Linguaggio C
Linguaggio C
Linguaggio C
C
ANSI C
Brian W. Kernighan
Dennis M. Ritchie
PREFAZIONE
Con la pubblicazione del volume Linguaggio C, il mondo dei calcolatori ha subito un profondo mutamento. I
grandi calcolatori crescono sempre più, ed i personal computer hanno capacità paragonabili a quelle dei
mainframe di una decina di anni fa. In questo periodo anche il C è cambiato, anche se di poco, e si è esteso
ben oltre i limiti delle sue origini, che lo identificavano semplicemente come il linguaggio del sistema
operativo UNIX.
La crescente popolarità del C, le modifiche che ha subito nel corso degli anni e la nascita di compilatori scritti
da gruppi che non hanno partecipato alla sua stesura originale concorrono a dimostrare la necessità di una
definizione del linguaggio più precisa ed attuale di quella fornita nella prima edizione di questo libro. Nel 1983,
l'Istituto Nazionale Americano per gli Standard (ANSI) ha costituito un comitato per "una defi-nizione del
linguaggio C non ambigua e non dipendente dalla macchina". Il risultato di questa ricerca è lo standard ANSI
per il C.
Lo standard formalizza alcune interpretazioni suggerite, ma non descritte, nella prima edizione quali, per
esempio, l'assegnamento fra strutture ed i tipi enumerativi. Esso fornisce una nuova forma di definizione
della funzione, che consente il controllo incrociato della definizione stessa e delle chiamate. Specifica, inoltre,
una libreria standard, con un insieme esteso di funzioni per l’input / output, la gestione della memoria, la
manipolazione di stringhe ed attività affini. Lo standard specifica il comportamento di funzionalità formalizzate
in modo incompleto nella prima edizione e, contemporaneamente, stabilisce esplicitamente quali aspetti del
linguaggio rimangono dipendenti dalla macchina.
Questa seconda edizione de Linguaggio C descrive il C definito dall’ANSI (al momento della stesura del libro,
lo standard si trovava in fase di revisione finale; si pensa che venga approvato verso la fine del 1988. Le
differenze tra quanto descritto nel seguito e la versione definitiva dello standard dovrebbero essere minime).
Pur avendo rilevato gli aspetti nei quali il linguaggio si è evoluto, abbiamo preferito riportare soltanto la nuova
versione. Nella maggior parte dei casi, ciò non dovrebbe comportare differenze significative; il cambiamento
più evidente consiste nell’introduzione della nuova forma di dichiarazione e definizione di funzione. I
compilatori più recenti supportano già molte funzionalità dello standard.
Abbiamo cercato di mantenere la sinteticità della prima edizione: il C non è un linguaggio molto vasto, ed un
libro voluminoso non gli si addice. Abbiamo approfondito l’esposizione di funzionalità critiche, quali i puntatori,
fondamentali per la programmazione in C. Abbiamo migliorato alcuni degli esempi originali, ed in alcuni
capitoli ne abbiamo aggiunti di nuovi: il trattamento delle dichiarazioni complesse viene completato con la
presentazione di programmi che convertono dichiarazioni in frasi e viceversa. Inoltre, tutti gli esempi sono
stati provati direttamente nella forma presentata nel testo.
L’Appendice A, il manuale di riferimento, non è lo standard, bensì il risultato del nostro tentativo di convo-
gliare le caratteristiche essenziali dello standard in uno spazio più ristretto. Questo manuale è stato concepito
per essere facilmente compreso dai programmatori, e non come definizione per i progettisti di compilatori
(questo ruolo spetta allo standard stesso). L’Appendice B è un sommario delle funzionalità della libreria
standard. Anch’essa dev’essere intesa come manuale di riferimento per i programmatori, non per i
progettisti. L’Appendice C è un conciso elenco delle variazioni rispetto alla versione originale.
Come abbiamo detto nella prefazione alla prima edizione, il C ben si adatta ad un’esperienza in crescita e,
dopo dieci anni di attività sul C, noi siamo ancora convinti che ciò sia vero. Speriamo che questo libro vi aiuti
ad imparare il C e vi insegni ad usarlo bene.
Siamo profondamente grati agli amici che ci hanno aiutato a produrre questa seconda edizione. Jon Bentley,
Doug McIlroy, Peter Nelson e Robe Pike hanno formulato commenti costruttivi su quasi ogni singola pagina
del manoscritto. Siamo grati, per la loro attenta lettura, ad Al Aho, Dennis Allison, Joe Campbell, G. R. Emlin,
Karen Fortgang, Allen Holub, Andrew Hume, Dave Kristol, John Linderman, Dave Prosser, Gene Spafford e
Chris Van Wyk. Abbiamo ricevuto suggerimenti utili anche da Bill Cheswick, Mark Kernighan, Andy Koenig,
Robin Lake, Tom London, Jim Reeds, Clovis Tondo e Peter Weinberger. Dave Prosser ha risposto a molte
domande dettagliate sullo standard ANSI. Abbiamo usato molto il traduttore C++ di Bjarne Stroustrup per il
testing locale dei nostri programmi, e Dave Kristol ci ha fornito un compilatore ANSI C per il testing finale.
Rich Dreschler ci ha aiutato nella composizione. A tutti, i nostri più sinceri ringraziamenti.
Brian W. Kernighan
Dennis M. Ritchie
PREFAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE
Questo libro si propone di insegnare al lettore come programmare in C. Esso contiene un’introduzione di
carattere generale, alcuni capitoli relativi alle principali funzionalità ed un manuale di riferimento. La maggior
parte della trattazione si basa sulla lettura, la scrittura e la revisione degli esempi, più che sulla semplice
esposizione delle regole. Quasi sempre gli esempi sono costituiti non da frammenti isolati di codice, ma da
programmi completi. Inoltre, tutti gli esempi sono stati provati direttamente nella forma presentata nel testo.
Oltre che mostrare l’uso effettivo del linguaggio abbiamo cercato, ove possibile, di fornire algoritmi utili ed
alcuni dei principi che stanno alla base di una buona metodologia di stesura del codice.
Il libro non è un manuale di introduzione alla programmazione; in esso assumiamo che il lettore possieda un
certo grado di familiarità con alcuni concetti basilari, quali le variabili, le istruzioni di assegnamento, i cicli e le
funzioni. Ciò nonostante, un programmatore principiante dovrebbe essere in grado di leggere il libro ed
apprendere il linguaggio, magari con l’aiuto di un collega più esperto.
Le critiche costruttive ed i suggerimenti di molti amici hanno migliorato notevolmente questo libro, ed
aumentato il nostro piacere nello scriverlo. In particolare, Mike Bianchi, Jim Blue, Stu Feldman, Doug McIlroy,
Bill Roome, Bob Rosin e Larry Rosler hanno letto con attenzione molte versioni dell’opera. Siamo anche
riconoscenti ad Al Aho, Steve Bourne, Dan Dvorak, Chuck Haley, Debbie Haley, Marion Harris, Rick Holt,
Steve Johnson, John Mashey, Bob Mitze, Ralph Muha, Peter Nelson, Elliot Pinson, Bill Plauger, Jerry
Spivack, Ken Thompson e Peter Weinberger per gli utili commenti, e, infine, ringraziamo Mike Lesk e Joe
Ossanna per il loro indispensabile aiuto nella composizione del libro.
Brian W. Kernighan
Dennis M. Ritchie
INTRODUZIONE
Il C è un linguaggio di programmazione di uso generale da sempre strettamente legato al sistema UNIX, sul
quale è stato sviluppato, poiché sia il sistema che la maggior parte dei suoi programmi applicativi sono scritti
in C. Tuttavia, questo linguaggio non è stato scritto per un particolare sistema operativo o per una particolare
macchina; sebbene sia stato definito un “linguaggio di programmazione di sistema” perché adatto alla
stesura di compilatori e sistemi operativi, è stato impiegato con profitto nella realizzazione di grossi
programmi operanti negli ambienti più disparati.
Molte delle caratteristiche del C discendono dal linguaggio BCPL, sviluppato da Martin Richards. L’influenza
del BCPL sul C passa, indirettamente, dal linguaggio B, ideato da Thompson nel 1970 per il primo sistema
UNIX, sviluppato su DEC PDP-7.
I linguaggi BCPL e B sono linguaggi senza tipi. Al contrario, il C fornisce numerosi tipi di dati. I tipi fonda-
mentali sono i caratteri ed i numeri interi e decimali. Oltre a questi, esiste un vasto insieme di tipi di dati
derivati, creati usando puntatori, vettori, strutture e union. Le espressioni sono formate da operatori ed ope-
randi; qualsiasi espressione, compreso un assegnamento o una chiamata di funzione, può essere un’istru-
zione. I puntatori consentono poi un’aritmetica di indirizzamento indipendente dalla macchina.
Il C fornisce i fondamentali costrutti per il controllo del flusso, indispensabili per la stesura di programmi ben
strutturati; tali costrutti sono: il raggruppamento delle istruzioni, il blocco decisionale (if-else), la selezione
fra più alternative (switch), i cicli con condizione di terminazione posta in testa (while, for) ed in coda
(do), ed infine l’uscita anticipata da un ciclo (break).
Le funzioni possono restituire valori appartenenti ad un tipo base oppure strutture, union o puntatori.
Qualsiasi funzione può essere richiamata ricorsivamente. Le variabili locali sono “automatiche”, cioè vengono
ricreate ad ogni invocazione. Le definizioni di funzione non possono essere innestate, ma le variabili devono
essere dichiarate secondo il metodo di strutturazione a blocchi. Le funzioni di un unico programma C
possono trovarsi in file diversi che possono essere anche compilati separatamente. Le variabili possono
essere dichiarate all’interno delle funzioni, al loro esterno ma visibili alle funzioni del singolo file, oppure
accessibili da tutti i moduli del programma.
Una fase che precede la compilazione vera e propria, detta preprocessing, attua una sostituzione delle
macro all’interno del testo del programma, esegue l’inclusione di altri file sorgente e risolve le compilazioni
condizionali.
Il C è un linguaggio relativamente “a basso livello”. Questa caratteristica non è peggiorativa: significa soltanto
che il C tratta gli oggetti (caratteri, numeri ed indirizzi) in modo molto simile a quello utilizzato dalla maggior
parte dei calcolatori; questi oggetti, infatti, possono essere combinati e spostati con l’aiuto di operatori logici
ed aritmetici implementati sulle macchine reali.
Il C non fornisce operazioni per trattare direttamente oggetti compositi come le stringhe, gli insiemi, le liste od
i vettori. Non ci sono operazioni che manipolano un intero vettore od una stringa, sebbene le strutture
possano essere copiate come se fossero un unico oggetto. Il linguaggio non definisce alcuna funzionalità per
l’allocazione di memoria, ad eccezione della definizione statica e della politica a stack utilizzata per le variabili
locali alle funzioni; non esistono né uno heap né un meccanismo di garbage collection. Infine il C non
prevede funzionalità esplicite di input / output; non esistono istruzioni di READ e WRITE, né metodi predefiniti
di accesso ai file. Tutti questi meccanismi ad alto livello devono essere inclusi tramite esplicite chiamate di
funzione. La maggior parte delle implementazioni realizzate in C ha incluso un ragionevole insieme standard
di queste funzioni.
Analogamente, il C prevede soltanto un controllo del flusso molto chiaro e lineare: controlli, cicli, raggruppa-
menti e sottoprogrammi, ma non multiprogrammazione, operazioni parallele, sincronizzazioni o co-routine.
Sebbene l’assenza di alcune di queste funzionalità possa sembrare una grave limitazione (“Vorreste dire che,
per confrontare due stringhe di caratteri, è necessario chiamare esplicitamente una funzione?”), è necessario
tenere presente che mantenere il linguaggio a dimensioni ridotte comporta notevoli vantaggi. Poiché il C è
relativamente piccolo, può essere descritto in uno spazio limitato e appreso velocemente. Un
programmatore, quindi, può ragionevolmente attendersi di conoscere, comprendere ed usare correttamente
l’intero linguaggio.
Per molti anni la definizione del C è stata quella presentata nel manuale di riferimento contenuto nella prima
edizione de Linguaggio C. Nel 1983, l’Istituto Nazionale Americano per gli Standard (ANSI) ha costituito un
comitato per la definizione aggiornata e completa del C. Il risultato di questo lavoro, lo standard ANSI, o
“ANSI C”, è stato approvato nel 1989. Molte delle funzionalità di questo standard sono comunque già
supportate dai compilatori più recenti.
Lo standard si basa sul manuale di riferimento originale. Il linguaggio è variato soltanto in piccola parte; uno
dei principali scopi dello standard, infatti, era di assicurare che i vecchi programmi continuassero a
funzionare o che almeno, se ciò non fosse stato possibile, i compilatori fossero in grado di rilevare i nuovi
comportamenti.
Per la maggioranza dei programmatori, la novità maggiore riguarda l’introduzione di una nuova sintassi per la
dichiarazione e la definizione di funzioni. Ora una dichiarazione di funzione deve includere la descrizione degli
argomenti della funzione stessa; ovviamente, anche la sintassi della definizione è stata variata di
conseguenza. Quest’informazione aggiuntiva consente ai compilatori di rilevare facilmente gli errori dovuti ad
inconsistenze fra gli argomenti di chiamata e quelli della definizione; la nostra esperienza ci porta ad
affermare che questa nuova funzionalità del linguaggio risulta molto utile.
Oltre a quella appena descritta, il linguaggio ha subito altre modifiche, anche se su scala minore.
L’assegnamento fra strutture ed i tipi enumerativi, già disponibili in realtà, sono ora parte ufficialmente
integrante del linguaggio. I calcoli in floating-point ora possono essere effettuati con precisione singola. Le
proprietà della aritmetica, specialmente quelle relative ai tipi senza segno, sono state chiarite. Il
preprocessore è più sofisticato. Molte di queste variazioni avranno comunque un’importanza secondaria per
la maggior parte dei programmatori.
Un secondo importante contributo fornito dallo standard è la definizione di una libreria standard associata al
C. Essa specifica le funzione per l’accesso al sistema operativo (per esempio per leggere e scrivere su file),
per l’input e l’output formattati, per l’allocazione di memoria, per il trattamento delle stringhe ed attività affini.
Una collezione di header standard fornisce un insieme uniforme di dichiarazioni di funzioni e di tipi di dati.
Tutti i programmi che utilizzano questa libreria per accedere ad un sistema centrale hanno la garanzia della
compatibilità di comportamento. Buona parte della libreria si basa sulla “libreria standard di I/O” del sistema
UNIX, descritta nella prima edizione, che è stata utilizzata proficuamente anche su altri sistemi. Anche in
questo caso, molti programmatori non noteranno il cambiamento.
Poiché i tipi di dati e le strutture di controllo fornite dal C sono direttamente supportati dalla maggioranza dei
calcolatori, la libreria run-time richiesta per implementare programmi di dimensioni contenute è molto ridotta.
Le funzioni della libreria standard vengono chiamate soltanto esplicitamente e quindi, se non sono
necessarie, possono essere tralasciate. Quasi tutte queste funzioni sono scritte in C e, ad eccezione di quelle
legate ai dettagli implementativi del sistema operativo, sono anch’esse portabili.
Anche se il C sfrutta le capacità di molti calcolatori, esso è indipendente dall’architettura della macchina. Con
un minimo di attenzione è facile costruire programmi portabili, cioè programmi che possono essere eseguiti,
senza bisogno di modifiche, su hardware differenti. Lo standard rende evidente questa caratteristica, e fissa
un insieme di costanti che identificano la macchina sulla quale il programma è in esecuzione.
Il C non è un linguaggio fortemente tipato ma, con la sua evoluzione, anche il controllo sui tipi si è via via
rafforzato. La definizione originale del C sconsigliava, ma permetteva, lo scambio tra puntatori ed interi;
questa possibilità è stata eliminata, ed ora lo standard richiede dichiarazioni appropriate e conversioni
esplicite, che vengono già controllate dai compilatori più recenti. Anche la nuova dichiarazione di funzione
rappresenta un passo in questa direzione. I compilatori rileveranno quasi tutti gli errori sui tipi, e non sarà più
consentita alcuna conversione automatica fra tipi di dati incompatibili. Tuttavia, il C ha mantenuta la filosofia
di base, che assume che il programmatore sappia ciò che sta facendo; soltanto, ora si richiede che egli lo
dichiari esplicitamente.
Il C, come qualsiasi altro linguaggio, ha i propri difetti. Alcuni operatori hanno la precedenza sbagliata; alcune
parti della sintassi potrebbero essere migliorate. Tuttavia, esso si è dimostrato un linguaggio altamente
espressivo ed efficiente, adatto ad una grande varietà di aree applicative.
Il libro è organizzato come segue. Il Capitolo 1 è un’introduzione sulla parte centrale del C. Il suo scopo è
quello di consentire al lettore di iniziare a programmare nel più breve tempo possibile, perché siamo ferma-
mente convinti che il modo migliore per imparare un linguaggio consiste nell’utilizzarlo. L’introduzione dà per
scontata la conoscenza degli elemento base della programmazione; non vengono spiegati i concetti di
calcolatore, compilazione, né il significato di espressioni come n=n+1. Anche se abbiamo cercato, ove
possibile, di mostrare utili tecniche di programmazione, il libro non vuole costituire un riferimento sulle
strutture dati e gli algoritmi; ogniqualvolta si è rivelato necessario fare delle scelte, abbiamo sempre preferito
concentrare la nostra attenzione sul linguaggio.
I Capitoli dal 2 al 6 espongono i vari aspetti del C più dettagliatamente, ed anche più formalmente, di quanto
non faccia il Capitolo 1, sebbene l’enfasi venga ancora posta sugli esempi e sui programmi completi, piutto-
sto che su frammenti isolati di codice. Il Capitolo 2 tratta i tipi di dati fondamentali, gli operatori e le espres-
sioni. Il Capitolo 3 si riferisce al controllo del flusso: if-else, switch, while, for, e così via. Il Capitolo 4
riguarda le funzioni e la struttura del programma: variabili esterne, regole di scope, file sorgente multipli;
sempre in questo capitolo, viene trattato anche il preprocessore. Il Capitolo 5 illustra l’aritmetica dei puntatori
e degli indirizzi. Il Capitolo 6 tratta le strutture e le union.
Il Capitolo 7 descrive la libreria standard, che fornisce un’interfaccia unica verso il sistema operativo. Questa
libreria è definita nello standard ANSI e dovrebbe essere presente su tutte le macchine che supportano il C,
in modo che i programmi che la usano per l’input, l’output e gli altri accessi al sistema operativo possano
essere trasferiti da un sistema all’altro senza difficoltà.
Il Capitolo 8 descrive, invece, un’interfaccia tra i programmi C ed il sistema operativo UNIX, concentrandosi
sull’input / output, sul file system e sull’allocazione di memoria. Anche se parte di questo capitolo si riferisce
in particolare a UNIX, i programmatori che utilizzano altri sistemi dovrebbero comunque trovarvi informazioni
utili quali, per esempio, una descrizione delle modalità di implementazione di una libreria standard, ed
eventuali suggerimenti sulla portabilità.
L’Appendice A contiene un manuale di riferimento del linguaggio: il documento ufficiale, fornito dallo stesso
ANSI, sulla sintassi e sulla semantica del C. Tale documento, comunque, si rivolge principalmente ai
progettisti di compilatori. Il manuale qui riprodotto esprime la definizione del linguaggio in modo più conciso e
meno rigoroso dal punto di vista formale. L’Appendice B è un sommario della libreria standard, ancora una
volta rivolto agli utenti più che ai progettisti. L’Appendice C fornisce un breve riassunto delle modifiche
apportate al linguaggio originale. In caso di dubbi, comunque, lo standard ed il suo compilatore sono gli
elementi ai quali fare riferimento.
