Salvatore Brizzi - Un'esperienza Non Consueta

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[In esclusiva per Il Giardino dei Libri]

Un’esperienza non consueta


Quando mi viene chiesto da quanto io sono qui, io
rispondo “Un secondo…” o “Un giorno…” o “Un
secolo...”. Tutto dipende da che cosa intendo per “qui”
e “io” e “sono”.
Samuel Beckett

Ciò che mi è successo, mi è successo nel 2005.


Mi sono svegliato dal sogno del tempo per entrare
nella realtà del Qui-e-Ora.
A un passo dal suicidio, nel bel mezzo d’un’intensa
sofferenza, non ho mai smesso un attimo di restare
“presente a me stesso” e di considerarmi come l’unico
responsabile di quello che mi stava accadendo. In
realtà non capivo quello che stavo attraversando e che
da un certo punto di vista ritenevo un’ingiusta
punizione dell’Universo, ma dentro di me,
profondamente, sapevo che quell’intenso dolore lo
volevo io e aveva l’unico scopo di risvegliarmi.
All’epoca lavoravo su di me da anni, per cui possedevo
già degli strumenti solidi... ma questo non ha
diminuito la mia percezione della sofferenza.

Dopo aver trascorso almeno due ore riverso sul


pavimento della mia stanza a piangere, tenendomi il
plesso solare, rannicchiato in posizione fetale, senza
mai smettere di osservarmi come uno spettatore di
quella sofferenza, a un certo punto è esploso qualcosa
in corrispondenza del terzo occhio e del petto. Non
avere il coraggio di uccidermi e allo stesso tempo non
avere il coraggio di vivere degnamente, ha provocato
in me una qualche forma di collasso che mi ha
sbalzato fuori dalla dimensione consueta. La situazione
del “non avere via d’uscita” è sempre una situazione
ricca di opportunità.

In particolare al centro del petto è avvenuto qualcosa


di paragonabile a uno squarcio, accompagnato da un
calore immenso. La sensazione era di avere l’Universo
in fiamme che fuoriusciva dal petto. Allargai braccia e
gambe restando disteso sulla schiena. Mi sentivo come
un corpo fatto di Fuoco dentro un corpo fatto di
materia. Io – ossia la mia coscienza, la mia anima
colma di gioia – avevo finalmente occupato come un
ospite il mio corpo e la mia mente. Ero qualcosa di
differente rispetto a prima: privo di pensieri,
tranquillo, rilassato, in costante stato di osservazione,
ma, soprattutto, improvvisamente pieno d’amore per
la vita.

Guardavo gli oggetti e li vedevo fatti di compassione,


non più di materia. Guardavo le persone e ne vedevo
la coscienza in via di evoluzione, non più la personalità
problematica. Avevo attraversato un portale ed ero
stato proiettato nella Dimensione Superiore: una
prospettiva nuova, bellissima, dove persino la
brillantezza dei colori era differente. Eppure era ancora
il mondo che conoscevo, la mia stanza, il mio
quartiere, il parco pubblico vicino a casa mia, i miei
parenti.
Il tempo non c’era più, tutto era diventato istantaneo.
Non avevo più confini. Ero nel flusso. La pianta di mia
madre che cresceva nel vaso sul balcone e io che la
osservavo avevamo lo stesso grado di serenità e di
assenza di preoccupazioni per ciò che sarebbe
accaduto nelle nostre rispettive vite. La medesima
non-percezione del passato e la medesima non-
percezione del futuro. A una pianta può accadere
qualunque cosa, si trova letteralmente in balia della
vita e degli esseri umani che le stanno intorno, eppure
non manifesta la minima ansietà per il futuro, vive solo
un istante per volta. Io improvvisamente mi ritrovavo
in quello stesso stato, ma rispetto alla pianta avevo il
vantaggio evolutivo della coscienza. Io ero cosciente di
ciò che stava accadendo in quanto ero passato
attraverso la mente e lo scorrere del tempo; la pianta
no, perché non aveva mai avuto accesso a una
coscienza temporale.

