Testo Sulle Lavorazioni Per Asportazione PDF

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Antonio Del Prete w Alfredo Anglani

PROCESSI DI LAVORAZIONE
PER ASPORTAZIONE DI TRUCIOLO
Tecniche numeriche di
simulazione e ottimizzazione
Proprietà letteraria riservata. Tutti i diritti riservati. Nessuna parte del materiale protetto
da questo copyright potrà essere riprodotto in alcuna forma senza l’autorizzazione scritta
dell’Editore.

UniSalentoPress - Piazza Tancredi 73100 Lecce

Antonio Del Prete - Alfredo Anglani


PROCESSI DI LAVORAZIONE PER ASPORTAZIONE DI TRUCIOLO
tecniche numeriche di simulazione e ottimizzazione

Editor Giampiero Paladini


1° edizione: AAAAAA 2014

Printed in Italy

Prodotto da
Lecce Città Universitaria
73100 - Lecce, Italy

sito: www.officinecantelmo.it
mail: [email protected]

ISBN XXXXXXXXXXXXXXXXXX
4
Indice

Indice
Prefazione

Introduzione

Capitolo I
Il processo di Taglio dei materiali metallici
Antonio Zompì, Raffaello Levi (Tecnologia Meccanica, Lavorazioni ad aspor-
tazione di truciolo, UTET Libreria, 2003) pag. 17

1.1. Introduzione, pag. 17- 1.2. Meccanica del taglio dei metalli, pag. 17- 1.3. La
deformazione media del truciolo, pag. 25- 1.4. Velocità di taglio, di flusso e di
scorrimento, pag. 29- 1.5. La velocità di deformazione nel taglio, pag. 30- 1.6.
Le forze agenti nel sistema utensile – truciolo – pezzo, pag. 32- 1.7. Condizioni
di taglio obliquo, pag. 37- 1.8. Pressione di taglio e pressione specifica di ta-
glio, pag. 41- 1.9. Lavoro assorbito nel taglio, pag. 45- 1.10 Effetti termici nel
taglio, pag. 48- Bibliografia, pag. 53.

Capitolo II
Le macchine utensili a controllo numerico e la generazione dei percorsi utensile
A. Del Prete, A. Anglani con la collaborazione di Alessandro Spagnolo pag. 55

2.1. Introduzione, pag. 55- 2.2. Il Controllo Numerico, pag. 57- 2.3. I Linguaggi
di programmazione, pag. 62- 2.4. Macchine utensili a controllo numerico: clas-
sificazione, pag. 68- 2.5. Programmazione delle macchine a controllo nume-
rico, pag. 77- 2.6. Integrazione CAD-CAM, pag. 95- 2.7. Lo standard STEP-NC
per le lavorazioni NC, pag. 102- 2.8. Caratteristiche dello STEP-NC, pag. 104-
2.9 I WorkingSteps, pag. 108- 2.10 Integrazione CAD\CAM e NC attraverso lo
STEP-NC, pag. 109- 2.11 Norma ISO 10303-238, pag. 112- Bibliografia, pag. 117.

Capitolo III
Il metodo degli elementi finiti e la sua applicazione per lo sviluppo prodotto/
processo.
A. Del Prete, A. Anglani con la collaborazione di Barbara Manisi e Emilia Mariano
pag. 119

3.1. Introduzione, pag. 119- 3.2. Applicazione delle tecniche di calcolo ad ele-
menti finiti, pag. 120- 3.3. Computational Modelling utilizzando il metodo
FEM, pag. 123- 3.4. La Simulazione, pag. 129- 3.5. Definizione delle Equazioni
per la Risoluzione dei Problemi Fisici con il Metodo degli Elementi Finiti, pag.
132- 3.6. Esempi applicativi: approccio implicito, pag. 143- 3.7. Esempi appli-
cativi: approccio esplicito, pag. 148- Bibliografia, pag. 151.

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Indice

Capitolo IV
Modellazione e simulazione ad elementi finiti delle lavorazioni per asporta-
zione di truciolo
A. Del Prete, A. Anglani con la collaborazione di Antonio De Vitis pag. 153

4.1. Introduzione, pag. 153- 4.2. Metodi sperimentali per la determinazione


delle leggi costitutive del materiale ad elevati strain rate e temperatura, pag.
154- 4.3. Alcuni tipi di equazioni costitutive utilizzate per la descrizione del
comportamento in campo plastico dei materiali metallici nei processi di aspor-
tazione di truciolo, pag. 156- 4.4. Sviluppo ed applicazione della FEA (Finite
Element Analysis) nella simulazione dei processi di asportazione di truciolo,
pag. 159- 4.5. Aspetti numerici per la modellazione dei processi di taglio, pag.
160- 4.6. Descrizione delle problematiche legate alla simulazione di processi di
taglio mediante l’impiego di un codice implicito, pag. 161- 4.7. Analisi dei feno-
meni termici associati ai processi di taglio dei materiali metallici, pag. 166- 4.8.
Modello approssimazione di taglio ortogonale (2D), pag. 167- 4.9.Definizio-
ne degli elementi finiti: problematiche generali, pag. 168- 4.10. Rilassamento
termo-meccanico post-lavorazione, pag. 192- 4.11. Analisi dei risultati ottenuti
da una simulazione del processo di taglio, pag. 193- 4.12. Tensioni residue
superficiali – correlazione numerico-sperimentale, pag. 198- 4.13. Analisi del
problema geometrico, pag. 199- Bibliografia, pag. 53- Bibliografia, pag. 203.

Capitolo V
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing
A. Del Prete, A. Anglani con la collaborazione di Francesco Anglani pag. 205

5.1. Introduzione, pag. 205- 5.2. OTTIMIZZAZIONE - Il problema matematico,


pag. 205- 5.3. Algoritmi di ottimizzazione, pag. 2013- 5.4. Algoritmi genetici,
pag. 225- 5.5. Il crossover nel caso di GA multi obiettivo, pag. 236- 5.6. Metodo
delle superfici di risposta (RSM), pag. 245- 5.7. Reti neurali, pag. 248- 5.8. Al-
goritmi per la selezione della soluzione ottimale in problemi di ottimizzazione
Multi Obiettivo – cenni, pag. 260- 5.9. Esempio di applicazione dei metodi di
ottimizzazione: Metodi avanzati per l'ottimizzazione dei percorsi utensile, pag.
263- Bibliografia, pag. 282.

Appendice I
Dal CAD al Part Program: esempi applicativi pag. 283.

1.1. Realizzazione di una staffa di ancoraggio, pag. 283- 1.2. Realizzazione di
una manicotto con due guide per perni, pag. 296.

Appendice II
Modellazione e simulazione dei percorsi utensile delle lavorazioni per aspor-
tazione di truciolo pag. 313.

6
Indice

2.1. La simulazione dei percorsi utensili: vantaggi, pag. 313- 2.2. Definizione
di un ambiente di simulazione delle lavorazioni per asportazione di truciolo,
pag. 317- 2.3. Esempio di modellazione di un ambiente di simulazione, pag.
319- 2.4. Dalla progettazione all’utilizzo delle macchine utensili a controllo
numerico, pag. 326.

Appendice III
Esempi di simulazione ad elementi finiti dei processi di taglio pag. 331.

3.1. Tornitura 3D: caratterizzazione plastica del materiale, pag. 331- 3.2. Fora-
tura 3D: caratterizzazione Plastica del materiale, pag. 337- 3.3. CRITICITÀ, pag.
334.

Appendice IV
Ottimizzazione cinematica del percorso utensile pag. 343.

4.1 Introduzione, pag. 343- 4.2 Relazioni tra i parametri di taglio e i tre algorit-
mi di ottimizzazione di OPTIPATH, pag. 345- 4.3 Piano sperimentale, pag. 347-
4.4 Simulazione delle prove con VERICUT, pag. 349- 4.5 Lavorazioni ottimiz-
zate col metodo del volume rimosso costante e col metodo dello spessore di
truciolo costante, pag. 352- 4.6 Rugosimetro, pag. 354- 4.7 Risultati, pag. 355.

Appendice V
Esempi applicativi di ottimizzazione delle lavorazioni per a-sportazione di truciolo
pag. 361.

5.1. Introduzione, pag. 361- 5.2. Ottimizzazione dei parametri di taglio nella
tornitura di superleghe di nichel, pag. 361.

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Antonio Del Prete, Alfredo Anglani

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PROCESSI DI LAVORAZIONE PER ASPORTAZIONE DI TRUCIOLO
tecniche numeriche di simulazione e ottimizzazione

Prefazione

Le tecniche di simulazione numerica sono largamente utilizzate come stru-


mento di supporto alla progettazione dei nuovi Prodotti e dei Processi Produt-
tivi. In particolare, è prassi comune utilizzare il metodo di calcolo agli elementi
finiti in combinazione con tecniche numeriche di ottimizzazione per definire
configurazioni ottimali di Prodotti e Processi per confronto con le condizioni
al contorno definite ed in base alle variabili di design considerate. E’ altret-
tanto noto come, le tecniche di simulazione, di cui quella ad elementi finiti è
una delle tante possibili, siano considerate una concreta opportunità per la
riduzione dei tempi e dei costi necessari per lo sviluppo di nuove soluzioni di
Prodotti e Processi tecnologici. Pertanto, tali tecniche sono inconfuta-bilmen-
te ritenute una insostituibile opportunità per migliorare la competitività delle
aziende manifatturiere.
Le lavorazioni per asportazione di truciolo rappresentano una parte signi-
ficativa delle tecnologie tradizionali per la lavorazione dei materiali metallici
e non ( ad es. compositi). Nel contesto industriale moderno che mette a con-
fronto realtà produttive con diverse metriche di competitività è sempre più
indispensabile fare ricorso a soluzioni che consentono di aumentare la qualità
del prodotto con un contestuale aumento della produttività. Tale strategia è
perseguibile unicamente facendo ricorso alle tecniche numeriche di simula-
zione ed ottimizzazione del processo produttivo.
Quanto appena affermato risulta essere ancor più vero nel caso di con-
testi operativi ad elevato contenuto tecnologico come ad esempio è quello
dell’industria aerospaziale dove: per i materiali utilizzati e per le performan-
ce richieste ai componenti prodotti il contesto tecnologico è particolarmente
esasperato per la qualità richiesta e per il contestuale tentativo di ridurre i
tempi e costi di produzione.
Questo testo può costituire un riferimento per i tecnologi e gli allievi dei
corsi di ingegneria appartenenti alla Classe Industriale che intendono acqui-
sire le necessarie nozioni per approcciare, da un punto di vista tecnologico
prima e numerico poi, la simulazione e l’ottimizzazione delle lavorazioni per
asportazione di truciolo.
Per tale motivo, si è deciso di focalizzare la trattazione sulle problematiche
legate alla modellazione numerica dei processi di taglio dei metalli riman-
dando il lettore ad altri ben più autorevoli testi per la parte descrittiva delle
tecnologie di taglio e dei modelli che le regolano.
A tale proposito, si raccomanda, prima di affrontare la lettura di questo
testo, che il lettore abbia acquisito delle buone conoscenze di tecnologia mec-
canica in generale e di tecniche di lavorazione per asportazione di truciolo in
particolare.
Per quello che riguarda l’altro elemento concorrente alla definizione di

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Antonio Del Prete, Alfredo Anglani
questo testo ovvero: le tecniche numeriche di simulazione e gli algoritmi di ot-
timizzazione, è ovvio che anche in questo caso la letteratura tecnico scientifica
sull’argomento è vastissima con tantissimi riferimenti di eccellenza. Proprio
per questo motivo si è cercato di fornire i necessari contributi nei capitoli che
costituiscono questo testo rimandando il lettore a testi specifici per i necessari
approfondimenti.
Nel caso particolare rappresentato dalle tecnologie di lavorazione per
asportazione di truciolo i contesti simulativi di riferimento sono due: quello
del processo di taglio che è possibile grazie all’utilizzo di tecniche numeriche
ad elementi finiti (CAE) e quello del percorso di taglio che è possibile grazie
all’utilizzo di tecniche di simulazione dei percorsi utensile.

Gli autori intendono sottolineare il prezioso supporto ricevuto dai Dottori


di Ricerca del Gruppo di Tecnologie e Sistemi di Lavorazione ingegneri Ales-
sandro Spagnolo e Barbara Manisi oltre che dall’ingegner Antonio De Vitis
nella raccolta ed organizzazione del materiale tecnico che costituisce parte
integrante di questo manoscritto.

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PROCESSI DI LAVORAZIONE PER ASPORTAZIONE DI TRUCIOLO
tecniche numeriche di simulazione e ottimizzazione

Introduzione

Al fine dei orientare il lettore nella consultazione dei contenuti di questo


testo si è ritenuto opportuno sintetizzare gli aspetti principali trattati in ognu-
na delle sezioni che lo costituiscono.

CAPITOLO I
Il processo di Taglio dei materiali metallici
Antonio Zompì, Raffaello Levi (Tecnologia Meccanica, Lavorazioni ad asporta-
zione di truciolo, UTET Libreria, 2003)

Le lavorazioni meccaniche di taglio dei metalli per asportazione di truciolo,


come ad esempio: tornitura, fresatura, foratura, hanno lo scopo di conferire al
pezzo in lavorazione forme e dimensioni entro determinate tolleranze rispet-
tando la qualità superficiale desiderata.
L’asportazione del sovrametallo, la sua trasformazione in truciolo e l’otteni-
mento della superficie lavorata è un processo fisico molto complesso. Durante
la deformazione elastoplastica del materiale hanno luogo simultaneamente
diversi fenomeni come: il suo incrudimento per effetto della deformazione
plastica subita, generazione e propagazione di calore dovute sia alla defor-
mazione del materiale, che all’attrito delle parti a contatto ed in moto relativo
tra loro. Data la notevole complessità dei fenomeni che si verificano durante
il taglio, nello studio del processo di taglio su basi teoriche conviene spesso
ricorrere a modelli semplificati, che trovano la loro validazione, in determinati
ambiti, su osservazioni e prove sperimentali.
Si ritiene quindi opportuno riassumere alcuni cenni relativi alle lavorazioni
per asportazione di truciolo in modo da fornire i giusti riferimenti in relazione
alla meccanica del taglio ed alle problematiche fisiche che occorre considerare
per una modellazione del processo.
In particolare, in questo capitolo verranno ricordati i principi sui quali si
basano: la meccanica del taglio dei metalli, la formazione del truciolo, la valu-
tazione delle forze agenti nel sistema utensile-truciolo-pezzo.

Capitolo II
Le macchine utensili a controllo numerico e la generazione dei
percorsi utensile
A. Del Prete, A. Anglani con la collaborazione di Alessandro Spagnolo

Ancora prima di definire le modalità ed i criteri utili alla simulazione dei


percorsi utensile è opportuno richiamare alcuni concetti fondamentali relati-

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Antonio Del Prete, Alfredo Anglani
vamente al funzionamento delle macchine utensili a controllo numerico (CN)
che, nella loro versione più evoluta prevedono un controllo computerizzato
dell’azione di processo (CNC) ed all’applicazione dei sistemi CAD/CAM per
passare dalle specifiche di prodotto a quelle di processo.
Al fine di ottenere la massima efficacia, la metodologia correntemente ap-
plicata prevede l’integrazione CAD/CAM/CNC.
La fase di progettazione prevede l’utilizzo di strumenti CAD (Computer Ai-
ded Design) che permettono di realizzare il “modello fisico virtuale 3D” del
pezzo; in ambiente CAM (Computer Aided Manufacturing) il modello 3D im-
portato dal CAD, contenente le sole informazioni geometriche, arricchito con
le necessarie informazioni tecnologiche (utensile/i utilizzato/i nelle varie fasi
di lavorazione e relativi parametri tecnologici di taglio) dà vita al CLF (cutter
location file) che contiene la traiettoria utensile calcolata per asportare i so-
vrametalli di lavorazione e conferire al pezzo le caratteristiche dimensionali e
di qualità superficiale progettate per il finito.
Un successivo post-processor specifico per ogni CNC, traduce il CLF nel
Part Program da inviare alla macchina operatrice a CN. In questo capitolo,
dopo aver illustrato il metodo del Controllo Numerico, vengono fornite le ne-
cessarie conoscenze del Linguaggio di Programmazione per poi passare all’in-
tegrazione CAD-CAM in generale e nello specifico sulle nuove tendenze che
prevedono l’utilizzo del formato STEP-NC.

Capitolo III
Il metodo degli elementi finiti e la sua applicazione per lo
sviluppo prodotto/processo
A. Del Prete, A. Anglani con la collaborazione di Barbara Manisi ed Emilia Mariano

L’analisi ad elementi finiti (Finite Element Analysis, FEA) ha, negli ultimi de-
cenni, acquisito una enorme popolarità e diffusione ed è attualmente un fatto-
re di elevata importanza per lo sviluppo di nuove soluzioni Prodotto/Processo.
Soluzioni numeriche particolarmente complesse sono ora possibili in modo
routinario grazie all’utilizzo del FEA. Essa presenta comunque alcuni svantaggi
derivanti dal fatto di non essere in grado di fornire indicazioni attendibili su
come varia la risposta in termini di sollecitazioni di una determinata soluzio-
ne al variare ad esempio delle caratteristiche del materiale costitutivo o del-
le caratteristiche geometriche della soluzione presa in considerazione. Forse,
sarebbe più opportuno affermare che, allo stato attuale, la soluzione offerta
ai problemi molto complessi dal FEA è di valido supporto ai progettisti che
vogliono investigare soluzioni innovative e più performanti per confronto con
gli standard di riferimento. In questo capitolo vengono descritte le principali
fasi che contraddistinguono l’applicazione del metodo di calcolo ad elementi
finiti quali: la discretizzazione del design di interesse, la sua caratterizzazione
in termini di materiale costitutivo e condizioni al contorno che caratterizzano

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PROCESSI DI LAVORAZIONE PER ASPORTAZIONE DI TRUCIOLO
tecniche numeriche di simulazione e ottimizzazione
il caso di studio. Successivamente si forniscono alcune indispensabili nozioni
in merito ai metodi di calcolo tradizionalmente utilizzati nella gran parte delle
applicazioni industriali, ovvero: il metodo implicito e quello esplicito. Il capito-
lo si conclude riportando alcuni esempi di applicazione del metodo numerico:
analisi lineare statica, analisi di crash ed analisi di stampaggio di lamiere piane.

Capitolo IV
Modellazione e simulazione ad elementi finiti delle lavorazioni
per asportazione di truciolo
A. Del Prete, A. Anglani con la collaborazione di Antonio De Vitis

Nei processi di asportazione di truciolo, le interazioni tra utensile e pezzo


sono estremamente complesse. Per conoscere queste interazioni, tecniche agli
elementi finiti FEM (Finite Element Method) vengono utilizzate per implemen-
tare modelli della deformazione subita dal materiale durante il processo di
taglio per simulare: gli effetti dei parametri di processo (profondità di passa-
ta, avanzamento e velocità di taglio, forma degli inserti utilizzati) sulle forze
scambiate tra utensile e pezzo, temperature di taglio, forma del truciolo e
tensioni residue superficiali indotte dal processo sui componenti che hanno
subito la lavorazione. Conoscere queste grandezze è fondamentale: per sti-
mare la lavorabilità alle macchine utensili del materiale esaminato, per la pro-
gettazione della forma degli utensili, per la selezione del materiale costituente
gli utensili etc. Uno degli input cruciali per eseguire le simulazioni di taglio è la
disponibilità di dati sulle proprietà del materiale nel campo plastico, tipico del-
le condizioni del processo di taglio, cioè in funzione della deformazione, della
velocità di deformazione e della temperatura. I processi di taglio richiedono la
caratterizzazione del comportamento del materiale in campo plastico ad ele-
vatissimi strain rate (superiori a 10-6 sec-1), temperature (superiori a 1000°C) e
deformazioni (superiori a 4). In questo capitolo vengono illustrate le modalità
di applicazione del metodo agli elementi finiti alle lavorazioni per asportazio-
ne di truciolo fornendo, successivamente, alcuni esempi pratici.

Capitolo V
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di
manufacturing
A. Del Prete, A. Anglani e con la collaborazione di Francesco Anglani

Ogni problema ingegneristico che coinvolga un progetto, si avvale di un


processo di ottimizzazione. Soprattutto con l'avvento delle tecniche di proget-
tazione assistita al calcolatore è nata la necessità di integrare le tecniche CAX
con metodi di ottimizzazione numerica sempre più efficienti. Si è sviluppato
di conseguenza un filone di ricerca in ambito ingegneristico che si rivolge allo

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Antonio Del Prete, Alfredo Anglani
studio e alla realizzazione di algoritmi numerici di ottimizzazione, al fine di
creare piattaforme informatiche in grado di trasformare i codici di simulazione
in efficienti strumenti non solo di verifica ma anche di progettazione. Le pro-
blematiche più importanti che si affrontano nello sviluppo di questi applicativi
affinché il loro uso sia conveniente in ambito industriale, si riscontrano soprat-
tutto nella difficoltà di riuscire a determinare in maniera univoca gli obiettivi
da raggiungere durante la progettazione e la quantità di differenti configura-
zioni che è necessario calcolare per ottenere risultati soddisfacenti. Nel capi-
tolo sono trattate le principali tecniche numeriche di ottimizzazione utilizzate
nell’ambito del contesto tecnologico di interesse ed alcuni esempi applicativi
delle metodologie presentate.

Appendice I
Dal CAD al Part Program: esempi applicativi

In questa sezione gli autori hanno ritenuto opportuno riportare alcune te-
stimonianze della generazione di part program partendo da modello CAD.

Appendice II
Modellazione e simulazione dei percorsi utensile delle lavora-
zioni per asportazione di truciolo
In questa sezione vengono illustrate le modalità di applicazione delle tecniche
di simulazione dei percorsi utensile nelle diverse fasi della loro definizione ed utiliz-
zo. Vengono illustrati i passi operativi della applicazione di queste tecniche quali: la
modellazione della macchina utensile, la modellazione del controllo della macchi-
na utensile e la modellazione del semilavorato di partenza.

Appendice III
Esempi di simulazione ad elementi finiti dei processi di taglio
Facendo seguito a quanto illustrato nel Capitolo IV in questa sezione si ri-
portano alcuni esempi di applicazione della tecnica degli elementi finiti al caso
specifico dato dalla simulazione delle lavorazioni per asportazione di truciolo
al fine di meglio comprendere quanto precedentemente illustrato sugli aspetti
teorici di questo specifico argomento.

Appendice IV
Ottimizzazione cinematica del percorso utensile

Facendo seguito a quanto illustrato nel Capitolo II e nelle Appendici I e II in


questa sezione si riportano degli esempi pratici di ottimizzazione cinematica
del percorso utensile.

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PROCESSI DI LAVORAZIONE PER ASPORTAZIONE DI TRUCIOLO
tecniche numeriche di simulazione e ottimizzazione

Appendice V
Esempi applicativi di ottimizzazione delle lavorazioni per
asportazione di truciolo

Al fine di verificare concretamente l’integrazione tra metodi di simulazione


e tecniche di ottimizzazione, in questo capitolo vengono presentati alcuni casi
di studio ritenuti significativi per il contesto delle lavorazioni per asportazione
di truciolo. I casi oggetto di studio riguardano:

- L’applicazione di una procedura di ottimizzazione multidisci-plinare inte-


grata CAE-CAM per l’ottimizzazione dei part program di lavorazione. Un
nuovo ulteriore passo nella direzione dell’aumento di produttività consiste
nell’ottimizzazione del part-program attraverso algoritmi cinematici che
permetto-no una significativa riduzione del tempo di processo tramite l’ot-
timizzazione della quantità di materiale rimosso lungo il percorso dell’u-
tensile. Questi strumenti eseguono l’ottimizzazione sulla base delle sole
caratteristiche geometriche dell'operazione analizzata, ma non forniscono
nessuna indicazione circa i fenomeni fisici che avvengono durante l’esecu-
zione del processo. In questo caso specifico, viene applicata una procedura
multidisciplinare integrata con un ambiente di simulazione agli elementi
finiti del processo di taglio con cui è possibile predire ed ottimizzare non
solo il percorso utensile, ma anche le interazioni fisiche dovute al contatto
utensile-pezzo in fase di taglio.

- Ottimizzazione numerico-sperimentale dei parametri di taglio di riferimento


per il miglioramento della qualità superficiale dei manufatti prodotti per
mezzo di processi di asportazione di truciolo. Viene presentato il proces-
so di sviluppo e messa a punto di una metodologia basata sull'accoppia-
mento delle tecniche basate sulle superfici di risposta con un algoritmo
genetico, per la ricerca di una soluzione ottimale dei parametri di taglio
che permettano di ottenere il livello di rugosità superficiale desiderato in
operazioni di fresatura. I dati relativi alla grandezza analizzata sono stati
ottenuti attraverso attività di sperimentazione.

- Ottimizzazione dei parametri di taglio finalizzata allo sfrutta-mento ottimale


degli inserti nelle lavorazioni di componenti in superleghe di Nichel carat-
terizzati da condizioni di ingaggio pezzo-utensile variabile. Viene illustrato
lo sviluppo e la messa a punto di una metodologia per la ricerca dei para-
metri di taglio più performanti in una lavorazione di tornitura, attraverso l’u-
tilizzo di tecniche numeriche di ottimizzazione basate sull’accoppiamento di
modelli predittivi approssimati dell'usura inserto, generati sulla base di dati
ottenuti attraverso prove fisiche, con algoritmi numerici di ottimizzazione.

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Capitolo I

Il processo di Taglio dei materiali metallici


Antonio Zompì, Raffaello Levi (Tecnologia Meccanica, Lavorazioni ad asporta-
zione di truciolo, UTET Libreria, 2003)

1.1 Introduzione

Le lavorazioni meccaniche di taglio dei metalli per asportazione di truciolo,


hanno come obiettivo quello di trasformare forma e volume del semilavorato
di partenza per conferire alla geometria prodotta, a valle delle lavorazioni ese-
guite, le caratteristiche macro e micro geometriche desiderate.
Le lavorazioni per asportazione di truciolo sono di fatto caratterizzate da
una deformazione plastica del materiale costituente il pezzo interessato dalla
lavorazione. La deformazione del materiale in lavorazione e la sua asporta-
zione sono generate dall’interazione controllata tra semilavorato ed utensile.
L’utensile, opportunamente posto in interferenza con il pezzo, grazie al moto
di taglio relativo, produce la deformazione ed asportazione controllata del
sovrametallo dalla superficie da lavorare consentendo l’ottenimento della su-
perficie lavorata.
Il fenomeno fisico di generazione della superficie lavorata è molto com-
plesso ed è accompagnato da una elevata generazione di calore dovuta sia
alla suddetta deformazione plastica del materiale sia all’attrito di contatto tra
il petto dell’utensile ed il sovrametallo che si sta distaccando dal componente
in lavorazione trasformandosi in truciolo.
Lo sviluppo della conoscenza tecnica sulle lavorazioni per asportazione di
truciolo, si è basato su di un approccio semplificato per la modellazione del
processo che ha prodotto diversi modelli analitici per il suo studio le cui possi-
bilità di impiego e limitazioni sono state messe in luce mediante osservazioni
sperimentali mirate a verificare l’affidabilità di tali modelli.
Si ritiene quindi opportuno riassumere alcuni cenni relativi alle lavorazioni
per asportazioni di truciolo in modo da fornire i giusti riferimenti in relazione
alla meccanica del taglio ed alle problematiche fisiche che occorre considerare
per una modellazione del processo.

1.2 Meccanica del taglio dei metalli


Un approccio semplificato, ma comunque significativo, per la rappresen-
tazione del meccanismo di base per la formazione del truciolo nel taglio dei

17
CapitoloI

metalli, può essere quello rappresentato da un modello bidimensionale che di


fatto è riconducibile ad una lavorazione di piallatura (Figura 1.1) nella quale la
larghezza dell’utensile, dotato di un singolo tagliente, è maggiore di quella del
componente in lavorazione.
Si ipotizza inoltre che la scelta della profondità di passata sia tale da poter
affermare che lo spessore del truciolo indeformato sia molto inferiore rispetto
alla larghezza del pezzo in lavorazione.
Il modello di formazione del truciolo che si ottiene in tali condizioni è detto
modello di taglio libero ed ortogonale in quanto, in tale lavorazione, il truciolo è
libero di scorrere lungo il petto senza impedimenti non essendo vincolato tra-
sversalmente, ed il tagliente forma un angolo retto con la direzione di taglio.
In questo modello un utensile a tagliente singolo si muove lungo il pezzo
ad una certa velocità costante vt (velocità di taglio) (m/minuto).
L’utensile è posizionato rispetto al pezzo in modo da rimuovere da esso uno
strato di materiale di spessore h; per evitare confusione questa dimensione non
viene chiamata profondità di taglio, bensì spessore del truciolo indeformato.

Figura 1.1: Modello di formazione del truciolo in condizioni di taglio libero e ortogonale.

Nello schema più semplice di formazione del truciolo, la deformazione pla-


stica si produce per scorrimento di piani cristallini del materiale lungo un pia-
no, detto piano di scorrimento, inclinato di un angolo φ (angolo di scorrimento)
rispetto alla direzione del moto di taglio.

18
Il processo di taglio dei materiali metallici

In realtà, la deformazione plastica che il materiale in lavorazione subisce


prima della sua trasformazione in truciolo avviene gradualmente in una zona
di transizione fra materiale indeformato (pezzo) e materiale deformato (tru-
ciolo). Il modello della Figura 1.2 illustra schematicamente questo processo.
Assimilando i grani cristallini del materiale in lavorazione a delle sferette,
si può osservare che queste, per effetto di una sollecitazione di taglio, si de-
formano gradualmente e, quando il materiale è completamente deformato
(truciolo), esse assumono una forma ellissoidale, con assi principali orientati
secondo una direzione ben definita.

Figura 1.2: zone di deformazione

I contorni della zona di deformazione AOD, detta anche zona di deforma-


zione primaria, possono rilevarsi da micrografie del truciolo, sebbene anche in
condizioni ottimali di taglio (truciolo di tipo fluente ed assenza del tagliente
di riporto) essi non siano ben definiti. In particolare, è pressoché impossibile
determinare sperimentalmente il bordo superiore della zona di deformazione
a causa delle marcate distorsioni presenti nel truciolo. Il bordo inferiore è in-
vece più facilmente rilevabile, se si esclude la zona in prossimità dello spigolo
del tagliente.
Questo bordo, che separa la zona di deformazione dalla parte del pezzo
non ancora deformato, rappresenta la superficie in corrispondenza della quale
la tensione di taglio raggiunge il valore limite della tensione di scorrimento

19
CapitoloI

del materiale.
Esso dipende, oltre che dal materiale in lavorazione, dalla temperatura rag-
giunta nella zona di taglio, dalla velocità di deformazione e dalla struttura cri-
stallina del materiale conseguente a precedenti trattamenti termici o processi
di lavorazione subìti.

1.2.1. Modelli di formazione del truciolo a zona di deformazione ed a piano


di scorrimento

Si possono osservare sperimentalmente i seguenti fenomeni:

a) Per velocità di taglio basse il bordo inferiore AO della zona di deformazione


primaria (Figura 1.3) si estende in avanti rispetto allo spigolo del tagliente
e penetra all’interno del pezzo lavorato, al di sotto del tagliente. Ciò indi-
ca che l’area della deformazione plastica raggiunge una parte del mate-
riale che non viene effettivamente trasformato in truciolo. L’incrudimento
conseguente a questa deformazione induce un moderato aumento della
durezza della superficie lavorata, oltre che a tensioni residue superficiali.
Quindi si può affermare che tale fenomeno induce una trasformazione del-
le caratteristiche meccaniche del materiale presente sulla superficie lavora-
ta.

b) Al crescere della velocità di taglio la lunghezza del bordo inferiore si riduce,


come anche la sua penetrazione all’interno del pezzo lavorato.

c) Se il materiale del pezzo in lavorazione è allo stato ricotto e quindi più


malleabile, il contorno inferiore è più ampio di quello che si avrebbe in pre-
senza di un materiale incrudito, a parità di velocità di taglio e temperatura.

d) Il contorno inferiore è meno esteso nel caso di materiali che presentano


percentuali non trascurabili di inclusioni rispetto a quello di materiali che
ne sono privi.

e) I contorni dell’area di formazione di truciolo fluttuano, e lo stesso processo


di formazione del truciolo non può considerarsi del tutto uniforme. Duran-
te il taglio si possono osservare oscillazioni delle forze; di conseguenza,
la superficie libera del truciolo non è liscia, ma sempre caratterizzata da
elevata scabrezza.
f) Al crescere della velocità di taglio, l’area della zona di deformazione tende
a ridursi e, per i valori di vt normalmente adottati nelle operazioni di taglio
dei metalli, essa è molto piccola. In tali condizioni, è possibile ipotizzare,
come caso limite, che la zona di deformazione primaria si riduca ad una su-
perficie di spessore infinitesimo, che chiameremo superficie di scorrimento.

20
Il processo di taglio dei materiali metallici

Figura 1.3: Modelli di formazione del truciolo convessa, concava, piana e a zona di de-
formazione con superfici limite piane e parallele.

Secondo quanto indicato in Figura 1.3, l’andamento della superficie di


scorrimento nel piano della deformazione può essere caratterizzato da una
forma convessa, concava o anche piana; ciò dipende dalla distribuzione di
tensione nella zona di contatto fra utensile, truciolo e pezzo, e dalla geometria
del tagliente.
Ovviamente, il caso che meglio si presta ad una trattazione analitica del
problema della formazione del truciolo è l’ultimo menzionato; ad esso si farà
perciò ampiamente ricorso nel seguito e sarà denominato modello a piano di
scorrimento. In particolare, assumendo piana la superficie di scorrimento, la
giacitura del piano di scorrimento è individuata dall’angolo Ф – detto angolo
di scorrimento – che esso forma con la direzione del moto di taglio (Figura 1.1).
Tuttavia, l’assunzione di un modello con piano di scorrimento (e quindi
anche a piano di scorrimento) comporta la necessità di ammettere che tutta
la deformazione plastica all’origine della formazione del truciolo si produca
durante l’attraversamento di una superficie a spessore nullo. Questa ipotesi
implica una variazione istantanea (o discontinuità) nel campo della velocità
del materiale nell’attraversamento della superficie di scorrimento e ciò è fisica-
mente inammissibile, poiché presupporrebbe la presenza di una accelerazione
tendente ad infinito.
Per ovviare a tale incongruenza taluni studiosi (Oxley), pur conservando il
modello base «a piano di scorrimento», hanno introdotto l’ulteriore ipotesi
che la zona in cui si produca la deformazione abbia uno spessore non nullo
(Figura 1.3). In tal modo ritorna ad essere più realistico il modello di formazio-

21
CapitoloI

ne del truciolo «a zona di deformazione», anche se i contorni di detta zona si


considerano definiti da due segmenti di retta paralleli alla traccia del piano di
scorrimento.

1.2.2. Zone di deformazione secondaria e terziaria

Congiuntamente alla zona di deformazione primaria, il truciolo subisce una


ulteriore deformazione in prossimità della superficie di contatto con il petto
dell’utensile.
Siccome il truciolo si muove in moto relativo rispetto all’utensile, pur re-
stando in contatto con esso, si potrebbe essere indotti a considerare questa
condizione simile a quella che si presenta nel moto relativo tra due corpi, in
presenza di attrito fra le superfici a contatto.
In tal caso, le forze di attrito che si manifestano sull’interfaccia tendono
ad ostacolare il moto relativo del truciolo sul petto dell’utensile e la forza
resistente che si oppone allo scorrimento relativo potrebbe essere valutata
introducendo un opportuno valore del coefficiente di attrito µ fra le superfici
a contatto.
In realtà, studi dettagliati all’interfaccia utensile-truciolo hanno dimostrato
che questo approccio è inappropriato per la maggior parte delle condizioni di
taglio; non è pertanto applicabile il modello classico di attrito derivato dalla
teoria di Amonton e Coulomb.
Secondo questa teoria, la forza tangenziale F necessaria per far iniziare e
sostenere lo scorrimento relativo fra due superfici premute l’una contro l’altra
da una forza normale N è data da F=µN, dove il coefficiente di attrito µ dipen-
de solo dalla natura delle superfici a contatto e non dall’area di contatto delle
due superfici.

Figura 1.4: Adesione del truciolo sul petto dell'utensile

22
Il processo di taglio dei materiali metallici

Secondo Bowden & Tabor, la proporzionalità diretta fra F ed N dipende dal


fatto che le superfici a contatto non sono mai completamente piane su scala
microscopica e che il contatto fra le parti si manifesta unicamente in corri-
spondenza dei picchi delle asperità superficiali; di conseguenza, l’area reale di
contatto Ar è molto minore dell’area apparente A.
Nelle normali condizioni di carico, l’area reale di contatto Ar può essere
minore anche di 10-3 A: il modello di attrito coulombiano è certamente appli-
cabile ed il moto relativo fra le parti avviene per strisciamento.
Quando la forza normale N aumenta ed il rapporto N/A si avvicina alla
durezza Brinell del materiale lavorato, l’area reale di contatto Ar cresce fino a
diventare una parte non piccola dell’area apparente A.
Nel caso limite in cui Ar≈A si è nelle condizioni di adesione fra le parti a
contatto, l’area Ar non è più dipendente dalla forza normale N ed il movi-
mento relativo fra le parti può prodursi solo per scorrimento relativo dei piani
cristallini all’interno del materiale meno resistente.
Inoltre la forza F necessaria per sostenere il moto relativo diventa indi-
pendente da N ed è direttamente proporzionale alla tensione tangenziale di
scorrimento del materiale più tenero ed all’area apparente di contatto A.
Una conferma di quanto detto, si ottiene con tecniche sperimentali che
consentono di «congelare» istantaneamente una operazione di taglio (taglio
interrotto).
Ad esempio, la Figura 1.4 mostra il petto di un utensile impiegato nella tor-
nitura di un pezzo in acciaio a basso tenore di carbonio dopo aver interrotto
bruscamente l’operazione di taglio.
Si osserva con chiarezza come parte del materiale costituente il truciolo sia
rimasto «incollato» alla superficie del petto dell’utensile a causa dell'adesione.
In Figura 1.5 si riporta l’andamento qualitativo della pressione normale σ e
della tensione tangenziale τ sull’interfaccia utensile-truciolo. In questo schema
l’angolo di spoglia frontale γ è stato assunto di valore nullo in modo da far
coincidere l’asse delle ascisse con la traccia del petto dell’utensile.
In Figura 1.5 si riporta inoltre una micrografia di una piccola zona della
superficie di contatto utensile-truciolo che evidenzia molto bene l’elevata di-
storsione che caratterizza quest’ultimo a causa della deformazione subita per
scorrimento relativo dei piani cristallini al suo interno.
In particolare, sull’interfaccia utensile-truciolo la tensione normale di com-
pressione σ presenta il suo valore massimo in corrispondenza della traccia del
tagliente (punto A) e diminuisce con andamento lineare, fino ad annullarsi nel
punto in cui il truciolo non è più a contatto con l’utensile (punto C).
Finché la tensione di compressione mantiene valori superiori ad un certo
limite si è in condizioni di adesione, il moto relativo truciolo-utensile avviene
per scorrimento all’interno del primo e la tensione tangenziale τ resta pari
alla tensione di snervamento, che è costante per un materiale privo di incru-
dimento.

23
CapitoloI

Figura 1.5: Distribuzione qualitativa della tensione normale e della tensione tangenziale sull'inter-
faccia utensile-truciolo e distorsione del materiale costituente il truciolo, dovuta a deformazione
plastica per scorrimento.

Quando poi la tensione normale scende al di sotto di un certo valore limite,


le condizioni di contatto utensile-truciolo tornano ad essere quelle tipiche di
due corpi in moto relativo con attrito. In realtà, il modello ora descritto è stato
drasticamente semplificato rispetto alle reali condizioni di taglio; la transizione
dalla condizione di adesione a quella di moto relativo con attrito si realizza
infatti con gradualità, e vi è quasi sempre incrudimento.
Tranne una zona in prossimità del distacco del truciolo dal petto dell’u-
tensile (Figura 1.6) dove si ha effettivo moto relativo con strisciamento, per
la rimanente superficie di contatto si è in presenza di adesione fra le parti e
conseguente deformazione plastica all’interno del truciolo.
Ciò spiega il motivo per cui la parte del truciolo a più stretto contatto
col petto dell’utensile (Figura 1.6) è considerata ancora zona di deformazione
(zona di deformazione secondaria).
Anche una parte della superficie dorsale dell’utensile striscia sulla superfi-
cie lavorata, sia in quanto il tagliente, anche quando è a spigolo vivo, presenta
sempre un raggio di arrotondamento piccolo ma finito, sia ancora per il ritor-
no elastico del materiale lavorato.
L’abrasione produce sul dorso dell’utensile una fascia di usura di ampiezza
crescente con lo spazio percorso e ciò non di rado è causa di messa fuori uso

24
Il processo di taglio dei materiali metallici

Figura 1.6: Zona di deformazione secondaria, e condizioni di contatto utensile-truciolo.

dell’utensile, mentre la superficie lavorata viene incrudita a seguito dello scor-


rimento in presenza di sollecitazioni di compressione e taglio, che deformano
plasticamente lo strato superficiale.
Questa zona di deformazione terziaria vede una dissipazione di energia
sostanzialmente inferiore – e pertanto trascurata nei modelli elementari – ri-
spetto a quanto avviene sul petto dell’utensile e sul piano di scorrimento, ma
riveste notevole importanza in quanto condiziona lo stato della superficie la-
vorata e la durata dell’utensile.

1.3 La deformazione media del truciolo

La Figura 1.7 riporta l’andamento della deformazione γs in funzione dell’an-


golo di scorrimento Ф per tre diversi valori dell’angolo di spoglia frontale γ;
essa evidenzia che i valori più elevati della deformazione γs si ottengono per
bassi valori dell’angolo di scorrimento Ф e per valori piccoli dell’angolo di spo-
glia frontale γ. Inoltre, per ciascun valore di γ, la deformazione γs ammette un
valore minimo.
Nella parte superiore del diagramma è illustrato schematicamente il si-
gnificato della deformazione di taglio γs con riferimento ad una figura piana
di forma quadrata con lato uguale ad a, lo spostamento relativo della faccia
superiore rispetto a quella inferiore di una lunghezza pari a ∆S = a deforma il
quadrato in un parallelogramma di eguale area.
Se si considera una sezione quadrata ijxz all’interno della zona del truciolo
indeformato, dopo aver attraversato il piano di scorrimento OA, esso assume

25
CapitoloI

la forma del quadrilatero i’j’x’z’ (Figura 1.7); la forma e le dimensioni del qua-
drilatero deformato dipendono dai valori dell’angolo di scorrimento.
Un elemento caratteristico utile per lo studio della deformazione del tru-
ciolo è il fattore di ricalcamento rc , definito dal rapporto fra l’altezza del tru-
ciolo indeformato h e l’altezza del truciolo già formato hc.

h
rc = Eq. 1.1
hc

Si dimostra che:
sinφ
rc = Eq. 1.2
cos(φ − γ)

E volendo determinare il valore dell’angolo di scorrimento si ha:


r ⋅ cosγ
tanφ = c
Eq. 1.3
1 - rc ⋅ sinγ
Essendo Ф l’angolo del piano di scorrimento del truciolo e γ l’angolo di
spoglia superiore dell’utensile.

Figura 1.7: La deformazione angolare γs (o di taglio) nella formazione del truciolo e sua variazione
in funzione dell'angolo di scorrimento Ф e dell’angolo di spoglia frontale γ.

26
Il processo di taglio dei materiali metallici

Siccome l’altezza del truciolo hc è maggiore dell’altezza del truciolo inde-


formato h a causa dell’attrito presente sull’interfaccia truciolo-utensile si ha
che rc < 1.
La determinazione del fattore di ricalcamento rc consente di ricavare il va-
lore dell’angolo di scorrimento Ф.
Per determinare il valore dell’angolo di scorrimento Ф in corrispondenza
Capitolo 1
del quale la deformazione γs è minima, si deriva rispetto a Ф l’equazione utile
a definire la deformazione γs e si uguaglia a zero la derivata. Nelle formule di
seguito Ф=φ. h
Eq. 1.1 rc 
hc
d s 1 1
 2   0  Eq. 1.4
dd sin1  cos  1  
2

Eq. 1.4 s
  0
d
Da cui si ricava:
sin 2  cos 2    

Eq. 1.5 sin 2   cos 2    


Eq. 1.5

 
cos 1      cos 2    
Eq. 1.6
2 

E quindi:
 
 
Eq. 1.7
4 2

Se si pone γ=0°, si ottiene φ=π/4 ed anche

 
 s  cot  tan  2
Eq. 1.8
4 4


 
sin  
sin   4  1
rc 
 Eq. 1.9
cos      
cos 
4

27
CapitoloI

Siccome tanto la deformazione γs quanto il fattore di ricalcamento rc espri-


mono lo stato di deformazione del truciolo, è possibile ottenere una relazione
che definisce il primo in funzione del secondo. Si ha infatti:

sin    sin  sin     r


 s  cot   tan     cot    cot   rc  cot   c sin  cos  
cos   sin  sin  sin 
   rc cos  sincot
sin    sincot   
sin rc
sin sin
 sin sin    
    cot    cot   rc  cot   sin  cos   cos 
cos   sin  sin  s  cot   tansin    cot   cos   sin   cot   rc sin   cot
cot  sin   
cot   rc cos   cot  sin  
= Eq. 1.10

Siccome si ha pure:
cos 
tan  
1 Eq. 1.11
 sin 
rc

Sostituendo si ha:
2
1 1 1 1
2
1 
 sin   sin   2 sin   sin    cos  
2 2
  sin    cos
s 
rc
 rc cos   rc sin 
rc

rc rc
  rc 
cos  cos  1 1
cos  cos 
rc rc
2
1 1
2
1 1 
 sin   2 sin   sin    cos  
2 2
  sin    cos  2

rc rc rc  rc 
  Eq.1.12
cos  1 1
cos  cos 
rc rc

Nel caso particolare in cui si abbia γ=0°, la relazione precedente si sempli-


fica come indicato di seguito:

2
1
   1
r 1
s   c 
 rc  Eq. 1.13
1 rc
rc

Ovvero, la deformazione γs è espressa dalla somma del fattore di ricalca-


mento e dal suo inverso.

28
Il processo di taglio dei materiali metallici

1.4 Velocità di taglio, di flusso e di scorrimento

Ammettendo che tutta la deformazione si produca sul piano di scorrimento, il


truciolo che si forma si muove dalla parte indeformata del pezzo con una velocità
relativa detta velocità di scorrimento vs , ed il truciolo già formatosi si muove ri-
spetto al petto dell’utensile con una velocità vf detta velocità di flusso (Figura 1.8).
La direzione della velocità di taglio vt è quella del moto di taglio, la direzio-
ne della velocità di scorrimento è parallela al piano di scorrimento e la direzio-
ne della velocità di flusso è parallela al petto dell’utensile.
Dovendosi rispettare le condizioni di equilibrio cinematico del sistema, i
vettori che rappresentano graficamente le tre velocità devono costituire un
poligono chiuso (triangolo delle velocità), come indicato in Figura 1.8.

Figura 1.8: Velocità di taglio vt, di scorrimento vs e di flusso vf durante la formazione del truciolo.

Applicando il teorema dei seni, si ottiene ( con Ф=φ):

Eq. 1.14
vt vs

Da cui si ricava: sin90      sin 90   

vs cos 
 Eq. 1.15
vt cos    
Ed ancora:
vt vf
 Eq. 1.16
sin90      sin 

29
CapitoloI

Ovvero:
vf sin 


vt cos    Eq. 1.17

Da cui si osserva che il rapporto fra la velocità di flusso e la velocità di taglio


coincide con il fattore di ricalcamento espresso dall’eq. 1.2.
Al medesimo risultato si perviene imponendo la condizione di costanza
della portata del truciolo. Con le dimensioni del truciolo definite in precedenza
si ha:

vt bh  v f bc hc
Eq. 1.18

Ed essendo b = bc per l’ipotesi di deformazione piana, si ha:

vf h

 rc Eq. 1.19
vt hc

Da questa relazione si osserva inoltre che, essendo rc<1, la velocità di flusso


vf è minore della velocità di taglio vt, ed aumenta all’aumentare di rc.

1.5 La velocità di deformazione nel taglio

La velocità di deformazione nel taglio è espressa dal rapporto fra la defor-


mazione che il materiale subisce nell’attraversare la zona di deformazione ed il
tempo impiegato nell’attraversamento. In termini analitici, essa viene definita
dalla derivata della deformazione γs rispetto al tempo:

Eq. 1.20

Per la definizione di γs data in precedenza nel caso di un modello di forma-


zione del truciolo a piano di scorrimento, si ha γs=ΔS/ΔX e l’equazione prece-
dente può porsi nella forma:

Eq. 1.21

Dove ΔX è lo spessore (piccolo ma non nullo) della zona di deformazione.


Avendosi inoltre:
dS
 vs
Eq. 1.22
dt

30
Il processo di taglio dei materiali metallici

E ricordando che è possibile esprimere la velocità di scorrimento vs in fun-


zione della velocità di taglio vt, l’eq. 1.20 diventa:

v v cos 
 s  s  t
Eq. 1.23
X X cos   

In questa equazione, il rapporto vs /ΔX rappresenta il tempo impiegato da


una singola particella di materiale per attraversare la zona di deformazione,
avente spessore ΔX.
Lo spessore della zona di deformazione, alquanto difficile da valutare, vie-
ne stimato nell’ordine di 10-2÷10-3 mm.
A titolo indicativo si può ritenere lo spessore ΔX di almeno un ordine di
grandezza inferiore alla lunghezza l del piano di scorrimento OA.

Esercizio
Determinare la velocità di deformazione γs in una lavorazione di tornitura
eseguita con una velocità di taglio di 60 m/min, impiegando un utensile con
angolo di spoglia frontale γ = 10° ed essendo noti lo spessore del truciolo inde-
formato h=0,2 ed il fattore di ricalcamento
rc=0,5
Dalle relazioni ricavate in precedenza, si ha:


rc cos  0,5 cos10
tan   0,539
1  rc sin  1  0,5sen10

  arctan0,539  28,33

Inoltre:
m mm
v t  60  10 3
min s

Ed assumendo
l
 10 , si ottiene infine:
X

vt cos  l l cos  sin  cos10 sin28,33
s   vt  10310  2,5 103 s 1
X cos    l DX cos    h cos18,33 0,2

l cos  sin  cos10 sin28,33


 vt  10310  2,5 103 s 1
DX cos    h cos18,33 0,2

31
CapitoloI

Dall’esercizio precedente si rileva che, anche con velocità di taglio modera-


te, la velocità di deformazione nel processo di formazione del truciolo è molto
elevata.
In condizioni di taglio normalmente adottate i valori di possono variare
tra 103 e 106 s-1, nei processi di deformazione plastica γs è generalmente mino-
re di 102 s-1, mentre nelle prove di trazione su materiali metallici γs è dell’ordine
di 10-2 s-1.
Il raffronto fra i valori di velocità di deformazione tipici di un processo di
taglio e quelli che normalmente si hanno in una prova di trazione evidenzia
che tali valori differiscono fra loro per diversi ordini di grandezza; ciò non con-
sente di estendere direttamente la validità dei dati relativi alla resistenza dei
materiali (ottenute con prove quasi statiche) alle condizioni operative che si
presentano nel taglio con asportazione di truciolo.

1.6 Le forze agenti nel sistema utensile-truciolo-pezzo

La stima delle forze scambiate fra utensile e pezzo e delle potenze assorbi-
te nel taglio è utile per diversi scopi, quali:
a) Il dimensionamento di motori elettrici ed organi di trasmissione delle
macchine utensili.
b) La progettazione della struttura e dei componenti meccanici delle mac-
chine utensili, in particolare per quanto riguarda rigidezze statiche e dinami-
che.
c) Il corretto dimensionamento degli utensili.

Si sono perciò sviluppati e perfezionati dinamometri in grado di misurare


le forze di taglio con accuratezza.
Il principio costruttivo si basa in genere sulla misura delle deformazioni
elastiche subite da idonei elementi sotto l’azione delle forze di taglio, utiliz-
zando in prevalenza come sensori della deformazione estensimetri elettrici
a resistenza; vengono impiegati sensori piezoelettrici quando si richiedono
rigidezze e frequenze di risonanza elevate.
Sull’interfaccia utensile-truciolo esiste un complesso stato di sollecitazione,
originato sia dall’azione di compressione esercitata dall’utensile, sia dall’ade-
sione del truciolo sul petto dell’utensile e dal moto relativo con attrito fra le
due parti. Un andamento qualitativo della tensione normale σ di compressio-
ne e della tensione tangenziale τ è riportato in Figura 1.5.
La forza risultante R delle tensioni presenti sulla superficie di contatto è
applicata in un certo punto di questa superficie (Figura 1.9).
Volendo considerare separatamente l’influenza della τ e delle σ, la forza
risultante R può scomporsi in una forza normale N diretta perpendicolarmente
al petto dell’utensile ed in una forza tangenziale F diretta parallelamente al
petto dell’utensile.

32
Il processo di taglio dei materiali metallici

Figura 1.9: Forze agenti sul sistema utensile – truciolo – pezzo in condizioni di taglio ortogonale

Mantenendo valido il modello di attrito coulombiano, l’angolo β di cui la


forza risultante R è inclinata rispetto alla normale al petto dell’utensile viene
detto angolo di attrito ed è legato al coefficiente di attrito μ dalla relazione:

Eq. 1.24
  tan  Eq. 1.24
Eq.
Eq. 1.24
1.24 Con
 tan  ipotesi, le due componenti della forza risultante R potranno
questa
  tan  modo seguente:
Eq. 1.25
esprimersi nel F  R sin 
Eq.
Eq. 1.25
1.25 F  R sin 
F  R sin  Forza tangente al petto dell’utensile Eq. 1.25
Eq. 1.26 N  R cos 
Eq.
Eq. 1.26
1.26 N  R cos 
N  R cos 
Forza normale al petto dell’utensile Eq. 1.26

Eq. FAlla
Eq. 1.27 R trasmessa
Rforza
cosrisultante
 
Ft  R cos  
   al truciolo ed al pezzo,
dall’utensile
Eq. 1.27
1.27 F t  R
quest’ultimo
t cos     
oppone in condizioni di equilibrio una forza risultante di reazio-
ne uguale e contraria R’.
Eq. laEq.
 1.28
di reazione FR’n può  
sin  scomposta
 Ressere 
Eq. 1.28
1.28 FAnche
F n  
R sin
R sin
forza secondo alcune dire-
zioni preferenziali in particolare, essa può essere scomposta secondo la di-
n

rezione del moto di taglio e secondo la direzione ortogonale a quest’ultima.


La componente Ft agente nella direzione del moto di taglio è detta forza
di taglio, mentre la componente agente in direzione normale è detta forza
normale, o anche forza di repulsione.

33
CapitoloI

Figura 1.10: Scomposizione della risultante R delle forze di taglio e sue componenti (cerchio di
Merchant)

Se la linea d’azione della forza risultante R (di ugual modulo e coincidente


in direzione con la forza di reazione R’) viene traslata in modo da farla coin-
cidere con la proiezione dello spigolo tagliente sul piano di taglio, si ottiene
una rappresentazione grafica più conveniente pertanto largamente adottata,
sebbene inesatta (Figura 1.10).
Eq. 1.24 Laforza
tan risultante coincide con il diametro di un cerchio passante per lo
spigolo del tagliente (cerchio di Merchant).
Eq. 1.25 FÈ così
 R agevole
sin  scomporre graficamente la forza risultante R nelle sue com-
ponenti agenti secondo le specifiche direzioni sopra citate.
Dal diagramma di Figura 1.10, oltre alle due eq. (1.25) e (1.26), è possibile
Eq. 1.26 N  Rlecos
ricavare 
relazioni che legano la risultante R alle altre sue componenti.

Eq. 1.27 Ft  R cos    Forza di taglio Eq. 1.27

Eq. 1.28 Fn  R sin    Forza normale Eq. 1.28


Eq. 1.29 Fs  R cos      Forza sul piano di scorrimento Eq. 1.29

Eq. 1.30 N s  R sin     


34

Eq. 1.31 Fs   s As

A
Eq. 1.32 A 
Eq. 1.29 Fs  R cos     
Il processo di taglio dei materiali metallici

Eq. 1.30 N s  R sin      Forza normale al piano di scorrimento Eq. 1.30

Secondo il modello a piano di scorrimento è proprio su di esso che si pro-


Eq. 1.31  s Asla Eq.
Fs tutta
duce 1.29 la Fcomponente
deformazione, s  R cos  Fs può  
 calcolarsi 
in termini della
tensione tangenziale di scorrimento del materiale. Detta As l’area del piano di
scorrimento e τs la tensione tangenziale di scorrimento agente su tale piano, la
Eq. 1.32 forza
A Fs è data da:
1.30
A Eq. 1.29 sin 
Nss RRcos
F     
s
sin 
1.31
Eq. 1.30
Fss Rs A
N s  
sin    Eq. 1.31

Data l’areaEq.
della1.31
Eq. sezione delF
1.32 s   s Aindeformato
Atruciolo A=p*a=b*h, dalla figura
s 
s
sin 
3.12 si ricava che l’area As è espressa dalla relazione:
A
Eq. 1.32
A  s
Eq. 1.32
sin 
E quindi
A
Eq. 1.33 F  s s
Eq. 1.33
sin 
A
AEq. 1.33
Analogamente,
Fs   s normale di compressione che agisce
detta σs la tensione
sinA
Eq. 1.33   s di Eq.
Fs piano
sul 1.34
scorrimento, si ha: N s   s
sin  sin 
A
Eq. 1.34
A Ns   s Eq. 1.34
Eq. 1.34 Ns   s Fs
sin 1
Eq.
sin 1.35 dall’equazione
 ricavare  AsR:s
R  (1.29) la forza risultante  A s
Si può quindi
cos      cos      sin
Fs 1
FEq. 1.35 A  R  1  As s 1  A s
Eq. 1.35 R s
cos   A cos       sin
cos      cos      sin  cos     
s s s

Eq. 1.35

E dalle eq. (1.25) e (1.26) si ricavano la forza di taglio Ft e la forza normale Fn:
cos   
cos   
Eq. 1.36
Eq. 1.36 F R
Ft  cos
R cos
   
AA s Eq. 1.36
sin 
sin cos
 cos      
t s


sin
sin    
Eq. 1.37
Eq. 1.37 F R
Fnn  sin
R sin    
AA ss sin  cos       F tan   
Ftt tan Eq. 1.37
sin  cos     

Nel testo:
Nel testo: 
 ;; 
35
F
F
Eq. 1.38
Eq. 1.38 tan 
tan N
N
CapitoloI

Mentre la forza Ft ha sempre segno positivo e quindi verso coincidente


con quello della direzione del moto di taglio, il segno della forza normale alla
direzione del moto di taglio dipende dai valori assunti dagli angoli β e ϒ.
Il calcolo della forza risultante R, e delle sue varie componenti, richiede che
siano noti i valori della tensione tangenziale di scorrimento τs, dell’angolo di
scorrimento Ф, dell’angolo di attrito β e dell’angolo di spoglia frontale γ, carat-
teristico quest’ultimo dell’utensile impiegato nella lavorazione.
L’angolo φ si può ricavare dall’eq. 1.3 previa determinazione sperimentale del
fattore di ricalcamento rc, ottenuta mediante misure del truciolo, secondo uno
dei metodi indicati in precedenza.
L’angolo di attrito β può stimarsi per via sperimentale, mediante la misura
delle forze Ft ed Fn in condizioni di taglio ortogonale, realizzabili in tornitura
secondo uno degli schemi indicati in Figura 1.11.
Nel primo caso l’operazione viene eseguita con utensile “largo” (o a pala),
che avanza in direzione radiale verso una parte del pezzo di larghezza b mino-
re di quella del tagliente; nel secondo caso, l’operazione viene eseguita con un
utensile “a coltello” il cui tagliente principale ha un angolo di attacco χ=90° ed
una lunghezza maggiore dello spessore s del tubo.

Figura 1.11: Possibili configurazioni della condizione di taglio libero ed ortogonale in tornitura:
utensile largo con avanzamento radiale a), utensile a coltello con avanzamento longitudinale b)

36
Il processo di taglio dei materiali metallici

Eq. 1.36
Prendendo in considerazione cos
Ft  R cosper giro
  dell’utensile
 A s
    condizione di taglio, detto a l’a-
la seconda
vanzamento in direzione dell’asse del tubo, la sezione del
truciolo indeformato è data da a •s, e 
sinA=cos lo  
spessore del truciolo indeformato
coincide con l’avanzamento a.
sin   F è perpendicolare al piano del di-
Inoltre, la direzione della componente
Eq. 1.37 R sin ladirezione
Fn mentre    A sdel componentet F è coincidente
 Ft tan con
  la direzione
segno, sin  cos   n 
dell’avanzamento.

Nel testo: ; (1.27) e (1.28) si ottiene:


Dalle eq.

F
Eq. 1.38 tan 
Eq. 1.38
N
Le componenti Ft ed Fn vengono misurate con l’impiego di un dinamome-
tro da tornio a due componenti. Si possono poi esprimere le forze F ed N in
funzione di Ft ed Fn con l’ausilio del cerchio di Merchant (Figura 1.10) si ottiene:

F F cos   Ft sin  Fn  Ft tan 


Eq. 1.39 tan   n
 Eq. 1.39
N Ft cos   Fn sin  Ft  Fn tan 

cos F Fn cos  1.36 si 


Ft sin Fn  F
1.40
Eq.1.39
1.39 tan 
FFglicos
Infine,Ftnoti
sin

 
angoli
FF
n cos Eq. 1.39Fet γsin
β,Fφt sin e la Fforza
 n  Ftdi
Fntan  tan
Ftaglio
tan  Ft, dall’equazione
 
Eq. puòtan   N Ail cos
ricavare n
valore della
cos  Fntensione   F
t
tangenziale τs che agisce sul piano di
Ft cos   Fn sin 
F tan N Ft  Fn
s

scorrimento: N FF t cos
t   Fsinsin
n t FFntan
t 
n

Nel testo:  s Ft sin  cos     


Eq. 1.40 
s  F sin  cos       F sin  cos   
Eq.1.40
Eq. 1.40  s  t A cos  Eq.   1.40 s  t
Eq. 1.41 T     
 s  f  s , As ,cos A cos   
Essa
Nel testo:  s rappresenta la resistenza alla deformazione del materiale nelle con-
dizioni di taglio e dipende, oltre che dal materiale in lavorazione, dalla defor-
Nel testo: mazione
 s
γs, dalla velocità Nel testo:  s e dalla temperatura T di taglio:
di deformazione
Eq. 1.41  s  f  s , s , T 
Eq. 1.41 s  f  s ,  s , T 
  Eq. 1.41
Eq. 1.41  s  f  s , s , T 
In mancanza di dati sperimentali è possibile calcolare la forza di taglio Ft se
si dispone di una equazione (relazione angolare) che leghi fra loro i tre angoli
di taglio fondamentali: angolo di attrito β, angolo di scorrimento φ e l’angolo
di spoglia frontale γ. Questo problema è stato affrontato da diversi ricercatori
ottenendone varie soluzioni solo in parte in accordo tra di loro.

1.7 Condizioni di taglio obliquo

Nella descrizione del processo di formazione del truciolo si è fatto finora


riferimento alla condizione di taglio ortogonale: ciò significa che la posizione

37
CapitoloI

relativa fra utensile e pezzo è tale per cui il tagliente è perpendicolare alla
direzione del moto di taglio ed il truciolo, che si muove mantenendosi a con-
tatto col petto dell’utensile, fluisce secondo la direzione del moto di flusso che
giace sul petto dell’utensile ed è perpendicolare al tagliente.
Fissato un sistema di riferimento cartesiano con origine nel punto O e con
asse X coincidente con la direzione della velocità di taglio, si osserva che tutto
il processo di taglio si produce su un piano che è ortogonale al tagliente e
contiene l’asse X e la direzione del moto di flusso; inoltre, l’angolo γ, formato
fra la direzione del flusso e l’asse z, rappresenta l’angolo di spoglia frontale
dell’utensile (Figura 1.12).

Figura 1.12: Condizioni di taglio obliquo

Nella maggior parte delle lavorazioni invece il tagliente è inclinato di un


angolo λ (detto angolo di inclinazione) rispetto alla direzione dell’asse y, per-
pendicolare alla direzione del moto di taglio (Figura 1.12). Il sovrametallo (tru-
ciolo indeformato) si muove verso il tagliente con la velocità di taglio vt e,
dopo essere stato trasformato in truciolo, si muove rispetto al petto dell’uten-
sile con la velocità di flusso vf.
Il taglio si produce quindi su un piano π, definito dalla direzione x della
velocità di taglio e dalla direzione f della velocità di flusso.
Inoltre, mentre in condizioni di taglio ortogonale il truciolo si avvolge a
spirale per effetto dell’incurvamento che subisce dopo il suo distacco, in condi-
zioni di taglio obliquo il truciolo si avvolge ad elica con un angolo di inclinazione
indicativamente uguale a λ.

38
Il processo di taglio dei materiali metallici

L’angolo che la direzione f del moto di flusso forma con la direzione della
retta n che giace sul petto dell’utensile ed è perpendicolare al tagliente è detto
angolo di flusso del truciolo αf; con sufficiente approssimazione, il suo valore
può assumersi pari all’angolo di inclinazione λ (αf ≈ γr).
In condizioni di taglio obliquo, l’angolo di spoglia frontale è l’angolo for-
mato, sul piano π, dalla direzione f della velocità del flusso e dalla direzione
della retta OK che giace su π ed è normale alla direzione x della velocità di
taglio (figura 1.12).
Questo angolo viene detto angolo di spoglia frontale reale γr; esso può
essere espresso in funzione di γ, che è un angolo direttamente misurabile sul
tagliente, e dell’angolo di flusso αf e dall’angolo di inclinazione λ.
Il legame funzionale fra questi angoli, secondo Stabler, è dato da:

Eq.
Eq. 1.42
1.42 sin    sin sin   cos cos sin 
sin rr   sin sin  ff   cos cos ff sin 
Eq. 1.42
Ponendo αf=λ, l’equazione precedente diventa:
Eq. 1.43
Eq. 1.43 sin  r   sin

sin
2
  cos 2  sin 
sin 2   cos 2  sin  Eq. 1.43
r

Nel testo:
Nel testo: Nel
 0caso
 0
 limite di λ=0° (condizione di taglio ortogonale), si ottiene eviden-
temente γ = γ .
r
Le condizioni di   obliquo
taglio
cos  
cos   rr 
(λ≠0°) producono effetti positivi sulla forma
Eq.
Eq. 1.44
1.44 t  A s
delFtruciolo.
Ft  A s sin  cos     r 
Infatti, si sin
è già  che
detto
 cos  r  positivi ed elevati dell’angolo di spoglia
 valori
frontale γ consentono, a parità di tutte le altre condizioni di taglio, una di-
minuzione della forza di taglio Ft; ma l’aumento di γ è limitato dai requisiti di
resistenza meccanica del tagliente.
Dall’eq. (1.43) è possibile osservare che, per un dato valore dell’angolo di
spoglia frontale geometrico γ, un aumento dell’angolo di inclinazione λ com-
porta un aumento dell’angolo di spoglia frontale reale γr , senza alcuna inci-
denza sulle condizioni di resistenza del tagliente.
L’inclinazione del tagliente rispetto alle direzioni del moto di taglio dà ori-
gine ad una risultante delle forze di taglio con tre componenti (taglio obliquo
o tridimensionale).
La Figura 1.13 riporta la vista in pianta ed in sezione di un utensile monota-
Eq. 1.42
gliente, sin rprincipale
il cui tagliente  
  sin presenta
sin  f un cosangolo 
 cosdiattacco
f sin  χ
 ≠ 90°.
La forza di taglio Ft, che si suppone applicata nel punto P, è perpendicolare
alEq.
piano
1.43della vista,  forza
sinla r   sin   cos
normale
2 Fn 2è sin 
perpendicolare ad Ft e forma un an-
golo αf con la direzione normale al tagliente principale in P.
La forza di taglio e la forza normale sono espresse dell’eq. (1.44) e (1.45),
Nel testo:
ponendo il valore dell’angolo
 0 di spoglia frontale reale γr in luogo dell’angolo
geometrico γ:
cos   
Eq.
1.44 Ft  A s r
Eq. 1.44
sin  cos     r 

39
CapitoloI

sin    r 
Eq. 1.45 Fn  A s
 Ft tan   r  Eq. 1.45
sin  cos     r 

Eq. 1.46 Quest’ultima


Fa  Fn sin forza 
  puòf 
scomporsi in una componente Fa parallela alla dire-
zione del moto di avanzamento ed in una forza Fr in direzione perpendicolare
ad Fa (ed anche ad sin Ft):la
sin 
  r 
componente
 Fa rappresenta la resistenza all’avanza-
Eq. 1.47
Eq. 1.45
1.45 F F
Fnnr  Ancos
A 
lacomponente
  r 
 F
Ft tan la forza
t tan
 r 
mento, mentres
 f  
sin  cos     r 
s sin cos Fr r 
rappresenta r di repulsione tra utensile
e pezzo. Dalla Figurasin 1.13   
si ricava:
Eq. 1.45 Fn  A2 s r
 Ft tan   r 
Eq. 1.48
Eq. 1.46
1.46 Ra
F
Fa  Fnt sin
F
F
n sin 

F
sin

2
a
 Ff r     r 
cos

f
2
Eq. 1.46

Eq.1.47
Eq.
Eq. 1.46
1.47
F
Fr a 
r

n   
sin  f f
F FFn ncos
 F cos  f
Eq. 1.47

1.47 F , FER F   modulo è dato da:


la risultante R delle forze di taglio è data dalla composizione vettoriale di
Eq.1.48
Eq. F F F cos
, F(Figura
r n2
1.13);ilFsuo2 f2
Eq. 1.48 t R
ar Ftt 2  Faa2  Frr2

Eq. 1.48
R  F2  F2  F2 Eq. 1.48
t a r

Figura 1.13: Forze di taglio in condizioni di taglio tridimensionale; componenti della forza normale
agente sull'utensile e sistema di forze presenti nel sistema utensile-pezzo.

40
Il processo di taglio dei materiali metallici

1.8 Pressione di taglio e pressione specifica di taglio

Il calcolo delle equazioni di taglio mediante le eq. 1.36 e 1.37 richiede che
sia noto il valore della tensione tangenzialeNel testo:  s  f  s , s , T 
di scorrimento
Non disponendo di un’espressione analitica per τs, si può stimarla per via
sperimentale.
L’equazione 1.40 consente infatti di determinare
Ft
Eq. 1.48il valorekdis τs misurando le
forze di taglio Ft ed Fn con l’impiego di un dinamometro, calcolando A β median-
te l’equazione 1.39, ed essendo note tutte le condizioni di taglio (γ, φ, A, vt).
Se pure il parametro velocità di taglio nonEq. compare
1.49nell’eq.A1.40
 pail suo
 bhvalore
deve essere definito poiché ad esso sono correlate la temperatura nella zona
di taglio e conseguentemente la resistenza alla deformazione.
Per esprimere la resistenza alla deformazione di un materiale inFcondizioni
Eq. 1.50
di taglio ci si riferisce spesso, per motivi pratici, alla pressionesdi
K 0 tagliot

Nel testo: forza f taglio


s  di
 
s ,  s ,FT e
A0 ks defi-
nita comeNel la 
testo:  s  f  s ,  s ,t T
il rapporto fra  
l’area della sezione del truciolo
indeformato A:
Ft
Eq. 1.48
ks  F Eq. 1.48
Eq. 1.48t
k A
Nel testo:  s , s , T 
 ss  f A
Dove: Eq. 1.49 A  pa  bh
Eq. Ft  bh
Eq.1.49
Eq. 1.49
1.48 kAs  pa
AF
Eq. 1.50 K s0  t
Si definisce pressione specifica diAF0taglio ks0 il rapporto fra la forza di taglio
Eq.
Eq. 1.50
1.49 K
A  
pa
Ft e l’area della sezione del truciolo
s0
t
 bh
indeformato quando questa ha un valore
unitario:
A0
Ft
Eq. 1.50
K s0  Eq. 1.50
A0

Essendo A0= 1 mm2.


La pressione di taglio ks può determinarsi sperimentalmente, attraverso
la misura della forza di taglio Ft. il suo valore dipende da diversi fattori, quali:
a) proprietà meccaniche del materiale in lavorazione; in particolare: carico di
rottura, durezza, struttura cristallina conseguente a determinati trattamenti
termici;
b) sezione del truciolo indeformato A= b h; in particolare: altezza del truciolo
indeformato h;
c) materiale e geometria del tagliente; in particolare: angolo di spoglia fron-
tale γ;
d) velocità di taglio vt;
e) condizioni di lubrificazione della zona di taglio (coefficiente di attrito μ).

