragione ed il Risorgimento della libertà: vir-
letterati, prima di tutti, che si sono ritrovati a coltivare!' «utile priva-
tu l'una e l'altra «liberali», perché se è vero che «iniziato fu questori-
to»; è un giudizio etico, prima che estetico, e soprattutto politico:
sorgimento nell'età giannoniana »•, esso «non fu piu da allora intermes- «Quell'Italia di letterati corteggiati e cortigiani perdeva la sua indipen-
so» compiendosi infine appunto nel «trionfo della concezione liberale»:
«Rinascimento» e «Risorgimento» 159
La lettura
~iò che rimane. di vivo in questa letteratura, non è il fantastico, e non il
<lenza» - ma nella condanna un elemento, allora negativo, prendeva trag.1c~, ma un c.om1co, spesso osceno e di bassa lega e superficiale che non va
forza per fruttificare poi in altra temperie storica: il «cosmopolitismo» al di la della .c,ar1catura e talo.ra è piU nella qualità del fatto che ne' colori. Al-
cuna volta c1 e pur sentore d1 un mondo piU gentile soprattutto nell'Erizzo e
della civiltà cortigiana (non assenza o disamore di patria, bensi una pa- nel Bandella, c?me è nella novella di costui della reina Anna· ma in generale
tria piu lata, quella - almeno - delle lingue neo-latine). Ma nelle pagi- c.ome ~elle corti anche piU civili sotto forme decorose e amabili giace un fond~
ne della Storia della letteratura italiana la valutazione di quella cultura re- hcenz1.oso e g.rossolano, la novella è oscena e plebea in contrasto grottesco con
stava severa, e si ripeteva negli stessi termini (e perfino nelle stesse tour- u~o. stil:-?obile. e mae~toso, p~~o artificio meccanico. È un comico che a forza
nures stilistiche), tanto si applicasse ali' età della Controriforma (come di ri~et1z1one s1 esaurisce e d~v1ene sfacciato e prosaico. Il capitolo muore col
nella citazione sopra addotta), quanto sin dall'inizio si volgesse a con- Bern1 e la novella col Lasca. E il Decamerone in putrefazione 14.
siderare la società nella quale si era prodotto il pensiero machiavelliano: È ~nsomma, in una visione a tratti anticipatrice quamvis invita del
Le classi colte, ritiratesi da lungo tempo nella vita privata, tra ozi idillici e ~achtm, u~a gran~e cele~razione carnevalesca dietro la quale appunto
letterari, erano cosmopolite, animate dagl'interessi generali dell'arte e della si sgretola il «med10 evo m putrefazione»:
scienza, che non hanno patria. Quell'Italia di letterati corteggiati e cortigiani
perdeva la sua indipendenza, e non aveva quasi aria di accorgersene. Gli stra- Machiavelli, pensoso e inquieto in mezzo a quel carnevale italiano giudi-
nieri prima la spaventarono con la ferocia degli atti e de' 12modi; poi la vinsero cava quell~ corru~tela da un punto di vista piU alto. Essa non era altr~ che lo
con le moine, inchinandola e celebrando la sua sapienza • stesso medio ~v~ in ~ut:efazione, morto già nella coscienza, vivo ancora nelle
f orme e nelle istltuzioni 15.
È questo, mitigato «dagl'interessi generali dell'arte e della scienza»,
il passo meglio disposto nei confronti della cultura delle Corti. In verità E infatti, I' enor~e ~ sinistra risata rabelaisiana nella quale il De Sanctis
tuttavia il giudizio di fondo sulla civiltà letteraria dell'Umanesimo e del vede affondare il Cmquecento italiano si compendia nel «vuoto» lascia-
Rinascimento rimarrà, nel De Sanctis, saldamente vincolato alla sintesi to dalla «clamorosa risata» del Folengo:
lapidaria dettata subito ad inaugurare il capitolo Xl dedicato alle Stanze d" La nuo~a arte, uscita dalla dissoluzione religiosa, politica e morale del me-
del Poliziano e alla società quattrocentesca: io ~vo e rimasta n~l vuoto, innamorata di solo sé stessa come Narciso va a
morire p~r mano di un frate sfratato, di Teofilo Folengo: muore ridendo di
Ma è l'Italia de' letterati, col suo centro di gravità nelle corti. Il movimen-
tutto e di se stessa 16 •
to è tutto sulla superficie, e non viene dal popolo e non cala nel popolo. O per
dir meglio, popolo non ci è. Cadute sono le 1·epubbliche; mancata è ogni lotta In q~esta «~isso~uzione» del Medioevo, nella quale - come ha os-
intellettuale, ogni passione politica. Hai plebe infinita, cenciosa e superstizio- serv~to il Ca~ti~~n - non c'è davvero spazio per il« concetto del Ri-
sa, la cui voce è coperta dalla rumorosa gioia delle corti e de' letterati, esaltata
in versi latini. A' letterati fama, onori e quattrini; a' principi incensi, tra il fu- nascrm_ento » , il r~so ~ella M~ccaronea e quello di Margutte risuonano
mo de' quali sono giunti a noi papa Nicolò, .Alfonso il magnanimo, Cosimo pa- enormi là dove stridera sfacciato anche il ghigno dell'Aretino:
dre della patria, e piU tardi Lorenzo il magnifico, e Leone X e i duchi d'Este. Questa è la commedia che poteva produrre quel secolo l'ultimo atto del
I letterati facevano come i capitani di ventura: servivano chi pagava meglio; il Dec~~erone, ;in ~ondo sfacciato e cinico, i cui protagonisti sono cortigiani e
nemico dell'oggi diveniva il protettore del dimani. Erranti per le corti, si ven- cortigiane, e il c1;11 centr? è la corte di Roma, segno a' flagelli dell'uomo che
devano all'incanto 13 • nella sua rocca di Ve~e~ia erasi assicurata l'impunità.