Da quanto tempo ero disteso sul pavimento? Da


sempre!
Tutto l’Universo nasceva e moriva a ogni momento. In
assenza di mente non avevo più appigli temporali.
Come fa un albero a sentire il tempo che passa? Stavo
galleggiando nel Vuoto pur restando perfettamente
cosciente, ma di una coscienza non-mentale, una
coscienza talmente grande e innamorata della vita che
si reggeva da sé e che – ne ero sicuro – si sarebbe
retta da sé pur senza un cervello fisico.

Quando pensi seriamente di suicidarti e ti chiudi nella


tua stanza con quello scopo, la sofferenza egoica è
evidentemente giunta al limite di sopportazione. Il
fatto che una parte profonda di me continuasse a
ripetermi “lavora su di te... osservati... resta presente”
mi ha salvato la vita quella sera.
Così mi sono ritrovato a essere un Figlio del Momento.
Adesso osservo Dio e lo lascio fare.

Ci impiegai diverse settimane per adattarmi a quella


condizione. Avrei saputo più tardi da altri personaggi –
e si evince anche dal racconto di Eckhart Tolle – che in
realtà ero stato velocissimo rispetto a coloro cui
accadono esperienze simili. Dopo qualche settimana
ero già in grado di andare a fare la spesa e sostenere
una conversazione apparendo come una persona del
tutto normale. Anche se ancora oggi, quando entro in
stati particolarmente profondi, sono costretto a
rallentare sia i movimenti che la parola e ho qualche
difficoltà ad accedere al pensiero.

In quei giorni stavo scrivendo il mio primo libro,


Officina Alkemica. Cominciai a correggere alcune parti
del testo per renderle più comprensibili, poi le cancellai
ancora e le riscrissi, e andai avanti così per giorni. Ero
ossessionato dal fatto che il libro dovesse diventare
comprensibile a tutti. Le frasi mi sembravano sempre
troppo complicate. Alla fine lo cancellai definitivamente
e ricominciai a scrivere daccapo. Doveva essere
un’Alchimia for dummies. Volevo che tutti avessero
almeno una possibilità di accedere allo stato in cui mi
trovavo io. Questo spirito è rimasto in tutte le mie
opere seguenti.
Da quel giorno non mi sono più capitati incidenti o
sofferenze?
In un certo senso sì e in un certo senso no. Gli eventi
continuano a capitare e dal corpo astrale ogni tanto
emerge qualche dolore. D’altronde se qualcuno vi
pesta un piede vi fa male sia che voi siate nella mente
sia che voi siate nell’Uno. E ciò che vale per il corpo
fisico vale, almeno in parte, anche per quello astrale.
Ma quindi cosa è davvero cambiato? Punto primo: le
sofferenze emotive non si fanno più sentire. Sotto
questo aspetto nessuno vi può più pestare i piedi in
quanto non avete più un’identità da difendere.
Possiamo dire che le sofferenze e i fastidi quotidiani
scompaiono del tutto. Allora che cosa rimane?

Gli antichi dolori derivanti da incarnazioni precedenti


emergono ancora sottoforma di eventi che li portano
alla luce. In altre parole, in uno stato di presenza
costante, nel Qui-e-Ora, non aggiungete nuovi
meccanismi, si sciolgono istantaneamente quelli
vecchi, ma occorre più tempo perché si sbroglino i
traumi più radicati.

Punto secondo: non siete più identificati con quei


traumi e con le relative sofferenze, per quanto
possano essere antichi e radicati. La sofferenza, al
limite, accade dentro di voi, ma non accade più a voi.
La sofferenza si manifesta come un’increspatura sulla
superficie della coscienza risvegliata, ma voi, in quanto
coscienza risvegliata, non soffrite più. Voi restate
quella pace che sottende ogni increspatura. Quando si
manifesta una sofferenza nel corpo emotivo, voi ci
potete scherzare su... per quanto ciò possa apparire
incredibile.

