La Responsabilita Extracontrattuale Torrente
La Responsabilita Extracontrattuale Torrente
La Responsabilita Extracontrattuale Torrente
EXTRACONTRATTUALE,
TORRENTE
Diritto Privato
Università degli Studi di Cagliari
24 pag.
NOZIONE
Si deduce che di regola affinché il danneggiante sia obbligato a risarcire il pregiudizio dallo stesso
cagionato al danneggiato devono concorrere i seguenti presupposti:
1. il fatto;
2. l’illiceità del fatto;
3. l’imputabilità del fatto al danneggiante;
4. il dolo o la colpa del danneggiante;
5. il nesso causale fra il fatto e l’evento dannoso (danno-evento);
6. il danno (danno-conseguenza).
Se concorrono questi presupposti, la responsabilità che grava sul danneggiante viene definita come
responsabilità extracontrattuale, responsabilità aquiliana oppure responsabilità civile.
IL FATTO
Talora è la legge ad indicare espressamente che un determinato fatto è illecito, e in quanto tale
obbliga chi lo pone in essere a risarcire il danno che dovesse derivarne a terzi.
Il codice penale dispone che “ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non
patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole”: dunque l’illecito penale costituisce anche
illecito civile.
LE CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE
Secondo l’art. 2046 “non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la capacità di
intendere o di volere al momento in cui lo ha commesso”.
Ai fini della responsabilità extracontrattuale, non ha nessuna rilevanza il fatto che il danneggiante
abbia o meno la capacità di agire, che riguarda esclusivamente la “capacità negoziale” della
persona fisica.
Invece la capacità delittuale, cioè la capacità di rimanere obbligato al risarcimento dei danni
provocati dal proprio fatto illecito, si ha solo se nel momento in cui ha commesso il fatto il
danneggiante abbia la capacità di intendere e di volere.
Quindi anche il minore ha la capacità di obbligarsi ex delicto, se è in condizioni che gli consentano
un’adeguata valutazione di tutte le circostanze in cui si trova ad agire e di tutti i rischi della propria
condotta.
Anche l’interdetto, l’inabilitato, il beneficiario dell’amministrazione di sostegno rispondono del
fatto illecito dagli stessi compiuto, se le loro condizioni sono tali da non privarli della sufficiente
capacità di intendere e di volere, con riferimento a quella determinata condotta.
L’accertamento della capacità o meno del danneggiante andrà effettuata dal giudice in concreto,
IL DOLO E LA COLPA
L’art. 2043 indica tra i presupposti della responsabilità extracontrattuale il dolo o la colpa
dell’autore dell’atto illecito.
Per dolo si intende l’intenzionalità della condotta, nella consapevolezza che la stessa può
determinare l’evento dannoso.
Non è necessario che si tratti di dolo diretto, cioè che l’autore ponga in essere quella determinata
condotta proprio al fine di produrre l’evento dannoso; è sufficiente che si tratti di dolo eventuale,
cioè che l’autore, pur non agendo al fine specifico di realizzare l’evento dannoso, si sia
rappresentato il suo verificarsi come possibile conseguenza della sua condotta e ne abbia accettato il
relativo rischio.
Di regola, il dolo non è essenziale perché l’autore dell’illecito incorra in responsabilità
extracontrattuale, essendo normalmente sufficiente la colpa: l’art. 2043 richiede infatti in
alternativa i due presupposti del dolo e della colpa.
Tuttavia in alcuni casi si ha responsabilità solo se la condotta è dolosa: in tal caso si parla di illecito
essenzialmente doloso.
- es: induzione all’inadempimento.
Il dolo, come presupposto della responsabilità extracontrattuale, indica l’elemento psicologico, cioè
la volontarietà che caratterizza la condotta dell’agente; invece il dolo, come vizio della volontà,
indica la condotta (i raggiri) tenuta dal soggetto.
Per colpa si intende il difetto della diligenza, della prudenza, della perizia richieste, oppure
l’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline: cioè la non rispondenza della condotta
tenuta dall’agente allo standard di adeguatezza imposto dall’ordinamento.