Sd_~ondo un~ tr~d1z1one popolare molto espressiva, Pietro [scil.: Aretino]
La «rumorosa gioia delle corti» copre la voce della plebe, maschera, morf 1 soverchio ridere, come mori Margutte, e come moriva l'Italia u,
per poco, lo spegnersi di «ogni lotta intellettuale»: in effetti nella lunga
durata, nella «grand'epoca, detta il Risorgimento, che dal Boccaccio si I? qu_ella conclusione emblematica del capitolo dedicato a Pietro
stende sino alla seconda metà del secolo decimosesto», la letteratura di Arettno si com~endia~o tutti i filoni della lettura desanctisiana del Cin-
corte rappresenta la parte in ombra di quella civiltà "borghese" e laica, quecento: I~ dis~oluzione ~el Medioevo si compie nella carnevalesca
segna il degenerare in «cinismo» di quell'ironia; non sarà un caso, nella mas~herata il c~i «centro di gravità» è nelle corti, e di esse è vertice e
prospettiva desanctisiana, che proprio il genere portato a maturazione sentm.a, specchio e m?dello, la corte di Roma. Nel momento in cui il De
dal Boccaccio, la novella, muoia appunto a corte, nel!' «artificio mecca- Sanctis celebrava la fme del potere temporale del papato", vedeva an-
nico» del Baudelio:
«Rinascimento» e «Risorgimento» i61
del Rinascimento fatta quasi sempre come «storia degli intellettuali» tedesca". Se anche cosi fosse, questo solo basterebbe - come già sot-
(del loro impegno civile o della loro trahison, della loro egemonia o mar- tolineava lo Chabod - ad aver caratterizzato, con tratti specifici e po-
ginalità). Eppure, se è vero che il Burckhardt dedica un capitolo intero sitivi, la civiltà del Rinascimento, ad averla «distinta» insomma tanto
della sua opera allo Svolgimento dell'individualità (e che da quest'accen- da un «medio evo in putrefazione» (di cui non rappresentava piu la crisi
tuazione potrà trarre nutrimento il mito nietzschiano del "superuomo", agonica), quanto da un ricercato Risorgimento del quale non sapeva of-
come annotava il Gramsci), occorre ricordare che questo capitolo è solo frire che isolati e dubitasi profeti:
il secondo della sua Civiltà del Rinascimento in Italia, preceduto come Ad avviare pili decisamente gli studiosi verso la pura valutazione culturale,
indipendentemente dai legami con la vita politica e sociale, sopravvennero al-
ouverture proprio da quel saggio Lo stato come opera d'arte", che inau- cuni fattori decisivi. E primo fu, senza dubbio, l'influsso della concezione
gurò in effetti un canone tutto nuovo, e positivo, di lettura della società burckhardtiana. La civiltà del Rinascimento in Italia, apparsa nel 1860, preci-
signorile in Italia e della sua civiltà di corte. sando e affinando idee già espresse dal Michelet, presentava infatti il Rinasci-
Basterebbe, per misurare la radicale divergenza di prospettive cri- mento come un blocco organico, un tutto conchiuso, abbracciante i secoli XIV,
tiche rispetto alla linea etico-statuale che sarà propria del De Sanctis, xv e parte del XVI; ora, il Rinascimento diveniva effettivamente un «periodo»,
una categoria storica, ben precisata cronologicamente, un tutto unico, che su-
confrontare semplicemente il giudizio ammirato del Burckhardt sulla perava la primitiva distinzione alfieriana, foscoliana, balbiana, fra Due e Tre"
corte di Leone X (quella «corte romana» centro di «empietà» nella let- cento e Quattrocento. [... ] Il comune fu ributtato nel Medioevo e il Rinasci-
tura desanctisiana): mento ebbe inizio con le signorie: e qui il contrasto con il modo di vedere del
Romanticismo non poteva essere piU netto 72 •
Nelle corti principesche la vita sociale dipendeva naturalmente dalle ten-
denze personali del regnante. Di esse, per vero, al principiare del secolo XVI ce E certo la «pura valutazione culturale» della civiltà del Rinascimen-
n'erano poche, e queste poche erano anch'esse sotto codesto aspetto pressoché to rischiava di tracciare del Quattro-Cinquecento un portrait di sole éli-