41
CapitoloI

I valori della pressione di taglio ks misurati sono pertanto validi solo per le
condizioni adottate in fase di sperimentazione.
Per quanto concerne la dipendenza di ks dall’area della sezione del truciolo
indeformato A, si può ammettere con buona approssimazione che ks sia indi-
pendente dalla larghezza del truciolo b, purché sia h « b. Si osserva invece una
marcata dipendenza di ks dallo spessore del truciolo indeformato h; in parti-
colare, si osserva che ks, diminuisce con legge esponenziale al crescere di h.
Secondo Kronenberg, si ha:
Eq. 1.51 k  k hz
s s0
Eq. 1.51

Dove ks0 è la pressione specifica di taglio e z è una costante che, al pari di


Nelcondizioni
ks0, dipende dalle testo: di lavorazione.
  arctan z
La Figura 1.14 riporta la rappresentazione grafica dell’eq. (1.51) per un ma-
teriale avente ks0 = 1740 MPa ed esponente z = 0.27. 1 z 
Eq. 1.52 z
Ft  k s A  k s bh  k s 0 h bh  k s 0 bh

Eq. 1.53 k s 0  k s 0vt 1m / mm vt m

Eq. 1.54 W  Ft vt

Figura 1.14: Dipendenza della pressione di taglio dallo spessore del truciolo indefor-
mato h.

Eq. 1.51 kAdottando z


s  k s 0 h scale logaritmiche per i due assi, l’eq. (1.51) è rappresentata da una retta
Eq. 1.51 inclinata k s 0 h z all’asse delle ascisse di un angolo:
k s rispetto

Nel testo:   arctan z
Nel testo: Noti  arctan
ks0 e z per z un dato materiale, la forza di F si ottiene come:
t
Eq. 1.52 Ft  k s A  k s bh  k s 0 h  z bh  k s 0 bh 1 z 
1 z 
Eq. 1.52 F z
t  k s A  k s bh  k s 0 h bh  k s 0 bh
Eq. 1.52

Eq. 1.53 kPoiché


s 0  ksi s 0è
m
1m / mm  vt m
v supposto che la larghezza b del truciolo indeformato sia costan-
Eq. 1.53 te, ksis 0può
 kesprimere
t
vt variazione di Ft in funzione di h, considerando come
s 0v 1m / mm la
t

variabile dipendente il rapporto Ft/b, secondo quanto illustrato graficamente


Eq. 1.54 W  Ft vt1.15.
nella Figura
Eq. 1.54 W  Ft vt
42
Il processo di taglio dei materiali metallici

Figura 1.15: Dipendenza del rapporto Ft/b dallo spessore del truciolo indeformato h

Anche in questo caso, adottando scale logaritmiche, la funzione (1.51) è


rappresentata da una retta.

Figura 1.16: Dipendenza della pressione specifica di taglio ks0 dalla velocità di taglio vt

Il rapporto Ft/b cresce all’aumentare dello spessore del truciolo indeforma-


to h e la pendenza della retta sull’asse delle ascisse dipende anche in questo

43
CapitoloI

caso dal valore dell’esponente z.


Dopo lo spessore del truciolo indeformato h, il parametro di taglio che
influisce maggiormente sulla pressione di taglio è la velocità di taglio vt; in
particolare, la pressione specifica ks0 diminuisce all’aumentare della velocità
Eq. 1.51
di taglio. k s  k s 0 h
z

Questo effetto è da mettere in relazione con il fatto che l’aumento della


velocità di taglio provoca un aumento della temperatura nella zona di taglio e
Nel testo:   arctan
quindi una diminuzione z resistenza alla deformazione del materiale.
della
Anche in questo caso, la funzione che lega la pressione specifica di taglio
alla velocità di taglio ha andamento esponenziale ed assume la forma seguen-
Eq. 1.52
te: F  k A  k bh  k h  z bh  k bh 1 z 
t s s s0 s0

Eq. 1.53
k s 0  k s 0v 1m / mm vt m
t
Eq. 1.53

Eq. 1.54 W  Ft vt

Figura 1.17: Dipendenza del rapporto Ft/b dalla velocità di taglio

44
Il processo di taglio dei materiali metallici

Dove l’esponente m, caratteristica del materiale in lavorazione, è determi-


nato per via sperimentale.
La rappresentazione grafica della funzione (1.53) è riportata in Figura 1.16.
Nella Figura 1.17 è riportato l’andamento del rapporto Ft/b in funzione
dell’altezza del Eq.
truciolo
1.51h per trek diversi valori
z di velocità e si può osservare
s  k s0 h
come, a parità di sezione del truciolo, la forza di taglio diminuisce all’aumen-
tare di vt.
Per velocità Nel testo:
di taglio molto  elevate (103 zm/min), non si può trascurare il
 arctan
contributo alla forza di taglio dovuto agli effetti d’inerzia del truciolo.
Eq. 1.52 Ft  k s A  k s bh  k s 0 h  z bh  k s 0 bh 1 z 
1.9 Lavoro assorbito nel taglio
Eq. 1.53 k s 0  k s 0vt 1m / mm vt m
La potenza assorbita nel taglio è data dal prodotto della forza di taglio Ft
per la velocità di taglio vt:
Eq. 1.54 W  Ft vt Eq. 1.54

e rappresenta l’energia consumata in tempo unitario.


Con buona approssimazione, si può ritenere che la potenza di taglio Wt
sia la somma di due termini di gran lunga prevalenti: il primo è rappresenta-
to dalla potenza necessaria per produrre la deformazione plastica nella zona
di deformazione primaria (o sul piano di scorrimento), il secondo è costitui-
to dalla potenza assorbita nella zona di deformazione secondaria per effetto
dell’attrito presente all’interfaccia truciolo-petto dell’utensile.
A questi due termini bisognerebbe aggiungerne ancora altri tre: a) la po-
tenza assorbita per generare una nuova superficie quando uno strato di mate-
riale viene rimosso dal pezzo in lavorazione; b) la potenza corrispondente alla
variazione di quantità di moto del materiale asportato; c) la potenza dissipata
per attrito tra superfici del pezzo lavorato e dorso dell’utensile.
Nelle ordinarie condizioni di taglio, questi ultimi termini ammontano ge-
neralmente ad una piccola parte della potenza complessivamente assorbita e
quindi vengono ignorati.
Detta Ws la potenza assorbita sul piano di scorrimento, Wf la potenza as-
sorbita per attrito sul petto del tagliente e trascurando gli altri termini, si avrà:

Eq. 1.55

Si definisce lavoro specifico di taglio la potenza di taglio necessaria per


Eq. 1.55 Wl’unità
asportare t  Ws di W f  Fdi
 volume s vtruciolo
s  Fv f in un tempo unitario:


W Fv F
Eq. 1.56 ut  t
 t t
 t
 ks Eq. 1.56
Z Av t A

Wt W f F v  Fv t
Eq. 1.57 ut    s s 45
Z Z Av t
CapitoloI
Tabella 1.1: Valori indicativi del lavoro specifico di taglio per alcuni materiali metallici, in rela-
zione alla durezza.
Materiale Durezza Lavoro Specifico
di Taglio

HB HRC [J/mm3]
Acciai 85 ÷ 200 1.4
35 ÷ 40 1.6
40 ÷ 50 1.9
50 ÷ 55 2.4
55 ÷ 58 4.0
Acciai Inossidabili 135 ÷ 275 1.4
30 ÷ 45 1.6
Ghise 110 ÷ 190 0.8
190 ÷ 320 1.6
Leghe di titanio 250 ÷ 375 1.4
Superleghe 200 ÷ 360 3.0
Leghe di Alluminio 30 ÷ 150 0.35
Leghe di Magnesio 40 ÷ 90 0.22
Rame 80 HRB 1.2
Leghe di Rame 80 ÷ 100 HRB 1.2
Leghe di Zinco 0.22

Eq.Il lavoro
1.55 specifico
Wt di
 taglio
Ws  W risulta quindi pari alla pressione di taglio ks e rappre-
f  Fs v s  Fv f
senta l’energia totale assorbita per asportare un volume di truciolo unitario; se ks è
data in [GPa],ut è espresso in [J/mm3].
WalcuniFtvalori
vt indicativi
F
Eq.La1.56
tabella 3.1 riporta
u t  t definiti
diversi materiali metallici

del lavoro specifico di taglio per
 t  klas loro durezza.
mediante
Z Av t A
Per il lavoro specifico di taglio, come per l’eq. (1.55), si può scrivere:

f W W F v  Fv t
Eq.
1.57 ut  t   s s Eq. 1.57
Z Z Av t
E secondo la teoria di Merchant si ottiene:
  cos  sin  
Eq. 1.58 ut 

s
 Eq. 1.58
 cos     sin  cos     

Eq. Esercizio rc  h / hc  0.52 ; R  Ft 2  Fn2  693N ;


46

Ft 625
cos       0.90 ;     25.6 ;
R 693
125
Il processo di taglio dei materiali metallici

Esercizio

In una operazione di tornitura cilindrica, eseguita in condizioni di taglio or-


togonale con un utensile avente un angolo di spoglia frontale γ di 10°, viene
adottata una velocità di taglio di 125 m/min, lo spessore del truciolo indefor-
mato h è di 0.12 mm e la larghezza b del truciolo è di 5 mm. Mediante misure
dinamometriche vengono misurate le due componenti della risultante della for-
za di taglio, i cui valori Ft=625 N ed Fn= 300 N. Da misure sul truciolo si ricava
ancora uno spessore del truciolo deformato hc=0.23 mm. Determinare la poten-
za di taglio, la potenza dissipata per attrito sul petto dell’utensile ed il rapporto
 s diquesta
percentuale cos  rispettosin  potenza
alla  di taglio.
. 1.58 ut  
cosDalle    sin  delcos
 dimensioni   prima
truciolo   e dopo il suo distacco si ricava il valore
s  cos  sin 
del fattore di ricalca mento: Eq. 1.58 ut   
os  sin   cos     sin  cos  
.inEsercizio
s   cos sin  ;sin  R  Ft  Fn  693N ;
2 2
rc  h / hc  0.52
 coss    cos
. 1.58 ut  u t  La risultante  delle forze di taglio vale:
cos  cos   sin    cos sin  cos       Eq. Esercizio rc  h / hc  0.52 ;
 cos  sin  2
F2 t 625
 0.52 ;
 R  F
cos tcos Fn 693sin N 0.90; ;     25.6 ;
1.58   sin  ut cos    s    R 693  2  2 2
zio
. Eserciziorc  hcos hrcc0h.52
/ Dall’equazione /hcsin  ;.52cos
0(1.25) si ricava:
R;  FtRFn Ft 693  FN 2
 693;N ; F 625
 125n cos     t  0
Ft 625   36 ; Wt  Ft vt  625   1.3kW ; R 693
h /h 0.52 0.90;
R c 693 F R; 625FFt 2F  225
625 693 .6N ;;2 602
Eserciziocos  rcos c  h/h t
c 0.52  0.90 ;  0.90
t
n
; R  Ft; F n 25 .6 N
 693
  25.6 ;; 36W ; ; Wt 
W  R
Fv  125
693 R R
sin  v
693 r  0 . 44 kW ; Percentual e  100
f
 34 %
; 2Wt  2Ft vt  625 
t t
;;  1625 .3tkW c ; Wt
 R  FFtt F625 n 693
 0 . 90 N
 cos 60 F 
sin    25 125
.6  125;
1.58 Rut 693 36La potenza
cos 36;  ditaglio
s W;tvale:
t Ft vW t t 0.625
90 Ft vt  625
 60
 1.3kW  1.3kW
W f; 3 60     25.6t
; W ; Fvt ; R sin vt rc  0.
. Esercizio
R sin vt rc  0.44kW cos     
Z  Av;t  bhvtPercentualsin R cos
125693 
5  0.12    
e 125 
 100   75cm 34 / min
% ;
.9036 ;; Wt  F t v25 t . 6625  ;  1.3kW Wt; 125 Wf Wf
Wt  FvtW R
36 Fv
sin
F   v r
R ; 
sin 0 .
60v
44 r kW
W  0
 . 44
F ; vkW  625 ;
Percentual
  1 e
Percentual
.3 kW 100 e ;  34
100 %  34%
J/Eq. 2Esercizio Zt  AvtWt bhvt  5  0.12 
t t t t c t c t t t
Esercizio 125 La ruc tpotenza
h / hc3dissipata k s0.521.04per GPa ;attrito  1.04 R mm F
3
 60
F 2
;  693 N W ;
75Acm / min ; risulta essere: t Wnf
bhv FFv t 5
t vtt  625
0.12
Rsin vt r125  1.3kW
c  0.44kW
;; Percentual e  100  34% FtW f
zio
. EsercizioZ  Avt Ztan 60 W  bhv
t 
AvFv 
r
t t3 5cbhv
t Rcossin 
 0F.tt125625 v 125r
 0.12
t c 0 . 0
52
 75 .44
125cos kW 
310 ;
cm / min 75cm 3 W Percentual eu
 0/.56 t;
min ;
; t 100

A W
 ks 34
29t 
 1%.04GPa 
k s  1.04GPa  1.04 cos J /mm  1 r sin ; W f 1  00..52 90sin 10;     25.6 ;
44kW ;
Avt  bhvtut5  0.
Ft Percentual Ft e c R 1003 693 34% 3
cm ; J / mm r c cos  0.52
;
12
ut k s 125
 1.  k75
04 GPa  1 .04/1min
W 04 J /mm
.GPa 1.04 ; 3
; tan   
c
Esercizio
cos 

0 .52 Acos Z  10  
Av
  36At  0.56t;3
 bhvs
 5  t 0
W
.12  125
; t  Ft vt  29
 75
625
cm

3
/
125min
 1.3kW
;
; 1  rc sin  1  0.5
Ft Esercizio
 rc sin  k s 11.304 0.GPa
52Con sinrc10 cos
1F.04t J r/cmm .52 cos; 010
cos0dell’esercizio .52precedente,
cos10 3calcolare 60
;;; la portata
125 A  75cm tan/min  utan  ;stessi
gli
t  Ws k sF
datis v1

s .04GPa  1.04 J / mm
 0.56  0.56 ;  29ditruciolo
  29Z,
1us rcspecifico
il lavoro sin
A 1 rcdi 1sin 0.52usin
taglio 10
1t ;ed 0il.52  sin 10
lavoro 
di scorrimento u s. Wf
rc cos3 W0.52 t cos Fv Z t10 R Avsin vt rc  0.44kW ; Percentual e  100  34%

1.04  J ;/ mm  ;Il volume dirctruciolo cos 
t
 0.asportato
56 0.52 cos ; 10     29  W W t Fs v s
Fs v1us  rc sin
R cos  1tan 0. 52sincos 10  693 cos54nell’unità .6 cos10 di
tempo
0.560.7vale:
kN ; us  s
J  29 ;
; A cosZAv 1  r sin
  1  0 .52 sin 10    0.7 Z Av t
Avt10  0.56 v t  bhv 1975cm 3 / min mm ;
s c
cos
Esercizio t  52900.12 .6 cos125
2
mm 3

; W F W; F  v  R cos      cos  693  cos54


52 sin 10 s u u ; ;
s s s s s s
    us  
693  cosb54 .6 cos F10 t  Av t kN
s
lW testo: v a cZ
u 
Av Z
 k  1 .04 GPa  1 .04
J
J / mm 3
; A cos    0.6 co
s Fs v s t s 0.7  0.7
 R0cos ;19
cos  W
t
mm  cos
A693
; 5410 6 cos10kN 
 R cos .6cos  cos Fcos v 693 54.6cos
2
.mm
3
kN J J 47
 Z u s Av t u s   s  ss  0.7 2 0.70.7 b2 c3 0.7
A cos Acos  tan    c 0t.6 cos 190.6 cos19 mm
Z r cos
Av  0 .52 cos 10  
Nel testo: mmmm v t a
; mm 3
  29
 cos  693  cos  54.61 cos  10  1  0kN  J 0.56
R cos      cos  c 6930cos
  r sin .7 542.6 .52  0
sin cos .7 103
10  kN J
vutbsac vtb a c 0.6 cos19 
l testo: mm mm  0.7  0.7
; A cos    0.6 cos19 mm 2 mm3
Eq. Esercizio r  h / h  t0.52 t t ; ; R   Ft F25 6693N ; ;
n .
R 693FtRc 625
693c 60
s      cos       0.90 ;     25.6 ;
R 693 125 125 Wf
  36  ;Fv  t  RW ;t FvttvrtcW t 625F.t44 v625
Ft kW 1;.3;kW e;100
3kW Percentual
 01; ..
Wt36 sin
cos  0 t  625  12590  25.6  34% ;
; R  Ft 2 Fn2 36  N ; ; Wt  FRt vt 693
 693 60
625  60
 1.3kW ; Wt
60
CapitoloI 125W f Wf
Esercizio Wt  Fvt W  tRsin Fvt vt rcRsin0.44 36 vtkW
rc  0.;44 ; kW WPercentual t ; F
e 100 e1.W
3 t vt Percentual
625
; W 34
3100
kW % ; 34%
25 Z  Av  bhv  5 0.012 125  75cm /Percentual min e60
f
W
 0.90 ; Dall’equazione
W t  Fv  tt R 25sin 6tvt rsic ottiene:
.(1.56) ; .44kW ; 100
t
Wt
34t %
93 Ft Wf
u
125   k W  Fv
t1.04GPa  R sin1 . 
04 v r 
3 Jt /c mm 3 0 344kW
. ; ; Percentual e  100  34%
oEsercizio
W  F vZ 625
Avt Zbhv t Avt1A. 5bhv
3t kW 0.12
s
t  ; 125
5  0.12
t
75cm 125/min 75cm ;
/ min ; Wt
q. Esercizio
t t t Z60 Avt  bhvt  5  0.12 125  75cm / min
3
;
utEq.
Ft Dall’equazione
 Eserciziokilt s
uutan 
F
F1tt.04
r
GPa
del
cos 1.11 
Z1.104
kc srapporto
si
1Av
.04 .04
ricava
Wdi
GPa
0 .
Jf/bhv
52
mm
il
.04
cos
valore
1t .3
04
 10
Jmm

/0mm

dell’angolo
; 3
0;.56
125
di
;
scorrimento
3
;
φ, essendo
 ; 29
noto valore  k  GPa ricalcamento:
1 J 5/  . 312   75cm / min
rc  0.44kW A ; t Percentual
A A 1  sr e
c sin  100
 t
1
Wt  0.3452 % sin 10  
Ft 10  cos 10
; tan   tan r c
tan
cos
 

 rr cos
c ccos t
0
u . 
52 

cos
 0.520k.s52cos 1.10
040 .   0.156.004.56
GPa
56 J / mm3
; ;
;    29
 ; 29
  29
A
 0.12 125  75cm1  3
/ min rc sin 11;rcr1csin sin 0.521sin 1 010 0.52
.52 sinsin1010  
r cos  0.52 cos10
; ; Ws Fstan vs   c   0.56 ;   29
3
GPa  1.04 J / mm Il lavoro u s ; 
specifico di scorrimento
1 ; rc sin  è dato 1  0da: .52 sin 10
Z Av t
0.52 cosR  W ; vW FFs vs vs s693  cos54.6 cos10
u
10cos
 s 0uu.56s F
s 
 s s scos
W ; ;  ;29;  kN J
1  0u.52
s sins10AZcossAv ZZ
t  AvAv 19
 0.7 2
 0.7
mm3
Ws 0.6Fcos mm
t
s vs
t

  693 54diventa:


6.6cos 10; 10
 kN
u693s itermini,
R cosus R
u 
Rcos
cos 
cosChe,
  esplicitando

cos
cos cos
 693 cos
54.6Zcos
cos .10
54
Av cos
0 . 7
0.7 kN kN
 0.70.27
J
 0J.7 0.73 J
cos Rcos 0.6 cos19
t
l testo:
A cosvt aA Acos   0.6 cos   19 0.6 cos693 19cosmm 2 mm 2 3 mm
s b c
cos 54.6 cosmm 10mm
 mm3
kN J
; us    0.7  0.7
el testo: vbtb acc A cos    0.6 cos19 mm 2
mm3
testo:
b c
vt a vt a
cos54.6 cos10 kNb c J
Nel testo:
 0.7 vt 2a  0.7
0.6 cos19 mm mm3

1.10 Effetti termici nel taglio

Nel taglio dei metalli si osservano come è noto vistosi effetti termici; spes-
so il truciolo assume i tipici colori tempra, quando non arriva addirittura al
color rosso, l’utensile si arroventa ed anche la superficie lavorata raggiunge
temperature superiori, seppur di poco, di quella ambiente.
In definitiva quasi tutta la potenza assorbita dal taglio viene trasformata in
calore.
Questo si sviluppa entro un volume assai ridotto, dando pertanto luogo a
notevoli aumenti di temperatura, i quali influenzano sia resistenza meccanica
ed usura dell’utensile, che accuratezza di lavorazione per effetto delle defor-
mazioni termiche, oltre ad imporre l’adozione di adeguate protezioni contro

48
Il processo di taglio dei materiali metallici

gli infortuni.
La potenza meccanica trasformata in calore, con buona approssimazione
pari alla potenza di taglio Wt = Ft vt, viene suddivisa nei contributi, elencati in
ordine di importanza, della zona di deformazione primaria (di scorrimento) in
cui il sovrametallo viene deformato plasticamente e trasformato in truciolo,
della zona di deformazione secondaria in cui il truciolo scorre con attrito sul
petto dell’utensile, ed infine della zona di deformazione terziaria in cui il dorso
dell’utensile striscia sulla superficie lavorata, dato che in condizioni operative
esso non può considerarsi mai perfettamente affilato.
Nella zona di scorrimento, secondo l’analisi di Merchant, la potenza dissi-
pata nel processo di deformazione plastica viene trasformata in calore che va
in gran parte ad aumentare la temperatura del truciolo, il quale attraversa la
zona stessa con una portata volumetrica pari a Z = A vt.
L’aumento medio di temperatura del truciolo, in condizioni adiabatiche,
risulta proporzionale all’energia specifica ws assorbita nell’unità di tempo ed
inversamente proporzionale a massa volumica ρ e calore specifico cs del ma-
teriale lavorato.
Tale risultato sembrerebbe a prima vista anomalo, dato che l’espressione
ottenuta per ∆T non contiene la velocità di taglio vt; si deve però osservare che
il truciolo (come la superficie lavorata) dà luogo ad un trasporto di massa con
velocità proporzionale a vt, per cui in definitiva, alle velocità di taglio medie
o elevate, per le quali si è prossimi alle condizioni adiabatiche, è ragionevole
attendersi che ∆Tm tenda a stabilizzarsi.
Diversa è la situazione per la zona di deformazione secondaria, dove la po-
tenza dissipata soprattutto nell’attrito fra truciolo e petto dell’utensile è in parte
smaltita come aumento di temperatura del truciolo, ed in parte va ad aumentare
la temperatura del petto dell’utensile, che però, essendo stazionario rispetto alle
fonti di calore, può smaltirlo solo per conduzione ed irraggiamento.
Dato che la potenza Wf è approssimativamente proporzionale alla velocità
(τs non è indipendente da vt), la temperatura sul petto dell’utensile deve cre-
scere con questa, sia pure in modo non lineare, in quanto i gradienti di tem-
peratura devono crescere consentendo la trasmissione di un flusso termico
crescente.
Il modello semplificato a piano di scorrimento non consente di trattare
analiticamente il caso della zona di deformazione terziaria (contatto con stri-
sciamento dell’utensile con la superficie lavorata), dove, finché l’utensile non è
piuttosto usurato sul dorso, viene dissipata in attrito una piccola parte dell’e-
nergia spesa nel taglio; in più la portata di massa interessata è assai rilevante,
salvo il caso di pezzo a parete sottile, per cui l’aumento di temperatura della
superficie lavorata tende a stabilizzarsi indipendentemente dalla velocità su
livelli alquanto inferiori a quelli del truciolo, ed anche il dorso dell’utensile as-
sume di norma temperature sostanzialmente inferiori a quelle del petto.
Queste indicazioni sono puntualmente confermate dai risultati delle classi-
che ricerche sperimentali di Schmidt che mostrano come, raggiunto il regime

49
s  cos 
Eq. 1.58 ut  
CapitoloI cos     sin  cos
adiabatico, le temperature medie del truciolo e della superficie lavorata siano
stazionarie e sostanzialmente indipendenti dalla velocità di taglio, di cui inve-
Eq. inEsercizio
ce è funzione monotona crescente la temperatura corrispondenza delrcpetto
 h / hc  0.52
dell’utensile (Figura 1.18).
Ft 625
cos     
R 693
  36 ;

Wt  Fvt  R sin vt rc

Eq. Esercizio Z  Avt  bhvt  5  0


Ft
ut   k s  1.04GP
A
r cos 
tan   c 
1  rc sin  1
;

Ws Fs v s
us  
Z Av t
R cos
Figura 1.18: Andamento della temperatura del pezzo, dell'utensile e del truciolo
us 
 
   della
in funzione  cos 

693  c
velocità di taglio (Schmidt 1950)
A cos   

Quest’ultima risulta all’incirca proporzionaleNelal testo: b c


prodotto vt a , dove gli
esponenti b della velocità di taglio e c dell’avanzamento sono dell’ordine di
0.2÷0.5 il primo, è 0.1÷0.4 il secondo, rispettivamente per utensili in metallo
duro e in acciaio rapido nella lavorazione di acciai dolci.
In realtà, sia nel materiale lavorato che nell’utensile la mappa delle tempe-
rature è tutt’altro che uniforme, come è indicato dall’andamento delle isoterme
nella Figura 1.19; alle alte velocità la segmentazione del truciolo per instabilità
adiabatica da luogo alla concentrazione della deformazione primaria – e del
calore corrispondente – in zone ristrette, separate da parti poco deformate.
In tali zone si può raggiungere anche la temperatura di fusione del metal-
lo, e addirittura quella di combustione del metallo nell’aria, come nel caso di
lavorazioni con mola abrasiva che producono i caratteristici fasci di scintille.

50
Il processo di taglio dei materiali metallici

Figura 1.19: Tipico andamento delle isoterme nella zona di taglio (Vieregge 1953)

La ripartizione percentuale del calore tra truciolo (Q), utensile (Q’) e pez-
zo (Q’’) è stata analizzata per via calorimetrica nelle lavorazioni di fresatura
e foratura da Schmidt, che ha ottenuto a bassa velocità valori non lontani
da 50/25/25, tendenti per velocità medio alte a valori dell’ordine di 80/10/10
(Figura 1.20).
Possiamo concludere che in normali condizioni di lavorazione i quattro
quinti circa del calore prodotto vengano evacuati con il truciolo, che occorrerà
allontanare dagli elementi strutturali della macchina utensile per limitarne le
dilatazioni termiche.
In lavorazioni di precisione il fluido lubro-refrigerante, raffreddato se ne-
cessario sotto controllo termostatico nella vasca di raccolta, viene anche uti-
lizzato per mantenere sotto controllo temperatura e dimensioni di pezzo e
macchina, oltre che per facilitare la formazione e l’evacuazione del truciolo.
Alle elevate velocità di taglio tipiche degli utensili moderni, in metallo duro

51
CapitoloI

o in ceramica, la presenza del fluido refrigerante ha effetti solo marginali sui


fenomeni termici all’interfaccia tra truciolo e utensile, dove si verificano le
temperature più elevate, secondo quanto indicato nella Figura 1.21.

Figura 1.20: Tipica ripartizione dell'energia termica del sistema utensile-truciolo-pezzo in funzione della velocità di
taglio, ottenuta con misure calorimetriche (Schmidt 1950)

Essa riporta i risultati sperimentali della misura delle temperature locali


sull’interfaccia petto dell’utensile-truciolo (Figura 1.21a) e sul fianco dell’uten-
sile ottenuti da Chao & Trigger con l’impiego di termocoppie, in operazioni di
tornitura eseguite con tre diverse velocità di taglio.

Figura 1.21 Temperatura sul petto a) e sul dorso b) in una operazione di tornitura su acciaio ese-
guita con inserto in metallo duro, per tre diverse velocità di taglio (Chao & Trigger 1955)

52
Il processo di taglio dei materiali metallici

Anche in corrispondenza della zona di contatto del dorso dell’utensile col


pezzo in lavorazione (Figura 1.21b) si manifesta, sia pure in misura meno mar-
cata, lo stesso andamento delle temperature ed anche sul fianco la zona di
massima temperatura risulta essere arretrata rispetto al tagliente.
Inoltre, com’è già noto, le temperature del petto e del dorso aumentano al
crescere della velocità di taglio.

Bibliografia

Antonio Zompì, Raffaello Levi, Tecnologia Meccanica, Lavorazioni ad asportazione di tru-
ciolo, UTET Libreria, 2003;
Marco Santochi, Francesco Giusti, Tecnologia Meccanica e Studi di fabbricazione, seconda
edizione, Casa Editrice Ambrosiana.

53
Capitolo II

Le macchine utensili a controllo numerico e


la generazione dei percorsi utensile
A. Del Prete, A. Anglani e con la collaborazione di Alessandro Spagnolo

2.1 Introduzione

Negli ultimi 30 anni si è assistito ad un importante progresso nel campo


delle macchine utensili che ha determinato cambiamenti considerevoli nei si-
stemi di produzione.
L’aspetto principale è quello riguardante l’aumento del grado di automa-
zione delle singole macchine, dove, per automazione, si intendono tutte le
applicazioni tecniche che riducono l’intervento umano nelle attività lavorative.
Grazie a questo nuovo modus operandi, diversi sono stati i benefici che
oggi si riscontrano nel settore delle macchine utensili:
• riduzione dell’intervento umano nel controllo delle macchine: non è più
necessario l’intervento dell’operatore per il cambio utensile e per l’impo-
stazione dei moti e delle velocità di taglio. In questo modo è stato possibile
avere una riduzione dei tempi passivi e degli errori;
• combinazione delle operazioni: una sola macchina versatile può lavorare
pezzi complessi, che richiedono svariate operazioni (fresatura, alesatura,
ecc);
• contemporaneità delle operazioni: alcune macchine permettono di effet-
tuare più azioni contemporaneamente determinando una notevole ridu-
zione dei tempi attivi e passivi;
• controllo dimensionale direttamente sulla macchina: mediante dispositivi
di controllo posti direttamente a bordo macchina si riducono i tempi di
controllo successivo alla lavorazione ed effettuato fuori macchina, in que-
sto modo è possibile apportare delle veloci correzioni, si può evitare di
ultimare le lavorazioni dei pezzi da scartare;
• integrazione fra le varie attività: si considera il sistema produttivo come
un’unica entità integrata, con velocità e facilità di scambio di informazioni
tra un’operazione e l’altra. Un esempio di questa integrazione è l’utilizzo
dei sistemi CAD/CAM e delle macchine CNC.

Nelle macchine utensili tradizionali, ad azionamento elettromeccanico, l’o-


peratore, partendo da un disegno rappresentativo del pezzo da realizzare, im-

55
Capitolo II
posta i comandi meccanici della macchina.
Questo comporta un rendimento e una qualità delle produzioni stretta-
mente dipendenti dall’errore umano e dai parametri tecnologici della macchi-
na.
Nelle Macchine CNC il rendimento viene aumentato, poiché si riducono i
tempi di set-up e i tempi di lavorazione. Contemporaneamente la non dipen-
denza dal fattore umano determina il miglioramento della qualità del prodot-
to, il miglioramento della produttività, la riduzione degli errori e la riduzione
dei costi di manodopera.
Ancora prima di definire le modalità ed i criteri utili alla simulazione dei
percorsi utensile è opportuno richiamare alcuni concetti fondamentali relati-
vamente al funzionamento delle macchine utensili a controllo numerico (CN)
che nella loro versione più evoluta prevedono un controllo computerizzato
dell’azione di processo (CNC) ed all’applicazione dei sistemi CAD/CAM per
passare dalle specifiche di prodotto a quelle di processo.
Di fatto, allo stato attuale, la metodologia applicata prevede l’integrazione
CAD/CAM/CNC. Da diversi anni il sistema Produzione, spinto da una concor-
renza a livello globale, si orienta sempre più verso un’economia di mercato
dove: qualità, diversificazione del prodotto, riduzione del tempo di immissione
sul mercato e aumento del tempo di vita del prodotto sono diventati fattori
determinanti.
Uno dei fattori strategici alla base di questa rivoluzione è la flessibilità,
che riguarda sia i mezzi di fabbricazione sia le tecniche organizzative e ge-
stionali, che conferiscono all’azienda la capacità di adattarsi rapidamente ed
efficacemente a repentine variazioni della domanda e delle caratteristiche del
prodotto.
La flessibilità dei mezzi di fabbricazione è il frutto di notevoli progressi
dell’elettronica e dell’informatica e della loro applicazione al mondo della pro-
duzione; i sistemi CAD-CAM sono un esempio di questa rivoluzione nel mon-
do dell’industria meccanica.
Infatti, la fase di progettazione prevede l’utilizzo di strumenti CAD (Compu-
ter Aided Design) che permettono di realizzare il “modello fisico virtuale 3D”
del pezzo; in ambiente CAM (Computer Aided Manufacturing) il modello 3D
importato dal CAD, contenente le sole informazioni geometriche, arricchito
con le necessarie informazioni tecnologiche (utensile/i utilizzato/i nelle varie
fasi di lavorazione e relativi parametri tecnologici di taglio) dà vita al CLF (Cut-
ter Location File) che contiene la traiettoria utensile calcolata per asportare i
sovrametalli di lavorazione e conferire al pezzo le caratteristiche dimensionali
e la qualità superficiale richieste al prodotto finito.
Un successivo post-processor specifico per ogni CNC, traduce il CLF nel
Part Program eseguibile dalla macchina operatrice a CN.
La stesura del ciclo di fabbricazione richiede i seguenti passi:
1. Analisi critica del disegno di progetto e valutazione dei dati progettuali:
• Dimensioni, dalle quali dipende la scelta della macchina operatrice;

56
Le macchine utensili a controllo numerico e la generazione dei percorsi utensile
• Tolleranze dimensionali e di forma, che influenzano la scelta degli uten-
sili, dei processi tecnologici ed il posizionamento del pezzo durante la
lavorazione;
• Materiale e qualità superficiale che influenzano la scelta dei parametri di
taglio.
2) Scelta dei processi di lavorazione e della sequenza delle fasi;
3) Scelta degli utensili;
4) Scelta dei parametri di taglio (velocità di taglio, avanzamento e profondità
di passata) nei limiti tecnologici ammissibili;
5) Scelta delle macchine utensili che realizzeranno il prodotto finito.

Le innovazioni realizzate hanno consentito un continuo sviluppo del gra-


do di automazione delle singole macchine utensili, teso a minimizzare costi e
tempi di produzione assicurando un aumento di produttività (abbattimento
dei tempi passivi) e di qualità del prodotto (stabilità del livello qualitativo
dovuto al ridotto intervento dell’uomo).
Grazie al CNC (con il computer che controlla e monitora automaticamen-
te, con elevata precisione e ripetibilità, i moti di una macchina utensile) si ha
un aumento della flessibilità del sistema produttivo, intesa come capacità di
adattamento rapido ed efficace alla varietà di prodotti che il mercato richiede.
Il sistema CAD/CAM/CNC lega progettazione, generazione del ciclo e re-
alizzazione in un’unica entità integrata, in cui le informazioni si propagano,
dall’alto al basso e viceversa, in maniera rapida ed efficace.

2.2 Il Controllo Numerico

L’esecuzione di una lavorazione su una macchina utensile a controllo nu-


merico è ottenuta attraverso la lettura di un part-program costituito da una
sequenza di righe di istruzioni scritte in un linguaggio comprensibile all’unità
di governo della macchina.
Ogni riga è chiamata blocco e l’esecuzione avviene secondo la sequenza di
scrittura in successione a meno di istruzioni di salto.
Le macchine utensili a controllo numerico nascono storicamente nel 1942
negli USA per profilare delle camme per motori d’aereo.
Nel 1947 John C. Parson, costruttore di componenti per elicotteri per effet-
tuare, con buona precisione, rapidamente ed economicamente, la lavorazione
delle pale dei rotori (lavorazioni complesse per quei tempi difficilmente ese-
guibili con le tecniche a copiare in considerazione delle continue modifiche
che venivano richieste alle traiettorie degli utensili) riuscì a realizzare una mac-
china in cui il movimento della tavola veniva comandato tramite delle schede
perforate riportanti in codice le coordinate dei punti da seguire.
Nel 1953 al MIT (Massachusset Institute af Technology) di Boston (USA)
nasceva un sistema di comando che permetteva di coordinare i movimenti di

57
Capitolo II
una fresatrice, Figura 2.1, in modo da far seguire all’utensile traiettorie prede-
terminate su tre assi senza l’intervento dell’operatore: dando inizio a quello
che è definito il Numerical Control (NC).

Figura 2.1: La prima macchina NC sviluppata al MIT nel 1952

Nel ‘55 comparvero le prime macchine NC.L’applicazione del CN alle


macchine tradizionali è dapprima avvenuto collegando le macchine tradi-
zionali alle unità di governo, la precisione che ne derivava non era certa-
mente quella voluta e quindi si rese necessario costruire con concetti del
tutto nuovi macchine atte a ricevere meglio i segnali dell’unità di governo
con adatti servomeccanismi, con organi di movimento che presentassero i
minimi attriti e soprattutto con catene cinematiche aventi giochi ridotti al
minimo.
Le prime macchine utensili a governo automatico erano in grado di ese-
guire una lavorazione grazie alla lettura di dati codificati su un nastro fora-
to (del cui utilizzo vi è ancora traccia nel concetto di “prova nastro” con cui
si identifica la prima esecuzione di un part-program su una macchina uten-
sile) ed eseguiti dal sistema di comandi della macchina secondo una logica
detta “cablata”, ossia costituita da un insieme di dispositivi elettronici, tra
loro connessi (cablati) in grado di eseguire determinate funzioni ripetitive.
Il vantaggio di questa logica è la semplicità di realizzazione ma è poco
flessibile in quanto per modificare un impianto bisogna smontarlo e rica-
blarlo secondo il nuovo schema.

58
Le macchine utensili a controllo numerico e la generazione dei percorsi utensile
L'utensile comandato dal CN poteva eseguire lavorazioni con movimento
punto a punto e descrivere soltanto traiettorie rettilinee parallele alle direzioni
degli assi.
Queste lavorazioni erano forature, maschiature, alesature. Erano precluse
le lavorazioni in continuo lungo traiettorie curve od oblique rispetto agli assi,
che si potevano fare solo se si approssimava la traiettoria ad una linea spez-
zata a gradini.
Le macchine infatti avevano un solo motore che comandava alternativa-
mente gli spostamenti degli assi.
Il CN ha avuto una iniziale diffusione sia per il costo limitato, sia perché
adattabile a macchine utensili preesistenti data la logica con cui era realizzato
(retro-fitting).
L’introduzione dei circuiti interpolatori e di un motore per ogni asse ha
consentito di ampliare la gamma di lavorazioni eseguibili con il CN grazie alla
capacità di tracciare curve nel piano e nello spazio in quanto era possibile co-
ordinare i movimenti degli assi a velocità differenti.
La necessità di maggiori prestazioni per la lavorazione di superfici com-
plesse (stampi, settore aerospaziale) ha portato alla introduzione dei calcola-
tori sulle macchine CN che si caratterizzano ora come macchine CNC (a Con-
trollo Numerico Computerizzato) introdotte a partire dal 1970.
II calcolatore è in grado di effettuare calcoli senza l’intervento dell’opera-
tore sulla base dei dati di input trascritti sul part-program (esecuzione di una
circonferenza date le coordinate del centro, del punto di inizio movimento e
di fine movimento, ricalcolo della traiettoria per effetto della compensazione
del raggio dell’utensile).
II CNC è fornito di memoria flessibile, ampliabile, in grado di variare la sua
capacita facendo uso di logiche non cablate che possono essere facilmente
elaborate e modificate dall'operatore.
Con questa evoluzione del CN, applicata alle macchine utensili, è possibile
controllare l’esecuzione della lavorazione in tutte le sue fasi e coordinare tutte
le parti in moto della macchina, i servizi (cambio pallet, immissione di refrige-
rante ecc.) in funzione del programma ad essa fornito.
La tecnologia del controllo numerico è sostanzialmente un metodo per
controllare automaticamente, con elevata precisione e ripetibilità i moti dell’u-
tensile e della tavola porta pezzo sulla base di un programma scritto in lin-
guaggio opportuno.
Tale programma, nel semplice CN, deve essere scritto dal pro-grammatore
dopo una serie di calcoli geometrici su un computer esterno, nel CNC è l’uni-
ta di governo a controllare completamente il funzionamento della macchina,
leggendo un file che le viene inviato.
II CNC può operare correzioni di azionamento in base ai segnali ricevuti
dalle parti macchina comandate (assi, mandrino ecc.), memorizzazione di cicli
fissi ecc. (Figura 2.2).

59
Capitolo II

Figura 2.2: Schema organizzativo della macchina utensile CNC

L’introduzione del calcolatori ha portato la macchina ad essere in grado di:


• eseguire calcoli complessi senza l’intervento dell’operatore;
• ampliare la propria memoria;
• memorizzare un listato;
• analizzare e verificare il percorso tramite strumenti di simulazione grafica;
• modificare i blocchi prima della esecuzione effettiva;
• lavorare simultaneamente con più unità indipendenti fra loro;
• lavorare con più tecnologie (tornitura e fresatura sulla stessa macchina);
• integrare i dispositivi di carico e scarico dei pezzi;
• eseguire il cambio utensili e gestire il magazzino utensili;
• misurare gli utensili e i pezzi nel campo di lavoro della macchina;
• controllare l’usura degli utensili e la loro eventuale sostituzione;
• controllare gli assi;
• rappresentare graficamente ed interattivamente sul video un programma
durante la lavorazione di un pezzo;
• erogare il refrigerante, ecc.

L’immissione del programma “in macchina”, attraverso sistemi quali floppy


disk, chiavette di memoria, collegamento tramite la rete informatica azien-
dale, comporta da parte del controllo il calcolo dei parametri tecnologici di
lavoro (velocità di taglio, velocità di avanzamento), la definizione del percorso
utensile e la gestione delle informazioni ingresso/uscita per i comandi ausiliari
(immissione di lubro-refrigerante, cambio pallet, azionamento tapparella per
la rimozione del truciolo).

60
Le macchine utensili a controllo numerico e la generazione dei percorsi utensile
I riferimenti di velocità e/o coppia vengono inviati agli azionamenti che
alimentano opportunamente i motori per la rotazione del mandrino e/o lo
spostamento dell’utensile o del pezzo secondo gli assi x, y, z; quindi un sistema
di misura rileva la posizione e la invia al controllore il quale dopo un confronto
con quella programmata può correggere la propria richiesta.
Il sistema opera sotto il controllo della CPU (Central Processing Unit) che
esegue le istruzioni del programma presenti nella memoria.
Nella CPU sono contenute l’unità di controllo e l’unità logico aritmetica
ALU (Arithmetic Logic Unit).
La prima coordina l’entrata e l’uscita delle informazioni, estrae dalla memo-
ria le istruzioni relative al lavoro da eseguire, le analizza e trasferisce i dati di
calcolo alla ALU che effettua i calcoli relativi alle velocità di spostamento delle
slitte, calcola le traiettorie dell’utensile, ecc.
Alla CPU è collegato il PLC (Programmable Logic Control: Controllo a Logi-
ca Programmabile) che comanda direttamente gli azionamenti degli assi e dei
servizi della macchina utensile. Altri elementi di un CNC sono le memorie e le
periferiche (video terminale, stampante).
La memoria centrale serve per immagazzinare tutte le informazioni di mo-
vimento, di lavoro e dei relativi servizi della macchina; ad essa accedono la
CPU e le unità I/O.
Essa è costituita da moduli RAM (Random Access Memory - memorizza
le istruzioni relative a: programmi di lavorazione, cicli fissi e sottoprogrammi,
utensili, ecc.) e ROM (Read Only Memory – memorizza origini e dati macchina
che non possono essere modificati: corsa massima degli assi, programmi di
calcolo, ecc.), Figura 2.3.

Figura 2.3: Architettura di un controllo numerico computerizzato, costituito dalla Unità Centrale di Elabora-
zione (UCE) e dalle Unità Periferiche; A) immissione dati e procedure: B) uscita dati elaborati: C) memorie au-
siliarie o di massa. La macchina utensile viene comandata dal PLC collegato con l’Unità Centrale di Processo.

61
Capitolo II
è presente anche una memoria tampone che agisce sul blocco programma
successivo a quello in esecuzione effettuandone la lettura in modo che, ter-
minata l’esecuzione del blocco precedente, si riversano istantaneamente, nella
memoria di lavoro del calcolatore, i dati del blocco appena letto senza dover
attendere il tempo necessario alla lettura (Figura 2.4).
Il vantaggio pratico di questa prestazione consiste nell'evitare che l’uten-
sile, nel passaggio da un blocco al successivo, si arresti per qualche istante,
marcando il pezzo in lavorazione e producendo una finitura superficiale di-
scontinua.

Figura 2.4: La memoria tampone evita l’arresto dell’utensile e determina una migliore finitura
superficiale del pezzo in lavorazione

Il trasferimento dei dati-programma da un supporto (nastro perforato, ma-


gnetico o floppy disk) alla memoria del controllo numerico e viceversa avviene
mediante un elemento di collegamento chiamato interfaccia.
Generalmente il termine interfaccia viene usato per indicare i canali e i cir-
cuiti di controllo ad essi associati che permettono il collegamento tra l’unità di
governo, le unità periferiche del CNC e i servomeccanismi, cioè il collegamen-
to tra i componenti hardware e software del sistema.

2.3 I Linguaggi di programmazione

Il linguaggio più completo e diffuso, usato per programmare i controlli


numerici delle MU-CNC, per la gestione delle lavorazioni meccaniche, è l’APT
(Automatically Programmed Tools: Programmazione automatica dell’utensile)
che consente di definire, in diversi modi, il percorso utensile secondo traiet-
torie che possono essere rette, curve, nel piano e nello spazio, comunque
tracciate e/o intersecate fra loro.
Fu sviluppato da Douglas Ross nel 1956. L'APT, inizialmente progettato per

62
Le macchine utensili a controllo numerico e la generazione dei percorsi utensile
le lavorazioni di fresatura, è stato successivamente applicato a moduli per tor-
nio e superfici sculturate.
Oltre alla definizione geometrica del percorso utensile, essa contiene tutte
le funzioni atte all’azionamento e al controllo di ogni parte della macchina.
Si pone tra il linguaggio ISO e la programmazione direttamente da CAD. Si
basa su 4 tipi di specifiche fondamentali:

- specifiche di identificazione;
- specifiche geometriche;
- specifiche di movimento;
- specifiche ausiliarie.

Figura 2.5: Identificazione delle entità geometriche nel linguaggio APT

Le specifiche di identificazione e geometriche caratterizzano gli enti ge-


ometrici necessari a definire un percorso.
Ogni elemento geometrico è caratterizzato con il nome e dai valori nume-
rici che lo identificano (coordinate nello spazio per i punti, coordinate di due
punti da cui una linea passa, raggio, centro e condizioni di tangenza per circon-
ferenze, ecc.), Figura 2.5.
Le specifiche di movimento definiscono la modalità con cui l’utensile do-
vrà eseguire lo spostamento da un punto a quello successivo del percorso.
In una operazione di foratura occorre definire: il punto di partenza dell’u-
tensile, e i punti in cui dovrà posizionarsi l’utensile per realizzare i fori, la pro-
fondità da raggiungere definita in incrementale rispetto al punto occupato
prima di entrare in contatto con il materiale, il punto a cui portarsi dopo aver
completato l’esecuzione di ogni foro, Figura 2.6.

63
Capitolo II

Figura 2.6: Esempio di ciclo di foratura scritto in linguaggio APT

Per la lavorazione delle superfici è necessario definire i limiti all’interno del


quale un utensile deve muoversi per realizzare una determinata caratteristica
geometrica (tasca, contorno, piano, superficie sculturata).

In Figura 2.7:
• la superficie di lavoro è quella su cui agisce il tagliente;
• la superficie guida è quella lungo la quale si muove il tagliente;
• la superficie di controllo è quella da raggiungere per completare il movimento.

Figura 2.7: Definizione dello spazio di lavoro per un utensile su una superficie

64
Le macchine utensili a controllo numerico e la generazione dei percorsi utensile
In Figura 2.8, le istruzioni di movimento più comuni nella pro-grammazio-
ne in linguaggio APT. Nella stessa figura è riportato un esempio di istruzioni di
movimento in APT. L’utensile dovrà muoversi fino alla linea L1 e fino alla Part
Surface (PS: superficie da lavorare) mantenendosi tangente alla circonferenza
C1, con:

CS: Check Surface (Superficie di Controllo);

DS: Drive surface (Superficie di guida).

Figura 2.8: Esempio di istruzioni di movimento nel linguaggio APT

Figura 2.9: Lavorazione di contornitura in linguaggio APT

In Figura 2.9 la lavorazione di contornitura viene realizzata utilizzando


come guida e controllo il perimetro del pezzo da lavorare. La traiettoria viene
seguita a destra del perimetro “compensando” il raggio dell’utensile in modo
da facilitare la scrittura del part program.

65
Capitolo II
Le specifiche ausiliarie sono indicazioni da dare al post processor per indi-
viduare utensili, lavorazioni, tolleranze, inizio e fine percorso.
Le principali sono:
• MACHIN/ seguito dal nome della lavorazione (individua il tipo di lavorazio-
ne da effettuare);
• COOLNT/ attiva e disattiva il raffreddamento;
• FEDRAT/ seguita dal valore della velocità di avanzamento;
• SPINDL/ seguito dal numero di giri;
• TOOLNO/ seguito dal numero dell’utensile selezionato;
• CUTTER/ seguito dal valore del raggio di compensazione;
• INTOL/ o OUTTOL/ seguiti dal valore di tolleranza (Figura 2.10, approssi-
mazione di un percorso curvilineo tramite una spezzata rettilinea);
• END (fine del programma).

Figura 2.10: Tolleranza di linearizzazione

Al diminuire dell’intervallo di tolleranza (Figura 2.10) aumenta la frammen-


tazione lineare del percorso utensile con conseguente aumento dei blocchi
del programma la cui esecuzione richiede un tempo estremamente breve e
quindi una potenza di calcolo notevole da parte del controllo (Figura 2.11).
Con l’adozione di un CNC con capacità NURBS, cioè in grado di elaborare
i percorsi utensili con gli stessi algoritmi utilizzati dai sistemi CAD, la curva a
forma libera viene rappresentata con una serie di polinomi fino al terzo grado
e di curve spline; in questo caso l’interpolazione genera dei poli fittizi, per cui
la forma così prodotta viene tradotta in una equazione che il controllo esegue
come se fosse un blocco singolo.
Inoltre, con il metodo tradizionale ogni curva è rappresentata come una
spezzata che richiede decelerazioni e accelerazioni in corrispondenza di ogni
punto generato dall’interpolatore, variazioni che producono vibrazioni e un
maggior assorbimento di energia, quindi produzione di calore da parte degli
azionamenti.

66
Le macchine utensili a controllo numerico e la generazione dei percorsi utensile
Questi due inconvenienti incidono sulla precisione del profilo e sulla fi-
nitura del pezzo. Con l’interpolatore NURBS invece la variazione del vettore
velocità è continua e la lavorazione ne risente positivamente.

Figura 2.11: In questo caso il numero dei blocchi passa da 9 a 2

L’interfacciamento dell’operatore con il controllo numerico avviene tramite


una GUI (Graphic user interface) di comando che è suddivisa in settori di in-
tervento:
• comandi di macchina (cambio utensile, cambio pallet, attivazione mandri-
no, cicli);
• overrides (variatori di velocità incrementali o percentuali);
• selettore modi operativi;
• tastiera alfanumerica.

L’operatore ha a disposizione varie modalità di interazione con la macchina:


• manuale: la movimentazione degli assi è ottenuta agendo sulle rispettive
lettere identificative. Il controllo è inattivo e lo spostamento viene segnala-
to a video attraverso le coordinate delle posizioni occupate dall’utensile;
• GUI: si digitano i blocchi di programma da eseguire tramite GUI, MDI (Ma-
nual Data Input);
• semiautomatica: sono eseguiti un determinato numero di blocchi arre-
standosi fino a che l’operatore comanda l’esecuzione del gruppo succes-
sivo di blocchi (utilizzato nelle prove nastro o tape try out), consente la
simulazione a video;
• automatica: per la normale produzione, tutti i blocchi sono letti ed esegui-
ti in successione continua fino al termine del part program.

67
Capitolo II
Il controllo numerico e le macchine utensili che lo utilizzano permettono di:
• Incrementare la produttività dovuta alla quasi totale eliminazione dei tempi
morti di attesa tra un’operazione e l’altra;
• Riduzione dei costi anche di manodopera;
• Realizzare lavorazioni difficili o impossibili da realizzare con tecnologie tra-
dizionali;
• Aumentare la ripetibilità delle lavorazioni;
• Riduzione degli scarti a causa della sicurezza dei posizionamenti e dei mo-
vimenti degli utensili.
I vantaggi che si ottengono sono:
• Riduzione dei tempi di settaggio macchina;
• Flessibilità, permette un rapido cambio della lavorazione con la sostituzio-
ne del programma;
• Incremento di accuratezza e uniformità della produzione;
• Minor necessità di movimentazione manuale della produzione;
• Miglioramento del controllo della produzione e della qualità della stessa.
D’altra parte gli svantaggi di cui bisogna tener conto nel loro utilizzo sono:
• Alto costo iniziale dell’investimento;
• Manutenzione non solo meccanica ma anche elettrica ed elettronica di so-
lito effettuabile solo dalla ditta produttrice della macchina;
• Maggior costo operativo per unità di tempo di produzione;
• Necessità di preparazione all’utilizzo del personale.

2.4 Macchine utensili a controllo numerico: classificazione

Una macchina utensile a controllo numerico (MU-CNC) viene classificata


in base al numero di assi da essa posseduti che ne definiscono la capacità di
eseguire lavorazioni più o meno complesse e di conseguenza la maggiore o
minore complessità costruttiva e del controllo che ne sovraintende il funzio-
namento e in definitiva sono un indicatore del costo di una macchina utensile.
Gli assi di una MU-CNC indicano le direzioni e i versi di traslazione o rota-
zione delle sue parti mobili e servono ad individuare le posizioni ed i movi-
menti dell’utensile rispetto al pezzo.
La nomenclatura con cui gli assi sono definiti ed indicati utilizza lettere
dell’alfabeto (Figura 2.12):
• Assi di traslazione principali: X, Y, Z;
• Assi di rotazione: A, B, C (rotazione intorno ad X, Y, Z rispettivamente);
• Assi di traslazione secondari: U, V, W (traslazione parallela ad X, Y, Z rispet-
tivamente).
Per individuare gli assi, quando questi non sono indicati con targhette ap-
poste dal costruttore sulle macchine, si parte dall’asse del mandrino, l’asse Z,
e si definiscono gli altri assi considerando il movimento relativo dell’utensile

68
Le macchine utensili a controllo numerico e la generazione dei percorsi utensile
rispetto al pezzo:
• Asse Z: sempre coincidente o parallelo con l’asse del mandrino, positivo
allontanandosi dal pezzo;
• Asse X: positivo se rivolto a destra guardando dal mandrino verso il pezzo;
• Asse Y: è perpendicolare al piano definito degli assi X e Y ed il suo verso
positivo è definito dalla regola della mano destra.

Si hanno, pertanto, macchine a:


• 2 assi: per lavorare nei piani XY, YZ, ZX (Figura 2.14a);
• 2 assi e mezzo: la macchina ha due assi comandati contemporaneamente
e che possono interpolare nel piano da essi definito. Il terzo asse viene
azionato per spostarsi su un piano parallelo a quello definito dagli assi
interpolanti. La lavorazione complessiva avviene su piani paralleli al piano
principale. Può essere utilizzata per lavorazioni di sgrossatura di geometrie
complesse (Figura 2.13);

Figura 2.12: Identificazione degli assi di una


macchina utensile a controllo numerico

• 3 Assi: la lavorazione avviene su tre assi interpolanti contemporaneamente


con il pezzo che deve disporsi in modo che la zona di lavoro risulti perpen-
dicolare alla corsa dell’utensile, (Figura 2.14b);
• 4 Assi: La lavorazione avviene mediante il movimento interpolato dei 3 assi
lineari principali unito ad un movimento di rotazione (dell'utensile o del
pezzo). Se il 4° asse è interpolato con gli altri tre, si parla di 4 assi vero. Se
il 4° asse può solo ruotare mentre gli altri assi sono fermi, si parla di 4° asse
indexato.
• 5 Assi: oltre alle traslazioni, all’utensile sono consentite due rotazioni (es.:
A intorno a X, B intorno a Y, o C intorno a Z), oppure in alternativa viene
usata una tavola rotobasculante (in grado di ruotare e oscillare in modo da

69
Capitolo II
assumere l’inclinazione voluta rispetto all’asse del mandrino) con queste
prerogative è l’utensile a seguire la conformazione spaziale del pezzo, Fi-
gura 2.15;

Figura 2.13: Lavorazione a due assi e mezzo

• 6 e più assi: combinando assi di traslazione principali e secondari ad assi


di rotazione si ottengono centri di lavoro in grado di eseguire lavorazioni
di pezzi complessi con un numero estremamente ridotto di piazzamenti,
(Figura 2.14c);

Figura 2.14: Tipologie macchine utensili

70
Le macchine utensili a controllo numerico e la generazione dei percorsi utensile

Figura 2.15: Configurazioni a 5 assi

Sulle macchine utensili sono fissati dei punti di riferimento necessari ad


individuare l’origine e la corsa degli assi (Figura 2.16).

Figura 2.16: Punti di riferimento per le macchine utensili CNC

Ogni asse della macchina viene azzerato automaticamente su un punto


fisso detto punto di riferimento di macchina (R).
Quando il CNC è spento, gli assi si possono spostare manualmente o ac-
cidentalmente. In queste condizioni il CNC perde la posizione reale degli assi,
per questo, all’accensione, si effettua l’operazione di "Ricerca di Riferimento

71
Capitolo II
macchina".
Con questa operazione, gli assi si spostano su un punto definito dal co-
struttore della macchina, e il CNC sincronizza la relativa posizione assumendo
le quote definite dal costruttore per quel punto, riferite allo zero macchina.
La posizione di R è riferita al punto di riferimento di zero macchina (M)
che rappresenta l’origine del sistema di riferimento della macchina rispetto al
quale è definita la corsa degli assi.
Lo zero pezzo (W od OP) individua il punto del pezzo rispetto al quale
sono stati determinati i punti del percorso utensile e viene scelto in base alla
conformazione del pezzo da lavorare.
La distanza tra M e W viene registrata nelle tabelle spostamento origine
per consentire al controllo di effettuare gli offset necessari all’esecuzione di
un percorso.
Definiti i sistemi di riferimento macchina e pezzo (Figura 2.17), le coordi-
nate di ogni punto P del percorso utensile (con coordinate XW, YW, ZW, rispetto
al punto W), e quindi con percorso programmato rispetto all’origine pezzo W
(di coordinate ΔX, ΔY, ΔZ, rispetto al punto M), saranno traslate dal controllo
numerico, per ogni asse, della distanza intercorrente tra i punti M e W in modo
da riferirle al sistema della macchina.
Gi assi saranno mossi verso il punto di coordinate (Xp, Yp, Zp) all’interno del
volume di lavoro della macchina.
La distanza tra M e W sono fornite al controllo dall’operatore alla macchina
tramite la compilazione di tabelle definite di “spostamento dell’origine” e che
vengono attivate con uno specifico comando nel part-program fornito alla
macchina.
.

Figura 2.17: Relazione tra Zero Macchina e Zero Pezzo, a) Tornitura; b) Fresatura

Anche per l’utensile sono definiti dei punti di riferimento necessari a for-
nire i valori della lunghezza dello stesso utensile e quindi a compensarne le
variazioni.

72
Le macchine utensili a controllo numerico e la generazione dei percorsi utensile
Tali punti sono:

• E (Tool Setting Point): punto rispetto al quale vengono determinate le


dimensioni dell’utensile (pre-setting). Tali dati vengono registrati nella
memoria del controllo e richiamati al momento dell’utilizzo;
• N (Tool Socket Point): punto corrispondente di E nel portautensili.

Durante l'esecuzione di un programma è necessario tenere in considera-


zione le diverse geometrie degli utensili.
Queste sono memorizzate come dati di correzione utensile nella tabella
utensili del controllo. Richiamando l'utensile, il controllo numerico tiene quin-
di conto dei dati di correzione ossia lunghezza e raggio/diametro che possono
essere rilevati manualmente oppure tramite tastatori presenti sulla macchina
che aggiornano in tempo reale la tabella utensili per una corretta attivazione
dei correttori utensile.
Non essendo il controllo in grado di riconoscere gli utensili, questi devono
essere identificati e caratterizzati con l’operazione di presetting, Figura 2.18,
che consiste nel rilevare le caratteristiche geometriche (lunghezza, angolo
di taglio, diametro punta elicoidale, lunghezza punta, diametro fresa, ecc.), il
tempo di taglio accumulato ed eventualmente le caratteristiche tecnologiche
(Vc, ap, f,…).

Figura 2.18: Pre-setting di un utensile con strumentazione ottica o manuale

73
Capitolo II

Figura 2.19: Pre-setting con macchina a comparatori

Figura 2.20: Pre-setting di un utensile con comparatore (diametro)

Figura 2.21: Pre-setting di un utensile con comparatore (lunghezza)

Con il pre-setting si determinano le dimensioni di un utensile, diametro e lun-


ghezza, utilizzando varie tipologie di strumentazioni (manuali, ottiche, Figura 2.18,
a comparatori, Figura 2.19). Il comparatore effettua misure di confronto, fornendo
la differenza tra un riferimento e il misurando. Il comparatore, dopo essere stato
“azzerato” su un riferimento, viene portato a contatto con l’utensile da misurare e la
rotazione della lancetta sulla scala del quadrante misura le dimensioni dell’utensile
(Figura 2.20 e Figura 2.21).

74
Le macchine utensili a controllo numerico e la generazione dei percorsi utensile
Il TCP (Tool Center Point), (Figura 2.22) rappresenta il punto dell’utensile
che si posiziona sui punti del percorso utensile durante la lavorazione. La sua
scelta durante la programmazione del percorso e la corretta definizione dei
correttori ( Figura 2.23) atti a consentirne il controllo da parte del CNC, è fon-
damentale ai fini di una lavorazione che non dia luogo a scarti o a imperfezioni
del pezzo che richiederebbero costosi interventi di ripristino.

Figura 2.22: Punto di riferimento e correttori per un utensile

Figura 2.23: Definizione del correttore utensile

Il correttore utensile consente di tener conto delle differenze di dimensioni


tra un utensile e l’altro permettendo al controllo di posizionare sempre il TCP
sui punti del percorso di lavorazione.
In generale il TCP viene scelto a seconda della geometria e tipologia dell’u-
tensile, Figura 2.24. Per un utensile tipo tornio, con raggio in punta, il TCP è il
centro del raggio di raccordo.

75
Capitolo II

Figura 2.24: TCP per utensili tipo tornio e tipo fresa

Poiché non è necessario stabilire la traiettoria che deve percorrere l'utensile


o la tavola portapezzo, per spostarsi da un punto all'altro, i movimenti avven-
gono secondo la direzione degli assi, simultaneamente o in successione. La
velocità di spostamento dell’utensile non è controllata. Nel movimento punto
a punto, l’utensile, sotto l’effetto della somma vettoriale dei due moti assiali,
esegue un movimento a micro-scalini dal punto A al punto B programmato.
In definitiva, percorrendo traiettorie curve o quando le coordinate degli
assi X e Z sono contemporaneamente modificate, il grado di finitura superfi-
ciale risulta deficitario, (Figura 2.25f):
• parassiale – il CNC permette lo spostamento secondo la direzione de-
gli assi e anche il controllo di velocità quindi può essere usato per ese-
guire fresature in continuo secondo direzioni parallele agli assi (Figura
2.25b, d);
• contornatura – applicazione classica che sfrutta al meglio le caratte-
ristiche del CNC (Figura 2.25c). Si usa per tutte le lavorazioni di tor-
nitura e fresatura ossia in tutte le lavorazioni in continuo su qualsiasi
traiettoria. II percorso di lavoro lungo la traiettoria è calcolato dal CNC
programmando le coordinate dei punti estremi di un determinato
movimento. Le posizioni intermedie sono determinate dal controllo.
Maggiore è il numero dei punti intermedi calcolati e maggiore è la
precisione del tracciato e quindi minore lo scarto (entro i limiti di tolle-
ranza stabiliti) fra la traiettoria programmata e quella eseguita, tuttavia
si ha un notevole incremento del numero dei blocchi.
L'operazione di calcolo dell'insieme dei punti intermedi necessari per l'e-
secuzione della traiettoria di lavoro si chiama interpolazione che può essere:

76
Le macchine utensili a controllo numerico e la generazione dei percorsi utensile
• lineare – Usata per generare traiettorie rettilinee. Il programmatore
deve specificare i punti iniziale e finale e la velocità di avanzamento. Il
modulo interpolatore calcola i punti intermedi e le velocità di avanza-
mento su ciascun asse per ottenere quella specificata;
• circolare – Usata per generare traiettorie circolari. Il programmatore
definisce le coordinate dei punti estremi dell'arco di cerchio e del cen-
tro, ovvero le coordinate di tre punti per i quali passa l'arco di cerchio,
e la velocità di avanzamento. La traiettoria generata è costituita da una
serie di segmenti calcolati dal modulo interpolatore che provvede an-
che al calcolo delle velocità di avanzamento su ciascun asse.

Il piano sul quale si trova l'arco da generare deve essere definito da due
assi del sistema:

• elicoidale – È una combinazione delle interpolazioni lineare e circolare.


È necessario fornire gli elementi del cerchio ed il passo assiale dell'elica;
• parabolica e cubica – Sono usate per approssimare curve di forma
libera usando equazioni di ordine superiore. Richiedono una conside-
revole potenza di calcolo. Applicazioni sono concentrate nell'industria
automobilistica per la produzione degli stampi utilizzati nella realizza-
zione delle carrozzerie.

Figura 2.25: Movimenti: a) PTP; b) Parassiale; c) Di contornitura o continuo

2.5 Programmazione delle macchine a controllo numerico

La flessibilità delle macchine a controllo numerico, ossia la capacità di adat-


tarsi a produzioni estremamente variabili, è determinata dal fatto che esse
sono programmabili, cioè eseguono le lavorazioni sulla base di programmi
scritti dall’operatore.
Nelle macchine utensili tradizionali l’operatore esegue le lavorazioni ma-
nualmente, imponendo i movimenti al pezzo o all’utensile, impostando i para-
metri di taglio, sulla base di un ciclo di lavorazione predefinito.

77
Capitolo II
Nelle macchine a CNC, l’operatore inserisce un programma contenente tut-
te le informazioni geometriche e tecnologiche necessarie alla lavorazione e
l’unità di governo, leggendo il programma, esegue la lavorazione.
Il programma riporta le istruzioni scritte in un linguaggio comprensibile
dalla macchina. Il linguaggio può essere:
• Di basso livello quando l’operatore è chiamato a definire completa-
mente, a partire dal disegno esecutivo del pezzo da realizzare, tutti gli
elementi del ciclo di lavoro eseguendo manualmente i calcoli per la
definizione delle quote, delle velocità, degli avanzamenti e di tutti gli
altri elementi interessanti le scelte operative;
• Di alto livello, quando con delle semplici e singole istruzioni si specifica
un’intera sequenza di operazioni. Il linguaggio più completo e diffuso
è l’APT adatto per la programmazione di macchine fino a cinque assi.

La programmazione di un controllo numerico può essere:


• manuale: con cui un operatore sulla base del disegno del pezzo, defi-
nisce i parametri geometrici, tecnologici ed ausiliari necessari alla rea-
lizzazione di una lavorazione in un linguaggio standardizzato e deno-
minato EIA RS274D/ISO 6983:
EIA: Electronic Industries Association;
ISO: International Standardization Organization;
• per autoapprendimento: la macchina apprende come eseguire il pro-
gramma elaborando i dati che l’operatore seleziona tramite tasti pro-
grammatori di cicli;
• conversazionale od interattiva: Il programma viene redatto attraver-
so l’inserimento dei parametri richiesti in “pagine” di dialogo, speci-
fiche per ogni tipologia di lavorazione o di servizio realizzabile dalla
macchina.

Nella programmazione manuale, Figura 2.26, l’operatore traduce tutte le


operazioni necessarie per definire le fasi della lavorazione in un codice che
verrà utilizzato dall’unità macchina.
Le informazioni che bisogna fornire possono essere distinte in 3 gruppi:
• parametri tecnologici: tramite queste informazioni si comunicano alla
macchina le velocità di taglio e di avanzamento prescelte nello studio del ciclo
di lavorazione;
• traiettoria degli utensili rispetto al pezzo: tramite queste informazioni
si comunicano le traiettorie degli utensili e le modalità di movimento (infor-
mazioni geometriche);
• informazioni ausiliarie: informazioni che riguardano l’utilizzo di refrige-
ranti, il carico e scarico dei pezzi.
Partendo dal disegno del pezzo da ottenere, l’operatore “scrive” il tabulato
contenente tutte le operazione che dovrà eseguire la macchina.

78
Le macchine utensili a controllo numerico e la generazione dei percorsi utensile

Figura 2.26: Schema di programmazione manuale

Il codice abitualmente utilizzato per la programmazione delle macchine a


controllo numerico, viene comunemente chiamato "codice ISO" esso è accu-
ratamente descritto nella norma ISO 6983 del 1982.
Lo standard di linguaggio ISO 6983 non costituisce, comunque, un obbligo
all'utilizzo da parte dei costruttori di CNC, che nella pratica adottano i codici
principali dello standard, integrandoli con loro codici propri.
Per le tantissime funzionalità offerte oggi dai controlli (risoluzione automa-
tica della geometria del piano, programmazione con enti virtuali, programma-
zione parametrica, gestione della correzione utensile con tavole o teste rotan-
ti, gestione della correzione utensile su cinque assi, ecc) ciascun costruttore ha
definito in pratica i propri linguaggi o sottolinguaggi specializzati.
Tali linguaggi specializzati hanno reso molto più agevole, flessibile, rapida
ed efficace la programmazione di funzioni o geometrie complesse, ma hanno
reso in pratica molto diversa la programmazione da controllo a controllo, va-
nificando in pratica l'obbiettivo primo dello standard: un linguaggio unico di
programmazione, indipendente dal tipo di controllo impiegato.
Il programma riporta le istruzioni scritte in un linguaggio comprensibile
dalla macchina ed è formato da un insieme di blocchi che sono numerati ed
eseguiti in successione.

79
Capitolo II
Ogni blocco rappresenta un’operazione macchina ed è composto da istru-
zioni particolari che definiscono funzioni oppure ordini di movimento.
Ogni funzione è indicata con una lettera e con il valore numerico della
funzione.
Alcune istruzioni possono essere di tipo modale, cioè rimangono attive dopo
essere state programmate fino a quando non vengono cancellate o sostituite,
altre invece hanno efficacia solo all’interno del blocco in cui sono programmate
(auto-cancellanti).
Ciò evita di dover ripetere molte istruzioni, il comando di accensione man-
drino, ed esempio, è un comando modale perché il mandrino, una volta acce-
so, resta in moto fino all'esecuzione del relativo comando di arresto.
Immessi i dati, il CNC gestisce i comandi per la movimentazione degli assi,
per le rotazioni del mandrino, per tutti i comandi ausiliari e allo stesso tempo
controlla, attraverso l’utilizzo di sensori, le operazioni effettuando un confron-
to fra i movimenti reali e quelli previsti dal programma, provvedendo ad una
correzione laddove non ci fosse corrispondenza tra i dati.
Per definire una traiettoria occorrono informazioni di tipo geometrico (di-
mensioni del pezzo, tipologia di percorso utensile, identificazione punti di
riferimento), informazioni di tipo tecnologico (utensili impiegati, velocità di
taglio e di avanzamento) e informazioni di macchina (rotazione del mandrino,
presenza del lubrificante, ecc).
La ISO 6983 dà i fondamenti per la programmazione (Figura 2.27):
• Programma: si può definire un programma come una collezione ordinata
di blocchi. L'ordine è quello di esecuzione. Il controllo leggerà tutto il pro-
gramma e lo interpreterà un blocco alla volta, dal blocco di inizio fino al blocco
di fine programma. A meno di specifiche istruzioni di salto o di interruzione, la
lettura dei blocchi procede in successione;
• Blocco: il blocco è un'insieme di funzioni che saranno interpretate "tutte
insieme", cioè in relazione tra loro. Il blocco viene spesso identificato come la
"riga" di programma; questo non è del tutto corretto potendo un blocco occu-
pare più righe sul video. La posizione delle funzioni all'interno del blocco, nei
controlli più moderni è, con alcune eccezioni, libera; il controllo al momento
dell'elaborazione del blocco determina la priorità nell'esecuzione dei singoli
comandi che, anche se letti tutti insieme, vengono eseguiti separatamente. Ad
esempio nel caso si sia programmato contemporaneamente il movimento di
uno o più assi e l'accensione del mandrino, il CNC provvederà normalmente
ad accendere il mandrino prima di muovere gli assi;
• Funzione: la funzione è in pratica un comando, costituito da una lettera
e da un numero che ne costituisce il valore.
La programmazione EIA/ISO è una programmazione ad indirizzo con for-
mato alfanumerico. Ciascuna parola di un blocco è formata da un carattere
alfabetico detto "indirizzo" e da un numero che indica un valore o un codice
di funzione.