CAPITOLO 1
INTRODUZIONE GENERALE
Iniziamo con una breve introduzione al C. Il nostro intento è quello di illustrare gli elementi essenziali del
linguaggio all’interno dei programmi reali, senza considerare, per il momento, i dettagli, le regole e le ecce-
zioni. A questo punto dell’esposizione, la completezza e la precisione non sono i vostri principali obiettivi, che
si identificano invece nella correttezza degli esercizi. Vogliamo insegnarvi, nel più breve tempo possibile, a
scrivere programmi utili, e per farlo ci concentriamo sugli elementi fondamentali: variabili e costanti,
aritmetica, controllo del flusso, funzioni, ed i rudimenti dell’input / output. Tralasciamo intenzionalmente, in
questo capitolo, le caratteristiche del linguaggio utili nella stesura di programmi di grandi dimensioni che
sono: i puntatori, le strutture, molti degli operatori del C, alcune strutture di controllo e la libreria standard.
Questo approccio ha i suoi inconvenienti. Il principale consiste nel fatto che questo libro non contiene la storia
completa di tutte le caratteristiche del linguaggio e l’introduzione, essendo breve, potrebbe anche risultare
poco chiara. E poiché gli esempi non usano appieno le potenzialità del C, essi non sono concisi ed eleganti
come potrebbero. Abbiamo tentato di minimizzare questi difetti ma, in ogni caso, teneteli presenti. Un altro
svantaggio è dato dal fatto che a volte, nei prossimi capitoli, alcuni concetti già espressi in questo verranno
necessariamente ripetuti. Speriamo, in ogni caso, che queste ripetizioni risultino utili più che noiose.
In ogni caso, i programmatori già esperti dovrebbero essere in grado di estrapolare da questo capitolo gli
elementi utili alle loro particolari esigenze. I principianti dovrebbero, invece, integrarlo scrivendo
personalmente programmi brevi, simili a quelli degli esempi. Tutti, indistintamente, possono infine utilizzarlo
come ossatura alla quale aggiungere le descrizioni più dettagliate fornite nel Capitolo 2.
L’unico modo per imparare un linguaggio di programmazione consiste nell’utilizzarlo. Il primo programma da
scrivere è lo stesso per tutti i linguaggi:
Scrivi le parole
Salve, mondo
Questo è il grosso ostacolo; per superarlo, dovete essere in grado di scrivere da qualche parte il testo del
programma, compilarlo, caricarlo, eseguirlo e scoprire dove viene visualizzato il vostro output. Una volta su-
perati questi dettagli tecnici, tutto, al confronto, risulterà semplice.
#include <stdio.h>
main()
{
printf(“Salve, mondo\n”);
}
Il modo per eseguire questo programma dipende dal sistema che state usando. Nel caso del sistema opera-
tivo UNIX, dovete creare il programma in un file il cui nome termini con il suffisso “.c”, per esempio
salve.c, e quindi compilarlo con il comando
cc salve.c
Se non avete commesso errori, quali l’omissione di un carattere o un errore di sintassi, la compilazione pro-
cederà senza messaggi e creerà un file eseguibile chiamato a.out. Eseguendo a.out con il comando
a.out
otterrete la stampa
Salve, mondo
1
Su altri sistemi, le regole saranno differenti: chiedete ad un esperto.
Ora, spieghiamo alcune cose relative a questo programma. Un programma C, qualunque sia la sua
dimensione, è costituito da funzioni e da variabili. Una funzione contiene istruzioni che specificano le
operazioni da effettuare, mentre le variabili memorizzano i valori usati durante l’esecuzione. Le funzioni C
sono simili alle funzioni ed alle subroutine del Fortran o alle procedure e le funzioni del Pascal. Il nostro
esempio è una funzione chiamata main. Normalmente, siete liberi di dare alle vostre funzioni i nomi che
preferite, ma “main” è un nome speciale: il vostro programma inizia l’esecuzione a partire dalla funzione
main. Ciò significa che ogni programma deve contenere una funzione main.
Di solito, main chiama altre funzioni che lo aiutano a svolgere il lavoro e che possono essere state scritte da
voi oppure appartenere alle librerie che avete a disposizione. La prima linea del programma,
#include <stdio.h>
dice al compilatore di includere le informazioni relative alla libreria standard di input / output; questa linea
compare all’inizio di molti file sorgenti C. La libreria standard è descritta nel Capitolo 7 e nell’Appendice B.
Un metodo per comunicare dati tra funzioni consiste nel fornire alla funzione chiamata una lista di valori, detti
argomenti, preparati dalla funzione chiamante. Le parentesi che seguono il nome della funzione racchiudono
la lista di argomenti. In questo esempio, main è definita come una funzione che non si aspetta argomenti,
come viene indicato dalla lista vuota ().
Il primo programma C
Le istruzioni di una funzione sono racchiuse fra parentesi graffe {}. La funzione main contiene solo una
istruzione,
printf(“Salve, mondo\n”);
Una funzione viene chiamata con il nome, seguito da una lista di argomenti fra parentesi tonde; perciò que-
st’istruzione chiama la funzione printf con l’argomento “Salve, mondo\n”. printf è una funzione di
libreria che stampa un output identificato, in questo caso, dalla stringa di caratteri racchiusa tra apici.
Una sequenza di caratteri fra doppi apici, come “Salve, mondo\n”, viene chiamata stringa di caratteri o
stringa costante. Per il momento, l’unico uso che faremo delle stringhe di caratteri sarà come argomento di
printf o di altre funzioni.
La sequenza \n presente nella stringa è la notazione usata dal C per identificare il carattere di new line, che
quando viene stampato sposta l’output successivo sul margine sinistro della riga seguente. Tralasciando la
sequenza \n (un esperimento che vale la pena di tentare), vedrete che dopo aver stampato l’output il cursore
non cambia linea. Per includere un carattere di new line nell’argomento di printf dovete necessariamente
usare la sequenza \n; se tentate di fare una cosa di questo tipo:
printf(“Salve, mondo
“);
2
il compilatore C produrrà un messaggio di errore.
printf non fornisce mai automaticamente un new line, quindi la costruzione di un’unica linea di output può
essere effettuata tramite diverse chiamate a printf. Il nostro primo programma avrebbe potuto essere
scritto nel modo seguente
#include <stdio.h>
main()
{
printf(“Salve, “);
printf(“mondo”);
printf(“\n”);
}
ed avrebbe prodotto un identico output. Notiamo che la sequenza \n rappresenta un carattere singolo. Una
sequenza di escape come \n fornisce un meccanismo generale ed estensibile per rappresentare caratteri
difficili da vedere o invisibili. Fra le altre, il C comprende le sequenze \t per il carattere tab, \b per il back-
space, \” per i doppi apici e \\ per il backslash stesso. La Sezione 2.3 presenta una lista completa di que-
ste sequenze.
Esercizio 1.1 Eseguite il programma “Salve, mondo” sul vostro sistema. Provate a tralasciare alcune par-
ti del programma, per vedere quali messaggi di errore ottenete.
Esercizio 1.2 Provate a vedere cosa succede quando l’argomento di printf contiene una sequenza \c,
dove c non è uno dei caratteri elencati sopra.
Il prossimo programma usa la formula C = (5/9)(F-32) per stampare la seguente tabella delle temperature
Fahrenheit e delle loro equivalenti temperature in gradi centigradi o Celsius:
0 -17
20 -6
40 4
60 15
80 26
100 37
120 48
140 60
160 71
180 82
200 93
220 104
240 115
260 126
280 137
300 148
Anche questo programma contiene la definizione di un’unica funzione chiamata main. Esso è più lungo del
programma “Salve, mondo”, ma non è comunque complicato. Il programma introduce alcune nuove idee,
tra le quali i commenti, le dichiarazioni, le variabili, le espressioni aritmetiche, i cicli e l’output formattato.
#include <stdio.h>
/* stampa la tabella Fahrenheit - Celsius
per fahr = 0, 20, .........., 300 */
main()
{
int fahr, celsius;
int lower, upper, step;
3
fahr=lower;
while (fahr<=upper)
{
celsius=5*(fahr-32)/9;
printf(“%d\t%d\n, fahr, celsius);
fahr=fahr+step;
}
}
Le due linee
sono dei commenti che, in questo caso, spiegano brevemente ciò che il programma fa. Tutti i caratteri com-
presi fra /* e */ vengono ignorati dal compilatore; questi commenti possono essere usati liberamente per
rendere più leggibile un programma. Essi possono apparire in tutte le posizioni nelle quali possono comparire
spazi bianchi, caratteri di tabulazione o new line.
In C, prima di poter essere utilizzate, tutte le variabili devono essere dichiarate, normalmente all’inizio della
funzione, prima di una qualsiasi istruzione eseguibile. Una dichiarazione denuncia le proprietà delle variabili;
essa consiste in un nome di tipo ed in una lista di variabili, come
Il tipo int indica che le variabili elencate di seguito sono degli interi, mentre float indica variabili decimali,
cioè che possono avere una parte frazionaria. Il range dei valori che le variabili di tipo int e float possono
assumere dipende dalla macchina che state usando; potete trovare interi a 16-bit, compresi fra -32768 e
+32767, oppure interi a 32-bit. Un numero float è, di solito, una quantità a 32 bit, con almeno 6 bit
significativi e può variare tra 10^(-38) e 10^(+38).
Oltre ai tipi int e float, il C prevede altri tipi di dati fondamentali, tra i quali:
Anche le dimensioni di questi oggetti dipendono dalla macchina. Esistono poi i vettori, le strutture e le union
di questi tipi fondamentali, i puntatori ad essi, e le funzioni che li restituiscono: tutti elementi che illustreremo
al momento opportuno.
L’esecuzione del programma di conversione delle temperature inizia con alcune istruzioni di assegnamento
lower = 0;
upper = 300;
step = 20;
fahr = lower;
che assegnano alle variabili i loro valori iniziali. Le singole istruzioni sono terminate da un punto e virgola.
Ogni linea della tabella viene calcolata nello stesso modo, perciò usiamo un ciclo che si ripete per ogni riga di
output; questo è dunque lo scopo del ciclo di while
while (fahr<=upper)
{
............
}
Il while opera nel seguente modo: viene valutata la condizione tra parentesi. Se è vera (cioè, in questo ca-
so, se fahr è minore o uguale ad upper), viene eseguito il corpo del ciclo (cioè le istruzioni racchiuse tra
4
parentesi graffe). Quindi la condizione viene ricontrollata e, se è vera, il corpo del ciclo viene rieseguito.
Quando la condizione diventa falsa (fahr risulta maggiore di upper) il ciclo termina e l’esecuzione riprende
dalla prima istruzione successiva al ciclo. Nel nostro caso, non esistendo altre istruzioni, il programma
termina.
Il corpo di un while può essere costituito da una o più istruzioni fra parentesi graffe, come nel caso del
programma di conversione delle temperature, oppure da una singola istruzione senza parentesi, come
mostra lo esempio seguente
while (i<j)
i=2*j;
In entrambi i casi, in questo libro indenteremo di un carattere di tabulazione le istruzioni controllate dal
while, in modo che risulti evidente quali istruzioni compongono il corpo del ciclo. L’indentazione enfatizza la
struttura logica di un programma. Anche se i compilatori C ne ignorano l’aspetto esteriore, i programmi con
un’indentazione ed una spaziatura corretta risultano più leggibili.
Vi esortiamo dunque a scrivere una sola istruzione per riga, e ad usare gli spazi bianchi fra gli operatori, in
modo da evidenziarne il raggruppamento. La posizione delle parentesi è meno importante, sebbene la gente
vi ponga molta attenzione. In proposito, noi abbiamo scelto una delle numerose possibilità. Scegliete lo stile
che preferite, purché lo usiate in modo consistente.
La maggior parte dell’elaborazione viene svolta all’interno del ciclo. La temperatura Celsius viene calcolata ed
assegnata alla variabile celsius con l’istruzione
celsius=5*(fahr-32)/9
La ragione per cui abbiamo scelto di moltiplicare per 5 e poi dividere per 9, invece di moltiplicare diretta-
mente per 5/9, è che in C, come in molti altri linguaggi, la divisione fra interi effettua un troncamento: qual-
siasi parte frazionaria viene scartata. Poiché 5 e 9 sono due numeri interi, 5/9 verrebbe troncato a zero e, di
conseguenza, tutte le temperature Celsius risulterebbero nulle.
Questo esempio illustra anche in maggiore dettaglio il modo in cui lavora la funzione printf. printf è una
funzione di uso generale per la stampa di output formattato, che descriveremo per esteso nel Capitolo 7. Il
suo primo argomento è una stringa di caratteri da stampare, nella quale ogni % indica il punto in cui devono
essere sostituiti, nell’ordine, il secondo, il terzo e via via tutti gli argomenti seguenti; i caratteri
immediatamente successivi ad un % indicano la forma nella quale l’argomento dev’essere stampato. Per
esempio, %d specifica un argomento intero, quindi l’istruzione
provoca la stampa dei due valori interi contenuti nelle variabili fahr e celsius, separati da un carattere di
tabulazione (\t).
Ogni occorrenza del carattere % nel primo argomento è associata al corrispondente argomento di printf, a
partire dal secondo: perché non si verifichino errori, la corrispondenza deve riguardare sia il numero che il
tipo degli argomenti.
Per inciso, notiamo che printf non appartiene al linguaggio C; il C, di per se stesso, non prevede alcuna
definizione di funzioni di input / output. printf è soltanto un’utile funzione presente nella libreria standard
delle funzioni normalmente accessibili da programmi C. Il comportamento di printf è definito nello stan-
dard ANSI e, di conseguenza, le sue proprietà dovrebbero essere le stesse con tutti i compilatori e le libre-rie
conformi allo standard.
Per poterci concentrare sul C, rimandiamo al Capitolo 7 ulteriori dissertazioni riguardanti l’input / output. In
particolare, rinviamo fino ad allora la trattazione dell’input formattato. Se dovete ricevere dei numeri in input,
leggete la discussione sulla funzione scanf, nella Sezione 7.4. scanf è simile a printf, ma si occupa di
leggere l’input, piuttosto che di scrivere l’output.
Nel programma di conversione delle temperature esistono due problemi. Il più semplice è dato dal fatto che
la formattazione dell’output potrebbe essere migliorata, allineando a destra i numeri stampati. La soluzione è
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semplice; aggiungendo ad ogni sequenza %d della printf un’ampiezza, i numeri in output verranno
incolonnati a destra. Per esempio, potremmo scrivere
per stampare il primo numero di ogni linea in un campo di tre cifre, ed il secondo in un campo di sei, otte-
nendo il seguente risultato:
0 -17
20 -6
40 4
60 15
80 26
100 37
.... ..
Il problema principale, invece, è dato dal fatto che abbiamo usato l’aritmetica fra interi e, di conseguenza, le
temperature Celsius risultano poco accurate; per esempio, 0F corrispondono, in realtà, a -17.8 C, e non a -17
C.
Per ottenere misure più precise, dovremmo utilizzare l’aritmetica in floating-point, e per farlo dobbiamo ap-
portare alcune modifiche al programma. Eccone dunque una seconda versione:
#include <stdio.h>
main()
{
float fahr, celsius;
int lower, upper, step;
fahr=lower;
while (fahr<=upper)
{
celsius=(5.0/9.0)*(fahr-32);
printf(“%3.0f %6.1f\n”, fahr, celsius);
fahr=fahr+step;
}
}
Questo programma è molto simile a quello precedente, ma le variabili fahr e celsius sono state dichiarate
float, e la formula di conversione è scritta in modo più intuitivo. Nella versione precedente, non potevamo
usare l’espressione 5/9 perché la divisione intera avrebbe troncato a zero il risultato. Tuttavia, un punto
decimale in una costante indica che essa è un numero frazionario, quindi 5.0/9.0 non viene troncato,
perché è un quoziente tra due numeri decimali.
Se un operatore aritmetico ha degli operandi interi, l’operazione eseguita è intera. Tuttavia, se un operatore
ha un argomento intero ed uno decimale, prima di eseguire l’operazione l’intero viene convertito in un deci-
male. Se avessimo scritto fahr-32, il valore 32 sarebbe stato trasformato automaticamente in un floating-
point. Ciò nondimeno, scrivere delle costanti con dei punti decimali espliciti anche quando esse hanno valori
interi ne enfatizza, agli occhi del lettore, la natura frazionaria.
Le regole dettagliate per le conversioni degli interi in numeri frazionari sono date nel Capitolo 2. Per ora,
notiamo soltanto che l’assegnamento
fahr=lower;
ed il test
6
while (fahr<=upper)
La specifica di conversione %3.0f nella printf dice che un numero frazionario (fahr) dev’essere
stampato in un campo di almeno tre caratteri, senza punto decimale e senza cifre frazionarie. %6.1f dice
invece che un altro numero (celsius) dev’essere stampato in un campo di almeno sei caratteri, con una
cifra dopo il punto decimale. L’output ottenuto sarà del tipo:
0 -17.8
20 -6.7
40 4.4
... ...
L’ampiezza e la precisione, in una specifica di conversione, possono essere tralasciate: %6f significa che il
numero dev’essere in un campo di almeno sei caratteri; %.2f indica la presenza di due cifre dopo il punto
decimale, ma non pone vincoli sull’ampiezza del campo; %f, infine, dice semplicemente che il numero deve
essere stampato in floating-point.
Inoltre, printf riconosce anche le sequenze %o per le stampe in ottale, %x per quelle in esadecimale, %s
per le stringhe di caratteri e %% per il carattere % stesso.
Esercizio 1.3 Modificate il programma di conversione delle temperature in modo che stampi un’intestazione.
Esercizio 1.4 Scrivete un programma che stampi una tabella di corrispondenza fra temperature Celsius e
Fahrenheit.
Esistono molti modi di scrivere un programma che assolva un particolare compito. Tentiamo dunque di scri-
vere una variante del programma di conversione delle temperature.
#include <stdio.h>
Questo programma produce gli stessi risultati, pur apparendo molto diverso dal precedente. Una delle
variazioni principali è l’eliminazione di molte variabili; è rimasta soltanto la variabile fahr, che abbiamo
dichiarato come int. I limiti inferiore e superiore (lover ed upper) e la granularità (step) appaiono
soltanto come costanti nell’istruzione for, che è anch’essa un costrutto nuovo; infine, l’espressione per il
calcolo dei gradi Celsius compare come terzo argomento della printf, invece che come istruzione separata
di assegnamento.
Quest’ultimo cambiamento è un esempio di applicazione di una regola generale: in ogni contesto in cui è
consentito l’uso del valore di una variabile di un certo tipo, è possibile utilizzare anche espressioni di quel tipo
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ma più complesse. Poiché il terzo argomento della printf dev’essere un valore frazionario, per consistenza
con la specifica di conversione %6.1f, esso può essere una qualsiasi espressione di tipo frazionario.
L’istruzione for è un ciclo, una generalizzazione del while. Confrontandola con il while della prima
versione del programma, le operazioni che essa effettua dovrebbero risultare chiare. All’interno delle
parentesi vi sono tre parti, separate da un punto e virgola. La prima parte, l’inizializzazione
fahr=0
viene eseguita una sola volta, prima di entrare nel ciclo. La seconda parte è la condizione di controllo del
ciclo:
fahr<=300
Questa condizione viene valutata; se è vera, viene eseguito il corpo del ciclo (che nel nostro caso è costituito
soltanto da una printf). Quindi viene eseguito l’incremento
fahr=fahr+20
e la condizione viene nuovamente testata. Il ciclo termina quando la condizione diventa falsa. Come nel caso
del while, anche il corpo del for può essere composto da una singola istruzione o da un gruppo di
istruzioni racchiuse tra parentesi graffe. L’inizializzazione, la condizione e l’incremento possono essere
espressioni di qualsiasi tipo.
La scelta tra un while ed un for è arbitraria, e cade, in genere su quello fra i due risulta di volta in volta più
chiaro. Normalmente, il for è più adatto a cicli nei quali l’inizializzazione e l’incremento sono delle istruzioni
singole e logicamente correlate, poiché è più compatto del while e raggruppa in un’unica posizione tutte le
istruzioni di controllo del ciclo.