senza importanza. Roma faceva un'eccezione colla corte veramente unica di
Leone X: una società tanto speciale, quale non si vide ripetersi piU nella storia
tes, come in qualche passo ammette lo stesso Burckhardt (<<Finalmente,
del mondo 69 • per bene intendere la vita sociale dei circoli piu elevati del Rinascimen-
to, è da sapere che ... »)", e come comunque vorrà circoscrivere - ben
Donde, immediato, l'elogio del Cortegiano proprio come "modulo so- separandola dall' «età deilumi»" - la «civiltà di corte» lo stesso Cha-
ciale" della vita di corte: al trattato del Castiglione sono infatti dedicate bod, che pure di essa è stato in Italia il lettore meno prevenuto:
le pagine centrali del capitolo consacrato dal Burckhardt alla Vita sociale Si deve solo notare questo: che la humanitas richiesta dagli uomini del Ri-
e le feste: nascimento esige tali doti culturali e morali, tale maturità di pensiero da non
Ed ora si vien formando per le corti, ma pili ancora per se medesimo, il poter attuarsi se non in una piccola parte degli uomini. Essa, cioè, non è adatta
Cortegiano, quale ci vien descritto dal Castiglione. Egli è propriamente l'uomo per le moltitudini: di qui il carattere di cultura aristocratica che la cultura del
ideale, quale lo domanda la cultura di quel tempo a modo di suo piu bel fiore Rinascimento mantiene; di qui il suo raggio sociale assai piU limitato nei con-
e la corte sembra pili fatta per lui, che egli per la corte. [. . .]Il movente princi- fronti sia della civiltà cattolica del Medioevo, sia anche della posteriore civiltà
pale d'ogni sua azione non è, benché l'autore lo dissimuli, il servizio del prin- della Controriforma. «Civiltà di corte» è stata chiamata la civiltà del Rinasci-
1cipe1 bens{ il suo proprio perfezionamento[ ... ] mento: esatto, ma non perché le principali corti italiane - da Milano a Ferrara
' Tra le qualità esteriori, quelle che innanzi tutto si esigono in grado perfet" a Urbino a Roma a Napoli - furono i centri del movimento intellettuale (Fi-
to in un Cortigiano, sono i cosi detti esercizi cavallereschi; ma, oltre a questi, renze solo non era sede di corte principesca nello stretto senso della parola),
richiedevansi anche parecchie altre cose, che veramente non avrebbero potuto bens{ - e molto piU - perché fu una civiltà che disdegnò le masse e mirò all' e-
pretendersi se non in Corti colte, regolarmente organizzate e basate tutte sul- levazione di pochi. Fu il trionfo della intelligenza, della cultura, del genio crea-
1' emulazione personale, quali allora non esistevano se non in Italia: altre cose tore: ma, perciò appunto, un trionfo riserbato ad una classe di «eletti» n.
ancora si fondano evidentemente soltanto sopra un'idea puramente generale In verità se la «civiltà di corte» si limitasse alla sua piu immediata e
e quasi astratta della perfezione individuale 10 • visibile "epifania culturale", il giudizio sarebbe ineccepibile; ma lopera
È indubbio che questi passi, in sé considerati, sembrano avviare - del Burckhardt offriva anche altre chiavi di lettura di quella civiltà, che
come osserverà Federico Chabod - «verso la pura valutazione cultura- sono sovente rimaste in ombra. È parso, prevalentemente presso gli sto-
le» della società di corte, inaugurare insomma quella Civiltà delle buone rici, che la concezione dello «Stato come opera d'arte» nascondesse una
maniere, non a caso recentemente riproposta proprio dalla scuola storica motivazione sostanzialmente estetica, una carica utopica o neo-plato-
«Rinascimento» e «Risorgimento» 171
170 La lettura
Che poi questo «sentimento del dovere» emanasse da un ben radi-
nica pari a quella espressa nell'ultimo libro del Cortegiano o nella teoria 79
cato «tacito terrore», come è stato recentemente mostrato , pili che
politica del Principe, rivelasse i limiti di una lettura troppo aderente ed
dal «senso moderno» ascrivibile alla visione dello storico; e che questo
imitativa delle proprie res describendae.