80
Le macchine utensili a controllo numerico e la generazione dei percorsi utensile

Figura 2.27: Esempio di blocco nel linguaggio ISO

Le istruzioni del linguaggio ISO, come già detto, si distinguono in:


• modali – il cui effetto si mantiene anche nei blocchi successivi a quello in
cui sono programmate;
• temporanee – con effetto valido solo per il blocco in cui sono program-
mate.
Sono modali anche le istruzioni associate agli indirizzi di movimento che
definiscono le coordinate dei punti del percorso utensile: A, B, C, U, V, W, X, Y
e Z. Pertanto se un movimento avviene parallelamente ad un asse di traslazio-
ne o la coordinata su un asse rotante non varia non è necessario ripetere nel
blocco successivo le coordinate che non variano, Figura 2.28.
Si riportano le istruzioni presenti con lo stesso significato in tutti i controlli:
All’accensione della macchina è attivo il metodo di programmazione as-
soluto (G90), mentre il metodo di programmazione incrementale è attivabile
mediante la funzione generale (G91), Figura 2.29. La programmazione asso-
luta viene riferita all’origine del sistema di riferimento rispetto al quale sono
definite le coordinate dei punti del percorso dell’utensile, la programmazione
incrementale riferisce la posizione del punto successivo del percorso al punto
immediatamente precedente.

81
Capitolo II
In Figura 2.30 uno stesso percorso viene programmato in assoluto ed in
incrementale.

Figura 2.28: Istruzioni di movimento: MODALI

Figura 2.29: G90 e G91

Figura 2.30: Programmazione assoluta ed incrementale

82
Le macchine utensili a controllo numerico e la generazione dei percorsi utensile
Nella programmazione incrementale non sempre è possibile tenere conto
del carattere modale delle istruzioni di movimento. Infatti, in presenza di un
tratto di percorso parallelo ad un asse nella programmazione assoluta non è
necessario specificare il valore numerico della coordinata che non varia men-
tre nella programmazione incrementale ciò genera un errore di programma-
zione che porta l’utensile verso il punto C’ di Figura 2.31.
• G00: il posizionamento è il movimento dell’utensile dalla posizione in
cui si trova a quella che deve raggiungere per iniziare la lavorazione.
Con tale istruzione il posizionamento avviene con velocità di rapido
senza contatto dell’utensile con il pezzo in quanto l’elevata velocità
provocherebbe danni alla macchina, all’utensile e al pezzo in lavora-
zione. Per poter essere eseguito è necessario fornire le coordinate del
punto finale, Figura 2.32;

Figura 2.31: Istruzioni di movimento modali nella programmazione incrementale

83
Capitolo II

Figura 2.32: Movimento in rapido

Figura 2.33: Interpolazione lineare

• G01 – Interpolazione lineare: il moto avviene con velocità di lavorazio-


ne, occorre indicare, Figura 2.33:
– le coordinate del punto finale;
– la velocità di rotazione del mandrino S [giro/min o m/min];
– la velocità di avanzamento F [mm/giro o mm/min];

84
Le macchine utensili a controllo numerico e la generazione dei percorsi utensile
L’attivazione della rotazione del mandrino è indispensabile per consentire
l’asportazione di truciolo.

• G02\G03 – Interpolazione circolare: l’utensile esegue un percorso cir-


colare con verso orario\antiorario rispettivamente, Figura 2.34.

La circonferenza da percorrere è definita:

– dai punti di inizio e fine percorso, (Figura 2.35) ai quali occorre associare;
– o le coordinate del centro individuate con gli indirizzi I, J, e K rispettivamen-
te rispetto all’asse X, Y,e Z, Figura 2.35b;
– o il raggio, Figura 2.35c;
– o l’estensione angolare del percorso, Figura 2.35d.

Occorrono tre di queste informazioni per definire compiutamente il per-


corso. Una è sempre il punto iniziale.

Figura 2.34: Interpolazione circolare

Figura 2.35: Definizione del percorso circolare

85
Capitolo II

Figura 2.36: Interpolazione circolare in tornitura

• G41\G42 – Attivazione della compensazione a sinistra\destra del per-


corso. Il percorso utensile viene programmato rispetto ad un punto di
riferimento, Figura 2.37.

In alcune operazioni il percorso del punto di riferimento del l’utensile coin-


cide con il profilo del disegno. In altre operazioni occorre distinguere tra:

• traiettoria dell’utensile;
• quota del disegno.

Figura 2.37: Punto di riferimento per la programmazione in a) tornitura; b) fresatura

86
Le macchine utensili a controllo numerico e la generazione dei percorsi utensile
La compensazione raggio utensile consente di programmare direttamente
utilizzando le quote del disegno. Tale istruzione agevola la programmazione in
quanto l’operatore può programmare il percorso sul profilo del pezzo.
Sarà il controllo numerico ad effettuare una traslazione del percorso di
entità pari al raggio dell’utensile.
Tale istruzione è utile nelle lavorazioni di contornitura in cui il centro della
fresa si discosta di una distanza pari al raggio dell’utensile dal bordo stesso.
Per un utensile di fresatura il punto che dovrà occupare le posizioni del
percorso di lavorazione è un punto posto sull’asse della fresa, mentre per il
tornio è la punta o il centro del raggio di raccordo della punta.
L’istruzione G40 disattiva la compensazione del raggio utensile, Figura 2.38.
• G17\G18\G19 – Impostano il piano di lavorazione (XY, ZX,YZ rispetti-
vamente, Figura 2.39)

• G54\G55\G56\G57 – Definiscono lo spostamento dell’origine della


lavorazione. Consentono di attivare le tabelle origini e quindi permet-
tono al controllo numerico di effettuare i calcoli per riferire il percorso,
programmato rispetto allo zero pezzo W, al punto zero macchina M,
Figura 2.40;

• G70\G71 - Impostano le unità di misura con cui dovranno essere inter-


pretati i numeri del part-program (pollici\metriche decimali);

Figura 2.38: Compensazione del raggio fresa

87
Capitolo II

Figura 2.39: Selezione piano di lavoro

Figura 2.40: Utilizzo delle istruzioni di spostamento origine

88
Le macchine utensili a controllo numerico e la generazione dei percorsi utensile
• G81\…\G89 – Cicli fissi: sono sequenze di lavorazioni scritte perma-
nentemente nella memoria del controllo che riducono i tempi di pro-
grammazione del ciclo e l’estensione del programma. Nel ciclo sono
programmati tutti i movimenti dell’utensile in entrata, eventuale sosta
sul fondo, inversione di rotazione e uscita. Oltre alla funzione di attiva-
zione ed alla dimensione dell’utensile vanno inserite:
- coordinate del punto di inizio lavorazione;
- distanza di sicurezza fra utensile e pezzo;
- incremento di passata e numero di passate;
- velocità di rotazione e velocità di avanzamento dell’utensile;
- profondità massima di lavorazione.

Figura 2.41: G81 - Ciclo di foratura

Permettono di eseguire:
- G81 - Foratura e centratura di fori (entrata a velocità di lavoro, uscita in
rapido), Figura 2.41;
- G82 - Foratura con sosta sul fondo, per fori ciechi non profondi e lamature
(entrata a velocità di lavoro, sosta temporizzata con l’istruzione G4, uscita
in rapido), Figura 2.42;
- G83 - Foratura profonda e scarico trucioli (entrata a velocità di lavoro, sosta
temporizzata, uscita in rapido fino alla quota di ingresso per scarico trucioli
ripetuta ad ogni passo fino al raggiungimento della profondità voluta), Fi-
gura 2.43;

89
Capitolo II
- G84 - Maschiatura, (entrata a velocità di lavoro, sosta temporizzata, inver-
sione rotazione utensile, estrazione a velocità di lavoro, inversione rotazio-
ne utensile), Figura 2.44;
- G85 - Alesatura, (entrata e uscita a velocità di lavoro, sosta temporizzata),
Figura 2.45;
- G86 - Barenatura, per allargare fori cilindrici (entrata e uscita a velocità di
lavoro, sosta temporizzata), Figura 2.46;
- G80 - Annullamento cicli fissi.

Figura 2.42: G82 – Ciclo di foratura con sosta temporizzata

Figura 2.43: G83 – Ciclo di foratura con scarico trucioli

90
Le macchine utensili a controllo numerico e la generazione dei percorsi utensile

Figura 2.44: G84 – Ciclo di maschiatura

Figura 2.45: G85 – Ciclo di alesatura

91
Capitolo II

Figura 2.46: G86 – Ciclo di barenatura

II ciclo è semplice se eseguito una sola volta (foratura), multiplo quando


viene eseguito più volte (foratura, maschiatura, alesatura).
Oltre ai cicli fissi possono essere utilizzati dei sottoprogrammi parametrici
o no che vengono memorizzati dal controllo e resi attivi quando vengono
richiamati dal programma principale.
Le istruzioni di indirizzo G vengono definite "funzioni preparatorie" perché
predispongono il modo di esecuzione delle istruzioni successive.

Le informazioni tecnologiche sono espresse con:


- S - velocità di rotazione del mandrino:
[m/min.], con G96;
[giri/min.], con G97;
- F - velocità di avanzamento:
[mm/min.] o [inch/min], con G94;
[mm/giro] o [inch/giro], con G95;
- T - scelta dell’utensile.

Sono funzioni ausiliarie o miscellanee e servono ad impartire comandi al


controllo e alla macchina utensile i codici:

- M00, stop programma;


- M02, fine programma (analogo ad M30);
- M03, rotazione oraria del mandrino;
- M04, rotazione antioraria del mandrino;
- M05, arresto rotazione mandrino;

92
Le macchine utensili a controllo numerico e la generazione dei percorsi utensile
- M06, cambio utensile;
- M08, immissione lubro-refrigerante nella zona di lavoro;
- M09, arresto immissione lubro-refrigerante.

Una rapida panoramica delle istruzioni ISO comuni a tutti i controlli nume-
rici è esposta nelle Figura 2.47 e Figura 2.48.
In Figura 2.49 si riporta una sintesi dei codici Iso comuni ai controlli.

Figura 2.47: Sintesi funzioni G

Figura 2.48: Sintesi funzioni M

Figura 2.49: Sintesi codici ISO

93
Capitolo II
Le caratteristiche desiderabili nella produzione meccanica:
• Produttività – ovvero la capacità di lavorare molti pezzi in un dato
periodo;
• Flessibilità – ovvero la capacità di adattarsi rapidamente a variazioni
della tipologia del pezzo da produrre;
sono garantite dalle macchine utensili a controllo numerico grazie:
• alla riduzione dei tempi morti;
• alla capacità di realizzare ogni tipo di lavorazione.
Il CNC è vantaggioso per:
• realizzazione di pezzi di forma complessa soprattutto per lavorazioni
con archi di cerchio;
• esecuzione di pezzi con tolleranze ristrette;
• lavorazioni con elevata velocità di taglio;
• operazioni ripetitive soprattutto se di breve durata, come ad esempio
la realizzazione di una griglia di fori di ugual diametro e poco profondi;
• realizzazione di pezzi simili tra loro ottenibili dallo stesso programma
mediante semplici modifiche.

Figura 2.50: Confronto tra tipologie di macchine

94
Le macchine utensili a controllo numerico e la generazione dei percorsi utensile
2.6 Integrazione CAD-CAM

Le innovazioni introdotte dall’informatica hanno permesso di avere una


sempre più stretta integrazione tra: progettazione, programmazione e lavo-
razione.
Il CAD/CAM è la tecnica maggiormente usata ed ha avuto una grande
evoluzione. I sistemi CAD (Computer Aided Design = Progettazione Assistita
dal Calcolatore) permettono di realizzare rapidamente: il disegno costruttivo
del Prodotto, la sua verifica, la modifica, il calcolo strutturale, la sua trasmissio-
ne alle tecnologie di produzione e l’archiviazione.
Il CAD, attraverso varie funzioni, consente di avere una completa visione
dello sviluppo del prodotto.
A differenza delle tecniche tradizionali ciò permette al progettista di avere
più tempo per l’ideazione nonché la possibilità di intervenire in maniera più
rapida con modifiche laddove fosse necessario.
L’utilizzo di un sistema CAD comporta vantaggi quali:

• alto grado di interattività tra progettista e calcolatore;


• integrazione tra disegno e calcolo delle strutture;
• possibilità di utilizzo della grafica computerizzata che in fase definitiva
può essere rappresentata con la classica messa in tavola dei disegni.

I modelli 2D e 3D del componente da produrre, vengono realizzati in


opportuni formati standard (IGES – Initial Graphics Exchange Specification,
STEP – Standard for the Exchange of Product model data, STL – STereo Litho-
graphy, quando non sussista integrazione tra software Cad e software CAM)
per consentirne l’importazione all’interno dei sistemi CAM (Computer Aided
Manufacturing ovvero Produzione Assistita dal Calcolatore).
La fase CAM è la fase di produzione che viene controllata e gestita dal
calcolatore. Il CAM, oltre ad effettuare la funzione di controllo diretto delle
macchine, realizza l’integrazione con il controllo di produzione e la pianifica-
zione della produzione.
Pertanto il sistema informatico controlla le macchine operatrici ed ha la su-
pervisione dell’intero processo produttivo legando le varie fasi di lavorazione ed
effettuando il controllo delle operazioni che permettono di realizzare il pezzo finito
partendo dal grezzo.
I sistemi integrati CAD/CAM, partendo dalla geometria del pezzo, la corre-
dano di tutte le informazioni relative alle lavorazioni da eseguire, vi associano
i parametri tecnologici e definiscono i cicli e le sequenze operative.
In pratica, i sistemi CAD/CAM generano automaticamente delle traiettorie
utensile, dopo aver ricevuto dall’utente tutte le informazioni relative all’utensi-
le, al ciclo di lavorazione, ai parametri tecnologici, etc.

Le fasi di una sessione di CAD/CAM sono le seguenti:

95
Capitolo II
• definizione delle geometrie: creazione o richiamo di un modello di lavo-
razione, composto generalmente da due file: uno contenente informazioni
relative al grezzo da lavorare; uno contenente le informazioni geometriche
relative al pezzo finito. La definizione delle geometrie viene realizzata in am-
biente CAD, mediante software più o meno flessibili che consentono di ge-
nerare tutte le informazioni necessarie per il loro utilizzo in ambiente CAM;
• definizione tecnologica: è la prima fase effettuata in ambiente CAM. I dati
grafici vengono trasformati in dati tecnologici; vengono inserite le informa-
zioni relative agli assi; si impostano lavorazioni elementari o complete sulla
geometria; si realizzano i sottoprogrammi di lavorazione; si crea un databa-
se contenente le tipologie degli utensili, le loro caratteristiche, i parametri
di taglio;
• definizione parametri ciclo: viene definita la sequenza delle operazioni, si
selezionano le lavorazioni per tipo e per utensile;
• verifica del ciclo di lavorazione: viene simulato il percorso utensile sia
complessivamente, sia per le singole operazioni. In tal modo è possibile in-
tervenire per eliminare gli errori prima dell’esecuzione delle lavorazioni alle
macchine utensili;
• modifica del ciclo di lavorazione: è possibile effettuare modifiche alla ge-
ometria e ai parametri tecnologici, recuperando le informazioni esistenti;
• generazione del cutter location file (CLF): l’insieme dei dati geometrici
e tecnologici relativi al percorso degli utensili vengono immessi nel Cut-
ter Location File, in formato APT (Automatically Programmed Tools – Pro-
grammazione Automatica degli Utensili) con la visualizzazione di una ta-
bella contenente gli utensili adoperati e il relativo foglio di lavorazione. La
generazione viene effettuata verificando e risolvendo eventuali aspetti di
conflittualità geometrica (Figura 2.51).

I vantaggi che possono derivare dall’uso di un sistema integrato CAD/CAM


sono rappresentati dalla possibilità di definire una geometria precisa del pez-
zo, sulla quale eseguire operazioni più o meno complesse (in quanto consente
la manipolazione di una mole di dati assai elevata), Figura 2.52.

Figura 2.51: Processo tradizionale CAD/CAM/NC

96
Le macchine utensili a controllo numerico e la generazione dei percorsi utensile

Figura 2.52: Integrazione CAD\CAM

Inoltre vi è la possibilità di verificare la sequenza delle varie fasi, prima


ancora di eseguire le lavorazioni, allo scopo di evidenziare l’eventuale presen-
za di errori di programmazione che possono compromettere il rispetto delle
specifiche progettuali del componente lavorato oppure indurre a collisioni a
bordo macchina, danni per l’utensile, per l’attrezzatura di fissaggio del pezzo
sulla macchina e per il grezzo in lavorazione.
L’insieme di queste operazioni definite pre-processamento e concluse con
la generazione del Cutter Location File, non sono vincolate ad una specifica
macchina utensile o ad uno specifico controllo numerico, ma definiscono un
ciclo di lavorazione indipendentemente dalla macchina su cui verrà realizzato
e quindi dal tipo di CN che verrà utilizzato.
La fasi successive che permettono di realizzare il pezzo avendo scelto la macchi-
na su cui realizzare la lavorazione sono le seguenti:

• realizzazione del post processor: a seconda del controllo numerico


e della macchina che si utilizza, viene realizzato il post processor che
altro non è che un traduttore software il quale trasforma il file APT,
precedentemente ottenuto, in Part Program - formato ISO, usufrui-
bile dalla macchina scelta per la lavorazione;
• collegamento con il controllo numerico: il CNC deve essere in grado
di ricevere i dati dall’esterno. La trasmissione dei dati può avvenire tra-
mite l’utilizzo di supporti magnetici, oppure per via diretta tramite bus.

Il post processor legge il CL file, diagnostica gli eventuali errori, risolve i


problemi geometrici e coordina i calcoli relativi al percorso utensile.

Pertanto un post-processor deve:


• eseguire le rototraslazioni delle traiettorie CAM adeguandole al siste-

97
Capitolo II
ma di riferimento e ai cinematismi della macchina scegliendo, in caso
di ambiguità, la soluzione migliore o più opportuna;
• verificare che non vengano superati i limiti tecnici (es.: corse, velocità,
etc.);
• definire il metodo e la modalità di utilizzo della macchina stessa, con-
sentendo, ad esempio, il rispetto delle funzioni di default, la gestione
delle posizioni di cambio utensile, dei correttori o del bloccaggio assi e,
laddove fosse necessario, controllare i movimenti in rapido e di lavoro,
oltre che i movimenti di approccio e di svincolo dell’utensile dal pezzo;
• richiamare le macro-istruzioni CAM in una serie di istruzioni eseguibili
dal CN (es.: AZERUT: istruzione per l’azzeramento dell’utensile attivo);
• consentire la gestione di tutti gli accessori della macchina (es.: lunetta,
contropunta, assi ausiliari, pallet, etc);
• controllare il rispetto di tutte le procedure.

Figura 2.53: Schema del metodo di programmazione automatico di macchine a CN

98
Le macchine utensili a controllo numerico e la generazione dei percorsi utensile
La maggior parte dei softwares CAD/CAM presenti sul mercato consento-
no, attraverso dei pacchetti applicativi integrati, la realizzazione e la gestione
dei files necessari e dedicati al post processing, senza far ricorso a ulteriori
strumenti informatici “esterni” di traduzione del cutter location file (APT) in
formato ISO, Figura 2.53.

L’utilizzo dei sistemi integrati CAD/CAM per la programmazione di macchi-


ne utensili CNC consente di avere diversi vantaggi:
• la geometria viene definita solo una volta in ambiente CAD e successi-
vamente integrata con le informazioni aggiuntive;
• riduzione del numero di informazioni presenti e riduzione del numero
di errori derivanti da una geometria definita non correttamente;
• riduzione del tempo di lavoro del programmatore grazie all’utilizzo di
geometrie predefinite;
• possibilità di eseguire operazioni più complesse;
• possibilità di verificare la sequenza delle varie fasi al fine di valutare la
presenza di eventuali errori di programmazione che possano determi-
nare collisioni;
• possibilità di ottimizzare il percorso utensile, sulla base di strategie di
taglio opportunamente scelte.

Tenuto conto di tutti i vantaggi derivanti dall’utilizzo di sistemi CAM è op-


portuno sottolineare che, pur consentendo una notevole semplificazione nelle
operazioni per programmare le macchine, queste ultime non hanno una co-
noscenza tecnologica tale da sottrarsi alla fase di interazione con l’operatore.
Infatti il sistema CAM non è in grado di correggere scelte e impostazioni erra-
te che determineranno errori nella lavorazione.
Nella realizzazione del processo di asportazione di truciolo per un determi-
nato componente è opportuno seguire una serie di passaggi più o meno fissi
che porteranno al prodotto finale. La sequenza più utilizzata è:

• analisi del pezzo da realizzare: si ricavano gli ingombri del pezzo, si


dimensiona il semilavorato di partenza, si analizzano le tolleranze di
forma e di dimensione e la rugosità del pezzo;
• realizzazione del file CAD: tramite l’utilizzo di un software CAD si
realizza la geometria del componente da produrre, tale geometria sarà
importata in ambiente CAM per la simulazione del percorso utensile.
In questa fase talvolta è opportuno anche realizzare una geometria
rappresentativa del grezzo di partenza;
• dimensionamento del grezzo: riferendosi alle dimensioni del pezzo

99
Capitolo II
precedentemente analizzate, si ricavano le dimensioni del grezzo di
partenza dal quale, attraverso le varie lavorazioni, si giungerà al pezzo
finito. In questa fase è necessario evitare che vi sia un eccesso di ma-
teriale non necessario ai fini della lavorazione, poiché questo compor-
terebbe un aumento di costi sia nella produzione sia nei tempi di la-
vorazione. Il grezzo per le lavorazioni per asportazione di truciolo può
avere anche geometria complessa in quanto può derivare da precedenti
processi tecnologici (fonderia, stampaggio a freddo, estrusione, etc.);
• analisi dei piazzamenti e dei sistemi di bloccaggio: in questa fase si
definiscono i posizionamenti (piazzamenti) che il grezzo o il semilavo-
rato dovrà avere nella macchina e i sistemi da adottare per il bloccag-
gio in modo che non vi siano interferenze con le lavorazioni da effet-
tuare. Questa analisi viene fatta in base alle caratteristiche fisiche della
macchina utensile, in seguito alla scelta delle lavorazioni da eseguire e
delle precedenze tra esse. Il numero di piazzamenti da adottare deve
essere il minore possibile poiché i cambiamenti di posizione determi-
nano un aumento dei tempi di produzione dovuti alla movimentazione
del pezzo e alla necessità di impostare nuovamente tutti i parametri
della macchina. Inoltre, in caso di movimentazione manuale, è più pro-
babile che si verifichino errori durante il riposizionamento con conse-
guenti errori in fase di realizzazione;
• scelta degli utensili: una volta stabilite le operazioni da eseguire si
scelgono gli utensili da impiegare. La scelta tiene conto della lavo-
razione, del materiale e del grado di finitura che si vuole ottenere. In
seguito, tramite opportune tabelle e opportune formule di calcolo, si
stabiliscono i parametri di taglio delle varie lavorazioni;
• scelta di origini e punti di riferimento: è una fase importantissima per-
ché l’individuazione di questi punti garantisce la corretta esecuzione
del part program;

• utilizzo del software CAM: una volta definiti tutti i passaggi si effet-
tua la programmazione in ambiente CAM. L’utilizzo di tali strumenti
consente di valutare differenti strategie di taglio per ogni tipo di la-
vorazione da effettuare e tramite i processi di simulazione e di verifica
permette di scegliere la strategia di taglio migliore per confronto con
quelli che sono gli obiettivi della lavorazione;
• utilizzo software di ottimizzazione e verifica: dopo la simulazione in
ambiente CAM si passa all’utilizzo di software di ottimizzazione e ve-
rifica. Tali software permettono di ottimizzare il percorso utensile sulla
base di parametri quali lo spessore del truciolo, il volume di materiale
rimosso, la velocità di taglio. Effettuata l’ottimizzazione, tali software
consentono di simulare in modo dettagliato la lavorazione in quanto

100
Le macchine utensili a controllo numerico e la generazione dei percorsi utensile
sono in grado di valutare la presenza di collisioni o interferenze tra
utensile e pezzo, difetti nel lavorato, eccessi o mancanze di materiale
e quantificare i vantaggi, in termini di tempi di esecuzione, apportati
dalla ottimizzazione del part program.

Figura 2.54: Il processo CAD – CAM

101
Capitolo II
2.7 Lo standard STEP-NC per le lavorazioni NC

Attualmente, nelle lavorazioni NC, viene utilizzata la programmazione tramite


codice ISO 6983, conosciuto anche come codice G.
Tale codice è stato sviluppato circa 50 anni fa, quando i calcolatori non
avevano le performance attuali.
Ci si trova così ad utilizzare, nella produzione, una tecnologia datata rispet-
to all’enorme sviluppo registrato nell’ambito ICT.
Tuttavia non si può trascurare il fatto che le condizioni necessarie per la
produzione automatica sono state sviluppate di recente portando ad un mi-
glioramento dell’efficienza nella produzione industriale.
Attualmente la catena del processo CAD\NC presenta un punto debole:
richiede un dispendioso lavoro di conversione di dati in diversi formati per
mettere in comunicazione i sistemi CAD\CAM con quello di NC.
Queste conversioni assorbono una elevata quantità di risorse, sono spesso
irreversibili e comportano irrimediabilmente una possibile perdita di informa-
zioni.
Il “collo di bottiglia” di questo processo si verifica alla fine; infatti, tradizio-
nalmente, le macchine utensili a controllo numerico sono programmate usan-
do un linguaggio basato sul “Go to” (codice G) e su funzioni macchina (codice
M), legate all’hardware e alle caratteristiche specifiche di ciascuna macchina
utensile.

Figura 2.55: Situazione Attuale tra CAD/CAM/NC

102
Le macchine utensili a controllo numerico e la generazione dei percorsi utensile

Tale linguaggio è definito nel vecchio standard ISO 6983 ed è ottenuto in


output dal postprocessor, in formato RS 274D (codice con cui la Electronic In-
dustry Association – EIA – sviluppò nei primi anni 60 il G – code), leggibile ed
eseguibile dallo specifico controllo numerico della macchina utensile.
I part program eseguiti su base standard ISO 6983 sono specifici per un
particolare controllo numerico: la fase di post processing eseguita per un con-
trollo Fanuc, ad esempio, è diversa da quella eseguita per un controllo Hei-
denhein, Figura 2.55.
Quindi si ottengono differenti part program che non possono essere ese-
guiti da macchine utensili dotate di differenti controlli, poichè non ne com-
prendono il linguaggio.
In conseguenza del progresso nel campo della ingegneria di processo, del-
la più alta complessità delle macchine utensili a controllo numerico, dei pro-
gressi nel campo dell’informatica, che mette a disposizione potenti strumenti
per l’integrazione tra i vari livelli di un processo industriale, il formato RS 274D,
dipendente dal particolare CNC scelto per la lavorazione, risulta obsoleto e
inappropriato.
Il problema con i dati di controllo del codice ISO è che essi non sono “por-
tabili” o “adattabili”:
• portabilità vuol dire che i dati devono essere generati per ogni macchina
utensile in cui la parte deve essere eseguita.
• adattabilità vuol dire che non vengono fornite informazioni alla macchina
per aiutarla ad adeguarsi in tempo reale ai cambiamenti in una lavorazione
dinamica (avanzamento e velocità di taglio).
La realizzazione di un’infrastruttura tecnologica per una lavorazione auto-
matica è un problema complesso, in quanto gli utenti devono avere visione
concorde circa gli standard che fanno riferimento ai dati del prodotto utili alla
definizione del processo di lavorazione.
A ciò va aggiunta la separazione che da sempre esiste tra la vita degli appli-
cativi software e le informazioni che essi producono.
Questo problema risulta più rilevante con l’evoluzione dei software perché
gli ambienti CAD ed i sistemi di analisi vengono costantemente aggiornati e
migliorati con frequenza annuale mentre progetti e piani di produzione per
prodotti complessi quali: aerei, navi, costruzioni, devono essere archiviati e
conservati per un periodo che va dai 30 ai 50 anni.
In questo modo ci si trova ad accumulare informazioni cruciali in files spe-
cifici che non potranno essere utilizzati nel lungo periodo.
Per questo motivo l’organizzazione internazionale degli standard (ISO) ha
sviluppato lo STEP (STandard for the Exchange of Product model data) con
l’obiettivo di ottenere uno standard per l’interscambio di dati geometrici tra
vari sistemi informatici.
Lo STEP e il suo derivato emergente STEP-NC, si pongono l’obiettivo di en-
trare nel cuore delle lavorazioni che impiegano macchine a controllo numerico.

103
Capitolo II
Di conseguenza lo standard internazionale prevalente di scambio di dati è
la norma ISO 10303, standard per lo scambio dei dati di modello del prodotto
(STEP).
Le parti di STEP implementate in sistemi software sono chiamate protocolli
di applicazione (AP). STEP AP238 è "l’applicativo per i controllori numerici e
computerizzati" e definisce l’interfaccia fra sistemi CAM e sistemi CNC. AP238,
o più comunemente STEP-NC (I-SO 14649), è uno standard per lo scambio di
dati di produzione globale. STEP-NC offre accurate e complete definizioni di
dati dalla progettazione alla realizzazione attraverso qualsiasi macchina uten-
sile.
Lo scopo dello STEP è dare una rappresentazione esplicita e completa dei
dati del prodotto riguardanti il suo intero ciclo di vita (dalla progettazione
alla realizzazione con eventuali miglioramenti). Negli odierni ambienti in cui
vengono elaborati i dati di produzione CAD/CAM/CAE si opera con dati molto
differenti, con scarse integrazioni ed una sostanziale ridondanza dei dati.
Di conseguenza, tutti o una parte dei dati CAD originali, vengono ricreati
da sistema a sistema in modo da mantenere le informazioni del progetto. A
questo bisogna aggiungere che i sistemi CAD continuano ad avere difficoltà
nel riconoscere o manipolare altri formati non generati per lo stesso sistema
CAD specifico ovvero in formato nativo.

2.8 Caratteristiche dello STEP-NC

I sistemi CAD/CAM hanno standardizzato lo scambio di dati che descrivono


le proprietà di un “prodotto”, principalmente la descrizione geometrica, con l’I-
SO 10303 (STEP), infatti i dati geometrici per workpieces (pezzi in lavorazione),
setup e caratteristiche di lavorazione, sono descritti con tale formato che viene
utilizzato direttamente dal CNC per evitare le conversioni fra formati di dati dif-
ferenti che potrebbero determinare un’efficienza ridotta.
Ciò significa che, nella fase di generazione del part program, il dato geo-
metrico deve essere arricchito con informazioni tecnologiche.
Dopo aver raggiunto l’obiettivo della standardizzazione delle informazioni
riguardanti i dati geometrici, si è reso opportuno uniformare i dati riguardanti
le lavorazioni e per questo si è dato il via al progetto per la realizzazione dello
STEP-NC.
Il concetto sul quale si basa è semplice: permettere a un database di mo-
delli di prodotto di servire come input diretto per una macchina utensile CNC.
In tal modo è possibile eliminare files di percorsi utensile separati, comandi G
ed M, post processors. Questo implica un approccio radicalmente diverso alla
programmazione CNC.
Lo STEP-NC è un estensione dello STEP, standard internazionale che spe-
cifica un formato di dati neutrale per l’informazione digitale su un prodotto.
Lo STEP permette a questi dati di essere scaricati e scambiati attraverso

104
Le macchine utensili a controllo numerico e la generazione dei percorsi utensile
piattaforme informatiche differenti, che altrimenti sarebbero incompatibili. Lo
STEP-NC determina uno standard che definisce come le informazioni sulle
lavorazioni CNC possano essere aggiunte nel modello di prodotto STEP, e rea-
lizza un part program CNC come una serie di operazioni di taglio stabilite sulla
base delle caratteristiche geometriche del pezzo.
Le caratteristiche supportate includono: fori, tasche, scanalature e volumi de-
finiti attraverso superfici 3D, genericamente definite “features”. Ogni operazione
contribuisce alla lavorazione di una “feature” determinando: il volume di materiale
da rimuovere, le tolleranze, il tipo di utensile richiesto ed alcune caratteristiche di
base come il tipo di operazione da effettuare (sgrossatura, finitura, foro).
Le operazioni sono ordinate in un work plan che converte i blocchi nel
pezzo finale. Il work plan può essere arricchito di informazioni di dettaglio ed
includere operazioni condizionali che dipendono dal risultato della verifica di
alcune operazioni; può anche essere diviso in sotto piani da eseguire contem-
poraneamente su macchine che hanno teste di taglio multiple.
STEP-NC definisce un nuovo protocollo di applicazione chiamato AP-238. Tale
AP è costruito sulle stesse basi degli altri Application Protocol STEP, quindi può
condividere i dati con questi protocolli.
Nella Figura 2.56 è rappresentato uno scenario in cui un dato sistema CAD
realizza un AP–203 (protocollo applicativo che serve a scambiare informazioni
geometriche) e lo invia ad un sistema CAM per la conversione nell’ AP–238
che, successivamente, sarà trasferito ad un CNC per la lavorazione.
Il sistema CAM non ha più bisogno di ridefinire la geometria fatta dal siste-
ma CAD perché i due AP condividono gli stessi dati, infatti il CAM aggiunge le
informazioni di processo ai dati CAD affinché il CNC abbia gli input necessari
per realizzare il pezzo. Rispetto ai tradizionali sistemi CAD/CAM il processo
viene notevolmente velocizzato.
Una caratteristica fondamentale dello STEP-NC e dei programmi che usano
l’AP-238 è la non dipendenza dal tipo di macchina o più in generale dall’azien-
da in cui questa è installata.
Se una macchina ha delle caratteristiche di base (assi, grandezza della ta-
vola, etc) e per eseguire una lavorazione necessita di un part program, scritto
in G code, con delle istruzioni specifiche per quella macchina allora un “com-
pilatore” STEP-NC sarà in grado di convertire il part program in una sequenza
di movimenti utensile per quella macchina e per qualsiasi altra macchina, di
qualsiasi altra azienda nel mondo, che si voglia utilizzare per eseguire quella
specifica lavorazione.

Figura 2.56: Scambio informazioni con STEP NC

105
Capitolo II

Nella nuova metodologia, le aziende possono continuare ad utilizzare i


propri sistemi CAD e CAM, ma il risultato è l’invio al CNC di file STEP-NC
AP–238 invece di file RS274D. Il cambiamento è limitato perché, per ciascun
sistema, è sufficiente modificare l’interfaccia, ma i vantaggi sono significativi:
• Il file AP-238 può far sviluppare un part program CNC molto più effi-
ciente perché il programmatore deve solo descrivere le operazioni da
realizzare sulla macchina e non i movimenti dell’utensile necessari per
realizzare queste operazioni;
• L’AP-238 permette al CNC di ottimizzare e controllare un part program
in base all’utensile disponibile al momento della lavorazione invece
che fissarlo in fase di progettazione;
• Il file AP-238 riduce le specifiche sui disegni in fase di progettazione e
permette alla produzione di inviare le richieste di modifica alla proget-
tazione annotando le informazioni originali del disegno;
• Il file AP-238 rende i dati di lavorazione trasferibili tra macchine e
aziende e permette di realizzare un pezzo su ciascuna macchina con
sufficienti informazioni.
Lo STEP-NC consente la realizzazione di un database completo delle infor-
mazioni di lavorazione riferite al modello di prodotto digitale, completandolo
in maniera tale che possa servire come input per la macchina utensile.
Questo database è strutturato in modo che le caratteristiche del pezzo
siano collegate a specifici “workingsteps”, descrizioni generiche di differenti
operazioni di lavorazione.
Ogni workingstep descrive una singola lavorazione utilizzando un utensile
ed una strategia. Ne sono esempi la sgrossatura di una tasca o l’operazione di
finitura di una regione di una superficie libera, Figura 2.57.
I workingsteps si possono considerare equivalenti ai comandi di lavorazio-
ne realizzati con il tradizionale codice G.
Con il concetto di ”working plan” invece, il processo di lavorazione pren-
de la configurazione di un flusso operativo. Per eseguire una lavorazione una
macchina utensile potrà ricevere un file con dati STEP-NC, interpretarne il si-
gnificato e procedere con la lavorazione del pezzo senza nessun altra istru-
zione.
Adottando questo metodo di lavoro si evita le programmazioni di più mac-
chine utensili per ciascun singolo pezzo. L’adozione di questo metodo di stan-
dardizzazione comporta un ulteriore beneficio: dato un set di workingsteps
standard tutti i produttori saranno in grado di condividere le informazioni in
esso contenute istantaneamente.
Un file CAD convertito in STEP-NC e completato delle informazioni neces-
sarie, può essere inviato tramite internet in una postazione di lavoro remota,
dove la lavorazione può essere immediatamente eseguita.
Grazie all’utilizzo del linguaggio XML lo STEP-NC è di fatto un formato
“pronto per internet”, per e-manufacturing globali. Un'altra caratteristica che

106
Le macchine utensili a controllo numerico e la generazione dei percorsi utensile
differenzia lo STEP dagli altri standard è che non è sviluppato dagli sviluppa-
tori e venditori degli applicativi software tradizionalmente utilizzati, ma dagli
utilizzatori: standard guidati dagli utenti sono orientati ai risultati, standard
guidati dai venditori sono orientati alla tecnologia.
Lo STEP è progettato per resistere ai cambiamenti presenti nelle tecnologie
e può essere usato per archiviare per lunghi periodi i dati dei prodotti, dando
più rilevanza ai risultati che alla tecnologia. Riassumendo, si può affermare che
lo STEP-NC è uno standard mondiale sviluppato dall’ISO per estendere lo STEP
in modo che possa definire dati per le macchine NC.
è un nuovo modello di trasferimento dati tra sistemi CAD/CAM e macchine
CNC che sostituisce l’ISO 6983. STEP-NC permetterà ai sistemi CNC di diven-
tare più intelligenti.
Oggi, questi sistemi sono limitati poiché non ricevono alcuna informazione
sul prodotto e sul processo. Con STEP-NC potranno ricevere molte più infor-
mazioni.
Nel breve periodo questo cambiamento renderà i sistemi CNC più semplici
e più sicuri da utilizzare. Nel lungo periodo vi potranno essere cambiamenti
più drastici perché molte nuove applicazioni saranno consentite dalle nuove
informazioni.
Il principio fondamentale del nuovo modello di dati è la programmazione
in termini di caratteristiche di lavorazione (fori, tasche, superfici) invece di una
diretta codifica delle sequenze dei movimenti degli assi e delle funzioni degli
utensili.

Figura 2.57: Schema di funzionamento di STEP-NC con workingsteps

È stato stimato che attuando pienamente l’impiego dello standard STEP-


NC i job shop saranno in grado di ridurre il tempo necessario per raggiungere
i propri scopi produttivi del 35 per cento, mentre i produttori saranno in grado

107
Capitolo II

di ridurre il tempo che impiegano per preparare i dati per i loro fornitori di
ben il 75 per cento, se saranno in grado di condividere perfettamente i dati di
progettazione e di produzione nel loro database.
STEP-NC riduce il tempo di lavorazione per i lotti di produzione medio-
piccoli del 50 per cento poiché è in grado di ottimizzare la velocità di taglio e
l’avanzamento con pochi interventi da parte di programmatori o di operatori
macchina.
Questo fattore rende più agevole e sicuro l’uso di programmi ad alta velo-
cità e di macchine a cinque assi.

2.9 I WorkingSteps

Ogni machining workingstep indica il processo di lavorazione per un’area


specifica del workpiece (pezzo), Figura 2.58.
Al contrario degli altri workingsteps, il machining workingstep non può
esistere indipendentemente dalla sua caratteristica di riferimento.

Figura 2.58: Esempio di geometria in lavorazione

I workingsteps specificano le associazioni tra una “feature” ed un’operazio-


ne da effettuare su di essa.
Così, se ci si riferisce, ad esempio ai quattro fori in verde in Figura 2.58,
essi costituiscono le caratteristiche, o features da lavorare, CS_HOLE_1 che
raggruppa nel proprio interno le features simili, è la geometria da lavorare e
le singole operazioni che lavorano tale geometria sono i machining working-
steps.
Ciò elimina l’ambiguità delle relazioni tra caratteristiche e lavorazioni, al
punto da creare una specifica chiara immediatamente eseguibile senza alcuna
ambiguità dalla macchina.
Il machining workingstep è caratterizzato dall’utilizzo di un singolo uten-

108
Le macchine utensili a controllo numerico e la generazione dei percorsi utensile

sile ed un set di parametri tecnologici che normalmente rimangono costanti


durante la sua esecuzione.
Durante l’esecuzione di un workingstep non è consentito il cambio utensile
pertanto, se necessario, va effettuato come operazione preliminare.
Ogni workingstep è caratterizzato da differenti attributi quali:
• id: serve per identificare il workingstep
• feature: indica la caratteristica sulla quale opera il workingstep
• operation: indica l’operazione che verrà effettuata sulla relativa feature
• effect: serve per indicare l’effetto previsto dallo svolgimento della la-
vorazione
• secplane: permette di definire il piano di sicurezza per il workingstep
• ws time: indica il tempo per completare il workingstep
• machine set: indica la macchina sulla quale viene effettuato il working-
step
• alternative ws: indica un workingstep alternativo a quello descritto.

Definiti i workingsteps, le precedenze fra loro e gli eventuali workingsteps


alternativi è possibile effettuare la lavorazione del pezzo.

2.10 Integrazione CAD\CAM e NC attraverso lo STEP-NC

Lo scambio continuo e flessibile di informazioni all’interno dei processi in-


dustriali è alla base di un incremento dell’efficienza di produzione. Il campo
delle tecnologie Computer Aided, spinto dalle pressioni dei produttori, i quali
desiderano sviluppare i loro prodotti nel più breve tempo possibile, con minori
costi ed elevata qualità, vive un periodo di intenso progresso.
In risposta a tali esigenze è nata una nuova proposta di standard ISO per
lo scambio delle informazioni tra CAD\CAM e NC: lo STEP-NC che sostituisce
il formato RS 274D e si basa sulla ISO 14649 e ISO 10303.
Il nuovo modello di trasferimento dei dati tra sistemi CAD\CAM e macchine
CNC, fa si che i dati CAD\CAM siano l’unica fonte di informazione, come input
per il controllo numerico senza conversione di dati in diversi formati.
Tutte le componenti in gioco del processo CAD\NC, ricevono, elaborano
ed inviano i propri dati secondo un unico formato standard, comprensibile a
tutti i controlli, rendendo ancor più semplice l’integrazione tra le varie fasi del
processo di produzione.
In quest’ottica la conoscenza approfondita del flusso di informazioni scam-
biate all’interno dei processi produttivi permette di avere una conoscenza glo-
bale del processo, scegliere in maniera più appropriata il piano di produzione
da attuare, importare i parametri di processo in maniera rapida ed efficace,
migliorare la produzione e di conseguenza essere in grado di adattare di-
namicamente la struttura del flusso di dati all’interno del processo stesso, in
relazione ai cambiamenti, con minori effetti negativi.
Mentre un part program redatto secondo lo standard ISO 6983 contiene

109
Capitolo II

codici di movimento dell’utensile (G1, G2, G3) e istruzioni legate alle caratteri-
stiche della specifica macchina, un part program in formato STEP-NC contiene
una serie di operazioni cui sono attribuite le lavorazioni delle cosiddette “fea-
tures” (fori, tasche, etc.), Figura 2.59.
Lo STEP-NC definisce un part program come una serie di operazioni che
rimuovono materiale definito dalle features geometriche che si vogliono ot-
tenere a valle della lavorazione che si sta progettando. Le features supportate
includono in generale volumi definiti da superfici 3D.
Ogni operazione contribuisce alla lavorazione di una feature attraverso la
definizione del materiale che deve essere rimosso, la tolleranza, il tipo di uten-
sile richiesto e alcune caratteristiche di base come il fatto di definire se si tratta
di un’operazione di sgrossatura o finitura.

Si possono individuare quattro vantaggi dello STEP-NC:

• cancella i difetti dell’ ISO 6983 andando a specificare il processo di


lavorazione invece del percorso utensile, descrivendo "cosa fare", più
che "come fare";
• si basa sul concetto “Workingstep” corrispondente ad una feature di
lavorazione con associati i parametri di lavorazione;
• è feature-oriented ed è inteso a facilitare la creazione e la modifica del
programma di lavorazione;
• può essere eseguito su qualsiasi macchina utensile indipendentemente
dal controllo di cui è dotata, Figura 2.60.

Figura 2.59: Confronto tra sistema CAD\CAM tradizionale e sistema CAD\CAM che adotta lo STEP-NC

110
Le macchine utensili a controllo numerico e la generazione dei percorsi utensile
Un sistema integrato CAD\CAM dovrà fornire in uscita le features di lavo-
razione, la sequenza di operazioni, il percorso e le informazioni utensile nel
formato STEP-NC, che verranno tradotti in movimento dei propri assi da una
qualsiasi macchina a controllo numerico.

Figura 2.60: Unico formato per qualsiasi macchina utensile

Se fino a poco tempo fa era un software (postprocessor) a generare il co-


dice per una specifica macchina utensile, adesso i moderni sistemi CAD\CAM
generano un file contenente i vari step di lavorazione (Workingsteps) e i CNC
sono responsabili direttamente della traduzione del file in percorso utensile.
I dati di processo CAD\NC, scambiati sulla base del vecchio standard ISO
6983, generano un flusso di informazioni unidirezionale: una modifica effet-
tuata nella fase di “machining” difficilmente può essere trasmessa a monte
della catena di processo, per via delle informazioni di basso contenuto che
giungono al reparto macchine (scarne istruzioni di movimento e di funzioni
macchina) e dell’impossibilità di riconversione di dati.
Il codice RS274D, inoltre, non supporta geometrie complesse, crea pro-
grammi di grosse dimensioni, difficile da gestire, il post-processor deve essere
specifico della macchina che deve eseguire l’operazione (ne esistono diverse
migliaia), non riscontra i requisiti tecnologici delle moderne NC con degrado
delle informazioni collegate, Figura 2.61.
Con l’introduzione dello STEP-NC queste problematiche verranno superate, sia
perché sarà più semplice a livello “machining” riconoscere la feature di lavorazione
e quindi l’operazione ad essa associata (informazione di alto livello), ma soprattutto
perché il database STEP-NC sarà l’unica fonte di integrazione e di scambio dati tra
le diverse fasi del processo e quindi non si avranno più conversioni di dati.

111
Capitolo II

Figura 2.61: Svantaggi del codice RS274D

Figura 2.62: Nuovo processo mediante STEP-NC

Per cui un eventuale modifica a valle del processo produttivo verrà auto-
maticamente riversata nel database STEP-NC e da qui ai livelli a monte della
catena di processo, Figura 2.62.

2.11 Norma ISO 10303-238

Nella prospettiva del concurrent engineering e della cosiddetta “qualità


totale”, la conoscenza di prodotto gioca un ruolo fondamentale: essa deve
essere inevitabilmente trasmessa da un settore all’altro dell’azienda durante
tutto il ciclo di produzione e coinvolge inoltre tutto il sistema azienda – forni-
tore – cliente.
Un’efficace rappresentazione di tale conoscenza consente di ridurre il costo

112
Le macchine utensili a controllo numerico e la generazione dei percorsi utensile
delle comunicazioni tra le diverse fasi del processo di produzione, e di minimizzare
i “loop” all’interno del processo.
L’obbiettivo è di fornire un meccanismo consolidato in grado di descrivere i
prodotti durante il loro ciclo di vita; cosa che è già stata in gran parte realizzata
con l’approccio strategico alla gestione delle informazioni cioè il PLM - Product
Lifecycle Management, ma che potrà essere migliorata attraverso l’integrazione tra
CAD\CAM e NC secondo il nuovo approccio STEP-NC descritto nella norma ISO
10303.
La norma ISO 10303 (conosciuta come STEP, acronimo per l’ International
STandard for the Exchange of Product Model Data = standard Internazionale per
lo scambio dei dati del Modello Prodotto) definisce uno standard internazionale
per la rappresentazione e lo scambio delle informazioni di prodotto, con l’utilizzo
di avanzati sistemi informatici a supporto del ciclo di produzione.
Lo STEP è uno standard dell’ ISO che consiste in una serie di protocolli applicati-
vi (APs), ciascuno pubblicato separatamente, che provvedono ad una rappresenta-
zione elettronica neutrale non ambigua, di dati e comunicazione di licenza tra CAD,
CAM, CAE, ed i sistemi di PDM (Product Data Management = Gestione di dati di
Prodotto), Figura 2.63.
Anche la configurazione di file di dati usa l’estensione STP.
STEP descrive come rappresentare e scambiare informazioni digitali di Prodot-
to. Sono svariati i sistemi in progettazione ed in produzione sono usati per maneg-
giare dati tecnici di Prodotto.
Ogni sistema ha il proprio formato dati ciò comporta un dispendio notevole di
risorse per la conversione dei dati da un formato all’altro nonché per la gestione di
questi formati con una elevata probabilità di incorrere in errori.
Nel corso degli anni sono state proposte molte soluzioni. La più efficace è stata
quella dello standard per lo scambio di dati. I primi tentativi furono di carattere na-
zionale e si concentrarono sullo scambio di dati geometrici (SET in Francia, VDAFS
in Germania e Initial Graphics Exchange Specification – IGES – negli Stati Uniti).
In un secondo tempo fu compiuto uno sforzo collettivo con l'Organizzazione di
Standard Internazionale (ISO) atto a produrre uno Standard Internazionale per tutti
gli aspetti dei dati tecnici di Prodotto e fu chiamato STEP.
Alla fine degli anni 90, un team costituito da membri europei, coreani e giap-
ponesi ha iniziato a sviluppare un nuovo linguaggio di programmazione CNC 3D
chiamato STEP-NC.

Figura 2.63: Ambienti di sviluppo Prodotto\Processo che possono comunicare in formato STEP

113
Capitolo II

Il nuovo linguaggio utilizza la geometria dello STEP per definire le modalità


con cui la macchina CNC deve rimuovere il volume di materiale, da un pezzo
in lavorazione per ottenere la caratteristica geometrica dettagliata nel disegno
di Prodotto.
Attualmente tutti i software CAD/CAM contengono un modulo per leggere
e scrivere dati definito entro uno dei Protocolli Applicativi di STEP (AP’s).
Negli Stati Uniti il protocollo comunemente usato è denominato AP-203,
protocollo usato per scambiare dati che contengono solo informazioni ge-
ometriche. In Europa è utilizzato un protocollo molto simile che compie la
stessa funzione e reca le stesse informazioni (AP-214).
I due protocolli sono “armonizzati” e possono essere indifferentemente
processati con i diversi software. Un elenco di Protocolli Applicativi di STEP
(AP) è fornito in Tabella 2.1.
L'abilità di supportare molti protocolli all'interno di una struttura è uno
dei punti di forza dello STEP. Tutti i protocolli sono costruiti sullo stesso set
di Risorse Integrate (IR’s) in modo da usare le stesse definizioni per le stesse
informazioni.
Per esempio, l’AP-203 e l’AP-214 usano le stesse definizioni per la geo-
metria tridimensionale, dati di assemblato ed informazioni base di prodotto.
Quindi gli sviluppatori di sistemi CAD li possono adottare in modo equivalente.
In Figura 2.64 si evidenziano gli AP coinvolti nei processi di lavorazione per
asportazione di truciolo.
Tabella 2.1: Elenco dei protocolli applicativi (AP) per lo standard

STEP
Part 201 Explicit Drafting
Part 202 Associative Drafting
Part 203 Configuration Controlled Design
Part 204 Mechanical Design Using Boundary Representation
Part 205 Mechanical Design Using Surface Representation
Part 206 Mechanical Design Using Wireframe Representation
Part 207 Sheet Metal Dies and Blocks
Part 208 Life Cycle Product Change Process
Part 209 Design Through Analysis of Composite and Metallic Structures
Part 210 Electronic Printed Circuit Assembly, Design and Manufacturing
Part 211 Electronics Test Diagnostics and Remanufacture
Part 212 Electrotechnical Plants
Part 213 Numerical Control Process Plans for Machined Parts
Part 214 Core Data for Automotive Mechanical Design Processes
Part 215 Ship Arrangement

114
Le macchine utensili a controllo numerico e la generazione dei percorsi utensile

STEP
Part 216 Ship Molded Forms
Part 217 Ship Piping
Part 218 Ship Structures
Part 219 Dimensional Inspection Process Planning for CMMs
Part 220 Printed Circuit Assembly Manufacturing Planning
Part 221 Functional Data and Schematic Representation for Process Plans
Part 222 Design Engineering to Manufacturing for Composite Structures
Part 223 Exchange of Design and Manufacturing DPD for Com-posites
Part 224 Mechanical Product Definition for Process Planning
Part 225 Structural Building Elements Using Explicit Shape Rep
Part 226 Shipbuilding Mechanical Systems
Part 227 Plant Spatial Configuration
Part 228 Building Services
Part 229 Design and Manufacturing Information for Forged Parts
Part 230 Building Structure frame steelwork
Part 231 Process Engineering Data
Part 232 Technical Data Packaging
Part 233 Systems Engineering Data Representation
Part 234 Ship Operational logs, records and messages
Part 235 Materials Information for products
Part 236 Furniture product and project
Part 237 Computational Fluid Dynamic
Part 238 Integrated CNC Machining
Part 239 Product Life Cycle Support
Part 240 Process Planning

Ogni Protocollo Applicativo ha una propria finalità, un diagramma di atti-


vità che descrive le funzioni necessarie ed un Modello di Requisito Applicativo
che descrive le informazioni per quelle attività.
Questi requisiti di informazioni sono progettati in un set di Risorse Integra-
te ed il risultato è uno standard di scambio dati per le attività.
Il traguardo, ancora lontano, per lo STEP è di coprire l’ intero ciclo di vita
per tutti i tipi di prodotti, dal disegno concettuale alla disposizione finale.
Attualmente il vantaggio più tangibile per utenti che utilizzano il formato dello
STEP è la semplicità nello scambio di dati geometrici come modelli solidi ed assem-
blati di modelli solidi. Altri standard di scambio dati, come le versioni più recenti
di IGES, supportano tale scambio dati in modelli solidi, ma meno efficacemente.
Nel 1996, era opinione diffusa che dati di modelli geometrici non potesse-

115
Capitolo II
ro essere scambiati tra sistemi che usavano uno standard neutrale. Nonostan-
te ciò, nel 1997 Ford, Allied Signal e STEP Tools, Inc. documentarono i primi
successi nello scambio di dati geometrici 3D usando il formato STEP.
Questa capacità di base fu dimostrata in un progetto pilota (chiamato Ae-
roSTEP) sviluppato da Boeing ed i suoi fornitori di motori aeronautici.

Figura 2.64: Informazioni definite dallo STEP per le lavorazioni

Questo progetto cominciò con lo scambio di semplici modelli sfaccettati e suc-


cessivamente dimostrò la capacità di garantire lo scambio di modelli di maggiore
complessità. Il progetto AeroSTEP dimostrò che il formato STEP poteva essere
utile per lo scambio dati tra partners che collaborano allo sviluppo di un Prodotto.
Di conseguenza, vennero formati forum di venditori di software CAD in Euro-
pa, in Estremo Oriente e Stati Uniti e la qualità dei traduttori fu potenziata al punto
da permettere a chiunque dal 2001, incluso utenti comuni in piccole officine di
usare il formato STEP per lo scambio dati geometrici.
L’Application protocol 238 (AP 238), rappresenta un protocollo per la definizio-
ne, l’implementazione e la gestione dello scambio dati tra sistemi CAD\CAM e NC.
La norma 10303 è una evoluzione della norma 14649 sull’integrazione CAD\
NC, grazie al nuovo modello di dati per i controlli numerici, ovvero l’AP 238 defini-
sce lo standard per l’implementazione delle “feature di lavorazione” all’interno del
nuovo modello di part program.
Essa si presenta come una libreria di “classi d’informazione” descritta in un
linguaggio di programmazione opportunamente definito (EXPRESS) appartenen-
te allo standard stesso, che consente di rappresentare informazioni relative alla
geometria, alla struttura del prodotto, alle tolleranze di lavorazione, ai materiali
utilizzati etc.
Tali classi d’informazioni, definite “Units of Functionality (UoF), introducono
una suddivisione in categorie delle informazioni necessarie al controllo numerico

116
Le macchine utensili a controllo numerico e la generazione dei percorsi utensile
per eseguire le lavorazioni.
Di seguito si riporta, a titolo di esempio, un elenco di alcune delle classi d’in-
formazioni definite in questa norma:
• Manufacturing feature: è il contenitore delle informazioni che identifica
le features di lavorazione. Queste informazioni rappresentano il volume di
materiale rimosso durante una lavorazione o quello risultante da una serie
di operazioni;
• Toolpath: specifica le informazioni sul moto di taglio e sulla traiettoria
dell’utensile che devono essere trasferite al controllo numerico per poter
comandare il movimento dell’utensile sulla macchina;
• Process data for milling: contiene le informazioni da trasferire al control-
lo numerico riguardo le operazioni di fresatura e foratura, con rispettivi
parametri di taglio e strategie di percorso;
• Cutting tools for milling: specifica le informazioni necessarie riguardo
agli utensili specifici per la fresatura e la foratura;
• Process data for turning: contiene le informazioni da trasferire al con-
trollo numerico riguardo le operazioni di tornitura, con rispettivi parametri
di taglio e strategie di percorso;
• Geometric dimensioning and tolerancing: costituisce il contenitore del-
le informazioni da trasferire al controllo numerico riguardo le tolleranze
geometriche e dimensionali, nonché il campo di variazione ammesso per
gli scopi della lavorazione. Inoltre, specifica le informazioni necessarie per
descrivere le tolleranze geometriche (perpendicolarità, parallelismo ecc.).
Ognuno di questi contenitori di informazioni (UoF) presenta al suo interno un
insieme di oggetti, chiamati “Application Objects” (AO), ciascuno dei quali, a sua
volta, costituisce un’entità precisa da trasmettere al controllo numerico.
Per esempio, l’UoF Manufacturing Feature ingloba al suo interno l’AO “feature
di lavorazione”. Ciascun application object è definito attraverso una sequenza di
stringhe di codice scritti in linguaggio EXPRESS.
Queste informazioni sono contenute nel nuovo modello di part program nel
formato STEP-NC e quindi tradotte in operazioni (workingstep) dal controllo della
macchina utensile.
Esempi di application objects definiti per questa classe di dati possono essere
entità geometriche quali: le tasche e i fori.

Bibliografia
Marco Santochi, Francesco Giusti, Tecnologia Meccanica e Studi di fabbricazione,
seconda edizione, Casa Editrice Ambrosiana
Xun Xu, Andrew Y.C.Nee, Advanced Design and Manufacturing Based on STEP,
Springer-Verlag London Limited 2009
Norma ISO 10303-238

117
Capitolo III

Il metodo degli elementi finiti e la sua


applicazione per lo sviluppo prodotto/processo
A. Del Prete, A. Anglani con la collaborazione di Barbara Manisi
e di Emilia Mariano

3.1 Introduzione

L’analisi a elementi finiti (Finite Element Analysis, FEA) ha, negli ultimi de-
cenni, acquisito un’enorme popolarità e diffusione ed è attualmente un fattore
di elevata importanza per lo sviluppo di nuove soluzioni Prodotto/Processo.
Soluzioni numeriche particolarmente complesse sono ora possibili in modo
routinario grazie all’utilizzo della FEA.
Essa presenta, comunque, alcuni svantaggi derivanti dal fatto di non essere
in grado di fornire indicazioni attendibili su come varia la risposta in termini
di sollecitazioni di una determinata soluzione al variare ad esempio delle ca-
ratteristiche del materiale costitutivo o delle caratteristiche geometriche della
soluzione presa in considerazione.
Sarebbe, quindi, più opportuno affermare che, allo stato attuale, la solu-
zione offerta ai problemi molto complessi dalla FEA, è di valido supporto ai
progettisti che vogliono investigare soluzioni innovative e più performanti per
confronto con gli standard di riferimento.
Nella pratica, un’analisi ad elementi finiti è costituita da tre fasi principali:

- Pre Processing: l’utente costruisce un modello del componente da analiz-


zare discretizzandone la struttura continua grazie all’utilizzo di una griglia
(mesh) costituita da elementi, in numero finito, collegati tra loro ai vertici di
ciascun elemento che individuano i nodi della mesh. In alcuni di questi nodi
potranno essere assegnati degli spostamenti imposti o delle forze presta-
bilite. Questa fase di modellazione può essere estremamente dispendiosa,
dal punto di vista del tempo necessario, e questo è un importante punto
di competizione tra i vari codici ad elementi finiti commercialmente dispo-
nibili che hanno delle Graphic User Interfaces (GUI) quanto più possibile
userfriendly. Normalmente, la discretizzazione del componente (meshing)
viene effettuata utilizzando come dato di input il modello CAD del compo-
nente di interesse.
- Analisi: il set di dati preparato dal pre-processor è utilizzato come input per
il solutore a elementi finiti che, compone e risolve il sistema di equazioni
algebriche lineari e non lineari:

Kijuj = fi Eq.3.1

119
Capitolo III

Dove u ed f sono, rispettivamente, i vettori degli spostamenti e delle forze


applicate ai nodi del modello discretizzato.
La creazione della matrice K dipende dal tipo di problema approcciato,
in termini di tipo di discretizzazione adottate (ad esempio se sono stati
utilizzati elementi monodimensionali, quali barre, oppure bidimensionali,
quali piastre). I solutori a elementi finiti commerciali propongono svariate
soluzioni in termini di tipologie di elementi finiti disponibili con la possi-
bilità di scegliere la soluzione più appropriata per il contesto simulativo di
interesse. Uno dei vantaggi principali della FEA è rappresentato dal fatto
che uno stesso solutore può fornire utili indicazioni in diverse condizioni di
calcolo utilizzando la tipologia di elemento più opportuno per simulare la
condizione operativa d’interesse.
- Post Processing: una volta risolto il sistema di equazioni composto a valle
della fase di pre-processing, il solutore renderà disponibili i dati relativi
alla soluzione del problema posto. I dati prodotti contengono le risposte
(responses) del sistema alle sollecitazioni (carichi, spostamenti) imposti in
termini di: distribuzione di spostamenti, distribuzione di deformazioni, di-
stribuzione di tensioni, etc. rilevabili sui nodi degli elementi che rappresen-
tano il componente discretizzato.
In funzione del problema analizzato, si adotteranno specifiche procedure di
post processing tese a evidenziare le grandezze d’interesse della problematica
oggetto di studio. Ad esempio, nel caso della simulazione dello stampaggio
della lamiera si valuteranno: la distribuzione degli assottigliamenti della lamie-
ra, la distribuzione delle deformazioni plastiche sul componente imbutito e il
diagramma limite di formabilità nelle condizioni di fine lavorazione.

3.2 Applicazione delle tecniche di calcolo ad elementi finiti

Nella realizzazione di sistemi ingegneristici complessi quali sono quelli che


riguardano diversi campi industriali, ingegneri e progettisti sempre più spesso
ricorrono a tecniche sofisticate di: modellazione, simulazione, calcolo, visualiz-
zazione, prototipazione ed infine di produzione.
Si noti come, la maggior parte delle risorse impegnate nelle fasi precedenti
a quella di avviamento della produzione del prodotto finale sono proprio fina-
lizzate nell’eseguire gli step sopra menzionati.
Tali sforzi sono opportunamente mirati a verificare la fattibilità del prodot-
to, in fase di sviluppo, ed il suo costo, al fine di avere un posizionamento ideale
nel mercato di riferimento.
Per sua stessa costituzione questo processo di verifica è spesso e volentieri
iterativo e ciò comporta, come conseguenza, che alcune delle procedure di
verifica sono eseguite più volte, in funzione dei risultati che si ottengono, al
fine di raggiungere le performance ottimali per confronto con il massimo con-
tenimento dei costi possibile.

120
Il metodo degli elementi finiti e la sua applicazione per lo sviluppo prodotto/processo

Questo approccio spiega il perché di una sempre maggiore diffusione da


un lato ed intensificazione dall’altro dell’utilizzo delle tecniche di simulazione
ad elementi finiti che consentono in tempi ragionevoli di esplorare un elevato
numero di configurazioni possibili dando le necessarie risposte a richieste del
tipo: “What if ?”.
Una buona comprensione e conoscenza di queste tecniche è fondamentale
per la messa a punto di sistemi ingegneristicamente avanzati in modo rapido
ed efficace. Quindi che cosa s’intende per FEM?
Il FEM è stato inizialmente utilizzato per risolvere problemi legati all’analisi
degli stress indotti nelle strutture dalle condizioni di esercizio ed è stato suc-
cessivamente applicato per affrontare problematiche relative ad altri contesti
quali: analisi termiche, fluidodinamiche, piezoelettriche ed in molti altri campi.
Fondamentalmente, il FEM è un metodo numerico che fornisce soluzioni
approssimate sulla distribuzione di grandezze fisiche nel dominio esaminato
che difficilmente si potrebbero ottenere per via analitica (Figura 3.1).

Figura 3.1. Confronto tra la soluzione analitica e quella numerica

Come si è visto nel paragrafo precedente, il metodo degli elementi finiti


prevede la discretizzazione del dominio esaminato suddividendolo in elemen-
ti finiti, come schematizzato nella Figura 3.1. A tale modello discretizzato si
applicano le leggi fisiche costitutive. Il problema posto deve essere risolto
valutando le grandezze fisiche nodali.
La risoluzione del problema posto è possibile grazie alla definizione di
equazioni per gli elementi finiti adottati per descrivere l’oggetto delle analisi
grazie alle quali gli stessi sono considerati nella loro interezza. Questo proces-
so produce un insieme di equazioni algebriche lineari simultanee rappresen-
tativo dell’intero modello discretizzato.
A titolo di esempio si riporta il caso di una struttura monodimensionale
rappresentata da una barra (Figura 3.2).

121
Capitolo III

Figura 3.2. Struttura monodimensionale

per l’equilibrio della struttura si ha:

∑F x = F1 + F2 = 0 Eq. 3.2

quindi:

F2 = -F1 Eq. 3.3

Inoltre, essendo:
∆L u2 − u1
ex = = Eq. 3.4
L L

σ x = Ee x
Eq. 3.5

−F
σ x ( grid1) = 1
Eq. 3.6
A
−F
σ x ( grid 2) = 2
Eq. 3.7
A
Dalle Eqq. 3.4 e 3.6, si può ricavare F1:

E
A
EA
Eq. 3.8
− F1 = σ x A = Ee x A = (u 2 − u1 )
L
quindi:

E
A
EA E
A
EA Eq. 3.9
−F = u − 1 u 2 1
L L
Come già detto, i metodi FEM sono stati inizialmente utilizzati per l’analisi degli
stati tensionali, allo stato attuale molti altri problemi fisici possono essere risolti

122
Il metodo degli elementi finiti e la sua applicazione per lo sviluppo prodotto/processo

grazie all’impiego dei metodi FEM.


Modelli matematici discretizzati sono stati formulati e messi a punto per
studiare molti fenomeni fisici di interesse ingegneristico.

3.3 Computational Modelling utilizzando il metodo FEM

Il funzionamento di un sistema dipende dalla geometria, dalle caratteri-


stiche fisiche dei materiali costitutivi, dalle condizioni al contorno e di carico
iniziali. Per un sistema d’interesse ingegneristico la forma geometrica, le con-
dizioni al contorno e di carico iniziale sono, quindi, di fondamentale impor-
tanza per poterne valutare il comportamento. È molto frequente che tali con-
dizioni siano particolarmente complesse da rappresentare in modo analitico.
Ciò comporta una notevole difficoltà nella soluzione per via analitica delle
equazioni differenziali descrittive del sistema oggetto di studio.
Per tale ragione, la gran parte dei modelli fisici oggetto di studio in tantissi-
mi settori, non solo ingegneristici, sono risolti grazie all’impiego di metodi nu-
merici opportuni. Tra questi, i metodi di discretizzazione del dominio utilizzati
dalle tecniche FEM sono tra i più utilizzati grazie alla loro praticità e versatilità
d’impiego.
La procedura di modellazione del continuo attraverso la tecnica degli ele-
menti finiti è costituita da quattro fasi:
1. Modellazione della geometria.
2. Discretizzazione.
3. Assegnazione delle caratteristiche dei materiali costitutivi.
4. Assegnazione delle condizioni di vincolo e di carico.
Di seguito si descrivono in dettaglio le quattro fasi sopra indicate.

3.3.1 Modellazione delle Geometrie

Le strutture reali o, più in generale, i domini geometrici descrittivi di un


sistema sono in genere molto complessi come forma e devono per questo
motivo essere semplificati in modo da essere sufficientemente rappresentativi
della realtà riducendone il grado di complessità.
Tale complessità è in gran parte dovuta alla presenza di zone con cur-
vatura variabile e multipla nello spazio in cui il sistema viene rappresentato.
Parti con curvatura complessa possono comunque essere rappresentate da un
insieme finito di segmenti che approssimano il continuo. Ovviamente l’accu-
ratezza della modalità di rappresentazione adottata è funzione del numero di
segmenti che si è scelto per rappresentare la complessità del dominio ogget-
to di studio. è ovvio che con un maggior numero di elementi a disposizione
l’approssimazione del dominio curvo sarà più accurata. Sfortunatamente l’im-

123
Capitolo III

piego di un maggior numero di elementi comporterà, come svantaggio, un


aumento dei tempi di calcolo della soluzione ricercata. Per cui, tenendo conto
dei vincoli imposti dalle risorse hardware e software disponibili per effettuare
la soluzione del problema, è sempre necessario limitare, per quanto possibile,
il numero di elementi adottati per rappresentare il dominio oggetto di studio.
Generalmente, questo tipo di compromessi sono adottati al fine di deci-
dere il numero di elementi ottimale per discretizzare il dominio d’interesse. Si
definiscono, quindi, delle vere e proprie regole di modellazione che impon-
gono, ad esempio, la rappresentazione di dettaglio di particolari geometrici
del modello che si sta discretizzando solo nel caso in cui l’analisi che s’intende
condurre, interessa proprio le aree nelle quali questi particolari ricadono.
Pertanto, l’analista, nel momento in cui sarà chiamato ad interpretare i ri-
sultati forniti dal solutore numerico, dovrà tenere presente il numero ed il
tipo di approssimazioni adottate nella discretizzazione del modello studiato.
In funzione dell’ambiente di preprocessing utilizzato, vi sono molti modi di
ottenere una geometria adatta alla discretizzazione mediante elementi finiti
partendo da un modello CAD anche complesso.
Possono essere creati dei punti geometrici di riferimento inserendo le loro
coordinate spaziali, mentre possono essere create linee rette e curve connet-
tendo i nodi precedentemente creati. Le superfici possono essere create con-
nettendo, traslando o ruotando le linee o le curve esistenti, infine gli oggetti
solidi possono essere creati connettendo, ruotando o traslando le superfici
disponibili. Tutte le entità geometriche (punti, linee, curve, superfici, solidi)
possono poi essere utilizzate per operazioni di generazione mediante opera-
zioni di copiatura, rotazione o riflessione rispetto ad un piano.
Attualmente, sono disponibili interfacce grafiche, opportunamente realiz-
zate, come strumenti di supporto per la creazione e manipolazione di entità
geometriche. Esistono numerosi applicativi software di Computer Aided De-
sign (CAD) utilizzati per la progettazione ingegneristica che sono in grado di
produrre modelli che contengono le informazioni necessarie per descrivere il
componente geometrico progettato.
Questi file sono normalmente leggibili dagli applicativi software di model-
lazione ad elementi finiti che consentono di risparmiare una grande quantità
di tempo, in quanto le informazioni geometriche sono rese disponibili in for-
mato tridimensionale. Tuttavia, quando gli oggetti che s’intendono modellare
agli elementi finiti hanno forme particolarmente complesse i loro modelli CAD
possono essere modificati e semplificati prima della fase di modellazione me-
diante elementi finiti. è opportuno ricordare che esistono applicativi CAD che
al loro interno hanno dei moduli di modellazione e simulazione ad elementi
finiti e che sono particolarmente utili nel caso in cui si voglia velocizzare al
massimo la fase di sviluppo ed impostazione di nuovi prodotti.
La conoscenza, l’esperienza e la capacità di giudizio critico sono molto im-
portanti per la corretta modellazione ad elementi finiti.
Infine, in molti casi, alcuni dettagli geometrici importanti da un punto di

124
Il metodo degli elementi finiti e la sua applicazione per lo sviluppo prodotto/processo
vista estetico, hanno un ruolo quasi trascurabile sulle performance del sistema
che si sta simulando. Questi dettagli possono essere quindi eliminati, ignorati o
semplificati, con opportune verifiche poiché la semplificazione in alcuni casi può
portare ad una significativa differenza nei risultati ottenuti (Figura 3.3).