Questa è una prospettiva del tutto nuova da cui


percepire il dolore, il quale comunque, grazie alla
presenza nel Qui-e-Ora, ha le ore contate. Lo stato di
piena presenza e la sofferenza non possono infatti
sovrapporsi a lungo. O termina una o termina l’altra.
Ecco perché questo stato tanto agognato viene anche
definito “liberazione”.

La fuga
Alice: “Per quanto tempo è “per sempre”?”
Bianconiglio: “A volte... solo un secondo”.
Lewis Carrol

Per secoli, l’uomo ha creduto che il Sole girasse


intorno alla Terra. Oggi pensa ancora che il tempo
effettivamente scorra in una certa direzione e non sia
invece qualcosa di istantaneo... immobile... eterno.

La sensazione che il tempo scorra è dovuta all’attività


temporale della mente e non a un fenomeno che
accade indipendentemente dall’essere umano che ne è
testimone. Quando ci identifichiamo con l’attività
temporale della mente viviamo in un mondo astratto
che, oltre a non corrispondere alla realtà, ci causa
ansie, paure, sensi di colpa e sofferenze di vario
genere.

L’Universo dal punto di vista di un albero non si


muove, non scorre, non va da nessuna parte che non
sia il Qui-e-Ora. Noi guardiamo l’albero e diciamo che
il tempo scorre comunque, perché è qualcosa di
oggettivo (infatti l’albero oggettivamente cresce) e tutt
al più siamo disposti ad ammettere che l’albero non
può accorgersene perché non ha coscienza. Invece
non è così, perché dal suo punto di vista l’albero non
cresce. Lo scorrere del tempo non è un fenomeno
oggettivo, è un fenomeno mentale, infatti l’albero, che
è privo di mente, vive in un costante presente e
concetti come “crescita”, “sviluppo” o “evoluzione” nel
suo caso non hanno proprio senso.

Il fatto che solo pochissimi studiosi nel corso della


storia si siano accorti che il tempo è un fenomeno
mentale e non un fenomeno della natura, in quanto
l’intera natura si accontenta di vivere nel Qui-e-Ora, è
una conseguenza del fatto che da qualche secolo
scienza e filosofia siano finite nelle mani di persone
“diversamente intellettuali” (non si può più dire
stupidi), veri e propri malavitosi della logica, fuorilegge
del buonsenso, disadattati della razionalità. Il fatto che
non sappiano nulla ma pensino di sapere tutto indica
in loro una chiara propensione per la carriera politica,
ma risulta deleterio quando parliamo di divulgazione
d’un sistema di pensiero nelle scuole e nelle
Università.

Ma veniamo a noi: perché ci è utile conoscere queste


informazioni circa il tempo?
Perché se abbiamo inquadrato sufficientemente bene
l’origine del problema allora possiamo organizzare una
fuga dalla mente temporale e uscire così dall’ignoranza
e dalla sofferenza che affliggono gli esseri umani.

Ciò che ci causa sofferenza è l’incessante attività della


mente, con le emozioni negative che vi sono associate.
Si tratta allora di entrare in uno stato di coscienza
dove mente ed emozioni vengono messe a tacere. Non
avere più problemi non significa infatti non vivere più
difficoltà nella vita, bensì trovarsi in uno stato di
consapevolezza dove scompare la fastidiosa
“sensazione di avere un problema” che è di natura
mentale ed emotiva. A ben guardare non ci causano
disturbo i fatti della vita, ma quella terribile ansia di
fondo, la preoccupazione, la “sensazione che ci sia
qualcosa che non va”.
Se usciamo da questa sensazione di disagio
mentale/emotivo, allora abbiamo eliminato alla fonte
ogni problema.