Esercizio 1.5 Modificate il programma di conversione delle temperature in modo che stampi la tabella in
ordine inverso, cioè partendo dai 300 gradi e scendendo fino a 0.
Dopo una linea di questo tipo, tutte le occorrenze di nome (purché non siano racchiuse fra apici e non fac-
ciano parte di un’altra stringa) vengono rimpiazzate con il corrispondente testo da sostituire. nome ha la
stessa forma di un nome di variabile: una sequenza di lettere e cifre inizia con una lettera. Il testo da sosti-
tuire può essere una qualsiasi sequenza di caratteri; esso, cioè, non deve necessariamente essere un
numero.
#include <stdio.h>
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Le quantità LOWER, UPPER e STEP sono costanti simboliche, non variabili, che in quanto tali non appaiono
nelle dichiarazioni. Per meglio distinguerli dai nomi delle variabili, normalmente scritti in lettere minuscole, i
nomi delle costanti simboliche vengono convenzionalmente scritti a caratteri maiuscoli, così da favorire la
leggibilità del programma. Notiamo che, in fondo ad una linea del tipo #define, non viene posto il punto e
virgola.
Consideriamo ora una famiglia di programmi correlati, tutti relativi al trattamento dei caratteri. Troverete ben
presto che alcuni di essi non sono altro che le versioni espanse dei prototipi sin qui discussi.
Il modello di input / output supportato dalla libreria standard è molto semplice. L’input o l’output di un testo,
qualsiasi siano la sua sorgente e la destinazione, viene considerato come un flusso di caratteri. Un flusso di
testo è una sequenza di caratteri divisi in linee; ogni linea consiste in zero o più caratteri seguiti da un new
line. La conformità di ogni flusso di input e di output a questo modello è responsabilità della libreria;
utilizzandola, il programmatore C non ha bisogno di preoccuparsi di come le linee vengono rappresentate
all’esterno del programma.
Tra le diverse funzioni per la lettura e la scrittura di un carattere, fornite dalla libreria standard, le più semplici
sono getchar e putchar. Ogni volta che viene chiamata, getchar legge il prossimo carattere di input da
un flusso di caratteri e lo restituisce come suo valore. Cioè, dopo
c=getchar();
la variabile c contiene il prossimo carattere di input. Normalmente, i caratteri letti vengono inseriti dalla ta-
stiera; l’input da file verrà illustrato nel Capitolo 7.
putchar(c)
stampa il contenuto della variabile intera c come carattere, normalmente sul video del terminale. Le chiamate
a putchar e printf possono venire intercalate: l’output apparirà nell’ordine in cui le chiamate stesse
vengono effettuate.
Conoscendo getchar e putchar, è possibile scrivere una quantità sorprendente di programmi utili, senza
alcuna nozione aggiuntiva sull’input / output. L’esempio più semplice è quello di un programma che copia il
suo input sul suo output, procedendo al ritmo di un carattere per volta:
leggi un carattere
while (il carattere è diverso da new line)
stampa il carattere appena letto
leggi un carattere
La conversione in C è la seguente
#include <stdio.h>
c=getchar();
while (c!=EOF)
{
putchar(c);
c=getchar();
}
9
}
Ciò che sulla tastiera e sul video appare come carattere viene memorizzato, come ogni altro oggetto, sotto
forma di una stringa di bit (bit-pattern). Il tipo char specifica proprio questo tipo di caratteri ma, al suo posto,
è possibile utilizzare uno qualsiasi dei tipi interi. Noi abbiamo usato int per una sottile ma importante
ragione.
Il problema consiste nel distinguere la fine dell’input dei dati validi. La soluzione è data dal fatto che get-
char, quando non c’è più input, ritorna un valore particolare, che non può venire confuso con alcun altro
carattere reale. Questo valore è chiamato EOF, che significa “End Of File”, cioè “Fine Del Testo”. Noi
dobbiamo dichiarare la variabile c di un tipo in grado di contenere uno qualsiasi dei valori che getchar può
ritornare. Non possiamo utilizzare il tipo char perché c dev’essere sufficientemente grande per conte-nere,
oltre ad ogni carattere possibile, anche l’EOF. Per questo motivo, usiamo il tipo int.
EOF è un intero definito in <stdio.h>, ma il suo valore specifico non è significativo, purché sia diverso dal
valore di qualsiasi altro char. Usando una costante simbolica, ci assicuriamo che nessuna parte del pro-
gramma dipenda da questo valore specifico.
Il programma di copia potrebbe essere scritto in modo più conciso da un programmatore esperto. In C, ogni
assegnamento, come
c=getchar();
costituisce un’espressione con un particolare valore, che è quello della parte sinistra dopo l’assegnamento.
Questo significa che ogni assegnamento può fare parte di un’espressione più complessa. Se l’asse-
gnamento di un carattere alla variabile c viene inserito nel test di un ciclo di while, il programma di copia
può essere scritto nella seguente forma:
#include <stdio.h>
Il while preleva un carattere, lo assegna a c, quindi controlla che il carattere fosse diverso dal segnale di
End Of File. Se ciò si verifica, viene eseguito il corpo del while, che stampa il carattere in questione. Quin-
di, il ciclo si ripete. Quando viene raggiunta la fine dell’input, il while, e di conseguenza il main, terminano.
Questa versione accentra l’input (ora c’è soltanto un punto di chiamata a getchar) ed abbrevia il program-
ma. Il codice che ne deriva è più compatto e, una volta appreso il principio su cui si basa, anche più leggibi-
le. Vedrete spesso questo tipo di scrittura (è comunque possibile che ci si lasci fuorviare e si scriva codice
incomprensibile; una tendenza, questa, che cercheremo di dominare).
Le parentesi intorno all’assegnamento, all’interno della condizione di riciclo, sono necessarie. La precedenza
dell’operatore != è infatti superiore a quella dell’operatore =, il che significa che, in assenza di parentesi, il
test relazionale != verrebbe eseguito prima dell’assegnamento =. In altre parole, l’istruzione
c=getchar()!=EOF
equivale a
c=(getchar()!=EOF)
Quest’istruzione ha l’effetto, indesiderato, di assegnare a c il valore 0 oppure 1, in base al fatto che get-
char abbia incontrato o meno la fine del file (chiarimenti in proposito verranno presentati nel Capitolo 2).
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Esercizio 1.6 Verificate che l’espressione getchar() != EOF è sempre uguale a 0 oppure ad 1.
#include <stdio.h>
nc=0;
while (getchar()!=EOF)
++nc;
printf(“%ld\n”, nc);
}
L’istruzione
++nc;
presenta un nuovo operatore, ++, che significa incremento di uno. Lo stesso risultato si otterrebbe scrivendo
nc=nc+1, ma ++nc è più conciso e, spesso, più efficiente. Esiste anche un corrispettivo per il decremento di
uno: l’operatore --. Gli operatori ++ e – possono essere sia prefissi (++nc) che postfissi (nc++); come
vedremo nel Capitolo 2, queste due forme assumono valori diversi all’interno di un’espressione, anche se sia
++nc che nc++ incrementano di uno la variabile nc. Per il momento, ci limiteremo ad utilizzare la forma
prefissa.
Il programma di conteggio dei caratteri accumula il totale parziale di una variabile di tipo long, invece che in
un int. Gli interi long sono costituiti da almeno 32 bit. Anche se su molte macchine gli int ed i long
hanno la stessa ampiezza, su altre gli int occupano 16 bit, e possono quindi assumere un valore massimo
di 32767; un contatore intero andrebbe quindi in overflow troppo facilmente. La specifica di conversione %ld
dice alla printf che l’argomento corrispondente è un intero di tipo long.
Utilizzando un double (float in doppia precisione) è possibile conteggiare anche numeri maggiori. Nella
seconda versione di questo programma, useremo anche un for al posto del while, per illustrare un altro
modo di scrivere il ciclo.
#include <stdio.h>
printf usa %f sia per i double che per i float; %.0f elimina la stampa del punto decimale e della parte
frazionaria, che è nulla.
Il corpo di questo ciclo di for è vuoto, perché tutta l’elaborazione viene effettuata nelle parti di test e di in-
cremento. Tuttavia, le regole grammaticali del C richiedono che un’istruzione di for possieda sempre un
corpo. Il punto e virgola isolato, chiamato istruzione nulla, soddisfa questo requisito. L’abbiamo posto su una
linea separata per renderlo visibile.
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Prima di abbandonare il programma del conteggio dei caratteri, osserviamo che, se l’input non contiene ca-
ratteri, la condizione del while (o del for) fallisce alla prima chiamata di getchar, ed il programma produ-
ce uno zero, che è il risultato corretto. Questo è molto importante. Uno dei vantaggi del while e del for è
quello di controllare la condizione prima di eseguire il corpo del ciclo stesso. Se non ci sono azioni da intra-
prendere, nulla viene eseguito, anche se ciò significa non entrare mai nel corpo del ciclo. I programmi do-
vrebbero sempre gestire il caso di un input nullo. Le istruzioni while e for aiutano a fare sì che il program-
ma si comporti in modo ragionevole anche nei casi limite.
Il prossimo programma conta le linee. Come abbiamo già detto, la libreria standard assicura che un flusso di
input appaia come una sequenza di linee, ognuna delle quali è terminata dal carattere di new line. Perciò,
contare le linee equivale a contare i new line:
#include <stdio.h>
nl=0;
while ((c=getchar() != EOF)
if (c==‘\n’)
++nl;
printf(“%d\n”, nl);
}
Questa volta il corpo del while è costituito da un if, che a sua volta controlla l’incremento ++nl.
L’istruzione if controlla la condizione fra parentesi e, se questa è vera, esegue l’istruzione (o il gruppo fra
parentesi graffe) immediatamente successiva. Nell’esempio, abbiamo utilizzato un altro livello di indentazio-
ne, per evidenziare il controllo delle istruzioni le une sulle altre.
L’operatore == è la notazione C per “uguale a” (è il corrispettivo degli operatori = del Pascal e .EQ. del
Fortran). Questo simbolo viene usato per distinguere il test di uguaglianza dall’assegnamento, che in C è
indicato dall’operatore =. Un’osservazione: i programmatori inesperti scrivono spesso = al posto di ==. Come
vedremo nel Capitolo 2, il risultato di questo errore è, di solito, un’espressione legale che, tuttavia, produce
risultati diversi da quelli attesi.
Un carattere scritto tra singoli apici rappresenta un valore intero, uguale al valore numerico del carattere allo
interno del set di caratteri della macchina. Tale carattere viene detto costante di tipo numerico, anche se non
è altro che un modo diverso di scrivere i piccoli interi. Così, per esempio, ‘A’ è una costante di tipo
carattere; nel codice ASCII il suo valore numerico è 65, la rappresentazione interna del carattere A.
naturalmente, piuttosto che 65, è preferibile utilizzare la notazione ‘A’: il suo significato è ovvio ed
indipendente dal set di caratteri utilizzato dalla macchina.
Le sequenze di escape usate nelle stringhe costanti sono legati anche nelle costanti di tipo carattere, quindi
‘\n’ indica il valore del carattere di new line, che in ASCII è 10. Notate che ‘\n’ è un carattere singolo e,
nelle espressioni, equivale ad un intero; al contrario, “\n” è una stringa costante che, casualmente, contiene
un solo carattere. Le peculiarità delle stringhe rispetto ai caratteri vengono illustrate nel Capitolo 2.
Esercizio 1.8 Scrivete un programma che conti gli spazi, i caratteri di tabulazione ed i new line.
Esercizio 1.9 Scrivete un programma che copi il suo input sul suo output, sostituendo una stringa di uno o
più spazi con uno spazio singolo.
Esercizio 1.10 Scrivete un programma che copi il suo input sul suo output, sostituendo ogni carattere di ta-
bulazione con \t, ogni backspace con \b ed ogni backslash con \\. Questo visualizza in modo univoco i
caratteri di tabulazione ed i backspace.
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Il quarto della nostra serie di utili programmi conta le linee, le parole ed i caratteri, assumendo che una parola
sia una qualsiasi sequenza di caratteri priva di spazi, di caratteri di tabulazione e di new line. Quella che
segue è una versione semplificata del programma UNIX wc.
#include <stdio.h>
state=OUT;
nl=nw=nc=0;
while ((c=getchar()) != EOF)
{
++nc;
if (c==‘\n’)
++nl;
if (c==‘ ‘ || c==‘\n’ || c==‘\t’)
state=OUT;
else if (state==OUT)
{
state=IN;
++nw;
}
}
printf(“%d %d %d\n”, nl, nw, nc);
}
Ogni volta che il programma incontra il primo carattere di una parola, incrementa di uno il contatore delle
parole. La variabile state registra il fatto che il programma, in un certo istante, si trovi o meno all’interno di
una parola; inizialmente essa vale OUT, che significa “non siamo all’interno di una parola”. Ai valori numerici 1
e 0 preferiamo le costanti simboliche IN ed OUT, perché rendono il programma più leggibile. In un
programma scarno come questo, un simile accorgimento può sembrare superfluo ma, in programmi più
complessi, lo aumento di chiarezza che comporta supera di gran lunga lo sforzo derivante dall’utilizzare sin
dall’inizio questa notazione. Scoprirete, inoltre, che è molto più agevole apportare modifiche estese a pro-
grammi nei quali i numeri espliciti compaiono soltanto come costanti simboliche.
La linea
nl=nw=nc=0;
pone a zero tre variabili. Questa non è un’eccezione, bensì una conseguenza del fatto che un assegna-
mento è un’espressione con un suo valore, e che gli assegnamenti sono associativi da destra a sinistra. È
come se avessimo scritto
nl=(nw=(nc=0));
va intesa come “se c è uno spazio, oppure un new line, oppure un carattere di tabulazione” (ricordiamo che
la sequenza di escape \t è la rappresentazione visibile del carattere di tabulazione). Esiste un operatore
corrispondente, &&, per l’operazione di AND; la sua precedenza è immediatamente superiore a quella di ||.
Le espressioni connesse da && e || vengono valutate da sinistra a destra, e la valutazione si blocca non
appena viene determinata la verità o la falsità dell’intera espressione. Se c è uno spazio, non è necessario
controllare che esso sia un carattere di tabulazione o un new line, quindi questi controlli non vengono effet-
tuati. Quest’osservazione, che in questo caso non è particolarmente importante, diventa determinante in si-
tuazioni più complesse, come vedremo in seguito.
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L’esempio mostra anche un else, che specifica un’azione alternativa da intraprendere se la condizione as-
sociata ad un if risulta falsa. La forma generale è:
if (espressione)
istruzione_1
else
istruzione_2
Una ed una sola delle due istruzioni associate ad un if-else viene eseguita. Se espressione è vera, viene
eseguita istruzione_1; in caso contrario, viene eseguita istruzione_2. Ogni istruzione può essere un’istruzione
singola o un gruppo, racchiuso in parentesi graffe. Nel programma di conteggio delle parole, l’istruzione dopo
l’else è un if che controlla due istruzioni fra parentesi graffe.
Esercizio 1.11 Come potreste controllare la correttezza del programma di conteggio delle parole? Quali
sequenze di input sarebbero più adatte a rilevare eventuali errori?
Esercizio 1.12 Scrivete un programma che stampi il suo input con una parola per linea.
1.6 Vettori
Scriviamo ora un programma che conta le occorrenze delle diverse cifre, dei caratteri di spaziatura (spazio,
carattere di tabulazione e new line), e di tutti gli altri caratteri. Questa suddivisione è artificiosa, ma ci
consente di evidenziare alcune caratteristiche di un programma C.
Poiché i possibili tipi di input sono dodici, per memorizzare le occorrenze delle dieci cifre useremo un vettore
(array), anziché dieci variabili distinte. Ecco dunque una versione del programma:
#include <stdio.h>
nwhite=nother=0;
for (i=0; i<10; ++i)
ndigit[i]=0;
printf(“cifre =”);
for (i=0; i<10; ++i)
printf(“ %d”, ndigit[i]);
printf(“, spaziature = %d, altri = %d\n, nwhite, nother);
}
La dichiarazione
int ndigit[10];
definisce ndigit come un vettore di dieci interi. Poiché, in C, gli indici di un vettore partono sempre da zero,
gli elementi di ndigit sono ndigit[0], ndigit[1], . . . ., ndigit[9]. Questa proprietà si riflette
nella struttura dei cicli for che inizializzano e stampano il vettore.
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Un indice può essere una qualsiasi espressione intera e, in quanto tale, può contenere costanti e variabili
intere come, nel nostro caso, la variabile i.
Questo particolare programma si basa sulle proprietà di rappresentazione alfanumerica delle cifre. Per
esempio, il test
c=‘0’
Questa vale soltanto se ‘0’, ‘1’, . . . ., ‘9’ possiedono valori crescenti e consecutivi. Fortunata-
mente, ciò è vero per tutti i set di caratteri.
Per definizione, i char non sono altro che dei piccoli interi; questo comporta che, nelle espressioni aritmeti-
che, essi siano identici agli int. Una simile convenzione è molto vantaggiosa; per esempio, c-‘0’ è una
espressione intera, con un valore compreso fra 0 e 9 corrispondente al carattere da ‘0’ a ‘9’ memorizzato
in c: tale valore è, dunque, utilizzabile anche come indice del vettore ndigit.
L’identificazione della classe di appartenenza del carattere (spaziatura, cifra o altro), viene effettuata con la
sequenza
La struttura
if (condizione_1)
istruzione_1
else if (condizione_2)
istruzione_2
.....
.......
else
istruzione_n
viene utilizzata spesso come mezzo per effettuare una scelta fra più possibilità. A partire dalla prima in alto,
le diverse condizioni vengono valutate sequenzialmente, fino a che non se ne trovi una vera; a questo punto,
viene eseguita l’istruzione corrispondente alla condizione vera, dopodiché si esce dall’intera struttura (ogni
istruzione può essere costituita da più istruzioni racchiuse fra parentesi graffe). Se nessuna delle condizioni
previste è soddisfatta, l’istruzione eseguita è quella controllata dall’ultimo else, se esiste. Se l’else finale e
la corrispondente istruzione vengono omessi, come nel programma per il conteggio delle parole, non viene
eseguita alcuna azione particolare. Il numero dei gruppi
else if (condizione)
istruzione
Per motivi di chiarezza, è conveniente rappresentare il costrutto else-if nel modo illustrato dal program-
ma; se ogni if fosse indentato rispetto all’else precedente, una lunga sequenza di alternative sconfinereb-
be oltre il margine destro della pagina.
L’istruzione switch, che verrà discussa nel Capitolo 3, fornisce un modo alternativo di realizzare un simile
costrutto. L’uso di quest’istruzione è particolarmente indicato quando la condizione consiste nel determinare
se una particolare espressione possiede valori all’interno di un certo insieme di costanti. A scopo di con-
fronto, nella Sezione 3.4 presenteremo una versione di questo programma nella quale viene usata l’istru-
zione switch.
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Esercizio 1.13 Scrivete un programma che stampi un istogramma della lunghezza delle parole che riceve in
input. Un istogramma a barre orizzontali è più facile da ottenere di uno a barre verticali.
Esercizio 1.14 Scrivete un programma che stampi un istogramma delle frequenze dei diversi caratteri pre-
senti nel suo input.
1.7 Funzioni
In C, una funzione è equivalente alla subroutine (o funzione) del Fortran ed alla procedura (o funzione) del
Pascal. Una funzione è uno strumento che consente di raggruppare diverse operazioni, il cui risultato può
essere riutilizzato in seguito, senza che ci si debba preoccupare di come esso sia stato ottenuto dal punto di
vista implementativo. Utilizzando funzioni ideate nel modo opportuno, è possibile persino ignorare come un
determinato lavoro viene eseguito; è infatti sufficiente conoscere cosa viene eseguito. Il C rende facile,
conveniente ed efficiente l’uso delle funzioni; per questo motivo, spesso vedrete funzioni brevi invocate una
sola volta, dichiarate con il preciso intento di rendere più leggibile un particolare segmento di codice.