Figura 3.3. Esempio di modellazione a elementi finiti partendo da un modello CAD

Un esempio di quanto la conoscenza e il senso ingegneristico influiscano


sulla modellazione e quindi sui risultati è dato dalla semplificazione richie-
sta nella modellazione matematica. Ad esempio, una piastra è caratterizzata
geometricamente da tre dimensioni. La piastra, per la teoria della meccanica
delle piastre, è rappresentabile in due dimensioni. Per questo, la modellazione
corretta di una piastra è quella che ne considera un modello a due dimensioni.
Elementi piastra sono normalmente utilizzati per discretizzare con elementi
finiti le superfici che rappresentano questo tipo di strutture. Una situazione
analoga si presenta quando si considerano strutture aventi le caratteristiche
di un guscio.
Geometricamente una trave ha tre dimensioni. Le travi, nella teoria della
meccanica delle travi, appunto, sono matematicamente rappresentate da una
sola dimensione per cui la geometria rappresentativa della meccanica delle
travi è di tipo monodimensionale.
Elementi trave sono utilizzati per la modellazione di strutture reticolari.
Questo è anche vero nel caso di modellazione di elementi barra, ossia elemen-
ti strutturali in grado di lavorare in un’unica dimensione, ovvero: a trazione o
compressione ( aste o puntoni).

125
Capitolo III

3.3.2 Meshing

La “Meshatura” si rende necessaria per discretizzare la geometria del


sistema che s’intende simulare. Il perché di questa procedura può essere
spiegato molto semplicemente ed in modo estremamente diretto. Ci si può
attendere che la risoluzione di un sistema di interesse ingegneristico sia
molto complessa e che possa variare in modo non prevedibile al variare
delle possibili condizioni che lo rappresentano nel dominio di esistenza.
Se è possibile suddividere il dominio del problema che s’intende risolvere
(attraverso l’utilizzo di una griglia) in elementi o celle di piccole dimensioni
utilizzando un set di nodi o di griglie elementari, allora la soluzione del
problema all’interno di ciascuna griglia elementare può essere facilmente
approssimata utilizzando semplici funzioni matematiche polinomiali. Quin-
di, la soluzione per tutti gli elementi forma poi la soluzione per il problema
posto per l’intero dominio oggetto di studio.
Pertanto, la soluzione del problema per tutti gli elementi che descri-
vono il dominio oggetto di studio rappresenta la soluzione del problema
posto per tutto il dominio stesso. Per ottenere la soluzione del problema
relativo a tutto il dominio sono necessari metodi di calcolo numerico appo-
sitamente sviluppati per la discretizzazione delle equazioni differenziali che
descrivono il problema oggetto di studio. I metodi utilizzati sono differenti
al variare della tipologia del problema che s’intende risolvere ma, ancor
prima di selezionare quello più opportuno, è necessario avere a disposizio-
ne un modello discretizzato del dominio oggetto di studio.
La generazione del modello a elementi finiti è un passo operativo molto
importante della fase di pre-processing. Può rappresentare una fase molto
impegnativa dal punto di vista del tempo/uomo necessario per la sua re-
alizzazione e, di solito, la qualità del modello generato dipende dall’espe-
rienza dell’analista al quale è stata affidata la fase di discretizzazione.
Il dominio oggetto di studio deve essere discretizzato con elementi di
forma specifica quali sono quelle triangolare e quadrangolare. Informazio-
ni quali la connettività degli elementi, devono essere realizzate durante la
fase di meshatura per poterle poi utilizzare nella creazione dell’equazioni
che caratterizzano il modello agli elementi finiti. è preferibile avere a dispo-
sizione un generatore di mesh automatico ma, attualmente, gli applicativi
commerciali disponibili riescono a fornire metodi di pre-processing non
completamente automatici. Esistono tuttavia degli strumenti software di
pre-processing semiautomatici.
Esistono, inoltre, strumenti automatici per la sola meshatura che pos-
sono fornire in output file descrittivi della mesh realizzata in formati tali
da poter essere letti da altri applicativi di modellazione e calcolo agli ele-
menti finiti. La maniera più veloce e flessibile per realizzare un modello ad
elementi finiti di modelli geometrici anche complessi è quella di utilizzare
elementi triangolari a tre nodi. Questa tecnica consente di realizzare in

126
Il metodo degli elementi finiti e la sua applicazione per lo sviluppo prodotto/processo
maniera pressoché automatica domini 2D e 3D. Pertanto, questa tecnica di
modellazione è comunemente resa disponibile in quasi tutti gli applicativi
di pre-processing.
Lo svantaggio derivante dall’utilizzo della tecnica di discretizzazione
con elementi triangolari è rappresentato dal fatto che l’accuratezza dei ri-
sultati, resi disponibili con questo metodo, è più bassa di quella offerta da
soluzioni calcolate nel caso di discretizzazioni realizzate con elementi qua-
drangolari. è però altrettanto noto il fatto che l’ottenimento di discretizza-
zioni mediante elementi quadrangolari richiede un maggior impegno da
parte dell’analista. Alcuni esempi di modelli FEM sono riportati nelle figure
che seguono, ossia Figura 3.4, Figura 3.5, Figura 3.6 e Figura 3.7.

Figura 3.4. Modello continuo (CAD)

Figura 3.5. Modello discreto mediante elementi Hexa

127
Capitolo III

Figura 3.6. CAD sedile per applicazioni aeronautiche

Figura 3.7. Mesh dei componenti riportati in Figura 3.6

128
Il metodo degli elementi finiti e la sua applicazione per lo sviluppo prodotto/processo

3.3.3 Proprietà del Materiale costitutivo

Molti sistemi ingegneristici sono costituiti da più tipi di materiali. Le pro-


prietà dei materiali costitutivi possono essere definite o per un gruppo di ele-
menti o per ciascun elemento se necessario. Per la simulazione di fenomeni
differenti, possono essere richiesti differenti set di proprietà dei materiali. Per
esempio il modulo di Young e quello di taglio sono richiesti nel caso di analisi
degli stati tensionali di corpi solidi e strutture, mentre nel caso di analisi termi-
che è richiesto il coefficiente di conduttività termica.
L’assegnazione delle proprietà dei materiali costitutivi nella fase di pre-
processing è in genere una procedura abbastanza semplice, l’analista, chia-
mato a svolgere questa fase di preparazione del modello, assegna le proprietà
che competono ad ogni parte o componente del modello oggetto dell’analisi.
Normalmente, gli applicativi di pre-processing e di soluzione agli elementi
finiti rendono disponibili dei database di materiali più comunemente utilizzati
ma, normalmente, al fine di garantire una migliore affidabilità dei modelli im-
plementati, è necessario ricavare tali caratteristiche attraverso sperimentazioni
fisiche dedicate a questo scopo. La determinazione delle proprietà fisiche e
meccaniche dei materiali costitutivi può essere molto onerosa, per tale motivo
la fase di definizione delle caratteristiche richieste dal solutore per la caratte-
rizzazione del materiale diventa una fase particolarmente critica.

3.3.4 Condizioni al contorno, condizioni iniziali e carichi

Le condizioni al contorno, le condizioni iniziali e i carichi giocano un ruolo


decisivo nella simulazione. L’inserimento di questi dati è generalmente facili-
tato dall’utilizzo di codici pre-processors commerciali che utilizzano un’inter-
faccia grafica di facile comprensione (Graphic User Interface - GUI). Gli utenti
possono specificare queste condizioni su entità geometriche (punti, linee o
curve, superfici o solidi) o su elementi o griglie.
Ancora una volta, simulare accuratamente queste condizioni, per i sistemi
ingegneristici reali, richiede esperienza, conoscenza e appropriate valutazioni
ingegneristiche.

3.4 La Simulazione

3.4.1 Sistema di Equazioni Discrete

Utilizzando gli approcci esistenti può essere formulato un set di equazioni


discrete basato sulla mesh generata.
Ci sono diversi tipi di approcci per stabilire il sistema di equazioni. Il primo
è basato sull’energia principale, come il principio di Hamilton, il principio della

129
Capitolo III

minima energia potenziale e così via. Su questi principi si stabilisce il Meto-


do tradizionale a Elementi Finiti. Il secondo approccio è il metodo dei residui
ponderati che è spesso usato per stabilire le equazioni del FEM per molti pro-
blemi fisici. Il terzo approccio è basato sulle serie di Taylor, che ha portato alla
formazione del Metodo tradizionale delle Differenze Finite (Finite Difference
Method, FDM). Il quarto approccio è basato sul controllo della conservazione
delle leggi su ogni volume finito (elementi) nel dominio. Il Metodo del Volume
Finito (Finite Volume Method, FVM), è definito utilizzando questo approccio.
La pratica ingegneristica ha finora mostrato che i primi due approcci sono
utilizzati più spesso per i solidi e le strutture, gli altri due approcci sono, invece,
spesso usati per la simulazione di flusso dei fluidi.
Tuttavia, il FEM è stato utilizzato anche per sviluppare applicativi commer-
ciali dedicati alla simulazione del flusso dei fluidi e dei problemi di scambio di
calore come anche il FDM può essere usato per solidi e strutture.
Si può dire, senza entrare nei dettagli, che le fondamenta matematiche di
tutti questi tre approcci sono date dal metodo dei residui. Una scelta appro-
priata dei test e delle funzioni di prova nel metodo dei residui può condurre
alla formulazione delle tecniche: FEM, FDM o FVM.

3.4.2 Risolutore di equazioni

Dopo che il modello computazionale è stato creato, esso costituisce di fat-


to il dato di input fornito ad un risolutore per risolvere il sistema di equazioni
discretizzato per le variabili di campo nei nodi della mesh. La fase di calcolo
numerico vero e proprio è quella che assorbe le maggiori risorse computa-
zionali. Gli applicativi commerciali software più comuni, utilizzano differenti
algoritmi a seconda delle condizioni fisiche da simulare.
Occorre fare due considerazioni molto importanti nel momento in cui oc-
corre scegliere l’algoritmo per la risoluzione del sistema di equazioni:
• la richiesta di archiviazione dei dati temporaneamente prodotti per ri-
solvere il sistema di equazioni;
• il tempo necessario per la CPU (Central Processing Unit).
Ci sono due principali tipi di metodo per la soluzione del sistema di equa-
zioni: metodo diretto e il metodo iterativo. I metodi diretti comunemente usati
includono l’eliminazione del metodo di Gauss ed il metodo LU della decom-
posizione. Tali metodi funzionano bene per sistemi di equazione relativamente
piccoli.
I metodi diretti operano sul sistema di equazioni completamente assem-
blato, e quindi richiedono maggiore spazio di archiviazione. Tali metodi pos-
sono anche essere codificati in modo tale che l’assemblaggio delle equazioni
è realizzato solo per quegli elementi che intervengono nell’effettiva fase di
soluzione delle equazioni. Questo può ridurre i requisiti di archiviazione in
maniera significativa.
I metodi iterativi sono: il metodo di Gauss-Jacobi, il metodo di Gauss-Dei-

130
Il metodo degli elementi finiti e la sua applicazione per lo sviluppo prodotto/processo

del, il metodo SOR, i metodi del residuo coniugato generalizzati, il metodo di


rilassamento per linea, e così via. Questi metodi funzionano bene per i siste-
mi relativamente più grandi. I metodi iterativi sono spesso codificati in modo
da evitare l’assemblaggio completo del sistema di matrici al fine di ridurre in
modo significativo la richiesta di spazio per l’archiviazione. Le prestazioni, in
termini di velocità di convergenza di questi metodi, sono di solito strettamen-
te dipendenti dal problema che si sta analizzando. Nell’utilizzo dei metodi ite-
rativi, il precondizionamento svolge un ruolo molto importante per accelerare
il processo di convergenza.
Per i problemi non lineari è necessario un altro anello iterativo. L’equazio-
ne non lineare deve essere propriamente formulata in una equazione lineare
nell’iterazione. Per problemi tempo-dipendenti, è richiesta anche la definizione
del time step, ovvero: prima si risolve il sistema all’istante iniziale (o per un dato
istante prescritto dall’analista), poi con questa soluzione si va avanti per la riso-
luzione dello step successivo, e così via fino a quando la soluzione non arriva
all’istante indicato come quello finale della simulazione.
Ci sono due principali approcci alla definizione del time step: implicito ed
esplicito. Gli approcci impliciti sono generalmente numericamente più stabili,
ma hanno un’efficienza computazionale più bassa rispetto agli approcci espli-
citi. Utilizzando gli algoritmi espliciti, inoltre, possono essere sviluppati più
facilmente gli algoritmi di contatto tra i corpi simulati.
I dettagli relativi alle differenze tra i due metodi implicito ed esplicito sono
riportati nei paragrafi successivi, in particolare nei paragrafi 3.5.2.1 e 3.5.2.2.

3.4.3 Visualizzazione

Il risultato generato dopo la risoluzione del sistema di equazioni è general-


mente un ampio volume di dati digitali. I risultati devono essere visualizzati in
modo tale che siano facili da interpolare, analizzare e presentare. La visualiz-
zazione avviene attraverso un cosiddetto post-processor, di solito contenuto
come specifico tool dell’applicativo CAE che si sta utilizzando.
La maggior parte di questi post-processor, permettono all’utente di visua-
lizzare oggetti 3D sullo schermo in molti modi utili e utilizzando scale croma-
tiche che aiutano nella comprensione dei risultati.
L’oggetto può essere visualizzato sotto forma di wire-frame, gruppo di ele-
menti e gruppi di nodi. L’utente può ruotare, traslare, ingrandire o ridurre i
componenti oggetto della simulazione.
Il campo di variabili può essere plottato sull’oggetto in forma di contours,
bordi, wire-frames e deformazioni. Le animazioni possono anche riprodurre
gli aspetti dinamici del problema. Gli output sono normalmente disponibili in
forma di tabelle, file di testo e grafici bidimensionali e tridimensionali.
In questo testo, saranno forniti diversi esempi dimostrativi di post-proces-
sing dei risultati. Ulteriori strumenti di visualizzazione avanzati, come la realtà
immersiva virtuale, sono oggi disponibili. Questi strumenti consentono agli

131
Capitolo III

utenti di visualizzare gli oggetti ed i risultati in modo tridimensionale molto


realistico. La piattaforma hardware in questo caso è costituita da un sistema di
visione indossato dall’utente, una inversion desk o anche una intera stanza de-
dicata alla proiezione dei risultati. Quando l’oggetto viene visualizzato, l’utente
è di fatto immerso nell’ambiente di visualizzazione e può quindi avvicinarsi
all’oggetto simulato e rappresentato in questo caso in scala reale.

3.5 Definizione delle Equazioni per la Risoluzione dei Problemi Fisici con
il Metodo degli Elementi Finiti

Come illustrato nel paragrafo 3.3, la risoluzione dei problemi fisici, avviene
in due passi fondamentali:
- la formulazione matematica del problema,
- la risoluzione numerica del modello matematico.
Il primo passo, attraverso l’uso di bilanci di quantità di moto, di energia, o
di altre grandezze, porta alla formulazione di un certo numero di equazioni,
spesso differenziali, che legano le variabili coinvolte nel problema.
Il secondo passo, con l’utilizzo di metodi numerici, porta alla stima delle
caratteristiche del processo.
Mentre l’ottenimento delle equazioni che governano il problema non è, per
la maggior parte dei casi, eccessivamente difficoltoso, la loro soluzione attra-
verso metodi analitici è spesso impossibile. In questi casi si rendono necessari,
come illustrato nel paragrafo 3.3, metodi approssimati tra cui: il metodo alle
differenze finite e i metodi variazionali.
Il metodo alle differenze finite porta alla risoluzione delle equazioni alge-
briche attraverso la sostituzione dei termini differenziali con delle differenze.
Con i metodi variazionali, l’equazione differenziale è posta in una forma
equivalente ad un integrale pesato e si assume che la soluzione approssimata,
su un dominio Ω, sia una combinazione lineare di funzioni di approssimazione
Фj, scelte in modo appropriato, e di coefficienti indeterminati cj ( ).
I coefficienti cj sono scelti in modo che la formulazione integrale equi-
valente all’equazione differenziale sia soddisfatta. Lo svantaggio dei metodi
variazionali consiste nella difficoltà di costruire le funzioni di approssimazione
su un dominio arbitrario.
Il metodo agli elementi finiti supera gli svantaggi dei metodi variazionali
tradizionali, poiché fornisce una procedura sistematica per ricavare le funzioni
di approssimazione in sottoregioni del dominio.
Questo metodo è caratterizzato da tre passi fondamentali:
- un dominio comunque complesso viene rappresentato come un insieme di
sottodomini, geometricamente semplici, chiamati elementi finiti,
- su ogni sottodominio vengono ricavate le funzioni di approssimazione, uti-
lizzando la semplice idea che ogni funzione continua possa essere rappre-
sentata da una combinazione lineare di polinomi algebrici,
- le relazioni algebriche tra i coefficienti indeterminati si ricavano dal soddi-

132
Il metodo degli elementi finiti e la sua applicazione per lo sviluppo prodotto/processo

sfacimento delle equazioni che governano il problema, da un punto di vista


della formulazione integrale pesata, all’interno di ogni dominio.

Si supponga di voler determinare, la soluzione approssimata di una equazione


differenziale, A(u)=f, definita in un dominio Ω, essendo A un operatore differenziale
applicato alla funzione u(x), cioè:

Eq. 3.10

fissate le condizioni al contorno.


Si vuole trovare una soluzione, sull’intero dominio Ω, del tipo:
N
u ≈ U N = ciϕ j ( x ) +ϕ 0 ( x )

j =1
Eq. 3.11

dove cj sono i coefficienti da determinare, φj(x) e φ0(x) sono le funzioni


scelte tali che le condizioni al contorno, specifiche del problema, vengano
rispettate dalla soluzione approssimata a N parametri, UN, dove N è un valore
arbitrariamente scelto (indice del grado del polinomio con il quale si vuole
approssimare la funzione).
Se si applica il metodo fin qui descritto, il più delle volte si ottiene un nu-
mero di equazioni maggiori del numero delle incognite, cioè dei coefficienti cj,
ovvero un sistema di equazioni impossibile da risolvere.
La strada che bisogna seguire è quella, dunque, di richiedere che la solu-
zione approssimata U, soddisfi l’equazione differenziale che governa il sistema
secondo una formulazione d’integrale pesato, cioè:


∫ wRdx = 0 Eq. 3.12

dove R=A(u)-f ed è detto residuo, w è la funzione peso.

In questo modo si ottiene un numero di equazioni strettamente necessario,


cioè pari esattamente al numero dei coefficienti incogniti.
I vari metodi variazionali differiscono per la scelta della forma integrale,
della funzione peso e delle funzioni approssimate.
Tra i metodi più utilizzati: il metodo di Rayleigh-Ritz (nel quale w = Фj), il
metodo dei residui pesati (utilizzato soprattutto in analisi non lineare), il me-
todo di Petrov-Galerkin (una variante del precedente), il metodo di Galerkin
(un’altra variante), il metodo dei minimi quadrati (nel quale si minimizza il
quadrato dei residui) e il metodo di collocazione (nel quale si pone uguale a
zero il residuo in N punti del dominio).
La successione delle operazioni necessarie è quindi:

133
Capitolo III

- scelta delle funzioni di approssimazione Фj(x);


- scelta delle funzioni peso w;
- determinazione di cj;
- valutazione del residuo R.
L’obbiettivo è quello di ridurre il residuo, ovvero la quantità che indica di
quanto la soluzione approssimata U si discosta da quella reale u.

3.5.1 Formulazioni di Lagrange e di Eulero

Il termine di formulazione si riferisce al modo in cui sono scelte le variabili


indipendenti per un problema. In funzione di questo modo possono essere
identificate tre tipi di formulazioni.

• Formulazione di Lagrange;
• Formulazione di Eulero
• Formulazione arbitraria Lagrange-Eulero

3.5.1.1 Formulazione di Lagrange

Nella formulazione Lagrange il corpo studiato è caratterizzato dalle sue co-


ordinate iniziali. Il tempo è la variabile indipendente e le coordinate al tempo
t considerato sono le variabili dipendenti:
x = x(x0, y0, z0, t)
y = y(x0, y0, z0, t) Eq. 3.13
z = z(x0, y0, z0, t)

La prima conseguenza di una formulazione Lagrangiana, è che la derivata


naturale per una funzione o per una quantità scalare è uguale alla derivata
parziale (Eq. 3.14).

df δf
= Eq. 3.14
dt δt

In una rappresentazione lagrangiana ad elementi finiti, le variabili dipen-


denti indicano la posizione (le coordinate) dei nodi della rete che si confon-
dono con quelli dei punti fisici materiali. In questo caso la mesh si sposterà
insieme con il materiale.
La seconda conseguenza dalla formulazione lagrangiana, è che la conserva-
zione dell’energia e della massa sarà automatica, solo le equazioni di conserva-
zione del volume devono essere risolte.

134
Il metodo degli elementi finiti e la sua applicazione per lo sviluppo prodotto/processo

3.5.1.2 Formulazione di Eulero

La formulazione di Eulero è opposta a quella di tipo lagrangiano:


vx = vx(x, y, z, t)
vy = vy(x, y, z, t) Eq. 3.15
vz = vz(x, y, z, t)

In questo caso le variabili dipendenti sono le velocità, dove:


df δf
≠ Eq. 3.16
dt δt
e la rete con gli elementi non si sposta, ma si spostano i punti materiali all’in-
terno della rete stazionaria. In questo caso, infatti, le coordinate sono variabili
indipendenti e l’equazione di continuità è costruita per risolvere la conserva-
zione della massa.

3.5.1.3 Formulazione arbitraria Lagrange-Eulero

Questo modo di formulazione combina le due formulazioni presentate nei


due paragrafi precedenti (c.f.r. paragrafo 3.5.1.1 e 3.5.1.2). In questo caso la
rete con gli elementi finiti si sposta in accordo con lo spostamento definito e
il materiale fluisce attraverso lo spostamento della mesh.

3.5.2 Gli algoritmi di calcolo

Come anticipato nel paragrafo 3.4.2, la simulazione di processi fisici, in gene-


rale, può essere affrontata tramite i due algoritmi di calcolo “implicito” ed “espli-
cito”, entrambi attualmente implementati nella maggior parte dei programmi ad
elementi finiti commerciali.
Nell’algoritmo di calcolo “implicito” si utilizza un metodo di calcolo step by step
in cui un opportuno criterio di convergenza (ad esempio il criterio dell’half step
residual proposto da Hibbitt e Karlsson nel 1979) permette di proseguire, o meno,
l’analisi, eventualmente riducendo l’incremento di tempo, a seconda dell’accura-
tezza dei risultati al termine di ogni step.
Con l’utilizzo del metodo “esplicito” non si presentano invece eventuali proble-
mi di non convergenza ad una soluzione finita, dato che, in questo caso, l’analisi
non è condizionata da alcun criterio di convergenza. L’incremento di tempo è
definito all’inizio dell’analisi e rimane costante durante il calcolo.
Tale approccio viene meno nei casi in cui si utilizzano algoritmi di adattività
degli elementi per i quali è necessario ridurre l’incremento di tempo il quale è fun-
zione a parità di altri fattori, come meglio spiegato di seguito, della dimensione
minima degli elementi del modello.

135
Capitolo III

3.5.2.1 Approccio “esplicito”

Per esemplificare questo metodo d’integrazione si considera un sistema


elastico oscillatorio che ha una massa m, una costante di rigidezza k e una
forza esterna applicata F(t) (Figura 3.8), e una asse di tempo discretizzato se-
condo gli intervalli riportati in Figura 3.9.

Figura 3.8. Sistema elastico di riferimento

Figura 3.9. Asse del tempo

L’equazione che esprime l’equilibrio dinamico del sistema elastico è un’e-


quazione differenziale, del tipo:

 d 2x 
m  2  + kx = F (t ) Eq. 3.17
 dt 
In questa equazione si considerano noti: xn e (dx/dt)n-1/2
Bisogna trovare xn+1 e (dx/dt)n+1/2

136
Il metodo degli elementi finiti e la sua applicazione per lo sviluppo prodotto/processo

L’equilibrio dinamico al tempo tn è espresso dall’equazione:



 d 2x 
m 2  = Fn − kxn Eq. 3.18
 dt  n
Poiché il termine a destra è noto, si può applicare la differenza centrale,
per cui:

 d 2x 
  = m −1 ( Fn − kxn )
 dt 2 
Eq. 3.19
 n


 dx   dx   d2x 
 
=   + Δt n  2  Eq. 3.20
 dt  n +1/2  dt  n  dt  n


 dx 
x n +1 / 2 = x n + ∆t n +1 / 2 

 Eq. 3.21
 dt  n +1 / 2
Tali equazioni sono valide quando:

2m
∆t < Eq. 3.22
k
dove m è la massa nodale e k la rigidità nodale, oppure la forza necessaria
per ottenere un’unita di spostamento nella direzione del grado di libertà con-
siderato. Questo nel caso in cui tutti i nodi vicini sono fissi nella situazione di
una struttura con più di un grado di libertà.
Bisogna fare attenzione al modo in cui viene scelto Δt, poiché devono es-
sere rispettate le condizioni:

∆t n+1/ 2 = t n+1 − t n Eq. 3.23

∆t n = t n+1/ 2 − t n−1/ 2 Eq. 3.24

Tale approccio risulta quindi stabile se viene comunque soddisfatta la rela-


zione espressa in Eq. 3.22.
Prima di passare alla descrizione dell’algoritmo, di seguito una breve pre-
messa. Data una funzione:
x(t + ∆t ) − x
f ( x, t ) = x(t ) = Eq. 3.25
∆t
E la condizione iniziale x(t0)=x0 nota, si può scrivere:

137
Capitolo III


x(t + ∆t ) = x(t ) + ∆t ⋅ f ( x, t ) Eq. 3.26

Operando una discretizzazione dell’asse dei tempi si ha:



x(ti +1 ) = x(ti ) + ∆t ⋅ f [ x(ti ), ti ] Eq. 3.27

xi+1 = xi + ∆t ⋅ f [ xi , ti ] Eq. 3.28

Note le condizioni iniziali x(t0) si può ricavare x(t) in forma discreta. Nell’al-
goritmo di calcolo “esplicito” l’equazione di moto:

Man + Cvn + Kd n = Fnext Eq. 3.29
dove:
M = matrice di massa della struttura;
C = matrice di smorzamento della struttura;
K = matrice di rigidezza della struttura;
= vettore dei carichi esterni applicati alla struttura;
an = vettore delle accelerazioni allo step n;
vn = vettore delle velocità allo step n;
dn = vettore degli spostamenti allo step n;
L’Eq. 3.29 può essere riscritta ponendo:

Fnint = Cvn + Kd n Eq. 3.30

Man = Fnext + Fnint
Eq. 3.31

l’accelerazione all’incremento n è quindi pari a:

an = M −1Fnresidual Eq. 3.32

Se la matrice di massa è diagonale, è possibile calcolare l’accelerazione per


ogni incremento e per ogni grado di libertà tramite un sistema di equazioni in-
dipendenti, con evidente risparmio in termini di tempo di calcolo (cfr. “Metodi
numerici iterativi per la soluzione di sistemi lineari: Jacobi, Gauss-Sidel, tecnica
del gradiente coniugato”):

ani = Fniresidual / M i Eq. 3.33

Inoltre, l’incremento di tempo è definito tramite le seguenti espressioni

138
Il metodo degli elementi finiti e la sua applicazione per lo sviluppo prodotto/processo
(il metodo viene chiamato “esplicito” proprio perché ogni nuovo incremento
necessita la sola conoscenza dei parametri relativi all’incremento precedente):

an (∆tn +1 + ∆tn −1 )
Vn +1 = Vn +1 + Eq. 3.34
2

d n +1 = d n −1 + Vn +1∆t n +1 Eq. 3.35

L’incremento di tempo minimo viene calcolato come:



Eq. 3.36
∆t = min( Le / Cd )

Dove:
Le è la dimensione minima caratteristica dell’elemento finito;
Cd: è la velocità di propagazione del suono nel materiale.
Il tempo totale dell’analisi dipende in maggior misura dalla più piccola di-
mensione del più piccolo elemento finito presente nel modello, piuttosto che
dal numero di gradi di libertà del modello stesso.
Il vantaggio principale dell’utilizzo del metodo di calcolo “esplicito” è dovu-
to al fatto che, pur essendo gli incrementi di tempo molto più piccoli rispetto
a quelli del metodo “implicito” (solitamente gli incrementi utilizzati con il me-
todo “esplicito” sono da 100 a 1000 volte inferiori rispetto a quelli utilizzati nel
metodo “implicito”), si ha un elevato risparmio di tempo di calcolo.
In generale, i vantaggi principali dell’utilizzo di un metodo di calcolo “espli-
cito” piuttosto che “implicito” possono essere riassunti nei seguenti punti:
1. Maggiore velocità di calcolo, soprattutto con modelli caratterizzati da un
elevato numero di gradi di libertà.
2. Assenza di problemi di calcolo legati alla convergenza verso una soluzione
corretta in presenza di forti non linearità (spesso con l’utilizzo del metodo
“implicito”, in presenza di elevate non linearità sia geometriche sia nel com-
portamento del materiale, il calcolo si blocca oppure il solutore impiega
tempi di calcolo eccessivi prima di arrivare ad una soluzione).
3. Attenzione alla valutazione della correttezza della soluzione.
4. Possibilità di superare più agevolmente la non linearità, propria dei proble-
mi di contatto, rispetto al metodo “implicito”.

3.5.2.2 Approccio “implicito”

Si consideri lo stesso sistema elastico illustrato in Figura 3.8 e un asse di


tempo discretizzato come in Figura 3.9.

139
Capitolo III

Figura 3.10. Asse di tempo discretizzato per il caso implicito

L’equazione che esprime l’equilibrio dinamico del sistema elastico è un’e-


quazione differenziale (Eq. 3.37):
2
d x Eq. 3.37
m + kx = F
dt 2
In questa equazione sono noti: xn e (dx/dt)n
Bisogna trovare xn+1 e (dx/dt)n+1

L’equilibrio dinamico al tempo tn+1 è espresso dall’equazione:




 d 2x  Eq. 3.38
m  + kx = F
 dt 2  n +1 n +1
  n +1
in cui xn+1 non è noto. Anziché cercare una soluzione diretta per xn+1 e (d2x/dt2)
n+1
in questo caso si usano le relazioni di sostituzione:

 dx  (x − x )
  = n +1 n Eq. 3.39
 dt  n +1 ∆t


 dx   dx  
  −   
Eq. 3.40
2
d x  dt  n +1  dt  n 
 2  = 
 dt  n +1 ∆t
In questo modo si ottiene:
2
d x x − 2 xn + xn −1
 2  = n +1 Eq. 3.41
 dt
2
 n +1 (∆t )
che sostituito nell’equazione dell’equilibrio:

 m  m(2 xn − xn −1 )
 2 + k  xn +1 = Fn +1 − Eq. 3.42
 ∆t  (∆t )2
Che può essere risolta dallo spostamento sconosciuto al tempo tn-1:

140
Il metodo degli elementi finiti e la sua applicazione per lo sviluppo prodotto/processo

∂f
xi( n ) = xi( n −1) + Eq. 3.43
∂xi
Le altre variabili sono ottenute in seguito utilizzando equazioni di sostitu-
zione. Quest’approccio d’integrazione è indipendente dal valore di Δt e quindi
incondizionatamente stabile.
Il passo di tempo, Δt, in un’analisi implicita sarà da 100 fino a 1000 volte
maggiore di quello utilizzato in un’analisi esplicita.
In generale, l’incremento di tempo in un’analisi esplicita è piccolo, e ap-
prossimazioni per spostamenti piccoli sono giustificate nel corso di un incre-
mento. Questo non e valido in un’analisi implicita. Per risolvere il sistema di
equazioni nel metodo implicito bisogna fare iterazioni e imporre condizioni di
convergenza, non necessarie nel metodo esplicito.
Con il metodo di calcolo “implicito” è possibile definire un incremento di
tempo fisso oppure adottare una procedura automatica che consente di au-
mentare o diminuire l’incremento di tempo al verificarsi dei problemi di con-
vergenza durante il calcolo.
Il contatto tra i corpi viene schematizzato tramite elementi di contatto a
cui è possibile assegnare una rigidezza, uno smorzamento e un coefficiente di
attrito che il codice di calcolo assegna alle superfici che entrano in contatto.
Spesso con solutori “impliciti” si riscontrano problemi di non convergenza
ad una soluzione finita e di tempi di calcolo elevati anche con modelli aventi
un basso numero di gradi di libertà.
Questo problema si evidenzia maggiormente nel caso in cui il materiale dei
corpi che impattano ha comportamento non lineare, come nel caso del metal
forming per il materiale rappresentativo della lamiera di cui si sta studiando il
processo di formatura.
Nell’algoritmo di calcolo “implicito” (utilizzando ad esempio il modello di
Newmark per l’integrazione rispetto al tempo) se lo step temporale attuale è
n, la stima dell’equazione di moto al tempo n+1 è riportata nell’equazione.


Man, +1 + Cvn, +1 + Kd n, +1 = Fnext
+1 Eq. 3.44

dove:
M = matrice di massa della struttura
C = matrice di smorzamento della struttura
K = matrice di rigidezza della struttura
= vettore dei carichi esterni applicati alla struttura (allo step n+1)
a’n+1 = stima delle accelerazioni allo step n+1
v’n+1 = stima delle velocità allo step n+1
d’n+1 = stima degli spostamenti allo step n+1

141
Capitolo III

La stima degli spostamenti e delle velocità allo step n+1 viene formulata
come segue (Δt è lo step temporale):

d’n+1= d*n+β a’n+1 Δt2 Eq. 3.45


v’n+1= v*n+γ a’n+1 Δt Eq. 3.46

Dove β e γ sono delle costanti e d*n e v*n sono, rispettivamente, i valori de-
gli spostamenti e delle velocità calcolati allo step temporale precedente (sup-
ponendo che le condizioni iniziali siano note che risulta essere una condizione
necessaria per risolvere il problema).
Se si sostituiscono le Eq. 3.45 e 3.46 nella Eq. 3.44 si ottiene:


n +1 n + K (d n* + βan, +1∆t 2 ) = Fnext
Ma , + C (v* + γan, +1∆t ) +1 Eq. 3.47

L’Eq. 3.47 può essere dunque riscritta come segue:



[ M + Cγ∆t + Kβ ∆t 2 ]an, +1 = Fnext * *
+1 − Cvn + Kd n Eq. 3.48

Ponendo M* e Fnresidual
+1 Fnext
=come diC
+1 −
*
d n*
vseguito:
n + K

Fnresidual
+1 = Fnext * *
+1 − Cvn + Kd n
Eq. 3.49

* 2
M = [ M + Cγ∆t + Kβ∆t
] Eq. 3.50

Sostituendo queste definizioni nell’Eq. 3.48 si ha:


M *an, +1 = Fnresidual Eq. 3.51
+1

Dalla Eq. 3.51 si può ricavare la stima dell’accelerazione allo step n+1:

an, +1 = M *−1Fnresidual
+1 Eq. 3.52

Riducendo progressivamente l’incremento di tempo si tende a un asintoto


del valore della stima dell’accelerazione allo step n+1.

142
Il metodo degli elementi finiti e la sua applicazione per lo sviluppo prodotto/processo

3.6 Esempi applicativi: approccio implicito

3.6.1 Supporto Pinza Freno

Figura 3.11. Modello Cad di un telaio pinza freno

Figura 3.12. Modello FE telaio pinza freno. Il FEM è costituito da elementi


del secondo ordine (CTETRA10) per un totale di 293580 Elementi e 474162 Nodi.

Figura 3.13. Condizioni al contorno

143
Capitolo III

Figura 3.14. Stato tensionale indotto dalle condizioni al contorno definite come in Figura 3.13
(tensioni di Von Mises [MPa])

3.6.2 Analisi non lineare relativa allo springback

Uno dei problemi più difficili da trattare quando si ha a che fare con lavo-
razioni per deformazione plastica di lamiere piane consiste nella valutazione
del ritorno elastico (springback).
Nel momento in cui l’imbutito viene rilasciato da matrice e punzone, gli
stati tensionali accumulati durante la fase di stampaggio si assestano fino ad
auto equilibrarsi e, a livello macroscopico, si possono verificare delle defor-
mazioni indesiderate che, nella maggior parte dei casi, tendono a riportare
la lamiera verso una configurazione lontana da quella nominale, desiderata.
L’intensità con cui si manifesta il fenomeno del ritorno elastico dipende forte-
mente dal materiale di cui è costituito il componente.
La modellazione del processo di stampaggio tramite simulazione ad ele-
menti finiti è ormai una pratica ben consolidata. Essa si rende particolarmente
delicata qualora si desideri modellare anche il fenomeno del ritorno elastico,
in quanto, la corretta impostazione dell’analisi, che dovrà prevedere una fase
esplicita per l’imbutitura seguita da una implicita per il ritorno elastico, richie-

144
Il metodo degli elementi finiti e la sua applicazione per lo sviluppo prodotto/processo
de una certa dose di esperienza e una buona competenza nel campo dell’ana-
lisi ad elementi finiti.
I dati necessari per completare il set-up dell’analisi di ritorno elastico riguar-
dano il materiale di partenza e la sua caratterizzazione attraverso i parametri
richiesti dal software (ad esempio modulo di Young e di Poisson, oltre che den-
sità e curva true stress-vs true strain per il materiale costitutivo); lo spessore
della lamiera nominale (in quanto la lamiera ha comunque una sua distribuzione
degli spessori dovuta alla prima operazione di imbutitura) e la storia di carico.
Generalmente l’algoritmo d’integrazione per il calcolo del ritorno elastico è
di tipo implicito. Al termine della simulazione di stampaggio (generalmente di
tipo esplicito) si eliminano i tools e si permette alla lamiera di rilasciare le proprie
tensioni residue fino a che esse siano completamente bilanciate. Trattandosi di
una ricerca dello stato di equilibrio, questa fase viene gestita tramite un calcolo
implicito. Per ottenere la convergenza della soluzione per il problema posto
è anche necessaria l’imposizione di una serie di vincoli nodali che vadano ad
impedire i moti di corpo rigido del componente secondo quanto riportato in
Figura 3.15.

Figura 3.15. Vincoli per i moti di corpo rigido per l’analisi di ritorno elastico

Generalmente i risultati valutati in questo specifico tipo di analisi riguar-


dano lo scostamento della configurazione all’equilibrio dalla configurazione
desiderata (di fine imbutitura).

145
Capitolo III

Figura 3.16. Esempio di componente imbutito prima (mesh) e dopo (in grigio) il ritorno elastico

Lo stato deformativo raggiunto dopo l’analisi di ritorno elastico, dipende


fortemente dalla posizione dei vincoli imposti per impedire moti rigidi del
componente. E’ buona norma per questo motivo, inserire i vincoli di appoggio
in corrispondenza di punti di ancoraggio per la calibrazione del pezzo, qualora
previsti.
Per realizzare un’analisi quantitativa più generale, vengono utilizzati i con-
tour map relativi agli spostamenti sia come magnitudo, sia per ogni singola
componente (Figura 3.17).

Figura 3.17. Contour map degli spostamenti in magnitudo, lungo l’asse x, y e z

146
Il metodo degli elementi finiti e la sua applicazione per lo sviluppo prodotto/processo
Al fine di meglio dettagliare l’analisi è utile riportare delle sezioni significa-
tive che riportino lo stato di fine imbutitura e quello relativo alla configurazio-
ne di equilibrio del ritorno elastico (Figura 3.16 ).

Figura 3.18. Sezione relativa al componente riportato in Fig. 3.16

In queste sezioni viene poi valutata l’entità del ritorno elastico nei punti di
interesse, come ad esempio nell’immagine riportata in Figura 3.19.
In generale i punti d’interesse si trovano in corrispondenza di raggi di raccordo
o variazioni di curvatura della geometria del pezzo.
Nell’esempio considerato il massimo ritorno elastico si trova in corrispon-
denza del raggio matrice ed è pari a 0.51 mm.

Figura 19. Dettaglio scostamenti posizione iniziale (prima del ritorno elastico, mesh) e di equilibrio
(dopo il ritorno elastico, in grigio)

147
Capitolo III

Un’ulteriore risposta che può essere utile in fase di post-processing dell’a-


nalisi è la distribuzione degli stress nella configurazione di equilibrio ed il con-
fronto con la distribuzione iniziale.

3.7 Esempi applicativi: approccio esplicito


Di seguito alcuni esempi in cui l’approccio esplicito viene generalmente utilizza-
to per la simulazione del problema fisico.

3.7.1 Analisi non lineare CRASH

A titolo di esempio si riporta il caso della simulazione di Urto Assicuratori po-


steriore a 15 km/h che ha come obiettivo quello di definire il carico di collasso del
longherone posteriore di una autovettura sottoposta ad urto posteriore asimme-
trico”
La massa della vettura è pari a 1100 kg, mentre quella della barriera è pari
a 1000 kg. Il modello utilizzato comprende la parte posteriore della vettura. Si
riportano il modello utilizzato, nonché le tensioni e le deformazioni a fine urto.
Dall’analisi dei risultati si ricava un carico di collasso del longherone com-
preso fra 6000 e 7000 kg.
Figura 3.20.
Modello FE parte posteriore
autovettura

Figura 3.21.
Condizioni di prova

148
Il metodo degli elementi finiti e la sua applicazione per lo sviluppo prodotto/processo

Figura 3.22. Tensioni di Von Mises in GPa

Figura 3.23. Diagrammi della forza di reazione sulla barriera (kN), dell’energia interna as-
sorbita e dell’energia cinetica del modello [J]

3.7.2 Analisi di stampaggio lamiera

Per realizzare un’analisi di stampaggio di lamiera generalmente si utilizza un approc-


cio di tipo esplicito, anche se alcuni applicativi commerciali utilizzano l’approccio implici-
to anche per questo tipo di applicazione.
Il set-up di una simulazione per l’imbutitura di lamiera prevede la caratterizzazione
del componente lamiera sia per quanto riguarda lo spessore della lamiera iniziale sia
per quel che riguarda la formulazione del materiale. Gli utensili vengono generalmente
definiti come infinitamente rigidi per confronto con la lamiera, per gli utensili occorre
inoltre definire le condizioni al contorno per quanto riguarda la cinematica e le forze.

149
Capitolo III

In dettaglio devono essere definiti:


• Corsa totale;
• Velocità del punzone o della matrice a seconda se si tratti di uno stam-
po a doppio o semplice effetto;
• Forza di tenuta sul premilamiera;
• Tipologia di contatto tra gli utensili e la lamiera deformabile.
Nella figura che segue (Figura 3.24) si riportano gli utensili necessari per
la formatura con stampo di tipo a doppio effetto: punzone, premilamiera e
matrice, la lamiera è posizionata tra il premilamiera e la matrice.

Figura 3.24. Modello FE degli utensili e della lamiera per l’analisi dell’imbutitura

In generale le risposte fornite dai codici attualmente in commercio riguar-


dano la valutazione degli FLD, la distribuzione degli assottigliamenti, stress,
plastic strain ecc.

Figura 3.25. Esempio di componente ottenuto per imbutitura e valutazione delle risposte fornite

150
Il metodo degli elementi finiti e la sua applicazione per lo sviluppo prodotto/processo

Per valutare la bontà dell’analisi è quindi necessario valutare la presenza di


eventuali difetti attraverso la lettura dei dati forniti dalla simulazione numerica.
Nell’esempio riportato in Figura 3.25, è evidente la formazione di rotture,
tale zona deve essere quindi ritenuta critica, al fine della valutazione della fat-
tibilità del componente.
Al fine di esplorare lo spazio di design del componente investigato è stata
simulata una ulteriore condizione di carico caratterizzata da una tenuta del
premilamiera 10 volte minore rispetto al caso i cui risultati sono riportati in
Figura 3.25. I risultati ottenuti per questa seconda configurazione di carico
sono riportati in Figura 3.26.

Figura 3.26. Esempio di componente ottenuto per imbutitura e valutazione delle risposte
fornite con una variazione della forza di tenuta (x0.1) del premilamiera rispetto al caso riportato
in Figura 3.25

Quest’ultimo esempio evidenzia comunque un elevato assottigliamento


nella zona in corrispondenza della bugna centrale, per cui la soluzione ottima-
le va ricercata nelle soluzioni con il giusto compromesso tra presenza di piatti
in figura e assottigliamento massimo della lamiera in corrispondenza della
bugna centrale.

Bibliografia

O.C. Zienkiewicz, R.L. Taylor, The Finite Element Method: The Basis, Fifth Edition,
Butterworth and Heinemann Editors.

151
Capitolo IV

Modellazione e simulazione ad elementi finiti delle lavora-


zioni per asportazione di truciolo
A. Del Prete, A. Anglani con la collaborazione di Antonio De Vitis

4.1 Introduzione

Nei processi di asportazione di truciolo, le interazioni tra utensile e pezzo


sono molto complesse. Ottenere informazioni tramite attività sperimentali sul-
le grandezze fisiche tipiche del processo di taglio: forze di taglio, temperature
di taglio, tensioni residue superficiali e deformazioni sulla superficie lavorata
risulta essere molto oneroso sia in termini di costi che di tempo necessario
per eseguire le attività necessarie. A questo si aggiunge che, la misurazione
sperimentale di alcune grandezze di interesse risulta essere molto difficoltosa
(es. profilo delle tensioni residue superficiali post lavorazione sul componente
lavorato). Le informazioni sulle grandezze fisiche del processo costituiscono
una base conoscitiva fondamentale per cercare di migliorare: la progettazione
degli utensili, di aumentare la velocità di rimozione del materiale, di prolunga-
re la vita dell’utensile, di migliorare la qualità dei pezzi, etc.
Le tecniche di simulazione ad elementi finiti FEM (Finite Element Method)
possono essere utilizzate per ricavare per via numerica tali informazioni senza
la necessità eseguire lunghe e onerose campagne di test.
Uno degli input cruciali per eseguire le simulazioni di taglio è la disponibili-
tà di dati sulle proprietà del materiale metallico nel campo plastico, tipico delle
condizioni del processo di taglio, cioè in funzione della deformazione, della
velocità di deformazione e della temperatura. I processi di taglio richiedono
la caratterizzazione del comportamento del materiale in campo plastico ad
elevatissimi strain rate (superiori a 10-6 sec-1), temperature (superiori a 1000°C)
e deformazioni (superiori a 4), Figura 4.1.

Figura 4.1: Range di strain rate tipici per differenti tipi di processi produttivi.

153
Capitolo IV
Di seguito saranno presentati i metodi sperimentali ai quali si fa ricorso per
determinare le proprietà meccaniche dei materiali in campo plastico attraver-
so l’utilizzo di opportune equazioni costitutive del materiale.

4.2 Metodi sperimentali per la determinazione delle leggi costitutive del


materiale ad elevati strain rate e temperatura

La caratterizzazione meccanica del materiale per processi di taglio viene


eseguita facendo ricorso ad uno dei metodi illustrati di seguito:
1) High-speed compression test (HSC): in questo metodo un punzone movi-
mentato ad alta velocità da aria compressa comprime un provino che può
essere anche preriscaldato per ottenere dati sul comportamento plastico
del materiale ad elevate temperature. Tale tecnica, [Oyane, 1967; Oxley,
1989] permette di ottenere informazioni sul comportamento del materiale
fino a livelli di strain rate pari a 450 s-1. Il rateo di riscaldamento è molto
più lento rispetto a quello che subisce il materiale durante il processo di
taglio e questo può causare ricottura e invecchiamento del materiale con
conseguente variazione delle sue proprietà meccaniche.
2) Split Hopkinson’s Pressure Bar test (SHPB): questa tecnica è stata introdotta
nella seconda parte del ventesimo secolo per lo studio del comportamen-
to dei materiali ad elevate strain rate [Hopkinson, 1905; Kolsk-Hopkinson,
1905; Kolsk, 1949]. A partire dagli anni 80’ la tecnica SHPB è stata adottata
per determinare il comportamento dei materiali in campo plastico durante
i processi di taglio [Shirakashi, 1983; Maekawa, 1983]. Rispetto alla tecnica
HSC la SHPB permette di realizzare condizioni di prova caratterizzate da più
elevati ratei di deformazione e riscaldamento del provino (Figura 4.2). Con
queste caratteristiche la SHPB permette di evitare fenomeni di ricottuta e
invecchiamento del provino ed ottenere dati relativi alle proprietà plastiche
del materiale fino a strain rate dell’ordine dei 2000 s-1 [Shirakaski, 1983]. La
tecnica SHPB può essere utilizzata oltre che per test di compressione, an-
che per la realizzazione di test di trazione e torsione ad elevati strain rate.
Nei test di torsione è possibile raggiungere livelli di deformazione superiori
ad 1 e strain rate superiori ai 5000 s-1. Modificando la geometria dei pro-
vini ed eseguendo test di resistenza a taglio è possibile raggiungere valori
di strain rate superiori a 10000 s-1 [Treppman, 2001; El-Magd, 1999]. No-
nostante queste caratteristiche i test sperimentali realizzati con la tecnica
SHPB sono ancora insufficienti per sondare le caratteristiche del materiale
ai valori di strain rate tipici dei processi di taglio (superiori a 106 s-1).

Figura 4.2: Schema funzionale di una barra di Hopkinson ad alta pressione.

154
Modellazione e simulazione ad elementi finiti delle lavorazioni per asportazione di truciolo

3) Machining test: il metodo è basato sull’utilizzo di lavorazioni alle macchine


utensili per determinare il comportamento del materiale in campo plastico,
Figura 4.3. Modelli analitici e modelli empirici sono utilizzati per converti-
re i dati sperimentali (forze di taglio, forze di repulsione e geometria del
truciolo) in tensioni, deformazioni, strain rate e temperature presenti nella
zona di taglio [Mathew, 1993; Lei, 1999; Kopac, 2001]. [Shatla, 2001] ha
introdotto un metodo di mappatura indiretta per determinare le proprietà
in campo plastico utilizzando la teoria sul taglio di Oxley [Oxley, 1989] e un
algoritmo di ottimizzazione. Il principio del metodo consiste nel cercare di
minimizzare l’errore tra i valori delle forze di taglio e di repulsione ricavati
per via sperimentale e i valori delle stesse forze predetti attraverso l’itera-
zione dei valori delle proprietà del materiale in campo plastico. L’affidabilità
dei valori delle proprietà dei materiali in campo plastico ricavate attraverso
“machining test” è fortemente influenzata dai modelli analitici e dalle as-
sunzioni utilizzate per determinare i dati di tensione e deformazione.
Attualmente i machining test, per materiali metallici che generano truciolo
discontinuo, possono fornire solo previsioni approssimate del comporta-
mento del materiale in campo plastico, poiché i modelli teorici disponibili
sono stati tutti sviluppati sull’ipotesi di truciolo continuo. In aggiunta i soli
test di machining sono in grado di coprire l’intero range di strain rate e
temperatura tipici del processo. Il limite di questo tipo di test è costituito
dal fatto che è difficoltoso ottenere dati a medi e bassi valori di strain rate.

Figura 4.3: Schema del layout sperimentale per l’esecuzione di un machining test.

4) Integrazione di test convenzionali a bassi e medi strain rate e machining


test ad alti strain rate: tali metodi ibridi prevedono l’estrapolazione dei dati
attraverso HSC e SHPB per bassi e medi valori di strain rate (da 100 s-1 a
10000 s-1) e machining test per valori di strain rate superiori a 10000 s-1. In
tali casi il comportamento del materiale in campo plastico viene descritto
attraverso un set di equazioni, ognuna delle quali adatta a descrivere il
comportamento plastico del materiale in una porzione dell’intero range di
strain rate tipici dei processi di taglio [Treppman, 2001; Guo, 2002; Steven-
son, 1997; Meyer, 1984].

155
Capitolo IV
5) Analisi inversa attraverso l’utilizzo di tecniche FEA: questa metodologia
sfrutta il calcolo FEM in combinazione con test sperimentali di taglio orto-
gonale per ottenere dati sulle proprietà meccaniche del materiale in campo
plastico [Kuman, 1997; Ozel, 2000]. Kumar [Kumar, 1997] ha sviluppato una
metodologia per la determinazione delle proprietà del materiale in campo
plastico basata sulla ricerca iterativa dei parametri da utilizzare per carat-
terizzare il comportamento del materiale all’interno del modello FEM. Una
volta raggiunto un livello di predizione numerica delle forze di taglio quan-
to più possibile coincidente con i valori rilevati nei test sperimentali, i valori
delle proprietà del materiale in campo plastico sono automaticamente de-
terminate. L’utilizzo intensivo dei metodi basati sull’analisi inversa tramite
l’utilizzo della FEA è limitato da due principali problematiche: il metodo
non fornisce una soluzione univoca del problema ed inoltre i risultati sono
fortemente influenzati dal tipo di codice FEM utilizzato.

4.3 Alcuni tipi di equazioni costitutive utilizzate per la descrizione del


comportamento in campo plastico dei materiali metallici nei processi di
asportazione di truciolo

Di seguito sono presentati alcuni modelli costitutivi ai quali si fa ricorso per


rappresentare analiticamente il comportamento plastico del materiale durante
i processi di taglio. Differenti equazioni costitutive sono state proposte ne-
gli anni per rappresentare il comportamento del materiale in campo plastico.
Da tali equazioni, si deducono le tensioni vere in funzione delle deformazioni
vere, strain rate e temperatura.

Power Law Equation


σ=Cεn έm Eq. 4.1
σ= tensioni vere; C= coefficiente di forza;
ε=deformazioni vere; n=strain Hardening;
e=strain rate; m=strain rate Herdening.

I coefficienti C, n ed m sono considerati funzioni della temperatura.


Per i dati esaminati agli alti strain rate, la Power Law Equation può avere
uno strain rate di riferimento ( έ0) come denominatore del termine di strain
rate. Uno strain rate di riferimento è stato selezionato per testare particolari
condizioni sperimentali (e.g. έ0 =1000 s-1 per il test SHPB [Shirakashi, 1983]).
La Power Law Equation è stata comunemente utilizzata nella rappresentazione
del flusso di tensioni di vari materiali (e.g. acciai e leghe di titanio) da quasi
statico a temperatura ambiente (per prove convenzionali di trazione e com-
pressione) ad alti strain rate ed elevata temperature (da prove SHPB ).

156
Modellazione e simulazione ad elementi finiti delle lavorazioni per asportazione di truciolo

Johnson & Cook’s Equation


σ=(A+Bεn)(1+C lnέ)(1-T*m) Eq. 4.2

dove:
T*=(T-Troom)/(Tmelt-Troom)
Troom: temperatura ambiente
Tmelt: temperatura di fusione
A, B, C, n ed m sono delle costanti da determinare sperimentalmente.

Johnson & Cook [Johnson, 1983] hanno stabilito una equazione costitutiva,
equazione 4.2, in una forma semplice. Questa equazione consiste di cinque
coefficienti costanti, per rappresentare il comportamento del materiale ad alte
percentuali di deformazione. L’equazione è stata largamente utilizzata per ma-
teriali ferrosi e non ferrosi, e soprattutto per dati di flusso di tensione in prove
di SHPB. Non è considerato un range elastico fino alla deformazione plastica
generalmente dominante in formatura ad alte percentuali di deformazione.
Questa equazione è relativamente semplice, essa è valida solo per alcune serie
di strain rate e temperature.

Zerilli & Armstrong’s Equation

σ = Co + C1 exp(−C3T + C4T ln e ) + C5e n


Eq. 4.3
per materiali CCC (Cubico Corpo Centrato)
1
σ = Co + C2e 2 exp(−C3T + C4T ln e ) + C5e n
Eq. 4.4
per materiali CFC (Cubico Facce Centrate)

Dove C0, C1, C2, C3, C4, e C5 sono costanti da determinare sperimentalmente
T= temperatura assoluta,

Zerilli & Armstrong [Zerilli, 1987] stabilirono una legge costitutiva basata
sulle dislocazioni, il cui comportamento è descritto da due equazioni basate
sul tipo di struttura cristallina del materiale. Per materiali con struttura cristalli-
na cubica a corpo centrato (CCC), lo strain hardening è modellato indipenden-
temente dall’influenza della temperatura e dello strain rate.
Per materiali con struttura cristallina cubica a facce centrate (CFC), gli effetti
del thermal softening e dello strain rate hardening inducono un aumento delle
tensioni in campo plastico all’aumentare dell’incrudimento del materiale. Que-
sto modello fu proposto per la prima volta da [Zerilli, 1987] per rappresentare
il comportamento in campo plastico delle leghe metalliche più comunemente
utilizzate.

157
Capitolo IV
Macgregor’s Equation
e
Tmod = T (1 − v ln( ))
e 0
Eq. 4.5
σ = C (T mod)e n (T mod)

dove:
Tmod=Velocità di variazione della temperatura
ν= costante strain rate factor
έ0=strain rate di riferimento
n= strain hardening in funzione di Tmod

Macgregor [Macgregor, 1946] correlava gli effetti dello strain rate e della
temperature in un unico termine, chiamato velocità di variazione della tempe-
ratura (Tmod). Questo termine rappresenta l’effetto inverso della temperatura e
dello strain rate sulle tensioni in campo plastico, a causa del fatto che esse de-
crescono all’aumentare della temperatura e con la diminuzione della strain rate.
L’Equazione di Macgregor è stata applicata per acciai a basso e medio te-
nore di carbonio [Oxley, 1989] e leghe di alluminio [Kristyanto, 2002]. Le fun-
zioni della velocità di variazione della temperatura possono essere esponen-
ziali o polinomiali.
Oltre alle quattro equazioni costitutive precedentemente illustrate, alle volte si
preferisce descrivere il fenomeno della deformazione in campo plastico attraverso
l’uso di più leggi, ognuna delle quali viene applicata in un determinato range di
strain rate e temperatura. Ad esempio Treppman [Treppman, 2001] ha proposto
una modellazione del campo plastico di un acciaio AISI 1045 attraverso un set di
tre equazioni: Power Law Equation per bassi strain rate e temperature, un’altra
Power Law Equation per strain rate e temperature nel range intermedio di interes-
se, caratterizzata dalla presenza di valori dei coefficienti differenti rispetto a quelli
utilizzati per valori bassi di strain rate e temperature. Infine una legge di tipo Swift-
Linear Damping Equation per alti valori di strain rate e Temperature.
Considerevoli sforzi sperimentali e calcoli sono necessari per ottenere i nume-
rosi coefficienti per le equazioni. Tutte le equazioni costitutive sopradescritte sono
ricavate a partire da curve di stress-strain ottenute attraverso test sperimentali.
Variazioni chimico-fisiche dei materiali causate da effetti di inclusioni e/o tratta-
menti termici richiedono un intero nuovo set di esperimenti per ottenere le nuove
curve di stress-strain del materiale. In aggiunta, durante le lavorazioni le proprietà
del materiale vengono modificate; tali alterazioni microstrutturali sono causate
dagli stati deformativi indotti sul materiale dalle ripetute passate dell’utensile sul
pezzo in lavorazione. L’ambito della ricerca di modelli costitutivi che riproducano
in modo accurato i fenomeni fisici che avvengono durante il processo di taglio
costituisce un tema di ricerca in continua evoluzione.

158
Modellazione e simulazione ad elementi finiti delle lavorazioni per asportazione di truciolo

4.4 Sviluppo ed applicazione della FEA (Finite Element Analysis) nella simu-
lazione dei processi di asportazione di truciolo

Le tecniche di analisi agli elementi finiti (FEA) sono state introdotte per
la prima volta nel 1960 e sono largamente utilizzate nella progettazione dei
processi di formatura. Sulla base dei successi della simulazione FEM di pro-
cessi massivi, a partire dagli anni '80 molti ricercatori hanno sviluppato codici
FEM per l’analisi di processi di taglio [Usui, 1982; Iwata, 1984; Strenkowski,
1985]. Usui e Shirakashi [Usui, 1982] hanno assunto l’utensile infinitamente
rigido e il pezzo elastoplastico ed hanno definito un criterio di separazione
degli elementi di mesh del pezzo sottoposti all’azione del tagliente, basato
sul grado di penetrazione degli elementi dell’inserto all’interno degli ele-
menti del pezzo. Iwata [Iwata, 1984] utilizza una caratterizzazione rigido-
plastica del modello e un criterio di frattura duttile per la separazione dei
nodi; il modello numerico non teneva in conto gli effetti della temperatura
di processo.
Stenkowski [Stenkowski, 1985] ha utilizzato il codice implicito NIKE-2D®
e per la separazione degli elementi di mesh ha assunto un criterio di frattura
basato sul raggiungimento di un prefissato limite di deformazione in un pia-
no predefinito in prossimità del bordo tagliente dell’inserto.
A partire dagli anni '90 sono stati introdotti metodi per il remeshing auto-
matico. Questi metodi sono basati su procedure che determinano la distor-
sione della mesh, individuano le condizioni di contatto tra mesh e bordo ta-
gliente, aggiungono dove occorre, nodi e quindi elementi di mesh ed infine
interpolano i dati relativi a tensioni e deformazioni dalla vecchia alla nuova
mesh. Marusich [Marusich, 1995] sviluppa un modello FEM basato su formu-
lazione lagrangiana dinamica che sfrutta elementi quadratici triangolari a sei
nodi. Da questa base è stato sviluppato il codice esplicito TWS – AdvantEd-
geTM. A partire dagli anni '90 è stato sviluppato un codice SFTC – DEFORMTM
che utilizza una formulazione degli elementi quadrilateri a 4 nodi basata
sulla formulazione Lagrangiana statica.
Attualmente questi due codici sono stati ulteriormente sviluppati e sono
largamente utilizzati in ambito industriale e di ricerca. Alcuni ricercatori ri-
tengono che i ripetuti remeshing tipici dei codici che sfruttano la formula-
zione Lagrangiana degli elementi siano causa di eccesiva perdita di informa-
zione e quindi di scarsa precisione nei risultati ottenuti in questo modo. Per
tale ragione sono stati proposti modelli che sfruttano formulazioni di tipo
ALE (Arbitrary Lagrangian Eulerian) per simulare la condizione di steady state
[Joyot, 1998; Movahhedy, 2000].
Per l’impostazione di modelli basati su tale formulazione vengono utiliz-
zati codici general purpose, come MSC Marc, ABAQUS Explicit ed LS-DYNA
che, a dispetto di un set-up di simulazione meno intuitivo, consentono di
realizzare simulazioni con un elevato grado di controllo nella selezione della
formulazione degli elementi, nella generazione della mesh, nella definizione
159
Capitolo IV
dei contatti, delle condizioni a contorno e nella scelta dell’algoritmo di cal-
colo del solutore.
L’applicazione dei modelli FEM ai processi di taglio può essere in prima
approssimazione suddivisa in cinque principali ambiti di ricerca:
1) Progettazione dei profili degli inserti;
2) Usura utensili;
3) Rivestimento utensili;
4) Forma del truciolo;
5) Integrità superficiale (tensioni residue).

4.5 Aspetti numerici per la modellazione dei processi di taglio

4.5.1 Approccio Euleriano



Nell’approccio Euleriano, la mesh è fissa nello spazio e il materiale fluisce
attraverso la mesh. L’approccio euleriano è utilizzato per analizzare i proces-
si di taglio in condizioni stazionarie (steady state). Tale approccio non può
essere utilizzato per rappresentare la transizione del processo di taglio dalle
condizioni iniziali a quelle di steady state o per determinare la forma del tru-
ciolo segmentato tipica di processi caratterizzati da elevata velocità di taglio.
L’approccio Euleriano risulta essere poco oneroso in termini di risorse di
calcolo, se confrontato con altre tecniche che verranno di seguito descritte.
Per tali ragioni è stata la prima formulazione ad essere impiegata per la mo-
dellazione dei processi di taglio.

4.5.2. Approccio Lagrangiano


Nell’approccio lagrangiano la mesh segue il flusso del materiale.
Poiché la deformazione della superficie libera del truciolo può essere trat-
tata con legge elasto-plastica, l’approccio lagrangiano può essere utilizzato
per simulare la transizione dalle condizioni iniziali a quelle di steady state. Ri-
sulta invece difficoltoso, simulare la condizione di steady state, poiché in tal
caso è necessario modellare un pezzo caratterizzato da grandi dimensioni,
che inevitabilmente, comporta un notevole incremento del tempo di calcolo.
Per la simulazione della separazione del truciolo dal pezzo è necessario im-
plementare nel modello un criterio di separazione.

4.5.3. Approccio ALE (Arbitrary Eulerian Lagrangian)

L’approccio ALE combina le caratteristiche dell’approccio Lagrangiano


con quelle dell’Euleriano. In questa tecnica ai nodi degli elementi di mesh è
permesso muoversi indipendentemente dal flusso del materiale.
Questo approccio risulta uno strumento efficace per migliorate la qualità
della mesh nella simulazione di fenomeni come il taglio, caratterizzati da

160
Modellazione e simulazione ad elementi finiti delle lavorazioni per asportazione di truciolo
grandi deformazioni degli elementi della mesh.
4.5.4. Mesh Adaptivity

Le tecniche di mesh adaptivity sviluppate per migliorare la qualità della


mesh sono di tre tipi:
• Nella H-adaptivity cambia la dimensione degli elementi di mesh. La
nuova mesh ha differente numero di elementi e la connettività dei
nodi viene modificata.
• Nella P-Adaptivity il grado del polinomio di interpolazione è cam-
biato.
• La R-adaptivity è basata sulla ricollocazione dei nodi, senza alterare la
topologia (elementi e connettività) della mesh.
Ad esempio la tecnica di adaptive remeshing adottata dal codice ABA-
QUS/Explicit è la R-Adaptivity. Durante la fase di meshatura i nodi sono spo-
stati nella posizione più favorevole per migliorare la distorsione della mesh.
In aggiunta, l’algoritmo infittisce la mesh nelle zone che presentano conca-
vità (ad esempio: zone dove si ha la separazione del truciolo, nella zona di
contatto tra pezzo e tagliente).
Spesso la sola applicazione dell’ R-Adaptivity non è sufficiente a garantire
un livello sufficiente nella qualità della mesh. Per tale ragione alcuni codi-
ci sviluppati per la simulazione dei processi di taglio, come Deform-2D e
AdvantEdge impiegano combinazioni di R-adaptivity e H-adaptivity.

4.6. Descrizione delle problematiche legate alla simulazione di processi


di taglio mediante l’impiego di un codice implicito

4.5.5. Modalità di calcolo della soluzione nel caso di un codice implicito

La soluzione numerica nei codici impliciti è caratterizzata da tempi di


calcolo di ogni singolo step più lunghi rispetto ai codici espliciti, ma in grado
di garantire rispetto a questi ultimi una stabilità maggiore in fase di simula-
zione e la possibilità di utilizzare time step più grandi.
Il codice calcola le forze necessarie a deformare ogni elemento della
mesh in funzione delle condizioni locali di temperatura, deformazione e in-
crudimento, basandosi sui dati sperimentali contenuti nel database di ca-
ratterizzazione del materiale calcolati nei range di temperatura e strain-rate
appropriati per il fenomeno analizzato, Figura 4.

161
Capitolo IV

Figura 4.4: Variabili fisiche di calcolo.

Lo schema di calcolo per ogni singolo elemento della mesh prevede:


1. Lettura dei dati relativi ai nodi e all’elemento dal database;
2. Generazione dell’ipotesi iniziale di campo delle velocità dello step;
3. Definizione del comportamento dell’elemento (energia, deformazioni)
basato sui valori delle velocità nodali ipotizzato;
4. Generazione e risoluzione della matrice assemblata per l’ottenimento
di una nuova ipotesi di campo di velocità nodali;
5. Verifica della convergenza della soluzione;
6. Se l’errore è elevato, viene applicata una correzione al campo delle
velocità nodali e si ritorna al punto (3), altrimenti si passa al punto (7);
7. Aggiornamento della geometria in base alle nuove velocità nodali;
8. Verifica dei contatti;
9. Calcolo della temperatura;
10. Scrittura dei risultati nel database.

Riassumendo le varie fasi del calcolo per l’intero modello numerico si pos-
sono schematizzare come segue:
• L’analisi numerica dei fenomeni di metal flow sono basati sull’idea che
il materiale segue il percorso di minima resistenza;
• Il volume del materiale è suddiviso in piccole aree usando nodi ed
elementi;
• Il comportamento di ogni singolo elemento è basato sulle curve stress-

162
Modellazione e simulazione ad elementi finiti delle lavorazioni per asportazione di truciolo
strain del materiale;
• Il comportamento dell’intero workpiece è calcolato in base al compor-
tamento d’assieme di ogni singolo elemento;
• Alla fine del calcolo, la forma del workpiece è aggiornata e il calcolo
ripetuto;
• Ad ogni step, gli eventuali contatti con altri oggetti sono controllati e
modificati.

4.5.6. Base Teorica per la soluzione del problema numerico posto

Il calcolo della deformazione plastica viene eseguito sfruttando il principio


denominato “minimum work rate”.
Il principio si basa sull’assunzione che il flusso di plasticità del materiale è
sempre diretto in direzione del percorso di minima resistenza.
La formulazione matematica del principio è la seguente:


V

S

δπ = ( σ δedV ) + ( Fiδui dS ) + ( K eV δedV ) = 0

V
Eq. 4.6

dove:

δπ = ( ∫ σ
δedV ) + ( ∫ Fiδui dS K ∫deformazione
) + (di
lavoro eV δedV ) = 0plastica;
V S V

π = ( ∫ σ δedV ) + (
∫ Fiδui dS ) + ( K ∫ eV δlavoro
edV ) =delle
0 forze esterne (attriti);
V S V

V ) + ( ∫ Fiδui dS ) + (
K ∫ eV δedV ) = 0 variazione in volume, moltiplicato per
S
V una costante di penalty K.

Viene ipotizzato un campo di velocità nodali e si ricava il valore di strain


rate nel punto centrale dell’elemento.
Calcolate le forze interne ed esterne, la loro differenza dovrebbe essere
nulla, in genere questo non accade alla prima iterazione. Il codice in base
all’errore rilevato nel calcolo delle forze genera una nuova ipotesi di campo di
velocità e ripete il calcolo fino a convergenza.
Lo schema di calcolo delle forze esterne ed interne che agiscono sul singo-
lo elemento per ogni singolo step è schematizzato in Figura 4.5.
La soluzione dell’equazione 4.6, fornisce le velocità in ogni nodo; sono
specificate le condizioni a contorno al fine di ottenere un’unica soluzione del
problema.

163
Capitolo IV

Figura 4.5: Schema di calcolo delle forze esterne ed interne di un elemento in un singolo step.

Quando la velocità del nodo è stata determinata, vengono aggiornate le


sue coordinate tramite integrazione della velocità sul time step dello step cal-
colato, Figura 4.6.

Figura 4.6: Aggiornamento delle coordinate nodali.

Il passaggio successivo è la definizione di un campo di velocità per l’intero


elemento che soddisfi il requisito di compatibilità (continuità materiale dell’in-
tero corpo).

Questo problema viene risolto attraverso le funzioni di forma le quali lega-


no il profilo di velocità dell’elemento alle velocità nodali dello stesso. A titolo di
esempio in Figura 4.7, si riporta l’espressione analitica della funzione di forma
nel caso di elementi unidimensionali.

164
Modellazione e simulazione ad elementi finiti delle lavorazioni per asportazione di truciolo

Figura 4.7: Equazione generalizzata della funzione di forma per elementi monodimensionali.

Il sistema in esame viene descritto da un insieme di equazioni che vengono


assemblate in una matrice di rigidezza globale.
Segue il calcolo della matrice di rigidezza in funzione delle variazioni delle
velocità nodali, Figura 4.8.

Figura 4.8: Matrice di rigidezza globale risolta in funzione delle velocità nodali.

165
Capitolo IV
4.7. Analisi dei fenomeni termici associati ai processi di taglio dei mate-
riali metallici

Gli scambi termici e la distribuzione delle temperature all’interno del pezzo


in lavorazione giocano un ruolo fondamentale nel prevedere tramite simula-
zione numerica il comportamento del processo di asportazione di truciolo.
In particolare, la temperatura influenza in modo rilevante la valutazione
delle forze di taglio e la previsione della formazione e sviluppo del truciolo.
Le modalità di generazione e propagazione del calore nelle fasi di taglio sono
visibili in Figura 4.9:

Figura 4.9: Modalità di generazione e trasferimento di calore.