rapporto quasi "contrattuale" tra principe e sudditi fosse pili la proie-
Non mancavano tuttavia in quel capitolo osservazioni, sul rapporto zione del programma politico burckhardtiano, come documentano le
Stato-Corte, sull'organizzazione di questa come "specchlo" del!' archi- sue lettere'", che la natura del potere estense, sono osservazioni che
tettura statuale, che già indirizzavano a una possibile lettura della corte confermano l'adagio historia (ut veritas) filia temporis, e nulla tolgono
come " rappresentazione" dell'incipiente "disciplinamento" della nascen- alla novità e alla ricchezza della proposta storiografica del Burckhardt.
te società d' Ancien Régime. E non sarà un caso che proprio quelle osser- L'«artificialità» della corte rappresenta dunque, secondo lo storico
vazioni siano applicate alla corte che pili avanti il Burckhardt avrebbe basileese, verso lo "scenario" interno, quello che l'invenzione della
celebrato come cornice splendida e raffinata del Cortegiano. Ma nelle "politica estera" inscena verso l'esterno: l'una e l'altra sono due mira-
pagine introduttive del saggio essa è soprattutto un «organismo in ogni bili artifici prodotti da principati dall'«esistenza artificiale»:
senso egregiamente architettato e condotto»: A quel modo che la maggior parte degli Stati italiani erano all'interno ope-
re d'arte, vale a dire creazioni coscienti, emanate dalla riflessione e fondate su
Ma non solamente lo Stato, bensl anche la corte era un organismo in ogni basi rigorosamente calcolate e visibili, artificiali dovevano essere anche i rap-
senso egregiamente architettato e condotto. Federigo [scil.: di Montefeltro] porti che correvano tra di loro e con gli Stati esteri. L'essere quasi tutti fondati
intratteneva cinquecento persone: le cariche di corte vi erano complete quanto sopra usurpazioni di data abbastanza recente è cosa per essi sommamente pe-
neppure nelle corti dei maggiori monarchi; ma nulla vi si sprecava, tutto aveva ricolosa tanto nelle relazioni esterne, quanto nella politica interna. Nessuno ri-
76
uno scopo, e un severo sindacato vegliava su tutto • conosce il vicino senza qualche riserva; lo stesso colpo di fortuna che ha servi-
to a fondare e rafforzare la propria signoria, può valere anche per il vicino[...].
La corte insomma non è solo "civiltà": "rappresentazione di rapporti Per tal modo l'Italia diventa la patria di una «politica esteta}>, che poi a poco
sociali", modello dell"' organizzar", con una funzione non diversa in- a poco anche in altri paesi prevale al diritto riconosciuto, e la trattazione degli
somma a quella che Gramsci assegnerà allo Stato «educatore»". Essa affari internazionali, completamente oggettiva e libera da pregiudizi e da ogni
piuttosto, nell'acuta visione burckhardtiana dei principati italiani, rap- ritegno morale, vi raggiunge talvolta una perfezione, che le dà apparenza di
presenta - nel modo pili efficace- la sostanziale «artificialità» struttu- decoro e di grandezza, mentre l'insieme suscita l'impressione di un abisso sen-
rale delle "entità territoriali e statuali" dei principi italiani, risarcisce za fondo 81 •
l'intrinseca debolezza di quel potere con un rapporto quasi" contrattua- La lettura burckhard tiana insomma non solo sposta (e in maniera
le", e in ciò "consorziale", con i propri sudditi. Si vedano, in questa lu- profonda e definitiva) la "funzione della corte" dall'àmbito prevalen-
ce, le significative - e mirabili- pagine dedicate agli Estensi: temente etico - e connotato negativamente come "servitU" - della
Egli è innegabile che la stessa loro posizione perpetuamente minacciata su- «storia degli intellettuali» (prospettiva che ·dominerà invece la storio-
scitò in questi principi una grande abilità personale: in una esistenza tanto ar- grafia italiana almeno sino allo Chabod) a quello, pili proprio, dei "mo-
tificiale non poteva muoversi con successo che un uomo accorto, il quale dove- di" della gestione del potere e della sua "rappresentazione". Ma anco-
va provare coi fatti di esser degno della signoria che teneva. I caratteri di cia- ra, nell'interpretazione del Burckhardt prendono corpo tre nuclei prin-
scuno hanno in generale dei lati deboli assai evidenti, ma pure in tutti vi era cipali della "dimensione corte" nella storia italiana del Rinascimento:
qualche cosa di ciò che allora costituiva il tipo ideale di un principe, secondo
gl'Italiani [... ] - il primo, ed è quello che ha avuto poi maggiore successo storiogra-
I principi d'Italia non si limitano, come i loro c~ntemporanei del nord, a fico, fa della corte il fulcro di rappresentazione e regolazione dei
trattare esclusivamente con una nobiltà, la quale si crede l'unica classe degna rapporti sociali tra ceti, la matrice di codificazione del" discipli-
di considerazione a questo mondo e trascina anche il principe in questo errore:
in Italia il regnante può e deve conoscere ognuno[ ... ] namento" della società d' Ancien Régime, il luogo di nascita insom-
I sentimenti dei Ferraresi verso questa casa regnante sono il pili strano mi- ma, a partire dalla prodigiosa fortuna del Cortegiano, di una nuova
scuglio di un tacito terrore, di una devozione secondo puro spirito italiano ben civilisation, della civiltà delle «buone maniere»;
calcolata e riflessa, di una fedeltà e sudditanza intese affatto nel senso moder- - il secondo attribuisce alla corte la funzione di filtro e di scambio
no: ali' ammirazione personale si sostituisce già un nuovo sentimento del do- verso la società, di promozione sociale", e di partecipazione, pur
vere 78.