Fino ad ora abbiamo utilizzato soltanto funzioni già presenti nelle librerie di sistema, come printf, get-
char e putchar; ora è giunto il momento di scrivere qualche funzione implementata da noi. Poiché il C non
possiede un operatore esponenziale, equivalente all’operatore ** del Fortran, illustreremo la mecca-nica
della definizione di funzione realizzando la funzione power(m,n), che eleva un intero m alla potenza intera
positiva n. Cioè, il valore di power(2,5) è 32. Questa funzione non è particolarmente pratica, perché
gestisce soltanto potenze positive di piccoli interi, ma possiede tutte le caratteristiche necessarie alla nostra
presentazione (la libreria standard contiene una funzione pow(x,y) che calcola x^y).
Presentiamo dunque la funzione power, insieme ad un programma principale che la utilizza, in modo che
possiate osservarne l’intera struttura.
#include <stdio.h>
p=1;
for (i=1; i<= n; ++i)
p=p*base;
return p;
}
Le definizioni di funzione possono comparire in un ordine qualsiasi, all’interno di uno o più file sorgente, ma
nessuna funzione può essere spezzata su file separati. Se il programma sorgente è suddiviso in più file, per
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poterlo compilare ed eseguire sono necessarie alcune informazioni aggiuntive, che dipendono però dal si-
stema operativo e non dal linguaggio. Per il momento, assumiamo che entrambe le funzioni si trovino nello
stesso file, in modo che tutto ciò che è stato detto fino ad ora sull’esecuzione dei programmi C rimanga
valido.
Ogni chiamata fornisce due argomenti, e la funzione power produce, come risultato, un intero che dev’es-
sere formattato e stampato. All’interno di un’espressione, power(2,i) è un intero, esattamente come lo
sono 2 e i (non tutte le funzioni producono un valore intero, ma di queste parleremo nel Capitolo 4).
dichiara i nomi ed i tipi dei parametri, oltre che il tipo del risultato restituito dalla funzione. I nomi usati da
power per i suoi parametri sono locali a power stessa, e non sono visibili a nessun’altra funzione: le altre
routine possono usarli, senza incorrere in problemi di conflitto. Ciò resta vero anche per le variabili i e p: la i
utilizzata in power non ha alcuna relazione con la i usata nel main.
Normalmente, noi utilizzeremo il termine parametro per una variabile definita nella lista fra parentesi che
compare nella definizione di funzione, mentre il termine argomento sarà il valore usato in una chiamata del-la
funzione stessa. A volte, questo stesso criterio distingue i termini argomento formale ed argomento reale.
Il valore calcolato da power viene restituito al main attraverso l’istruzione return, che può essere seguita
da qualsiasi espressione:
return espressione;
Una funzione non ha bisogno di restituire un valore; un’istruzione return senza alcuna espressione fa sì
che al chiamante venga restituito il controllo, ma non un valore utile. È come se la funzione terminasse per il
raggiungimento della sua ultima parentesi destra, quella di chiusura.
È da notare che anche al termine del main è presente un’istruzione di return. Poiché, infatti, il main è una
funzione analoga a qualsiasi altra, anch’esso può restituire un particolare valore al chiamante, che in realtà è
l’ambiente nel quale il programma è stato eseguito. Di solito, un valore di ritorno nullo indica un cor-retto
completamento; valori diversi da zero segnalano, invece, la presenza di condizioni di terminazione ec-
cezionali o scorrette. Per semplicità, fino a questo momento avevamo omesso dalle nostre funzioni main le
istruzioni di return; d’ora in poi, tuttavia, le includeremo, per ricordare che ogni programma dovrebbe
restituire all’ambiente chiamante uno stato di terminazione.
La dichiarazione
posta appena prima del main segnala che power è una funzione che si aspetta due argomenti interi e che
restituisce un intero. Questa dichiarazione, che viene detta prototipo della funzione, deve essere in accordo
con la definizione e l’uso di power. Il fatto che la definizione o una qualsiasi delle chiamate a power non
concordino con questo prototipo costituisce un errore.
Questa corrispondenza non è invece richiesta per i nomi dei parametri. Infatti, all’interno del prototipo essi
sono addirittura opzionali; quindi, noi avremmo potuto scrivere
Tuttavia i nomi, se scelti opportunamente, costituiscono una buona documentazione, quindi noi li utilizzere-
mo spesso.
17
Una nota storica: la variazione principale dell’ANSI C rispetto alle versioni precedenti riguarda la dichiara-
zione e la definizione delle funzioni. Nella definizione originaria di una funzione C, la funzione power sa-
rebbe apparsa nella forma seguente:
p=1;
for (i=0; i<=n; ++i)
p=p*base;
return p;
}
I parametri venivano nominati all’interno delle parentesi, mentre i loro tipi erano dichiarati prima delle paren-
tesi sinistra di apertura; i parametri non dichiarati erano assunti essere int (il corpo della funzione non pre-
sentava, invece, variazioni di rispetto alla sintassi attuale). La dichiarazione di power all’inizio del program-
ma sarebbe stata la seguente:
int power();
Con la vecchia sintassi non poteva essere fornita alcuna lista di parametri, cosicché il compilatore non era in
grado di controllare subito se power era stata chiamata correttamente. Inoltre poiché, per default, si as-
sumeva che power restituisse un intero, l’intera dichiarazione avrebbe potuto essere tralasciata.
La nuova sintassi dei prototipi di funzione facilita il compilatore nella ricerca di errori relativi al numero ed al
tipo degli argomenti. Il vecchio stile di dichiarazione e definizione sarà ancora supportato dall’ANSI C, alme-
no per un certo periodo, ma vi invitiamo ad utilizzare la nuova forma ogni volta che possedete un compilato-
re che la supporta.
Esercizio 1.15 Riscrivete il programma di conversione delle temperature della Sezione 1.2 in modo da usa-
re una funzione di conversione.
Per coloro che conoscono ed utilizzano il Fortran, le funzioni C presentano un aspetto poco familiare. In C,
tutti gli argomenti delle funzioni vengono passati “per valore”. Questo significa che i valori degli argomenti
vengono forniti alla funzione in variabili temporanee, piuttosto che in quelle d’origine. Da ciò derivano alcu-ne
differenze rispetto ai linguaggi che, come il Fortran, possiedono la “chiamata per riferimento” oppure (è il
caso del Pascal) permettono l’uso di parametri preceduti da var; in questi casi, infatti, la funzione chiamata
accede direttamente all’argomento originale, e non ad una copia locale di esso.
La differenza principale consiste nel fatto che, in C, la funzione chiamata non può alterare direttamente una
variabile nella funzione chiamante; essa può modificare soltanto la sua copia, privata e temporanea.
Contrariamente a quanto può sembrare, la chiamata per valore è un vantaggio; essa consente di scrivere
programmi più compatti contenenti meno variabili non essenziali, perché i parametri possono essere consi-
derati delle variabili locali inizializzate nel modo opportuno all’interno della funzione chiamata. Come esem-
pio, presentiamo una versione di power che utilizza questa proprietà.
18
Il parametro n viene usato come variabile temporanea, e viene decrementato (con un ciclo di for che pro-
cede a ritroso) fino a che diventa zero; la variabile i non è più necessaria. Le modifiche apportate ad n allo
interno di power non hanno effetto sull’argomento con cui power era stata originariamente chiamata.
In caso di necessità, è possibile fare in modo che una funzione modifichi una variabile all’interno della routi-
ne chiamante. Il chiamante deve fornire l’indirizzo della variabile (tecnicamente, il puntatore), mentre la fun-
zione chiamata deve dichiarare il parametro come un puntatore attraverso il quale accedere, indirettamente,
alla variabile stessa. Illustreremo questo argomento nel Capitolo 5.
Il caso dei vettori è però diverso. Quando il nome di un vettore è usato come argomento, il valore passato
alla funzione è la posizione (o indirizzo) dell’inizio del vettore stesso: non viene copiato alcun elemento. In-
dicizzando questo valore, la funzione può usare e modificare qualsiasi elemento del vettore. Questo argo-
mento è l’oggetto del prossimo paragrafo.
In C, il tipo di vettore più comune è il vettore di caratteri. Per illustrare l’uso degli array di caratteri e delle
funzioni che li manipolano, scriviamo un programma che legge un certo insieme di linee di testo e stampa la
più lunga. Lo schema è abbastanza semplice:
Questo schema evidenzia il fatto che il programma può facilmente essere suddiviso in più parti. Una parte
legge la linea, un’altra la controlla, una terza la registra, ed una quarta controlla il processo.
Poiché esiste questa suddivisione quasi naturale, sarebbe bene che essa venisse mantenuta anche nella
stesura del programma. Quindi, scriviamo innanzitutto una funzione getline che legge la prossima linea in
input. Cercheremo di utilizzare questa funzione anche in altri contesti. Come requisito minimo, getline de-
ve restituire un segnale particolare in caso di fine del testo; un’implementazione più sofisticata potrebbe re-
stituire la lunghezza della linea, oppure zero in caso di terminazione dell’input. Notiamo che zero, in caso di
fine del testo, è un valore di ritorno non ambiguo, perché non possono esistere righe di input di lunghezza
zero. Ogni linea, infatti, è costituita da almeno un carattere; anche una linea contenente solo un new line ha
lunghezza 1.
Quando troviamo una linea più lunga della linea maggiore finora incontrata, la salviamo in qualche area
particolare. Questo suggerisce la necessità di una seconda funzione, copy, per copiare la nuova linea in un
buffer di salvataggio.
Infine, abbiamo bisogno di un programma principale che controlli getline e copy. Il risultato finale è il
seguente:
#include <stdio.h>
#define MAXLINE 1000 /* lunghezza massima di una linea */
max=0;
while ((len=getline(line, MAXLINE))>0)
if (len>max)
{
19
max=len;
copy(longest, line);
}
if (max>0) /* cerca almeno una linea in input */
printf(“%s”, longest);
return 0;
}
s[i]=’\0’;
return i;
}
i=0;
while ((to[i]=from[i])!=’\0’)
++i;
}
Le funzioni getline e copy sono dichiarate all’inizio del programma, che supponiamo essere contenuto in
un unico file.
main e getline comunicano tramite una coppia di argomenti ed un valore di ritorno. In getline, gli argo-
menti sono dichiarati nella linea
in cui si specifica che il primo argomento, s[], è un vettore, mentre il secondo, lim, è un intero. Normal-
mente, per potere riservare la memoria necessaria per un array, è necessario specificarne la lunghezza. Nel
nostro caso, la lunghezza di s non deve essere specificata in getline, perché essa è già definita in main.
getline, analogamente a quanto faceva la funzione power, utilizza l’istruzione return per restitui-re un
valore al chiamante. Anche il tipo di questo valore di ritorno, int, è specificato in questa linea; poiché questo
tipo è quello di default per i valori di ritorno, la sua dichiarazione potrebbe essere tralasciata.
Alcune funzioni restituiscono un valore utile; altre, come copy, vengono utilizzate soltanto per i loro effetti,
indipendentemente dal valore di ritorno. Il tipo del valore di ritorno di copy è void, che equivale ad una
dichiarazione esplicita del fatto che la funzione non ritorna alcun valore.
Alcune funzioni restituiscono un valore utile; come copy, vengono utilizzate soltanto per eseguire le opera-
zioni in esse contenute, senza dover fornire alcun valore alla funzione chiamante. Il tipo del valore di ritorno di
copy è void, che equivale ad una dichiarazione esplicita del fatto che la funzione non restituisce alcun
valore.
“salve\n”
essa viene memorizzata sotto forma di vettore di caratteri, costituito dai caratteri della stringa seguiti da
‘\0’, che ne identifica la fine.
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s a l v e \n \0
La specifica di formattazione %s, all’interno della printf, si aspetta che l’argomento corrispondente sia una
stringa presentata in questa forma. Anche copy si basa sul fatto che il suo argomento di input termini con
‘\0’, e copia questo carattere nell’argomento di output (tutto questo implica che ‘\0’ non possa far parte di
un testo normale).
Per inciso, è utile ricordare che anche un programma piccolo come questo presenta alcuni problemi che an-
drebbero risolti in fase di progetto. Per esempio, cosa dovrebbe fare il main, se incontrasse una linea più
lunga del limite massimo definito? getline si comporterebbe correttamente, perché essa termina quando il
vettore è pieno, indipendentemente dal fatto che sia stato incontrato o meno un new line. Controllando la
lunghezza ed il carattere di ritorno, main potrebbe determinare se la linea era troppo lunga e comportarsi di
conseguenza. Per brevità, noi abbiamo ignorato questo aspetto.
Poiché chi invoca getline non può sapere a priori quanto possa essere lunga una linea di input, getline
stessa gestisce il caso di overflow. D’altro canto, chi usa copy conosce già, o almeno può ricavare, le
dimensioni delle stringhe; di conseguenza, abbiamo scelto di non dotare questa funzione di alcun controllo
sugli errori.
Esercizio 1.16 Rivedete il main del programma della “linea più lunga”, in modo che stampi la lunghezza di
una stringa arbitrariamente grande, oltre alla massima quantità possibile dei caratteri che la compongono.
Esercizio 1.17 Scrivete un programma per stampare tutte le linee di input che superano gli 80 caratteri.
Esercizio 1.18 Scrivete un programma che rimuova gli spazi ed i caratteri di tabulazione al termine di ogni
linea, e che cancelli completamente le linee bianche.
Esercizio 1.19 Scrivete una funzione reverse(s), che inverta la stringa di caratteri s. Usatela per scrive-re
un programma che inverta, una per volta, le sue linee di input.
Le variabili in main, come line e longest, sono private (o locali) a main. Poiché esse sono dichiarate
all’interno di main, nessun’altra funzione può accedervi direttamente. La stessa cosa vale per le variabili di-
chiarate nelle altre funzioni; per esempio, la variabile i in getline non ha alcuna relazione con la variabile i
in copy. Ogni variabile locale ad una funzione viene realmente creata al momento della chiamata alla
funzione stessa, e cessa di esistere quando quest’ultima termina. Per questo motivo, le variabili locali sono
dette anche variabili automatiche. D’ora in poi, per indicare le variabili locali, noi useremo il termine “auto-
matico” (il Capitolo 4 illustra il concetto di static, grazie al quale una variabile locale può conservare il suo
valore anche fra una chiamata e l’altra della funzione a cui appartiene).
Poiché le variabili automatiche nascono e muoiono con le chiamate alla funzione, esse non possono mante-
nere il loro valore fra due riferimenti successivi, e devono quindi essere inizializzate opportunamente ad ogni
chiamata. Se ciò non viene fatto, il loro contenuto è “sporco”.
In alternativa alle variabili automatiche, è possibile definire delle variabili esterne a qualsiasi funzione, cioè
variabili che, tramite il loro nome, possono essere utilizzate da ogni funzione del programma (questo mec-
canismo è molto simile al COMMON del Fortran ed alle variabili dichiarate nel modulo più esterno di un pro-
gramma Pascal).
Una variabile esterne sono accessibili globalmente, esse possono sostituire, almeno in parte, le liste di ar-
gomenti usate per comunicare i dati da una funzione all’altra. Inoltre queste variabili, non scomparendo al
termine dell’esecuzione delle diverse funzioni, sono in grado di conservare il loro valore anche dopo la ter-
minazione della funzione che lo alterato.
Una variabile esterna dev’essere definita, una ed una sola volta, al di fuori di qualsiasi funzione; questa
operazione implica che venga riservato dello spazio in memoria per questa variabile. La stessa variabile de-
ve anche essere dichiarata in ogni funzione che la utilizza; questa dichiarazione stabilisce il tipo della varia-
bile.
21
La dichiarazione può essere esplicita, con un’istruzione extern, oppure implicita, determinata dal contesto.
Per rendere più concreta questa discussione, riscriviamo il programma della “linea più lunga” usando line,
longest e max come variabili esterne. Questo comporta la necessità di modificare le chiamate, le dichiara-
zioni ed i corpi di tutte le tre funzioni.
#include <stdio.h>
#define MAXLINE 1000 /* lunghezza massima di una linea */
int getline(void);
char copy(void);
max=0;
while ((len=getline())>0)
if (len>max)
{
max=len;
copy();
}
if (max>0) /* c’era almeno una linea in input */
printf(“%s”, longest);
return 0;
}
i=0;
while ((longest[i]=line[i])!=’\0’)
++i;
}
Le variabili esterne in main, getline e copy sono definite nelle prime righe, che stabiliscono il loro tipo e
consentono di riservare la memoria necessaria alla loro allocazione. Sintatticamente, le definizioni delle va-
riabili esterne sono del tutto analoghe a quelle delle variabili locali. Prima che una funzione possa utilizzare
una variabile, il nome di quest’ultima dev’essere reso noto alla funzione stessa. Un modo per farlo consiste
22
nello scrivere, all’interno della funzione, una dichiarazione di extern; tale dichiarazione è uguale a quella
precedente, tranne che per il fatto di essere preceduta dalla parola chiave extern.
In alcune circostanze, la dichiarazione extern in una funzione può essere tralasciata. Questo accade, per
esempio, quando la definizione della variabile esterna precede la funzione stessa. Quindi, le dichiarazioni di
extern presenti in main, getline e copy sono ridondanti. Nella pratica, le definizioni di tutte le variabi-li
esterne vengono poste all’inizio del file sorgente, il che consente di omettere tutte le dichiarazioni di extern.
Se un programma è distribuito in più file sorgenti, e se una variabile è definita in file1 ed usata in file2 e file3,
allora questi due ultimi file devono contenere una dichiarazione di extern, che consenta di correlare le
occorrenze della variabile. La prassi consiste nell’inserire le dichiarazioni delle variabili e delle funzioni in un
unico file, storicamente chiamato header, incluso da ogni file sorgente con un’istruzione di #include. Il
suffisso convenzionale per gli header è .h. Le funzioni della libreria standard, per esempio, sono dichiara-te
negli header come <stdio.h>. Questo argomento sarà illustrato per esteso nel Capitolo 4, mentre nel
Capitolo 7 e nell’Appendice B si parlerà della libreria.
Poiché, nella loro seconda versione, sia getline che copy non possiedono argomenti, la logica suggeri-
rebbe che i loro prototipi, all’inizio del file, fossero getline() e copy(). Tuttavia, per compatibilità con i
vecchi programmi C, lo standard assume che una lista vuota indichi una dichiarazione del vecchio tipo e, di
conseguenza, evita di effettuare tutti i controlli di consistenza; il termine void, quindi, dev’essere utilizzato
per una lista esplicitamente vuota. Discuteremo ulteriormente questo argomento nel Capitolo 4.
Dovreste notare che stiamo usando con molta attenzione i termini definizione e dichiarazione. “Definizione” si
riferisce ai punti nei quali la variabili viene creata o nei quali le viene riservata della memoria; “dichiara-zione”
si riferisce invece ai punti nei quali viene soltanto stabilita la natura della variabile stessa.
Per inciso, notiamo che esiste la tendenza ad usare molto le variabili esterne, perché sembrano semplifica-re
le comunicazioni di dati: le liste degli argomenti sono più brevi e le variabili sono a vostra disposizione in
qualsiasi punto ed in qualsiasi momento. Ma le variabili esterne sono sempre presenti anche dove e quando
voi non le desiderate. Fare un uso troppo massiccio delle variabili esterne è pericoloso, perché conduce alla
stesura di programmi nei quali non tutte le connessioni fra i dati sono chiare: le variabili possono essere
modificate in punti e in modi inattesi, ed il programma è difficile da modificare. La seconda versione del pro-
gramma “linea più lunga” è peggiore della prima, in parte per queste ragioni ed in parte perché, inserendo in
getline ed in copy i nomi delle variabili sulle quali operare, distrugge la generalità di due utili funzioni.