Il machining è un processo non isotermico, nel quale concorrono sia feno-


meni deformativi che termici. La procedura di calcolo è detta “coupled” (ac-
coppiata) e prevede la seguente sequenza operazionale:

1. Calcolo delle deformazioni di uno step.


2. Calcolo della variazione di temperatura nello step, comprensiva del ca-
lore generato dall’incremento di deformazione calcolato nel punto 1.
3. Calcolo di un nuovo step di deformazione, usando la distribuzione di
temperatura calcolata nello step precedente, punto 2.

Per il calcolo delle temperature è necessario fornire al solutore i seguenti


input:

166
Modellazione e simulazione ad elementi finiti delle lavorazioni per asportazione di truciolo

PEZZO IN LAVORAZIONE

• Caratteristiche termiche del materiale:
- Conduttività termica [W/mK]
- Capacità termica [J/kg K]
- Emissività
• Coefficiente di scambio termico con l’ambiente

UTENSILE
• Consente la generazione della mesh per il tool, necessaria al calcolo
dei fenomeni termici che avvengono nell’utensile. La mesh non viene
definita in simulazioni che richiedono il calcolo del solo stato deforma-
tivo, in quanto l’utensile viene caratterizzato con un comportamento
infinitamente rigido quindi non deformabile.
• Caratteristiche termiche del materiale:
- Conduttività termica [W/mK]
- Capacità termica [J/kg K]
- Emissività
• Coefficiente di scambio termico con l’ambiente

INTERFACCIA DI CONTATTO SEMILAVORATO-UTENSILE

• Coefficiente di scambio termico all’interfaccia utensile-pezzo.

4.8. Modello approssimazione di taglio ortogonale (2D)

Al fine di simulare i fenomeni meccanici e termici che avvengono all’inter-


faccia utensile-pezzo è sufficiente modellare solo una piccola porzione del
componente lavorato, in particolare come evidenziato in Figura 4.10 è suffi-
ciente simulare il processo su una piccola porzione di superficie modellata con
sviluppo lineare.

Figura 4.10: Definizione del modello


approssimato 2D della lavorazione.

167
Capitolo IV
In Figura 4.11 sono visibili alcuni modelli approssimati2D utilizzati per simulare
operazioni di tornitura e fresatura.

Figura 4.11: Esempi di approssimazione 2D delle operazioni di tornitura e fresatura.

4.9. Definizione degli elementi finiti: problematiche generali

Gli elementi finiti discretizzano il continuo attraverso la creazione di elementi


di mesh. In particolare, i contatti tra pezzo lavorato e utensile sono definiti at-
traverso i nodi degli elementi. Una mesh molto fitta approssima meglio il feno-
meno analizzato, ma nel contempo causa un aumento dei tempi di simulazione.
In Figura 4.12 un esempio, che evidenzia come al crescere del numero degli
elementi della mesh, il modello diventa via via più accurato in termini di forma

Figura 4.12: Forma del truciolo, tempo di calcolo e valore della forza di taglio al variare della di-
mensione degli elementi di mesh utilizzati.

168
Modellazione e simulazione ad elementi finiti delle lavorazioni per asportazione di truciolo
del truciolo e forze di taglio, ma a discapito del tempo di calcolo. L’accu-
ratezza nel calcolo delle grandezze di interesse, come detto, aumenta al cre-
scere del numero degli elementi fino a raggiungere un numero critico oltre il
quale non si ha più convenienza ad infittire ulteriormente la mesh del modello
poiché si hanno incrementi trascurabili in termini di accuratezza e per contro i
tempi di calcolo enormemente dilatati.
Le variabili (deformazioni, temperature, tensioni, etc.) vengono calcolate
nel punto centrale dell’elemento; questo causa nei casi di regioni con elevati
gradienti per step delle grandezze in esame errori rilevanti, la cui entità può
essere ridotta utilizzando mesh più fitte, Figura 4.13.

Figura 4.13: Diminuzione dell'errore di calcolo al crescere della densità di mesh, in zone ad elevato
gradiente

Nelle simulazioni di asportazione di truciolo gli elementi del pezzo in lavo-


razione sono distorti in modo rilevante, allungati e compenetrati dall’utensile,
questo rende necessario il remeshing di tali zone (Figura 4.14).
Il codice è in grado di conservare il numero di elementi originariamente
generati, creando mesh più fitte solo nelle regioni via via sottoposte a stati
deformativi intensi e diradando la mesh nelle zone non più interessate a feno-
meni di intensa deformazione.
Questo permette di ottenere una soluzione accurata senza aumentare di
molto il tempo di calcolo.

Figura 4.14: Esempio di remeshing in una zona di compenetrazione workpiece-tool.

169
Capitolo IV
Ad ogni remeshing viene generata una nuova mesh; le informazioni con-
tenute nella vecchia mesh vengono interpolate nella nuova mesh, questa pro-
cedura comporta inevitabilmente l’introduzione di un errore di interpolazione
nel trasferimento dell’informazione.
Gli strumenti di calcolo fanno ricorso al re-meshing e dispongono di al-
goritmi che permettono di controllare l’avvio e la frequenza di remeshing nel
workpiece, appena l’oggetto master (Tool) penetra nello slave (workpiece) per
una dimensione uguale a quella specificata come Interference depth, Figura
4.15.

Figura 4.15: Meccanismo di attivazione del remeshing.

Il parametro va indicativamente settato su un valore compreso tra 1/100


esimo e 1/1000 esimo della dimensione del più piccolo elemento presente
nella mesh iniziale del pezzo in lavorazione. Un valore troppo alto infatti, può
portare a livelli di interferenza troppo elevati non aderenti al comportamento
reale del processo, mentre valori del parametro eccessivamente piccoli causa-
no remeshing troppo frequenti con relativi: allungamento dei tempi di calcolo
e aumento degli errori di interpolazione.
La definizione della mesh iniziale degli oggetti può essere eseguita in mo-
dalità automatica e in modalità manuale. Nel primo caso, l’operatore specifica il
numero di elementi che intende utilizzare per la mesh iniziale dell’oggetto. L’al-
goritmo di meshing genera una mesh molto fitta nella zona di contatto pezzo-
utensile e con elementi di dimensioni maggiori nella restante parte del pezzo in
lavorazione, Fig. 4.16.
Il codice mantiene costante il numero di elementi impostato dall’operato-
re durante la simulazione, aumentando il numero di elementi nelle zone più
critiche (zona di contatto pezzo in lavorazione-utensile) e diradando la mesh
lontano da tali zone.

170
Modellazione e simulazione ad elementi finiti delle lavorazioni per asportazione di truciolo

Figura 4.16: Generazione della mesh iniziale in modalità automatica.

L’algoritmo che governa il meccanismo di Automatic Mesh Regeneration


durante la simulazione è basato sul peso assegnato ai seguenti parametri:

• Boundary Curvature: cioè l’algoritmo infittisce la mesh nelle zone


dove è maggiore la curvatura, Figura 4.17.

Figura 4.17: algoritmo di meshing a cui è stato assegnato un Boundary Curvature con peso pari a 1.

• Strain Distribution: infittisce la mesh nelle zone sottoposte ad eleva-


ta deformazione, Figura 4.18.

171
Capitolo IV

Figura 4.18: algoritmo di meshing basato sullo Strain Distribution con peso pari a 1 e secondo la
logica del gradiente di deformazione.

Di default l’affinamento della mesh è basato sul gradiente di strain, cioè a


variazione dell’entità dello strain sul pezzo in lavorazione. Il truciolo tende ad
avere uno strain uniforme, con gradiente piccolo, ma con entità di deforma-
zione elevata. Per tali ragioni l’algoritmo di default tende a diradare la mesh
nel truciolo.
Nel caso sia di interesse mantenere alto il numero di elementi nel tru-
ciolo (es. analisi della tipologia e forma del truciolo per un determinato tipo
di materiale e parametri di taglio) i codici di calcolo prevedono la possibilità
mantenere alto il numero degli elementi di mesh nello stesso. In tale modalità
l’algoritmo di infittimento della mesh non è più guidato dal gradiente di strain,
ma dall’entità dello strain, Figura 4.19.

Figura 4.19: algoritmo di meshing basato sullo Strain Distribution con peso pari a 1 e secondo la
logica dell’entità della deformazione.

172
Modellazione e simulazione ad elementi finiti delle lavorazioni per asportazione di truciolo

• Strain Rate Distribution: infittisce la mesh nelle aree sottoposte ad


elevati valori di strain-rate, Figura 4.20.

Figura 4.20: algoritmo di meshing a cui è stato assegnato uno Strain Rate Distribution con peso
pari ad 1.
• Temperature Distribution: posiziona mesh fitte nelle aree che pre-
sentano elevati gradienti di temperatura.

5.1.1. Definizione della mesh

Figura 4.21: Generazione degli elementi di mesh nel pezzo in lavorazione.

173
Capitolo IV
Per simulazioni del processo di asportazione di truciolo è consigliabile de-
finire gli elementi della mesh attraverso delle finestre di selezione. Questa mo-
dalità di generazione della mesh iniziale permette di definire con precisione
la dimensione degli elementi nelle differenti zone del pezzo in lavorazione. In
Figura 4.22 ad esempio è visibile una dimensione di 0.005 mm agli elementi
della mesh nella zona di contatto tra utensile e pezzo.

Figura 4.22: Definizione iniziale della mesh utilizzando il mesh window.

La mesh dell’utensile viene generata in modalità automatica, assegnando


un numero di elementi tra 1000 e 2000.
All’utensile viene assegnata una caratterizzazione infinitamente rigida del
materiale, pertanto la sua mesh non subisce distorsioni, ma serve solo al cal-
colo degli scambi termici, Figura 4.23.

Figura 4.23: definizione della mesh per l'utensile.

174
Modellazione e simulazione ad elementi finiti delle lavorazioni per asportazione di truciolo

5.1.2. Condizioni a contorno (Boundary conditions)

Figura 4.24: Definizione delle condizioni a contorno per il modello FE.

In questa sezione sono presenti i comandi per definire come le superfici


esterne degli oggetti presenti nel modello della simulazione interagiscono tra
loro e con l’ambiente circostante.
Di seguito sono descritte le condizioni a contorno assegnate al pezzo la-
vorato e all’utensile.
Per il pezzo in lavorazione vengono definite le seguenti condizioni a con-
torno:
• VELOCITY BCC (condizioni a contorno sulle velocità): in simulazioni di
metal cutting l’oggetto dotato di movimento è il pezzo in lavorazione.
Vengono vincolati i movimenti lungo l’asse Y e viene assegnata la velo-
cità dei nodi in direzione X, (velocità di taglio), Figura 4.25.
• HEAT EXCHANGE WITH ENVIRONMENT BCC (condizioni di scambio
termico con l’ambiente): definisce il coefficiente di scambio termico
tra le superfici degli oggetti e l’ambiente circostante. Per simulazioni
di processi di metal cutting in assenza di liquido refrigerante il coeffi-
ciente di scambio con l’aria è fissato sul valore di 0.02 N/(sec mm °C),
Figura 4.25.
• TEMPERATURE BCC (Temperatura dei componenti): permette di de-
finire superfici isotermiche, in genere per tali superfici viene fissata
una temperatura di 20°C. Questo permettere di evitare di calcolare gli
scambi termici lontano dalle zone direttamente interessate dai feno-
meni termici legati all’operazione di taglio, Figura 4.25.

175
Capitolo IV

Figura 4.25: Esempio di set up delle condizioni a contorno assegnate al pezzo in lavo-
razione.

In modo analogo vengono assegnate le condizioni al contorno di carattere


termico all’utensile. Si impongono in modo automatico e senza rappresentarli
graficamente, vincoli che impediscono i movimenti sia lungo l’asse X che lun-
go la direzione Y all’oggetto designato come tool, Figura 4.26.

Figura 4.26: Esempio di set up delle condizioni a contorno assegnate all'utensile.

176
Modellazione e simulazione ad elementi finiti delle lavorazioni per asportazione di truciolo
5.1.3. Modalità di controllo della simulazione

Figura 4.27: Set up dei controlli di simulazione.


In tale sezione vi è la descrizione delle istruzioni che consentono il control-
lo della simulazione. Ad ogni incremento di tempo le velocità, temperature e
le altre variabili di stato di ogni nodo della mesh vengono determinate in base
alle condizioni a contorno e alle proprietà termo-meccaniche del materiale
assegnato al pezzo in lavorazione.
La lunghezza del time step e il numero di step simulation viene fissato nel
menu “step control” della sezione “Simulation Control”, Figura 4.27. Time step
molto grandi causano una scarsa accuratezza della soluzione, mentre time
step troppo piccoli possono portare a tempi di calcolo particolarmente lunghi.
Per simulazioni di metal cutting è consigliato utilizzare la seguente proce-
dura per il calcolo del time step:

1. Misurare il più piccolo elemento della mesh del workpiece, d [mm].


2. Determinare la velocità del pezzo in lavorazione, pari alla velocità di
taglio V [mm/sec].
3. Dividere il risultato del punto (1) per il valore del punto (2) e assumere
il 10-20% del valore trovato come time step di simulazione,
d
∆t = ⋅ (0.1)
V
4. Il numero di step è dato da:
x
n=
V ⋅ ∆t

177
Capitolo IV
Dove:
x = lunghezza della passata,
V = velocità di taglio,
Δt = time step

Nelle simulazioni FEM di processi di asportazione di truciolo la ricerca della


soluzione per ogni step di calcolo viene eseguita attraverso un solutore ba-
sato su algoritmo di tipo “Sparse” accoppiato ad algoritmo di tipo “Newton-
Raphson” come metodo di iterazione.

NOTE

Sparse Solver
Algoritmo di calcolo che permette di eseguire in modo efficiente calcoli su matrici
sparse, cioè popolate prevalentemente di zeri, tipiche di sistemi scarsamente accoppiati,
molto usate in campo ingegneristico per risolvere problemi altamente non lineari.
I dati contenuti nelle matrici sparse sono facilmente comprimibili e questa compres-
sione permette una significativa diminuzione della memoria necessaria per il calcolo. Per
memorizzare e manipolare grandi matrici sparse è necessario utilizzare idonei algoritmi
e strutture dei dati.
Metodo di Newton-Raphson
Il metodo di Newton-Raphson è utilizzato per il calcolo approssimato di una soluzio-
ne di un'equazione della forma f(x)=0. Di seguito viene brevemente descritta la logica di
ricerca iterativa della soluzione.

Figura 4.28: Esempio di applicazione del metodo Newton-Raphson – convergenza della


soluzione.
1. Un piccolo incremento del carico ΔP, è applicato al modello (Figura 4.28)
2. L’algoritmo utilizza la tangente di rigidezza, K0 nel punto u0 e ΔP per
determinare la correzione dello spostamento, ca , per il modello
3. L’algoritmo calcola la nuova tangente Ka sulla base della configurazione

178
Modellazione e simulazione ad elementi finiti delle lavorazioni per asportazione di truciolo
aggiornata del modello, Ka e ua sono utilizzate per calcolare le forze in-
terne del modello, Ia
4. La differenza tra le forze totali applicate, P, e Ia è chiamata forza residua:
Ra= P - Ia
5. Se Ra è molto piccola (all’interno del limite di tolleranza) per tutti i gradi
di libertà del modello, esso è in equilibrio
6. Se l’iterazione non porta la soluzione a convergenza (accettabile), l’al-
goritmo esegue una nuova iterazione per trovare una soluzione conver-
gente
7. La tangente di rigidezza basata sulla configurazione aggiornata (Ka) ed
Ra sono utilizzati per calcolare la nuova correzione dello spostamento,
cb , (Figura 4.29)
8. Il nuovo residuo Rb viene confrontato con la tolleranza per verificare se
la nuova soluzione, ub è convergente.
9. Questa procedura viene iterata finché le forze residue rientrano all’inter-
no dei limiti di tolleranza.

Rif: Abaqus Standard 6.11 Theory Manual.

Figura 4.29: Esempio di applicazione del metodo Newton-Raphson – assenza di con-


vergenza della soluzione.

179
Capitolo IV
5.1.4. Materiali

Figura 4.30: Assegnazione dei materiali e proprietà al modello FE.

5.1.4.1. Premessa: caratterizzazione elasto-plastica del materiale del pezzo in


lavorazione

Figura 4.31: Caratterizzazione rigido-plastica del materiale.

180
Modellazione e simulazione ad elementi finiti delle lavorazioni per asportazione di truciolo
La caratterizzazione rigido-plastica del materiale, Figura 4.31, può fornire infor-
mazioni solo su deformazione, carichi agenti sugli utensili e temperature di taglio.
Se l’obiettivo della simulazione numerica è quello di avere informazioni
utili sulle tensioni residue superficiali derivanti dal processo di asportazione
di truciolo, è indispensabile utilizzare una caratterizzazione elasto-plastica del
materiale, Figura 4.32.

Figura 4.32: Caratterizzazione elasto-plastica del materiale.

5.1.4.2. Caratterizzazione numerica del materiale

Le caratteristiche dei materiali che è necessario specificare per effettuare


simulazioni del processo di taglio dei metalli sono le seguenti:

• Proprietà elastiche.
• Proprietà termiche.
• Proprietà plastiche.
Per simulazioni accurate sarebbe ideale determinare le proprietà del ma-
teriale nei range di deformazione, strain-rate e temperature realmente riscon-
trate nell’operazione di asportazione di truciolo esaminata, cioè è necessario

181
Capitolo IV
disporre di dati descrittivi del comportamento del materiale ad elevati livelli di
deformazione (3-5), strain rate (103 -105 s-1) e le proprietà elastiche e termiche
del materiale nel range di temperatura (20-1000°C) con rateo di incremento
della temperatura dell’ordine dei centinaia di gradi al secondo.
Il materiale può essere caratterizzato mediante dati a disposizione dell’o-
peratore o sfruttando la libreria materiali interna del software, che contiene la
caratterizzazione appropriata per la simulazione di processi di metal cutting,
di molte leghe di uso industriale.

5.1.4.3. Definizione delle proprietà elastiche del materiale

In Figura 4.33, un esempio di proprietà elastiche presenti nel database del


materiale selezionato dalla libreria interna del software (acciaio AISI 1045 per
l’esempio in esame).

Figura 4.33: Finestra di definizione delle proprietà elastiche del materiale.

Si noti che il modulo di Young e il coefficiente di espansione termica sono


definiti in funzione della temperatura, mentre al modulo di Poisson è associato
un valore costante, Figura 4.33.

5.1.4.4. Definizione delle proprietà termiche del materiale

In Figura 4.34, le proprietà termiche presenti nel database del materiale


selezionato dalla libreria interna del software, (acciaio AISI 1045 per l’esempio
in esame).

182
Modellazione e simulazione ad elementi finiti delle lavorazioni per asportazione di truciolo

Figura 4.34: Finestra di definizione delle proprietà termiche del materiale.

In questo caso la conduttività termica e la capacità termica sono definite in


funzione della temperatura.
All’emissività, definita dall’equazione ε= E/Eb
dove:
E= quantità di radiazione emessa dal corpo per unità di superficie e di tempo;
Eb= quantità di radiazione emessa dal corpo nero per unità di superficie e di
tempo; viene associato un valore costante, (Figura 4.34).

5.1.4.5. Definizione delle proprietà plastiche del materiale


Il database dei materiali caratterizzati in modo opportuno per eseguire si-
mulazioni di asportazione di truciolo è dotato di curve descrittive del compor-
tamento plastico del materiale tabulate in funzione di:
έ= Effective plastic strain;
Ɛ= Effective strain rate;
T= Temperatura (Figura 4.35).

Figura 4.35: Finestra di definizione delle proprietà plastiche del materiale.

183
Capitolo IV
La procedura di calcolo del solutore prevede l’individuazione del punto di
intersezione tra la curva di deformazione plastica e quella elastica, Figura 4.36.

Figura 4.36: Intersezione della curva plastica ed elastica del materiale.

Nei casi in cui la curva di plasticità non è definita per bassi valori di strain, il
solutore può in alcuni casi non trovare il punto di intersezione delle due curve
ed è costretto ad estrapolare il valore dell’intersezione, questo causa difficoltà
nella convergenza del calcolo, Figura 4.37.

Figura 4.37: Estrapolazione del punto di intersezione della curva plastica ed elastica del
materiale.

In generale, se l’algoritmo di calcolo nel corso dell’esecuzione della simu-


lazione richiede dati di stress e strain al di fuori del range definito dai dati
tabulati, estrapola i dati dagli ultimi due punti della curva di riferimento del

184
Modellazione e simulazione ad elementi finiti delle lavorazioni per asportazione di truciolo
materiale, attraverso un’interpolazione logaritmica o lineare, Figura 4.38.

Figura 4.38: Regole d'interpolazione.

Per ovviare ai problemi di convergenza della soluzione, in alternativa ai dati


tabulati, si può ricorrere a modelli reologici per descrivere il comportamento
del materiale in campo plastico. In letteratura sono disponibili molti modelli,
uno dei più utilizzati nelle simulazioni dei processi di taglio è il modello di
Johnson-Cook, equazione 4.7. Tale modello è stato sviluppato per descrivere il
comportamento di metalli sottoposti a grandi deformazioni, elevati strain-rate
ed alte temperature, tipiche dei processi di asportazione di truciolo.

( )
α
 e  e 

σ = A + Be n 1 + C ln   D − ET *m  ( ) Eq.4.7
 e0  e0 

(T − Troom )
T* =
(Tmelt − Troom ) D = D0 exp[k (T − Troom ]
β
con: e

dove:

A, B, C, D0, k, α, β, n, m: costanti dipendenti dal materiale

T: temperatura istantanea

Troom: temperatura ambientale

185
Capitolo IV
Tmelt: temperatura di fusione

e
: rapporto di strain rate effettivo per ε0=1 s-1
e0

L’assegnazione delle proprietà del materiale viene effettuata anche per gli
utensili. Come specificato nel sotto paragrafo 5.1.1, all’utensile viene assegna-
ta una caratterizzazione infinitamente rigida del materiale, ne consegue che
l’associazione del materiale al modello FEM è necessaria solo per la definizione
delle proprietà termiche del materiale di cui è costituito l’utensile, mentre è
possibile trascurare la definizione delle proprietà elastiche e plastiche.

5.1.4.6. Caratteristiche avanzate del materiale

Nelle simulazioni dei processi di asportazione di truciolo, viene spesso uti-


lizzato un modello di danno duttile CDM (Continuous Damage Model) per
definire le modalità di deformazione plastica del materiale. In letteratura sono
disponibili diversi criteri di danneggiamento, di seguito vengono riportati al-
cuni dei più utilizzati nella simulazione dei processi di asportazione di truciolo:
• Cockroft & Latham
• McClintock
• Freudenthal
• Rice & Tracy
• Oyane
• Ayada
• Osakada
• Brozzo
• Zhoa & Huhn

Nei codici numerici dedicati alla simulazione dei processi di taglio, sono
in genere implementati dei criteri di danneggiamento. Essi sono in genere
funzione di:
• strain
• strain rate history
• temperature history
• stress

Se in un elemento del modello si supera il valore di danneggiamento critico


impostato per il materiale in esame, si ha l’eliminazione dell’elemento (element
deletion method).
In Figura 4.39 un esempio di configurazione del criterio di danneggiamen-
to selezionato.

186
Modellazione e simulazione ad elementi finiti delle lavorazioni per asportazione di truciolo

Figura 4.39: Finestra di selezione e definizione del criterio di danneggiamento e assegnazione del
valore critico di rottura per il materiale.

5.1.5. Definizione dei contatti

Figura 4.40: Definizione dei contatti.

187
Capitolo IV
La creazione dei contatti tra i componenti del modello, permette di definire
il meccanismo di interazione tra i vari oggetti nel corso della simulazione. Nel
caso di una simulazione di taglio è fondamentale definire oltre al contatto
pezzo in lavorazione-utensile, anche il contatto pezzo-pezzo per evitare che la
simulazione si interrompa nel momento in cui il truciolo ripiegandosi vada a
toccare la superficie del pezzo in lavorazione, Figura 4.41.

Figura 4.41: Esempio di contatto truciolo-pezzo e pezzo-pezzo.

Le variabili da impostare per la definizione dei contatti sono:


• Relazione di contatto.
• Coefficiente d’attrito.
• Coefficiente di scambio termico all’interfaccia truciolo-utensile.

5.1.5.1. Relazioni di contatto

Il contatto deve essere considerato come l’interazione tra una superficie


definita “master” ed una definita “slave”. Per tale ragione, definite le superfici
che verranno a contatto nel corso della simulazione, è necessario classificare
ognuna di esse come slave o master. Per simulazioni di metal cutting lo slave è
l’oggetto deformabile, quindi il workpiece, mentre il master è l’oggetto infini-
tamente rigido, cioè l’utensile. Nella definizione del self-contact il workpiece è
definito sia come master che come slave, Figura 4.42.

188
Modellazione e simulazione ad elementi finiti delle lavorazioni per asportazione di truciolo

Figura 4.42: Finestra di definizione delle relazioni di contatto.

Tramite il comando “Edit” presente nella finestra “Inter-Object”, Figura 4.42,


si accede al menu che permette di definire il coefficiente d’attrito e lo scambio
termico presenti tra le superfici a contatto.

5.1.5.2. Coefficiente d’attrito

Come visibile in Figura 4.43, sono disponibili tre modelli d’attrito:


• Constant shear FS = m ˑ k
dove: Fs : shear stress,
m: frictional factor
k: shear yield stress
• Coulomb friction
• Constant shear stress

Figura 4.43: Finestra di definizione del modello d'attrito dei contatti.

189
Capitolo IV
Il modello consigliato di default per simulazioni di metal cutting è il con-
stant shear con valori consigliati in assenza di dati sperimentali compresi nel
range [0.7; 0.9].

5.1.5.3. Coefficiente di scambio termico all’interfaccia

Definisce il coefficiente di trasferimento di calore tra due oggetti a contat-


to.
Può essere definito con valore costante o in funzione del tempo e della
pressione di contatto, se tali dati sono disponibili. Nell'esempio in figura 4.44
di assegnazione del valore numerico al coefficiente di scambio termico all’in-
terfaccia.

Figura 4.44: Finestra di definizione del coefficiente di scambio termico all'interfaccia.

Definito il coefficiente d’attrito e il coefficiente di scambio termico del con-


tatto, tramite il comando “Tolerance” (Figura 4.42), si determina la banda intor-
no al profilo dell’utensile all’interno della quale i nodi del pezzo in lavorazione
vengono associati al contatto. Segue la fase di generazione del contatto attra-
verso il comando “generate all” (Figura 4.42). I nodi del pezzo in lavorazione,
interni alla banda di tolleranza sono portati a contatto col profilo dell’utensi-
le. Questo causa un leggero adattamento dei nodi degli elementi posizionati
all’interno della banda di tolleranza, Figura 4.45. La funzione di tale comando è
di limitare, attraverso la riduzione della velocità dei nodi della parte master del
contatto, la tendenza dell’oggetto infinitamente rigido (utensile) a penetrare la
superficie dello slave, cioè l’oggetto deformabile (pezzo in lavorazione).
Nel caso in cui la generazione del contatto causa una notevole distorsione
degli elementi presenti nella banda di tolleranza, si procede alla rigenerazione
della mesh iniziale e si utilizza una banda di tolleranza meno ampia per la ge-
nerazione del contatto.

190
Modellazione e simulazione ad elementi finiti delle lavorazioni per asportazione di truciolo

Figura 4.45: Logica di definizione dei contatti.

5.1.6. Generazione del file di input per il solutore

Figura 4.46: Check e generazione del file di input per il solutore.

191
Capitolo IV
Il passo operativo successivo al completamento del set-up del modello
numerico consiste nella generazione del file di input per il solutore. In questo
file sono contenuti tutti i dati necessari per l’esecuzione della simulazione.
Prima della generazione del database è necessario effettuare, un controllo del
set-up del modello creato, Figura 4.46. Il software verifica che il modello sia
stato correttamente impostato e nel caso rilevi errori o assenza di informazio-
ni necessarie alla corretta esecuzione della simulazione, segnala le anomalie
registrate. I messaggi di avviso possono essere di due tipi:
• Data error: indicazione che la voce segnalata non è stata correttamente
impostata e tale errore di set-up deve essere corretto prima della ge-
nerazione del database.
• Data warning: indicazione di un comando settato in modo non coerente
con l’impostazione consigliata dal codice, ma che in ogni caso non infi-
cia la generazione del database.

4.10. Rilassamento termo-meccanico post-lavorazione

Per ottenere come output le tensioni residue superficiali è necessario ese-


guire un ulteriore step di simulazione sul modello FEM che ha subito in prece-
denza la simulazione di asportazione di truciolo secondo le modalità riportate
nei paragrafi precedenti.
Il nuovo set-up prevede la seguente sequenza di operazioni:
1. Rimozione dell’utensile dalla superficie del workpiece, Figura 4.47.

Figura 4.47: Rimozione dell'utensile.

192
Modellazione e simulazione ad elementi finiti delle lavorazioni per asportazione di truciolo
2. Creazione delle nuove condizioni a contorno, Figura 4.48:
a) vincolare il pezzo in lavorazione nella direzione X e Y.
b) definire le superfici che scambiano calore con l’ambiente.

Figura 4.48: Definizione delle condizioni a contorno.

3. Impostazione di un tempo di durata del processo compreso tra i 5 e i 10


secondi, Figura 4.49.

Figura 4.49: Impostazione del tempo di durata della simulazione.

4. Generazione del database e lancio della simulazione.

4.11. Analisi dei risultati ottenuti da una simulazione del processo di ta-
glio

La fase di processamento dei risultati “Post-Processing” permette di visua-


lizzare e analizzare i risultati della simulazione dal database dei risultati pro-
dotto dal motore di calcolo.
Le variabili di stato che possono essere plottate e/o visualizzate tramite
contour map e vector plot sono:

• Displacement: spostamenti nodali.


• Strain: misura del grado di deformazione dell’oggetto. Permette di
visualizzare oltre agli stati deformativi nelle varie direzioni, un valore
complessivo dello stato deformativo molto usato nelle analisi di me-

193
Capitolo IV
tal forming, denominato “effective o Von Mises strain” e definito come
segue:

e= (e1 − e 2 )2 − (e 2 − e 3 )2 − (e 3 − e1 )2

Dove: Ɛ1, Ɛ2 ed Ɛ3 sono i principal strain ed Ɛ è lo strain effettivo.

• Strain-rate: misura del velocità di deformazione.


• Stress: formulazione dello stress di Von Mises per definire l’“effective
stress”, σ:

1
σ = (σ 1 − σ 2 )2 − (σ 2 − σ 3 )2 − (σ 3 − σ 1 )2
2
Dove: σ1, σ2 e σ3 sono le tensioni principali.

• Velocity: velocità nodali.
• Temperature: nel workpiece e nell’utensile.

Seguono alcuni esempi dell’analisi dei risultati delle simulazioni di processi


di asportazione di truciolo:

Stati tensionali e deformativi della parte lavorata; contour plot delle variabili
di output: stress, strain, temperatura, strain rate (Figura 4.50, Figura 4.51,
Figura 4.52 e Figura 4.53).

Figura 4.50: Mappa di Stress (MPa). Figura 4.51: Mappa di temperatura (°C).

194
Modellazione e simulazione ad elementi finiti delle lavorazioni per asportazione di truciolo

Figura 4.52: Mappa di Strain (%). Figura 4.53: Mappa di Strain rate (s-1).

Vector plots: vettori di velocità e spostamento con indicazione del modulo,


direzione e verso, per ogni nodo in ogni step durante il processo (Figura
4.54 e Figura 4.55).

Figura 4.54: Vector plot degli spostamenti no- Figura 4.55: Vector plot delle velocità nodali
dali (mm). (mm/sec).

195
Capitolo IV
Point tracking: per vedere il movimento di un punto materiale d’interesse fissato
dall’operatore e riportare su di un apposito grafico le variabili di tale punto al pro-
gredire della simulazione, Figura 4.56.

Figura 4.56: Evoluzione della temperatura del punto P1 nel corso della simulazione.

Grafici di una qualsiasi delle variabili di stato precedentemente elencate, per


punti compresi tra due estremi specificati dall’operatore, Figura 4.57.

Figura 4.57: Profilo di temperatura nell’utensile.

196
Modellazione e simulazione ad elementi finiti delle lavorazioni per asportazione di truciolo

Visualizzazione dell’andamento delle forze di taglio nel tempo, Figura 4.58.

Figura 4.58: Andamento dei carichi agenti sull'utensile in fase di taglio.

Visualizzazione delle tensioni residue post-rilassamento termo-meccanico negli


strati superficiali del pezzo in lavorazione, Figura 4.59.

Figura 4.59: Andamento delle tensioni residue di lavorazione, negli strati superficiali del pezzo in
lavorazione.

197
Capitolo IV
4.12. Tensioni residue superficiali – correlazione numerico-sperimentale

Lo schema di simulazione FEM 2D dei processi di asportazione di truciolo,


prevede la configurazione geometrica di taglio ortogonale (Plane Strain), Fi-
gura 4.60.

Figura 4.60: Dominio di modellazione Plane Strain e modello FEM 2D di taglio ortogonale.

Nel processo reale di tornitura con inserto circolare la configurazione ge-


ometrica si allontana dalle condizioni ideali di taglio ortogonale, Figura 4.61
e Figura 4.62.

Figura 4.61: Esempio di schema di tor-


nitura 3D con inserto circolare.

Figura 4.62: Sezione del truciolo.

Per questa ragione non è possibile utilizzare per il set-up di simulazione i


parametri di processo realmente impiegati nell’operazione. Operando in que-
sta direzione i risultati numerici, in termini di tensioni residue superficiali non
sono confrontabili con quelli riscontrati nella realtà sperimentale.
A conferma di quanto sopra riportato, in Tabella 1 è visibile il confronto tra
i valori di tensione residua superficiale riscontrata sperimentalmente e il valore
numerico ricavato attraverso simulazione 2D eseguita utilizzando per il set-up

198
Modellazione e simulazione ad elementi finiti delle lavorazioni per asportazione di truciolo

i parametri di processo reali utilizzati nell’operazione di tornitura con inserto


circolare.

Tabella 4.1: Confronto tra il valore numerico e sperimentale di tensione


residua longitudinale.

Operazione: Tornitura in assenza di fluido refrigerante


Inserto: WC non rivestito
Parametri di processo: v = 700 mm/sec; f = 0.25 mm; DOC = 0.3 mm
Tensione residue superficiale longitudinale
Valore sperimentale Valore numerico
577±77 [MPa] 817 [MPa]

Per ottenere risultati aderenti a quelli reali attraverso la simulazione 2D che


utilizza l’assunzione plane-strain è necessario ricorrere a dei modelli geome-
trici appositamente modificati.

4.13. Analisi del problema geometrico

Dall’osservazione della sezione del truciolo generata da un inserto circola-


re, Figura 4.63, risulta evidente che la zona responsabile dello stato tensionale
superficiale è quella vicina alla superficie lavorata, cioè dalla zona caratteriz-
zata da profondità di passata (Depth of Cut DOC) di dimensioni lineari molto
inferiori rispetto a quella nominale.

Figura 4.63: Sezione frontale del truciolo generata da un inserto circolare.

199
Capitolo IV
Tale osservazione è confortata anche dall’analisi delle micrografie realiz-
zate al SEM, Figura 4.64; le quali evidenziano come sia proprio tale parte di
truciolo a contatto con la superficie lavorata, ad essere soggetta a fenomeni di
sfibramento e deformazione plastica, che hanno massima influenza sullo stato
tensionale residuo del pezzo lavorato.

Figura 4.64: Micrografia realizzata al SEM del truciolo.

Per individuare il DOC più opportuno da utilizzare in fase di simulazione è


stata eseguita un’analisi di sensitività. In Figura 4.65 è visibile lo schema utilizzato
per ricavare i DOC (definiti relative DOC) utilizzati per le simulazioni di sensitivity.

Figura 4.65: Schema geometrico per la definizione dei DOC equivalenti selezionati per l'analisi di
sensitività.

In particolare sono stati selezionati i DOC relativi agli spessori del truciolo
in corrispondenza di 6°, 8° e 11° rispetto all’asse normale al piano xz e perpen-
dicolare all’asse passante per il centro dell’inserto (Figura 65).
I valori di relative DOC ricavati sono indicati in Tabella 4.2:

Tabella4.2: Valori di relative DOC utilizzati nell'analisi di sensitività.

Gradi rispetto alla verticale [°] Relative DOC [mm]


6 0.02
8 0.03
11 0.04

200
Modellazione e simulazione ad elementi finiti delle lavorazioni per asportazione di truciolo

L’operazione di tornitura analizzata prevede i seguenti parametri operativi:

• Inserto circolare nuovo in WC non rivestito;


• Assenza di fluido lubro-refrigerante;
• Parametri di processo:
v = 700 mm/sec.
f = 0.25 mm/rev
DOC = 0.3 mm

In Figura 4.66 i valori numerici rilevati in ognuna delle tre simulazioni e in


Tabella 4.3 i risultati dell’analisi di sensitività:

Figura 4.66: Risultati puntuali rilevati nelle simulazioni

201
Capitolo IV
Tabella 4.3: Risultati dell’analisi di sensitività.

DOC [mm] Velocità Stress residui superficiali


di taglio longitudinali [MPa]
[mm/sec.]

0.3 700 σ = 577±77


(valore sperimentale)

0.04 700 σAvg. = 789 ; Var(σ) = 16.4

0.03 700 σAvg. = 651 ; Var(σ) = 24.4

0.02 700 σAvg. = 529 ; Var(σ) = 22

I valori di tensione residua superficiale ottenuti nelle simulazioni con DOC


pari a 0.02 e 0.03 mm sono interni alla banda di incertezza della misura speri-
mentale (504 ; 650) MPa.
Segue che DOC nel range (0.02 ; 0.03) mm risultano appropriati per valu-
tare per via numerica gli stress superficiali residui generati sulla superficie del
componente dall’operazione di tornitura analizzata.

202
Modellazione e simulazione ad elementi finiti delle lavorazioni per asportazione di truciolo

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203
Capitolo V

Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi


di manufacturing
A. Del Prete, A. Anglani con la collaborazione di Francesco Anglani

5.1. Introduzione

Ogni problema ingegneristico che si pone l’individuazione di una sua so-


luzione, si avvale di un processo di ottimizzazione. Soprattutto con l'avvento
delle tecniche di progettazione assistita al calcolatore è nata la necessità di in-
tegrare le tecniche CAD, CAE, CFD, CAX in genere, con metodi di ottimizzazio-
ne numerica sempre più efficienti. Si è sviluppato di conseguenza un filone di
ricerca in ambito ingegneristico che si rivolge allo studio ed alla realizzazione
di algoritmi numerici di ottimizzazione, al fine di creare piattaforme informa-
tiche in grado di trasformare i codici di simulazione in efficienti strumenti di
progettazione.
La progettazione ingegneristica può essere vista come una successione di
decisioni da prendere in determinati momenti dello sviluppo.
L'obiettivo di questa sequenza di decisioni è la ricerca della massimizzazio-
ne dei benefici è la minimizzazione degli inconvenienti legati alla realizzazione
del progetto. Bisogna precisare che non esiste un unico algoritmo numerico
idoneo per trattare qualsiasi processo di ottimizzazione, ma ogni problema
deve essere risolto con il metodo più appropriato.
Gli algoritmi possono essere classificati in due principali categorie:
1) Quelli che fanno uso del gradiente della funzione (Conjugate Gradient,
Newton, Sequential Quadratic Programming, ecc.);
2) Quelli che semplicemente usano il valore della funzione (Simplex, Simulated
Anneling, Algoritmi Genetici, Evolution Strategies, ecc.).

5.2. OTTIMIZZAZIONE - Il problema matematico

5.2.1 Premessa

L'ottimizzazione può essere vista come la ricerca del massimo o del minimo
di una data funzione. Un punto x che corrisponde al minimo di una funzione f(x),

205
Capitolo V

Figura 5.1, è lo stesso per il quale la funzione -f(x) assume valore massimo, si può
quindi affermare che dal punto di vista matematico non vi è alcuna differenza nella
massimizzazione o minimizzazione di una funzione a meno del suo segno.

Figura 5.1: Il punto x di minimo per f(x) è lo stesso per il quale -f(x) è massima.

Per tale ragione comunemente si parla di massimizzazione della funzione


obiettivo, intendendo con questo la ricerca di un massimo o minimo della
stessa.

Figura 5.2: Esempio di funzione con massimo assoluto (A1) e massimo relativo (A2).

Quando si fa uso dell'ottimizzazione come strumento di supporto alla


progettazione, si cerca di trovare la configurazione del sistema che abbia le
migliori caratteristiche possibili. In termini matematici si parla di ricerca del
massimo assoluto della funzione (Figura 5.2).
Nasce l'esigenza di dare la definizione matematica di massimo assoluto e
relativo di una funzione:

206
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

- Il punto x*è massimo assoluto della funzione f(x) se per qualunque x ≠ x*


f(x)< f(x*).
- Il punto x*è massimo relativo della funzione f(x) se esiste un valore h per il
quale x ≠ x* f(x*)> f(x+h*).

5.2.2. Elementi principali di un problema di ottimizzazione

Un problema di ottimizzazione viene rappresentato da un punto di vista


matematico come il trovare:

 x1 
 
x 
un vettore X =  2  che massimizza f(x) Eq. 5.1

 
x 
 n
soggetto ai vincoli gj(X)<0 j=1,2,.,m; lj(X)=0 j=1,2,...,p Eq.5.2

dove X è un vettore n-dimensionale chiamato vettore delle variabili di proget-


to, f(X) è definita funzione obiettivo, e i vincoli gj(X) e lj(X) sono rispettivamente
i vincoli di diseguaglianza e i vincoli di uguaglianza.
Il problema appena definito dalle equazioni viene chiamato problema di
ottimizzazione vincolato mono obiettivo, mentre se i vincoli non sono definiti
il problema viene chiamato problema di ottimizzazione non vincolato mono
obiettivo. Una variante del caso di ottimizzazione definito dalle equazioni 5.1
e 5.2 è il seguente; trovare:

 x1 
 
 x2 
un vettore X =
  che massimizza fj(X)
 
x 
 n
con j=1,2,.,q Eq. 5.3

In questo caso la funzione da massimizzare non è unica, ma ne sono presenti


q. Questa classe di problemi d'ottimizzazione viene chiamata ottimizzazione multi
obiettivo ed è il caso più comune di ottimizzazione in campo ingegneristico.

207
Capitolo V

5.2.3. Vettore delle variabili di progetto


Il processo di progettazione dei sistemi ingegneristici prevede la definizio-
ne del valore da assegnare alle molteplici variabili che definiscono il sistema
ingegneristico. Normalmente, tali valori non sono unici ma possono essere
definiti entro certi intervalli di variabilità durante il processo di progettazione.
Alcune delle quantità dalle quali dipende la o le funzioni obiettivo del pro-
blema posto vengono mantenute fisse e sono definite parametri assegnati. Le
grandezze per le quali può essere definito a seconda dell’occorrenza un valore
diverso durante il processo di progettazione, vengono dette variabili di pro-
getto e possono essere raccolte da un punto di vista matematico nel vettore
delle variabili di progetto, (equazione 5.1).
Bisogna comunque ricordare che queste definizioni non sono rigorose, ma
possono modificarsi durante le fasi di progettazione. Ad esempio, una variabi-
le ottimizzata in una prima fase del processo di ottimizzazione, può diventare
un parametro assegnato nei successivi step di sviluppo.
Questo modo di procedere rappresenta la conferma del fatto che il pro-
cesso di ottimizzazione non è formato da un’unica fase durante la quale sono
definiti tutti i parametri di progetto, bensì l'ottimizzazione deve essere vista
come una successione di step, ognuno dei quali legato con il precedente.

5.2.4. Funzione obiettivo


Una procedura di progettazione tende sempre a trovare una configura-
zione del sistema in esame che abbia le caratteristiche volute. In generale il
progetto porta a più di una configurazione che soddisfa le esigenze, lo scopo
del processo di ottimizzazione è quello di trovare la configurazione che offre
la migliore soluzione nel rispetto dei vincoli posti nel problema affrontato. Ne
consegue che si rende necessario scegliere un criterio che possa comparare
tra loro le diverse possibilità. Questo criterio, espresso in funzione delle varia-
bili di progetto, è definito funzione obiettivo. La scelta della funzione obiettivo
viene determinata dalla natura del problema da ottimizzare.
Ad esempio nel caso dell'ottimizzazione strutturale essa potrà essere il
peso, in finanza il guadagno etc. Si può quindi notare come la definizione della
funzione obiettivo determina in modo univoco il processo di ottimizzazione.
Non sempre è possibile determinare in modo esatto la funzione obiettivo.
Se ad esempio si ottimizza un profilo aerodinamico, affinché esso abbia la
minima resistenza, sicuramente si otterrà un profilo che ha anche portanza
pressoché nulla, situazione questa in genere non accettabile. In questi casi bi-
sogna definire più funzioni obiettivo (resistenza, portanza) che devono essere
ottimizzate contemporaneamente.
Questa tipologia di ottimizzazione prende il nome di ottimizzazione multi
obiettivo ed è la situazione che normalmente si presenta nella progettazione.
Infatti il progettista, normalmente vuole definire già dall'inizio un unico
obiettivo, ma soprattutto nella fase iniziale della progettazione, richiede la

208
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

possibilità di esaminare contemporaneamente più situazioni.


La maniera classica di affrontare questa tipologia di ottimizzazione, date
due funzioni f1(X) e f2(X) da massimizzare è definire il funzionale (equazione
5.4):

f ( X ) = α 1 f1 ( X ) + α 2 f 2 ( X ) Eq. 5.4

dove α1 e α2 sono due valori costanti che determinano l'importanza di un obiet-
tivo rispetto l'altro. In genere questa metodologia non è la più adatta per risol-
vere problemi di ottimizzazione multi obiettivo, per questo motivo si sono svi-
luppati nuovi algoritmi il cui elemento base è ottimizzare contemporaneamente
le funzioni obiettivo, senza far uso di un funzionale che riduca il problema da
multi a mono-obiettivo.
5.2.5. Vincoli

In molti problemi pratici, oltre a definire le funzioni obiettivo è necessa-


rio far riferimento ad altre funzioni il cui utilizzo è necessario per ottenere
soluzioni affidabili. Se ad esempio, in un caso di ottimizzazione strutturale,
si vuole minimizzare il peso di una data struttura, è necessario anche control-
lare che la soluzione ottenuta resista ai carichi alla quale è sottoposta (σmax.
ammissibile
<σsnervamento). A questa tipologia di funzione si dà il nome di vincolo.
Generalmente un vincolo è definito come una funzione del tipo gj(X)<0 la
cui superficie gj(X)=0 divide lo spazio delle soluzioni in due regioni: una nella
quale gj(X)<0 (spazio delle soluzioni ammissibili) e la sua duale gj(X)>0 (spazio
delle soluzioni non ammissibili).

Figura 5.3: Funzione obiettivo in presenza di tre vincoli g1(X), g2(X), g3(X).

In Figura 5.3 viene mostrato come si presenta uno spazio a due variabili

209
Capitolo V

con la presenza di tre vincoli g1(X), g2(X), g3(X). Si può notare come il pun-
to di massimo trovato dall'ottimizzazione sia diverso, causa la presenza dei
vincoli, dal punto di massimo della funzione presa singolarmente, che ha il
punto di massimo nella regione di soluzioni non ammissibile per il vincolo
g3(X). Quest'esempio dimostra come l'utilizzo dei vincoli vada a modificare il
risultato finale del processo di ottimizzazione.

5.2.6. Robustezza e accuratezza di un algoritmo di ottimizzazione

Per robustezza di un algoritmo di ottimizzazione si intende la capacità dello


stesso, di individuare il massimo assoluto della funzione in esame. Questa caratte-
ristica è l'indice della probabilità che la soluzione trovata dall'algoritmo selezionato
per l'analisi, sia il massimo assoluto della funzione.
Bisogna ricordare che si parla di probabilità di raggiungere il massimo as-
soluto in quanto nessun algoritmo di ottimizzazione può assicurare che la
soluzione individuata sia il massimo assoluto della funzione in esame. Dal
concetto di robustezza si possono delineare alcune caratteristiche comuni ad
alcune classi di algoritmi di ottimizzazione.
Storicamente sono state definite due distinte famiglie all’interno delle quali
sono classificabili i differenti tipi di algoritmi di ottimizzazione: quelli che usa-
no il gradiente della funzione obiettivo e quelli che utilizzano il solo valore
della funzione stessa.
L'uso del gradiente della funzione obiettivo avviene, nel più semplice dei
casi (massimizzazione della funzione f(X)), nel seguente modo:
Step 1): scelta di un punto X0 di partenza per l'ottimizzazione;
Step 2): calcolo delle derivate parziali

∂f
i=1,2,....,n Eq. 5.5
∂xi
Step3):

∂f
xi( n ) = xi( n −1) + i=1,2,....n Eq. 5.6
∂xi

Step 4): ritorno allo step2 fino a quando ∇f ≤ e con ε piccolo a piacere.

L’utilizzo di questa tipologia di approccio nell'affrontare un problema di otti-


mizzazione ha l'inconveniente di essere un approccio poco robusto in quanto lo-
cale. Infatti, come si nota in Figura 5.4, risulta determinante la scelta del punto del
dominio dal quale iniziare le iterazioni illustrate precedentemente infatti, la solu-

210
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

zione trovata sarà il massimo topologicamente più vicino al punto di partenza, che
non necessariamente corrisponde al massimo assoluto della funzione in esame.

Figura 5.4: Esempio di algoritmo di ottimizzazione locale: il punto di partenza (P1) conduce
ad un massimo assoluto (M1) mentre un differente punto di partenza (P2) conduce ad un massi-
mo relativo (M2).

Ne consegue che, per affrontare problemi di ottimizzazione con metodi


derivati dall'uso del gradiente della funzione obiettivo, sarebbe necessario
eseguire una serie di ottimizzazioni successive, cambiando ogni volta la solu-
zione di partenza. Parallelamente al concetto di robustezza, molto importante
è definire quello di accuratezza di un algoritmo di ottimizzazione. In Figura 5.5
si può notare come la soluzione finale di due differenti algoritmi di ottimizza-
zione, possono differire più o meno dal reale valore massimo della funzione
in esame.

Figura 5.5: Esempio di due algoritmi di ottimizzazione; si può notare come la soluzione finale
dell'algoritmo di destra sia più vicina al massimo reale della funzione della soluzione trovata dall'al-
tro algoritmo (sinistra).

Di conseguenza si parlerà di accuratezza di un algoritmo (e della sua solu-


zione) come della capacità dell'algoritmo di trovare una soluzione che sia il più
vicino possibile al massimo reale della funzione in esame. Normalmente un al-
goritmo di ottimizzazione non riesce ad essere sia robusto che accurato: cioè la

211
Capitolo V

capacità di trovare il massimo assoluto della funzione non è accompagnato dal-


la capacità di trovare una soluzione che sia molto vicina alla soluzione ottimale.
Un esempio in tal senso è costituito dagli algoritmi genetici, i quali presentano
una grande robustezza, ma una scarsa accuratezza. Si può quindi concludere
affermando che la scelta dell'algoritmo da utilizzare non deve mai essere fatta a
priori, ma sempre facendo riferimento al problema che deve essere affrontato.
A tal proposito si possono indicare alcune linee guida. Se la fase di proget-
tazione richiede il miglioramento di una soluzione già esistente, sarà opportuno
utilizzare un algoritmo accurato, magari basato sul metodo del gradiente, in
quanto si sfrutta l'esistenza di una soluzione per poi migliorarla, avvicinandosi
al massimo più vicino. Se invece è richiesta la creazione di una soluzione ex-
novo, più conveniente sarà l'utilizzo di un metodo robusto, in modo da cercare
una zona di soluzioni che siano vicine il più possibile al massimo assoluto della
funzione. Molto interessante da questo punto di vista è l'utilizzo di algoritmi di
ottimizzazione ibridi così chiamati perché usano più algoritmi in serie o in pa-
rallelo. La procedura utilizzata spesso per cercare la migliore soluzione prevede
di far ricorso in una prima fase del processo di ottimizzazione, ad un algoritmo
robusto e poi a partire dalla soluzione ottenuta, con un algoritmo di ottimizza-
zione accurato. In tal modo si cerca di sfruttare pienamente le potenzialità degli
algoritmi nella ricerca della migliore soluzione possibile.

5.2.7. Parametrizzazione

Strettamente correlato alla definizione delle variabili di progetto è il concetto


di parametrizzazione. Infatti, come visto precedentemente, le variabili sono quei
valori che determinano il sistema ingegneristico in esame: esse possono esse-
re quantità geometriche (dimensioni), termofisiche (velocità, temperature, etc.)
cioè tutto quello che serve a definire il sistema in esame. Queste quantità sono
variabili durante il processo di progettazione e la modifica del sistema al variare
di esse viene definita parametrizzazione. La definizione della parametrizzazione
è uno degli aspetti più importanti nel caso di ottimizzazione, infatti essa cerche-
rà la soluzione migliore tra quelle ammesse dalla pa-rametrizzazione adottata,
che non necessariamente contempla tutte le configurazioni possibili del sistema
in esame. I problemi più frequenti che possono accadere sono prevalentemente
due: parametrizzazione povera e parametrizzazione ridondante. Nel primo caso
può accadere che la parametrizzazione adottata non contempli la configurazio-
ne ottima del sistema. Questo è un caso molto frequente e di difficile individua-
zione in quanto non si può intravedere a priori lo stato ottimale che può essere
assunto dal sistema in esame. Per quanto riguarda invece il caso di parametriz-
zazione ridondante, essa accade quando si sono definite troppe variabili che
gestiscono aspetti poco diversificati del problema in esame, in questa maniera
si perde di vista quali sono i parametri effettivamente più influenti all'interno del
processo di progettazione, oltre ad appesantire notevolmente l'ottimizzazione
dal punto di vista numerico (problemi definiti da più variabili necessitano una

212
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

mole di calcoli maggiore per raggiungere la soluzione ottimale).


5.3. Algoritmi di ottimizzazione

5.3.1. Premessa

Lo studio degli algoritmi di ottimizzazione ha portato allo sviluppo di una


grande quantità di metodi numerici. Come già visto, una loro possibile clas-
sificazione si basa sull'utilizzo o meno del gradiente della funzione obiettivo
(Tabella 5.1).

Tabella 5.1: Caratteristiche degli algoritmi di ottimizzazione.

Algoritmi che non Algoritmi che usa-


→ →
usano il ∇f no il ∇f

Robustezza Bassa alta

Accuratezza alta bassa

Velocità di convergenza alta bassa

5.3.2. Algoritmi GRADIENT-BASED


Classificazione

Figura 5.6: Classificazione degli algoritmi gradient-based.

213
Capitolo V

Gradiente di una funzione


Il gradiente di una funzione è un vettore a n componenti del tipo:
 ∂f / ∂x1 
∂f / ∂x 
 2

  Eq. 5.7
∇f ( X 0 ) =  ... 
 ... 
 

∂ f / ∂x n

Il gradiente di una funzione ha la proprietà di determinare la direzione di
massimo incremento della funzione nello spazio n-dimensionale delle varia-
bili. Per questo motivo viene anche definito come direzione di massimo incre-
mento. Bisogna ricordare che il gradiente è una proprietà locale e non globale.
Questa caratteristica si può osservare in Figura 5.7.

Figura 5.7: La direzione di massimizzazione di una funzione è una linea curva (direzioni d1, d2, d3)
in quanto il gradiente è una proprietà locale.

Infatti si osserva che, facendo un calcolo iterativo, la direzione lungo cui si


muove il punto durante la massimizzazione della funzione è una linea curva,
essendo il gradiente della funzione una quantità dipendente dal punto nel
quale viene calcolata. Essendo il gradiente la direzione di massimo incremento
della funzione, qualsiasi metodo che fa uso di questo operatore risulta esse-

214
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

re mediamente più veloce nella ricerca del massimo della funzione stessa. Il
problema è che questi metodi, essendo il gradiente una proprietà locale della
funzione hanno la caratteristica di essere poco robusti.

5.3.3. Calcolo del gradiente

La valutazione del gradiente richiede il calcolo delle derivate parziali ∂f/∂xi


i=1,2,......,n. Per ottenere questi valori, il metodo più efficace è l'utilizzo del
metodo delle differenze finite che si divide in due modalità: differenze finite
in avanti e differenze finite centrate. Entrambi questi metodi approssimano il
valore delle derivate parziali ∂f/∂xi . Il metodo delle differenze finite in avanti
fa uso della seguente formula:

∂f f (x m + ∆xi u i ) − f (x m ) Eq.5.8

∂xi ∆xi

x m

Attraverso l’equazione 5.8, viene conosciuto il valore della funzione nel


punto Xm, questa formula richiede un calcolo aggiuntivo per conoscere le de-
rivate parziali (∂f/∂xi)|Xm , ciò significa che sono necessarie n nuove valutazioni
della funzione per calcolare il .Se si volesse però avere un ordine di ac-
curatezza migliore si dovrebbe usare il metodo delle differenze finite centrate:

∂f f (x m + ∆xi u i ) − f (x m − ∆xi u i )
≅ i=1,2,....,n Eq.5.9
∂xi xm
2∆xi

Questa metodologia richiede due valutazioni aggiuntive della funzione in


esame per ogni derivata parziale, portando così a 2n il numero di calcoli ag-
giuntivi per la valutazione del gradiente della funzione in esame. Nelle formule
precedenti ui è la componente iesima del vettore che dà le direzioni principali
nello spazio delle variabili. Molto importante è la definizione della quantità
∆xi , infatti se essa assume un valore troppo piccolo, la differenza f(Xm+∆xiui)-
f(Xm-∆xiui) potrebbe assumere valori all'interno dell'errore di arrotondamento
(round-off error) sempre presente quando si effettuano calcoli computeziona-
li, mentre se essa assume valori troppo grandi, i valori delle derivate parziali
potrebbero essere affetti da errori numerici troppo rilevanti. È importante ri-
cordare che non sempre è possibile definire il gradiente di una funzione in un
punto.
Ad esempio, se si usasse una formulazione alle differenze finite per la fun-
zione in Figura 5.8, si otterrebbe per un punto Xm un valore del gradiente che
non è esatto, essendo in quel punto la funzione non differenziabile (derivata
destra diversa dalla derivata sinistra rispetto a Xm).

215
Capitolo V

Figura 5.8: Il gradiente della funzione non è definito nel punto Xm.

Un altro caso nel quale il calcolo del gradiente risulta difficoltoso si ha


quando la funzione assume punti di discontinuità oppure è definita da variabili
intere. In questo caso il calcolo delle derivate parziali non risulta possibile.
Risulta evidente per quanto detto finora, che i metodi basati sul gradiente
di una funzione obiettivo, pur essendo efficaci e molto usati nei casi di ottimiz-
zazione industriale, soffrono di alcuni inconvenienti.
Se le derivate parziali non sono conosciute, una notevole quantità di calcoli
aggiuntivi si rende necessaria per il calcolo del gradiente. In molti casi non è
possibile calcolare il gradiente (funzione discontinua, non differenziabile, de-
finita da variabili intere). In generale, queste condizioni portano ad una bassa
robustezza dell'algoritmo.

5.3.4. OPERAZIONI MATRICIALI - Cenni

 ∂2 f ∂2 f 
  
 ∂x1∂x1 ∂x1∂x n 
Matrice Hessiana[H] =     
2
 ∂ f ∂2 f 

 ∂x ∂x ∂x n ∂x n 
 n 1 

216
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

∂2 f ∂2 f
Matrice simmetrica↔ =
∂xi ∂x j ∂x j ∂xi

Una matrice A è definita positiva se tutti gli autovalori dell'equazione matriciale

1 0  0
0 1   
| A − λI |= 0 sono positivi ( I =   matrice identità).
   1 0
 
0  0 1 

COROLLARIO 1

Il seguente criterio può essere applicato in un punto critico non degenere x:


- Se l'hessiana è una matrice definita positiva in x, allora f ha un minimo locale
in x;
- Se l'hessiana è una matrice definita negativa in x, allora f ha un massimo
locale in x;
- Se l'hessiana ha tutti gli autovalori non nulli e di entrambi i segni allora x è un
punto di sella per f.

COROLLARIO 2

Verifica dallo studio del segno del determinante non negativo della matrice
Hessiana nel punto critico e dallo studio del segno della derivata seconda fxx.
- Se Det H(x0,y0)>0 e f'xx>0 allora il punto (x0,y0) è un punto di minimo;
- Se Det H(x0,y0)>0 e f'xx<0 allora il punto (x0,y0) è un punto di massimo;
- Se Det H(x0,y0)<0 e il (x0,y0) è un punto di sella della funzione.

5.3.5. Metodo di Cauchy

Il primo caso di ottimizzazione con il metodo del gradiente è quello di


Cauchy, sviluppato nel 1847. In questo metodo si parte da un punto iniziale X1
e iterativamente ci si muove lungo la direzione data dal gradiente. I passi di
iterazione sono i seguenti:
Step1: Partenza delle iterazioni da un punto iniziale X1.
Step2: Calcolo della direzione Si.
*
Step3: Calcolo del passo ottimale λi S i nella direzione Si:

217
Capitolo V

* *
X i +1 = X i + λi S i + λi ∇f i

Step4: Test del nuovo punto Xi+1: se è il valore ottimo fermare il processo, altrimenti
continuare le iterazioni allo step 2.

Criterio di convergenza

Essendo la procedura di ottimizzazione un calcolo iterativo, è necessario


definire i criteri di convergenza che devono essere usati per far terminare le
iterazioni. Sono possibili i seguenti casi:
- Quando la variazione del valore della funzione tra due iterazioni successive
è piccola:


f ( X i +1 ) − f ( X i )
≤ e1 Eq. 5.10
f ( X i +1 )

- Quando le derivate parziali (componenti del gradiente) sono piccole:

∂f
≤ e 2 i = 1,2,...., n
Eq. 5.11

∂xi

- Quando la variazione del vettore delle variabili di progetto è piccola tra due
successive iterazioni:

X i +1 − X i ≤ e 3 Eq. 5.12

Metodo di velocizzazione della convergenza

Il metodo di Cauchy, pur essendo molto accurato, soffre in termini di rapi-


dità di convergenza, in quanto necessita di molte iterazioni per raggiungere la
convergenza. Un metodo per velocizzare l'algoritmo è il seguente:
n
X i +1 = X i + λi ∇f i Eq. 5.13


218
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing


 ∂f n ∂f n −1
 min λ(
*
i ⋅ k ; λ max )
s
e
∂ x

∂x
≥0
 i i
λin =  n n −1
Eq. 5.14
λ* se ∂f ⋅ ∂f ≤0


i
∂xi ∂xi

Con questo metodo si cerca di sfruttare la proprietà locale del gradiente al fine
di ottenere un incremento in velocità di convergenza. Se la direzione del gradiente
si mantiene costante, il parametro λ viene incrementato di un fattore k, in questo
modo l'incremento delle variabili viene maggiorato, con la conseguenza che il
numero di iterazioni per andare a convergenza viene generalmente ridotto.

5.3.6. Metodo di Newton

Il metodo di Newton è molto efficace per l'ottimizzazione di funzioni, so-


prattutto se esse sono in forma quadratica. Infatti in questo caso sarà neces-
saria un'unica iterazione per la convergenza. Una funzione può essere appros-
simata attorno ad un punto Xi usando la serie di Taylor:
1
f ( X ) = f ( X i ) + ∇f i T ( X − X i ) + ( X − X i ) [J i ]( X − X i )
T
Eq. 5.15
2

dove [ ] [ ]
J = J x è la matrice delle derivate parziali seconde (hessiano)
i i
calcolate nel punto Xi. Mettendo a zero le derivate prime:
∂f ( X )
= 0 i = 1,2,...., n
Eq. 5.16
∂xi
si ottiene:

∇ i + 1 = ∇f i + [J i ]( X Xi )= 0 Eq. 5.17

Di conseguenza, se la [Ji] non è singolare, l'equazione 5.17 può essere risol-


ta per ottenere un nuovo punto Xi che massimizzi la funzione f:

X i +1 = X i + [J i ] ∇f i
−1
Eq. 5.18

Questo metodo utilizza l'hessiano della funzione obiettivo e per questo
motivo viene detto del secondo ordine. Se la funzione è una forma quadratica
nelle variabili d'ingresso, basta un'unica iterazione per ottenere il massimo
della funzione. Tale considerazione rende evidente l'estrema rapidità di con-

219
Capitolo V

vergenza di questo algoritmo; se invece, come avviene nella maggior parte dei
casi, la funzione da ottimizzare non è assimilabile ad una forma quadratica, per
andare in convergenza è necessario adoperare un metodo iterativo, usando
per esempio la formula seguente (ricavata dal metodo di Cauchy):

X i +1 = X i + λ*i S i = X i + λ*i [J i ] ∇f i
−1
Eq. 5.19

Nell’equazione 5.19 λ*i , è lo step ottimale lungo la direzione
Si = [J i ] ∇f i
−1

Con questa modifica, all'algoritmo vengono aggiunti molti vantaggi: minor


numero di iterazioni per andare a convergenza e robustezza generalmente
maggiore. Sembrerebbe che questo possa essere un metodo molto efficiente,
il problema però si pone all'utilizzo dell'hessiano, infatti è molto difficile, se
non praticamente impossibile come mole di calcolo, avere i valori delle deri-
vate seconde che servono a determinare l'hessiano. Per questo motivo si sono
sviluppati vari algoritmi che come base di riferimento cercano di approssimare
l'hessiano della funzione da ottimizzare.

5.3.7. Metodo quasi-Newton

Questo metodo è uno sviluppo del metodo di Newton e parte dalla for-
mula iterativa:

X i +1 = X i + [J i ] ∇f ( X i )
−1
Eq. 5.20

Come già detto precedentemente, la difficoltà in questo metodo è nel cal-


colare la matrice [Ji], in quanto formata dalle derivate seconde della funzione
obiettivo ∂f2 / ∂xi ∂xj. L'idea base del metodo Quasi-Newton è l'approssimare
questa matrice [Ji] con un'altra [Ai], usando soltanto le derivate prime ∂f / ∂xi.
Per comodità si utilizza la matrice [Bi] approssimante dell'inverso dell'essiano
[Ji]-1. Di conseguenza l’equazione 20 diventa:

X i +1 = X i + [Bi ]∇f ( X i ) Eq. 5.21



+ [Bi ]∇f ( X i ) .Per brevità vie-
X i +1 = XSii=
dove λi è lo step ottimale lungo la direzione
ne omessa la trattazione sulle metodologie numeriche per il calcolo appros-
simato della matrice [Bi]. Si può notare come il metodo di Cauchy sia una
particolarità di questo algoritmo, ponendo [Bi] = [I].

5.3.8. Algoritmo Broyden-Fletcher-Goldfarb-Shanno (BFGS)

Il BFGS viene considerato uno dei migliori algoritmi che fanno uso del gra-

220
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

diente della funzione obiettivo. L’insieme di passi necessari per l’applicazione


di questo algoritmo è il seguente:

Step1: Partenza delle iterazioni da un punto iniziale Xi e da una matrice n x n


definita positiva e simmetrica [B1]. In assenza di ulteriori informazioni è con-
veniente usare la matrice identità [I].
Step2: Calcolo del gradiente della funzione∇f(Xi)e della direzione Si.
Step3: calcolo del passo ottimale λi* nella direzione Si: Xi+1=Xi+λi*Si.
Step4: Test del nuovo punto Xi+1: se quello calcolato è il valore ottimo fermare
il processo, altrimenti continuare le iterazioni allo step 5.
Step5: variazione della matrice [Bi+1], approssimante l'hessiano:

λ*i∇f∇fi T ([Bi ]gi )([Bi ]gi )T


[Bi +1 ] = [Bi ] + T Eq. 5.22
∇f i g i ([Bi ]gi )T gi
dove:
di = Xi+1 - Xi = λi*Si
gi = ∇fi+1 - ∇fi Eq. 5.23

Molto importante in questo algoritmo è il calcolo del passo ottimale λi*,


infatti, se esso viene calcolato accuratamente, la matrice [Bi] rimarrà definita
positiva, cosa che non avviene se il passo non è accurato: in tal caso la matrice
può diventare indefinita o addirittura singolare.
Tale condizione si verifica con l'incremento del numero di iterazioni, per
questo motivo normalmente si effettua periodicamente un restart della ma-
trice [Bi] dalla matrice identità [I]. Bisogna comunque ricordare che l'algoritmo
BFGS è certamente il metodo di ottimizzazione più efficiente tra quelli che
usano il gradiente della funzione obiettivo [Rao, 1996].

5.3.9. L'algoritmo SIMPLEX


Dopo aver visto gli algoritmi che utilizzano il gradiente della funzione obiettivo,
algoritmi che come spiegato sono accurati ma non robusti, è importante vedere
quali sono gli algoritmi stocastici che possono essere utilizzati nei casi di studio
rappresentati da problemi di ottimizzazione ingegneristica. La caratteristica di que-
sti algoritmi è di non utilizzare il gradiente della funzione obiettivo, ma semplice-
mente il suo valore in alcuni punti del dominio di definizione. Lo studio di questi
algoritmi è importante perché essi sono robusti, cioè hanno come caratteristica
intrinseca una più alta probabilità di trovare il massimo assoluto della funzione da
ottimizzare.
A questo va però aggiunto il fatto di non essere molto accurati. il primo

221
Capitolo V

algoritmo ad essere analizzato è il SIMPLEX che pur essendo concettualmen-


te semplice, viene spesso utilizzato in quanto riesce a dare utili indicazioni su
come migliorare una soluzione. Alla base di questo algoritmo sta la definizione
di simplesso che in uno spazio ad n dimensioni è qualunque figura geometrica
formata da n+1 vertici. È facile comprendere come in 2 dimensioni, il simplesso
è un triangolo (Figura 5.9), mentre in 3 dimensioni è un tetraedro.

Figura 5.9: Simplesso in uno spazio a 2 dimensioni.

L'idea base del metodo del simplesso (SIMPLEX) è la valutazione della fun-
zione obiettivo negli n+1 vertici del simplesso e di conseguenza muovere ite-
rativamente il simplesso verso il valore di massimo assoluto della funzione
in esame. Molto importante è la generazione del primo simplesso, infatti la
buona riuscita dell'ottimizzazione dipende notevolmente dalla posizione dei
vertici del simplesso nel dominio di definizione della funzione. Ci sono varie
metodologie per la sua creazione, la più semplice è la creazione random dei
vertici, in questo modo si cerca di dare la più ampia possibilità di movimento
al simplesso durante la fase di ottimizzazione. Nel secondo caso viene co-
struito un simplesso regolare di dimensione a (in due dimensioni corrisponde
a un triangolo equilatero), le cui formule da adoperare l’equazione 5.24 ed
equazione 5.25.

Xi = X0 + pui + Σquj i=1,2,.....,n Eq. 5.24

dove p =
n
a
2
( )
n +1 + n 1 ; q =
a
n 2
( )
n +1 1 Eq. 5.25

222
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

X0 è il punto iniziale dell'ottimizzazione e di conseguenza con le formule pre-


cedenti, punto centrale del simplesso. ui è il vettore unitario lungo la i-esima
coordinata. I movimenti base del simplesso durante la fase di ottimizzazione
sono 3: riflessione, contrazione ed espansione.

Riflessione

Se Xi è il vertice del simplesso ad avere il valore della funzione più basso, ci


si aspetta che il nuovo punto Xr ottenuto come riflessione del punto Xr rispetto
la superficie del simplesso a lui opposta, abbia un valore della funzione obiet-
tivo più elevato. Se effettivamente questo avviene si può costruire un nuovo
simplesso modificando il vertice Xi con Xr. Allora il simplesso si muoverà modi-
ficando ad ogni iterazione il vertice a valore della funzione obiettivo peggiore
con un vertice che abbia valore migliore. In termini matematici si possono
definire questi movimenti come:
Xr = (1 + α)X0 -αXi Eq. 5.26

dove il vertice Xi corrisponde a quello di minimo valore della funzione:


f (Xi) = max f (Xi) i=1,2,.....,n+1 Eq. 5.27

X0 è il centroide di tutti i punti del simplesso escluso i=l:

1 n +1
X0 = ∑ Xi
n i = l ,i ≠ h
Eq. 5.28

e α >0 è il coefficiente di riflessione definito come:

Xr − X0
α
α = Eq.5.29
Xh − X0

Se si usasse solo il processo di riflessione per trovare il massimo di una


funzione, si andrebbe incontro ad alcune difficoltà. Infatti, se la funzione da
ottimizzare avesse un comportamento non regolare, potrebbe accadere che il
simplesso cadrebbe in un loop infinito, ottenendo sempre i punti già calcolati.