In particolare, la negligenza consiste nella mancanza dell’attenzione richiesta; l’imprudenza
consiste nella mancanza delle necessarie misure di cautela; l’imperizia consiste nell’inosservanza
delle regole tecniche di una determinata attività.
Diligenza, prudenza e perizia si valutano alla luce di un parametro oggettivo, costituito da quando è
legittimo attendersi in quelle determinate circostanze dal bonus pater familias, cioè dall’uomo
coscienzioso, accorto e preparato.
Il giudizio implica l’analisi di tutte le circostanze di fatto verificatesi nel caso concreto, per
accertare se il danneggiante avrebbe potuto o dovuto agire diversamente, in base alle regole che
LA RESPONSABILITA’ OGGETTIVA
Il codice civile prevede delle ipotesi in cui l’autore risponde dell’evento dannoso anche in assenza
di dolo e di colpa: si parla in tali casi di responsabilità oggettiva.
Si tratta di casi di responsabilità oggettiva perché fondati su un criterio di imputazione che
prescinde da una valutazione in termini di colpa o di dolo della condotta del soggetto che la legge
indica come responsabile.
Il legislatore muove dalla constatazione che determinate attività presentano una loro intrinseca
potenzialità dannosa, che non può essere eliminata neppure adottando ogni ragionevole misura
preventiva e cautelare. Di qui la scelta di tutelare chi è esposto ai rischi indotti da dette attività,
accollandoli al soggetto che detti rischi immette nella società, indipendentemente da qualsiasi sua
negligenza, ma esclusivamente in quanto sembra giusto accollare il rischio delle attività al soggetto
che di quelle attività si avvale e beneficia.
Le ipotesi di responsabilità oggettiva contemplate nel codice civile sono:
A) responsabilità di padroni e committenti: il codice civile statuisce la responsabilità del
preponente per i danni cagionati a terzi da suoi proposti nell’esercizio delle incombenze cui gli
stessi sono adibiti.
In tal caso, il danneggiato non ha l’onere di provare che la condotta del preponente è connotata
da dolo o da colpa, e il preponente non può neppure sottrarsi a responsabilità, dimostrando che
nessuna negligenza, imprudenza, imperizia, inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o
discipline può essergli imputata: il preponente risponde a prescindere da qualsiasi sua colpa.
In passato si spiegava la regola ricorrendo al concetto di colpa presunta del preponente per non
aver ben scelto il preposto (culpa in eligendo) e/o per non aver correttamente vigilato sulla sua
attività (culpa in vigilando): colpa che si affermava presunta iuris et de iure;
Art. 2049. Responsabilità dei padroni e dei committenti.
I padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro
domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti.
D) responsabilità per vizi di costruzione di veicoli senza guida di rotaie: il codice civile statuisce
la responsabilità del conducente e del proprietario – oppure dell’usufruttuario o dell’acquirente
con patto di riservato dominio – di un veicolo senza guida di rotaie per i danni cagionati dalla
circolazione del veicolo, derivanti da vizi di costruzione: il soggetto è chiamato a rispondere a
prescindere da qualsiasi sua colpa.
Il legislatore prevede una serie di ulteriori ipotesi in cui la posizione del danneggiato viene più
intensamente tutelata, e di contro quella del danneggiante aggravata, rispetto a quanto risulterebbe
dall’applicazione della regola generale che vuole gravi sul danneggiato la prova della colpa del
danneggiante.
In questi casi, il regime ordinario della responsabilità civile viene derogato sotto due distinti profili:
I) il danneggiato non deve fornire la prova della colpa del danneggiante: è il danneggiante
a dover fornire la “prova liberatoria”;
II) la prova liberatoria richiesta al danneggiante non si riduce alla sola dimostrazione che lo
stesso ha operato con diligenza, prudenza e perizia, cioè alla mera dimostrazione della
sua mancanza di colpa.