A questo punto, abbiamo illustrato quello che può essere definito il nucleo del C. Con questo ristretto insie-
me di blocchi elementari, è possibile scrivere programmi utili, anche di dimensioni ragguardevoli, e probabil-
mente sarebbe una buona idea se voi dedicaste un certo tempo a quest’attività. Gli esercizi seguenti sugge-
riscono programmi di complessità leggermente superiore a quella dei programmi precedentemente descritti
in questo capitolo.
Esercizio 1.20 Scrivete un programma detab che rimpiazza i caratteri di tabulazione con un numero di
spazi tale da raggiungere il successivo tab stop. Assumete di avere un insieme fissato di tab stop, diciamo
ogni n colonne. n dovrebbe essere una variabile o una costante simbolica ?
Esercizio 1.21 Scrivete un programma entab che sostituisce le stringhe di caratteri bianchi con il minimo
numero di caratteri di tabulazione e di spazi necessari a raggiungere la stessa spaziatura data in input. Usate
gli stessi tab stop del programma detab. Quando, per raggiungere un tab stop, basta un solo carat-tere di
tabulazione od un solo spazio, quale fra i due caratteri è preferibile usare ?
Esercizio 1.22 Scrivete un programma per separare linee di input molto lunghe in due o più linee brevi,
spezzando la linea dopo l’ultimo carattere non bianco che cade prima dell’n-esima colonna dell’input. Assi-
curatevi che il vostro programma si comporti ragionevolmente con linee di qualsiasi lunghezza, e che non ci
siano caratteri di tabulazione o spazi prima della colonna specificata.
Esercizio 1.23 Scrivete un programma per rimuovere tutti i commenti da un programma C. Non dimenticate
di gestire correttamente le stringhe fra apici e le costanti di caratteri. I commenti, in C, non possono essere
nidificati.
Esercizio 1.24 Scrivete un programma che faccia dei rudimentali controlli di correttezza sintattica di un pro-
gramma C, per esempio sul bilanciamento delle parentesi tonde, quadre e graffe. Non dimenticatevi degli
23
apici, sia singoli che doppi, delle sequenze di escape e dei commenti (questo programma, se fatto in modo
generale, risulta molto difficile).
24
CAPITOLO 2
Lo standard ANSI ha apportato ai tipi ed alle espressioni di base molti piccoli cambiamenti. Ora, tutti i tipi di
interi possono essere signed o unsigned, ed esistono nuove notazioni per definire costanti prive di segno
e costanti esadecimali a caratteri. Le operazioni in floating-point possono essere fatte in singola precisione;
per la precisione estesa, esiste il tipo long double. Le stringhe costanti possono essere concatenate al
momento della compilazione. I tipi enumerativi sono diventati parte del linguaggio, il che ha consentito di
formalizzare una prassi già da lungo tempo adottata. Dichiarando un oggetto come const, è possibile im-
pedire che esso venga alterato. Le regole per le conversioni automatiche fra tipi aritmetici sono state am-
pliate, per potere gestire il nuovo e più vasto insieme di possibilità.
Nel Capitolo 1 non abbiamo precisato che sui nomi delle variabili e delle costanti esistono alcune restrizioni. I
nomi sono costituiti da lettere e da cifre; il primo carattere deve sempre essere una lettera. L’underscore
(“_”), che talvolta consente di aumentare la leggibilità di nomi molto lunghi, viene considerato una lettera.
Poiché le lettere maiuscole e quelle minuscole sono distinte, x ed X rappresentano due caratteri diversi. La
prassi del C adotta lettere minuscole per i nomi delle variabili, mentre per quelli delle costanti impiega
esclusivamente caratteri maiuscoli.
I nomi interni sono composti da almeno 31 caratteri significativi. Per i nomi delle funzioni e delle variabili
esterne, questo numero può anche essere inferiore, perché può accadere che i compilatori e gli assembla-
tori usino nomi esterni, sui quali il linguaggio non ha alcun controllo. Per i nomi esterni, lo standard garanti-
sce l’unicità soltanto sui primi 6 caratteri. Le parole chiave come if, else, int, float, ..., sono riserva-
te: non possono, cioè, essere utilizzate come nomi di variabili. Inoltre, esse devono essere scritte a lettere
minuscole.
È bene scegliere nomi legati allo scopo delle diverse variabili, e che siano difficilmente confondibili tra loro. In
questo libro, tendiamo ad usare nomi brevi per le variabili locali, ed in particolare per gli indici dei cicli, e nomi
più lunghi per le variabili esterne.
char un singolo byte, in grado di rappresentare uno qualsiasi dei caratteri del set locale;
int un intero, che in genere riflette l’ampiezza degli interi sulla macchina utilizzata;
float floating-point in singola precisione;
double floating-point in doppia precisione.
In aggiunta esistono alcuni qualificatori, che possono essere applicati a questi tipi; per esempio, short e
long sono associabili agli interi:
Lo scopo è quello di fornire, ove necessario, delle lunghezze diverse per gli interi; normalmente, l’ampiezza di
un int rispecchia quella degli interi sulla macchina utilizzata. Spesso, short indica un intero di 16 bit, e
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long uno di 32, mentre int occupa 16 o 32 bit. Ogni compilatore è libero di scegliere la dimensione appro-
priata all’hardware sul quale opera, e deve sottostare unicamente alla restrizione secondo la quale gli short
e gli int devono essere di almeno 16 bit, i long di almeno 32, e gli short non possono essere più lunghi
degli int, che a loro volta non devono superare i long.
I qualificatori signed ed unsigned possono essere associati sia ai char che agli int. I numeri unsigned
n
sono sempre positivi o nulli, ed obbediscono alle leggi dell’aritmetica modulo 2 , dove n è il numero di bit del
tipo. Per esempio, se i char occupano 8 bit, le variabili unsigned char vanno da -128 a +127 (in una
macchina che lavori in complemento a due). Una variabile di tipo char può avere o meno il segno, in base
alla macchina sulla quale ci si trova; in ogni caso, tutti i caratteri stampabili sono sempre positivi.
Il tipo long double specifica variabili floating-point in doppia precisione. Analogamente a quanto accade per
gli interi, anche l’ampiezza degli oggetti di tipo floating-point dipende dall’implementazione; float, double e
long double possono rappresentare una, due o tre diverse ampiezze.
Gli header file standard <limits.h> e <float.h> contengono le costanti simboliche relative a tutte que-
ste ampiezze ed altre proprietà, illustrate nell’Appendice B, legate alla macchina ed al compilatore.
Esercizio 2.1 Scrivete un programma per determinare il range di variabili di tipo char, short, int e long,
sia signed che unsigned. Ricavate questi valori stampando le appropriate costanti, lette dagli header, ed
eseguendo calcoli appositi. Determinate anche il range dei diversi tipi di variabili floating-point.
2.3 Costanti
Una costante intera, come 1234, è un int. Una costante long è seguita da una ‘l’ o da una ‘L’ termi-
nali, come 123456789L; un intero troppo grande per essere contenuto in un int verrà considerato long. Le
costanti prive di segno sono terminate da una ‘u’ o una ‘U’, mentre i suffissi ‘ul’ ed ‘UL’ indicano gli
unsigned long.
Le costanti floating-point contengono il punto decimale (123.4) oppure un esponente (1e-2), oppure en-
trambi; il loro tipo, anche se sono prive di suffisso, è sempre double. I suffissi ‘f’ ed ‘F’ indicano una co-
stante float, mentre ‘l’ ed ‘L’ indicano una costante long double.
Il valore di un intero può essere specificato in decimale, in ottale o in esadecimale. Uno 0 preposto ad un
intero indica la notazione ottale; un prefisso 0x (o 0X) indica invece la notazione esadecimale. Per esem-pio,
il numero decimale 31 può essere scritto come 037 (in ottale) e come 0x1f o 0x1F (in esadecimale). Anche
le costanti ottali ed esadecimali possono essere seguite da un suffisso ‘L’ che le dichiara di tipo long o da
un suffisso ‘U’ che le dichiara unsigned: OxFUL è una costante unsigned long con valore decimale 15.
Una costante carattere è un intero, scritto sotto forma di carattere racchiuso tra apici singoli, come ‘x’. Il
valore di una costante carattere è il valore numerico di quel carattere all’interno del set della macchina. Per
esempio, nel codice ASCII la costante carattere ‘0’ ha valore 48, che non ha nessun legame con il valore
numerico 0. Scrivendo ‘0’ invece di 48, che è un valore numerico dipendente dal set di caratteri, il pro-
gramma risulta indipendente dal valore particolare, oltre che più leggibile. Le costanti carattere possono
apparire nelle espressioni numeriche, alla stregua di interi qualsiasi, anche se vengono utilizzate prevalen-
temente per i confronti con altri caratteri.
Alcuni caratteri, come \n (new line), possono essere rappresentati come costanti o stringhe tramite le se-
quenze di escape le quali, pur apparendo come stringhe di due caratteri, ne rappresentano uno soltanto.
Inoltre, è possibile specificare un arbitrario bit-pattern con lunghezza multipla di un byte, usando la forma
‘\ooo’
dove ooo è una sequenza, di lunghezza compresa fra uno e tre, di cifre ottali (0 ... 7); oppure, si può
scrivere
‘\xhh’
dove hh indica una o più cifre esadecimali (0 ... 9, a ... f, A ... F). Quindi, potremmo scrivere
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#define VTAB ‘\013’ /* Tab verticale in ASCII */
#define BELL ‘\007’ /* Campanello in ASCII */
oppure, in esadecimale,
\a allarme (campanello)
\b backspace
\f salto pagina
\n new line
\r ritorno carrello (return)
\t tab orizzontale
\v tab verticale
\\ backslash
\? punto interrogativo
\’ apice singolo
\” doppi apici
\ooo numero ottale
\xhh numero esadecimale
La costante carattere ‘\0’ rappresenta il carattere con valore zero, cioè il carattere nullo. Spesso, invece di
0, si scrive ‘\0’ per enfatizzare la natura alfanumerica di una particolare espressione, anche se il valore
rappresentato è 0.
Un’espressione costante è un’espressione costituita da sole costanti. Le espressioni di questo tipo possono
essere valutate al momento della compilazione, invece che run-time, e, quindi, possono essere inserite in
ogni posizione nella quale può trovarsi una costante; per esempio:
oppure
Una stringa costante, o costante alfanumerica, è una sequenza di zero o più caratteri racchiusi fra doppi
apici, come
oppure
“” /* la stringa vuota */
Gli apici non fanno parte della stringa: essi servono unicamente a delimitarla. Le stesse sequenze di esca-pe
usate per le costanti carattere possono essere inserite nelle stringhe; \” rappresenta il carattere di dop-pio
apice. Le stringhe costanti possono essere concatenate al momento della compilazione:
“Salve,” “ mondo”
equivale a
“Salve, mondo”
Questo meccanismo risulta utile perché consente di spezzare su più linee le stringhe molto lunghe.
Da un punto di vista tecnico, una stringa costante è un vettore di caratteri. Poiché, nella sua rappresenta-
zione interna, ogni stringa è terminata dal carattere nullo ‘\0’, la memoria fisica richiesta per ogni stringa è
maggiore di un’unità rispetto al numero dei caratteri racchiusi fra apici. Questa rappresentazione consente di
non porre limiti superiori alla lunghezza delle stringhe, per determinare la quale ogni programma può
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scandire completamente la stringa in esame. La funzione strlen(s), della libreria standard, restituisce la
lunghezza del suo argomento s, che è una stringa di caratteri, escludendo automaticamente il carattere di
terminazione ‘\0’. Presentiamo qui la nostra versione di questa funzione:
i=0;
while (s[i]!=‘\0’)
++i;
return i;
}
Nell’header file standard <string.h> sono definite strlen ed altre funzioni per il trattamento delle
stringhe.
Fate molta attenzione nel distinguere una costante carattere da una stringa che contiene un singolo caratte-
re: ‘x’ e “x” non sono la stessa cosa. ‘x’ è un intero, usato per produrre il valore numerico della lettera x
nel set di caratteri della macchina; “x”, invece, è un vettore di caratteri che contiene un carattere (la lettera
x) ed uno ‘\0’.
Esiste, infine, un altro tipo di costanti: le costanti enumerative. Un’enumerazione è una lista di valori interi
costanti, come
Il primo nome, in una costante enum, ha valore 0, il secondo 1, e così via, a meno che non vengono specifi-
cati dei valori espliciti. Se non tutti i valori sono specificati, quelli non specificati continuano la progressione a
partire dall’ultimo specificato, come nel secondo di questi esempi:
I nomi in enumerazioni diverse devono essere distinti. All’interno di un’unica enumerazione, i valori non de-
vono essere necessariamente distinti.
Le enumerazioni sono un mezzo efficiente per associare valori costanti a dei nomi; esse sono, cioè, un’al-
ternativa alla #define. Sebbene sia possibile dichiarare variabili di tipo enum, i compilatori non controllano
che il contenuto di queste variabili sia significativo per l’enumerazione. Ciò nondimeno, le variabili enumera-
tive offrono la possibilità di essere controllate e, per questo motivo, sono spesso preferibili alle #define. Va
notato, infine, che un debugger potrebbe anche essere in grado di stampare nella loro forma simbolica i
valori di una variabile di tipo enumerativo.
2.4 Dichiarazioni
Tutte le variabili, prima di essere utilizzate, devono essere state dichiarate, anche se alcune dichiarazioni
possono essere fatte in modo implicito nel contesto. Una dichiarazione specifica un tipo, e contiene una lista
di una o più variabili di quel tipo, come
Le variabili possono essere distribuite in modi diversi; le liste dell’esempio precedente sono equivalenti a
int lower;
int upper;
int step;
char c;
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char line[1000];
Quest’ultima forma occupa uno spazio maggiore, ma è utile se si devono aggiungere commenti ad ogni di-
chiarazione o se si devono apportare modifiche successive.
Nella dichiarazione, una variabile può anche essere inizializzata. Se il nome è seguito dall’operatore = e da
un’espressione, allora quest’ultima è l’entità inizializzante, come in
char esc=’\\’;
int i=0;
int limit=MAXLINE+1;
float eps=1.0e-5;
Se la variabile non è automatica, l’inizializzazione viene fatta una volta sola, concettualmente prima dell’ini-zio
dell’esecuzione del programma, e l’entità inizializzante dev’essere un’espressione costante. Una varia-bile
automatica inizializzata esplicitamente viene inizializzata ogni volta che si entra nella funzione o, co-munque,
nel blocco che la contiene; in questo caso, l’entità inizializzante può essere un’espressione qual-siasi. Le
variabili esterne e quelle statiche sono inizializzate, per default, a zero. Le variabili automatiche non
esplicitamente inizializzate contengono valori indefiniti.
Il qualificatore const può essere applicato alla dichiarazione di qualsiasi variabile, per specificare che quel
valore non verrà mai alterato. Per un vettore, il qualificatore const dichiara che nessun elemento del vetto-re
verrà modificato.
La dichiarazione const può essere usata anche per i vettori passati come argomenti, per indicare che la
funzione chiamata non altera il vettore:
Se si tenta di modificare un oggetto dichiarato const, il risultato dipende dall’implementazione adottata sul-la
macchina in uso.
Gli operatori aritmetici binari sono +, -, *, /, e l’operatore modulo %. La divisione intera tronca qualsiasi parte
frazionaria. L’espressione
x % y
ritorna il resto della divisione di x per y, e quindi restituisce 0 se x è un multiplo di y. Per esempio, un anno è
bisestile se è divisibile per 4 ma non per 100, fatta eccezione per gli anni divisibili per 400, che sono bise-stili.
Quindi
L’operatore % non è applicabile ai float ed ai double. Per i numeri negativi, la direzione di troncamento per
/ ed il segno del risultato di % dipendono dalla macchina, analogamente a quanto accade per le azioni
intraprese in caso di overflow o di underflow.
Gli operatori binari + e - hanno la stessa precedenza, che è inferiore a quella di *, / e %, a loro volta aventi
precedenza inferiore agli operatori unari + e -. Tutti gli operatori aritmetici sono associativi da sinistra a
destra.
La Tabella 2.1, al termine di questo capitolo, riassume le precedenze e le associatività per tutti gli operatori.
29
Gli operatori relazionali sono
Essi hanno tutti la stessa precedenza. Immediatamente sotto di loro, nella scala delle precedenze, trovia-mo
gli operatori di uguaglianza:
== !=
Gli operatori relazionali hanno precedenza inferiore agli operatori aritmetici, perciò un’espressione come
i<lim-1 viene interpretata come i<(lim-1).
Più interessanti sono gli operatori logici && e ||. Le espressioni connesse da && e || vengono valutate da
sinistra a destra, e la valutazione si blocca non appena si determina la verità o la falsità dell’intera espres-
sione. La maggior parte dei programmi C fa affidamento su queste proprietà. Per esempio, riportiamo di
seguito il ciclo for presente nella funzione getline che avevamo implementato nel Capitolo 1:
Prima di leggere un nuovo carattere, è necessario controllare che ci sia spazio sufficiente per memorizzarlo
nel vettore s, perciò il test i<lim-1 deve essere effettuato per primo. Infatti, se questo test fallisce, noi non
dobbiamo proseguire nella lettura dei caratteri di input. Analogamente, confrontare c con EOF prima di aver
eseguito getchar sarebbe controproducente; quindi la chiamata a getchar e l’assegnamento del suo risul-
tato a c devono precedere i controlli su c stesso.
La precedenza di && è superiore a quella di ||, ed entrambi hanno precedenza inferiore a quella degli opera-
tori relazionali e di uguaglianza, quindi espressioni come
(c=getchar())!=’\n’
per ottenere il risultato desiderato, che consiste nell’assegnare a c il carattere letto da getchar e confronta-
re quindi c con ‘\n’.
Per definizione, il valore numerico di un’espressione logica o relazionale è 1 se la relazione è vera. 0 se essa
è falsa.
L’operatore unario di negazione, !, converte un operando non nullo in uno 0, ed un operando nullo in un 1.
Un uso molto comune dell’operatore ! è il seguente
if (!valid)
al posto di
if (valid==0)
È molto difficile dire quale sia, in generale, la forma migliore. Costruzioni come !valid, infatti, sono facil-
mente leggibili (“se valid è falso”), ma espressioni più complesse possono risultare poco comprensibili.
Esercizio 2.2 Scrivete un ciclo equivalente al ciclo di for presentato sopra, senza utilizzare && e ||.
Quando un operatore ha operandi di tipo diverso, questi vengono convertiti in un tipo comune, secondo un
ristretto insieme di regole. In generale, le uniche conversioni automatiche sono quelle che trasformano un
operando “più piccolo” in uno “più grande” senza perdita di informazione, come nel caso della conversione di
un intero in un floating-point, in espressioni del tipo f+i. Espressioni prive di senso, come per esempio l’uso
30
di un float come indice, non sono consentite. Espressioni che possono provocare una perdita di informa-
zione, come l’assegnamento di un intero ad un short o quello di un float ad un intero, producono al più un
messaggio di warning, ma non sono illegali.
Poiché un char non è altro che un piccolo intero, i char possono essere usati liberamente in qualsiasi
espressione aritmetica. Questo consente di ottenere una notevole flessibilità in alcuni tipi di trasformazioni di
caratteri. Un esempio di ciò è dato da questa semplice implementazione della funzione atoi, che converte
una stringa di cifre nel suo equivalente numerico.
n=0;
for (i=0; s[i]>=’0’ && s[i]<=’9’; ++i)
n=10*n+s[i]-‘0’;
return n;
}
s[i]-‘0’
fornisce il valore numerico del carattere memorizzato in s[i], perché i valori di ‘0’, ‘1’, ecc., formano una
sequenza contigua crescente.
Un altro esempio di conversione di char in int è dato dalla funzione lower, che traduce un singolo caratte-
re nel suo corrispondente minuscolo appartenente al set di caratteri ASCII. Se il carattere in input non è
maiuscolo, lower lo restituisce inalterato.