Espansione

Se il processo di riflessione da luogo ad un punto Xr>Xh che come valo-


re della funzione quello massimo del simplesso, ci si aspetta che l'algorit-
mo cerchi un nuovo punto di massimo lungo la direzione X0Xr. Il processo di
espansione da luogo alla traslazione del punto Xr lungo la direzione definita in

223
Capitolo V

precedenza, usando la relazione:


Xe = γXr + (1-γ) X0 Eq. 5.30

dove γ viene chiamato coefficiente di espansione:

X − X0
γ= e
Eq. 5.31
Xr − X0

Se il nuovo punto trovato Xe>Xh, si rimpiazza il punto Xl con Xe, se invece


Xe<Xl il processo di espansione non è andato a buon fine e di conseguenza,
dopo aver rimpiazzato Xr con Xl si rifà un nuovo processo di riflessione.

Contrazione

L'ultimo movimento permesso al simplesso è quello che va sotto il nome


di contrazione. Questa mossa viene effettuata se avvengono, con le mosse
precedenti, alcune situazioni. La riflessione crea un punto Xr per il quale f(Xr)<
f(Xi) per tutti i punti i eccetto i=h per il quale f(Xr)> f(Xh). In questo caso verrà
rimpiazzato il punto Xh con Xr. In questo caso verrà effettuata la contrazione
del simplesso utilizzando la seguente formulazione:
Xc = βXh + (1 β)X0 dove β(0≤β≤1) viene chiamato coefficiente di contrazione:

X X0
γ = e
Eq. 5.32
Xh X0

Se il nuovo punto trovato Xc soddisfa la condizione si può affermare che


il processo di contrazione è fallito e di conseguenza si rimpiazzeranno tutti i
punti Xi con (Xi+Xl)/2 e si riparte con il processo di riflessione, altrimenti sarà
rimpiazzato il punto Xl con Xc. Le iterazioni nel processo di convergenza ver-
ranno fermate quando il simplesso collassa in un unico punto, con una data
tolleranza ε:

Eq. 5.33

Questa metodologia di ottimizzazione viene normalmente utilizzata in


quanto non va a calcolare il gradiente della funzione obiettivo, ma semplice-
mente evolve una figura geometrica (simplesso), definita nello spazio di defi-
nizione della funzione, verso il massimo della funzione stessa, confrontando i
valori assunti da essa in vari punti del dominio (Figura 5.10)

224
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

Figura 5.10: Esempio di evoluzione del simplesso.

Con questa modalità d'azione ci si svincola dal problema della non robu-
stezza degli algoritmi che dipendono dalla definizione di una configurazione
di partenza, ottenendo robustezza generalmente maggiore.
Il limite di questa modalità è una bassa accuratezza nel trovare il valore
esatto del massimo della funzione. Questa mancanza si nota anche da come il
processo iterativo viene concluso, equazione 5.33. Infatti non si trova un unico
punto, ma n+1 e normalmente si prende come valore finale quello per cui la
funzione obiettivo assume valore più elevato.

5.4. Algoritmi genetici

La necessità di disporre di algoritmi di ottimizzazione sempre più perfor-


manti (maggiore robustezza, maggiore velocità di convergenza, maggiore ac-
curatezza) e in grado di realizzare ottimizzazioni multi obiettivo, ha portato
allo sviluppo di una classe di algoritmi detti evolutivi.
L’algoritmo genetico (Genetic Algorithm, GA) rappresenta un potente stru-
mento di ottimizzazione la cui base caratterizzante, che lo rende completa-
mente diverso ed innovativo nei confronti dei metodi classici di ottimizzazio-
ne, è il suo rifarsi alla teoria evolutiva. In natura, le specie animali e vegetali si
sono evolute grazie alla loro capacità di adattamento all’ambiente circostante.
Mentre alcune soccombevano altre sopravvivevano, lasciando in eredità alle
generazioni future i tratti caratterizzanti di loro stesse. Il meccanismo evolutivo
contiene due momenti fondamentali: la selezione degli individui migliori e la
loro riproduzione. L’algoritmo genetico, quale modello matematico dei pro-
cessi evolutivi naturali, contempla proprio questi due aspetti: la selezione, che
mantiene il suo nome, ed il crossover, nome dato alla riproduzione.
Accanto a questi operatori ne viene spesso aggiunto un ulteriore, la mu-
tazione.
Le principali fasi del processo di ottimizzazione con GA sono:
1. Definizione del problema e delle variabili che lo caratterizzano.
2. Definizione delle caratteristiche ottime della soluzione del problema (fun-
zione obiettivo).
3. Scelta del processo di simulazione del problema.
4. Costruzione della prima generazione (cioè dell’insieme di par-tenza delle

225
Capitolo V

possibili soluzioni-configurazioni del problema).


5. Valutazione dell’individuo (cioè della singola configurazione).
6. Selezione degli individui da cui formare nuove configurazioni e quindi nuo-
ve generazioni.
7. Crossover (generazione di un nuovo individuo).
8. Mutazione.

A questo punto si è in possesso di una nuova generazione e si può ripartire


dal punto 5.
Lo schema logico generale di un GA è rappresentato in Figura 5.11.

Figura 5.11: Work Flow di un generico algoritmo genetico.

Nel diagramma a blocchi in Fig. 5.12, sono evidenziati i flussi input/output tra il
GA e solver esterni durante la fase di ottimizzazione.

Figura 5.12:
Flow chart dei flussi
input/output in fase
di ottimizzazione.

226
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

5.4.1. Operatori dell’algoritmo genetico - premessa

L’obiettivo di un’ottimizzazione non vincolata può essere visto come la


massimizzazione di una funzione di n variabili xn definite negli intervalli [ai,bi]
con i=1,2,…,n.
Per semplicità la descrizione viene presentata per un caso mono obiettivo.
Il primo passo, nel processo di ottimizzazione è la creazione della prima gene-
razione, cioè verranno creati NIND individui in maniera casuale o effettuando
un DOE (Design Of Experiment) Figura 5.13.

Figura 5.13: Selezione della prima popolazione all'interno dello spazio di design.

La popolazione iniziale è in genere molto piccola rispetto al numero di pos-


sibili combinazioni che presenta il problema analizzato; una regola di massima
è seguente:

N° di elementi della popolazione ≥ 50 volte il numero di variabili analiz-


zate nel problema

Il passo successivo è quello di modificare alcune parti di questi individui, ri-


cavandone così di nuovi, in maniera da ricavare un valore di f migliore di quello
degli individui di partenza. La modifica dell’individuo avviene in due passi:
• Nel primo si esegue una selezione degli individui con i quali effettuare la
modifica.
• Nel secondo si effettua la riproduzione (crossover) tra gli individui selezio-
nati.

Per far questo è essenziale la selezione, infatti preso di volta in volta un in-
dividuo, a questo dovrà essere associato un altro scelto tra i migliori in modo
che, grazie al crossover, gli individui così creati siano migliori dei precedenti.

Selection
Selezione a roulette: è stato il primo metodo ad essere usato per la sele-
zione.
Ad ogni individuo viene data una certa percentuale di selezione, percen-
tuale ovviamente correlata con il valore della f assunto dall’individuo stesso.
Maggiore è questo valore, maggiore è la percentuale.
L’estrazione casuale di un numero nell’intervallo [0,1] indicherà un indivi-
duo appartenente all’intervallo di percentuale a lui competente. Ovviamen-

227
Capitolo V

te avranno maggiore probabilità di essere estratti quegli individui che hanno


maggiore valore di f.
Selezione a torneo: questo tipo di selezione viene ampliamente utilizzato,
in quanto in molti casi si è visto avere prestazioni migliori della selezione a
roulette.
Il funzionamento è il seguente: scelto di volta in volta l’individuo, a questo
viene affiancato l’individuo migliore di una sottopopolazione, normalmente
formata da NIND/5 individui scelti a caso tra la popolazione principale.
Selezione locale: questo in ordine di tempo, è l’ultimo tipo di selezione ad
essere apparso.
Il suo funzionamento è lievemente più complesso rispetto ai precedenti,
infatti la scelta dell’individuo da affiancare a quello dato non viene fatta esa-
minando tutta la popolazione, come nei casi precedenti, ma solo nelle vicinan-
ze dell’individuo dato.
Il modello di esecuzione è il seguente: scelto un individuo, a questo verrà
affiancato quello migliore tra gli n individui più vicini all’individuo di partenza;
n tipicamente vale 0.6*√NIND. In base a numerose prove è possibile affermare
che questa è la tipologia di selezione più efficace.
Un’ultima cosa da ricordare al riguardo della selezione è che si potrebbe
pensare che la situazione da preferire sia affiancare ad ogni individuo quello
migliore, ma questo non è assolutamente vero, perché usare per il crossover
sempre lo stesso (oppure pochi) individui causerebbe sicuramente una non
voluta uniformità degli stessi, la cui conseguenza sarebbe il non trovare il mas-
simo assoluto della f, ma solo un massimo relativo.
A questa situazione viene dato il nome di convergenza prematura.

Crossover classico
Questo tipo di crossover è ispirato, ovviamente in maniera semplificata,
alla riproduzione del DNA. Una caratteristica fondamentale dell'algoritmo ge-
netico di prima generazione è la traduzione in codice binario dei valori delle
variabili che costituiscono un individuo. Per far questo innanzitutto bisogna
trasformare il valore della variabile reale in intero, cioè:

i i
(x a ) max
con xi [ai , bi] e max = 2nbit-1 Eq. 5.34
X i = INT
bi ai
n-bit è il numero intero scelto a piacere (generalmente 6, 8, 10) ed il suo si-
gnificato è quello dei bit riservati per ogni variabile. Successivamente basterà
effettuare una semplice trasformazione da base 10 a base 2. Iterando questo
procedimento per tutte le n variabili caratteristiche dell'individuo, quest'ulti-
mo si presenterà nella seguente forma ( n=2 ; nbit = 6):

1 0 0 1 0 0 1 1 0 1 0 0

228
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

Affiancando ad un individuo un altro, e scegliendo a caso un punto di rottu-


ra tra bit e bit, potrà essere facilmente effettuato il crossover ad un punto di
rottura (Figura 5.14)

Figura 5.14: Esempio di crossover classico ad un punto di rottura.

È molto facile notare che i due nuovi individui (figli) sono una ricombina-
zione dei due individui di partenza (genitori). In essi sono rimaste sicuramente
alcune caratteristiche degli individui dai quali sono stati generati, però, grazie
alla ricombinazione nascono nuovi tratti caratterizzanti che produrranno un
diverso valore della funzione. Successivamente sarà la selezione a stabilire l'u-
tilità dei nuovi tratti (elementi di stringa) dei nuovi individui.
A questo metodo è stato quasi universalmente preferito il crossover a due
punti di rottura, rilevatosi generalmente più efficace. L'unica differenza da
quello ad un punto di rottura sta nel fatto che in questo caso i punti da sce-
gliere per la rottura dell'individuo sono due (Figura 5.15).

Figura 5.15: Esempio di crossover classico a due punti di rottura.

Il motivo per il quale questo tipo di crossover funziona meglio è che grazie
ai due punti di rottura del DNA viene provocata una maggiore possibilità di
esplorare nuove zone del dominio di esistenza della funzione.
Come si nota in Figura 5.15, nella formazione dei due nuovi individui non
c'è assolutamente nessuna direzione di evoluzione, cioè nel crossover classico
la nascita di individui ottimi viene affidata semplicemente alla concatenazione
di eventi e di conseguenza se due genitori non sono buoni (cioè non hanno
valore della f elevato) molto probabilmente anche i due figli non saranno buo-
ni.
A questo punto l'algoritmo potrebbe quindi convergere verso un massimo
non assoluto e quindi verso una convergenza prematura. Per ovviare a ciò è
stato introdotto l'operatore mutazione.

Crossover direzionale
Come già visto, un'altra metodologia di ottimizzazione è quella basata sul
metodo del gradiente.

229
Capitolo V

Questo metodo, pur essendo molto più efficace per velocità di convergen-
za e accuratezza, ha limiti in termini di robustezza della soluzione ottimale.
Si è quindi cercato di fondere le due metodologie di ottimizzazione: usare
l'algoritmo genetico come base di calcolo, grazie alla sua robustezza e com-
pletarlo ricercando una direzione di incremento della direzione (assimilabile
ad un metodo del gradiente).

Per far ciò è stato sviluppato il crossover direzionale che fonde in un solo
operatore i due approcci. Il modello operativo è il seguente:
Individuo 1: [x11,x12,..., x1n] valore della funzione f1
Individuo 2: [x21,x22,..., x2n] valore della funzione f2
Individuo 3: [x31,x32,..., x3n] valore della funzione f3
con xijϵ [0, xmax] il nuovo individuo, ricombinazione dei due precedenti, sarà:

new: [x1new,x1new,..., x1new] con xinew= max[min(x1*, xmax), 0] Eq. 5.35

xi* = x1i + s ⋅ sign( f1 − f 2 )(v1i − v 2i ) + t ⋅ sign( f1 − f 3 )(v1i − v3i ) Eq. 5.36

[ ]
sk , tk ∈ 0,1
con

NOTA:
La funzione SIGN consente di ottenere tre risultati diversi in base al segno della
cifra indicata.
Un numero positivo restituirebbe 1, un numero negativo -1 e un numero nullo
(0 - zero) restituirebbe per l'appunto 0. Vediamo tre esempi:

SELECT SIGN(5); Restituisce: 1


SELECT SIGN(-2); Restituisce: -1
SELECT SIGN(0); Restituisce: 0

La scelta degli individui sui quali eseguire il crossover viene fatta all'interno
della generazione corrente.
Questa modifica porta ad una convergenza migliore rispetto ad altri me-
todi di crossover. Il motivo risiede nel fatto che gli individui sono selezionati
dalla generazione corrente sfruttando di conseguenza meglio i valori della
funzione obiettivo.

230
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

Figura 5.16: Direzione dell'evoluzione ottenuta con il crossover direzionale.

Come si può vedere in Figura 5.16, si hanno due direzioni per l'evoluzione,
una dell'individuo centrale, quello contrassegnato dal numero 1, verso l'indi-
viduo 2, ed un'altra sempre dall'individuo 1 verso l'individuo 3. L'evoluzione
degli individui è così individuata delle due direzioni, attraverso l'equazione
5.36. I numeri random s e t danno il valore del contributo delle due dire-
zioni all'evoluzione, è molto importante che questi numeri siano calcolati in
maniera random per il fatto di evitare convergenze premature, dando così la
possibilità di una più ampia esplorazione del dominio. Il verso della direzione
è il tratto fondamentale del crossover direzionale. Inserendo nell'equazione il
segno delle differenze dei valori assunti delle funzioni gli individui selezionati,
la nuova variabile così creata avrà un valore che si sposterà presumibilmente
nella direzione di incremento della funzione obiettivo.

Mutation

L’operatore, “mutation” è sempre presente negli algoritmi genetici con


crossover classico, anche se la sua importanza può apparire secondaria. Il mo-
dello di funzionamento della mutazione è molto semplice: preso un individuo
a caso tra quelli della generazione corrente, ad esso verrà cambiato un bit a
caso.
Original offspring 1 1101111000011110
Original offspring 2 1101100100110110
Mutated offspring 1 1100111000011110
Mutated offspring 2 1101101100110110
Figura 5.17: Esempio di mutazione.

231
Capitolo V

Come si vede in Figura 5.17, il funzionamento è semplice, ma la sua im-


portanza in alcuni casi può essere grande. Infatti alcune volte può acca-
dere che gli individui convergano prematuramente verso un massimo della
funzione non assoluto, in questi casi, essendo tutti gli individui dell'ultima
generazione molto simili tra loro, sarebbe molto difficile, se non impossibile,
allontanarci da questo massimo per trovare quello assoluto. In queste circo-
stanze ci viene in soccorso la mutazione.
Cambiando un bit di un individuo, potrebbe accadere che l'individuo così
risultante sia migliore di tutti gli altri, spostando conseguentemente la ri-
cerca del massimo verso zone del dominio presumibilmente migliori. In altri
termini la mutazione è fondamentale per mantenere sempre attiva la pos-
sibilità di individuare nuove vantaggiose direzioni nello spazio di ricerca. La
percentuale di mutazione viene quasi sempre fissata a valori inferiori a 0.1,
cioè vengono mediamente mutati meno di 10 individui su 100.
Questi sono tutti gli operatori che servono per la creazione di un algo-
ritmo genetico semplice. Sicuramente un algoritmo così fatto funzionerà e
quasi sicuramente troverà la zona del massimo assoluto, se non proprio il
massimo assoluto, un valore prossimo ad esso, in quanto una caratteristica
intrinseca di questo tipo di algoritmi è la robustezza. La non certezza della
convergenza verso il massimo assoluto, e soprattutto, la necessità di esegui-
re una grossa mole di calcoli sono due punti deboli dell'algoritmo.
Al primo inconveniente si può ovviare integrando l'algoritmo genetico
con un metodo del gradiente nella fase finale dell'ottimizzazione; per il se-
condo invece è necessario trovare delle strategie di evoluzione di calcolo
che pur mantenendo la robustezza del metodo riducano il numero di valuta-
zioni della funzione. Infatti mediamente bisogna costruire una popolazione
iniziale di 50 individui e bisogna farla evolvere per almeno una decina di
generazioni. Si vede quindi che sono necessarie almeno 500 valutazioni della
funzione, una per ogni individuo.
Se per il calcolo di funzioni analitiche, questo può non essere un proble-
ma, nel caso che la funzione da massimizzare comporti l'uso di complessi
codici di simulazione, i tempi e i costi di calcolo possono diventare inso-
stenibili. Per ottenere prestazioni sempre più importanti, dal punto di vista
dei costi computazionali, sono stati sviluppati e modificati alcuni operatori
dell'algoritmo genetico. Una tra le più importanti modifiche è sicuramente
quella che ha dato luogo allo sviluppo di un nuovo tipo di crossover, quello
direzionale.

Elitism

Una porzione dei migliori parenti viene copiata direttamente nella nuova
generazione. L’elitarismo migliora notevolmente le prestazioni del GA, perché
previene la perdita della migliore soluzione già trovata.

232
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

Copying

La copia random nella nuova generazione di alcuni tra i che non hanno
fornito una soluzione buona nella popolazione precedente è importante al
fine di mantenere lo spazio di ricerca sempre aperto.
L'algoritmo genetico multi obiettivo

Finora è stato esaminato il caso nel quale la funzione ad essere ottimizzata


è unica, sia nel caso di ottimizzazione con metodi derivati dall'uso del gradien-
te della funzione obiettivo, sia con metodi stocastici (SIMPLEX, GA).
Molte volte non è possibile definire un'unica funzione che deve essere mas-
simizzata. Ad esempio, se si volesse progettare il rotore di una turbina assiale,
ci si trova di fronte a molte scelte: numero pale (da minimizzare per problemi
di costo), rendimento (da massimizzare), spessore pala (da massimizzare per
facilitare la realizzazione di canali interni di raffreddamento). Un'altro esempio
è visualizzato in Figura 5.18.
In tal caso la scelta è tra due obiettivi contrastanti, massimizzare la velocità
di calcolo e minimizzare i costi dell'hardware.

Figura 5.18: Es. di problema multi obiettivo; scelta tra velocità di calcolo e costo della macchina.

Se si volesse usare un'unica funzione obiettivo, la scelta sarebbe quella di


rendere adimensionali gli obiettivi e successivamente creare una nuova fun-
zione, che vada a pesare i vari contributi delle diverse funzioni obiettivo. Si
capisce che questo modo di procedere il più delle volte non è adatto ad una
ottimizzazione multi obiettivo, in quanto non sempre è possibile determinare
in maniera esatta i limiti assunti dalle singole funzioni obiettivo, per la succes-
siva adimensionalizzazione.
Questa però non è l'unica difficoltà che ci si trova ad affrontare nel caso di
problemi multi obiettivo. Infatti, nel caso mono obiettivo, la soluzione è unica,
mentre nel caso multi obiettivo la soluzione quasi sicuramente non è unica.
Ridurre quindi un problema multi obiettivo ad un'unica funzione da massimiz-
zare è sicuramente una grossa approssimazione. Nasce quindi l'esigenza di

233
Capitolo V

riuscire a tenere separati i vari obiettivi, cercando quindi tutte le soluzioni ot-
timali. Per rispondere a tali esigenze sono stati sviluppati gli algoritmi genetici
multi obiettivo, che in moltissimi casi si rivelano notevolmente più performanti
rispetto ai metodi classici di ottimizzazione. Il mono obiettivo è un caso par-
ticolare dell’ottimizzazione multi obiettivo, il viceversa non è vero. I problemi
di ottimizzazione multi obiettivo sono rappresentabili matematicamente nel
seguente modo:

massimizzare il vettore di funzioni

Eq. 5.37

soggetto ai vincoli di uguaglianza e disuguaglianza

i = 1,2,....., p Eq. 5.38

()
hi x = 0 i = 1,2,....., p Eq. 5.39

dove k è il numero di funzioni obiettivo e x = [x1,x2,..., xn] è il vettore del-


le variabili. L'obiettivo è determinare tra l'insieme dei vettori che soddisfano
le condizioni di vincolo (equazione 5.38 ed equazione 5.39), il set di valori
[x1*,x2*,..., xn*] che permette di ottenere il valore ottimale per tutte le funzioni
obiettivo. L'algoritmo genetico multi obiettivo mantiene inalterata la configu-
razione già esaminata nel caso mono obiettivo, le uniche differenze si riscon-
trano nella selezione e nel crossover direzionale che vengono modificati per
adeguarli al caso multi obiettivo.

La selezione nel caso di GA multi obiettivo - Pareto Optimality

Nel caso mono obiettivo lo scopo della selezione è quello di cercare all'in-
terno di tutta la popolazione gli individui migliori in maniera da utilizzare il
loro codice genetico per cercare soluzioni migliori. Nel caso multi obiettivo, lo
scopo della selezione rimane lo stesso, però ci si trova di fronte alla difficoltà
di classificare gli individui in base al valore della loro funzione. In tal caso, in-
fatti, quasi sempre un individuo ha nei confronti di un altro alcuni valori della
funzione maggiori ed altri minori. In questo caso la definizione di predomi-
nanza di un individuo rispetto ad un altro non sarebbe possibile, se si vuole
mantenere separati i valori delle funzioni. A questo punto ci viene in aiuto la
definizione di dominanza secondo Pareto grazie alla quale si riesce a definire
se un individuo è migliore di un altro:
data: F : Rn→Rm
dati l'individuo A=(xa1,xa2,..., xan) e l'individuo B=(xb1,xb2,..., xbn)
B sarà dominato da A (secondo Pareto) se:

234
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

( )
A > B ⇔ ∀i Fi ( A) ≥ Fi (B ) ∩ (∃j Fi ( A) > Fi (B )) Eq. 5.40

Si può notare come questa nuova definizione può essere facilmente im-
plementata ed aggiunta alle selezioni prima esaminate, mentre nelle selezioni
precedenti per trovare l'individuo migliore bastava andare a vedere il valore
della funzione e controllare che quello fosse il migliore, adesso basterà sem-
plicemente applicare la definizione di dominanza secondo Pareto (equazione
5.40), [Horn, 1993; Poloni 1995]. In Figura 5.20 viene rappresentata la situazio-
ne nel caso a due obiettivi. In questo caso, si possono facilmente individuare
tutte le possibili situazioni che si possono trovare in un caso di ottimizzazione
multi obiettivo. Esaminando gli individui A,B,C,D questi si possono classificare
secondo Pareto. L'individuo A sarà dominante nei confronti di C, avendo tutti e
due i valori degli obiettivi maggiori, la stessa cosa per l'individuo B che domina
quello D. In questi casi la scelta durante la selezione cadrebbe sugli individui A
e B. Si può anche notare che l'individuo A non domina l'individuo D in quanto
l'individuo A, ha valore maggiore della funzione per il secondo obiettivo (obj2)
mentre per il primo obiettivo (obj1) il massimo è assunto dall'individuo D.

Figura 5.19:
Es. di dominanza
secondo Pareto.

Figura 5.20:
Piano degli obiettivi
di 4 individui (caso a
2 obiettivi).

235
Capitolo V

In questo caso la selezione trai due individui non è possibile, in quanto


non si può dire quale dei due è migliore per il fatto che ognuno è maggiore
dell'altro per un solo obiettivo e non su tutti. In questo caso la ricerca deve
continuare fino a quando non si trova un individuo dominante. Se la ricerca
risultasse infruttuosa verrebbe scelto un individuo a caso con cui effettuare il
crossover. Nelle ottimizzazioni mono obiettivo il risultato era ovviamente mi-
gliore, cioè quello che aveva il valore della funzione maggiore di tutti gli altri;
nel caso multi obiettivo la soluzione finale non sarà unica ma ci si troverà di
fronte a più individui. Gli individui migliori saranno quelli non dominati (indivi-
dui A e B nell'esempio in Figura 5.19, a questo insieme di soluzioni viene dato
il nome di fronte di Pareto).

5.5. Il crossover nel caso di GA multi obiettivo

5.5.1. Crossover classico multi obiettivo

Per il crossover classico, ad uno o più punti di rottura, non occorre fare
nessuna modifica per trasportarlo nel caso multi obiettivo, infatti scelti gli in-
dividui da incrociare, con la selezione secondo Pareto, il meccanismo d'azione
sarà il medesimo, in quanto in questo tipo di crossover i valori degli obiettivi
non hanno direttamente importanza. Il crossover classico è stato utilizzato in
molte ottimizzazioni multi obiettivo con ottimi risultati [Belegundo, 1994].

5.5.2. Crossover direzionale nel caso di GA multi obiettivo

Ricordando l'equazione 5.36, si nota che in questo caso di crossover i va-


lori della funzione obiettivo entrano direttamente nel crossover, quindi non è
possibile applicare questa formula nel caso multi obiettivo senza alcune mo-
difiche. Sono state introdotte molte varianti, delle quali la più utilizzata è il
crossover direzionale classico multi obiettivo, che viene di seguito descritto:
data: F: Rn→Rm
Individuo 1: [x11,x12,...,x1n] valore della funzione F1= [f11,f12,..., f1m]
Individuo 2: [x21,x22,...,x2n] valore della funzione F2= [f21,f22,..., f2m]
Individuo 3: [x31,x32,...,x3n] valore della funzione F3= [f31,f32,..., f3m]
con xijϵ [0, xmax]; il nuovo individuo, ricombinazione dei due precedenti sarà:
new: [x1new,x2new,...,xnnew] con xinew= max[min(xi* , xmax),0] Eq. 5.41
Dove:
m
s sign( f1k f 2 k )(v1i v2 i ) + t k sign( f1k f 3k )(v1i v3i ) 
xi* = x1i + ∑  k 
k =1  m 

236
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

con sk,tkϵ [0,1]


Come si vede il passaggio dal caso mono al caso multi obiettivo è banale, è
stata semplicemente effettuata una sommatoria su tutti gli obiettivi, dividen-
do in seguito la sommatoria per il numero di obiettivi.
In questo modo si cerca di lasciare i valori degli obiettivi indipendenti uno
dall'altro: cioè la direzione non è presa su un unico obiettivo, ma le direzioni
sono multiple, si cerca una direzione mono obiettivo per ogni obiettivo, poi
si fa la sommatoria che altro non è che il compromesso migliore tra tutte le
direzioni.

Figura 5.21: Direzione di evoluzione con crossover direzionale classico multi obiettivo.

In Figura 5.21 vengono mostrati tre individui tutti appartenenti al fronte di


Pareto, dove quindi non è possibile stilare una gerarchia di dominanza. Con
questo tipo di crossover si vede che le direzioni di evoluzione vengono create
per ogni singolo obiettivo, per cui il corredo genetico del nuovo individuo
avrà con sé le caratteristiche di tutti e tre gli individui genitori. Nell'esempio in
Figura 5.21 per il primo obiettivo la direzione sarà A1 C1, mentre per il secondo
obiettivo sarà A1 B1 e questa è la situazione esatta, infatti B1 è l'individuo mi-
gliore per il primo obiettivo, mentre C1 è l'individuo con il valore più alto per
l'obiettivo 2.

5.5.3. Gestione dei vincoli

Fino ad ora si è sempre parlato di algoritmi di ottimizzazione senza con-


dizioni di vincolo. Nella realtà applicativa sono pochissimi i casi nei quali non
bisogna definire alcun vincolo, per tale motivo, normalmente l'ottimizzazione
ha la forma: trovare il massimo di F(X) con i vincoli gj(X)>0 con j=1,2,....,p.
Questo modo di procedere, esatto dal punto di vista matematico, è limitativo
dal punto di vista ingegneristico.
Infatti può accadere che una soluzione abbia valore della funzione obiet-
tivo molto elevato, pur rompendo di poco un vincolo. In questa situazione
potrebbe non essere sbagliato considerare lo stesso buona la soluzione e
prenderla di conseguenza come valore ottimale. In termini numerici l'ottimiz-

237
Capitolo V

zazione assume la forma:

trovare il massimo di F(X) con i vincoli indicati nelle equazioni:

segj(X)<gj min limite accettabile j=1,2,..,p Eq. 5.42

segj(X)<gj max limite non accettabile j=1,2,..,p Eq. 5.43

Dando di conseguenza un certo intervallo (gj max - gj min) dove le soluzioni


vanno sì penalizzate, ma risultano ancora accettabili. In questo caso la moda-
lità operativa è la seguente:

k
fit ( X ) = F ( X ) Fmin
∑s
n =1
n
Eq. 5.44

n( X ) − min
dove sn = e con la condizione che se sn<0 , allora sn=0.
g max − g min
Si vede che la penalizzazione della funzione è progressiva all'interno del
limite dei vincoli, dando di conseguenza la possibilità di trovare soluzioni
ottime anche tra quelle che rompono i vincoli, però all'interno di un limite
prefissato. La trattazione dei vincoli in questa maniera può essere facilmente
implementata in tutti gli algoritmi visti precedentemente, facendo attenzione
al fatto che la funzione da massimizzare non è più in tal caso la F, ma la fit, che
ha in sé i valori dei vincoli.

5.5.4. Evoluzione dei GA Multi Obiettivo

Il primo algoritmo di ottimizzazione multi obiettivo è stato progettato da


David Schaffer nel 1983. L'approccio utilizzato è chiamato Vector Evaluated
Genetic Algorithm (VEGA) e consiste in un semplice algoritmo genetico al qua-
le è stato modificato il meccanismo di selezione.
Ad ogni generazione, viene introdotta una nuova sub-popolazione che
viene unita alla precedente per ottenere una nuova popolazione, per il re-
sto i meccanismi di crossover e mutazione restano quelli classici. Il principale
problema del VEGA è l'incapacità di conservare soluzioni che non presentano
performance eccezionali, ma comunque superiori rispetto alla media delle so-
luzioni trovate rispetto ad alcune delle funzioni obiettivo del problema.
Tali soluzioni potrebbero essere candidate per diventare soluzioni non do-
minate secondo Pareto, ma nello schema di selezione del VEGA non hanno
nessuna priorità di sopravvivenza. Nonostante l'introduzione del VEGA, per
molti anni a seguire i ricercatori hanno adottato altri tipi di approcci per analisi
di ottimizzazione multi obiettivo. Le più utilizzate erano:

238
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

- linear aggregating functions, che consisteva nell'addensare tutte le funzio-


ni obiettivo in un singolo valore che veniva adottato come base del proces-
so di ottimizzazione. Questo tipo di approccio aggregato era in pratica il
vecchio metodo di programmazione matematica utilizzato per processi di
ottimizzazione multi obiettivo.
- Nonlinear aggregating functions, critico nell'utilizzo, ma privo di alcune
limitazioni tipiche del metodo lineare.
- Lexicographic ordering, in questo caso, un singolo obiettivo (considerato il
più importante) è scelto ed ottimizzato senza prendere in considerazione
gli altri obiettivi. A seguire, il secondo obiettivo per ordine di importan-
za, viene ottimizzato, col vincolo di minimizzare la perdita di qualità della
soluzione trovata per il primo obiettivo. Questo processo è ripetuto per
ognuno dei rimanenti obiettivi. Questa tecnica è usata ancora oggi per
applicazioni nelle quali è noto a priori che alcune funzioni obiettivo sono
più importanti di altre. Il successivo passo nella ricerca di nuove metodolo-
gie per l'ottimizzazione multi obiettivo fu proposta da David E. Goldberg,
1989. Egli suggerì di usare una nuova strategia di selezione (nondominated
ranking) per guidare l'evoluzione della popolazione verso il fronte di Pareto
in problemi di ottimizzazione multi obiettivo. Questo meccanismo è chia-
mato Pareto Ranking. L'idea di base è di trovare il set di elementi della po-
polazione attuale che non siano dominati secondo Pareto rispetto al resto
della popolazione. A questi elementi viene assegnata una classificazione
alta ed esclusi da successive selezioni all'interno della stessa popolazione.

Questo processo continua finché tutti gli elementi della popolazione attua-
le non sono classificati. Di questi solo quelli con una classificazione alta (non
dominati) sopravvivono alla generazione della nuova popolazione. Il processo
si itera per massimizzare il fronte di Pareto del problema in esame (Figura
5.22).

Figura 5.22:
Meccanismo Nondominated
Pareto Ranking.

239
Capitolo V

Goldberg non implementò mai tale procedura, ma praticamente tutti i gli


algoritmi genetici multi obiettivo sviluppati in seguito sono stati influenza-
ti dalla sua idea. Dopo il VEGA, sono stati creati nuovi tipi dei MOEA (Multi
Objective Evolutionary Algorithm):

- Nondominated Sorting Genetic Algorithm (NSGA)


- Niched-Pareto Genetic Algorithm (NPGA)
- Multi Objective Genetic Algorithm (MOGA)

In Figura 5.23 le principali tappe della storia evolutiva dei MOEA.

Figura 5.23: Evoluzione degli algoritmi multi obiettivo.

5.5.5. MOEA: Prima generazione

Nondominated Sorting Genetic Algorithm (NSGA): questo approccio pro-


posto da Srinivas-Deb, 1994, è basato su diversi livelli di classificazione degli
individui. Prima dell’esecuzione della selezione, la popolazione viene classifi-
cata in base alla non dominanza. Ad esempio, a tutti gli individui non dominati
viene assegnata una classificazione di categoria 1. Il processo continua fino
a catalogazione per tutti gli individui della popolazione. La selezione della
successiva popolazione viene effettuata con metodo stocastico pesato, cioè
gli individui che presentano un ranking 1 avranno più copie nella nuova popo-
lazione rispetto agli individui con classificazione più bassa.

Nichel-Pareto Genetic Algorithm (NPGA): sviluppato da Horn, 1994, usa un


meccanismo di selezione a torneo basato sulla dominanza secondo Pareto.
L’idea di base di questo algoritmo è la seguente: due individui vengono scelti
con modalità random e comparati con un sottoinsieme dell’intera popolazio-
ne attuale (tipicamente il subset ha un numero di individui pari al 10% dell’in-
tera popolazione). Se uno dei due è dominato (da almeno uno degli individui

240
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

del subset) e l’altro no, quello non dominato vince e sopravvive. Se entrambi
gli individui sono o non dominati o dominati, il risultato del torneo viene de-
ciso attraverso un processo di fitness sharing.

Multi-Objective Genetic Algorithm (MOGA): proposto da Fonseca e Fle-


ming, 1993. Nel MOGA gli individui vengono classificati in base alla domi-
nanza; ad ognuno di essi viene assegnato un valore di ranking tanto più alto,
quanto maggiore è il numero di individui della popolazione attuale che lo
dominano.
Ad esempio, un individuo xi alla generazione t, dominato da individui nella
corrente generazione avrà il seguente ranking, equazione 5.45:

rank (xi,t) = 1 + pi(t) Eq. 5.45

A tutti gli individui non dominati viene assegnato ranking 1, mentre gli
altri individui con ranking maggiori, vengono via via penalizzati, in termini di
presenza nelle generazioni successive.

5.5.6. MOEA: Seconda generazione

Questa nuova generazione di algoritmi multi obiettivo è basata sulla no-


zione di elitarismo (elitism), cioè all’uso di una popolazione esterna (chiamata
popolazione secondaria) che contiene gli individui non dominati.

Strength Pareto Evolutionary Algorithm (SPEA): Nel 1998 Zitzler e Thiele


presentarono un nuovo algoritmo MOEA denominato Strenght Pareto Evolutio-
nary Algorithm (SPEA) che presentava elementi che portavano a capire che si era
all'inizio dello sviluppo di una nuova generazione di MOEA. In partenza lo SPEA
analizza la popolazione iniziale in modo comune a molti MOEA, cioè attraver-
so l'elitismo. Le soluzioni non dominate trovate nel primo screening vengono
spostate in un archivio chiamato external nondominated set. Ad ogni genera-
zione, gli individui non dominati vengono copiati nell'externalnondominated set.
Per ogni individuo presente nell'external set viene assegnato un fattore di forza
(strength value). Questo fattore di forza è simile al ranking value presente nel
MOGA, poichè è proporzionale al numero di soluzioni che un certo individuo
domina. Nello SPEA la valutazione di ogni membro (strength value) della popo-
lazione corrente è calcolata prima rispetto al fronte di Pareto della popolazione
corrente e poi per confronto con tutti gli elementi dell'externalnondominated
set (Figura 5.24). Se la soluzione non dominata nella popolazione attuale è però
dominata dalle soluzioni dell’archivio, viene eliminata. Invece se è anche non
dominata rispetto alle soluzioni presenti nell’archivio, entra essa stessa a far par-
te dell’archivio eliminando le soluzioni dell’archivio da essa dominate.

241
Capitolo V

Figura 5.24: Schema di selezione dello SPEA.

In sintesi l'external set partecipa al processo di selezione nello SPEA. Per


evitare che il numero di elementi in esso contenuti cresca a dismisura causan-
do un eccessivo rallentamento del processo di selezione, sono state adottate
tecniche che permettono tramite eliminazione degli elementi a più basso va-
lore di forza dell'external set di mantenere il numero sotto la soglia ritenuta
ottimale.

Strength Pareto Evolutionary Algorithm 2 (SPEA 2): rappresenta un’evo-


luzione dello SPEA; ha tre principali differenze rispetto al suo predecessore:
1) il meccanismo di selezione tiene in conto, per ogni individuo, il numero di
individui che esso domina e il numero di individui da cui esso è dominato. 2)
viene utilizzata una tecnica di stima della densità di popolazione nell’intorno
dell’individuo in esame che permette una più efficiente guida della ricerca di
soluzioni non dominate. 3) adotta un metodo di troncatura dell’archivio mi-
gliorato.

Pareto Archived Evolution Strategy (PAES): introdotto da Knowles e Corne,


2000, consiste in una strategia evolutiva (un singolo genitore genera un sin-
golo figlio) combinata con un archivio storico nel quale sono registrate tutte
le soluzioni non dominate precedentemente trovate. Questo archivio è usato
come set di comparazione per i nuovi individui mutati. Un interessante aspetto
di questo algoritmo è costituito dal meccanismo adottato per mantenere la di-
versità della popolazione, ovvero una procedura che consiste nel suddividere
lo spazio delle funzioni obiettivo in sottosettori (Hyper-grid). Ogni soluzione è
posizionata in una certa posizione della griglia in funzione dei valori che essa

242
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

assume rispetto alle funzioni obiettivo. Controllando il numero di individui in


ogni settore della griglia è possibile guidare l’algoritmo alla definizione di un
fronte di Pareto uniforme in tutto lo spazio delle soluzioni.

Nondominated Sorting Genetic Algorithm II (NSGA II): ideato da Deb,


2000, consiste in un’evoluzione più efficiente (in termini di velocità computa-
zionale) dell’NSGA. L’NSGAII non usa una memoria esterna come il suo prede-
cessore. In tal caso il meccanismo elitaristico viene eseguito confrontando il
migliore genitore con il migliore figlio ottenuto nella mutazione.

Niched Pareto Genetic Algorithm 2 (NPGA 2): creato da Erickson, 1993,


costituisce un’evoluzione dell’NPGA. Questo algoritmo usa il Pareto Ranking,
ma mantiene anche il meccanismo di selezione a torneo tipico dell’NPGA. In
questo caso non viene utilizzata memoria esterna e il meccanismo di selezione
elitaria è simile a quello adottato dall’NSGAII.

Pareto Envelope-based Selection Algorithm (PESA): proposto da Corne,


2000, questo approccio utilizza una piccola popolazione interna e una grande
popolazione secondaria. PESA usa la stessa divisione in griglia (Hyper-grid)
adottata dal PAES per preservare la diversità nella popolazione. Nel PESA la
memoria esterna gioca un ruolo cruciale nel processo di selezione.

Multi Objective Genetic Algorithm MOGA II: questo algoritmo ideato da


Poloni, 1998, non deve essere confuse col MOGA di Fonseca e Fleming nel
1993, col quale condivide l’acronimo. MOGA II utilizza un efficiente mecca-
nismo di ricerca elitaria che permette un robusto crossover direzionale e una
veloce convergenza [Rigoni, 1999].

Multi-objective Struggle Genetic Algorithm (MOSGA): questo algoritmo


combina le caratteristiche dello struggle croeding genetic algorithm di Grue-
ning e Wallace, 1996, con il Pareto-based ranking di Fonseca e Fleming 1998.
La modalità operativa dell’algoritmo è la seguente:
Step 1: Generazione della prima popolazione.
Step 2: Selezione uniforme degli individui della popolazione.
Step 3: Esecuzione di crossover e mutazione per creare i figli.
Step 4: Calcolo del ranking dei nuovi figli.
Step 5: Trovare gli individui della popolazione che sono più simili ai figli. So-
stituire questi individui con i figli se il ranking dei figli è migliore o se i figli
li dominano.
Step 6: Aggiornare il ranking dell’intera popolazione.
Step 7: Ripercorrere gli step 2-6 per la nuova popolazione.
Step 8: Se il criterio di stop non è raggiunto, ritornare allo step 2 e generare
una nuova popolazione.

243
Capitolo V

Simulated Annealing (SA)

Questo algoritmo opera simulando il processo di ricristallizzazione dei me-


talli nel trattamento termico di tempra. Lo schema originale di tale algoritmo
considera un sistema termodinamico che si trova nel suo stato iniziale caratte-
rizzato da un valore di energia (E) e temperatura (T). Tale valore di temperatura
è mantenuto costante fino a quando la configurazione iniziale del sistema vie-
ne perturbata e si ha una variazione (dE). La nuova configurazione è accettata
se si riscontra un valore minore di energia; nel caso opposto, è accettata con
una probabilità data dal fattore di Boltzmann exp-(dE/T). Questo processo è
iterato fino a raggiungere una buona varietà di statistiche; quindi la tempera-
tura viene diminuita fino al valore T = 0 [Costa, 2006].

5.5.7. Considerazioni sugli algoritmi di ottimizzazione

In questo capitolo sono stati esaminati gli algoritmi di ottimizzazione più


utilizzati in campo industriale per problemi di progettazione nei quali si ritiene
fondamentale l’utilizzo di una tecnica di ottimizzazione. Chiaramente non è pos-
sibile riuscire a definire quale algoritmo sia migliore dell'altro in quanto ognuno
ha il suo campo di applicazione più adatto. È comunque possibile stilare alcune
linee guida che possano essere d'aiuto quando ci si trova di fronte ad un pro-
blema da ottimizzare. Nel caso si abbia già una soluzione ritenuta accettabile
e si voglia migliorarla in qualche suo aspetto, l'algoritmo più utile è senz'altro
il BFGS in quanto è quello che è più veloce in convergenza e ha un'accuratezza
senz'altro migliore in confronto agli altri algoritmi. Il possibile inconveniente
nell'utilizzo del BFGS è il calcolo del gradiente della funzione obiettivo che in
caso di parametrizzazione a molte variabili, può diventare troppo oneroso. Se
invece non si dispone di una soluzione, o si vuole riprogettarla completamente,
bisogna fare una distinzione in base al numero delle funzioni obiettivo da defi-
nire. Nel caso di più obiettivi l'unico algoritmo che è possibile utilizzare è un GA
multi obiettivo. Fondamentale ricordare che alla fine di un'ottimizzazione multi
obiettivo non si ha un'unica soluzione, ma ci si trova di fronte ad un insieme
(Fronte di Pareto). A questo punto sarà il progettista ad intervenire nella scelta
e quindi se necessario, effettuare una successiva ottimizzazione per migliorare
la soluzione scelta considerando parametri aggiuntivi. Un'altra situazione nella
quale è conveniente usare l'algoritmo genetico è data dalla presenza di molti
vincoli (anche mono obiettivo), in questo caso l'utilizzo di GA è conveniente per
sfruttare la robustezza e la possibilità di lavorare non con un'unica soluzione ma
con una popolazione di soluzioni, esaminando di conseguenza meglio il domi-
nio della funzione obiettivo. Nel caso invece in cui la funzione obiettivo è unica
e non c'è la presenza di vincoli (o sono presenti in numero limitato) l'algoritmo
più conveniente è il SIMPLEX, sia per la sua facilità d'uso, sia perché è un buon
compromesso tra velocità di convergenza, accuratezza e robustezza.

244
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

5.6. Metodo delle superfici di risposta (RSM)

In ambito ingegneristico il numero di valutazioni della funzione obiettivo,


in un problema di ottimizzazione classica (Figura 5.25), è fortemente limitato
dal fatto che il tempo speso per la simulazione di ogni singola configurazione
può essere notevole con conseguente dilatazione di tempi e costi fino a livelli
non accettabili in ambito industriale.
Due sono i modi di operare per ridurre i tempi di calcolo:
1) Agire sulla velocità di convergenza degli algoritmi di ottimizzazione;
2) Estrapolare alcuni valori della funzione da ottimizzare.

Il primo punto è stato analizzato nei capitoli precedenti, mentre per agire
sul punto 2) è necessario costruire un modello approssimato della funzione
obiettivo (Superfici di risposta).
L'implementazione di superfici di risposta richiede la conoscenza della fun-
zione in relativamente pochi punti dello spazio e permette di estrapolarne
il valore in tutti gli altri punti ottenendo così benefici notevoli in termini di
tempo poiché il processo di ottimizzazione non richiede continue e ripetute
chiamate al solver, ma si appoggia alla superficie di risposta per cercare di
massimizzare la funzione obiettivo (Figura 5.26).

Figura 5.25: Flow-chart di un processo di Figura 5.26: Flow-chart di un processo di


ottimizzazione tradizionale. ottimizzazione tramite RSM.

Per essere definite, le superfici di risposta necessitano di un insieme di dati di


partenza calcolati “esattamente” (training set). Di conseguenza la creazione di
una superficie di risposta avviene:

245
Capitolo V

– usando i dati di una ottimizzazione precedente;


– usando i dati di un DOE
Ci sono numerosi algoritmi numerici per la creazione di una superficie di
risposta; tra i più noti e utilizzati ricordiamo:

– Multi lineare: Metodo base caratterizzato dalla necessità di avere una gri-
glia regolare cartesiana.
– Serie di Taylor: La costruzione di una superficie di risposta mediante svilup-
po in serie avviene rappresentando la funzione di interesse come una serie
di Taylor troncata generalmente al primo termine.
– k-nearest: Sfrutta il concetto di distanza tra punti nello spazio di definizione
delle variabili.
– Reti neurali: Sfrutta il principio dell’apprendimento per creare un modello
matematico di una funzione. Non necessita del calcolo delle derivate, ma
semplicemente di un set d’addestramento che puo’ essere aggiornato ite-
rativamente.
– Kriging: Metodo che ha origine dallo studio statistico sulla minimizzazione
della varianza sul valore della funzione da estrapolare. La base della me-
todologia sta nel creare una funzione dipendente dalla distanza del punto
di cui si vuole estrapolare il valore, con gli n punti più vicini (k-nearest).
L’utilità maggiore del metodo di Kriging sta nel fatto che si può riuscire a
determinare (in modo statistico) l’errore nell’estrapolazione (Kriging attivo).
In questo modo si può riuscire a determinare in maniera più appropriata il
DOE iniziale per la creazione della superficie di risposta. Infatti i punti del
DOE da calcolare saranno quelli dove la superficie di risposta ha l’errore
maggiore in estrapolazione.
- Gaussianprocesses: Metodo statistico, valuta la distribuzione condizionata
per il punto da estrapolare xN+1 dato il set D={xn+1, tn}n=1,2...,N di punti noti. Si
utilizza il concetto di Processo Gaussiano, inteso come collezione di variabili
t avente una distribuzione del tipo indicato nell'equazione 5.46.

1  1 
P(t | C , {xn }) = exp − (t − µ )T C −1 (t − µ ) 
Eq. 5.46
Z  2 

Bisogna ricordare che ogni caso studiato può essere affrontate da qualun-
que dei metodi proposti; la scelta di utilizzare un metodo rispetto ad un altro
è presa in base a valutazioni eseguite circa i seguenti elementi:
– difficoltà nel settare i parametri (setting);
– tempi di calcolo;
– accuratezza dei risultati.
Come già detto l’uso delle superfici di risposta è vantaggioso soprattutto
per diminuire i tempi di calcolo in caso di ottimizzazioni complesse. Alcu-

246
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

ne configurazioni sono calcolate “esattamente” (10-20%) mentre le rimanenti


sono estrapolate utilizzando uno dei metodi precedentemente descritti.

- Accuratezza : + processi gaussiani, + sviluppi in serie, - reti neurali.


- In caso di set d’addestramento ridotto, il metodo da privilegiare è la rete
neurale.
- Molto interessante l’uso del metodo Kriging attivo, per la possibilità di mini-
mizzare l’errore in estrapolazione.

Le superfici di risposta costituiscono la base per analisi di Robust Design, cioè della
metodologia che si occupa di trovare soluzioni del problema analizzato, che non siano
solo massimizzate rispetto alle funzioni obiettivo, ma che risultino il più possibile in-
sensibili alle fluttuazioni stocastiche dei parametri tipici del problema esaminato (Fig.
5.27).

Figura 5.27: Esempio di Robust Design del fronte di Pareto di un processo di ottimizzazione.

Verranno di seguito approfondite alcune caratteristiche delle metodologie di


generazione delle superfici di risposta di ultima generazione, cioè il metodo di
Kriging e reti neurali.

Kriging Method
Tale metodo è stato sviluppato dall'ingegnere minerario Sud Africano
D.G.Krige nel 1951. Il kriging, fornisce sia una previsione che un errore stan-
dard della previsione nei punti non campionati. Ciò permette di costruire una
mappa dei valori previsti e del livello di incertezza di tali valori.

Kriging ordinario
Nel kriging ordinario si va a stimare il valore vero della funzione, che è
incognito, attraverso una combinazione lineare pesata dei punti campionati. I
pesi dipendono da tali punti, quindi variano se viene usato un diverso insieme
di punti campionati.

247
Capitolo V

Kriging adattativo
Il kriging, oltre a fornire in un punto il valore estrapolato della funzione, associa
a questo anche la deviazione standard. Tanto più la deviazione standard è elevata
tanto più alta è l'incertezza dell'estrapolazione in tale punto (Figura 5.28).

Figura 5.28: Punto di errore massimo della superficie di risposta. L'algoritmo adattativo in tal punto
eseguirà un campionamento della funzione reale.

La conoscenza della deviazione standard ci offre l'opportunità di imple-


mentare una superficie di risposta adattativa. Questo metodo consiste, dato
un insieme di allenamento iniziale, nell'andare a determinare nel dominio
della funzione il punto di massima deviazione standard, ovvero di massima
incertezza, e quindi campionare la funzione in tale punto. Successivamente
l'informazione viene aggiunta all'insieme di allenamento. Procedendo itera-
tivamente riusciamo a migliorare la conoscenza sul comportamento globale
della funzione.

5.7. Reti neurali

5.7.1. Introduzione

Nel capitolo precedente si è dimostrato come gli algoritmi numerici di ot-


timizzazione possono essere d’aiuto nella progettazione e quali sono i campi
d’applicazione per i vari metodi al variare del problema proposto. Si è anche
accennato al fatto che non è sempre agevole utilizzare questi approcci nell’ot-
timizzazione, soprattutto per il fatto che sono richieste numerose simulazioni
del processo in esame. Risulta quindi necessario ridurre il tempo di calcolo
richiesto; due sono essenzialmente i settori dove è possibile intervenire:
• Miglioramento degli algoritmi.
• Riduzione del numero delle simulazioni con l’introduzione di funzioni ap-
prossimanti.
Il primo punto è stato affrontato nel capitolo precedente, dove sono stati

248
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

introdotti nuovi operatori nell’algoritmo genetico al fine di renderlo più veloce


in convergenza. Per intervenire sul secondo punto occorre introdurre le superfici
di risposta, al fine di estrapolare il valore della funzione obiettivo a partire da
valori noti, riducendo così in maniera considerevole i tempi di calcolo totali. Uno
dei metodi più efficienti per approssimare funzioni generiche consiste nell’u-
tilizzare modelli di superfici di risposta basate su reti neurali. Da un punto di
vista industriale, le reti neurali risultano essere efficaci quando si dispone di dati
storici sperimentali o derivanti da precedenti fasi di ottimizzazione per mezzo
di algoritmi neurali. Questa caratteristica è di grande interesse in ambito indu-
striale poiché permette di estrarre dati e modelli senza effettuare ulteriori prove
e sperimentazioni.

5.7.2. La rete neurale


Da un punto di vista hardware, una rete neurale è un processore distribuito
costituito dall’interconnessione di unità computazionali elementari (neuroni)
con due caratteristiche fondamentali:
1. La "conoscenza" è acquisita dall'ambiente esterno attraverso un processo di "ap-
prendimento" o di "adattamento".
2. La conoscenza è immagazzinata nei parametri della rete e in particolare nei
"pesi" associati alle connessioni.
La rete neurale è un modello matematico che si basa sulla simulazione sem-
plificata del comportamento del cervello. Come tutti sappiamo è formato da
un numero elevatissimo di cellule (neuroni), tutte collegate tra loro mediante
terminazioni nervose (sinapsi). Le cellule interagiscono tra loro mediante im-
pulsi elettrici che vengono rielaborati all'interno di esse e trasmessi ai neuroni
vicini. Il modello semplificato del neurone biologico fu proposto per la prima
volta da McCulloch-Pitts nel 1947. Esso prevede un dispositivo a soglia che :
- Uscita 1, se la somma algebrica pesata degli ingressi supera un valore di
soglia θ.
- Uscita -1, altrimenti.
Ossia:
M 
y = h ∑ wi xi − ϑ  Eq.5.47
 i =1 
dove:
- y ∈ {− 1,1} uscita
- τ =m k
ingressi
- τ =m k
pesi

249
Capitolo V

- soglia
- h : R→R funzione di attivazione con

In Figura 5.29 lo schema di un neurone formale.

Figura 5.29: Neurone formale di McCulloch-Pitts.

La rete neurale prende spunto da questo comportamento per riuscire a crea-


re un modello della funzione che si vuole interpolare a partire da alcuni modelli
esatti, intesi come valori delle variabili e valore corrispondente della funzione da
modellizzare, la rete neurale elabora in maniera da riuscire a trovare il valore della
funzione per una serie di variabili diverse dalle precedenti. Come si vede l'appli-
cazione più logica della rete neurale è come estrapolatore di funzione. Per la rete
neurale un neurone può essere schematizzato nel seguente modo (Figura 5.30).

Figura 5.30: Schema generale di un neurone.

250
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

Ciascun nodo (neurone) di una rete neurale può essere visto come una
funzione primitiva capace di trasformare i vari input in un ben definito ou-
tput. Differenti modelli di rete neurale differiranno quindi tra loro per il tipo di
funzione primitiva usata per il tipo di interconnessioni tra nodo e nodo, e per
l'algoritmo usato per trovare i pesi delle interconnessioni.

5.7.3. Classificazione delle architetture

Una rete costituita da un singolo strato di neuroni formali è denominata


Percetron [Rosenblatt 1962]. La classificazione delle reti neurali prevede due
classi principali:
- Reti feed-forward, acicliche strutturate in diversi strati. La propagazione
dei segnali avviene unicamente, in maniera continua, nella direzione che con-
duce dagli ingressi alle uscite. Si distinguono in:
• Feed-forward a un solo strato (Perceptron) Figura 5.31.
• Feed-forward multistrato (Multilayer Perceptron MPL; reti Radial Basis
Functions RBF) Figura 5.32.
- Reti ricorsive, Una rete ricorsiva è un modello neurale in cui è presente
un flusso bidirezionale d'informazioni; in altri termini, a differenza di quanto
accade nelle reti di tipo feed-forward, nelle reti ricorrenti tale propagazione
può anche manifestarsi da uno strato neurale successivo ad uno precedente,
oppure tra neuroni appartenenti ad uno stesso strato, e persino tra un neuro-
ne e sé stesso. Tipicamente sono dinamiche, Figura 5.33.

Figura 5.31: Figura 5.32: Figura 5.33:


Rete feed-forward a 1 strato. Rete feed-forward a 2 strati. Rete ricorsiva.

Una tipica rete neurale ha la seguente struttura (Figura 5.34).

Figura 5.34:
Esempio di struttura di
una rete neurale.

251
Capitolo V

Come si vede la rete neurale trova il valore della funzione Φ valutata nel
punto (x,y,z). I nodi sono formati dalle funzioni primitive f1, f2, f3, f4 che si ricom-
binano per produrre il valore di Φ. La funzione viene chiamata funzione di rete.
Differenti valori dei pesi w1, w2, ...,wn producono differenti valori per la fun-
zione di rete.
Gli elementi caratteristici di ogni rete sono:
- Struttura dei nodi.
- Topologia della rete.
- L'algoritmo di apprendimento usato per trovare i pesi della rete.

Apprendimento e generalizzazione della rete

Uno dei fattori di maggior importanza per la configurazione di una rete


neurale è l'algoritmo di apprendimento. L'apprendimento è il processo me-
diante il quale vengono determinati i parametri liberi di una rete. Sono classi-
ficati secondo due categorie:

- Apprendimento supervisionato. (supervised learning), qualora si disponga


di un insieme di dati per l'addestramento (o training set) comprendente esem-
pi tipici d'ingressi con le relative uscite loro corrispondenti: in tal modo la rete
può imparare ad inferire la relazione che li lega. Successivamente, la rete è ad-
destrata mediante un opportuno algoritmo (tipicamente, la back-propagation
che è appunto un algoritmo d'apprendimento supervisionato), il quale usa tali
dati allo scopo di modificare i pesi ed altri parametri della rete stessa in modo
tale da minimizzare l'errore di previsione relativo all'insieme d'addestramento.
Se l'addestramento ha successo, la rete impara a riconoscere la relazione in-
cognita che lega le variabili d'ingresso a quelle d'uscita, ed è quindi in grado
di fare previsioni anche laddove l'uscita non è nota a priori; generalizzazione
della rete addestrata, in altri termini, l'obiettivo finale dell'apprendimento su-
pervisionato è la previsione del valore dell'uscita per ogni valore valido dell'in-
gresso, basandosi soltanto su un numero limitato di esempi di corrispondenza
(vale a dire, coppie di valori input-output).

- Apprendimento non supervisionato. (unsupervised learning), basato su


algoritmi d'addestramento che modificano i pesi della rete facendo esclusiva-
mente riferimento ad un insieme di dati che include le sole variabili d'ingresso.
Tali algoritmi tentano di raggruppare i dati d'ingresso e di individuare pertanto
degli opportuni cluster rappresentativi dei dati stessi, facendo uso tipicamente
di metodi topologici o probabilistici.

- Apprendimento per rinforzo. (reinforcement learning), nel quale un oppor-


tuno algoritmo si prefigge lo scopo di individuare un certo modus operandi,

252
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

a partire da un processo d'osservazione dell'ambiente esterno; ogni azione


ha un impatto sull'ambiente, e l'ambiente produce una retroazione che guida
l'algoritmo stesso nel processo d'apprendimento. Tale classe di problemi po-
stula un agente, dotato di capacità di percezione, che esplora un ambiente nel
quale intraprende una serie di azioni. L'ambiente stesso fornisce in risposta un
incentivo o un disincentivo, secondo i casi. Gli algoritmi per il reinforcement
learning tentano in definitiva di determinare una politica tesa a massimizzare
gli incentivi cumulati ricevuti dall'agente nel corso della sua esplorazione del
problema. L'apprendimento con rinforzo differisce da quello supervisionato
poiché non sono mai presentate delle coppie input-output di esempi noti, né
si procede alla correzione esplicita di azioni subottimali. Inoltre, l'algoritmo
è focalizzato sulla prestazione in linea, la quale implica un bilanciamento tra
esplorazione di situazioni ignote e sfruttamento della conoscenza corrente.
Uno dei più usati metodi di addestramento supervisionato delle reti è l'algorit-
mo di back-propagation. Questo metodo trova il minimo della funzione errore
nello spazio dei pesi usando il metodo del gradiente. Si tratta di ricercare la
combinazione di pesi che minimizza la funzione errore; questa sarà considera-
ta la soluzione del problema di apprendimento. Molto importante è definire la
funzione di rete, detta anche funzione di attivazione. La più usata è sicuramen-
te la funzione sigmoide (Figura 5.35), la cui forma analitica è esplicitata nell'e-
quazione 48 e il cui dominio di definizione vale: sc: R⇒(0,1). Il valore della
costante c può essere scelto arbitrariamente, normalmente tra i valori 1, 2 e 3.

s = 1 Eq. 5.48
c
1 + e −cx

Figura 5.35: Grafico della funzione sigmoide.

Si possono usare altri tipi di funzione di attivazione, le uniche condizioni


alle quali devono sottostare è di essere differenziabili e con derivata non nulla

253
Capitolo V

in ogni punto del dominio di definizione. Questo secondo aspetto è dovuto al


fatto che il metodo di ricerca del minimo della funzione errore è il metodo del
gradiente e quindi si capisce che avere una funzione attivazione che in qual-
che punto abbia derivata nulla può causare dei gravi problemi di convergenza
all'algoritmo.

5.7.4. Il problema dell'apprendimento

La rete neurale è un insieme di celle (funzioni attivazione) collegate tra loro


(pesi) in modo da riuscire a definire una funzione. Il problema dell'appren-
dimento consiste nel trovare la migliore combinazione dei valori dei pesi in
modo che la funzione di rete Φ riesca ad approssimare la funzione data F nella
migliore maniera possibile.
L'addestramento di une rete neurale di tipo backpropagation avviene in due
diversi stadi: forward-pass e backward-pass. Nella prima fase i vettori in input
sono applicati ai nodi in ingresso con una propagazione in avanti dei segnali
attraverso ciascun livello della rete (forward-pass). Durante questa fase i valori dei
pesi sinaptici sono tutti fissati. Nella seconda fase la risposta della rete viene con-
frontata con l'uscita desiderata ottenendo il segnale d'errore. L'errore calcolato è
propagato nella direzione inversa rispetto a quella delle connessioni sinaptiche.
I pesi sinaptici infine sono modificati in modo da minimizzare la differenza tra
l'uscita attuale e l'uscita desiderata (backward-pass). Ad esempio se si vuol ap-
prossimare la funzione F: Rn⇒Rm, la rete sarà formata da n input (variabili) ed
m output (valori della funzione F). Per riuscire a risolvere il problema viene dato
un set d'addestramento {(x1,t1,...(xp,tp)}, consistente in p punti della funzione F
conosciuti ai quali viene dato il nome di set d'addestramento. Quando il modello
di input xi del set d'addestramento è presentato alla rete, questo produrrà un
valore della funzione di rete oi generalmente diverso dal valore ti della funzione F.
Facendo questo per tutti i p modelli d'allenamento sarà possibile trovare l'errore
che dovrà essere minimizzato:
1 p
2 ∑ oi − t i
2
E = Eq. 5.49
i =1

Come già detto, l'algoritmo backpropagation è usato per trovare il minimo
della funzione errore (equazione 5.49). Il procedimento è molto semplice, la
rete viene inizializzata dando valori random ai pesi, si valuta il gradiente d'er-
rore tramite il metodo della discesa del gradiente che permette di trovare un
minimo locale di una funzione in uno spazio a N dimensioni, si correggono i
pesi presentando alla rete dei pattern di esempio, si itera questo procedimen-
to fino a convergenza. Come si vede l'elemento fondamentale è la ricerca dei
valori del gradiente della funzione errore rispetto ai pesi definiti dall’equazione
5.50:

254
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

 
w ( ∇E =  ∂E , ∂E ,, ∂E  ) Eq. 5.50
 ∂w1 ∂w2 ∂wt 

5.7.5. Caso della rete a piani

La rete neurale più utilizzata per l'approssimazione di funzioni è senz'altro


quella a piani nascosti. Di seguito verrà mostrata la modalità d'azione dell'al-
goritmo di backpropagation per questo tipo di rete neurale.
La topologia della rete esaminata è la seguente: n input, m output, un piano
interno formato da k nodi. Il peso tra input in posizione i e il nodo del piano
nascosto in posizione j sarà wij(1) mentre il peso tra il nodo del piano nascosto
i e l'output j sarà wij(2) . Esiste un input aggiuntivo di valore 1 per dare alla rete
la possibilità di aggiungere una costante additiva (Figura 5.36).

Figura 5.36: Rete neurale ad un piano nascosto.

L'algoritmo di apprendimento backpropagation sarà costituito da quattro


passi successivi:

1. Valutazione del valore approssimato della funzione.


2. Backpropagation del piano finale.
3. Backpropagation del piano interno.
4. Aggiornamento dei pesi.

Calcolo del valore approssimato della funzione

Il vettore n-dimensionale degli input o=(o1, ....., on) viene trasformato nel
(1)
vettore oi=(o1, ...., on, 1). L'eccitazione net j del j-esimo nodo del piano interno

255
Capitolo V

è uguale a:
Eq. 5.51
n +1

(1)
net =∑w o
(1)
j ij i
i =1

La funzione attivazione è la sigmoide e quindi il valore o (j1) del nodo j-


esimo del piano interno è:

o
(1)
(
(1)
j = s net j ) Eq. 5.52

Allo stesso modo l'attivazione del piano di output net (j1) è:
k +1 Eq. 5.53
( 2)
net

j = ∑w o
( 2 ) (1)
ij j
i =1
e quindi l'output finale, valore della funzione F in posizione j, sarà:
Eq. 5.54
o
( 2)
j (
= s net (j 2 ) )
Iterando questo procedimento per tutti gli m output è possibile definire
l'errore per l'addestramento del modello i nella seguente maniera:

E
1 m ( 2)
= ∑i =1 oi − t i

2
(
2
) Eq. 5.55

Ovviamente E>0 e quindi bisognerà modificare il valore dei pesi.
Per far ciò sono necessari i seguenti passi.

Backpropagation dal piano finale

Il passo successivo è trovare il valore del gradiente della funzione errore E


rispetto ai pesi W2:

( 2) ( 2)
∂E ∂E ∂o j ∂net j
=
∂wij( 2 ) ∂o (j2 ) ∂net (j2 ) ∂wij( 2 )
( ) ( )
= o (j2 ) − t j oi( 2 ) 1 − o (j2 ) oi(1) Eq. 5.56

ponendo

( ) (
o (j2) − t j oi( 2) 1 − o (j2) = δ (j 2)

) Eq. 5.57

si ottiene infine:
∂E
= oi(1)δ (j 2 ) Eq. 5.58

∂wij( 2 )

256
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

Backpropagation dal piano interno

Con la stessa sequenza operativa esaminata nel backpropagation dal piano


finale a partire da:
(1) (1)
∂E
∂E ∂o j ∂net j
=

∂wij(1) ∂o (j1) ∂net (j1) ∂wij(1) Eq. 5.59

si ricava:

( )
m
∂E

(1)
∂wij
= o i δ (1)
j
...e con δ (1)
j = o (1)
j 1 − o (i )
j ∑
q =1
w(jq2 )δ q( 2 ) Eq. 5.60

Aggiornando i valori dei pesi dell’equazione 5.59 ed equazione 5.60 si è in


grado di ricavare il valore del gradiente della funzione errore rispetto i soli pa-
rametri liberi della rete, cioè i pesi: il passaggio successivo consiste nell'aggior-
nare i loro valori in modo da trovare il minimo della funzione. Esistono molti
tipi di algoritmo per la variazione dei pesi in dipendenza del valore del gra-
diente. Uno dei più interessanti, sia come velocità di convergenza che come
qualità delle soluzioni ottenute è il metodo con uso dell'inerzia:
∂E
∆wki = −γ
+ α∆wk( i −1) Eq. 5.61
∂wk

Cioè la correzione del k-esimo peso alla iterazione i-esima dipende anche
dalla correzione all'iterazione precedente. Il vantaggio di ciò è evidente, in
questo modo si riesce a far saltare al peso dei micro avvallamenti della fun-
zione errore che se non ci fosse l'inerzia causata dall'iterazione precedente,
potrebbero causare dei seri problemi per la ricerca del minimo assoluto.

5.7.6. Nuovi tipi di rete

La rete vista precedentemente, ad uno o più piani interni, è la più semplice


tipologia di rete neurale esistente.
La convergenza verso il minimo assoluto della funzione errore è assicurata,
ma questo richiede un gran numero di iterazioni e un numero di nodi molto
alto. Per tale motivo sono state sviluppate delle reti che si diversificano tra loro
soprattutto per l'uso di diverse funzioni di attivazione. Un esempio in tal senso
è costituito dal modello chiamato rete neurale con soglia dinamica. Il layout di
questo tipo di rete neurale è rappresentato in Figura 5.37:

257
Capitolo V

Figura 5.37: Rete a due piani nascosti con soglia.

Si nota la presenza nei piani interni di due tipologie di funzioni di attivazio-


ne: quella con soglia statica (QSF) e quella con soglia dinamica (QSF estesa).
1
QSF : f (net i , ϑi ) =


1 + exp net i2 − ϑi2 ( ) Eq. 5.62

QSFestesa : f net , Θi = ( ) 1
Eq. 5.63


i
1 + exp neti2 − Θi , X

(( )) 
2

X = wi , 0 + ∑ j =1 wi , j x j
n
Dove: neti = Wi

I vettori W = (w0 ,....., wn ) e X = (1, x1 ,....., x n ) sono rispettivamente i pesi e il vet-


tore degli input, mentre Θ = ( i , 0 ....... i ,n ) e sono chiamate funzioni di soglia.
Come si vede nell'equazione 5.63, la soglia non è più dipendente dai valori in
ingresso al nodo, ma dipende da questi. In tal modo si riesce ad avere stati di
transizione da un nodo ad un altro molto variabili, situazione questa, che aiuta
la rete ad adattarsi in maniera migliore alla funzione che deve approssimare.
L'uso della QSF estesa viene limitato all'ultimo piano e non a tutti i piani della
rete, poichè la soglia mobile, pur essendo più performante rispetto alla soglia
statica, ha bisogno di un numero di parametri maggiore, infatti c'è la presen-
za di tutte le connessioni con il piano precedente. Questo causa un notevole
aumento del numero di calcoli necessari dal momento che si deve trovare il

258
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

gradiente della funzione errore anche per le connessioni θi,j. L'aumento di ve-
locità di convergenza verrebbe quindi quasi totalmente annullato dalla mag-
giore quantità di calcoli necessari. Si è quindi pensato di limitare l'uso della
soglia dinamica all'ultimo piano della rete, cioè in corrispondenza del piano
più importante per il conseguimento di buoni risultati nell'approssimazione.

5.7.7. Calcolo del gradiente mediante le reti neurali

Come già detto, uno dei problemi più importanti nell'utilizzo, degli algo-
ritmi che sfruttano il gradiente della funzione obiettivo, sta proprio nel calcolo
del gradiente che molte volte può diventare oneroso in termini di tempo se la
funzione obiettivo è definita a molte variabili.
Per questo motivo è stata implementata una metodologia basata sulle reti
neurali, che può essere d'aiuto nel calcolo del gradiente.
Normalmente il calcolo della derivata parziale avviene mediante differenze
finite:

∂y y (x1 , x 2 ,......xi + h,.....x n ) − y (x1 ,...., xi − h,......., x n )


= Eq. 5.64
∂xi 2h
In questo caso sono necessarie due analisi per il calcolo approssimato della
derivata parziale. Però la rete neurale è una approssimazione della funzione y,
quindi si possono calcolare le derivate parziali analitiche della stessa:

∂y k +1 k +1
=

2 net ( 2)
y y − 1 ( )∑
w (j2 ) qi , j + 2ϑ ( 2 ) y 1 − y ( )∑ z (j2) qi , j Eq. 5.65
∂xi j =1 j =1

dove:

(
qi , j = 2net (j1) wi(,1j) o (j1) o (j1) − 1) Eq. 5.66

Come si vede se si usasse questo approccio durante l'ottimizzazione, si po-


trebbe avere un grosso risparmio in termini di tempo non essendo necessario
effettuare le chiamate al solver per il calcolo delle derivate parziali e quindi
del gradiente. Infatti si potrebbe costruire il modello della funzione mediante
interpolazione con rete neurale e in seguito andare a calcolare mediante l’e-
quazione 5.65 il gradiente.
A questo punto si potrebbe effettuare un'iterazione dell'algoritmo di otti-
mizzazione, trovando di conseguenza una nuova soluzione che andrà ad au-
mentare il database della rete neurale e quindi l'accuratezza dell'estrapolazio-
ne. L'algoritmo diventa quindi il seguente:

Step1: Partenza delle iterazioni da un punto iniziale X1.