Singole ipotesi previste dal legislatore:
a) responsabilità del sorvegliante dell’incapace, dei genitori, precettori e maestri d’arte: in caso
di danno cagionato da persona incapace di intendere o di volere, il risarcimento è dovuto da chi
è tenuto alla sorveglianza dell’incapace.
Analogamente, i genitori, o il tutore, sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei
figli minori non emancipati e delle persone soggette alla tutela che abitano con essi; i precettori
e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto
illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza.
Il codice civile prevede che chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace, i genitori ed il tutore, i
precettori e i maestri d’arte possono liberarsi da responsabilità, provando di non aver potuto
impedire il fatto.
A chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace la giurisprudenza richiede la dimostrazione di
aver adottato tutte le cautele appropriate in relazione allo stato e alle condizioni dell’incapace, al
tempo, luogo in cui è maturato l’atto dannoso, alla professionalità del sorvegliante; ai genitori la
giurisprudenza richiede la dimostrazione di aver vigilato sulla condotta del minore in misura
adeguata all’ambiente in cui vive, alle sue abitudini, di averlo educato in modo consono alle sue
condizioni sociali, alla sua età, personalità; ai precettori e maestri d’arte le corti richiedono la
dimostrazione di non aver potuto impedire l’evento per il suo carattere imprevedibile,
improvviso e repentino e di aver adottato in via preventiva tutte le misure organizzative o
disciplinari idonee ad evitare la situazione di pericolo.
Art. 2048. Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d'arte.
Il padre e la madre, o il tutore, sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli
minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela, che abitano con essi. La stessa
disposizione si applica all'affiliante.
I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un'arte sono responsabili del danno cagionato
dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza.
Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano
di non avere potuto impedire il fatto.
La giurisprudenza non si accontenta della dimostrazione che nel caso concreto sono state
adottate tutte le misure adeguate in relazione alla tipologia, alla natura ed alle caratteristiche
dell’attività svolta, vale a dire la dimostrazione della mancanza di colpa, ma richiede la prova
positiva della causa esterna (fatto naturale, fatto del terzo, fatto dello stesso danneggiato) che
per imprevedibilità, eccezionalità ed inevitabilità sfugge alla sfera di controllo dell’esercente
l’attività pericolosa.
Così facendo le corti richiedono all’esercente attività pericolose la prova di un fatto estraneo alla
sua condotta idoneo ad interrompere il nesso causale tra quest’ultima e l’evento dannoso
sofferto dalla vittima.
In buona sostanza la responsabilità dell’esercente attività pericolose è divenuta una
responsabilità di tipo oggettivo.
Per “attività pericolose” non si intendono soltanto le attività pericolose tipiche, cioè quelle
espressamente qualificate e disciplinate dalla legge, ma anche le attività pericolose atipiche,
cioè tutte quelle altre attività che per la loro spiccata potenzialità offensiva, implicano
un’elevata possibilità di recar danno a terzi;
c) responsabilità per danno cagionato da cose in custodia: il codice civile dopo aver previsto che
ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, stabilisce che il
custode può liberarsi da responsabilità solo provando il caso fortuito.
La giurisprudenza non si accontenta della dimostrazione dell’assenza di colpa, ma richiede la
prova positiva della causa esterna che per imprevedibilità, eccezionalità ed inevitabilità sia
estranea alla sfera di controllo del custode.
Le corti ritengono che il caso fortuito, atto ad escludere la responsabilità del custode, vada
inteso come evento interruttivo del nesso causale tra cosa in custodia ed evento dannoso. Quindi
la responsabilità per cose in custodia è divenuta una responsabilità di tipo oggettivo.
Il “danno da cosa in custodia”, che dipende dalla natura stessa del bene e dalla sua concreta
potenzialità dannosa oppure dal dinamismo intrinseco della cosa, non va confuso con il “danno
derivante dall’uso della cosa”, che invece promana dall’azione umana.
La norma si applica per il danno cagionato da qualunque res.