«Rinascimento» e «Risorgimento»
,I '72 La lettura
1 73
al pervertire le idee, effeminare e corrompere i costumi, favorir l'ignoranza, la
mediata, al potere: è insieme la nascita del« funzionario» e la "so- falsa e frivola scienza, l'ozio, le delizie, la superbia, la cupidità del principe, e
cializzazione" del potere; segregarlo dalla vita cittadinesca, spesso intralciano e disviano i pubblici affari,
- il terzo e certo non meno fascinoso, fa della corte il calcolato "ar-. contrapponendo al governo giuridico e palese un governo occulto e illegale, al-
tificio di rappresentazione" del potere, coessenziale alla natura terando la giustizia distributiva dei gradi e degli splendori, cacciando di seggio
tutta artificiale dello stato principesco italiano: in questa reciproca i buoni ministri, facendo prevalere i dappochi ai valenti, i raggiratori ai leali,
i cattivi ai virtuosi, preparando le rivoluzioni di stato con quelle di palazzo, e
artificialità sta la costruzione della corte e dello stato del Rinasci- tramando insomma una congiura continua, operosa, efficace contro la bontà
mento come «opera d'arte». del principe e la felicità della patria, Ma il riformare e abolire le corti (benché
non sia impossibile) è piU facile a desiderare che ad eseguire; onde di rado in-
Se è indubbio che nella" gestazione" del nostro Centro Studi «Eu- contra che non sopravvivano al dominio assoluto, ond'ebbero il nascimento;
ropa delle Corti» è proprio quest'ultima l'ipotesi storiografica che pili tanto piU che a parere di alcuni prudenti esse si richieggono pel decoro e la
ha agito, come infatti attesta il primo caso studiato, quello tutto "arti- maestà del principe. Ora la corte innestata alla monarchia civile è un verme
ficiale" di nascita dello stato e della corte Farnese"; è altrettanto vero, che la rode, una peste che l'ammorba e ne rende l' esizio inevitabile e fatale 86 •
tuttavia, che nella storiografia italiana soltanto il primo filone interpre- a Segneri, Quares. XXIII, 5. Vedi intorno alle corti la mia Introduzione
tativo ha avuto successo", e qualche timido sviluppo il secondo, (cap. v, 6), Paolo Courier e i passi dei predicatori francesi da lui riferiti (Simp/e
Tanto meno la visione burckhardtiana del Rinascimento, la sua discours, -Procès de Paul-Louis).
b Conv. II, n.
"comprensione" ed in certo modo legittimazione dello stato assoluto
dei principi italiani, potevano aver séguito presso gli storici dell'Ita- Ma è altres! da riconoscere ch'egli attribu! ai «pdncipi» una funzio-
lia unita almeno finché durò l'ipoteca "risorgimentale", Un decen- ne positiva di allargamento della base di consenso, di collegamento di-
nio prim'a semmai, al politico teso ad elaborare una diversa strategia retto con il popolo, non dissimile da quella che il Burckhardt assegnerà
d'unificazione dell'erigendo Stato italiano, dopo il fallimento dell'i- ai «principi d'Italia»", La monarchia insomma come fase aurorale del
potesi federativa espressa nel Primato morale e civile degli Italiani, ,al " socialismo "! :
Gioberti che componeva, da Parigi, il nuovo progetto raccolto nel Rin- Cosicché se da un lato i principi allevarono i popoli, questi dall'altro lato
novamento civile d'Italia, non spiacque pensare - da quella specola - fondarono e limitarono la potenza dei principi. E mutando prima i benefizi in
alle monarchie europee d' Ancien Régime come a dei veicoli necessari feudi, poscia subordinando i feudi allo stato, e in fine mutandoli in possessioni
.·Ilil li ,i
I
' '
1 74 La lettura
Le «opere dell'arte» dunque in ordine al consorzio umano si defini-
scono «civiltà»: in altra temperie, pensando all'unità italiana condenda,
il pensiero di Gioberti non divergeva dunque da quello del Burckhardt.