L’attività mentale/emotiva si regge sullo scorrere del


tempo. Possiamo infatti sostenere che la mente è
letteralmente fatta di tempo. La mente pensa sempre
“nel tempo” e mai “fuori dal tempo”, proprio perché è
un tutt’uno col tempo che scorre, mentre la sua
attività compulsiva viene istantaneamente annichilita
dalla focalizzazione nel Qui-e-Ora. Non voglio
approfondire questo discorso dal punto di vista più
filosofico, perché non voglio far sentire a disagio quei
gruppi di lettori che non sono stati sfiorati dall’alito
dell’intelligenza e che si possono facilmente
riconoscere in quanto considerano delle salutari
innovazioni il seitan, il tofu, la birra analcolica e la
sigaretta senza nicotina.

Uscire dalla mente e uscire dal tempo rappresentano la


medesima azione.
Per operare in questo senso si tratta di individuare un
portale di fuga da questa dimensione al fine di entrare
nella Dimensione Superiore. Il portale esiste e si trova
anche in una posizione decisamente accessibile: Qui-e-
Ora, ossia, sotto il nostro sedere.

La Dimensione Superiore non la si raggiunge né


attraverso lo spazio né per mezzo del tempo; non è
come fare uno stupido viaggio astrale, ma qualcosa di
molto più elevato e molto più radicale. Entrare nella
dimensione senza tempo è come passare dalle due
dimensioni della superficie alle tre dimensioni del
solido, si acquisisce cioè una differente “profondità” di
coscienza.

Io lo so fare perché sono una sciamana che ha


attraversato millenni. Sono antica... così antica che le
stesse stelle si sono dimenticate della mia nascita.
Victoria Ignis

Innanzitutto dobbiamo conoscere la distinzione tra


»passaggi laterali« e »passaggi verticali«. I passaggi
laterali sono quelli che ci permettono di accedere, per
esempio, ai differenti sottopiani della dimensione
astrale. In verità non siamo saliti di un piano verso la
Dimensione Superiore, ma siamo solo entrati
nell’appartamento di fianco al nostro. Questo è ciò che
fanno i banali viaggiatori astrali, credendo di aver
compiuto chissà quale balzo dimensionale di natura
epocale. In verità la coscienza, per quanto alterata, in
quelle dimensioni laterali resta fondamentalmente la
stessa, il che, detto in altri termini, significa che se eri
uno stronzo di qua, lo resti anche in astrale!

Se lo slittamento laterale è per pochi, lo slittamento


verticale è per pochissimi. Non ci trasferiamo
nell’appartamento accanto, ma saliamo di un piano.
Per fare questo è necessario che avvenga un’apertura
del Cuore stimolata da una radicale Presenza nel Qui-
e-Ora. La paura, l’esitazione, la rabbia, l’impazienza, la
presunzione... ci catapultano – se presenti al momento
del tentativo di fuga – in luoghi dell’astrale dove
accadono cose a cui è meglio non pensare se non si
vuole perdere l’appetito e si incontrano entità alle quali
è meglio non affidare i propri figli nemmeno per pochi
minuti.

Le differenti dimensioni sono contenute tutte nel


medesimo spazio. Gli spaventevoli luoghi
dell’infraumano e il Regno dei Cieli si trovano entrambi
Qui-e-Ora, esattamente sotto il nostro sedere. Per
accedere a uno piuttosto che all’altro è necessario che
sia la nostra coscienza a slittare, non il nostro corpo
fisico, il quale può restare comodamente seduto
davanti al computer.
Non potremmo infatti andare dove già non siamo.
Un’attenta focalizzazione sul momento presente si
traduce in uno slittamento verticale dentro la
Dimensione Superiore. Se muta solo la nostra
percezione sensoriale avviene invece uno slittamento
orizzontale nel mondo astrale o nei mondi adiacenti.
Ciò che ci separa dalla Dimensione Superiore è un
diaframma non più spesso d’un capello. Eppure quasi
mai, nell’arco della nostra vita, ci sottraiamo
all’invitante e seducente habitat dei sonnambuli quel
tanto che basta per attraversare una parete spessa
come un’ostia ed esplorare la dimensione verticale
dell’essere.