La responsabilità ricade sul custode, il soggetto che ha il “governo” della cosa, cioè un effettivo
potere, di diritto o di fatto, che gli consente di vigilarla e mantenerne il controllo, in modo che
non produca danno;
e) responsabilità per danno da rovina di edificio: il codice civile prevede che il proprietario di un
edificio o di altra costruzione è responsabile dei danni cagionati dalla loro rovina; il proprietario
può esonerarsi da responsabilità provando che la rovina non è dovuta a difetto di manutenzione
o a vizio di costruzione.
Se il danno deriva da vizi di costruzione, sul proprietario grava sempre e comunque una
responsabilità oggettiva per l’evento verificatosi.
In tutte le altre ipotesi, la giurisprudenza richiede che il proprietario fornisca la dimostrazione
positiva della causa di forza maggiore, oppure il fatto del terzo o dello stesso danneggiato, che
per imprevedibilità, eccezionalità ed inevitabilità sfuggano a qualsiasi potere di controllo da
parte del proprietario.
Quindi sostanzialmente si tratta di una responsabilità oggettiva.
Le corti offrono un’interpretazione particolarmente ampia del concetto di rovina, che
ricomprende il crollo dell’immobile e la semplice disgregazione di suoi elementi;
Art. 2053. Rovina di edificio.
Il proprietario di un edificio o di altra costruzione è responsabile dei danni cagionati dalla loro
rovina, salvo che provi che questa non è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di
costruzione.
f) responsabilità del conducente per danno da circolazione di veicoli: il codice civile prevede che
il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a
persone o a cose dalla circolazione del veicolo; il conducente può liberarsi da responsabilità
fornendo la prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.
In ogni caso, il conducente risponde dei danni derivanti da vizi di costruzione o da difetto di
manutenzione del veicolo: si tratta di una responsabilità oggettiva, che prescinde da qualsiasi
valutazione in termini di negligenza.
Negli altri casi di danno da circolazione del veicolo, la giurisprudenza ammette che il
conducente possa esonerarsi da responsabilità, purché dimostri la causa esterna improvvisa che
non consenta alcuna manovra per evitare il danno: quindi in questa ipotesi la responsabilità del
conducente si avvicina molto ad una forma di responsabilità oggettiva.
La norma trova applicazione quando concorrono i seguenti presupposti:
- la circolazione su strada pubblica;
- i veicoli senza guida di rotaie.
IL NESSO DI CAUSALITA’
Uno stesso evento dannoso può essere causato da condotte illecite di più soggetti distinti.
Tali condotte possono essere consapevolmente coordinate, oppure possono essere autonome e
temporalmente distinte; in questo secondo caso, la condotta di un agente può essere ignorata dagli
autori delle altre condotte.
Inoltre le condotte che concorrono nella causazione del danno possono costituire alcune illecito
extracontrattuale, altre illecito contrattuale.
Al fine di agevolare e rafforzare la posizione del danneggiato, la legge gli consente di rivolgersi per
l’intero risarcimento a ciascuno dei responsabili: secondo l’art. 2055, se il fatto dannoso è
imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno.
Una volta risarcito il danneggiato, chi ha effettuato il relativo esborso potrà esercitare l’azione di
regresso nei confronti degli altri coobbligati, cioè potrà richiedere a ciascuno il rimborso della
quota di rispettiva competenza, da commisurarsi alla gravità della rispettiva colpa ed all’entità delle
conseguenze che ne sono derivate.
Nel dubbio, le singole colpe si presumono uguali, con la conseguenza che gli oneri del risarcimento
verranno ripartiti fra i corresponsabili in egual misura.
Diverso è il caso in cui il medesimo evento dannoso risulti cagionato dal concorso di cause umane e
di cause naturali. La giurisprudenza insegna che:
A) se il fattore naturale, su cui incide il comportamento umano, è sufficiente a determinare
l’evento dannoso indipendentemente dalla condotta dell’agente, quest’ultimo non risponde
per nulla del danno;
B) se il fattore naturale non può dar luogo, senza l’apporto umano, all’evento dannoso, l’autore
dell’evento è responsabile per intero di tutte le conseguenze da esso scaturenti secondo
normalità.