Di piu: «la civiltà è un moltiplicare»: e in questo compito di produzione
di civiltà, di socializzazione se non dei poteri certo della "gestione" del-
lo Stato, la corte avrà un ruolo primario, sarà - per riferire il processo
in termini gramsciani - uno «strumento di accelerazione»".
«Rinascimento» e «Risorgimento»: la Corte tra due miti storiografici.
1 Il saggio, che dava t~tolo all'Introduzione a Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinasci-
Se l' «artificialità» dello Stato farnesiano segnò i primordi« burck- mento. (Laterza, Bari 1945,; 2• e~., da cui :i~amo, 195 8, voL I, pp. r-6), era già stato
hardtiani» dell'attività di ricerca del nostro Centro Studi, è indubbio pu~bhcato, con lo stesso titolo, tn «La Critica>>, xxxvn (1939 ),
che anche quest'altro filone di lettura della "funzione-corte", la possi- 2 Ibtd., vol. I, p. 16; il corsivo è nostro.
bilità di interpretare nei termini gramsciani sopra descritti l'ipotesi sto- 3 Ibid., vol. I, p. ro.
rica del Burckhardt e politica del Gioberti (la corte insomma "moltipli- 4 ~ Dh· Sa~l~tis, Storia della letteratura italiana, Morano, Napoli 1370_71 2 voli . cap xv·
ac tave~, t, ora a cura di N. Gallo, Einaudi, Torino 19 58· 4~ ed. da c~i citia~ · ·
catore di civiltà" e «strumento di accelerazione», nelle società d' Ancien vo. II, p.
1 . ' • o, 1971,
594
Régime, nella " socializzazione" dei processi decisionali e delle forme di 5 Croce, La crisi italiana del Cinquecento e il legame del Rinascimento col Risorgimento cit.
rappresentazione dello Stato - "opera d'arte") può dare ulteriori frutti. p.12. '
Era il voto già espresso, sin dal 1953, da Giovanni Getto proprio ri- 'Ibid.
leggendo, lungo la traccia di metodo di Antonio Gramsci e di Lucien 1 Ibid., pp. 14-1 .
5
Febvre, la «corte estense» quale «luogo d'incontro di una civiltà»: "Ibid., p. 15.
D~ altra parte, non si tratta, in questa sede, di dare una soluzione esaurien- ' Ibid.
10 «~enché ,~w;qu: il .De Sanctis adoperi a piri riptese i tetmini "Risorgimento", "Rina-
te, ma piuttosto di porre qualche problema, di invitare alla chiarificazione di
qualche elemento, di avanzare delle ipotesi di lavoro (e magari di determinare il
~c1mento s1 puo dit:e che 1~ 9uestione C: il problema o il concetto del Rinascimento non
mteressa nost~o gran~e crttlc~, è fu1?11 del suo orizzonte mentale cos{ ampio e rofon-
eventualmente delle ideali «équipes» cli lavoro, di un lavoro svolto su base ve- do. ~a formulazione e 1mpostaz1one d1 tipo "burckhardtiano" e le altre che da efsa n
ramente europea, con la collaborazione e l'esperienza di studiosi appartenenti segtU'te, o per~araf~asi o per ~od.ifica~ioni .della tesi, o per antitesi, gli rimangonoe:~~
a culture diverse: offrendo cosi un esempio di quella organizzazione del lavoro nee ~(D. Canumort, De Sanctts e ti «Rtnasczmento» 1953· ora in Studi di t · E'
Torino • d d · · · ' • sorta, 1naudi,
intellettuale su cui da noi ritornava a meditare cosi insistentemente quel genia- . 1959. . , 3 e .. , ~ cu1 c1t1amo, 19 6 9, pp. 321-39; la citazione alla p. 329).
le sperimentatore di cultura che fu Antonio Gramsci, e a cui ormai concreta- ~gh.stud~ d1 Ca?t1mor1, Chabod ~ Febvre è specialmente debitrice questa lettura· mi
mente da parte degli stranieri - si pensi solo a Lucien Febvre - sempre pili si r~fensco, l~ partic.olar~, per la st?r1a della storiografia sul Rinascimento, a: D. Canti~o
r1, Uman~szmo1 Rtnascimen_to, R_iforma, dal Burckhardt al Garin, in Studi di storia cit., p.