Questa funzione è corretta per il codice ASCII, perché in esso ogni lettera maiuscola è separata dal suo cor-
rispettivo minuscolo da una distanza numerica conosciuta, ed ogni alfabeto (maiuscolo e minuscolo) è conti-
guo: tra A e Z non esistono caratteri che non siano lettere. Quest’ultima osservazione non è valida per il set di
caratteri EBCDIC, sul quale la funzione lower non opera correttamente.
L’header standard <ctype.h>, descritto nell’Appendice B, definisce una famiglia di funzioni che forniscono
meccanismi di controllo e conversione indipendenti dal set di caratteri. Per esempio, la funzione tolo-
wer(c) restituisce il valore minuscolo di c se c è maiuscolo, quindi, tolower è un sostituto, portabile, della
funzione lower sopra descritta. Analogamente, il controllo
isdigit(c)
Per quanto concerne la conversione dei caratteri in interi, è necessario fare una sottile osservazione. Il lin-
guaggio non specifica se le variabili di tipo char siano oggetti con o senza segno. Quando un char viene
convertito in un int, il risultato può essere negativo. La risposta varia da macchina a macchina, in base alle
differenze architetturali. Su alcuni sistemi, un char il cui bit all’estrema sinistra è pari ad 1 viene convertito in
31
un intero negativo (“estensione del segno”). Su altri, un char viene trasformato in un int aggiungendo degli
zeri alla sua sinistra, il che produce sempre interi positivi o nulli.
La definizione del C garantisce che nessun carattere che appartiene all’insieme standard di caratteri stampa-
bili della macchina diventi mai negativo; quindi tali caratteri, nelle espressioni, avranno sempre valori positivi.
Al contrario, bit-pattern arbitrari memorizzati in variabili di tipo carattere possono risultare negativi su alcune
macchine e positivi su altre. Per motivi di portabilità, se dovete memorizzare dati che non siano caratteri in
variabili di tipo char, specificate sempre se sono signed o unsigned.
Le espressioni relazionali, come i<j, e quelle logiche connesse da && e da || valgono, per definizione, 0 se
sono false ed 1 se sono vere. Perciò l’assegnamento
assegna a d il valore 1 se c è una cifra, 0 altrimenti. Tuttavia, funzioni come isdigit, quando sono vere,
possono restituire un qualsiasi valore non nullo. Nella parte di controllo di costrutti come if, while, for,
ecc., il “vero” significa semplicemente “non nullo”, quindi un comportamento simile a quello di isdigit non
produce problemi.
Le conversioni aritmetiche implicite operano secondo criteri intuitivi. In generale, se un operatore binario
come + o * ha operandi di tipo diverso, il tipo “inferiore” viene trasformato nel tipo “superiore” prima di effet-
tuare l’operazione. Il risultato, quindi, appartiene al tipo “superiore”. La Sezione 6 dell’Appendice A stabilisce
con precisione le regole di conversione. Se non ci sono operandi unsigned, tuttavia, il seguente insieme
informale di regole è sufficiente per gestire tutti i casi possibili:
Notiamo che, in un’espressione, i float non vengono convertiti automaticamente in double; questa è una
differenza rispetto alla definizione originale del C. In generale, le funzioni matematiche come quelle definite in
<math.h> usano la doppia precisione. La ragione principale dell’uso dei float risiede nella necessità di
risparmiare memoria nei grandi vettori e, più raramente, nel risparmio di tempo ottenibile su macchine per le
quali l’aritmetica in doppia precisione è molto costosa.
Le regole di conversione si complicano in presenza di operandi unsigned. Il problema è dato dal fatto che il
risultato dei confronti fra oggetti con e senza segno dipende dalla macchina, perché è legato alle ampiezze
dei diversi tipi di interi. Per esempio, supponiamo che gli int occupino 16 bit, ed i long 32. Allora -1L<1U,
perché 1U, che è un int, viene trasformato in un signed long. Ma -1L<1UL, perché -1l viene convertito
in un unsigned long, e diventa quindi un numero positivo molto grande.
Anche sugli assegnamenti vengono effettuate delle conversioni; il valore del lato destro viene trasformato nel
tipo del valore di sinistra, che è anche il tipo del risultato.
Un carattere viene convertito in un intero, con o senza l’estensione del segno, secondo quanto si è detto
sopra.
Gli interi vengono convertiti in short o in char sopprimendo i loro bit più significativi in eccesso. Perciò, in
int i;
char c;
i=c;
c=i;
Il valore di c rimane inalterato. Questo è vero indipendentemente dal fatto che venga applicata o meno la
estensione del segno. Tuttavia, invertendo l’ordine degli assegnamenti si potrebbe verificare una perdita di
informazione.
32
Se x è un float ed i è un int, allora sia x=i che i=x provocano una conversione; il passaggio da float
ad int, però, comporta il troncamento della parte frazionaria. Quando un double viene convertito in un
float, il fatto che il suo valore venga troncato piuttosto che arrotondato dipende dalla macchina.
Poiché l’argomento di una chiamata di funzione è un’espressione, le conversioni di tipo hanno luogo anche
quando ad una funzione vengono passati degli argomenti. In assenza di un prototipo della funzione, i char e
gli short vengono convertiti in int, ed i float diventano dei double. Questo è il motivo per cui abbiamo
dichiarato gli argomenti di una funzione int e double, anche quando la funzione viene chiamata con degli
argomenti char e float.
Infine, in qualsiasi espressione è possibile forzare particolari conversioni, tramite un operatore unario detto
cast. Nella costruzione
(nome_del_tipo) espressione
l’espressione viene convertita nel tipo specificato, secondo le regole sin qui descritte. Un cast equivale ad as-
segnare l’espressione ad una variabile del tipo specificato, che viene poi utilizzata al posto dell’intera costru-
zione. Per esempio, la routine di libreria sqrt si aspetta come argomento un double e, se si trova ad ope-
rare su qualcosa di diverso, produce un risultato privo di significato (sqrt è dichiarata in <math.h>). Quin-
di, se n è un intero, possiamo scrivere
sqrt((double) n)
per convertire il valore di n in un double prima di passarlo a sqrt. Notiamo che il cast produce il valore di n
nel tipo corretto: n rimane inalterato. L’operatore cast ha la stessa elevata precedenza degli altri operatori
unari, secondo quanto riassunto nella tabella presentata al termine di questo capitolo.
Se gli argomenti sono dichiarati dal prototipo della funzione, come normalmente dovrebbe accadere, ad ogni
chiamata della funzione la dichiarazione provoca la conversione automatica di tutti gli argomenti. Quindi, con
il prototipo
double sqrt(double);
root2=sqrt(2);
forza l’intero 2 nel valore double 2.0 senza che sia necessario alcun cast.
Esercizio 2.3 Scrivete la funzione htoi(s), che converte una stringa di cifre esadecimali (che può com-
prendere un suffisso opzionale 0x o 0X) nel suo valore intero corrispondente. Le cifre disponibili vanno da 0
a 9, da a ad f e da A ad F.
33
Per incrementare e decrementare le variabili, il C offre due operatori alquanto insoliti. L’operatore di incre-
mento ++ aggiunge 1 al suo operando, mentre l’operatore di decremento – sottrae 1. Nei paragrafi prece-
denti, noi abbiamo usato spesso l’operatore ++ per incrementare le variabili, come in
if (c==’\n’)
++nl;
La caratteristica insolita è data dal fatto che ++ e – possono essere utilizzati in notazione sia prefissa (cioè
prima della variabile, come in ++n) che postfissa (cioè dopo la variabile, come in n++). In entrambi i casi, lo
effetto è l’incremento della variabile n. Tuttavia, l’espressione ++n incrementa n prima di utilizzarne il valore,
mentre n++ incrementa n dopo che il suo valore è stato utilizzato. Questo significa che, in un contesto in cui
viene utilizzato il valore di n, ++n ed n++ hanno significati diversi, anche se entrambe le espressioni produco-
no un incremento di n. Se n vale 5, allora
x=n++;
assegna a x il valore 5, ma
x=++n;
assegna a x il valore 6. In entrambi i casi, n diventa 6. Gli operatori di incremento e decremento possono
essere applicati soltanto alle variabili; un’espressione come (i+j)++ è illegale.
if (c==’\n’)
++nl;
le notazioni prefissa e postfissa sono del tutto equivalenti. Tuttavia, esistono situazioni nelle quali viene espli-
citamente richiesto l’uso di una notazione piuttosto che dell’altra. Per esempio, consideriamo la funzione
squeeze(s,c), che rimuove dalla stringa s tutte le occorrenze del carattere c.
Ogni volta che si incontra un carattere diverso da c, tale carattere viene copiato nella posizione corrente j, e
soltanto allora j viene incrementato per disporsi a ricevere il carattere successivo diverso da c. Questo co-
strutto è del tutto equivalente al seguente:
if (s[i]!=c)
{
s[j]=s[i];
j++;
}
Un altro esempio di una costruzione di questo tipo può essere ricavato dalla funzione getline che abbiamo
scritto nel Capitolo 1, all’interno della quale possiamo sostituire
if (c==’\n’)
{
s[i]=c;
++i;
}
34
if (c==’\n’)
s[i++]=c;
Come terzo esempio, consideriamo la funzione standard strcat(s,t), che concatena la stringa t al termi-
ne della stringa s. strcat assume che in s ci sia spazio sufficiente a contenere il risultato della concatena-
zione. Nella versione scritta da noi, strcat non restituisce alcun valore; la versione presente nella libreria
standard, invece, ritorna un puntatore alla stringa risultante.
i=j=0;
while (s[i]!=’\0’) /* trova la fine di s */
i++;
while ((s[i++]=t[j++])!=’\0’) /* copia t */
;
}
Ogni volta che un carattere di t viene copiato in s, sia ad i che a j viene applicato l’operatore postfisso ++,
per assicurarsi che entrambi gli indici siano nella posizione corretta per l’assegnamento successivo.
Esercizio 2.4 Scrivete una versione alternativa della funzione squeeze(s1, s2), che cancelli da s1 tutti i
caratteri che compaiono anche nella stringa s2.
Esercizio 2.5 Scrivete la funzione any(s1, s2), che ritorna la prima posizione della stringa s1 in cui com-
pare uno qualsiasi dei caratteri di s2, oppure -1 se s1 non contiene alcun carattere di s2 (la funzione della
libreria standard strpbrk esegue questo compito, ma restituisce un puntatore alla locazione).
Per la manipolazione dei bit, il C fornisce sei operatori, applicabili soltanto ad operandi interi, cioè char,
short, int e long, con o senza segno.
& AND bit a bit
| OR inclusivo bit a bit
^ OR esclusivo bit a bit
<< shift a sinistra
>> shift a destra
~ complemento a uno (unario)
L’operatore di AND bit a bit & viene spesso utilizzato per azzerare particolari insiemi di bit; per esempio
n = n & 0177;
x = x | SET_ON;
L’operatore di OR esclusivo bit a bit ^, pone ad uno tutti i bit che si trovano in posizioni nelle quali i bit dei due
operandi hanno valore diverso, ed azzera quelli per i quali i bit degli operandi sono uguali.
È necessario distinguere gli operatori bit a bit & e | dagli operatori logici && e ||, che implicano la valutazio-
ne da sinistra a destra di un valore di verità. Per esempio, se x vale 1 e y vale 2, allora x&y vale 0, mentre
x&&y vale 1.
Gli operatori di shift << e >> spostano, verso sinistra e verso destra rispettivamente, il loro operando sinistro
di un numero di bit pari al valore del loro operando destro, che dev’essere positivo. Per esempio, x<<2 spo-
35
sta a sinistra di due posizioni il valore di x, riempiendo con degli zeri le posizioni così liberatesi; questo equi-
vale a moltiplicare x per 4. Eseguendo un shift a destra di una quantità unsigned, i bit rimasti liberi vengono
sempre posti a zero. Eseguendo invece lo shift a destra di una quantità signed, il risultato dipende dalla
macchina: su alcuni sistemi, i bit rimasti liberi vengono posti uguali al bit di segno (“shift aritmetico”), mentre
su altri vengono posti a zero (“shift logico”).
L’operatore unario ~ produce il complemento ad uno di un intero; cioè, esso converte ogni bit attivo in un bit
nullo e viceversa. Per esempio,
x = x & ~077
pone a zero gli ultimi sei bit di x. Notiamo che l’espressione x & ~077 è indipendente dalla lunghezza della
parola, ed è quindi preferibile, per esempio, alla forma x & 0177700, nella quale si assume che x sia una
quantità di 16 bit. Notiamo anche che la forma portabile non è più costosa, in quanto ~077 è un’espressione
costante, che può essere valutata al momento della compilazione.
A chiarimento dell’uso di questi operatori, consideriamo la funzione getbits(x, p, n), che restituisce n bit
(allineati a destra) di x a partire dalla posizione p. Assumiamo che il bit 0 sia quello all’estrema destra, e che
n e p siano dei numeri positivi significativi. Per esempio, getbits(x, 4, 3) restituisce, allineandoli a
destra, i tre bit di x che si trovano nelle posizioni 4, 3, 2.
L’espressione x>>(p+1-n) sposta il campo desiderato all’estrema destra della parola. ~0 equivale ad avere
tutti i bit pari a 1; spostandolo a sinistra di n posizioni (con l’espressione ~0<<n) si inseriscono degli zeri nei
primi n bit di destra; eseguendo poi, sul valore ottenuto, un complemento ad uno (con l’operatore ~), si ottie-
ne una maschera nella quale gli n bit più a destra valgono tutti 1.
Esercizio 2.6 Scrivete una funzione setbits(x, p, n, y) che ritorni la variabile x modificata in modo che i
suoi n bit, a partire dalla posizione p, risultino uguali ai primi n bit di destra di y, ed i bit rimanenti restino
invariati.
Esercizio 2.7 Scrivete una funzione invert(x, p, n) che ritorni la variabile x modificata in modo che i suoi
n bit, a partire dalla posizione p, risultino invertiti (che, cioè, siano stati portati da 0 ad 1 e viceversa), e gli altri
bit restino invariati.
Esercizio 2.8 Scrivete una funzione rightrot(x, n) che ritorni il valore dell’intero x ruotato a destra di n
posizioni.
Espressioni come
i=i+2
nelle quali la variabile sul lato sinistro viene ripetuta immediatamente sul lato destro, possono essere scritte,
usando una forma più compatta, come
i+=2
Quasi tutti gli operatori binari (che, cioè, hanno un operando sinistro ed uno destro) possiedono un corri-
spondente operatore di assegnamento, op=, dove op è uno degli operatori seguenti:
36
espr_1 op= espr_2
equivale a
solo che espr_1, nel primo caso, viene valutata una volta soltanto. Notate la posizione delle parentesi intorno
a espr_2:
x*=y+1
significa
x=x*(y+1)
e non
x=x*y+1
Come esempio, consideriamo la funzione bitcount, che conta il numero di bit attivi del suo argomento, che
dev’essere un intero.
Dichiarare l’argomento x come unsigned assicura che, eseguendo su di esso uno shift a destra, i bit libera-
tisi vengono azzerati, indipendentemente dal tipo di macchina sulla quale il programma viene eseguito.
Oltre ad essere particolarmente compatti, gli operatori di assegnamento offrono il vantaggio di rispecchiare
meglio la struttura del pensiero umano. Noi, infatti, diciamo “aggiungi 2 ad i”, oppure “incrementa i di 2”, ma
non diciamo mai “prendi i, aggiungici 2 e metti il risultato in i”. Quindi, l’espressione i+=2 è preferibile
all’espressione i=i+2. Inoltre, in un’espressione complessa, come
yyval[yypv[p3+p4]+yypv[p1+p2]]+=2
l’operatore di assegnamento rende più leggibile il codice, poiché il lettore non deve controllare se due espres-
sioni lunghe sono identiche, preoccupandosi eventualmente del fatto che non lo siano. Infine, un operatore di
assegnamento può anche aiutare un compilatore a produrre codice più efficiente.
Abbiamo già visto che l’istruzione di assegnamento ha un proprio valore, e può ricorrere all’interno di una
espressione; l’esempio più comune di ciò è il seguente:
while ((c=getchar())!=EOF)
........
Anche gli altri operatori di assegnamento (+=, -=, ecc.) possono ricorrere nelle espressioni, anche se ciò
accade più raramente.
In tutte le espressioni di questo genere, il tipo di un’espressione di assegnamento è quello del suo operando
sinistro, ed il suo valore è il valore risultante dall’assegnamento stesso.
Esercizio 2.9 In un sistema con numeri in complemento a due, x&=(x-1) cancella il bit positivo più a destra
in x. Spiegate perché. Usate quest’osservazione per scrivere una versione più veloce della funzione bit-
count.
37
2.11 Espressioni Condizionali
Le istruzioni
if (a>b)
z=a;
else
z=b;
assegnano a z, il massimo fra a e b. L’espressione condizionale, scritta usando l’operatore ternario “?:”,
fornisce un modo alternativo di scrivere questa ed altre costruzioni simili. Nell’espressione
viene dapprima valutata l’espressione espr_1. Se essa ha un valore non nullo (se, cioè, risulta vera), allora
viene valutata l’espressione espr_2, ed il risultato ottenuto costituisce il valore dell’intera espressione condi-
zionale; in caso contrario, viene valutata espr_3, ed il suo valore è anche quello dell’intero costrutto. Soltanto
una, fra le espressioni espr_2 ed espr_3 viene valutata. Quindi, per calcolare in z il massimo fra a e b, pos-
siamo scrivere:
z=(a>b)?a:b; /* z = max(a,b) */
Notate che l’espressione condizionale è essa stessa un’espressione e, in quanto tale, può ricorrere in qual-
siasi punto in cui può essere presente un’espressione. Se espr_2 ed espr_3 sono di tipo diverso, il tipo del
risultato è determinato dalle regole di conversione discusse nei paragrafi precedenti di questo capitolo. Per
esempio, se f è un float ed n è un int, allora l’espressione
(n>0)?f:n
La prima espressione di un’espressione condizionale può non essere racchiusa tra parentesi, perché la pre-
cedenza dell’operatore ?: è molto bassa; in particolare, essa è appena superiore a quella
dell’assegnamento. Nonostante ciò, comunque, le parentesi possono essere utili per distinguere meglio la
parte condiziona della espressione.
Spesso l’espressione condizionale consente di scrivere codice molto sintetico. Per esempio, questo ciclo
stampa n elementi di un vettore, 10 per linea, separando ogni colonna con uno spazio bianco, e terminando
ogni linea (compresa l’ultima) con un new line.
Dopo ogni gruppo di dieci elementi, viene stampato un new line, che segue anche l’n-esimo elemento. Tutti
gli altri elementi sono seguiti da uno spazio bianco. Questo codice può sembrare artificioso, ma risulta molto
più compatto dell’equivalente if-else. Un altro buon esempio è il seguente:
Esercizio 1.10 Riscrivete la funzione lower, che converte lettere maiuscole in lettere minuscole, usando
un’espressione condizionale al posto del costrutto if-else.
La Tabella 2.1 riassume le regole di precedenza e di associatività di tutti gli operatori, compresi quelli che non
abbiamo ancora discusso. Gli operatori sulla stessa linea hanno la stessa precedenza; le righe sono in ordine
di precedenza decrescente, quindi, per esempio, *, / e % hanno la stessa precedenza, che è maggio-re di
quella degli operatori binari + e -. L’”operatore” () si riferisce alle chiamate di funzione. Gli operatori -> e .
vengono usati per accedere ai membri delle strutture; essi verranno illustrati nel Capitolo 6, insieme a
sizeof (dimensione di un oggetto). Il Capitolo 5 spiega gli operatori *(indirezione tramite un puntatore) e &
(indirizzo di un oggetto), mentre il Capitolo 3 illustra l’operatore virgola.
38
Notate che la precedenza degli operatori bit a bit &, ^ e | è inferiore a quella degli operatori == e !=. Questo
implica che espressioni come
if ((x&MASK)==0) ....
che controllano lo stato dei bit, debbano essere completamente racchiuse tra parentesi.