Può accadere che a causare l’evento dannoso concorra la condotta dello stesso danneggiato: il fatto
del danneggiato incide sul nesso di causalità nel verificarsi dell’evento dannoso; in tal caso si parla
L’onere della prova del concorso del danneggiato nella causazione dell’evento dannoso grava sul
danneggiante, in applicazione del principio generale previsto dall’art. 2697: si tratta di una
circostanza che esclude o limita la pretesa del danneggiato.
Art. 2697. Onere della prova.
Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
Chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve
provare i fatti su cui l'eccezione si fonda.
Diversa è l’ipotesi del concorso del danneggiato nell’aggravamento del danno: in questo caso il
fatto del danneggiato incide sull’entità del danno.
La legge impone al danneggiato l’onere di attivarsi per ridurre per quanto possibile il danno
conseguente al fatto del danneggiante; il mancato assolvimento di questo onere comporta la non
risarcibilità del pregiudizio che il danneggiato avrebbe potuto evitare.
L’onere di provare che il danno avrebbe potuto essere dal danneggiato evitato, in tutto o in parte,
con l’ordinaria diligenza grava sul danneggiante.
Di regola, l’obbligo di risarcire il danno grava su chi lo ha cagionato con fatto proprio.
Tuttavia a volte il codice prevede che l’obbligo di risarcire il danno gravi su determinati soggetti,
anche se il pregiudizio è causato da fatto di altri.
Solitamente, la responsabilità indiretta del terzo si aggiunge a quella diretta dell’autore
dell’illecito: ciò al fine di favorire il danneggiato che in tal modo, a garanzia del proprio credito
risarcitorio, potrà far conto non solo sul patrimonio di chi gli ha cagionato il pregiudizio, ma anche
su quello di un altro soggetto.
Ipotesi di “responsabilità indiretta” previste dal nostro codice:
responsabilità di chi ha la sorveglianza di un soggetto incapace di intendere o di volere:
l’incapace, in quanto tale, va esente da responsabilità; la responsabilità del sorvegliante non si
aggiunge a quella dell’incapace, che ha direttamente causato il danno.
In questo modo si evita che la vittima dell’illecito rimanga senza un soggetto cui potersi
rivolgere per essere risarcita.
La responsabilità del sorvegliante presuppone un fatto obiettivamente illecito che abbia
cagionato ad altri un danno, di cui l’autore non è chiamato a rispondere per la sola ragione di
essere incapace, e l’esistenza di un soggetto tenuto alla sorveglianza dell’incapace.
Per quanto riguarda il minore, un generale dovere di sorveglianza grava sui genitori; sul tutore,
IL DANNO
In ipotesi di danno permanente alla persona, il codice civile consente che il risarcimento avvenga
sotto forma di rendita vitalizia da corrispondere al danneggiato. Però la norma di fatto è ignorata
dalle corti.
Art. 2057. Danni permanenti.
Quando il danno alle persone ha carattere permanente la liquidazione può essere fatta dal giudice,
tenuto conto delle condizioni delle parti e della natura del danno, sotto forma di una rendita
vitalizia. In tal caso il giudice dispone le opportune cautele.
Il danno deve essere riparato integralmente: la vittima dell’illecito non deve ricevere né più né
meno di quanto necessario a reintegrare la sua situazione.
Ai fini della determinazione del danno risarcibile, la giurisprudenza ritiene che sia necessario
Il danno patrimoniale consiste nell’alterazione negativa della situazione patrimoniale del soggetto
leso, rispetto a quella che si sarebbe avuta in assenza del fatto illecito.
Il danno patrimoniale comprende:
il danno emergente, per tale intendendosi la diminuzione del patrimonio del danneggiato (in
conseguenza ad. es. della distruzione di una cosa)
il lucro cessante, per tale intendendosi il guadagno che la vittima dell’illecito avrebbe
presumibilmente conseguito, e che invece non ha conseguito a causa dell’illecito sofferto.
In considerazione delle difficoltà per la sua quantificazione, il lucro cessante è valutato dal
giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso.