attende) 92 •
277-553, F ..cha?od, Il Rznasczment? n_elle ~ecenti Rinascime~to
interpretazioni (r9 33 ),
Che quel voto si vada lentamente realizzando, e proprio intorno alla ~?36)'. Il Rtnaset?71ent°. (194~), Studt dz stona del Rinascimento (1950); ora in Scritti sul
tnasctmento, E1naud1, Tonno 1967 (3a ed., da cui citiamo 19 31 pp 5 . 219)· L
corte estense, e per opera di quelle «ideali "équipes" di lavoro» - ora Febvre, Com~ Ju~s Mic~elet i.nventò il Rinascimento; ora in Studi su Rifo~a e Rin~sci~
non piu tanto pfatoniche -, sia segno di fedeltà a chi lo previde e felice mento, ttad. tt. E1naud1, Tonno 19 66, pp. 435 _45 .
fondamento e auspicio a chi lo va compiendo. S?1Je interpretazioni del Rin~sci~ento nel secolo xrx, rinvio in particolare allo studio
dB1 W allace K. Ferguson, Il Rznasctmento nella critica storica (194 8)· trad it Il Mulino
o1ogna r969. ' · · •
" De Sa?ctis, Storia della letteratura italiana cit., cap. xvrr: Torquato Tasso val II p 647
11corsivo è nostro. ' · ' ' '
12 Ibid., cap. xv: Machiavelli, vol. Il, p. 592 .
l'umanità possegga» (cfr. C. M. De Vecchi di Val Cismon, Bonifica fascista della cultura, p. 42.
Mondadori, Milano I937, pp. 34-35). 1 9 L. Chiappini, Gli Estensi, Dall'Oglio, Milano 1967, pp. 71 sgg.; ed aa.vv., La Corte e lo
67 Mi riferisco ai saggi di Ernst Cassirer, Individuum und Kosmos in der Philosophie der Re- spazio: Ferrara estense, a cura di G. Papagno e A. Quondam, Bulzoni, Roma 1982, in
naissance, Teubner, Leipzig 1927 (trad. it. Firenze 1935). specie il vol. I.
80 È una militanza politica sulla quale poneva giustamente l'accento il Cantimori, ripor-
68 E anche la proporzione tra i due capitoli è, nel saggio burckhardtiano, tutta a vantaggio
del primo; citando dalla traduzione italiana: cap. I: Lo stato come opera d'arte, pp. 5-99; tando un passo di una lettera dd Burckhardt del 28-29 gennaio 1844: «Sorgerà un nuo-
cap. n: Lo svolgimento dell'individualità, pp. 101-27. vo liberalismo, una opinione pubblica generale, sempre piU purificata da stravaganze
d'ogni tendenza, e allora la vittoria dovrà finalmente venire. Solo a tale liberalismo so-
69 Burckhardt, La civiltà del Rinascimento in Italia cit., cap. v: La vita sociale e le feste,
stenuto dal popolo si piegherà anche il potere1 e contrarrà un nuovo patto» (ora in Can-
p. 282. E si ricordi, al confronto, il severo giudizio del De Sanctis: «La licenza accom-
timori, Lettere del Burckhardt, in Studi di storia cit., p. 293; il corsivo è nostro). La cita-
pagnata con l'empietà e l'incredulità avea a suo principal centro la corte romana, pro-
zione del Cantimori era tratta daJ. Burckhardt, Briefe, Schwabe, Basel 1950, voi. I, e
tagonisti Alessandro VI e Leone X» (Storia della letteratura italiana cit., cap. xv: Machia-
1952, vol. II; la citazione da Briefe, n. 106, voi. II, p. 78.
velli, voi. II, p. 562). 81 Burckhardt, La civiltà del Rinascimento in Italia cit., cap. r: Lo stato come opera d'arte,
10 Burckhardt, La civiltà del Rinascimento in Italia cit., cap. v: La vita sociale e le feste, pp.
pp. 71-72.