259
Capitolo V

Step2: Calcolo di n configurazioni attorno a X1.


Step3: Creazione di un database con le configurazioni calcolate fino a questo
punto.
Step4: Allenamento della rete neurale sul database.
Step5: Calcolo del con l'equazione 5.65.
Step6: Esecuzione di un'iterazione con l'algoritmo di ottimizzazione.
Step7: Calcolo della configurazione trovata nello step 6.
Step8: Se non si è raggiunto il massimo si riparte dallo step 3.

5.8. Algoritmi per la selezione della soluzione ottimale in problemi di


ottimizzazione Multi Obiettivo–cenni

Effettuare una scelta corrisponde al considerare da diversi punti di vista il


problema che si è tenuti a risolvere, confrontare tra loro le conseguenze che
ogni azione intrapresa potrebbe comportare ed infine decidere su quale sia
la migliore strada da percorrere; ciò significa quindi che l'atto dello scegliere
è strettamente legato ad una pluralità di aspetti da tenere sotto controllo; tali
particolari vengono sommariamente denominati criteri.
Contrariamente a quanto sopra osservato, per molti anni l'unica via per-
corsa per risolvere problemi decisionali è stata quella di considerare i sistemi
come fossero monocriterio e quindi si potessero accorpare tutti gli aspetti
multidimensionali in un unico obiettivo o in un'unica scala di misura, cioè at-
traverso il processo di massimizzazione di tale singolo obiettivo.
Questo modo di procedere non solo è riduttivo ma, in un certo qual senso,
innaturale. Per tale ragione negli ultimi trent'anni, una nuova filosofia di ap-
proccio a questo tipo di problematiche ha preso piede ed ha attirato l'atten-
zione di ricercatori e professionisti: il Multi Criteria-Decision Making (MCDM).

5.8.1. Multi Criteria Decision Making (MCDM)

Con l'acronimo MCDM (oppure MCDA dova A sta per Aid) viene indicata
un'intera serie di strumenti evoluti allo scopo di permettere al Decision Maker
(colui che è tenuto a produrre delle scelte) di risolvere, in modo coerente e
complesso, problemi decisionali caratterizzati da svariati attributi spesso con-
traddittori, tenendo conto di essi e del loro grado di importanza.
Il primo fattore a cui bisogna prestare attenzione quando si trattano questo
tipo di problemi è che non esiste, in generale, alcuna decisione (soluzione o
azione) che sia simultaneamente la migliore da tutti i punti di vista; perciò la
parola “ottimizzazione” non trova cittadinanza in questo contesto: in contrasto
con le altre tecniche della ricerca operativa, i metodi “multicriteria” non ricer-
cano la soluzione “oggettivamente migliore”.

5.8.2. Metodi MCDM: elementi di base e classificazione


260
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

Gli ingredienti base di ogni metodo MCDA sono molto semplici: un set
finito o infinito di azioni (dette anche alternative, soluzioni, etc.) descritte da
un numero finito di criteri o attributi che abbiano importanza relativa anche
diversa e, ovviamente, almeno un decisore.
Dati questi elementi base si può ottenere un aiuto nella scelta della solu-
zione ottimale attraverso strumenti del tipo: classifica, ordinamento, score o
simili. Un problema MCDA può comprendere l'utilizzo di attributi sia quanti-
tativi che qualitativi e i metodi devono permettere di poter trattare indistin-
tamente questi tipi di dati. Generalmente studiando un problema con n alter-
native e k attributi si fa riferimento ad una matrice detta matrice decisionale
così composta:

Tabella 5.2: Matrice decisionale.

Attributi
Prove alternative
y1 y2 ….. yk

a1 y11 y12 ….. y1k


a2 y12 y22 ….. y2k
……. ……. …… ….. …..
an yn1 yn2 ..... ynk

nella quale yij è il valore dell’attributo per l’alternativa ai(i=1,….,n , j=1,….k).


Quando invece si vogliano trattare problemi di carattere esclusivamente qua-
litativo è necessario costruire la matrice di confronto binario M espressa nell'e-
quazione 5.66.

 1
m12  m1n 
 m 1  m2 n  Eq. 5.67
M = {mil }nxn =  21
   
 
mn1 mn 2  1 
nella quale mil rappresenta l’importanza relativa di ai rispetto ad al tenendo
conto di ogni attributo yj(j=1,….,k). Nonostante gli input e gli output sopra
elencati siano pressappoco comuni all'interno del campo del multicriteria de-
cision-aid, è stata sviluppata una vasta varietà di metodi, ognuno dei quali ha
proprie caratteristiche ed è quindi diversamente utile a seconda della parti-
colare esigenza. Gli specialisti in materia hanno preso l'abitudine di dividere i
metodi in tre grandi famiglie:
1. multiple attribute utility theory (MAUT),

261
Capitolo V

2. out ranking methods,


3. interactive methods.

La prima famiglia, di ispirazione americana, unisce tutte quelle metodo-


logie che aggregano i diversi punti di vista in un'unica funzione conseguen-
temente ad una ottimizzazione. Il lavoro principale consiste nello studio ma-
tematico delle condizioni e della particolare funzione di aggregazione e la
realizzazione della costruzione del metodo. La seconda famiglia, di ispirazione
francese, mira a creare una relazione detta di outranking (che si può tradurre
come relazione di “superamento di grado”) che esprima chiaramente le prefe-
renze espresse dal decisore; tale relazione dunque non è né completa né tanto
meno transitiva.
La terza (e più recente) famiglia propone metodi che alternano fasi di cal-
colo (che producono successive soluzioni di compromesso) e fasi di interazio-
ne (che mirano a produrre extra informazioni sulle preferenze del decisore)
[Andersson 2001].

5.8.3. MDO software tools

I tecnici che volessero confrontarsi con la risoluzione di problemi MDO, pos-


sono allo stato attuale, ricorrere ad applicazioni commerciali che permettono
l'integrazione e l'applicazione di software di calcolo, dati, user interface per la
gestione di problemi MDO. Tra questi, SIMULIA Isight® (http://simulia.com)
ed ESTECO modeFRONTIER® (http://www.esteco.com/) sono tra i software
dedicati all’ottimizzazione, maggiormente utilizzati per via delle loro elevate-
performance nella gestione di problemi di MDO complessi tipici dell'industria
dell'aerospace e automotive. Molto interessante la possibilità offerta da questi
software di utilizzare tecniche di ottimizzazione miste. Di seguito vengono de-
scritte due applicazioni che sfruttano queste tecniche ibride di design optimi-
zation. ModeFRONTIER® permette di eseguire ottimizzazioni che prevedono
l'ibridizzazione dell’algoritmo genetico in quanto, essendo ogni simulazione
onerosa da un punto di vista computazionale, l’ottimizzazione basata esclusi-
vamente sull’algoritmo genetico richiederebbe tempi lunghi. Questa tecnica
permette di sfruttare le capacità dell’algoritmo genetico di trovare, anche con
poche iterazioni, la zona del dominio della funzione dove si trova il massimo
della funzione obiettivo. A questo punto, scelta la configurazione di parten-
za si può partire con un metodo basato sul gradiente della funzione obiettivo.
Per evitare l’onerosità del calcolo delle derivate della funzione obiettivo viene
utilizzata una rete neurale per calcolare le derivate parziali, con tutti i vantaggi
descritti nel Paragrafo 5.7.7, il database per l’addestramento della rete neurale
è formato dalle configurazioni calcolate durante la fase di ottimizzazione del
GA. Isight® permette di impostare e gestire in maniera automatica problemi di
ottimizzazione che richiedano l'esplorazione preliminare dello spazio delle solu-
zioni con tecniche miste o in cascata e di valutare reliability e la robustezza delle

262
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

soluzioni trovate. Ad esempio per problemi nei quali sono presenti un elevato
numero di variabili di progetto, vincoli e funzioni obiettivo risulta estremamente
difficoltoso eseguire analisi di ottimizzazione con un numero così alto di variabili
di progetto, oltre che naturalmente oneroso dal punto di vista computazionale.
A questo si aggiunge che molti algoritmi non riescono a gestire in modo effi-
cace sistemi di tali dimensioni, specialmente se il problema deve essere esplora-
to da zero, senza cioè nessuna condizione nota a priori. Per tali tipi di problema-
tiche è possibile eseguire un DOE che permetta di inquadrare le dimensioni del
design space o una regione locale del design space vicina alla configurazione
iniziale e di identificare attraverso un processo di screening le variabili critiche
per l'intero processo.
Queste variabili critiche, quelle cioè che hanno la maggiore influenza sulla
variabilità delle funzioni obiettivo del problema in esame, definiscono un subset
dell'insieme originale delle variabili di progetto. Una volta ridotto il numero di
variabili, l'ottimizzazione diviene più agevole (Figura 5.38).

Figura 5.38: Strategia di ottimizzazione.

Completata la fase di ottimizzazione può essere stimata la qualità della/


delle soluzioni trovate tramite l'implementazione di metodi probabilistici, Re-
liability analysis e Robust design Analysis (es. six sigma). La prima permette di
valutare la probabilità che le soluzioni violino uno o più vincoli del problema,
mentre la seconda permette di conoscere la sensibilità delle performance del-
le soluzioni trovate a fluttuazioni aleatorie dei parametri del progetto.

5.9. Esempio di applicazione dei metodi di ottimizzazione: Metodi avan-


zati per l'ottimizzazione dei percorsi utensile

5.9.1. Introduzione

La lavorazione dei metalli per asportazione di truciolo è un processo di fab-

263
Capitolo V

bricazione tra i più importanti nelle applicazioni meccaniche oltre che essere
ampiamente utilizzato. Lo studio del processo di taglio dei metalli si focalizza
principalmente su: attrezzature, materiale del grezzo e settaggio dei parametri
di macchina che influenzano l’efficienza del processo e le caratteristiche di qua-
lità del prodotto finito. I processi di asportazione di truciolo sono caratterizzati
da una forte domanda di incremento della produttività che non comprometta
l’alta qualità del prodotto (qualità superficiale, tolleranze strette, certificazione
del processo e del prodotto). Per venire incontro a tale necessità sono oramai
ampiamente utilizzati, in ambito industriale, strumenti di simulazione virtuale
Computer Aided Manufacturing (CAM) in grado di velocizzare la progettazione
del processo attraverso la generazione automatica di un part-program a partire
dai modelli del grezzo, del finito e utensili caratterizzati in termini di geometria
e parametri tecnologici (velocità di taglio, velocità di avanzamento e profondità
di taglio, ecc.). I software CAM generano una validazione del Cutter Location File
(CLF), cioè del file che contiene le istruzioni per la definizione del part-program
prima della fase di post-processing.
Questo tipo di simulazione permette di avere una verifica parziale della la-
vorazione reale, poiché è totalmente disgiunta della cinematica della macchi-
na utensile e dal suo controllo numerico. Ogni movimento dell’utensile deve
essere controllato cinematicamente durante la prima esecuzione, l’operatore
deve eseguire una lavorazione passo-passo, impedendo i movimenti in rapido
previsti nel part-program.
La simulazione virtuale della lavorazione mediante macchina utensile è
una tecnologia oramai matura che permette di superare tale limitazione dei
software CAM. Gli strumenti di simulazione virtuale del processo di taglio fi-
nora illustrati sebbene siano di grosso aiuto per una corretta realizzazione del
part-program di lavorazione non forniscono nessuna informazione circa la fisica
del processo di taglio. Le più comuni strategie usate per preservare la qualità
superficiale dei pezzi lavorati prevedono l’utilizzo di parametri di processo con-
servativi. Con queste condizioni l’accuratezza dell’operazione, dipendente dai
parametri selezionati, può essere verificata solo durante l’esecuzione della prima
prova fisica di esecuzione. Durante questa fase è necessario verificare l’accura-
tezza del part-program in termini di percorso e dei parametri tecnologici pia-
nificati (velocità di taglio, velocità di avanzamento, ingaggio locale tra utensile
e pezzo). Di solito è essenziale eseguire un'accorta ispezione del part-program
in esecuzione sulla macchina con conseguenti frequenti operazioni di editing a
bordo macchina dello stesso. Molti studi, hanno dimostrato che le scelte otti-
mali relative alla tipologia dell’utensile ed ai parametri di taglio vengono fatte in
meno della metà dei casi e soltanto in circa un terzo dei casi analizzati gli utensili
sono utilizzati sfruttando completamente la loro durata potenziale. Questa ana-
lisi rende evidente la necessità di incrementare la conoscenza dei fenomeni fisici
di microscala che regolano il processo di taglio, l’aumento della conoscenza può
portare alla disponibilità di strumenti decisionali che permettano la selezione
di utensili da taglio e di condizioni ottimali per le prestazioni e l'economia del

264
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

processo di asportazione. Questo compito è tradizionalmente svolto sulla base


dell'esperienza dei tecnologi e con l'ausilio di dati provenienti da manuali di la-
vorazione e cataloghi utensili. Lo sviluppo di modelli predittivi delle prestazioni
di lavorazione è attualmente frenato da difficoltà oggettive quali: la mancanza di
accuratezza nel rappresentare per via numerica il processo fisico e i tempi di cal-
colo ancora troppo elevati per consentire un uso industriale di queste tecniche.

5.9.2. Stato dell'arte nella simulazione dei processi di taglio

Il processo di verifica di una lavorazione per asportazione di truciolo può


essere riassunto nei seguenti passi: definizione e verifica del part-program
attraverso l’utilizzo di software dedicati (CAM, post processor, simulatore di
macchine utensili CNC), prova fisica, controllo-collaudo su macchine Coordi-
nate Measuring Machine (CMM) e rilascio del part-program certificato (Figu-
ra 5.39). La simulazione del percorso utensile viene utilizzata per una verifica
preliminare della prova fisica al fine di individuare: collisioni tra utensile e/o
grezzo e attrezzature di fissaggio, rimozione di materiale durante moti in rapi-
do, ecc. Questo tipo di applicazione fornisce specifici strumenti di misura per
confrontare il modello ottenuto dalla simulazione del processo di asportazio-
ne di truciolo ed il modello CAD di riferimento. Un software di simulazione di
lavorazioni per asportazione di truciolo deve riprodurre le caratteristiche della
macchina a controllo numerico (configurazione degli assi, volume di lavoro,
attrezzature, magazzino utensili) e il suo CN per simulare: il moto degli assi, il
cambio utensili e tutte le istruzioni specifiche del controllo utilizzato.

Figura 5.39: Flusso logico tradizionale di generazione e verifica del percorso utensile.

Un ulteriore sviluppo della procedura di simulazione sopra descritta pre-


vede l’adozione di uno strumento di ottimizzazione cinematica che consente
ottenere delle notevoli riduzioni del tempo ciclo (Figura 5.40).

Figura 5.40: Flusso logico della verifica del percorso utensile con ottimizzazione cinematica.

In questo studio è stato utilizzato il modulo di ottimizzazione cinematica


del software di simulazione VERICUT®, denominato Opti-path®. Questo mo-
dulo è in grado di modificare i parametri di taglio del part-program (velocità di
avanzamento e di taglio) permettendo di ottenere una consistente riduzione
del tempo di esecuzione e del tempo di lavorazione. Il modulo di ottimiz-

265
Capitolo V

zazione cinematica ha tre strategie di ottimizzazione definite come: volume


di truciolo rimosso costante, spessore di truciolo costante, velocità di taglio
costante. Nell'analisi eseguita, gli autori hanno utilizzato l'algoritmo che opera
con la logica del Volume Rimosso Costante.
Ogni operazione di fresatura è caratterizza da specifici valori dei parametri
di taglio:

- profondità di passata (p) [mm];


- impegno radiale dell’utensile (b) [mm];
- velocità di avanzamento (Va) [mm\min];
- avanzamento dente al giro (az) [mm\dente-giro];
- velocità di rotazione del mandrino (S) [rpm];
- diametro dell’utensile (D) [mm];
- numero di denti dell’utensile (z);
- velocità di taglio Vt = p ∙ D ∙ n / 1000 [m\min];

le relazioni tra i parametri sono le seguenti:

Velocità di avanzamento:

Va = n*az*z [mm\min] Eq. 5.68

Questi parametri determinano l’entità del volume di materiale rimosso lun-


go il percorso dell’utensile;

Volume di materiale rimosso:

Q = b*p*Vt [mm3\min] Eq. 5.69

Nell’algoritmo di ottimizzazione cinematica, b e p presenti nell’equazione


5.69, sono assegnati per consentire il migliore utilizzo dell’utensile in riferi-
mento alle indicazioni fornite dal produttore dell’utensile, Va viene modificata
per rispettare la costanza del volume rimosso al variare di p e di b durante
l’esecuzione del percorso.
è importante notare che l’ottimizzazione non produce modifiche delle tra-
iettorie utensile ma genera una suddivisione in più tratti del percorso origina-
rio in funzione delle condizioni locali di ingaggio dell’utensile con il materiale
da asportare. La velocità di rotazione del mandrino S è costante [VERICUT
User’s Guide 2008].

5.9.3 Approccio proposto

Gli autori propongono una nuova procedura multidisciplinare (Figura 5.41)

266
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

integrata con un ambiente di simulazione ad elementi finiti del processo di


taglio, con cui è possibile predire le interazioni fisiche dovute al contatto uten-
sile-pezzo (forze scambiate, distribuzione delle temperature, andamento degli
stress residui sul pezzo, ecc.)

Figura 5.41: Procedura integrata multidisciplinare CAE-CAM.

L’applicazione della procedura sviluppata consente la modifica dei para-


metri di lavorazione, presenti nel part-program ottimizzato cinematicamente,
in funzione dei limiti legati alla fisica del processo di taglio ottenuti attraverso
l'analisi FEA. In particolare, l’usura dell’utensile è risaputo essere strettamente
connessa alla temperatura di taglio e alle forze scambiate tra inserti e pez-
zo. Essere in grado di conoscere il valore di queste forze durante il processo,
permette di scegliere i valori ottimali di input per i parametri di taglio. In tal
modo è possibile ridurre il tempo necessario per l’esecuzione dell'operazione
mantenendo il controllo sull’evoluzione dell'usura nell'utensile.
La procedura di ottimizzazione sviluppata sfrutta le Superfici di Risposta,
Response Surface Method (RSM) generate a partire da dati calcolati come ou-
tput delle simulazioni FEM eseguite sulla base di un DOE delle variabili del
processo analizzato (Figura 5.42).

Figura 5.42: Schema di generazione delle RSM.

267
Capitolo V

Il vantaggio di tali tecniche consiste nella necessità di conoscere l’esatto


valore della funzione che modella il sistema solo in alcuni punti dello spazio
di design e da tali valori è possibile estrarre, grazie alla superficie di risposta, i
valori in tutti gli altri punti dello spazio di design.
Questi risultati producono significativi benefici per la riduzione del tempo di
calcolo in quanto il processo di ottimizzazione non richiede un ricorso continuo
al solutore, ma può sfruttare i dati forniti dalle superfici di risposta. Per realizzare
le superfici approssimate per le grandezze di interesse, nello studio presentato
sulla base dei dati ottenuti con FEA, gli autori hanno effettuato 40 simulazioni
basate su punti selezionati sulla base di un Design of Experiment (DOE) di tipo
Optimal Latin Hyper Cube all'interno del design space bidimensionale che pre-
senta le seguenti dimensioni:
- per l'avanzamento al dente al giro (az) [0,04; 0,25 mmdente/giro];
- per la velocità di taglio (Vt) [100; 230 mm / sec.].

La tecnica DOE selezionata permette di generare una matrice degli esperi-


menti col minimo numero di prove da realizzare per garantire la massima co-
pertura del design space.

5.9.4. Applicazione delle rsm nell'ottimizzazione dei processi di taglio

Il Metodo delle Superfici di Risposta (RSM) permette di valutare in modo


efficiente la risposta del sistema analizzato in funzione della variabilità dei pa-
rametri di input. In tal modo è possibile individuare il set dei parametri di input
che consente di massimizzare/minimizzare in modo efficace la grandezza ana-
lizzata. Per la loro costruzione il primo step è costituito dalla mappatura della
grandezza da analizzare in funzione delle variabili di interesse.
Normalmente la mappatura del design space è basata su una serie di espe-
rimenti, ma, molto spesso, per i processi tecnologici questa procedura risulta
molto onerosa sia in termini di tempi che di costi necessari. In questo caso si è
utilizzata la simulazione numerica come strumento per ottenere i dati neces-
sari per popolare il design space delle grandezze analizzate, che nel caso di
processi di taglio sono particolarmente critiche da rilevare sperimentalmente.
In questo modo, il codice agli elementi finiti preventivamente validato attra-
verso un processo di correlazione numerico-sperimentale è stato utilizzato per
l'estrazione dei dati che devono popolare il design space delle superfici di ri-
sposta evitando di eseguire costose campagne di sperimentazione. Le superfici
approssimate utilizzate in questo lavoro sono basate su funzioni polinomiali del
secondo e terzo ordine.
I modelli basati su polinomi del terzo ordine non hanno i termini misti per
ordini superiore al secondo, infatti nell'equazione 5.70 si può notare come
l'equazione del polinomio di terzo grado presenti solo i termini puri del terzo
ordine. Questa soluzione, se da un lato non consente di avere sensibilità tra le

268
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

correlazioni tra variabili di ordine superiore al terzo, presenta però il vantaggio


di ridurre la quantità di dati necessari per la costruzione di modelli.
N N N N

F ( x ) = a0 + ∑ bì xì + ∑ ci xi2 ∑ c j xi x j + ∑ d i xi3

i =1 i =1 ij ( i < j ) i =1
Eq. 5.70

Dove: N è il numero di punti in cui è noto il valore della grandezza da ap-


prossimare attraverso la superficie di risposta; xi rappresentano le variabili del
problema; a, b, c, d, sono i coefficienti polinomiali [I-sight User’smanual 2008].

5.9.5. Approssimazione di un'operazione di fresatura periferica con un modello


FEM 2D

Il processo analizzato è una fresatura periferica in concordanza. Nella Figu-


ra 5.43-A, lo spessore del truciolo per ciascun dente è massimo all’inizio del
contatto con il pezzo e decresce fino a diventare molto piccolo al termine del
contatto.

Figura 5.43: (A) Fresatura periferica; (B) modello FE semplificato.

La massima forza calcolata all’interfaccia tra utensile e pezzo si ha in corri-


spondenza della massima sezione del truciolo. Per determinare le componenti
della forza (Fx and Fy, Figura 5.43-A), è stato utilizzato un modello semplificato
2D (Figura 5.43-B). In questo caso, la profondità di passata nel modello agli
elementi finiti (az,max) è pari all’avanzamento al dente e la velocità di taglio è
uguale alla velocità tangenziale del profilo tagliente (Vt). I valori delle forze
scambiate sono stati estratti quando l'andamento osservato risulta essere sta-
bilizzato (Figura 5.44).

269
Capitolo V

Figura 5.44: Evoluzione nel tempo delle forze di taglio e di repulsione nel modello FEM 2D.

I dati sulla temperatura di taglio utilizzati nella generazione della relativa


RSM, sono stati calcolati come valore medio delle temperature di cinque nodi
fissi della mesh del tagliente una volta raggiunta la condizione di stabilità ter-
mica sulla superficie di contatto tra utensile e pezzo ( Figura 5.45).

Figura 5.45: Punti di rilevamento della temperatura sul tagliente nella condizione di steady-state
termico nel modello FEM.

5.9.6. Set-up del modello FEM

Per la realizzazione delle analisi FEM è stato utilizzato il software commer-


ciale implicito SFTC-DEFORM® 2D, specificatamente dedicato alle analisi FEA
delle lavorazioni per asportazione di truciolo. Il pezzo lavorato di dimensioni
4x1.5 mm è stato inizialmente modellato con 6500 elementi a 4 nodi di di-
mensioni rispettivamente: 0.007 mm lungo il bordo tagliente, 0.01 mm sui
primi 0.3 mm della superficie lavorata e 0.15 mm nella restante area. L’inserto
in carburo di tungsteno (WC) con 8% di cobalto è stato caratterizzato usando
la libreria dei materiali del software. L'unica modifica eseguita sulla caratteriz-
zazione delle proprietà termiche del materiale dell'utensile è consistita nella ri-
duzione del valore di capacità termica di 4 ordini di grandezza rispetto al valo-
re di default, al fine di agevolare il raggiungimento dello steady state termico
all'interfaccia utensile-pezzo. L’angolo di spoglia superiore dell’inserto è pari a
γ= -7°, raggio in punta rε=0.05 mm, l’utensile è stato modellato come corpo

270
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

rigido. L'utensile è stato modellizzato con 1500 elementi aventi dimensione


minima pari a 0.004 mm in corrispondenza del raggio di raccordo per meglio
modellare il raggio di curvatura. L’attrito tra utensile e pezzo è stato caratteriz-
zato mediante un modello analitico di tipo ShearType, (equazione 5.71):

τ =m k Eq. 5.71

Con k si è indicata la resistenza al taglio del materiale di cui è costituito il


pezzo ed m il coefficiente d’attrito, posto pari a 0.5. Per il coefficiente di scam-
bio termico all'interfaccia utensile-pezzo h si è adottato un valore di 100 kW/
m2K. Il pezzo lavorato è realizzato in Inconel 718 con composizione chimica
che rispetta le specifiche dell’AMS 5662, solubilizzato, invecchiato e sottopo-
sto a precipitazione in due fasi. Le proprietà meccaniche e termiche: modulo
di Young, coefficiente di Poisson, coefficiente di dilatazione termica, capacità
termica, emissività, conduttività termica sono state definite sperimentalmente
nell’intervallo di temperatura [20°C; 1200°C] grazie al supporto tecnico del
partner industriale AVIO S.p.A. Per la caratterizza-zione del materiale in campo
plastico è stata utilizzato il modello co-stitutivo Johnson Cook (equazione 72)
[Uhlmann, 2007].
  e    T Troom 
m

σ

eq = A + Be n
(
1 + C ln )
  1    Eq.5.72
  e0    Tmelt TRoom  
• •
Con: ε deformazione plastica, ε velocità di deformazion (s-1), ε0 è la velocità
di deformazione di riferimento (s-1), T temperatura del materiale (°C), Tmelt è
la temperatura di fusione del materiale (1400 °C) e Troom temperatura ambien-
te (20°C). Il coefficiente A è la tensione di snervamento (MPa), B tensione di
incrudimento (MPa), C è il coefficiente di sensibilità alla velocità di deforma-
zione, n coefficiente di incrudimento ed m è coefficiente di thermalsoftening.
Si riportano in Tabella 5.3 i valori delle costanti del materiale utilizzate
nell’equazione costitutiva di J-C.

Tabella 5.3: Valori delle costanti dell'equazione di Johnson & Cook utilizzata
[Uhulmann, 2007].

Variabile A B C n m

Unità di misura 1/s MPa MPa --- --- ---

Valore 1.001 450 1700 0.017 0.65 1.3

271
Capitolo V

5.9.7. Valutazione della qualità dei metamodelli: analisi dei risultati

Per valutare la qualità dei metamodelli è stata eseguita un'analisi dell'errore


medio per le grandezze d'interesse analizzate nello studio. Per ogni superficie
di risposta generata è stato calcolato l'errore medio cioè la media della som-
ma delle differenze tra i valori misurati nei punti di campionamento e i valori
predetti dalla superficie di risposta negli stessi punti.
Questo indice permette di avere un controllo qualitativo sulle capacità del-
la superficie di risposta analizzata di approssimare il fenomeno reale. L'errore
è calcolato sulla base di una serie di punti di campionamento (19 punti nel
caso in oggetto) specificamente selezionati all'interno del design space e non
coincidenti con punti campionati nel DOE (Figura 5.46).

Figura 5.46: Distribuzione nel design space dei punti di controllo e definizione dell'errore medio.

In Tabella 5.4, si può vedere come le superfici di risposta che forniscono la


migliore predizione del comportamento reale sono quelle create sfruttando le
funzioni polinomiali del terzo ordine.

Tabella 5.4: Confronto tra gli errori medi % rilevati per le diverse tecniche di RSM
utilizzate e per ognuna delle grandezze analizzate.

Grandezza 2° Ordine 3° Ordine


Tmax 12.2% 11.6%
Fx 1.1% 1.0%
Fy 3.9% 3.8%

Le RSM che approssimano il comportamento della temperatura di taglio


sull'inserto generano superfici di risposta dalla forma non lineare, mentre i
metamodelli della forza di taglio e di repulsione, rispettivamente Fx ed Fy, mo-
strano un comportamento quasi lineare (Figura 47).
Il comportamento non lineare della temperatura rilevata sull'utensile al

272
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

variare delle condizioni di taglio si riflette nella difficoltà con cui le superfici
approssimate riescono a predire il valore della grandezza, fatto questo eviden-
ziato da un errore medio dell'ordine del 10%, mentre risultati previsionali mi-
gliorano nel caso delle forze di taglio per le quali si ha un errore medio totale
dell'ordine del 3% (Tabella 4).

Figura 5.47: Confrontro tra RSM del 2° e 3° ordine generate per le grandezze analizzate

5.9.8. Ottimizzazione: definizione del problema ed implementazione della pro-


cedura di ottimizzazione

Le superfici di risposta generate con la tecnica che si è rivelata la migliore


nell'approssimare il comportamento fisico delle grandezze rilevate, cioè RSM
basate su polinomi del terzo ordine, sono state utilizzate come input per l'at-
tività di ottimizzazione.
Questa procedura presenta un rilevante vantaggio, infatti come è noto, le
analisi agli elementi finiti dei processi di taglio sono caratterizzate da notevoli
difficoltà nel raggiungere un soddisfacente set-up di simulazione e richiedono
notevoli tempi di calcolo.
Ricorrere quindi a tecniche di ottimizzazione classiche, cioè basate sull'e-
splorazione del design space che prevedano un continuo scambio di infor-
mazioni tra ottimizzatore e solutore FEM, (Figura 48) risulta improponibile
nell'ambito della progettazione industriale dei processi a causa delle enormi
risorse di tempo e hardware richieste per l'applicazione di tale metodologia.
L'implementazione di superfici di risposta richiede invece la conoscenza
della funzione in un numero ridotto di punti dello spazio ed a partire da questi
permette di estrapolare il valore della funzione in tutti gli altri punti del design
space. Questa possibilità costituisce un notevole vantaggio rispetto alla tecni-
ca descritta in precedenza, poiché il processo di ottimizzazione non richiede
continue e ripetute chiamate al solver, ma sfrutta l'equazione analitica della
superficie di risposta per cercare di massimizzare la funzione obiettivo. La pro-
spettiva di eseguire un set più o meno limitato di simulazioni per comporre la
popolazione per la generazione delle superfici di risposta da sfruttare come

273
Capitolo V

punto di partenza per gli algoritmi di ottimizzazione svincolando la ricerca


dall'esecuzione di onerose e ripetute simulazioni FEM, sembra essere una
delle possibilità più promettenti nell'ambito dell'ottimizzazione di processi di
asportazione di truciolo (Figura 5.49).

Figura 5.48: Figura 5.49:


Flusso logico di un processo di ottimizzazione Flusso logico di un processo di ottimizza-
tradizionale. zione basato su RSM.

In questo studio, al fine di ottimizzare i parametri di processo, gli autori


hanno utilizzato una versione modificata dell’algoritmo di ricerca Simulated
Annealing (SA), chiamato Adaptive Simulated Annealing (ASA) che sfrutta le
superfici di risposta come base dati per il processo iterativo di ricerca della
soluzione ottimale (Figura 5.50).

Figura 5.50: Schema della procedura di ottimizzazione.

Questo algoritmo opera simulando il processo di ricristallizzazione dei me-


talli nel trattamento termico di tempra. Lo schema originale di tale algoritmo
considera un sistema termodinamico che si trova nel suo stato iniziale caratte-
rizzato da un valore di energia (E) e temperatura (T).
Tale valore di temperatura è mantenuto costante fino a quando la confi-
gurazione iniziale del sistema viene perturbata e si ha una variazione (dE). La

274
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

nuova configurazione è accettata se si riscontra un valore minore di energia.


L'algoritmo opera secondo la seguente logica; il sistema viene inizializzato
con una configurazione iniziale. A partire da questa una nuova configurazione
viene generata tramite imposizione di uno spostamento casuale. Se l'energia
di questa nuova configurazione è più bassa della precedente il cambiamento
viene accettato incondizionatamente e il sistema viene aggiornato. Se l'ener-
gia del nuovo stato invece è più alta rispetto a quella dello stato precedente,
la nuova configurazione viene accettata su base statistica. Questa modo di
procedere, cioè l'accettazione di parte delle configurazioni a più alta energia,
è detto Metropolisstep, e permette all'algoritmo di muoversi verso configura-
zioni a più bassa energia, evitando di rimanere inviluppato in punti di minimo
locale della funzione obiettivo [IsightU-ser’smanual, 2008].

5.9.9. Formalizzazione del problema di ottimizzazione

Questa procedura di ottimizzazione ha come obiettivo quello di minimiz-


zare il tempo di esecuzione dell’operazione di fresatura attraverso la massi-
mizzazione della velocità di alimentazione Va, nel rispetto dei vincoli fisici di
micro-scala (massime forze di taglio ammissibili e massime temperature di
taglio ammissibili). In Figura 5.51 si riporta lo schema di ottimizzazione utiliz-
zato.

Figura 5.51: Schema di ottimizzazione utilizzato.

Il problema di ottimizzazione è stato formalizzato analiticamente nel se-


guente modo:

275
Capitolo V

Variabili:
• 100 ≤ Vt≤ 230[mm/sec]
• 0.04 ≤ az ≤ 0.25 [mm/dente-giro]
Vincoli di Ottimizzazione:
• Max temperatura di taglio ammissibile Tmax= 600°C
• Max forza di taglio ammissibile Fx= 1000 N
• Max forza di repulsione ammissibile Fy = 550 N

5.9.10. Funzione Obiettivo:

• Massimizzare la velocità di avanzamento Va[mm/min]


I parametri di processo presenti nel blocco del part-program analizzato
sono: 1) Velocità di avanzamento Va = 50 mm/min ; 2) numero di giri S = 96
giri/min. Questi valori sono stati convertiti nelle unità di misura utilizzate per
la realizzazione delle simulazioni in ambiente FEM e conseguentemente uti-
lizzate per la definizione dei limiti del design space utilizzato per la creazione
dei metamodelli, rispettivamente f = 0.13 mm/giro dente e Vt = 209 mm/sec.
I parametri ricavati dopo la fase di ottimizzazione sono stati riconvertiti nelle
unità di misura utilizzate nel part-program e riscritti nel blocco in sostituzione
degli originali (Figura 5.52). Nel part-program Va ed S sono espressi, rispettiva-
mente, in [mm/min] e [giri/min] ed è necessario convertirli rispettivamente in
[mm/dente-giro] e [mm\s] che costituiscono il set di unità di misura utilizzate
nell'ambiente CAE/RSM. Le relazioni di conversione in funzione della geometria
e tipologia dell'utensile utilizzato nell'operazione analizzata sono riportate nelle
equazioni 5.73 e 5.74:

Va
az = [mm\dente-giro] Eq. 5.73
S z
S π D [mm\s] Eq. 5.74
Vt =
60

I parametri ottenuti attraverso l'ottimizzazione evidenziano un incremento


del 7.6 % della velocità di taglio e del 38.4 % per ciò che riguarda la velocità di
avanzamento. In Figura 5.53 si riportano le iterazioni compiute dall'algoritmo
di ottimizzazione ASA per la ricerca della soluzione ottimale (massimizzazio-
ne della velocità di avanzamento) nel rispetto dei vincoli di processo imposti
(Valori massimi ammissibili per le forze di taglio Fx, e Fy, e per la temperatura
Tmaxrilevata sul raggio di raccordo dell’inserto).

276
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

Figura 5.52: Metodologia di ottimizzazione applicata al caso preso in esame.

Figura 5.53: Iterazioni eseguite dall'algoritmo ASA per la ricerca della soluzione ottimale.

è importante notare come l’ottimizzatore abbia eseguito un numero eleva-


to di iterazioni (450) in un tempo molto ridotto (5min. 14 sec) per confronto
con quello necessario per eseguire una sola analisi agli elementi finiti a livello
micro-scala del processo ( ore). Ciò fa immediatamente comprendere quale
sia il vantaggio dato dal poter sfruttare le superfici di risposta come base per
l'attività di ottimizzazione anziché esplorare il design space di processo con
delle analisi agli elementi finiti.

277
Capitolo V

5.9.11. Generalizzazione della procedura di ottimizzazione: applicazione ad un


caso industriale

Per testare la procedura multidisciplinare sviluppata, è stata selezionata un


operazione di fresatura relativa alla realizzazione di una turbina in Inconel 718
(Figura 5.54). Il relativo part-program è stato simulato ed il tempo di esecuzio-
ne ottenuto è stato normalizzato e posto uguale ad 1.

Figura 5.54: Simulazione dell'operazione di fresatura esaminata.

Il part-program ottenuto con una procedimento standard CAD-CAM è


stato poi ottimizzato cinematicamente ottenendo in tal modo un nuovo
part-program nel quale le traiettorie utensile sono rimaste invariate rispetto
a quello originario, ma nel quale sono stati modificati (incrementati) i valori
dei parametri di processo secondo la logica dell'algoritmo di ottimizzazione
cinematica adottato ovvero quello del Volume Rimosso Costante. La simula-
zione del part-program ottimizzato ha consentito una riduzione del 74% del
tempo di esecuzione rispetto al part-program non ottimizzato. Tale riduzione
è ottenuta incrementando il valore delle Va (velocità di avanzamento), senza

278
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

modificare le traiettorie rispetto al part-program originale.


L’ottimizzazione cinematica realizzata non tiene conto dell’interazione fisi-
ca tra utensile e pezzo. Nella procedura multidisciplinare proposta le velocità
di avanzamento (Va) e le velocità di rotazione (Vt) del part-program ottimizzato
cinematicamentesono state estratte per ogni blocco del PP e successivamente
ottimizzati secondo la procedura descritta nel paragrafo precedente in funzio-
ne dei vincoli fisici imposti (Figura 5.51).

Figura 5.55: Schema della procedura utilizzata per l'ottimizzazione dell'intero PP relativo all'ope-
razione di fresatura analizzata.

Di seguito viene descritto il flusso di lavoro della procedura multidiscipli-


nare automatica di ottimizzazione del part-program sviluppata in ambiente
SIMULIA Isight®. Il flusso di attività del processo si svolge da sinistra verso
destra: in Figura 5.55 è visibile una ramificazione della procedura in funzione
della possibilità o meno di lanciare un run di ottimizzazione cinematica col
modulo Opti PATH® di Vericut®.
Gli step di ottimizzazione prevedono:
1) Lettura degli utensili attivati nel part programVericut® che l’utente ha cari-
cato nella procedura;
2) Esecuzione del part program originale in Vericut®ed estrazione delle infor-
mazioni di timing
3) Se il progetto Vericut ha i settaggi opportuni per le analisi Op-tiPATH, la
procedura di creazione del part-program ottimizzato viene attivata in Veri-
cut e il part-program cosí ottimizzato viene eseguito da Vericut e i tempi di
taglio registrati
4) All’interno del TASK “Vericut CAE-CAM Optimization” nel flusso Isight®, ci
sono le funzioni più importanti di questa pro-cedura:
4a. Per ogni utensile dichiarato nel PP, vengono estratte le caratteristiche di
taglio e ottimizzati i parametri Va e Vt nel rispetto dei vincoli imposti
4b. Per ogni utensile presente nel PP originale, i parametri originali (Va e Vt)
vengono sostituiti con i nuovi valori ottimizzati.
4c. Il nuovo PP viene simulato in Vericut® per estrarre i nuovi tempi di uti-
lizzo per ogni singolo inserto e tempo totale di lavoro.
4d. In funzione di una tabelle dei tempi di usura ammissibile per ogni in-
serto utilizzato, nel part-program ottimizzato vengono rimossi tutti i cambi

279
Capitolo V

utensile originariamente definiti ed inseriti dei cambi utensile in funzione


dei tempi di usura ammissibile per ogni singolo inserto.
5) Infine i file di report testuali creati durante la procedura (tempi, velocità di
taglio impostate, cambi utensile, etc) sono letti e trasformati in grafici Excel
(Figura 5.56).

Figura 5.56: Report finale: grafici relativi a cambi utensili e numero di inserti necessari al comple-
tamento dell’intera lavorazione.

I valori ottimizzati di az e Vt sono stati riconvertiti nell’unità di misura adot-


tata nel part-program e riscritti nel corrispondente blocco dello stesso. Si-
mulando nuovamente il part-program così generato si è ottenuto un tempo

280
Metodi di ottimizzazione numerica applicati ai processi di manufacturing

di esecuzione ridotto del 68% rispetto a quello necessario all'esecuzione del


part-program non ottimizzato (Figura 5.57).

Figura 5.57: Confronto tra i tempi di lavorazione normalizzati.

5.9.12. Conclusioni ed ulteriori sviluppi

è stata presentata una procedura multidisciplinare per l’introduzione in un


part-program, ottimizzato cinematicamente, di vincoli tecnologici legati alla
fisica del processo di taglio (temperatura del profilo tagliente, forze scambiate
tra utensile e pezzo). Le grandezze fisiche prese in esame sono state rilevate
utilizzando superfici di risposta di tipo polinomiale del terzo ordine generate
da dati estratti da simulazioni FEM eseguite sulla base di un DOE. Per i part-
program relativi allo stesso percorso utensile, ma generati secondo le seguenti
metodologie:

1) part-program non ottimizzato;


2) part-program ottimizzato cinematicamente;
3) part-program ottimizzato basandosi sui parametri di processo selezionati
nel part-program ottimizzato cinematicamente ed aggiornati in modo tale
da rispettare i limiti fisici imposti;
Per le varie condizioni esaminate si sono calcolati e confrontati i tempi di
esecuzione necessari. I risultati hanno evidenziato come l’ottimizzazione ci-
nematica porta ad una riduzione notevole del tempo di esecuzione del part-
program rispetto al caso in cui non viene utilizzata, mentre l’introduzione di
limiti fisici nella definizione del part-program causa la perdita di parte di tale
riduzione del tempo di esecuzione, ma permette di rispettare limiti tecnologici
utili per controllare l’usura dell’utensile. In futuro, gli autori focalizzeranno i

281
Appendice I

loro sforzi sulla ricerca della correlazione numerico-sperimentale dei modelli


FEM per migliorare l’affidabilità delle superfici di risposta. I modelli così imple-
mentati verranno poi applicati a casi industriali.

Bibliografia

R. Venkata Rao, Advanced Modeling and Optimization of Manufacturing Pro-


cesses, Springer-Verlag, London, Limited 2011.

282
Dal CAD al Part Program: esempi applicativi

Appendice I
Dal CAD al Part Program: esempi applicativi

1.1. Realizzazione di un supporto meccanico

Una volta concretizzata l’idea dell’oggetto da realizzare tramite lavorazioni


per asportazione di truciolo attraverso la modellazione CAD, il tecnologo im-
posta il ciclo di lavorazione tenendo conto delle specifiche dimensionali e di
finitura superficiale richieste individuando:
• grezzo di lavorazione;
• le macchine utensili;
• i piazzamenti necessari a lavorare tutte le superfici;
• gli utensili;
• i parametri di taglio.

Il componente in esame ha la funzionalità di fissare due elementi tra di


loro. Il foro centrale permette di collegare una superficie piana ad un albero
tramite una cerniera. Le dimensioni massime di ingombro, pari a 59 x 45 x 47
mm3, sono riportate in Figura 1.1.

Figura 1.1: Tavola e modello del supporto oggetto di studio

Il grezzo di lavorazione è un parallelepipedo con dimensioni riportate in Figura


1.2.Il grezzo su cui saranno eseguite le lavorazioni per asportazione di truciolo al
fine di ottenere il pezzo finale sarà un parallelepipedo di dimensioni 67 x 53 x 55
mm3, pertanto il minimo sovrametallo in ogni direzione è pari a 4 mm. Sarà quindi
asportata una quantità di truciolo maggiore nella parte laterale del grezzo rispetto
alle zone superiore e inferiore.
Il grezzo di partenza ha un volume di circa 195.000 mm3; il materiale asportato,
dato che il volume del pezzo finale è di circa 40.000 mm3, sarà pari a 155.0000 mm3.

283
Appendice I

Figura 1.2: Grezzo e sovrametallo di lavorazione

Le superfici funzionali all’accoppiamento sono i quattro fori filettati ɸ8 mm


posti alla base della staffa che consentono il serraggio della staffa su una su-
perficie piana, e il foro ɸ12 mm con il quale si ottiene l’accoppiamento con
gioco ad un albero.
Si considera inoltre funzionale la zona inferiore del pezzo, parte che deve
essere accoppiata con una superficie piana.
Tutte le altre superfici non sono ritenute funzionali ad accoppiamenti. Nella
Tabella 1.1 si riportano le scelte che sono state effettuate nella valutazione
delle superfici funzionali del pezzo:

Tabella 1.1: Superfici funzionali


SUPERFICI FUNZIONALI CARATTERIZZAZIONE

4 FORI Φ8 FILETTATURA M 8
FORO Φ12 FINITURA SUPERFICIALE MEDIA
(Ra=3,2 μm)
SUPERFICIE INFERIORE PIASTRA

SUPERFICI NON FUNZIONALI FINITURA SUPERFICIALE BASSA


(Ra=12,5 μm)

Per i fori filettati è prevista quindi la realizzazione di una filettatura metrica


del diametro richiesto pari a 8 mm.

284
Dal CAD al Part Program: esempi applicativi
Per il foro che si trova nella parte superiore, invece, si prevede di realizzare
una foratura con una finitura superficiale media. Anche per la superficie inferiore
si prevede una finitura superficiale media dato che deve essere accoppiata con
una superficie piana. Tutte le altre superfici, non essendo funzionali, possono
essere lavorate prevedendo una rugosità superficiale bassa, giacché non devo-
no essere accoppiate. Si è scelta come superficie di riferimento la zona inferiore
della piastra, indicandola come DATUM A, cui è assegnata una tolleranza di
planarità; le tolleranze geometriche inserite fanno riferimento ad essa.
Per il foro di diametro 12 mm è inoltre prevista una tolleranza di cilindricità,
data la funzione di accoppiamento a cui è deputato. La staffa presenta delle
dimensioni abbastanza ridotte e deve subire delle lavorazioni per asportazione
di truciolo volte a ottenere la forma richiesta. Il pezzo è realizzato in alluminio,
materiale caratterizzato da buona lavorabilità alle macchine utensile.
Il materiale è una lega della serie 2000 (Al2011), che contiene una percentua-
le di rame intorno al 5-6%, con percentuali inferiori di silicio, ferro, zinco, piom-
bo e bismuto. Essa è indicata in particolare per lavorazioni su macchine utensili
per la finezza dei trucioli e la bassa resistenza al taglio.

Le caratteristiche meccaniche sono:


- Tensione di rottura a Trazione: 330 MPa
- Tensione di snervamento: 230 MPa
- Durezza: 100 HB
- Allungamento percentuale: 12 %
- Densità: 2,82 g/cm3 a 20°C
- Conducibilità termica a 20°C: 152 W/m °C
- Modulo di elasticità: 72.500 N/mm2
- Coefficiente di dilatazione termica lineare: 22,9 x 10-6 °C-1.

Il ciclo produttivo è costituito da


lavorazioni di fresatura eseguite su
una macchina utensile C.N.C. a tre
assi lineari, Figura 1.3. Sono richiesti
4 piazzamenti per il completamento
del ciclo.
Sono state identificate le superfi-
ci di lavoro su cui saranno effettuate
le lavorazioni, Figura 1.4.

Figura 1.3:
Modello macchina CNC con
cui eseguire la simulazione

285
Appendice I

Figura 1.4: Superfici da lavorare

- Sfacciatura del piano 1;


- Contornitura per la definizione della piastra di ancoraggio;
- Realizzazione piani 2 e 3 (simmetrico al piano 2);
- Realizzazione piano 6;
- Contornitura piani 2 e 3;
- Contornitura cilindro 4;
- Realizzazione raccordo tra piastra di ancoraggio e piani 2 e 3;
- Realizzazione foro ɸ12 mm (5);
- Ciclo di foratura 4 x M8 x 1.25 (7).

Si riportano di ogni piazzamento le fasi del ciclo per ciascuna delle quali
sono specificati i parametri di lavorazione, il percorso e la simulazione dello
stesso effettuata con il software VERICUT che consente di effettuare la simula-
zione del part-program di una lavorazione per asportazione di truciolo tramite
la modellazione della cinematica della macchina utensile, gestita da un emula-
tore del controllo numerico reale e del magazzino utensili.

286
Dal CAD al Part Program: esempi applicativi

PIAZZAMENTO 1

Figura 1.5: Simulazione della lavorazione del piazzamento N° 1, grezzo posizionato sulla tavola
della macchina utensile tramite apposita attrezzatura di fissaggio

LAVORAZIONE PARAMETRI PERCORSO


1 UTENSILE
Fresa a spia-
Utensile
nare ɸ20

Sovrame-
tallo 4 mm

N°. Passate 1
sgrossatura
Sfacciatura
piano 1 Profondità
3 mm
di passata

N°. Passate 1
finitura

Profondità
1 mm
di passata

Velocità di
1120
avanza-
mm/min
mento F
Velocità
rotazione
mandrino S

287
Appendice I

LAVORAZIONE PARAMETRI PERCORSO


2 UTENSILE
Fresa ad
Utensile
inserti ɸ12

Sovrame-
tallo 4 mm

N°. Passate 2
Contornitura
piastra di Profondità
2 mm
ancoraggio di passata

Altezza da 7,5 mm
contornire
N°. Passate 4 mm
Profondità
2 mm
di passata
Velocità di 900
avanza- mm/min
mento F
Velocità
4500 rpm
rotazione
mandrino S

PIAZZAMENTO 2

Figura 1.6: Simulazione della lavorazione del piazzamento N° 2, grezzo posizionato sulla tavola
della macchina utensile tramite apposita attrezzatura di fissaggio

288
Dal CAD al Part Program: esempi applicativi

LAVORAZIONE PARAMETRI PERCORSO


3 UTENSILE
Fresa ad
Utensile
inserti ɸ12

Sovrame-
tallo 21 mm

N°. Passate 7
Esecuzione
Tasca Profondità
di passata 3 mm

Velocità di
avanza- 2250
mento F mm/min

Velocità
rotazione 5000 rpm
mandrino S

LAVORAZIONE PARAMETRI PERCORSO


4 UTENSILE
Fresa ad
Utensile
inserti ɸ12

Sovrame-
tallo 3.75 mm

N°. Passate 2
Spianatura
faccia Profondità
di passata 3 mm

Velocità di
avanza- 2250
mento F mm/min

Velocità
rotazione 5000 rpm
mandrino S

289
Appendice I

LAVORAZIONE PARAMETRI PERCORSO


5 UTENSILE
Fresa ad
Utensile
inserti ɸ12

Sovrame-
tallo 18.75 mm

N°. Passate 7
Definizione
piano 6 Profondità
di passata 3 mm

Velocità di
avanza- 2250
mento F mm/min

Velocità
rotazione 5000 rpm
mandrino S

LAVORAZIO- PARAMETRI PERCORSO


NE 6 UTENSILE
Fresa ad
Utensile
inserti ɸ12

Sovrame-
tallo 18.75 mm

N°. Passate 7
Contornitura
Profondità
di passata 3 mm

Velocità di
avanza- 2250
mento F mm\min

Velocità
rotazione 5000 rpm
mandrino S

290
Dal CAD al Part Program: esempi applicativi

LAVORAZIO- PARAMETRI PERCORSO


NE 7 UTENSILE
Fresa ad
Utensile
inserti ɸ12

Sovrame-
tallo 13.25 mm

N°. Passate 5
Contornitura
cilindro 4 Profondità
di passata 3 mm

Velocità di
avanza- 2250
mento F mm\min

Velocità
rotazione 5000 rpm
mandrino S

LAVORAZIO- PARAMETRI PERCORSO


NE 8 UTENSILE
Fresa ad
Utensile
inserti ɸ4

Sovrame-
tallo 17 mm

Esecuzione
raccordo N°. Passate 6
Profondità
di passata 3 mm

Velocità di
380
avanza-
mm\min
mento F
Velocità
rotazione 2500 rpm
mandrino S

291
Appendice I

LAVORAZIO- PARAMETRI PERCORSO


NE 9 UTENSILE
Fresa ad
Utensile
inserti ɸ12

Sovrame-
tallo 2 mm

N°. Passate 1
Spianatura
piano 3 Profondità
di passata 2 mm

Velocità di
avanza- 450
mento F mm\min

Velocità
rotazione 1000 rpm
mandrino S

PIAZZAMENTO 3

Figura 1.7: Simulazione della lavorazione del piazzamento N° 3, grezzo posizionato sulla tavola
della macchina utensile tramite apposita attrezzatura di fissaggio

292
Dal CAD al Part Program: esempi applicativi

Nel piazzamento n°. 3 vengono eseguite le stesse lavorazioni del piazza-


mento n°. 2 data la simmetria del pezzo. Vi è in più la realizzazione del foro
ɸ12 del cilindro.

LAVORAZIO- PARAMETRI PERCORSO


NE 17 UTENSILE
Punta a
Utensile
centrare ɸ3

Sovrame-
tallo 2 mm

N°. Passate 1
Centrinatura
foro ɸ12 Profondità
di passata 2 mm

Velocità di
avanza- 40
mento F mm\min

Velocità
rotazione 2000 rpm
mandrino S

LAVORAZIO- PARAMETRI PERCORSO


NE 18 UTENSILE
Punta a
Utensile
centrare ɸ12

Sovrame-
tallo 39 mm

Esecuzione
foro ɸ12
N°. Passate 39
Profondità
1 mm
di passata

Velocità di 40
avanza-
mm\min
mento F
Velocità
rotazione 2000 rpm
mandrino S

293
Appendice I

PIAZZAMENTO 4

Figura 1.8: Simulazione della lavorazione del piazzamento N° 4, grez-zo posizionato sulla tavola
della macchina utensile tramite apposita at-trezzatura di fissaggio

LAVORAZIO- PARAMETRI PERCORSO


NE 19 UTENSILE
Punta a
Utensile
centrare ɸ3

Sovrame-
tallo 2 mm

N°. Passate 1
Centrinatura
4 fori Profondità
filettati ɸ8 di passata 2 mm

Velocità di 40
avanza- mm\min
mento F
Velocità
rotazione 2000 rpm
mandrino S

294
Dal CAD al Part Program: esempi applicativi

LAVORAZIO- PARAMETRI PERCORSO


NE 20 UTENSILE
Punta a
Utensile
centrare
ɸ7.2

Sovrame-
tallo 10.5 mm

Foratura
4 fori
filettati ɸ8
N°. Passate 3

Profondità
3.5 mm
di passata

Velocità di 40
avanza-
mm\min
mento F
Velocità
rotazione 2000 rpm
mandrino S

LAVORAZIO- PARAMETRI PERCORSO


NE 21 UTENSILE
Maschiatore
Utensile
M8 x 1.25

Sovrame-
tallo

Masciatore
4 fori M8

N°. Passate

Profondità
di passata
Velocità di 625
avanza-
mm\min
mento F
Velocità
rotazione 500 rpm
mandrino S

295
Appendice I

1.2. Realizzazione di una manicotto con due guide per perni

Il componente in esame è un supporto verticale per tubi. Tale dispositivo


trova impiego nel settore industriale laddove siano presenti eccessive vibra-
zioni di esercizio.
Le dimensioni massime di ingombro, pari a 240 x 100 x 77 mm3, sono ri-
portate in Figura 1.9.

Figura 1.9: Tavola e modello del manicotto

Il grezzo di lavorazione è un parallelepipedo con dimensioni riportate in


Figura 1.10.
Il grezzo su cui saranno eseguite le lavorazioni per asportazione di truciolo
al fine di ottenere il pezzo finale sarà un parallelepipedo di dimensioni 246 x
106 x 83 mm3, pertanto il minimo sovrametallo in ogni direzione è pari a 3
mm.
Sarà quindi asportata una quantità di truciolo maggiore nella parte supe-
riore del grezzo rispetto alle zone laterale e inferiore.
Il grezzo di partenza ha un volume di circa 2˙164˙308 mm3; il materiale
asportato, dato che il volume del pezzo finale è di circa 516˙400 mm3, sarà pari
a 1˙647˙908 mm3.
Le superfici del foro centrale e delle due asole sono le uniche ad essere ac-
coppiate con altri componenti quindi tali superfici saranno ottenute con una o
più passate di finitura con asportazione di truciolo (rugosità superficiale massi-
ma di 3,2 μm).
Tutte le altre superfici non richiedono particolari valori di rugosità superficia-
le, percio' tali superfici verranno realizzate mediante una o piu passate di sgros-
satura con asportazione di truciolo (rugosità superficiale massima di 12,5 μm).

296
Dal CAD al Part Program: esempi applicativi

Figura 1.10: Grezzo e sovrametallo di lavorazione

Il materiale è un acciaio al carbonio AISI 1050 che presenta una buona re-
sistenza a corrosione e elevata lavorabilità alle macchine utensili.
Le caratteristiche meccaniche sono:
- Tensione di rottura a Trazione: 636 MPa
- Tensione di snervamento: 365 MPa
- Durezza: 187 HB
- Allungamento percentuale: 23.7 %
- Densità: 8 g/cm3 a 25°C
- Modulo di elasticità: 190.000 N/mm2

Il ciclo produttivo è costituito da lavorazioni di fresatura eseguite su una


macchina utensile C.N.C. a tre assi lineari.
Sono richiesti 2 piazzamenti per il completamento del ciclo.
Si riportano di ogni piazzamento le fasi del ciclo per ciascuna delle quali
sono specificati i parametri di lavorazione, il percorso e la simulazione dello
stesso effettuata con il software VERICUT che consente di effettuare la simula-
zione del part-program di una lavorazione per asportazione di truciolo tramite
la modellazione della cinematica della macchina utensile, gestita da un emula-
tore del controllo numerico reale e del magazzino utensili.
Sono state identificate le superfici di lavoro su cui saranno effettuate le
lavorazioni, Figura 1.11.

297
Appendice I

Figura 1.11: Superfici da lavorare

- Spianatura del piano 1; - Spianatura piano 6;


- Contornitura (2); - Realizzazione foro 7;
- Realizzazione tasca 3; - Spianatura piano 8;
- Esecuzione raccordo 4; - Spianatura piano 9;
- Realizzazione asole (5);

PIAZZAMENTO 1

Figura 1.12: Simulazione della lavorazione del piazzamento N° 1, grezzo posizionato sulla tavola
della macchina utensile tramite apposita attrezzatura di fissaggio

298
Dal CAD al Part Program: esempi applicativi

LAVORAZIO- PARAMETRI PERCORSO


NE 1 UTENSILE
Fresa a spia-
Utensile
nare ɸ80

Sovrame-
tallo 3 mm

N°. Passate 1
sgrossatura
Sfacciatura
piano 1 Profondità
2 mm
di passata

N°. Passate 1
finitura

Profondità
1 mm
di passata

Velocità di
680
avanza-
mm\min
mento F
Velocità
rotazione 3500 rpm
mandrino S

LAVORAZIO- PARAMETRI PERCORSO


NE 2 UTENSILE
Fresa a
Utensile contornire
ɸ80
Sovrame-
38 mm
tallo

Contornitura

N°. Passate 13
sgrossatura

Profondità 3 mm
di passata

N°. Passate
finitura

Profondità
di passata

Velocità di
avanza- 802
mento F mm\min

Velocità 2700 rpm


rotazione
mandrino S

299
Appendice I

LAVORAZIO- PARAMETRI PERCORSO


NE 3 UTENSILE
Fresa a
Utensile spallamento
retto ɸ20

Sovrame-
7 mm
tallo
Lavorazione
tasca 3

N°. Passate 2
sgrossatura

Profondità 3.5 mm
di passata

N°. Passate
finitura

Profondità
di passata

Velocità di
avanza- 1118
mento F mm\min

Velocità 3000 rpm


rotazione
mandrino S

300
Dal CAD al Part Program: esempi applicativi

LAVORAZIO- PARAMETRI PERCORSO


NE 4 UTENSILE
Fresa a
Utensile copiare ɸ20

Sovrame-
10 mm
tallo

Esecuzione
raccordo 4

N°. Passate 4
sgrossatura

Profondità 2.5 mm
di passata

N°. Passate
finitura

Profondità
di passata

Velocità di
avanza- 700
mento F mm\min

Velocità 3500 rpm


rotazione
mandrino S

301
Appendice I

LAVORAZIO- PARAMETRI PERCORSO


NE 5 UTENSILE
Fresa a
Utensile copiare ɸ20

Sovrame-
10 mm
tallo
Lavorazione
tasca 3

N°. Passate 4
sgrossatura

Profondità 2.5 mm
di passata

N°. Passate
finitura

Profondità
di passata

Velocità di
avanza- 1118
mento F mm\min

Velocità 3000 rpm


rotazione
mandrino S

302
Dal CAD al Part Program: esempi applicativi

LAVORAZIO- PARAMETRI PERCORSO


NE 6 UTENSILE
Fresa a
Utensile copiare ɸ20

Sovrame-
35 mm
tallo

Lavorazione
asole 5

N°. Passate 12
sgrossatura

Profondità
di passata 3 mm

N°. Passate
finitura
Profondità
di passata

Velocità di
avanza- 400
mento F mm\min

Velocità 5000 rpm


rotazione
mandrino S

303
Appendice I
PIAZZAMENTO 2

Figura 1.13: Simulazione della lavorazione del piazzamento N° 2, grezzo posizionato sulla tavola
della macchina utensile tramite apposita attrezzatura di fissaggio

LAVORAZIO- PARAMETRI PERCORSO


NE 7 UTENSILE
Fresa a
Utensile spianare ɸ80

Sovrame-
3 mm
tallo

Sfacciatura
piano 6 N°. Passate 1
sgrossatura

Profondità 3 mm
di passata

N°. Passate
finitura
Profondità
di passata

Velocità di
avanza- 680
mento F mm\min

Velocità
rotazione 3500 rpm
mandrino S

304
Dal CAD al Part Program: esempi applicativi

LAVORAZIO- PARAMETRI PERCORSO


NE 8 UTENSILE
Fresa a
Utensile codolo ɸ8

Sovrame-
3 mm
tallo

Centrinatura
foro 7

N°. Passate 1
sgrossatura

Profondità
di passata 3 mm

N°. Passate
finitura
Profondità
di passata

Velocità di
avanza- 400
mento F mm\min

Velocità 5000 rpm


rotazione
mandrino S

305
Appendice I

LAVORAZIO- PARAMETRI PERCORSO


NE 9 UTENSILE
Fresa ad
Utensile inserti ɸ30

Sovrame-
62 mm
tallo

Esecuzione
foro 7

N°. Passate 1
sgrossatura

Profondità
di passata 62 mm

N°. Passate
finitura
Profondità
di passata

Velocità di
avanza- 512
mento F mm\min

Velocità 4440 rpm


rotazione
mandrino S

306
Dal CAD al Part Program: esempi applicativi

LAVORAZIO- PARAMETRI PERCORSO


NE 10 UTENSILE

Fresa ad
Utensile
inserti ɸ50

Sovrame-
62 mm
tallo

Allargatura
foro 7

N°. Passate 1
sgrossatura

Profondità
di passata 62 mm

N°. Passate
finitura
Profondità
di passata

Velocità di
avanza- 92
mento F mm\min

Velocità 1600 rpm


rotazione
mandrino S

307
Appendice I

LAVORAZIO- PARAMETRI PERCORSO


NE 11 UTENSILE

Fresa a
Utensile
contorno
ɸ25

Sovrame-
52 mm
tallo

Contornitura
cilindro

N°. Passate 18
sgrossatura

Profondità
di passata 3 mm

N°. Passate
finitura
Profondità
di passata

Velocità di
avanza- 802
mento F mm\min

Velocità 2700 rpm


rotazione
mandrino S

308
Dal CAD al Part Program: esempi applicativi

LAVORAZIO- PARAMETRI
PARAMETRI PERCORSO
NE 12 UTENSILE

Fresa a
Utensile
contorno
ɸ25

Sovrame-
52 mm
tallo

Contornitura
cilindro

N°. Passate 18
sgrossatura

Profondità
di passata 3 mm

N°. Passate
finitura
Profondità
di passata

Velocità di
avanza- 802
mento F mm\min

Velocità 2700 rpm


rotazione
mandrino S

309
Appendice I

LAVORAZIO- PARAMETRI PERCORSO


NE 13 UTENSILE
Fresa a
Utensile contornire
ɸ63
Sovrame-
47 mm
tallo

Contornitura
cilindro N°. Passate 16
sgrossatura

Profondità 3 mm
di passata

N°. Passate
finitura
Profondità
di passata

Velocità di
avanza- 890
mento F mm\min

Velocità
rotazione 1000 rpm
mandrino S

310
Dal CAD al Part Program: esempi applicativi

LAVORAZIO- PARAMETRI
PARAMETRI PERCORSO
NE 14 UTENSILE

Fresa ad
Utensile
inserti ɸ40

Sovrame-
5 mm
tallo

Spianatur
piano 9

N°. Passate 2
sgrossatura

Profondità
di passata 2.5 mm

N°. Passate
finitura
Profondità
di passata

Velocità di
avanza- 1700
mento F mm\min

Velocità 1550 rpm


rotazione
mandrino S

311
Appendice II

Modellazione e simulazione dei percorsi utensile delle


lavorazioni per asportazione di truciolo

2.1. La simulazione dei percorsi utensili: vantaggi

L’integrazione dei sistemi CAD\CAM, con conseguente riduzione dei


tempi di progettazione dell’oggetto e del ciclo necessario per ottenendo,
ha fatto sorgere l’esigenza di eseguire verifiche preliminari alla cosiddetta
“prova nastro” del part-program e quindi alla lavorazione vera e propria.
Infatti, l’esecuzione con finalità produttive di un qualunque part-pro-
gram necessita sempre di una prova preliminare in cui l’operatore alla mac-
china ed il programmatore CAM verificano, a velocità ridotta, la risponden-
za del percorso alla lavorazione da eseguire e quindi la sua adeguatezza
per la realizzazione del finito così come era stato progettato.
L’esecuzione a velocità ridotta, se da un lato riduce i rischi dovuti a
collisioni dell’utensile con il pezzo, le attrezzature di fissaggio e la macchi-
na, comporta senza dubbio un notevole dispendio di tempo che potrebbe
vanificare i vantaggi acquisiti nella precedente fase di progettazione e pro-
grammazione del percorso utensile.
Gli strumenti software CAM consentono una simulazione di basso livel-
lo, che consiste nella semplice rappresentazione dell’utensile in movimento
lungo il percorso definito. I movimenti sono espressi in coordinate riferite
alla terna dello spazio di lavoro del software, quindi indipendenti dal tipo
specifico di macchina utensile su cui sarà eseguita la lavorazione.
Questo tipo di simulazione permette di verificare l’ingombro dell’uten-
sile, la corretta definizione dei parametri di lavorazione (quali distanze di
sicurezza, punti di ingaggio e disimpegno dell’utensile con il pezzo, etc.)
e di visualizzare la rimozione di materiale a partire dal grezzo, ma non
permette di verificare quello che sarà l’effettivo comportamento della mac-
china utensile.
Non è quindi possibile avere indicazioni su eventuali fuori – corsa, col-
lisioni, tempi di lavorazione, rimozioni anomale di materiale, movimenta-
zioni durante i cambi utensile, esecuzione di macro, etc. Sarà necessaria
una prova nastro per verificare la correttezza del percorso programmato
caratterizzata da un notevole incremento dei tempi di esecuzione valutabi-
le, a seconda della complessità del pezzo, dal doppio fino a cinque volte il

313
Appendice II

tempo di lavorazione a regime.


I tempi di lavorazione durante la realizzazione della prova nastro sono
molto più elevati, a causa dell’effetto congiunto di più fattori quali:
- Avanzamenti in lavoro ridotti per evitare difetti nel percorso utensile non
riscontrati in simulazione;
- Avanzamenti in rapido annullati per evitare collisioni non rilevate in si-
mulazione;
- Correzioni continue del part-program;
- Il livello di confidenza dell’operatore è molto basso.
Negli strumenti CAM, la simulazione del percorso seguito dall’utensile
durante la lavorazione per asportazione di truciolo, avviene mostrando il
movimento relativo utensile/pezzo. I pacchetti CAM tendono negli ultimi
anni, grazie anche ad una maggiore disponibilità di risorse hardware, ad
arricchirsi di utilities in grado di effettuare analisi e verifiche aggiuntive sul
pezzo durante e post lavorazione.

Sono richieste verifiche di alto livello sul percorso utensile, in partico-


lare:
- analisi del modello lavorato;
- simulazione macchina CNC;
- ottimizzazione del percorso utensile.
Solo un percorso utensile su cui siano state eseguite tali tipo di verifiche,
avvalendosi di un ambiente software che permetta di riprodurre nel modo
più realistico la situazione che si presenterà a bordo macchina tramite la
modellazione della macchina su cui dovrà essere eseguita la lavorazione e
quindi delle sue caratteristiche cinematiche, potrà essere inviato in officina
con una adeguata confidenza sulla corretta esecuzione della lavorazione
da confermare definitivamente con la prova nastro che potrà essere ese-
guita con velocità più elevate e quindi richiederà un tempo inferiore.
La realizzazione di una procedura di simulazione CAM totalmente inte-
grata in un ambiente produttivo deve essere in grado di:
1. ridurre i tempi di prova nastro;
2. ridurre i rischi durante la prova nastro:
- scarti di lavorazione;
- danni alla macchina utensile;
- sicurezza dell’operatore;
3. mettere a disposizione del progettista CAM un ambiente di simulazione;
4. fornire gli elementi tecnici di supporto necessari per poter affidare le
lavorazioni a terze parti esterne;
5. fornire un supporto all’ambiente di sviluppo Processo attraverso il quale
poter simulare la lavorazione sul macchinario prescelto.
L’obiettivo da conseguire nella definizione di un ambiente di simulazio-
ne è la stretta relazione con le caratteristiche delle macchine che costitu-
iscono il terminale finale di tutto il processo di integrazione CAD\CAM e

314
Modellazione e simulazione dei percorsi utensile delle lavorazioni per asportazione di truciolo

che dovranno rendere fisico ciò che fino all’avvio dell’esecuzione del part-
program è virtuale.
Questo comporta la necessità che l’ambiente di simulazione sia in grado
di modellare tutto quanto è utilizzato nelle lavorazioni per asportazione di
truciolo:
• il controllo numerico della macchina utensile in grado di interpretare il
part-program da simulare;
• modello virtuale della macchina rappresentativo della sua cinematica e
delle interazioni tra gli assi posseduti;
• modello del grezzo da lavorare;
• modello del pezzo finito da utilizzare una volta effettuata la simulazione
del percorso utensile per verificare la rispondenza del modello lavorato
con il modello di progetto;
• modellazione delle attrezzature di fissaggio del pezzo grezzo di cui si
deve simulare la lavorazione in modo da verificare l’eventuale presenza
di collisioni con la macchina e\o l’utensile;
• modellazione degli utensili utilizzati sia come parte tagliente (inserti,
denti) sia come parte non tagliente (portautensili, prolunghe, adattato-
ri, teste angolari);
• part-program;
• eventuali sottoprogrammi da richiamare durante la lavorazione.

Quanto più è realistica la modellazione di tutti gli elementi sopra elen-


cati, tanto più affidabile è la simulazione in presenza o in assenza di errori,
caso questo che consente di emettere un giudizio positivo sul percorso
utensile generato e quindi di benestare per il suo invio alla macchina per
eseguire la preventiva prova nastro e poi la produzione vera e propria.
La lavorazione di un elemento complesso richiede numerosi passag-
gi ognuno dei quali definisce una determinata operazione. All’interno di
ognuna di esse più lavorazioni consentono di passare dal grezzo al finito
che rappresenta quindi il grezzo della operazione successiva.
Un affidabile ambiente di simulazione deve essere in grado di consen-
tire al programmatore CAM di modellare tali operazioni avvalendosi della
integrazione CAD\CAM che genera tutto quanto è necessario per la verifica
di ciascuna operazione (comunemente abbreviata con OPn, dove n rappre-
senta un numero che identifica la posizione all’interno della sequenza di
operazioni), Figura 2.1.
Si viene pertanto a creare un ciclo virtuale 3D che ben rappresenta quan-
to avviene nella realtà e che aiuta le diverse funzioni aziendali, coinvolte
nel processo di lavorazione per asportazione di truciolo, (a partire dalla
progettazione fino alla verifica dei requisiti dimensionali, tramite macchina
CMM – Macchina di Misura a Coordinate – e di finitura superficiale) a se-
guire il flusso di dati necessari al completamento del ciclo produttivo.