La valutazione equitativa rimessa al giudice riguarda solo il quantum del danno, invece l’an
deve essere provato dal danneggiato, anche solo per presunzioni.
Il risarcimento ha ad oggetto sia il danno già sofferto dalla vittima al momento della liquidazione,
sia il danno futuro.
Particolarmente delicato si presenta il problema della quantificazione del danno da lucro cessante
conseguente a perdita o diminuzione, definitiva o temporanea, della capacità lavorativa e reddituale
del danneggiato.
A tal fine soccorre oggi il disposto dell’art. 137 Dgls. 7 Settembre 2005 n. 209 (Codice delle
assicurazioni private) il quale prevede, presuntivamente, che nel caso di danno alla persona, quando
agli effetti del risarcimento si debba considerare l’incidenza dell’inabilità temporanea o
dell’invalidità permanente su un reddito di lavoro comunque qualificabile, tale reddito si determina,
per il lavoro dipendente, sulla base del reddito di lavoro, maggiorato dei redditi esenti e al lordo
delle detrazioni e delle ritenute di legge, che risulta il più elevato tra quelli degli ultimi tre anni e per
il lavoro autonomo sulla base del reddito netto che risulta il più elevato tra persona fisiche negli
ultimi tre anni ovvero, nei casi previsti dalla legge, dall’apposita certificazione rilasciata dal datore
di lavoro ai senso delle norme di legge. E’ in ogni caso ammessa la prova contraria. Sicchè chi
voglia ottenere una quantificazione del risarcimento condotta su basi diverse dovrà dimostrare se ed
in che misura la sofferta riduzione della capacità lavorativa si sia concretamente tradotta in un
effettivo pregiudizio economico.
Con riferimento alle persone prive di un reddito di lavoro, la legge prevede che il reddito che
occorre considerare ai fini del risarcimento non può essere inferiore a tre volte l’ammontare annuo
della pensione sociale.
Invece il reddito futuro del giovane che ancora non svolga alcuna attività lavorativa va determinato
Secondo l’art. 2059, il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla
legge.
Tradizionalmente questa previsione normativa è stata oggetto di un’interpretazione particolarmente
restrittiva: da un lato, era diffusa l’affermazione secondo cui il danno non patrimoniale sarebbe stato
risarcibile in buona sostanza solo quando il fatto illecito che lo aveva cagionato integrasse gli
estremi del reato; dall’altro lato, era affermata la tendenza a far coincidere il danno non
patrimoniale con il danno morale soggettivo, cioè con la sofferenza, il turbamento, i disagi, ecc.
determinati dall’illecito.
Oggi nessuna di queste due enunciazioni trova più credito.
La più recente legislazione speciale ha visto una fioritura di norme che contemplano espressamente
ipotesi di risarcibilità del danno non patrimoniale, anche in assenza di illecito penale; ad esempio
relativamente ai danni conseguenti a vaccinazione obbligatoria, oppure relativamente al pregiudizio
sofferto da chi risulti vittima di atti discriminatori fondati sul sesso.
La giurisprudenza è giunta ad affermare che, oltre nelle ipotesi espressamente previste dalla legge,
la risarcibilità del danno non patrimoniale deve essere anche ammessa in tutti i casi di lesione di
diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione: la tutela non è ristretta ai casi di
diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione, ma comprende anche
nuovi interessi emersi nella realtà sociale che siano di rango costituzionale.
Ad esempio, la giurisprudenza qualifica come costituzionalmente garantiti:
il diritto alla salute ed all’integrità fisica;
il diritto della prole al mantenimento, istruzione, educazione da parte del genitore naturale;
i diritti all’onore ed alla reputazione;
il diritto all’intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della solidarietà nell’ambito della
famiglia.
Mentre la risarcibilità del danno patrimoniale, ai sensi dell’art. 2043, è caratterizzata dal connotato
dell’atipicità, la risarcibilità del danno non patrimoniale è invece caratterizzata dal connotato della
tipicità, nel senso che è ammessa solo nei casi determinati dalla legge.