282-83. 32 Si vedano, per Mantova e Ferrara, i documenti addotti da M. Cattini e M. A. Romani,
n Cfr. N. Elias, Uber den prozess der Zivilisation (1936) e Die hOfische Gesellschaft (1969); Le corti parallele: per una tipologia delle corti padane dal XIII al XVI secolo, in aa.vv.,
trad. it. La civiltà delle buone maniere e Potere e civiltà; e prima La società di corte, Il Mu- La Corte e lo spazio: Ferrara estense cit., val. I, pp. 4 7-82.
lino, Bologna 1982 e 1983; 1980. 33 Cfr. ora aa.vv., Le Cortifarnesiane di Parma e Piacenza: I545-I622; voi. I: Potere e società
12 F. Chabod, Studi di storia del Rinascimento (1950); ora in Scritti sul Rinascimento cit., pp.
nello Stato farnesiano, a cura di M. A. Romani; val. II: Forme e istituzioni della produzio-
155-56. ne culturale, a cura di A. Quondam, Bulzoni, Roma 1978.
n Burckhardt, La civiltà del Rinascimento in Italia cit., p. 287 e passim. 84 Un bilancio di questa linea storiografica è ora tracciato da C. Ossola, L '«Homme accom-
14 A proposito della <<civiltà del Rinascimento» preciserà lo Chabod in nota: «Che è [scil: pli». La civilisation des Cours camme art de la conversation, in «Le temps de la réflexion»,
questa «civiltà del Rinascimento»] una Hofkultur non nel senso ch'essa sia rimasta ma- IV (1983). Numero monografico dedicato a Lacivilisation.
terialmente limitata alle corti principesche, ma nel senso che i suoi ideali richiedono, per 8 ' <'Ai re assoluti di una volta era di scusa il fascino dell'onnipotenza, la pestilenza delle
.1I l'attuazione, una élite. Nulla è piU istruttivo, al riguardo, del paragone fra i due concetti corti, gl'influssi del ceto splendido; ma oggi la signoria soggiace alla legge, i popoli non
)' di humanitas e humanité, del Rinascimento e dell'Illuminismo: la prima postulante uno soffron le corti e la democrazia ha d'uopo la virt6 civile» CV. Gioberti, Del rinnovamento
"~
' sforzo di autoelevazione, morale e spirituale, un processo di conquista che conduce alla civile d'Italia, libro II; ora a cura di Luigi Quattrocchi, Abete, Roma 1969, 3 voli.; la ci-
'I
digJtitas sui, ma che appunto per questo è retaggio di pochi; la seconda invece "sentiment tazione nel val. Il, p. 129).
de bienveillance pour tous les hommes" (siccome la definisce l' Encyclopédie) che, seppur 86 Ibid., libro II, val. II, pp. 60-61.
è insito solo in una "àme grande et sensible", è però un sentimento che ha per suo ca-
B7 Si riconsideri, da quest'ottica, un passo burckhardtiano già citato: «I principi d'Italia
rattere specifico il senso della fratellanza degli uomini, e postula l'avvicinamento agli
esseri umani[ ... }: postula cioè l'abolizione di ogni barriera di casta, di nazione, di dot- non si limitano, come i loro contemporanei del nord, a trattare esclusivamente con una
trina» (in Il Rinascimento nelle recenti interpretazioni, l933i ora in Scritti sul Rinascimen- nobiltà la quale si crede essere l'unica classe degna di considerazione a questo mondo e
trascina anche il principe in questo errore: in ltalia il regnante può e deve conoscere
to cit., p. 17, nota l).
ognuno» (La civiltà del Rinascimento in Italia cit., p. 42).
1' F. Chabod, Momenti e forme del Rinascimento, 1941; ora in Scritti sul Rinascimento cit.,
88 Gioberti, Del rinnovamento civile d'Italia cit., libro II, val. II, p. 52.
pp. 64-65.
89 Ibid., voi. III, Inediti, p. 505.
76 Burckhardt, La civiltà del Rinascimento in Italia cit., cap. 1: Lo stato come opera d'arte,
p. 38.
90
Ibid., p. 507.
n «In realtà lo Stato deve essere concepito come "educatore", in quanto appunto tende 91 Il testo gramsciano è qui riportato alla nota 77.
a creare un nuovo tipo o livello di civiltà; come ciò avviene? Per il fatto che si opera es- 92 G. Getto, La corte estense luogo d'incontro di una civiltà letteraria, 1953; ora in Lettera-
senzialmente sulle forze economiche, che si riorganizza e si sviluppa l'apparato di r,ro- tura e critica nel tempo, Marzorati, Milano 1968, pp. 325-57; la citazione alle pp. 327-28.
duzione economica, che si innova la struttura, non deve trarsi la conseguenza che i atti
di soprastruttura siano abbandonati a se stessi, al loro sviluppo spontaneo, a una germi-
nazione casuale e sporadica. Lo Stato è una "razionalizzazione" anche in questo campo,
è uno strumento di accelerazione e taylorizzazione, opera secondò un piano, preme, in-
cita, sollecita, ecc.» (Gramsci, Quaderni del carcere cit.; Quad. 8, § 62: Machiavelli, voi.