OPERATORI ASSOCIATIVITÀ
() [] -> . da sinistra a destra
! - ++ -- + - * & (tipo) sizeof da destra a sinistra
* / % da sinistra a destra
+ - da sinistra a destra
<< >> da sinistra a destra
< <= > >= == != da sinistra a destra
& da sinistra a destra
^ da sinistra a destra
| da sinistra a destra
&& da sinistra a destra
|| da sinistra a destra
?: da destra a sinistra
= += -= *= /= %= &= |= <<= >>= da destra a sinistra
, da sinistra a destra
Gli operatori unari +, - e * hanno precedenza maggiore delle rispettive forme binarie.
Il C, come la maggior parte dei linguaggi, non specifica l’ordine in cui vengono valutati gli operandi di un par-
ticolare operatore (le eccezioni sono &&, ||, ?: e ’,’). Per esempio, un’istruzione come
x=f()+g();
f potrebbe essere valutata prima di g, o viceversa; quindi, se f o g alterano il valore di qualche variabile dalla
quale l’altra funzione dipende, x può dipendere dall’ordine di valutazione. Per imporre una particolare
sequen-za di valutazione è sufficiente memorizzare in variabili ausiliare i valori intermedi dell’espressione.
Neppure l’ordine di valutazione degli argomenti di una funzione viene specificato, quindi l’istruzione
può produrre risultati diversi con differenti compilatori, in base al fatto che n venga incremento prima o dopo
la valutazione di power. La soluzione, naturalmente, consiste nello scrivere
++n;
printf(“%d %d\n”, n, power(2,n));
a[i]=i++;
L’indice del vettore è il vecchio o il nuovo valore di i? I compilatori possono interpretare diversamente questa
espressione, e produrre di conseguenza dei risultati diversi. Nello standard, molti di questi problemi sono ri-
masti intenzionalmente imprecisati. Quando si verificano degli effetti collaterali (come l’assegnamento di una
variabile), l’interpretazione di ciò che accade viene lasciata al compilatore, perché l’ordine di valutazione
migliore può dipendere fortemente dall’architettura della macchina (lo standard specifica che tutti gli effetti
39
collaterali sugli argomenti devono essere applicati prima che la funzione venga chiamata ma questo, nel caso
della printf mostrata in precedenza, non è di alcun aiuto).
Come osservazione finale, possiamo dire che scrivere codice dipendente dall’ordine di valutazione è
un’abitu-dine scorretta. Naturalmente, è necessario sapere quali azioni evitare ma, se non sapete come certe
partico-lari azioni vengono attuate sulle diverse macchine, non lasciatevi tentare dal desiderio di
avvantaggiarvi della particolare implementazione adottata dal sistema sul quale operate.
40
CAPITOLO 3
STRUTTURE DI CONTROLLO
In un linguaggio, le istruzioni di controllo del flusso specificano l’ordine secondo il quale i calcoli devono esse-
re effettuati. Negli esempi precedenti abbiamo già visto le più comuni istruzioni per il controllo del flusso; in
questo capitolo completeremo la loro panoramica, e saremo più precisi anche in merito ai costrutti già visti.
Un’espressione come x=0, o i++ oppure printf(....) diventa un’istruzione quando è seguita da un pun-
to e virgola, come in
x=0;
i++;
printf(....)
Le parentesi graffe { e } vengono utilizzate per raggruppare in un’unica istruzione composta, detta anche
blocco, dichiarazioni ed istruzioni, in modo che, dal punto di vista sintattico, esse formino un’entità equiva-
lente ad una sola istruzione. Le parentesi che racchiudono le istruzioni di una funzione sono l’esempio più
ovvio di quanto detto; le parentesi che raggruppano alcune istruzioni successive ad un if, ad un else o ad
un while costituiscono un altro esempio (le variabili possono essere dichiarate all’interno di un qualsiasi
blocco, come vedremo nel Capitolo 4). Dopo la parentesi graffa di chiusura di un blocco non esiste punto e
virgola.
3.2 IF - ELSE
L’istruzione if-else viene usata per esprimere una decisione. Formalmente, la sua sintassi è la seguente:
if (espressione)
istruzione_1
else
istruzione_2
dove la parte associata all’else è opzionale. Innanzitutto, l’espressione viene valutata; se risulta vera (se,
cioè, assume un valore non nullo), viene eseguita l’istruzione_1. In caso contrario (se l’espressione ha cioè
valore nullo) e se esiste la parte else, viene eseguita l’istruzione_2.
Poiché un if non fa altro che controllare il valore numerico di un’espressione, è possibile adottare su di esso
delle tecniche di codifica notevolmente compatte. Innanzitutto, è possibile scrivere
if (espressione)
invece che
if (espressione!=0)
A volte questo accorgimento risulta chiaro ed intuitivo; in altri casi, però, esso può condurre alla stesura di
codice poco leggibile.
Poiché, in un costrutto if-else, la parte else è opzionale, la mancanza di un else all’interno di una se-
quenza di if innestati comporta un’ambiguità, che viene risolta associando ogni else all’if più interno che
ne è privo. Per esempio, in
if (n>0)
if (a>b)
z=a;
else
41
z=b;
l’else viene associato all’if più interno, come è evidenziato dall’indentazione. Se volete che ciò non avven-
ga, dovete scrivere
if (n>0)
{
if (a>b)
z=b;
}
else
z=b;
if (n>=0)
for (i=0; i<n; i++)
if (s[i]>0)
{
printf(“....”);
return i;
}
else
printf(“Errore – n è negativo”);
L’indentazione mostra inequivocabilmente ciò che volete che avvenga, ma il compito non rileva le vostre in-
tenzioni, ed associa l’else all’if più interno. Questo tipo di errore può essere molto difficile da individuare; di
conseguenza, quando si hanno diversi if innestati, è bene utilizzare sempre le parentesi.
if (a>b)
z=a;
else
z=b;
z=a è seguito da un punto e virgola. Questo accade perché, grammaticalmente, l’if è seguito da un’istru-
zione, ed un’istruzione costituita da un’espressione, come “z=a”, è sempre terminata da un punto e virgola.
3.3 ELSE - IF
La costruzione
if (espressione)
istruzione
else if (espressione)
istruzione
else if (espressione)
istruzione
else if (espressione)
istruzione
else
istruzione
ricorre tanto frequentemente da richiedere una discussione particolareggiata. Questa sequenza di istruzioni
di if è il modo più generale di realizzare una scelta plurima. Le espressioni vengono valutate nell’ordine in
cui si presentano; se una di esse risulta vera, l’istruzione ad essa associata viene eseguita, e ciò termina la
intera catena. Come sempre, il codice corrispondente ad ogni istruzione può essere un’istruzione singola o
un gruppo di istruzioni racchiuse tra parentesi graffe.
L’ultimo else gestisce la condizione “nessuna delle precedenti”, cioè il caso di default, eseguito quando nes-
suna delle espressioni risulta vera. Può accadere che al caso di default non corrisponda alcuna azione espli-
cita; in questa situazione, il blocco finale
else
42
istruzione
può essere tralasciato, oppure può venire utilizzato per controllare condizioni di errore.
Per illustrare un caso di decisione a tre vie, presentiamo una funzione di ricerca binaria. Tale funzione deter-
mina se un particolare valore x è presente nel vettore ordinato v. Gli elementi di v devono essere disposti in
ordine crescente. La funzione restituisce la posizione (un numero compreso tra 0 e n-1) di x compare in v, -
1 altrimenti.
L’algoritmo di ricerca binaria confronta dapprima x con l’elemento centrale di v. Se x è minore del valore
contenuto in tale elemento, la ricerca prosegue sulla metà inferiore del vettore; se x è, invece, maggiore dello
elemento centrale, la ricerca continua sulla parte superiore di v. Questo processo di bisezione prosegue fino
al reperimento di x oppure fino all’esaurimento del vettore.
low=0;
high=n-1;
while (low<=high)
{
mid=(low+high)/2;
if (x<v[mid])
high=mid-1;
else if (x>v[mid])
low=mid+1;
else
return mid; /* trovato */
}
return -1; /* non trovato */
}
Il punto focale consiste nel decidere se x è minore, maggiore o uguale dell’elemento centrale di ogni iterazio-
ne, v[mid]; questo è un tipico problema risolvibile con il costrutto if-else.
Esercizio 3.1 Il nostro algoritmo di ricerca binaria effettua due test all’interno di ogni ciclo di while, mentre
un test unico sarebbe sufficiente (pur di aumentare i test all’esterno del while). Scrivete una versione con un
test soltanto all’interno del while, e misurare la differenza nel tempo di esecuzione delle due funzioni.
3.4 SWITCH
L’istruzione switch è una struttura di scelta plurima che controlla se un’espressione assume un valore allo
interno di un certo insieme di costanti intere, e si comporta di conseguenza.
switch (espressione)
{
case espr-cost : istruzioni
case espr-cost : istruzioni
default : istruzioni
}
Ogni caso possibile è etichettato da un insieme di costanti intere e di espressioni costanti. Se il valore di
espressione coincide con uno di quelli contemplati nei vari casi, l’esecuzione inizia da quel caso particolare.
Le espressioni contemplate nei diversi casi devono essere differenti. L’ultimo caso, identificato dall’etichetta
default, viene eseguito solo se nessuno dei casi precedenti è stato soddisfatto, ed è opzionale. Se esso
non compare, e nessuno dei casi elencati si verifica, non viene intrapresa alcuna particolare azione. Le clau-
sole case e default possono occorrere in un ordine qualsiasi.
Nel Capitolo 1 abbiamo scritto un programma per contare le occorrenze di ogni cifra, degli spazi e di tutti gli
altri caratteri, usando una sequenza del tipo if .... else if .... else. Riscriviamolo, ora, utilizzando il
costrutto switch:
43
#include <stdio.h>
nwhite=nother=0;
for (i=0; i<10; i++)
ndigit[i]=0;
while ((c=getchar())!=EOF)
{
switch(c)
{
case ’0’: case ’1’: case ’2’: case ’3’: case ’4’:
case ’5’: case ’6’: case ’7’: case ’8’: case ’9’:
ndigit[c-’0’]++;
break;
case ’ ’:
case ’\n’:
case ’\t’:
nwhite++;
break;
default:
nother++;
break;
}
}
printf(“cifre =”);
for (i=0; i<10; i++)
printf(“ %d”, ndigit[i]);
printf(“, spazi = %d, altri = %d\n”, nwhite, nother);
return 0;
}
L’istruzione break provoca l’uscita (exit) immediata dallo switch. Poiché i casi servono soltanto come eti-
chette, l’esecuzione delle istruzioni associate ad uno di essi è seguita dall’esecuzione sequenziale dei casi
successivi, a meno che non sia presente un’istruzione esplicita di uscita. break e return sono le due for-
me più usate per l’uscita dallo switch. Come vedremo nel prossimo capitolo, un’istruzione break può esse-
re impiegata anche per uscire prematuramente da un while, da un for e da un do.
Il fatto che, a meno di direttive esplicite, l’esecuzione prosegua fino al termine dello switch, comporta van-
taggi e svantaggi. Da un lato, ciò consente di associare più possibilità ad un’unica etichetta, come nel caso
delle cifre dell’esempio precedente. Dall’altro, una simile logica costringe a specificare il break ogni volta
che si vuole impedire l’esecuzione di più casi. Inoltre, il fatto di eseguire in cascata più di un caso può com-
portare notevoli problemi in caso di modifica del programma originale. Ad eccezione dei casi nei quali si
vogliono avere più etichette associate ad un’unica azione, l’esecuzione in cascata dovrebbe essere evitata e,
ove risultasse necessaria, dovrebbero essere sempre posti dei commenti.
Anche se è inutile dal punto di vista logico, è infine bene inserire sempre un break al termine delle istruzioni
associate all’etichetta default. Nel caso in cui, in seguito, venissero inseriti casi dopo il default, questa
precauzione preserverebbe la correttezza del vostro programma.
Esercizio 3.2 Scrivete una funzione escape (s, t) che converte i caratteri come new line e il carattere di
tabulazione in sequenze di escape visibili, come \n e \t, mano a mano che li incontra durante la copia della
stringa t nella stringa s. Usate uno switch. Scrivete una funzione opposta, che converta le sequenze di
escape in caratteri reali.
Nel corso di questo libro, abbiamo già incontrato i cicli while e for. Nel caso di
while (espressione)
istruzione
44
espressione viene valutata. Se il suo valore è diverso da zero, viene eseguita l’istruzione specificata e la
espressione viene valutata nuovamente. Il ciclo continua fino a quando l’espressione risulta falsa, ed allora la
esecuzione riprende dalla prima istruzione non controllata dal while.
Il costrutto for
equivale a
espr_1;
while (espr_2)
{
istruzione
espr_3;
}
fatta eccezione per l’esecuzione dell’istruzione continue, che verrà descritta nella Sezione 3.7.
Grammaticalmente, le tre componenti di un ciclo for sono delle espressioni. In genere, espr_1 ed espr_3
sono degli assegnamenti o delle chiamate di funzione, mentre espr_2 è un’espressione relazionale. Ognuna
delle tre parti può venire tralasciata, anche se i punti e virgola devono sempre essere presenti. L’assenza di
espr_1 o di espr_3 si traduce, semplicemente, in una mancata espansione del codice al momento della
compilazione, Se, invece, la parte mancante è il test, cioè espr_2, il compilatore assume che esso sia sem-
pre vero, quindi
for (;;)
{
....
}
è un ciclo infinito che, presumibilmente, verrà interrotto con l’impiego di istruzioni particolari come break o
return.
Il fatto di usare un while piuttosto che un for, dipende largamente dalle preferenze personali. Per esempio,
in
non esistono fasi di inizializzazione o di re-inizializzazione, perciò il costrutto più adatto è, senza ombra di
dubbio, il while.
L’impiego del for è preferibile quando sono presenti inizializzazioni semplici ed incrementi, perché questo
costrutto raggruppa le istruzioni di controllo e, ponendole all’inizio del ciclo, le evidenza molto bene. L’uso più
frequente del for, infatti, è il seguente:
che è la classica costruzione C usata per elaborare i primi n elementi di un vettore e che corrisponde al ciclo
DO del Fortran ed al for del Pascal. Quest’ultima analogia, però, non è perfetta, in quanto l’indice e la condi-
zione limite di un ciclo di for, in C, possono essere modificati all’interno del ciclo stesso, e la variabile i,
usata come indice, conserva il proprio valore anche dopo la terminazione del ciclo. Poiché le componenti del
for sono espressioni arbitrarie, i cicli di for non sono applicabili soltanto a progressioni aritmetiche. In ogni
caso, è meglio evitare di inserire dei calcoli non strettamente correlati fra loro nelle parti di inizializzazione e di
incremento di un for, poiché esse sono logicamente riservate alle operazioni di controllo.
A titolo di esempio, presentiamo una nuova versione della funzione atoi, che converte una stringa di cifre
nel suo equivalente valore numerico. Questa versione è leggermente più generale di quella presentata nel
45
Capitolo 2; essa gestisce eventuali spazi bianchi ed il segno + o -, opzionale (nel Capitolo 4 illustreremo la
funzione atof, che converte la stringa nel suo valore in floating-point).
Ogni fase svolge dei compiti specifici, e termina lasciando una situazione corretta alla quale applicare la fase
successiva. L’intero processo non appena viene individuato un carattere che non può appartenere ad un
numero.
#include <ctype.h>
Per la conversione di stringhe in interi, la libreria standard fornisce una funzione più complessa, strtol; a
questo proposito, si veda la Sezione 5 dell’Appendice B.
I vantaggi derivanti dal raggruppamento delle istruzioni di controllo risultano ancor più evidenti in presenza di
cicli nidificati. La funzione che segue è un algoritmo di Shell sort per l’ordinamento di un vettore di interi. La
idea di base di questo algoritmo, inventato da D. L. Shell nel 1959, consiste nel confrontare innanzitutto ele-
menti del vettore molto distanti fra loro, contrariamente a quanto avviene negli algoritmi di ordinamento tradi-
zionali, dove i confronti avvengono tra elementi adiacenti. L’approccio di Shell consente di eliminare veloce-
mente la maggior parte delle condizioni di disordine, in modo che, all’aumentare delle iterazioni, il lavoro da
svolgere diminuisca. La distanza fra gli elementi messi a confronto viene gradualmente decrementata di una
unità, fino a che le operazioni di ordinamento non diventano, di fatto, degli scambi fra elementi adiacenti.
In questa funzione troviamo tre cicli innestati. Il ciclo più esterno controlla la distanza tra i due elementi di
volta in volta a confronto, inizializzandola a n/2 e decrementandola di un fattore due fino a che essa non di-
venta nulla. Il ciclo intermedio scandisce tutti gli elementi. Il ciclo più interno, infine, confronta ogni coppia di
elementi separati da gap posizioni e, se tali elementi sono disordinati, li inverte. Poiché, dopo un certo nu-
mero di iterazioni, gap varrà sicuramente uno, tutti gli elementi, al termine dell’algoritmo, risulteranno ordina-
ti correttamente. Notate come la generalità del for consenta al ciclo più esterno, che non è una progressio-
ne aritmetica, di adattarsi comunque alla sintassi di questo costrutto.
46
Il C prevede anche l’operatore virgola “,”, che spesso viene utilizzato nell’istruzione for. Una coppia di
espressioni separate da una virgola viene valutata da sinistra a destra, ed il tipo ed il valore del risultato coin-
cidono con il tipo ed il valore dell’espressione di destra. Quindi, in ogni sezione della parte di controllo di un
for è possibile inserire delle espressioni multiple, per esempio per incrementare parallelamente due indici.
Questo aspetto è illustrato nell’esempio seguente, che mostra una funzione reverse(s) che inverte la strin-
ga s.
#include <string.h>
Le virgole che separano gli argomenti di una funzione o le variabili di una dichiarazione non rappresentano lo
operatore virgola, e non garantiscono la valutazione da sinistra a destra.
L’operatore virgola dovrebbe essere usato con molta cautela. L’uso migliore che se ne può fare è nei costrutti
strettamente correlati gli uni agli altri, come nel caso del for della funzione reverse, e nelle macro, dove
un’elaborazione in più fasi deve apparire sotto forma di espressione singola. Un’espressione con l’operatore
virgola potrebbe rivelarsi appropriata anche nel caso dello scambio di due elementi, che può essere pensato
come una singola operazione:
Esercizio 3.3 Scrivete una funzione expand(s1, s2) che espande le notazioni abbreviate presenti nella
stringa s1 in notazioni estese (per esempio, traduce a-z in abc...xyz) e pone in s2 la stringa risultante.
s1 può essere costituita da caratteri maiuscoli, minuscoli e da cifre; gestite abbreviazioni quali a-b-c, a-z0-
9 e -a-z. Assicuratevi che un - iniziale o finale venga interpretato letteralmente.
Come abbiamo visto nel Capitolo 1, i costrutti while e for controllano la condizione di terminazione all’ini-
zio del ciclo. Al contrario, il terzo tipo di ciclo del C, il do-while, controlla la condizione di uscita al termine di
ogni iterazione; quindi, il corpo del ciclo viene sempre eseguito almeno una volta.
do
istruzione
while (espressione);
Dapprima viene eseguita l’istruzione, e soltanto successivamente l’espressione viene valutata. Se essa
risulta vera, l’istruzione viene eseguita nuovamente. Quando l’espressione diventa falsa, il ciclo termina. A
parte il senso del test, il do-while del C è equivalente al repeat-until del Pascal.
L’esperienza dimostra che il do-while è meno usato del while e del for. Nonostante ciò, è bene valutare
di volta in volta quale sia il costrutto più adatto alla situazione; per esempio, nella funzione itoa, che conver-
te un numero in una stringa di caratteri (l’inverso della funzione atoi), il do-while si rivela la struttura di
controllo più idonea alla soluzione del problema. Il compito della funzione itoa è più complesso di quanto
po-trebbe apparire inizialmente, perché gli algoritmi più semplici per la generazione delle cifre le generano in
ordine inverso. Noi abbiamo scelto dapprima la stringa invertita e, in seguito, convertita.