Il portale è sempre di fronte a noi, in qualunque luogo


e in qualunque momento. Servono una serratura e una
chiave. La serratura è un evento di acuta sofferenza,
che può essere volontaria o involontaria. Se non ci
siamo procurati noi stessi volontariamente la
sofferenza o se non lo ha fatto il nostro maestro con
un atto compassionevole – quale può essere portarsi a
letto la nostra fidanzata o cacciarci dalla Scuola senza
fornirci alcuna giustificazione – è comunque sufficiente
che sia volontaria l’azione che mettiamo in atto per
fronteggiare la sofferenza stessa, anche se questa è
giunta senza il nostro invito cosciente. È cioè
sufficiente che non ci abbandoniamo a una re-azione
da terricolo medio di fronte alla sofferenza che ci è
capitata in sorte, ma prendiamo in mano la situazione
con un Atto di Volontà.

La chiave è la nostra inscuotibile Presenza nel Qui-e-


Ora, che non vacilla nemmeno quando ci troviamo
all’apice della sofferenza. Questa chiave apre la porta
del Cuore utilizzando la sofferenza come serratura.
Allora si dischiude il Regno dei Cieli... e cogliamo la
Realtà dimorante nella Dimensione Superiore, una
Realtà che è sempre stata alla nostra portata pur
restando invisibile fino a qualche attimo prima.

L’attenzione al momento presente – prodotta con la


giusta intensità e abbastanza a lungo – genera
all’apice della sofferenza un momento »eternalizzato«,
un congelamento del tempo che ci sbalza, verso l’Alto,
direttamente fra le mura della città di Ucronia, che,
scopriamo, si trovava ubicata proprio nel bel mezzo
della nostra stanza! Topologicamente parlando si tratta
di una giustapposizione e non di una successione.
Come due stanze collocate una dentro l’altra, anziché
una adiacente all’altra o una sopra l’altra. Come se il
soggiorno e il bagno occupassero il medesimo spazio
pur restando su due dimensioni differenti, evitando
così spiacevoli interferenze olfattive.

Questo significa che osserviamo gli stessi oggetti e le


stesse persone ma dalla prospettiva “senza-tempo” di
Ucronia anziché dalla vecchia prospettiva temporale
della realtà a tre dimensioni.

Sarebbe possibile ottenere il medesimo risultato senza


dover sfruttare un evento di acuta sofferenza come
serratura? Teoricamente ogni momento e ogni luogo
sono adatti, basterebbe infatti decidere con tutta la
propria Forza di Volontà di focalizzarsi da adesso in
avanti sull’istante presente – peraltro... l’unico che
davvero esiste, come spiego nel mio libro Guerrieri
Metropolitani – e tenere questa focalizzazione a ogni
costo e “qualunque cosa succeda” (e se forziamo in
questo modo, è garantito che di cose ne
succederanno, eccome); ma il punto è che l’essere
umano non riesce a trovare l’energia sufficiente per
compiere un super-sforzo del genere, a meno che non
sia costretto da una situazione contingente di estrema
sofferenza.

Sebbene possa evolvere nella gioia, all’atto pratico


solo il disagio lo costringe al risveglio... oppure al
suicidio.

Il Regno dei Cieli è in mezzo a voi. La città di Ucronia è


nel centro della stanza dove siete adesso. Non li
vedete perché l’identificazione con la mente vi tiene
prigionieri del tempo.
Uscite dal tempo.
Qui.
Ora.

Salvatore Brizzi
NON DUCOR DUCO
(non vengo condotto, conduco)

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