Per quanto riguarda la nozione di “danno non patrimoniale”, le corti ritengono che essa non si
esaurisca nel “danno morale soggettivo”, ma comprenda anche qualsiasi danno da lesione di valori
inerenti la persona, sempre che non siano connotati da rilevanza economica.
La nozione di danno non patrimoniale comprende alcune figure elaborate da dottrina e
giurisprudenza:
il danno morale, inteso in un significato più ampio comprendente anche la lesione della dignità
della persona, oltre che la sofferenza interiore di natura meramente emotiva (danno morale
soggettivo);
il danno biologico, per tale intendendosi la lesione temporanea o permanente all’integrità
psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale, che comporta
un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del
danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre
reddito.
Se la menomazione dell’integrità psico-fisica comporta anche una riduzione delle capacità
reddituali del soggetto, quest’ultima dovrà essere risarcita autonomamente, a titolo di
LA PRESCRIZIONE
La prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da illecito extracontrattuale è più
breve di quella ordinaria: in genere, cinque anni.
Se il danno è prodotto da circolazione di veicoli, il termine è di due anni.
Problema delicato è quello dell’individuazione del dies a quo per la decorrenza del termine
prescrizionale: in via di prima approssimazione, il dies a quo decorre dal momento in cui condotta
dell’agente e danno conseguente si manifestano all’esterno, divenendo oggettivamente percepibili e
riconoscibili.
Occorre distinguere fra due diverse ipotesi:
► in caso di illecito istantaneo, cioè caratterizzato da un’azione che si esaurisce in un lasso di
tempo definito, la prescrizione del diritto al risarcimento inizia a decorrere dal momento in cui è
oggettivamente percepibile la prima manifestazione del danno.
Condotta illecita dell’agente, danno evento cagionato, percezione da parte della vittima possono
collocarsi in un arco temporale molto ampio: si parla in tal caso di fatto dannoso lungolatente.
In questa ipotesi, la Suprema Corte ritiene che la prescrizione del diritto al risarcimento del
danno extracontrattuale decorra dal momento in cui la vittima ha percepito, o avrebbe potuto
percepire, che il danno sofferto è causato da un determinato comportamento colposo o doloso
del terzo;
► in caso di illecito permanente, caratterizzato dal fatto che la condotta dell’agente si protrae nel
tempo, la prescrizione del diritto al risarcimento decorre ogni giorno successivo a quello in cui il
danno si manifesta; può essere risarcito solo il danno prodottosi nei cinque anni anteriori alla
data in cui il diritto al risarcimento è fatto valere.
Un regime particolare è dal codice previsto per il risarcimento del danno ambientale, per tale
intendendosi qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa
naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima.
Per danno ambientale si intende quello arrecato ad un interesse collettivo: quello all’ambiente in sé,
distinto dai singoli beni che lo compongono.
Unico soggetto legittimato ad agire per la riparazione del danno ambientale è il Ministro
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Il Codice dell’ambiente prevede che chiunque cagioni un danno ambientale con dolo o colpa è
obbligato all’adozione delle necessarie misure di riparazione: si tratta di una forma di risarcimento
in forma specifica.
Nell’ipotesi in cui le misure di riparazione fossero, in tutto o in parte, omesse o realizzate in modo
incompatibile o non corretto, al responsabile può essere richiesto il pagamento di una somma pari ai
costi delle attività necessarie per la loro completa e corretta attuazione: si tratta di una forma di
risarcimento per equivalente patrimoniale.
Se il danno ambientale è causato nell’esercizio di una delle attività professionali indicate nel Codice
dell’ambiente (es: attività di gestione di rifiuti; trasporto di merci inquinanti), l’obbligo del
risarcimento grava su chi lo ha determinato, anche in assenza di dolo o colpa.
In ipotesi di concorso di più soggetti nella causazione del medesimo danno, ciascuno risponde nei
limiti della propria responsabilità personale.