315
Appendice II

Figura 2.1: CICLO 3D e flusso dei dati nell’ambiente tra l’ambiente CAD\CAM e l’ambiente inte-
grato di simulazione

L’implementazione di un Ambiente Integrato di Simulazione (ISE: Integra-


ted Simulation Environment) ha pertanto l’obiettivo di ridurre in maniera si-
gnificativa, Figura 2.2:
• tempi di produzione;
• errori e danni dovuti alla definizione del percorso utensile;
• la perdita di informazioni durante il loro trasferimento tra le varie funzioni
aziendali.

Figura 2.2: Riduzione dei tempi di produzione grazie ad un ambiente integrato di simulazione

316
Modellazione e simulazione dei percorsi utensile delle lavorazioni per asportazione di truciolo

2.2. Definizione di un ambiente di simulazione delle lavorazioni per


asportazione di truciolo

Un ambiente di simulazione deve fornire al tecnologo strumenti atti a ri-


produrre la realtà operativa di una officina meccanica che si avvale di macchi-
ne a controllo numerico.
Il primo passo è la capacità di simulare correttamente la cinematica di ogni
macchina tenendo conto delle interazioni tra i vari assi.
La corretta ricostruzione della cinematica della macchina richiede una fe-
dele modellazione CAD della macchina stessa che serve da base al modello di
simulazione.
Infatti assumono particolare importanza gli ingombri della macchina in
quanto legati al controllo delle collisioni tra le varie componenti della macchi-
na stessa, con il pezzo in lavorazione o l’utensile usato mentre possono essere
trascurati particolari costruttivi che non influenzano in alcun modo l’affidabi-
lità della simulazione.
In Figura 2.3, viene evidenziata la cinematica di una macchina a cinque assi.
Si rilevano due catene cinematiche che si dipartono entrambe dalla Base ossia
dalla parte fissa della macchina.

Figura 2.3: Ricostruzione della cinematica di una macchina utensile CNC a 5 assi

La prima catena cinematica è composta da:


– asse X, che nei suoi spostamenti si trascina;
– l’asse Y e;
– il mandrino su cui saranno montati gli utensili.
La seconda catena cinematica è composta da:
– asse Z che si trascina;
– l’asse A e;
– l’asse B e quindi;
– il pezzo da lavorare

317
Appendice II

La macchina appena descritta ha quindi tre assi lineari e due rotanti sulla
tavola porta-pezzo.

Figura 2.4:
Configurazioni a quattro e cinque assi

Figura 2.5:
Fresatrici a cinque e
quattro assi, tornio
verticale con traversa
orizzontale (asse W)

318
Modellazione e simulazione dei percorsi utensile delle lavorazioni per asportazione di truciolo

Le innumerevoli configurazioni di macchine utensili richiedono pertanto


una notevole capacità di customizzazione dell’ambiente di simulazione, Figura
2.4 e Figura 2.5.

2.3. Esempio di modellazione di un ambiente di simulazione

La macchina utensile Benchman VMC 4000 è una fresatrice verticale tra-


dizionale a controllo numerico computerizzato (CNC). è in grado di lavorare
pezzi in alluminio, ottone, plastica e cera, Figura 2.6.
Ha tre assi X, Y e Z che le consentono di effettuare soltanto spostamenti
lineari, Figura 7. I primi due (X, Y) definiscono le direzioni in cui può muoversi
la tavola porta pezzo, mentre il terzo asse (Z) descrive la direzione in cui si
muove il mandrino su cui viene montato l’utensile.

Figura 2.6: Benchman VMC 4000

Si può utilizzare qualsiasi utensile di serie adatto a lavorazioni di fresatura


verticale e per bloccare il pezzo alla tavola della macchina si possono utilizzare
elementi di fissaggio in serie.

319
Appendice II

Figura 2.7: Assi X, Y, Z

La Benchman è caratterizzata da:


• Lunghezza degli assi: X = 305 mm, Y = 152 mm, Z = 229 mm;
• Un motore del mandrino DC senza spazzole con potenza 746 W;
• Un attacco conico per mandrino industriale standard R8;
• Velocità del mandrino computerizzate fino a 5000 giri/min;
• Velocità in rapido fino a 5080 mm/min;
• Codici di programmazione G ed M secondo lo standard EIA RS-274D;
• Programmazione di utensili multipli;
• Funzioni di controllo manuale della velocità di avanzamento e del mandrino;
• Editor di programmi NC integrato;
• Funzione di guida on-line;
• Verifica grafica del percorso.

I componenti della macchina sono:


• Schermo di Sicurezza che racchiude l’area di lavorazione, proteggendo l’ope-
ratore dall’eventuale proiezione di trucioli;
• Un interruttore magnetico di Interblocco dello Schermo interrompe il funzio-
namento della macchina quando lo sportello è aperto;
• Dei servomotori posti su ogni asse azionano il movimento della macchina
lungo gli assi X, Y, Z;
• Sono montati dei Fine Corsa che impediscono alla macchina spostamenti
oltre i limiti consentiti lungo ogni asse;
• La Testa del Mandrino supporta un Motore a corrente continua per mandrino
senza spazzole con potenza 736 W.

320
Modellazione e simulazione dei percorsi utensile delle lavorazioni per asportazione di truciolo

2.3.1. Modellazione dei singoli elementi della macchina utensile

La costruzione virtuale del modello cinematico della macchina utensile rea-


le può essere realizzata direttamente in Vericut attraverso l’utilizzo del relativo
modellatore geometrico.
Tuttavia esso è in grado di realizzare soltanto dei modelli geometrici ele-
mentari i quali non sono in grado di rappresentare dei modelli di macchina
aventi una geometria complessa.
Per questo motivo, nella maggior parte dei casi, si preferisce costruire tutti
i componenti attraverso un sistema CAD, ed in un secondo momento, dopo
averli salvati in formato STL, tali componenti vengono importati in Vericut.
Nel caso in questione i componenti della macchina sono stati modellati
utilizzando il software SolidWorks, ed in seguito assemblati, Figura 2.8, realiz-
zando il modello finale della macchina utensile, così come appare realmente.

Figura 2.8: Componenti della macchina modellati con SolidWorks

Le immagini precedenti rappresentano i


singoli elementi che costituiscono la macchina
utensile, assemblati per dare origine al model-
lo finale, Figura 2.9.

Figura 2.9: Modello completo della macchina

321
Appendice II

2.3.2. Il software VERICUT

è uno strumento software predisposto alla simulazione dei part-program


per le lavorazioni per asportazione di truciolo con diverse funzionalità atte
a verificare i risultati in termini di rispondenza dimensionale del simulato al
finito di progetto:

◊ Analisi del modello lavorato – Sul modello lavorato, ottenuto dall’appli-


cazione di una serie di lavorazioni sul pezzo grezzo, è possibile effettuare
una serie di valutazioni. Sono disponibili all’interno del software diverse
possibilità operative.

• Verifica Avanzata – intesa come la possibilità di visualizzare l’utensile


impegnato sul pezzo nelle diverse fasi della lavorazione, è arricchita
all’interno di Vericut da funzioni aggiuntive. Diverse categorie di errori
possono essere segnalati, tra i più frequenti: movimento in rapido che
va ad impattare sul pezzo in lavorazione, utensile che lavora con la parte
non tagliente, collisioni relative non consentite all’interno dell’area di
lavoro, utensile a inserti (che può essere modellato all’interno delle li-
brerie utensili personalizzabili dall’utente) che lavora con il centro fresa.
In apposita finestra (toolpath review) ogni errore può essere associato
alla sua posizione e alla riga del percorso utensile che lo ha generato.
Misure approfondite possono essere condotte sul pezzo lavorato in ter-
mini di spessore di pareti, distanze tra punti, fino alla possibilità offerta
di impostare sequenze d’ispezione;
• Auto-diff – Tramite questo strumento siamo in grado di misurare le dif-
ferenze tra pezzo lavorato e modello di design (disegno di progetto).
Le differenze possono essere di eccesso o di tallonamento, e vengono
visualizzate in funzione della tolleranza specificata. La tolleranza è una
misura espressa in unità lineari di lunghezza e specifica l’entità minima
dell’errore che deve essere segnalato. La tolleranza d’ispezione con la
quale vengono misurate le deviazioni influenza la pesantezza del calco-
lo, è possibile, per tale motivo, affinare la misura in corrispondenza delle
sole zone critiche. Lo strumento prevede anche la possibilità di ottenere
un report della misurazione con l’evidenza dell’entità della deviazione,
della sua posizione e la riga di percorso utensile che l’ha generata;
• Model Export – Il pezzo lavorato può diventare input di altre operazioni,
anche in ambienti esterni, attraverso la funzione di esportazione del
modello lavorato in formati compatibili con altri strumenti CAD (iges,
stl, ply);

◊ Simulazione macchina CNC - L’azione di verifica del percorso utensile,


all’interno di Vericut, è completata dal modulo:
• Machine Simulation – Grazie all’ausilio degli strumenti messi a dispo-

322
Modellazione e simulazione dei percorsi utensile delle lavorazioni per asportazione di truciolo

sizione in questo modulo si è in grado di evitare una serie di problemi


tipici delle lavorazioni per asportazione di truciolo, quali:
- collisioni utensile /macchina;
- errori introdotti dal sistema CAM (entrate in rapido sul pezzo, movimenti
di ingaggio e disimpegno, ecc.);
- errori introdotti dai post processor (a tal proposito Vericut viene spesso
utilizzato come strumento di test di nuovi Post Processor);

Vericut nello svolgere il compito di simulazione macchina si appoggia ad


un file *.ctl (una sorta di reverse post processor) che interpreta le istruzioni con-
tenute nel part program che va in esecuzione in macchina e supporta esatta-
mente tutti codici e le funzioni avanzate dei controlli numerici (macro, cicli di
misura, istruzioni di salto, variabili, ecc.).
Si ha a disposizione, in tal modo, uno strumento che è in grado di gestire
quanto poi sarà realizzato nell’officina reale.
Il file *.ctl governa a sua volta un file macchina (di estensione *.mch), al
quale sono collegati i modelli 3D rappresentativi dei volumi della macchina,
dando vita alla simulazione vera e propria.
All’interno del modulo è interessante sottolineare la gestione di movimenti
macchina complessi quali possono essere:
- simulazione cicli di tastatura;
- simulazione magazzini utensili e relativi cambi utensili gestiti dalle macro che
sono quelle gestite dal controllo numerico;
- simulazione per la stessa lavorazione di piazzamenti multipli anche su mac-
chine differenti.

◊ Ottimizzazione del percorso utensile – Il modulo Optipath consente di


ottimizzare il percorso utensile. Il modulo opera andando a modificare i para-
metri tecnologici, velocità di avanzamento e numero di giri, presenti all’interno
del part program. I criteri utilizzati e quindi gli algoritmi implementati per il
ricalcolo di tali parametri sono essenzialmente tre:
- volume rimosso costante;
- spessore del truciolo costante
- velocità superficiale costante

2.3.3. Importazione dei componenti in VERICUT per la modellazione di una


macchina utensile

All’interno di Vericut è necessario configurare un file macchina in grado di


descrivere la cinematica della Benchman VMC 4000.
Per costruire il file macchina, che ha estensione *.mch, è necessario seguire
i seguenti passi che permettono di definire la catena cinematica della macchi-
na:
• Dal menù Configurazione, si seleziona “Albero Elementi” che permette

323
Appendice II

di costruire il modello cinematico di una qualsiasi macchina utensile. Gli ele-


menti sempre presenti in una finestra “Albero Elementi” sono, Figura 2.10 a):
- Base: rappresenta la parte fissa (basamento) della macchina;
- Fixture: attrezzature di fissaggio del grezzo;
- Stock: grezzo da lavorare;
- Design: il modello del finito da confrontare con il modello lavorato.

Figura 2.10: Albero degli Elementi e costruzione di una catena cinematica

L’albero Elementi deve essere arricchito al fine di descrivere la cinematica


della fresatrice.
Dal punto di vista cinematico essa è composta da due catene: la prima
costituita dall’asse Z e dal mandrino, la seconda dagli assi X e Y. Per costruire
la prima delle due è necessario collegare alla Base l’asse Z e poi all’asse Z il
mandrino nel modo seguente, Figura 2.10 b):
• Si seleziona la Base e si collega ad essa l’asse Z lineare;
• Selezionando Z nell’“Albero Elementi” si aggiunge il mandrino (Spindle) e
quindi l’utensile, Figura 2.10 c).
• Si definisce quindi la catena cinematica rappresentata dagli Assi X e Y in
modo da simulare il moto della tavola porta-pezzo legando l’attrezzatura e
lo stock a tale catena cinematica, Figura 2.10 d).

324
Modellazione e simulazione dei percorsi utensile delle lavorazioni per asportazione di truciolo

Figura 2.11: Benchman VMC 4000 in Vericut

Definito “Albero Elementi” (ossia la cinematica della macchina) è neces-


sario associare ad ogni componente il corrispondente CAD in formato .stl per
poter simulare compiutamente la macchina.
La realizzazione del modello virtuale della macchina su cui simulare la la-
vorazione richiede, in VERICUT, la definizione accurata del file del controllo di
estensione *.ctl, ossia del controllo virtuale della macchina, che contiene tutte
le informazioni necessarie al simulatore per interpretare correttamente il file
NC da simulare.
Si tratta di costruire un “emulatore”, in ambiente virtuale, delle istruzioni
che un determinato controllo numerico può far eseguire alla macchina reale
in modo da poter eseguire la verifica di un percorso utensile nel simulatore e
quindi fornire al tecnologo una rappresentazione veritiera del processo che si
andrà poi a realizzare sulla macchina reale.
La costruzione del file di controllo virtuale è demandata ad un tecnologo
con capacità di programmatore. In VERICUT ogni file *.ctl è costituito da macro
con le quali è possibile simulare specifiche istruzioni di un determinato con-
trollo numerico.
Come fatto per il post-processor occorre effettuare dei test – case che vali-
dino il file .ctl. e il modello cinematico della macchina virtuale.
Costruita con i file *.mch e *.ctl la macchina virtuale, un programmatore
CAM può procedere a realizzare ogni singola sessione di simulazione andando
a costruire:
• la libreria utensili che permette di simulare il magazzino utensili da cui attin-
gere gli utensili utilizzati per la simulazione di un part-program. Può essere
costruita per ogni singolo part-program oppure si può costruire una libre-
ria di macchina in cui tutti gli utensili della macchina vengono modellati

325
Appendice II

una sola volta e utilizzati quando necessario;


• le attrezzature di fissaggio;
e quindi si importa il part-program da simulare con eventuali sotto program-
mi.
Da questa panoramica si evidenzia la possibilità per il tecnologo di simula-
re in tutti i suoi aspetti una lavorazione per asportazione di truciolo, ottenendo
alla fine la verifica e la certificazione di un part-program con la sicurezza di
inviare sulla macchina reale un listato di lavorazione sicuro e privo di errori
causa di danni per macchina, pezzo, attrezzature, utensili.

2.4. Dalla progettazione all’utilizzo delle macchine utensili a controllo


numerico

L’obiettivo delle tecnologie manifatturiere è la produzione in tempi brevi e


senza scarti non solo a pieno regime ma anche del prototipo di un determina-
to prodotto con costi contenuti.
I prodotti, ed in particolar modo le macchine utensili a controllo numerico,
si caratterizzano per una sempre più elevata complessità di progettazione e di
realizzazione con una sempre più spinta riduzione del ciclo di vita competitivo
ossia del tempo in cui l’utilizzo è conveniente e permette di competere con i
concorrenti.

Figura 2.12: Progettazione con strumenti di prototipazione

La realizzazione e le verifiche di funzionamento di un prototipo fisico rap-


presentano le fasi che maggiormente incidono ai fini della produzione eco-

326
Modellazione e simulazione dei percorsi utensile delle lavorazioni per asportazione di truciolo

nomicamente vantaggiosa di una moderna macchina utensile a controllo


numerico.
Attualmente la progettazione si avvale degli strumenti di “prototipa-
zione virtuale”, in altre parole di strumenti informatici (programmi) che
realizzano un modello tridimensionale dell’oggetto da produrre e che per-
mettono di simularne il funzionamento e procedere al suo miglioramento
fino al raggiungimento degli obiettivi previsti senza realizzarlo fisicamente.
I tempi e i costi di progettazione vengono significativamente ridotti, Figura
2.12.
L’utilizzo di strumenti di prototipazione virtuale evita di ricorrere al tra-
dizionale, costoso e lungo metodo di progettazione basato sul concetto di
“prova e correggi” (“trial and error”).
I progettisti riescono a simulare non solo il comportamento cinematico,
statico e dinamico, del sistema macchina utensile ma anche le lavorazioni
per l’esecuzione delle quali la macchina è stata progettata. Machine utensili
in grado di lavorare ad elevate velocità richiedono una struttura leggera
accoppiata con una adeguata rigidezza dei componenti strutturali.
Il controllo numerico deve essere in grado di garantire l’accuratezza di
posizionamento anche alle elevate velocità di lavoro che la macchina è in
grado di fornire. Nelle prime fasi di progettazione, il comportamento cine-
matico di una macchina utensile può essere simulato con la metodologia
del multi-body modellando i componenti della macchina come corpi rigidi.
Gli elementi sono caratterizzati da proprietà di massa ed inerzia ma si
trascurano le deformazioni che essi subiscono durante il funzionamento.
Gli elementi sono importati, come corpi rigidi, dall’ambiente CAD in
cui è stato realizzato il modello tridimensionale della macchina attraverso
interfacce che fanno utilizzo dei formati standard di interscambio dati (as
IGES, STEP, DXF/DWG, Parasolid) oppure essere generati all’interno dello
stesso ambiente virtuale di simulazione.
Vincoli modellano il collegamento tra i vari elementi e i movimenti che
ciascuno di essi è deputato a realizzare, Figura 2.13.
I più comuni sono:
• giunti rotazionali o traslazionali;
• giunti che forzano determinati movimenti (i.e. spostamento paralello di
due elementi);
• generatori di moto che guidano un determinato elemento su una deter-
minata distanza con profili predeterminati di velocità e accelerazione in
funzione del tempo.
è possibile modellare anche le forze che agiscono sul modello ottenen-
do una stima delle forze di reazione agenti e di come il moto è influenzato
dalla loro azione.

327
Appendice II

Figura 2.13: Modellazione dei vincoli

La modellazione delle forze è fatta con:


• connettori flessibili (i.e. molle) che forniscono forze predefinite e adeguate
leggi che esprimono l’andamento delle forze;
• forze che normalmente sono presenti in un sistema meccanico;
• forze che possono essere modellata attraverso la scrittura di algoritmi per
ottenere particolari profili;
• forze di contatto che specificano come i corpi reagiscono in presenza di
contatti durante il moto.
Si ottiene un’analisi completa del comportamento cinematico della mac-
china nel suo spazio di lavoro e delle forze connesse al suo funzionamento.
Non è possibile ottenere dati sulle deformazioni in una simulazione pura-
mente multi-body in quanto gli elementi vengono modellati come rigidi.
A tale tipo di analisi sono predisposti i software che utilizzano gli elementi
finiti che permettono di verificare il comportamento sotto carichi statici, dina-
mici e termici alfine di ottenere un progetto ottimale della macchina utensile
con la minima massa necessaria e la più alta precisione.
La simulazione dell’asportazione di truciolo viene gestita in alcuni software
come risultato dell’intersezione della geometria dell’utensile con la geometria
del grezzo.

Figura 2.14: a), b) Simulazione dell’asportazione di truciolo come intersezione tra le geometrie
dell’utensile e del grezzo con un numero maggiore e minore di step intermedi lungo il percorso;
c) utilizzo di una superficie “swept”

328
Modellazione e simulazione dei percorsi utensile delle lavorazioni per asportazione di truciolo

Tale modalità di gestione dell’asportazione di materiale considera il mo-


vimento dell’utensile come un insieme di posizioni discrete con conseguente
elevato errore nella simulazione.
L’errore può essere ridotto incrementando il numero di punti intermedi da
cui l’utensile deve passare lungo il percorso ma questo richiede una notevole
potenza di calcolo. Una soluzione che viene adottata è l’utilizzo delle superfici
“swept”, Figura 2.14.
Una superficie “swept” di un utensile racchiude il volume di spazio occu-
pato dall’utensile durante la sua traiettoria. L’intersezione del grezzo con tale
superficie garantisce una resa della simulazione migliore (Figura 2.14).
La rappresentazione di una superficie “swept” si basa sulla considerazione
del continuo contatto dell’utensile con essa e tale regione definisce una curva
sulla superficie dell’utensile che rappresenta un’approssimazione della super-
ficie “swept”.
I punti di contatto tra utensile e superficie “swept”, necessari per una sua
definizione matematica e grafica, appartengono a curve definite “grazing” che
rappresentano la base da cui partire per visualizzare una superficie “swept”.

Figura 2.15: a) Sezione trasversale dell’utensile, b) in verde i punti della curva “grazing”, c) curva
di grazing

Immaginando l’utensile muoversi attraverso una superficie “swept” i punti


di contatto saranno sempre sull’utensile e quelli che individuano una normale
ortogonale alla direzione del moto individueranno la curva “grazing.
Si consideri la sezione trasversale dell’utensile mostrata in giallo in Figura
2.15a e b, le frecce grigie rappresentano le direzione di moto dell’utensile, le
frecce nere sono le normali alla superficie dell’utensile.
I punti colorati in rosso sono punti del grezzo che stanno per essere aspor-
tati, mentre i punti blu sono punti già asportati. Solo i punti in verde apparter-
ranno sempre al grezzo anche dopo il passaggio dell’utensile.
Identificata la posizione dei punti “verdi” per tutte le sezioni dell’utensile
è possibile costruire una rappresentazione spezzata a tratti che approssima
una “grazing curve” (linee blu nella Figura 2.15c) mentre le linee nere nel loro
insieme identificano la curva “swept”.
A volte il cambio di direzione della traiettoria non è continuo e questo ge-
nera una lacuna nella curva “swept”. Nelle posizioni intermedie di discontinuità

329
la curva viene ottenuta tramite interpolazione lineare tra i punti terminali della
curva “swept” e dei punti di intersezione dell’utensile con il grezzo, Figura 2.16.

Figura 2.16: Discontinuità delle superfici “swept” a causa di una traiettoria discontinua
Appendice III

Esempi di simulazione ad elementi finiti dei processi di


taglio

In questa appendice si riportano alcuni esempi applicativi della tecnica di


simulazione FEM 3D dei processi di taglio. Di seguito sono presentati i set-up
e gli output di simulazione relativi a temperature di taglio e forze scambiate
tra utensile e componente lavorato durante la fase di taglio per le operazioni
di tornitura, fresatura e foratura.
Al momento le simulazioni 3D con caratterizzazione elasto-plastica del
materiale presentano diversi problemi principalmente legati alla difficoltà di
ottenimento della convergenza e ai lunghi tempi di calcolo necessari a questo
tipo di simulazioni.

3.1. Tornitura 3D: caratterizzazione plastica del materiale

L’utensile, le condizioni e i parametri di processo dell’operazione analizzata


sono di seguito elencati:

• Finitura con inserto circolare in WC non rivestito;


• Presenza di lubro-refrigerante;
• Parametri di processo:
- Velocità di taglio v = 42 m/min
- Avanzamento f = 0.25 mm/rev
- Profondità di passata DOC = 0.7 mm

1.1.1 Modello FE

Per la modellazione FEM del workpiece e dell’utensile sono stati utilizzati


elementi del tipo Tetrahedral.

WORKPIECE
• Mesh iniziale costituita da 150.000 elementi,
• Dimensione media elementi nella parte superficiale del pezzo 0.08 mm,
• Dimensione media elementi nella zona di ingaggio utensile-workpiece,
0.018 mm (Figura 3.1).

331
Appendice III
INSERTO
• Mesh costituita da 30.000 elementi,
• Dimensione media degli elementi nella zona di ingaggio utensile-
workpiece 0.1 mm,
• Size ratio 12, all’esterno della zona d’ingaggio.

Figura 3.1: Definizione della mesh per utensile e pezzo in lavorazione.

1.1.2. Post Processing

1.1.1.1 Distribuzione delle temperature sull’inserto in fase di taglio

In Figura 3.2, la mappa delle temperature sull’inserto.

Figura 3.2:
Mappa delle
temperature
sull'inserto in
fase di taglio.

332
Esempi di simulazione ad elementi finiti dei processi di taglio

1.1.1.2 Carichi agenti sull’utensile in fase di taglio

La simulazione 3D dei processi di Machining permette di ottenere come


output una predizione delle tre componenti della forza scambiata tra utensile
e pezzo lavorato. Questo perché in tale tipo di simulazione, a differenza di
quanto accade nell’ambiente di simulazione 2D, la configurazione geometri-
ca del modello agli elementi finiti e il posizionamento relativo tra utensile e
pezzo lavorato è esattamente uguale a quella reale. In Figura 3.4, Figura 3.5 e
Figura 3.6 si riportano i grafici che riportano l’andamento istantaneo delle tre
componenti della forza scambiata tra utensile e pezzo, rispetto al sistema di
riferimento del ambiente di simulazione, Figura 3.3.

Figura 3.3: Sistema di riferimento del modello FEM.

Figura 3.4: Valori istantanei della componente Y della forza scambiata tra utensile e pezzo in fase
di taglio.

333
Appendice III

Figura 3.5: Valori istantanei della componente Z della forza scambiata tra utensile e pezzo in fase
di taglio.

Figura 3.6: Valori istantanei della componente X della forza scambiata tra utensile e pezzo in fase
di taglio.

4.2. Fresatura 3D: caratterizzazione Plastica del materiale

L’utensile, le condizioni e i parametri di processo dell’operazione analizzata


sono di seguito elencati:

• Spianatura con fresa ad inserti rettangolari in WC non rivestito;


• Presenza di lubro-refrigerante;
• Parametri di processo:

- Velocità angolare v = 106 rad/sec

- Avanzamento f = 0.7 mm/rev

- Profondità di passata DOC = 4.0 mm

1.1.3. Modello FE

Per la modellazione FEM del pezzo in lavorazione e dell’utensile sono stati


utilizzati elementi del tipo Tetrahedral.

PEZZO IN LAVORAZIONE
• Mesh iniziale costituita da 100.000 elementi,
• Dimensione media elementi nella zona di ingaggio utensile-workpiece,
0.05 mm (Figura 3.7).

334
Esempi di simulazione ad elementi finiti dei processi di taglio

• Size Ratio 7, all’esterno della zona d’ingaggio.

INSERTO
• Mesh costituita da 20.000 elementi,
• Dimensione media degli elementi nella zona di ingaggio utensile-
workpiece 0.1 mm,
• Size ratio 12, all’esterno della zona d’ingaggio.

Figura 3.7: Definizione della mesh per inserto e pezzo in lavorazione.

1.1.4. Post Processing

1.1.2.1 Forma del truciolo

La simulazione 3D permette di valutare la geometria del truciolo.


Per avere una buona corrispondenza tra la geometria fornita dal codice e la
forma del truciolo reale è fondamentale predisporre prove di quick-stop test e
immagini del processo di creazione del truciolo realizzate con fotocamere ad
alta risoluzione. Oltre a questo è necessario disporre di dati sperimentali che
consentano di definire un appropriato criterio di danneggiamento da utilizza-
re in fase di simulazione.
In Figura 3.8 è evidenziata la fase iniziale del processo di formazione del
truciolo.

335
Appendice III

Figura 3.8: Formazione del truciolo durante un’operazione di spianatura.

1.1.2.2 Distribuzione delle temperature in fase di taglio

Figura 3.9: Temperature di taglio nel pezzo in lavorazione.

336
Esempi di simulazione ad elementi finiti dei processi di taglio

Figura 3.10: Temperature di taglio nell'inserto.

1.1.2.3 Carichi agenti sull’utensile in fase di taglio

Figura 3.11: Andamento puntuale delle componenti della forza scambiata tra utensile e pezzo in
fase di taglio.

3.2. Foratura 3D: caratterizzazione Plastica del materiale

L’utensile, le condizioni e i parametri di processo dell’operazione analizzata


sono di seguito elencati:
• Punta elicoidale in WC non rivestito;

337
Appendice III

• Presenza di lubro-refrigerante;

• Parametri di processo:

- Velocità di rotazione 400 rpm v = 41rad/sec

- Avanzamento f = 0.15 mm/rev

Figura 3.12: Semplificazione del modello geometrico.

1.1.5. Modello FE

Per la modellazione FEM del workpiece e dell’utensile sono stati utilizzati


elementi del tipo Tetrahedral.

WORKPIECE

• Mesh iniziale costituita da 200.000 elementi,


• Dimensione media elementi nella zona di ingaggio utensile-workpiece,
0.1 mm (Figura 3.13).
• Size Ratio 6, all’esterno della zona d’ingaggio.

INSERTO

• Mesh costituita da 40.000 elementi,


• Dimensione media degli elementi nella zona di ingaggio utensile-
workpiece 0.15 mm (Figura 3.13).
• Size ratio 8, all’esterno della zona d’ingaggio.

338
Esempi di simulazione ad elementi finiti dei processi di taglio

Figura 3.13: Definizione della mesh per inserto e pezzo in lavorazione.

1.1.6. Post Processing


1.1.2.4 Forma del truciolo

Figura 3.14: Forma del truciolo.

339
Appendice III
1.1.2.5 Distribuzione delle temperature in fase di taglio

Figura 3.15: Temperature di taglio nel pezzo in lavorazione.

Figura 3.16: Temperature di taglio nell'utensile.

340
Esempi di simulazione ad elementi finiti dei processi di taglio

1.1.2.6 Carichi agenti sull’utensile in fase di taglio

Figura 3.17: Andamento puntuale delle componenti della forza scambiata tra utensile e pezzo in
fase di taglio.

3.3. CRITICITÀ

Le simulazioni presentate hanno richiesto i seguenti tempi di calcolo#:


3D Turning PL* ~ 40 h
3D Milling PL* ~ 40 h
3D Drilling PL* ~ 80

# Tempi di calcolo medi, relativi a lunghezze di taglio lineare di circa 2mm per tor-
nitura e fresatura. Profondità di taglio in direzione Z (asse punta forante) di circa 1 mm
per la foratura.
Workstation utilizzata nelle simulazioni:
CPU: Intel Core 2 6420 – 2.13 GHz ; RAM:2 GB

341
342
Appendice IV

Ottimizzazione cinematica del percorso utensile

4.1 Introduzione

Con il software di simulazione dei percorsi utensili Vericut esistono due


modi per effettuarne l’ottimizzazione tramite il modulo OPTIPATH:
• Miglioramento delle traiettorie seguite dall’utensile nel caso in cui è
possibile farne variare il percorso;
• Miglioramento dei parametri tecnologici come la velocità di avanza-
mento, il numero di giri del mandrino e la velocità di taglio.

L’ottimizzazione del percorso utensile consente di:


• Lavorare con Maggiore Efficienza: Riducendo il tempo di ciclo ed au-
mentando la produttività;
• Migliorare la Qualità del Pezzo: Definendo opportuni valori per i para-
metri di lavorazione in funzione del tipo di lavorazione da realizzare;
• Aumentare la durata degli Utensili: Condizioni di taglio ottimali allun-
gano la vita dell’utensile.

Il modulo all’interno di Vericut che permette di definire i record di ottimiz-


zazione è Optipath che fornisce tre diversi algoritmi di ottimizzazione :
• Volume Rimosso Costante: la velocità di avanzamento viene modifi-
cata per mantenere una quantità di volume rimosso nell’unità di tem-
po costante, dipendente dall’area di contatto dell’utensile. OptiPath
può aumentare la velocità di avanzamento o ridurla. La variazione della
velocità di avanzamento è inversamente proporzionale alla quantità di
materiale con cui l’utensile viene a contatto durante il percorso sulla
superficie in lavorazione (Figura 4.1). Per attivare la modalità di otti-
mizzazione a volume rimosso costante la corrispondente casella deve
essere selezionata. Inoltre è necessario specificare i valori profondità di
passata (DOC: Depth Of Cut), larghezza di passata (B), avanzamento al
minuto ed avanzamento al dente. La selezione dell’opzione “Velocità
Rot. Mandrino” impone la costanza del numero di giri del mandrino
durante l’utilizzo dell’utensile.

343
Appendice IV

Figura 4.1: Impostazione del criterio di ottimizzazione a Volume Rimosso costante e del criterio a
Spessore di Truciolo costante

• Spessore del Truciolo Costante: la velocità di avanzamento viene mo-


dificata per mantenere uno spessore del truciolo costante al variare
delle condizioni di lavoro, Figura 4.1. In particolare, questo metodo au-
menta la velocità di avanzamento quando la larghezza di taglio, intesa
come la porzione di diametro della fresa impegnata nella lavorazione,
è inferiore al 50% del diametro della fresa.

• Velocità di Taglio Costante: la velocità di rotazione del mandrino vie-


ne modificata per mantenere costante la velocità superficiale al massi-
mo diametro di contatto. La velocità di avanzamento viene modificata
per mantenere un avanzamento per dente costante per la nuova velo-
cità di rotazione del mandrino, Figura 4.2.

344
Ottimizzazione cinematica del percorso utensile

Figura 4.2: Criterio a Velocità di Taglio costante

I metodi di ottimizzazione Volume Rimosso Costante e Spessore del Tru-


ciolo Costante possono essere utilizzati contemporaneamente; in tal caso Ve-
ricut calcola la velocità di avanzamento ottima per ognuno dei due metodi, ed
utilizza quella con il valore più basso. L’utilizzo di entrambi i metodi consente
di evitare di avere un eccessivo spessore del truciolo o un eccessivo volume
rimosso, condizioni che possono verificarsi quando si utilizza uno soltanto di
questi metodi di ottimizzazione.

4.2 Relazioni tra i parametri di taglio e i tre algoritmi di ottimizzazione


di OPTIPATH

è necessario definire i parametri di taglio su cui gli algoritmi di Vericut


agiscono:
Vt: Velocità di taglio [m/min]. è la velocità periferica con cui il tagliente asporta
il materiale;
n: Numero di giri della fresa in un minuto [giri/min];
D: Diametro della fresa in millimetri;
z: Numero di taglienti dell’utensile;
az: Avanzamento in millimetri al giro di un tagliente [mm/giro tagliente];
Va: Velocità di avanzamento [mm/min];

345
Appendice IV

Le relazioni tra i parametri sono:


Velocità di taglio [m/min]: Vt = π D n/ 1000
Velocità di avanzamento [mm./min]: Va = n ∙ az ∙ z
La profondità di taglio p (DOC): in fresatura, è la profondità di taglio assiale
della fresa ed è espressa in [mm]
Larghezza di taglio o Impegno radiale della fresa dr: in fresatura è la lar-
ghezza di taglio utilizzata (si misura in mm). Quando la fresa lavora dal pieno,
l’impegno dr è il diametro della fresa.
Volume di truciolo asportato al minuto in mm3/min: è il prodotto tra pro-
fondità di taglio, impegno radiale della fresa e velocità di avanzamento.

Q = p ∙ dr ∙ Va

Spessore medio del truciolo: lo spessore istantaneo del truciolo (s) in una
generica posizione θ compresa tra zero e φ (angolo di impegno della fresa)
(Figura 4.3):

Figura 4.3: Calcolo dello Spessore

è pari ad: Sθ = az ∙ sinθ

indicando con az l’avanzamento al dente e con θ l’angolo compreso tra la ver-


ticale e la generica posizione considerata.
Lo spessore medio del truciolo (sm) invece è uguale a:
ϕ ϕ
1 1 az
(1 − cos ϕ )
ϕ∫
Sm = s θ dθ = ∫ a z sin θdθ =
0
ϕ 0
ϕ

346
Ottimizzazione cinematica del percorso utensile

Poiché (Figura 4.3): OB=D/2-d_r=D/2 cosφ

si ha: cosφ=1-(2dr)/D

Quindi lo spessore medio del truciolo è espresso da:

sm=(2az dr)/φD (φ in radianti)

La scelta del primo metodo di ottimizzazione impone la costanza del volu-


me rimosso nella unità di tempo.
Tenendo presente che in base ad esigenze di lavorazione la profondità di
passata (p) è costante Optipath modifica la velocità di avanzamento (Va) al
variare delle condizioni di lavoro (dr).
Se invece scegliamo di utilizzare il secondo metodo di ottimizzazione lo
spessore del truciolo deve rimanere costante durante tutta la lavorazione.
I carichi sull’utensile tipicamente variano nel corso della lavorazione, Opti-
Path regola gli avanzamenti per mantenere uno spessore del truciolo costante
in modo che l’utensile sia sollecitato sempre nello stesso modo al variare delle
condizioni di lavoro.
Come risultati si riscontrano una durata maggiore dell’utensile e migliore
finitura superficiale. Questo metodo è adatto per lavorazioni in alta velocità e
con frese sferiche e/o toriche ed è ottimo per sfruttare al massimo le carat-
teristiche dell’utensile, ma anche per salvaguardare e non eccedere ai valori
massimi possibili.
Infine il terzo metodo di ottimizzazione è particolarmente utile in quelle
lavorazioni in cui l’avanzamento al dente è tenuto invariato come nelle lavo-
razioni di copiatura.

4.3 Piano sperimentale

è stato pianificato un piano di lavorazioni per testare la validità sperimen-


tale dei criteri di ottimizzazione di Vericut.
Per tutte le prove realizzate in laboratorio sono stati utilizzati una serie di
blocchi in alluminio del tipo Ergal 7010 a forma di parallelepipedo di dimen-
sioni :

X: 60 mm;
Y: 100 mm;
Z: 50 mm

347
Appendice IV

Figura 4.4: Utensile

Le prove sono state eseguite con una fresa piatta con un diametro di 16
mm, altezza di 93 mm, in acciaio avente l’8% di cobalto e con quattro taglienti
alti 35 mm, (Figura 4.4)
Lo scopo delle lavorazioni è la realizzazione di due contorni identici indicati
rispettivamente con le lettere A e B, il primo con una profondità di passata p =
1 mm, nel secondo p = 2 mm. Ogni prova è stata ripetuta cinque volte.
I part – program utilizzati nelle prove descritte sono stati successivamente
ottimizzati con il metodo del volume rimosso costante e con il metodo dello
spessore di truciolo costante.
Infine è stata misurata la qualità della finitura superficiale delle superfici
lavorate di ogni singolo pezzo con l’ausilio di un rugosimetro Perthometer
Concept (Figura 4.5), tramite il movimento orizzontale della sonda, alla cui
estremità libera è presente uno stilo verticale che scorre sulla superficie di
misura.
I blocchi di cui si è rilevata la rugosità sono posizionati sulla tavola, fissa,
dello strumento.
Un software di controllo gestisce l’unità traslatrice di misura e registra, tra-
mite grafici e profili, i valori di rugosità misurati. La risoluzione dello strumento
e dell’ordine di 10-3 μm (l’unità di misura della rugosità è il μm).

Figura 4.5: Rugosimetro

348
Ottimizzazione cinematica del percorso utensile

Si riassumono i dati delle prove:


n = 2950 rpm
Va= 1180 mm/min
CONTORNO A: 5 repliche e 5 misure di rugosità

1. az = 0.1mm/giro; p (DOC) = 1 mm; φ (angolo di ingaggio utensile) = 41°;


2. az = 0.1 mm/giro; p (DOC) = 1 mm; φ (angolo di ingaggio utensile) = 60°;
3. az = 0.1 mm/giro; p (DOC) = 1 mm; φ (angolo di ingaggio utensile) = 76°;
4. az = 0.1 mm/giro; p (DOC) = 1 mm; φ (angolo di ingaggio utensile) = 90°.

Figura 4.6: Vista dall’alto del contorno lavorato e della disposizione delle lavorazioni lungo il pe-
rimetro del blocco

Come è possibile notare (Figura 4.6) l’impegno radiale della fresa aumen-
ta progressivamente, infatti si parte da un impegno pari a due millimetri sul
primo lato ed aumenta di due millimetri sul lato successivo fino ad avere, sul
quarto ed ultimo lato la fresa impegnata per metà del suo diametro.

4.4 Simulazione delle prove con VERICUT

L’impostazione di una corretta simulazione all’interno di Vericut richiede la


definizione:
• della macchina utensile CNC che esegue le prove (una Benchman VMC
4000) e del suo controllo numerico;
• delle dimensioni del grezzo che rappresenta il modello del materiale
da lavorare.
Nel modello costruito, lo zero macchina, che rappresenta l’origine assoluta
del controllo numerico, è posizionato al centro della tavola portapezzo. è pos-
sibile, nel caso in cui si dovessero effettuare diverse lavorazioni con lo stesso
utensile, posizionare più pezzi sulla tavola, compatibilmente con le dimensioni
della stessa, specificandone dimensioni e la posizione rispetto allo zero mac-
china (Figura 4.7).

349
Appendice IV

Figura 4.7: Definizione delle dimensioni del modello del Grezzo all’interno di Vericut e suo posi-
zionamento nel volume di lavoro

• Della libreria utensili, contenente tutti gli utensili usati nelle prove. Per
costruire la libreria è necessario definire la geometria (diametro, altez-
za, altezza del tagliente e diametro del gambo), ed altre caratteristiche
dell’utensile (punto di riferimento, orientazione e numero di denti). Nella
fase successiva di ottimizzazione l’utente, per ogni utensile, definisce un
record di ottimizzazione in cui vengono descritte le caratteristiche della
lavorazione (velocità di avanzamento, numero di giri del mandrino, pro-
fondità di passata) eseguita dall’utensile considerato ed il tipo di algorit-
mo scelto per rendere più efficiente la prova (Figura 4.8).

Figura 4.8: Costruzione della Libreria Utensile in Vericut

• del percorso seguito dall’utensile per eseguire la lavorazione. Il percor-


so utensile, in generale, viene generato da un programma CAM (Com-
puter Aided Manufacturing) che permette di definire la traiettoria che
dovrà seguire l’utensile note la geometria da lavorare, la geometria del
pezzo finito, le informazioni relative all’utensile.

Per le lavorazioni eseguite le istruzioni che definiscono la traiettoria per-


corsa dall’utensile sono state scritte, manualmente, in codice G (definite nel-
la norma ISO 6983, note anche dalla norma DIN 66025),“comprensibile” alla

350
Ottimizzazione cinematica del percorso utensile

Benchman VMC 4000 tramite il software di gestione della stessa macchina. Il file
di testo ottenuto è stato importato in Vericut.
Dopo aver inserito tutti i dati necessari occorre, prima di iniziare la simula-
zione, specificare la posizione dello zero pezzo rispetto alla posizione dello zero
macchina tramite una tabella che consente di definire l’origine della lavorazione
simulando il comportamento della istruzione G54 (Figura 4.9, Figura 4.10).

Figura 4.9: Definizione dello Zero Pezzo

Figura 4.10: Posizione dello Zero Pezzo rispetto allo Zero Macchina

351
Appendice IV

A questo punto è possibile avviare la simulazione (Figura 4.11):

Figura 4.11: Simulazione della prova


4.5 Lavorazioni ottimizzate col metodo del volume rimosso costante e col
metodo dello spessore di truciolo costante

Prima di iniziare l’ottimizzazione della lavorazione è necessario creare,


come già visto in precedenza, una libreria ottimizzata a partire da quella creata
per la simulazione del percorso di lavorazione.
L’utente definisce, per ogni utensile utilizzato nelle lavorazioni, un record
ottimizzato. Nel caso preso in considerazione il record ottimizzato è stato de-
finito introducendo i seguenti parametri tecnologici:

profondità di passata p = 0,5 mm


larghezza di passata dr = 16 mm
velocità di avanzamento Va = 1180 mm/min
numero di giri del mandrino n = 2950 rpm

A questo punto è possibile avviare l’ottimizzazione, tramite il comando Op-


tiPath (Figura 4.12) :

352
Ottimizzazione cinematica del percorso utensile

Figura 4.12: Attivazione di OptiPath

Nel corso della lavorazione attraverso l’utilizzo di una finestra di stato è


possibile conoscere, oltre ai principali parametri di taglio, anche la differenza
tra la durata della lavorazione non ottimizzata e la durata della lavorazione
ottimizzata.
Inoltre tale differenza può essere chiaramente evidenziata con un apposito
grafico (Figura 4.13).

Figura 4.13: Finestra di stato e Grafico di confronto pre e post – ottimizzazione

353
Appendice IV
4.6 Rugosimetro

Per analizzare la qualità delle superfici delle lavorazioni eseguite è stato


utilizzato un rugosimetro del tipo Perthometer Concept della Mahr GmbH.
La postazione di misura è costituita da un PC al quale è collegato lo stru-
mento di misura, oltre allo schermo e alla stampante necessari per visualizzare
ed emettere i rapporti di misura.
La postazione è composta da (Figura 4.14):

• Tastatore;
• Unità traslatrice;
• Stativo;
• Tavola di posizionamento.

Prima di avviare una misurazione bisogna impostare le condizioni di misura


(Figura 4.15).
Nella casella di gruppo ‘’Corsa di tast.’’, si imposta la lunghezza della corsa
di tastatura, che rappresenta la distanza percorsa dal tastatore, selezionando
uno dei pulsanti di opzione oppure immettendo, via tastiera, un valore nu-
merico che definisce la corsa di tastatura. Nelle misurazioni effettuate è stata
scelta una corsa di tastatura di 20 mm.

Figura 4.14: Rugosimetro Perthometer Concept

354
Ottimizzazione cinematica del percorso utensile

Figura 4.15: Impostazione delle Condizioni di Misura

Se la casella di controllo “Avanzamento” è attivata, durante la misura l’unità


traslatrice sposta il tastatore sulla superficie del pezzo.
Se, invece, è un azionamento esterno a muovere il pezzo, l’”Avanzamento”
deve essere disattivato.
Quando la casella di controllo “Ritorno” è attiva, dopo la misurazione il
tastatore torna alla posizione iniziale.

4.7 Risultati

L’ottimizzazione cinematica produce un nuovo part-program nel quale ve-


locità di taglio e velocità di avanzamento sono state modificate rispetto ai
valori del part-program non ottimizzato.
La traiettoria rimane la stessa, ma gli algoritmi di ottimizzazione suddivido-
no la traiettoria originale in più tratti per rispettare i vincoli di ottimizzazione
imposti, Figura 4.16 portando a part-program con un numero di blocchi diffe-
rente rispetto a quello non ottimizzato.
Per ogni utensile si deve definire un record di ottimizzazione per ottenere
il migliore utilizzo dell’utensile, tenere conto della potenza della macchina e
del materiale lavorato.
Precedenti prove hanno fissato i parametri di ottimizzazione in:

p (DOC) = 0,5 mm;


B = 16 mm;

355
Appendice IV
Feed = 1180 mm/min;
n = 2950 rpm.

Figura 4.16: Confronto tra part-program: a) Non Ottimizzato, b) Ottimizzato con il criterio a Volu-
me di Truciolo Costante, c) Ottimizzato con il criterio a Spessore di Truciolo Costante

Figura 4.17: Impostazione degli algoritmi di ottimizzazione: a) Ottimizzato con il criterio a Volume
di Truciolo Costante, b) Ottimizzato con il criterio a Spessore di Truciolo Costante

Per il part-program non ottimizzato la rugosità è riportata nella Tabella 4.1.


I valori di Ra (rugosità media aritmetica), riportati in Tabella 1, rappresentano
la media di tre delle cinque repliche eseguite per ciascun lato del percorso
(sono stati esclusi i valori massimo e minimo per ciascun lato). Anche per i
part-program ottimizzati è stato seguito lo stesso criterio per determinare il
valor medio di Ra per le repliche realizzate.
Si evidenzia un incremento di rugosità all’aumentare dell’ingaggio dell’u-
tensile (passando dal lato 1 al lato 4) in quanto aumenta l’attrito.

356
Ottimizzazione cinematica del percorso utensile

Tabella 4.1: Valori della rugosità media aritmetica (Ra) per il part-program
non ottimizzato
Ra [μm]
REPLICA LATO 1 LATO 2 LATO 3 LATO 4
1 0,62 0,88 1,46 1,65
2 0,62 0,72 1,06 1,33
3 0,68 0,99 1,29 1,58
Valore Medio 0,64 0,86 1,27 1,52

Tabella 4.2: Valori della rugosità media aritmetica (Ra) per il part – program
ottimizzato con il criterio dello Spessore di Truciolo Costante
Ra [μm]
REPLICA LATO 1 LATO 2 LATO 3 LATO 4
1 3,94 2,94 2,25 1,36
2 3,80 2,68 2,08 1,66
3 4,04 2,85 1,78 1,42
Valore Medio 3,93 2,82 2,04 1,48

La rugosità per il part-program ottimizzato con il criterio dello spessore di


truciolo costante è nella Tabella 4.2.
I valori si giustificano tramite la relazione intercorrente tra Ra e velocità di
avanzamento:

Va = az • n • z

n: numero di giri del mandrino [rpm]


z: numero di denti dell’utensile

Quindi az (avanzamento di ogni dente per ogni giro [mm/dente giro] è:


az=Va/(n∙z)

E poiché lo spessore di truciolo è funzione dell’avanzamento al dente per


giro, si ha:
s(ϑ)=az sinθ=Va/(n∙z) sinϑ
Lungo il percorso l’angolo di contatto incrementa e quindi aumenta il va-
lore del seno dell’angolo di contatto. Per mantenere costante lo spessore, la

357
Appendice IV

velocità di avanzamento diminuisce (essendo n ed n costanti) e come si evi-


denzia nel part-program di Figura 4.16c . La rugosità è proporzionale al qua-
drato della velocità di avanzamento e quindi trova giustificazione l’incremento
di rugosità.

Ra∝Va2

Tabella 4.3: Valori della rugosità media aritmetica (Ra) per il part-program
ottimizzato con il criterio del Volume di Truciolo Costante

Ra [μm]
REPLICA LATO 1 LATO 2 LATO 3 LATO 4
1 2,73 2,25 2,90 3,09
2 2,62 2,73 2,42 2,86
3 2,54 3,31 3,49 2,19
Valore Medio 2,63 2,76 2,94 2,71

Per il criterio di ottimizzazione a volume rimosso costante la rugosità dipende


dall’ingaggio radiale dell’utensile che per bassi valori produce una finitura miglio-
re del precedente criterio con una tendenza a peggiorare per valori di ingaggio
radiale crescenti, Tabella 4.3.
Per valutare gli algoritmi di ottimizzazione in termini di tempo di esecuzione
dei part – program è stata normalizzata la durata del part – program non otti-
mizzato considerandolo di durata unitaria mentre le durate dei part – program
ottimizzati è riportata in percentuale rispetto a quello non ottimizzato, Figura 4.18.

Figura 4.18:
Confronto dei tem-
pi di esecuzione dei
tre part-program

358
Ottimizzazione cinematica del percorso utensile

Il criterio a volume rimosso produce una notevole diminuzione del tempo


di lavorazione ma i valori di rugosità ottenuti non sono accettabili in lavora-
zioni di finitura.
I valori di rugosità rilevati per entrambi i criteri testati sono maggiori di
quelli prodotti dal part-program non ottimizzato.
Tale risultato suggerisce di utilizzare i predetti criteri per le lavorazioni delle
prime fasi del ciclo in cui si può ottenere signifecativi riduzioni di tempo di
lavorazione.

359
Appendice V

Esempi applicativi di ottimizzazione delle lavorazioni per


asportazione di truciolo

5.1. Introduzione

Di seguito viene presentato un’attività sperimentale di ottimizzazione dei


parametri di taglio finalizzata allo sfruttamento ottimale degli inserti nelle la-
vorazioni di componenti in superleghe di Nichel caratterizzati da condizioni di
ingaggio pezzo-utensile variabile.

5.2. Ottimizzazione dei parametri di taglio nella tornitura di superleghe


di nichel

La scelta delle condizioni di taglio ottimali in un processo industriale con-


tribuisce ad un incremento della produttività con conseguente riduzione dei
costi. L’incremento della produttività è da ricondursi soprattutto ad una impo-
stazione ottimale dei parametri di taglio ed alla possibilità di ridurre quanto
più possibile il numero di fermi macchina per la sostituzione inserto.
L’approccio proposto dagli autori va nella direzione di mettere a punto
una metodologia per la ricerca dei parametri di taglio più performanti in una
lavorazione di tornitura, attraverso l’utilizzo di tecniche numeriche di ottimiz-
zazione basate sull’accoppiamento di modelli predittivi approssimati (superfici
di risposta RSM) con algoritmi numerici.
La procedura utilizzata per risolvere la problematica di interesse industriale
prevede i seguenti step:
• Definizione delle variabili e grandezze monitorate dal DoE (Design of
Experiment);
• Piano degli Esperimenti;
• Esecuzione delle lavorazione sulla base dei parametri indicati dal DoE;
• Misurazione del massimo labbro di usura (VBmax) mediante microsco-
pio ottico;
• Generazione della superficie di risposta (RSM);
• Ottimizzazione dei parametri di processo tramite accoppiamento del-
l’RSM con algoritmo genetico;
• Impiego e verifica dei parametri ottimizzati tramite l’esecuzione di spe-
cifiche lavorazioni;
• Interpretazione dei risultati e interventi correttivi sul processo.

361
Appendice V

5.2.1. Stato dell’arte

Il problema economico delle lavorazioni per asportazione di truciolo con-


siste nella determinazione dei parametri di processo, di solito: la velocità di
taglio, l’avanzamento e la profondità di passata in modo da ottimizzare la
funzione obiettivo [Boothroyd, 1985; Chapman 2002]. Nella determinazione di
questi parametri, particolare attenzione è data ai vincoli imposti dall’ opera-
zione come: la durata dell’inserto in funzione del suo livello di usura, la poten-
za di taglio, la temperatura all’interfaccia inserto-truciolo.
Recenti studi hanno evidenziato come la scelta dell’inserto più appropriato
viene fatta in meno della metà dei casi, inoltre l’utensile è usato alla velocità
di taglio massima consigliata solo per il 58% del tempo previsto come sua vita
utile.
Da questi dati risulta evidente la necessita dello sviluppo di metodologie
validate attraverso sperimentazione, al fine di rendere disponibile uno stru-
mento per la selezione dell’utensile e delle condizioni di taglio più perfor-
manti in funzione del tipo di lavorazione. La selezione degli utensili e delle
condizioni di taglio rappresenta un elemento essenziale nella pianificazione
delle operazioni di machining. Questo compito è tradizionalmente svolto sulla
base dell’esperienza dei progettisti con l’aiuto di manuali e cataloghi. Torniture
e fresature sono fra le operazioni più comuni in svariati settori industriali. I
tecnologi continuano a sperimentare grandi difficoltà nella determinazione
dei parametri di taglio a causa di mancanza di dati sulle performance di nuovi
utensili accoppiati con differenti materiali e rivestimenti dei ta-glienti [Jawa-
hir, 2007]. Nel presente articolo gli autori propongono una metodologia per
l’ottimizzazione dei parametri di processo su componenti di difficile lavorazio-
ne alle macchine utensili perché, costituiti da superleghe a base di Nichel ed
aventi geometria complessa. La metodologia si basa sull’accoppiamento di su-
perfici di risposta RSM, ottenute da dati estratti direttamente dalle lavorazioni,
con algoritmo genetico. Le industrie aeronautiche fabbricano componenti di
motori con: leghe di titanio, leghe di nichel ed anche con acciai speciali. Que-
sto settore industriale è caratterizzato da costi molto elevati richiesti per la
produzione della componentistica sviluppata. Una delle possibili strade da se-
guire per la riduzione di questi costi è sicuramente quella di ridurre i tempi di
lavorazione cercando di sfruttare al massimo la vita utile degli inserti [Ribeiro,
2003]. Le leghe di impiego aeronautico (le leghe di Nichel come il Waspaloy
e l’Inconel 718) sono di difficile lavorabilità alle macchine utensili per le loro
elevate proprietà meccaniche e chimiche ad alta temperatura. Il titanio è usato
per applicazioni di tipo strutturale, mentre il Waspaloy è utilizzato nelle sezioni
calde delle turbine.
Per queste particolari leghe, la produttività nelle lavorazioni per asporta-
zione di truciolo è limitata dall’usura utensile, la quale rappresenta una por-
zione di costo significativa [Kishawy, 2004]. Numerosi sono stati i ricercatori
che si sono cimentati e numerose sono state le metodologie sviluppate per

362
Esempi applicativi di ottimizzazione delle lavorazioni per asportazione di truciolo
l’ottimizzazione dei processi di taglio, al fine di aumentare la produttività ri-
ducendo i costi. Alcune di queste metodologie si basano su ottimizzazione
di singolo-passo [Wang, 2002; Kirov, 2002], nelle quali i parametri ottimizzati
sono l’avanzamento e la velocità di taglio. Questa approccio è finalizzato a
definire la condizione di lavoro per la quale si è nella configurazione che con-
sente di asportare il massimo materiale possibile in un'unica passata. Un'altra
tipologia di approccio di ottimizzazione della lavorazione è definita, multi-
passo [Ahmad, 2001; Sonmez, 1998; Onwubo-lu, 2002; Saravanan, 2003]. Nelle
operazioni multi-passo, i parametri ottimizzati sono: la profondità di passata o
il numero di passate, la velocità di taglio e l’avanzamento.
Molti ricercatori, per determinare le relazioni esistenti tra i vari parametri
utilizzano le tecniche numeriche legate alla creazione di superfici di risposta
del sistema di lavorazione. Le RSM sono una collezione di procedure statisti-
che e matematiche utili per la modellazione e l’analisi di problemi nei quali la
“response” del sistema analizzato è influenzata da molte variabili e l’obiettivo
è di ottimizzare questa response [Horng, 2008]. I metodi tradizionali per la
risoluzione dei problemi di ottimizzazione includevano la programmazione di-
namica e la ricerca casuale, mentre i moderni metodi euristici includono le ben
note tecniche: Artificial Neural Network [Cus, 2006; Zuperl, 2003], Lagrangian
Relaxation Approaches [Daskin, 1995], Simulated Anneling [Pandey, 1995] e
Algoritmi Genetici [Cus, 2003; Amiolemhen, 2004].
In questo articolo viene proposto un metodo di ottimizzazione basato
sull’integrazione di superfici di risposta con un algoritmo genetico. Il processo
analizzato è basato sulla metodologia di ottimizzazione a singolo passo, ma
può essere facilmente adattato anche per affrontare problemi di ottimizzazio-
ni di tipo multi-passo. Nel dettaglio il caso di studio prevede, l’analisi e l’otti-
mizzazione della velocità di taglio e dell’avanzamento, avendo come vincolo
di ottimizzazione la dimensione del labbro di usura.

5.2.2. Contesto di riferimento

Le superleghe di Nichel sono ampiamente utilizzate nella costruzione di


componenti per le parti calde dei motori aeronautici (dagli ultimi stadi dei
compressori nei combustori e post-bruciatori, alle turbine e Casing motore).
Le superleghe di Nichel costituiscono mediamente il 40-50 % del peso com-
plessivo di un motore aeronautico. Attualmente costituiscono, in peso, il 50%
dei motori aeronautici più avanzati. Il nichel è l’elemento che costituisce la
base della matrice. Sebbene il solo nichel non abbia elevato modulo elastico
o bassa diffusività, fattori necessari per una elevata resistenza al creep, esso
costituisce la base delle leghe che possono essere utilizzate a temperature che
arrivano fino a 0.8 T fusione e per tempi di funzionamento che superano le
100.000 ore. Il componente utilizzato per la fase sperimentale è stato lavorato
su un tornio verticale con un inserto ceramico. Il materiale lavorato è una lega

363
Appendice V

di Nichel, il Waspaloy della quale viene di seguito riportato in Tabella 5.1, la


composizione chimica e le percentuali in peso Min/Max dei vari elementi che
costituiscono la lega.

Tabella 5.1: Composizione chimica del Waspaloy.

Composizione % in Peso Minima % in Peso Massima


C 0.03 0.1
Mn - 0.1
Si - 0.15
S - 0.015
P - 0.015
Cr 18 21
Ni Balance -
Co 12 15
Fe - 2
Mo 3.5 5
Ti 2.75 3.25
Al 1.2 1.6
B 0.003 0.01
Zn 0.02 0.08

Il Waspaloy presenta un’ottima resistenza meccanica alle alte temperature,


una buona resistenza alla corrosione, in particolare all’ossidazione per tempe-
rature di servizio di 650°C tipiche dei componenti rotanti in turbine di motori
aeronautici. In Figura 5.1 sono riportate alcune proprietà meccaniche della
lega in esame.

Figura 5.1: Proprietà meccaniche del Waspaloy.

364
Esempi applicativi di ottimizzazione delle lavorazioni per asportazione di truciolo

5.2.3. Set-up sperimentale

Per la sperimentazione della procedura proposta è stato utilizzato un prototipo


costituito dalla geometria riportata in Figura 5.2-A e Figura 5.2-B, caratterizzato
da un profilo tronco conico nel quale si alternato concavità (cartelle) e convessità
inframmezzate da tratti di profilo rettilinei (corone circolari) rappresentative delle
condizioni di lavoro tipiche delle lavorazioni industriali oggetto dell’indagine. Il
prototipo è stato progettato con tale architettura per richiamare quella classica
di un casing turbina di un motore aeronautico, caratterizzato da una sequenza di
superfici concave alternate a quelle convesse. La lavorazione risulta complessa per
via delle successive passate che l’inserto è costretto a fare su spigoli e raccordi.

Figura 5.2: (A) Geometria del componente utilizzato nell’attività sperimentale; (B) Sezione del compo-
nente con indicazione dei settori di lavorazione.

I componenti fisici a disposizione per le prove sperimentali sono 5, ognuno di


essi è caratterizzato da 11 sostituzioni inserto, una per ogni settore. Per settore si
intende la zona in cui un singolo utensile lavora prima di essere sostituito. L’idea è
quella di adottare nelle prove sperimentali dei parametri diversi per ogni inserto, e
quindi per ogni settore a disposizione, in modo da poter investigare l’intero piano di
lavoro sulla base di un DoE (Design of Experiment), generato su 55 prove. Le gran-
dezze tecnologiche utilizzate nel DoE sono: velocità di taglio (S [m/min]), avanza-
mento (F [mm/giro]); ed il volume rimosso (Vrim [mm3]). La macchina utilizzata per
eseguire le lavorazioni è un tornio verticale Sirmu VTM220. Il componente è stato
lavorato con inserto ceramico a base di SiAlON, prodotto dalla Sandvik Coromant
CC 6060 con un diametro di 12.7 mm e geometria illustrata in Figura 5.3:

Figura 5.3:
Geometria dell'inserto in SiAlON

365
Appendice V

I ceramici SiAlON sono stati molto studiati per le loro promettenti proprie-
tà, come le elevate proprietà meccaniche. Fin dal 1976 il SiAlON è stato usato
come materiale da utensile con successi in molte applicazioni. Il componente
di base del materiale è costituito da nitruro di silicio con aggiunta di ossido
di alluminio. È una fase di soluzione solida che si ottiene durante il processo
di sinterizzazione del nitruro di silicio. La fase α si scioglie nella fase liquida e
si ha precipitazione di fase β con simultanea sostituzione di Al e O rispettiva-
mente al posto di Si e N. Variando la quantità dei componenti di partenza si
può regolare il grado di sostituzione. Il SiAlON possiede elevate proprietà in
termini di:

• Resistenza agli shock termici;


• Non bagnato o corroso da parte di metalli non ferrosi;
• Bassa espansione termica;
• Alta resistenza meccanica;
• che lo rendono adatto per essere utilizzato nelle condizioni di lavoro
di interesse.

5.2.4. Approccio proposto

Gli autori propongono una metodologia per l’ottimizzazione del processo


di taglio mediante l’integrazione delle RSM, generate a partire da dati forniti
da test sperimentali, con un algoritmo genetico per la fase di ottimizzazione
dei parametri di processo (Figura 5.4).

Figura 5.4: Flusso logico della procedura messa a punto per l'ottimizzazione.

366
Esempi applicativi di ottimizzazione delle lavorazioni per asportazione di truciolo

L’applicazione della procedura sviluppata consente di ottenere dei parame-


tri di processo ottimizzati in funzione del vincolo sul livello massimo di usura
VBmax ammissibile. Il VBmax è il valore massimo dell’usura, misurata in millimetri,
sul dorso dell’inserto. In Figura 5.5 viene indicato il metodo di rilevamento del
labbro di usura VBmax. Le misure sono eseguite rispetto ad un punto di riferi-
mento realizzato sull’utensile, in modo tale da non incorrere in errori di lettura
dovuti all’abbassamento del tagliente.

Figura 5.5: Misurazione dell’usura massima (VBmax) sul dorso dell'inserto.

La procedura implementata è del tutto generale, potrà essere utilizzata


anche per componenti che presentano geometrie diverse rispetto a quelle uti-
lizzate per lo sviluppo della stessa, purché venga rispettato il vincolo di accop-
piamento: materiale del componente lavorato-materiale e geometria inserto.

5.2.5. Applicazione delle RSm ad un caso di studio

Il Metodo delle Superfici di Risposta (RSM) permette di valutare in modo


efficiente la risposta del sistema analizzato in funzione della variabilità dei pa-
rametri di input. In tal modo è possibile individuare il set dei parametri di in-
put che consente di massimizzare/minimizzare in modo efficace la grandezza
analizzata [Isight User’s guide, 2008]. La mappatura del design space è basata
su una serie di dati sperimentali ottenuti da lavorazioni direttamente eseguite
al tornio. Le superfici approssimate utilizzate in questo lavoro sono basate su
modelli polinomiali del 4° ordine che approssimano la funzione reale di par-
tenza. Le funzioni del 4° ordine non hanno termini misti per ordini superiori al
secondo, infatti nell' equazione (equazione 5.1) si può notare come il polino-

367
Appendice V

mio di quarto grado presenti solo i termini puri del terzo e del quarto ordine.
Questa soluzione, se da un lato non consente di avere sensibilità tra le corre-
lazioni tra variabili di ordine superiore al quarto, presenta però il vantaggio di
ridurre la quantità di dati necessari per la costruzione dei modelli descrittivi
del processo.

Eq. 5.1

Dove: N è il numero di punti in cui è noto il valore della grandezza da


approssimare attraverso la superficie di risposta; xi rappresentano le variabili
del problema; a, b, c, d, e, sono i coefficienti polinomiali [I-sight User’s guide,
2008].

Figura 5.6: Schema di generazione delle RSM.

Per la generazione delle superfici di risposta RSM è stato utilizzato un


software commerciale. Per rendere possibile una valutazione qualitativa
del fenomeno analizzato sono stati realizzati dei grafici tridimensionali nei
quali a coppie di variabili, corrisponde in z il valore della grandezza ana-
lizzata (VBmax); la terza variabile non visualizzata vie-ne, di volta in volta,
imposta come costante con valore pari all’estremo inferiore del range di
variabilità assegnato.
Dall’analisi qualitativa delle superfici di risposta (Figura 5.7), si evince
che il VBmax è influenzato in maniera significativa dalla velocità di taglio (S)
e dal volume rimosso Vrim, mentre l’avanzamento (F) ha minore influenza
sull’usura inserto rispetto ai due precedenti fattori.

368
Esempi applicativi di ottimizzazione delle lavorazioni per asportazione di truciolo

Figura 5.7: Superfici di risposta ottenute sulla base dei dati sperimentali.

5.2.6. Valutazione qualitativa dell’attendibilità previsionale delle RSM

Per valutare la qualità dei meta modelli messi a punto attraverso la creazione
delle superfici di risposta è stata eseguita un'analisi dell'errore medio per le gran-
dezze d'interesse analizzate nello studio. Per ogni superficie di risposta generata
è stato calcolato l'errore medio cioè la media della somma delle differenze tra i
valori rilevati sperimentalmente nei punti di campionamento ed i valori predetti
dalla superficie di risposta negli stessi punti. Questo indice permette di avere un

369
Appendice V

controllo qualitativo sulle capacità della superficie di risposta analizzata di ap-


prossimare il fenomeno reale. L'errore è calcolato sulla base di una serie di punti
di campioamento (8 nel caso di studio) specificamente selezionati all'interno del
design space e non coincidenti con punti campionati nel DoE [Del Prete, 2009].

Figura 5.8: Definizione dell'errore tra valori previsti dal meta modello e valori rilevati sperimen-
talmente.

Sono stati confrontati i valori del VBmax predetti dalle RSM con quelli otte-
nuti sperimentalmente da 8 prove appositamente eseguite in punti del design
space non monitorati dal DOE (punti di controllo) (Figura 5.8). I risultati hanno
evidenziato per la superficie di risposta sviluppata, un errore medio di previ-
sione stimato nell’ordine del 13%.
5.2.7. Ottimizzazione

Per l’ottimizzazione delle condizioni di taglio è stato accoppiato al modello


RSM, generato in base alle misure sperimentali eseguite, un Algoritmo Gene-
tico Multi – Island (Figura 5.9).

Figura 5.9: Schema logico di ottimizzazione.

Il processo di ottimizzazione, quindi l’accoppiamento delle superfici di ri-


sposta con un algoritmo genetico è stato effettuato tante volte, quanti sono
i settori del pezzo in lavorazione da ottimizzare, in modo da ottenere una
configurazione ottimale per ciascuna condizione di lavoro esaminata. L’otti-
mizzazione dei parametri di processo in ognuno dei settori del test case, ha
richiesto mediamente 1000 cicli di iterazioni per giungere a convergenza, per
un tempo indicativo di calcolo di pochi minuti.

5.2.8. Formalizzazione del problema di ottimizzazione

La procedura di ottimizzazione messa a punto, ha come obiettivo quello di

370
Esempi applicativi di ottimizzazione delle lavorazioni per asportazione di truciolo

minimizzare il tempo di esecuzione dell’operazione di tornitura attraverso la


massimizzazione dell’avanzamento F, nel rispetto dei vincoli di usura imposti.
Il problema di ottimizzazione è stato formalizzato analiticamente nel seguente
modo:

Variabili:

• F variabile continua nel range di definizione [mm/giro]


• S variabile continua nel range di definizione [m/min]
• Vrim = Costante ; dipendente dal settore analizzato [mm3]

Vincoli di Ottimizzazione:

• 0.5 < VB,max < 0.7 mm

Funzione Obiettivo:

• Massimizzare la velocità di avanzamento F [mm/giro]

Una volta definiti i parametri di lavoro ottimali per ogni settore di lavora-
zione, questi sono stati utilizzati per la definizione di un part program ottimiz-
zato (Figura 5.10).

Figura 5.10:
Schema logico
dell'ottimizzazione
dei parametri di
processo e loro
riscrittura nel part-
program.

371
Appendice V

5.2.9. Test sperimetale di validazione dei parametri ottimizzati

Il part-program ottimizzato è stato utilizzato per l’esecuzione di una lavo-


razione di verifica. Il confronto dei tempi di lavoro ha evidenziato un risparmio
stimabile in circa il 25% rispetto al tempo impiegato per eseguire la lavorazio-
ne utilizzando il part program di partenza, non ottimizzato (Figura 5.11).

Figura 5.11: Confronto tra tempi di esecuzione della lavorazione (in minuti).

Dall’analisi dell’usura presente sugli inserti utilizzati per la lavorazione del


test case con parametri di processo ottimizzati, si è avuta la seguente evidenza:
Usure elevate, ma nel rispetto dei limiti imposti in fase di ottimizzazione, su
tutte le cartelle (Figura 5.12).

Figura 5.12: Esempio di usura rilevata negli inserti che hanno lavorato sulle cartelle.

372
Esempi applicativi di ottimizzazione delle lavorazioni per asportazione di truciolo

Valori di usura molto più bassi rispetto a quelli stimati in fase di ottimizza-
zione, su tutte le corone circolari (Figura 5.13).

Figura 5.13: Esempio di usura rilevata sugli inserti che hanno lavorato sulle corone circolari.

Questi risultati indicano che è possibile utilizzare lo stesso inserto per ese-
guire contemporaneamente più lavorazioni di corone esterne, questo per-
metterà di ottenere un duplice risultato: un'ulteriore riduzione del tempo di
lavorazione in conseguenza della riduzione di fermi macchina necessari per la
sostituzione degli inserti e un risparmio economico derivante dalla riduzione
del numero di inserti necessari per il completamento della lavorazione.

5.2.10. Conclusioni

È stata presentata una procedura per l’ottimizzazione dei parametri di pro-


cesso in un’operazione di tornitura di superleghe a base di Nichel median-
te l’utilizzo di superfici di risposta (RSM), generate a partire da dati estratti
direttamente da lavorazioni su componenti industriali. Le prove sperimentali
sono state eseguite sulla base dei dati ottenuti dal DoE di tipo Optimal Latin
Hypercube. La superficie di risposta è stata generata utilizzando tecniche di
approssimazione polinomiale del quarto ordine. Le RSM sono state accoppia-
te con algoritmo genetico Multi-sland. Il valore aggiunto della metodologia
presentata risiede nel poter utilizzare dati derivanti dai processi di lavorazione
industriali, evitando di eseguire onerose campagne di sperimentazione spe-
cifi-catamente dedicate. La procedura potrà essere utilizzata anche per com-
ponenti che presentano geometrie diverse rispetto a quella utilizzata per lo
sviluppo della stessa.

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