In alternativa all’azione giudiziale per il risarcimento del danno ambientale, al Ministro
dell’ambiente è concesso un diverso strumento: è previsto che il Ministro possa emettere
un’ordinanza immediatamente esecutiva, in forza della quale intima a coloro che siano risultati
responsabili del fatto il ripristino ambientale, a titolo di risarcimento in forma specifica, entro un
termine fissato nella stessa ordinanza. L’ingiunzione verrà emessa nei confronti del responsabile del
fatto dannoso e – in solido – del soggetto nel cui effettivo interesse il comportamento fonte del
danno è stato tenuto o che ne abbia obiettivamente tratto vantaggio.
In ipotesi di inosservanza, il Ministro con successiva ordinanza ingiungerà il pagamento di una
somma pari ai costi delle attività necessarie per il completo ripristino ambientale.
Un regime speciale, di derivazione comunitaria, è previsto dal Codice del consumo con riferimento
al danno da prodotti difettosi.
Per prodotto si intende ogni bene mobile, anche se incorporato in altro bene mobile o immobile,
purché messo in circolazione, cioè consegnato all’acquirente, all’utilizzatore, anche in visione o in
prova.
Difettoso è il prodotto che non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere, tenuto
conto di tutte le circostanze; il difetto può dipendere dall’ideazione del prodotto, dal processo di
fabbricazione, oppure dalla carenza di informazioni fornite all’utente in ordine all’utilizzo del
prodotto.
Il prodotto non si considera difettoso se lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche, al
momento in cui il produttore lo ha messo in circolazione, non permetteva ancora di considerarlo
come difettoso: si parla a tal proposito di rischio di sviluppo.
Se intende avvalersi della disciplina prevista per la responsabilità da prodotto difettoso, la vittima
non può chiedere il risarcimento di qualunque danno abbia sofferto, ma solo:
del danno alla persona, causato da morte o da lesioni personali;
del danno a cosa diversa dal prodotto difettoso, sempre che detta cosa sia di tipo normalmente
destinato all’uso o consumo privato e così principalmente utilizzata dal danneggiato.
Un medesimo fatto può costituire sia inadempimento di un’obbligazione, sia atto illecito dannoso.
Tradizionalmente, la giurisprudenza ammette il concorso tra responsabilità contrattuale e
responsabilità extracontrattuale, lasciando al danneggiato la facoltà di agire in via contrattuale
oppure in via aquiliana. Pensiamo ad atto chirurgico tecnicamente errato, vi sarà inadempimento di
un obbligazione, quella assunta dal medico contrattualmente nei confronti del cliente, di eseguire
l’intervento chirurgico con la necessaria perizia (art. 1176 codice civile), sia l’atto lesivo
(responsabilità derivante da atto illecito dannoso) dell’altrui integrità fisica.
Ci si chiede se al danneggiato sia consentito scegliere se richiedere il risarcimento in base alle
regole della responsabilità contrattuale ovvero in base a quelle della responsabilità
extracontrattuale: ciò che evidentemente, gli consentirebbe di optare per il regime a sé in concreto
più favorevole.
Tradizionalmente, la nostra giurisprudenza ammette senza esitazioni il c.d concorso o cumulo tra
responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, lasciando al danneggiato la facoltà di agire in via
contrattuale (ex. Art. 1218 codice civile) ovvero in via aquiliana (ex. Art. 2043 codice civile).
Nell’ipotesi in cui non sia chiaro a che titolo venga proposta una domanda di risarcimento danni, la
giurisprudenza considera proposta l’azione di responsabilità extracontrattuale.
L’esercizio di un’azione non comporta rinuncia all’altra, però non è ammesso il mutamento del
titolo della domanda risarcitoria nell’ambito del medesimo procedimento.
Il risarcimento ottenuto per una via fa venir meno qualsiasi ulteriore pretesa creditoria: in nessun
caso il danneggiato potrà conseguire un risarcimento superiore al danno effettivamente sofferto.
Da segnalare, da ultimo, i dubbi sollevati in dottrina, in ordine all’ammissibilità del concorso fra
azione risarcitoria contrattuale ed azione risarcitoria extracontrattuale hanno trovato una timida eco
anche in giurisprudenza.