47
/* itoa: converte n in una stringa s */
void itoa(int n, char s[])
{
int i, sign;
Il do-while è necessario o, almeno, conveniente, perché nel vettore s deve sempre essere inserito almeno
un carattere, anche se n è zero. Da un punto di vista sintattico, le parentesi graffe che abbiamo usato per
racchiudere il corpo del do-while sono superflue, ma evidenziano il fatto che l’istruzione di while rappre-
senta la fine di un do, anziché l’inizio di un while.
Esercizio 3.4 In una rappresentazione in complemento a due, la versione di itoa non gestisce il numero ne-
gativo con modulo massimo, dato da n=-(2^(wordsize-1)), dove wordsize è il numero di bit che com-
pongono la word. Spiegate il motivo di questa carenza. Modificate la funzione in modo che stampi corretta-
mente tutti i valori, indipendentemente dall’architettura della macchina sulla quale viene eseguita.
Esercizio 3.5 Scrivete una funzione itob(n, s, b) che converte l’intero n nella corrispondente sequenza di
caratteri in base b, e mette in s la stringa risultante. In particolare, itob(n, s, 16) trasforma n in un intero
esadecimale e lo scrive in s.
Esercizio 3.6 Scrivete una versione di itoa che accetti tre argomenti invece di due. Il terzo argomento è il
numero minimo di caratteri di cui dev’essere composta la stringa finale; quindi il numero convertito, se ne-
cessario, deve essere preceduto dall’opportuna quantità di spazi bianchi.
Talvolta può essere utile uscire da un ciclo senza controllare, all’inizio o alla fine dell’iterazione, la condizione
di terminazione. L’istruzione break provoca l’uscita incondizionata da un for, un while oppure un do, nello
stesso modo in cui consente di uscire da uno switch. Un break, infatti, provoca l’uscita dallo switch op-
pure dal ciclo più interno che lo contiene.
La funzione che segue, trim, rimuove dalla fine di una stringa gli spazi, i caratteri di tabulazione ed i new
line; per farlo, essa usa un break che le consente di uscire dal ciclo non appena, scandendo la stringa da
destra a sinistra, trova un carattere diverso dallo spazio, dal tab e dal new line.
strlen restituisce la lunghezza della stringa. Il ciclo di for inizia al termine della stringa, e la scandisce a
ritroso fino a trovare un carattere diverso dallo spazio, dal tab e dal new line. Il ciclo viene interrotto con un
break quando un simile carattere viene trovato, oppure quando n diventa negativo (cioè quando l’intera
48
stringa è stata scandita). Verificate che il comportamento della funzione è corretto anche nei casi limite, nei
quali la stringa è composta da soli spazi oppure è vuota.
L’istruzione continue è legata al break, ma viene usata più raramente; essa forza l’inizio dell’iterazione
successiva di un for, un while oppure un do; essa, cioè, provoca l’esecuzione immediata della parte di
controllo del ciclo. Nel caso del for, il controllo passa alla parte di incremento. A differenza del break, la
istruzione continue non è applicabile allo switch. Un continue all’interno di uno switch inserito in un
ciclo provoca il passaggio alla successiva iterazione del ciclo stesso.
A titolo di esempio, mostriamo il seguente frammento di codice, che tratta soltanto gli elementi positivi o nulli
del vettore s, tralasciando quelli negativi.
L’istruzione continue viene spesso utilizzata quando la parte successiva del ciclo è particolarmente compli-
cata; in questo caso, infatti, invertire un test e creare un altro livello di indentazione potrebbe condurre alla
stesura di codice troppo nidificato.
Il C fornisce l’abusata istruzione goto, e le label (“etichette”) per potere ramificare l’esecuzione. Formalmen-
te, il goto non è mai necessario, e nella pratica spesso la stesura di codice che non lo utilizza risulta meno
difficoltosa. In questo libro non abbiamo mai usato il goto.
Nonostante ciò, ci sono alcune rare situazioni nelle quali l’impiego del goto può rivelarsi conveniente. Il caso
più comune si verifica quando è necessario uscire contemporaneamente da due o più cicli innestati. L’istru-
zione break, uscendo soltanto dal ciclo più interno, si rivela in questo caso insufficiente. Quindi:
for ( .... )
for ( .... )
{
....
if (disaster)
goto error;
}
....
error:
ripristina la situazione
Quest’organizzazione è utile quando la gestione delle condizioni di errore non è banale, e quando gli errori si
possono verificare in più punti del codice.
Una label ha la stessa forma sintattica di una variabile, ed è seguita da un due punti. Essa può essere asso-
ciata a qualsiasi istruzione della funzione contenente il goto. Il suo scope è l’intera funzione.
Come ulteriore esempio, consideriamo il problema di determinare se due vettori, a e b, hanno un elemento in
comune. Una possibile soluzione è:
49
Qualsiasi segmento di codice contenente un goto può sempre essere scritto anche senza di esso, anche se
a volte, per farlo, è necessario ripetere dei controlli o introdurre un’ulteriore variabile. Per esempio, il codice
precedente può diventare:
found=0;
for (i=0; i<n && !found; i++)
for (j=0; i<m && !found; j++)
if (a[i]==b[j])
found=1;
if (found)
/* trovato un elemento: a[i-1]==b[j-1] */
....
else
/* non sono stati trovati elementi comuni */
....
Ad esclusione dei rari casi citati in precedenza, il codice che comprende dei goto è meno comprensibile e
più difficilmente manutenibile di quello che ne è privo. Pur non volendo essere dogmatici a questo proposito,
consigliamo di usare i goto con molta attenzione e, se possibile, evitarli del tutto.
50
CAPITOLO 4
Il C è stato ideato con l’intenzione di rendere le funzioni efficienti e facilmente utilizzabili; più che da poche
funzioni molto complesse, i programmi C sono in genere costituiti da molte funzioni piuttosto semplici. Un
programma può risiedere in uno o più file sorgente, che possono essere compilati separatamente e caricati
insieme unitamente, anche, a funzioni di libreria compilate in precedenza. Noi non approfondiremo questo
argomento, poiché esso è fortemente legato all’architettura del sistema sul quale si opera.
La dichiarazione e la definizione di funzione sono le aree nelle quali lo standard ANSI ha apportato le modifi-
che più significative al C. Come abbiamo visto nel Capitolo 1, ora è possibile dichiarare il tipo degli argomenti
di una funzione al momento della sua dichiarazione. Anche la sintassi della definizione di funzione cambia, in
modo da restare coerente con la dichiarazione. Questa nuova sintassi consente ad un compilatore di rilevare
molti errori che, con la vecchia versione del C, non erano evidenziabili. Inoltre, quando gli argomenti sono
dichiarati correttamente, le conversioni di tipo vengono effettuate in modo automatico.
Lo standard precisa le regole sullo scope dei nomi; in particolare, esso richiede che ogni oggetto dichiarato
esternamente abbia una propria definizione. L’inizializzazione è più generale: ora i vettori e le strutture auto-
matiche possono essere inizializzati esplicitamente.
Anche il preprocessore C è stato migliorato. Ora le sue funzionalità comprendono un insieme completo di
direttive per la compilazione condizionale, uno strumento per creare costanti di tipo stringa (quindi tra doppi
apici) mediante l’utilizzo delle macro, ed un migliore controllo sul processo di espansione delle macro stesse.
Per iniziare, progettiamo e scriviamo un programma che stampa tutte le linee del suo input contenenti una
stringa particolare (questo è un caso particolare del programma UNIX grep). Per esempio, se la stringa vo-
luta è “ould”, il seguente input:
produrrà l’output
Nonostante sia certamente possibile inserire tutto il codice richiesto all’interno della funzione main, è meglio
sfruttare questa netta separazione delle operazioni, scrivendo una funzione apposita per ogni fase. Infatti, tre
brevi segmenti di codice sono più maneggevoli di un singolo elemento molto esteso, perché i dettagli non
significativi possono essere “nascosti” nelle diverse funzioni, minimizzando così la possibilità di interazioni
non desiderate. Infine, i singoli segmenti possono facilmente essere riutilizzati in altri programmi.
51
La frase “fino a quando c’è un’altra linea” si traduce nella funzione getline, che abbiamo scritto nel Capi-
tolo 1, mentre la frase “stampala” non è altro che la printf, scritta per noi da qualcun altro. Questo signifi-
ca che l’unica parte mancante è la funzione che decide se la linea di input contiene la stringa cercata.
Possiamo risolvere il problema scrivendo la funzione strindex (s, t), che restituisce la posizione, cioè lo
indice, di inizio della stringa t all’interno del vettore s, oppure -1 se t non compare in s. Poiché, in C, gli in-
dici di un vettore partono da zero, il fatto che strindex ritorni un valore negativo indica inequivocabilmente
che la linea di input non contiene la stringa che cerchiamo. Quando, in seguito, avremo bisogno di risolvere
problemi più complessi di ricerca su stringhe, non dovremo fare altro che sostituire la funzione strindex,
lasciando invariato il resto del codice (la libreria standard fornisce la funzione strstr, molto simile a
strindex, ma che restituisce un puntatore alla posizione del vettore).
Una volta definita questa struttura generale, l’implementazione del programma risulta più semplice. Di
seguito presentiamo il programma completo, in modo che possiate osservare la complementarietà dei diversi
seg-menti. Per ora, imponiamo che la stringa da ricercare sia una costante letterale, che non è il
meccanismo più generale adottabile. In seguito, torneremo brevemente sul problema dell’inizializzazione dei
vettori di ca-ratteri, e nel Capitolo 5 mostreremo come trasformare la stringa in un parametro, inizializzato al
momento dell’esecuzione del programma. Notate, infine, che questa versione di getline è leggermente
diversa da quella presentata nel Capitolo 1; il confronto tra le due versioni potrebbe risultare, per voi, molto
istruttivo.
#include <stdio.h>
#define MAXLINE 1000 /* massima lunghezza di una linea di input */
i=0;
while (--lim>0 && (c=getchar())!=EOF && c!=’\n’)
s[i++]=c;
if (c==’\n’)
s[i++]=c;
s[i]=’\0’;
return i;
}
52
;
if (k>0 && t[k]==’\0’)
return i;
}
return -1;
}
Alcune di queste parti possono non comparire; la funzione minimale è, infatti, la seguente
dummy() { }
che non fa nulla e non ritorna alcun valore. Durante lo sviluppo di un programma, una funzione come questa
può servire come sostituto temporaneo di funzioni che verranno scritte in un secondo tempo. Se viene omes-
so il tipo del valore di ritorno, esso viene considerato automaticamente un int.
Un programma non è altro che un insieme di definizioni di variabili e di funzioni. La comunicazione tra le fun-
zioni avviene tramite gli argomenti, i valori di ritorno delle funzioni stesse e le variabili esterne. All’interno del
file sorgente, le funzioni possono essere disposte in un ordine qualsiasi, ed il programma sorgente può esse-
re suddiviso in diversi file, cosa che non può avvenire per una singola funzione, che deve trovarsi in un unico
file.
L’istruzione return è il meccanismo che consente alla funzione chiamata di restituire un valore al chiaman-
te. Quest’istruzione può essere seguita da una qualsiasi espressione:
return espressione;
Se necessario, l’espressione verrà convertita nel tipo del valore ritornato dalla funzione. Per motivi di chiarez-
za, l’espressione viene spesso racchiusa fra parentesi tonde, che però sono opzionali.
La funzione chiamante è libera di trascurare il valore restituito. In tal caso, il return all’interno della funzione
chiamata non è seguito da alcuna espressione, ed il chiamante non riceve alcun valore di ritorno. Un altro
caso in cui il chiamante riprende il controllo dell’esecuzione, senza che gli venga passato alcun valore di ritor-
no, è quello in cui l’esecuzione della funzione chiamata termina per il raggiungimento della parentesi graffa di
chiusura. Questa situazione non è illegale ma, in genere, il fatto che una funzione, in un punto, ritorni un va-
lore ed in un altro non ritorni nulla, è indice di una situazione anomala. In ogni caso se, per un qualunque mo-
tivo, una funzione non riesce a restituire il proprio valore, ciò che il chiamante riceve è un valore “sporco”.
Il main del programma di ricerca del pattern restituisce il numero di occorrenze trovate. Questo valore viene
perciò messo a disposizione dell’ambiente che ha eseguito il programma.
Il metodo per compilare e caricare un programma C distribuito su più file sorgente varia da un sistema all’al-
tro. Sul sistema UNIX, per esempio, questo compito viene assolto dal comando cc, citato nel Capitolo 1.
Supponiamo che le tre funzioni del programma di ricerca del pattern siano scritte in tre diversi file sorgente,
rispettivamente main.c, getline.c e strindex.c. Allora il comando
compila i tre file, ponendo dapprima i risultati di ogni compilazione nei tre file main.o, getline.o e
strindex.o; quindi cc carica questi tre file in un unico file eseguibile, che chiama a.out. Se in un file, per
esempio in main.c, c’è un errore, tale file può essere ricompilato separatamente e caricato insieme ai file
oggetto generati in precedenza, con il comando
cc main.c getline.o strindex.o
Il comando cc sostituisce al suffisso “.c” per distinguere un file sorgente dal suo oggetto.
53
Esercizio 4.1 Scrivete la funzione strrindex(s, t), che restituisce la posizione dell’occorrenza più a de-
stra di t, oppure -1 se t non compare in s.
Fino a questo momento, le funzioni dei nostri esempi sono sempre state di due tipi: o non restituivano alcun
valore (void), oppure restituivano un intero (int). Cosa accade se una funzione deve ritornare un valore di
qualche altro tipo? Molte funzioni numeriche, come sqrt, sin e cos, ritornano un double; altre funzioni
specializzate restituiscono valori di tipo diverso. Per illustrare il trattamento di queste funzioni, scriviamo ed
usiamo la funzione atof(s), che converte la stringa s nel corrispondente numero floating-point in doppia
precisione. atof è un’estensione della funzione atoi, che abbiamo presentato in versioni diverse nei Capi-
toli 2 e 3. atof gestisce un segno (opzionale) ed il punto decimale, oltre che la presenza o l’assenza della
parte frazionaria o di quella intera. La nostra non è una routine di conversione dell’input di qualità molto ele-
vata; scrivere una funzione di ottimo livello, infatti, richiederebbe un impiego eccessivo di spazio e di tempo.
In ogni caso una funzione atof è inclusa nella libreria standard e dichiarata nell’header <math.h>.
Come prima cosa, atof, che non restituisce un int, deve dichiarare il tipo del suo valore di ritorno. Il nome
del tipo precede il nome della funzione:
#include <ctype.h>
In secondo luogo, la funzione chiamante deve sapere che atof restituisce un valore che non è un int. Un
modo per assicurarsi che ciò avvenga consiste nel dichiarare esplicitamente atof all’interno del chiamante.
Tale dichiarazione è mostrata in questo rudimentale programma di calcolo, che per ogni linea di input legge
un numero, che può essere preceduto da un segno, e lo somma ai numeri letti in precedenza, stampando il
risultato dopo ogni linea letta.
#include <stdio.h>
#define MAXLINE 100
/* rudimentale calcolatrice */
main()
{
double sum, atof(char[]);
char line[MAXLINE];
int getline(char line[], int max);
sum=0;
while (getline(line, MAXLINE)>0)
printf(“\t%g\n”, sum+=atof(line));
return 0;
54
}
La dichiarazione
afferma che sum è una variabile di tipo double, e che atof è una funzione che riceve in input un argomen-
to di tipo char[] e restituisce un double.
La dichiarazione e la definizione della funzione atof devono essere consistenti. Se la funzione atof e la sua
chiamata, in main, avessero due tipi inconsistenti fra loro e si trovassero in un unico file sorgente, il compila-
tore rileverebbe l’errore. Ma se (come in genere accade) atof fosse stata compilata separatamente, l’incon-
sistenza non verrebbe rilevata, atof restituirebbe un double che il main tratterebbe come un int, ed il
risultato finale sarebbe privo di significato.
Alla luce di quanto abbiamo fino ad ora detto sulla coerenza richiesta fra dichiarazioni e definizioni, un simile
comportamento può sorprendere. La ragione per la quale si può verificare un’inconsistenza risiede nel fatto
che, in mancanza di un prototipo della funzione, quest’ultima viene dichiarata implicitamente dalla sua prima
occorrenza in un’espressione, come in
sum+=atof(line);
Se, in un’espressione, ricorre un nome che non è stato dichiarato in precedenza e tale nome è seguito da
una parentesi tonda sinistra, esso, dal contesto, viene dichiarato automaticamente come nome di una funzio-
ne, che si assume ritorni un valore intero; per quanto concerne gli argomenti della funzione, invece, non vie-
ne fatta alcuna assunzione. Anche una dichiarazione di funzione che non contenga gli argomenti, come in
double atof();
indica esplicitamente che sugli argomenti stessi non dev’essere fatta alcuna assunzione; di conseguenza,
tutti i controlli sul tipo dei parametri vengono aboliti. Questo speciale significato attribuito alla lista vuota ha lo
scopo di consentire che i programmi scritti con il vecchio C possano essere gestiti correttamente anche dai
nuovi compilatori. È comunque bene evitare di usare questa sintassi all’interno dei nuovi programmi. Se la
funzione richiede degli argomenti, dichiarateli; se non ne richiede, usate il tipo void.
Una volta realizzata atof, possiamo riscrivere atoi (che converte una stringa nell’intero corrispondente) nel
modo seguente:
return espressione;
viene convertito nel tipo della funzione prima che il return venga eseguito. Quindi il valore di atof, che è
un double, viene convertito automaticamente in un int quando compare in questo return, perché la fun-
zione atoi ritorna un int. Potenzialmente, tuttavia, quest’operazione potrebbe produrre una perdita di in-
formazione; per questo motivo, molti compilatori, incontrandola, la segnalano con un messaggio di warning.
La presenza del cast stabilisce esplicitamente che tale conversione è voluta, il che abolisce il messaggio di
warning.
Esercizio 4.2 Estendete atof in modo che gestisca la notazione scientifica 123.45e-6 in cui un numero
decimale può essere seguito da una e o una E e da un eventuale esponente con segno.
55
Un programma in C consiste in un insieme di oggetti esterni, che sono variabili o funzioni. L’aggettivo “ester-
no” viene usato in opposizione ad “interno”, riservato agli argomenti ed alle variabili definite all’interno di qual-
che funzione. Le variabili esterne sono definite fuori da qualsiasi funzione, e sono perciò a disposizione di più
funzioni. Le funzioni stesse, poi, sono sempre esterne, perché il C non consente di definire una funzione allo
interno di un’altra. Per default, le variabili e le funzioni esterne godono della proprietà che tutti i riferimenti fatti
ad esse tramite lo stesso nome, anche se fatti da funzioni compilate separatamente, si riferiscono allo stesso
oggetto (lo standard chiama questa proprietà linkaggio esterno). In questo senso, le variabili esterne sono
analoghe ai blocchi COMMON del Fortran o alle variabili Pascal dichiarate nel blocco più esterno. Ve-dremo,
in seguito, come definire variabili e funzioni esterne visibili all’interno di un unico file sorgente.
Poiché le variabili esterne sono accessibili globalmente, esse costituiscono un modo alternativo di comunica-
re dati tra le funzioni, diverso dal passaggio di parametri e dai valori di ritorno. Qualsiasi funzione può acce-
dere ad una variabile esterna attraverso il suo nome, purché tale nome sia stato dichiarato.
Se più funzioni devono condividere un elevato numero di variabili, le variabili esterne sono più convenienti ri-
spetto a liste di argomenti molto lunghe. Tuttavia, come abbiamo puntualizzato nel Capitolo 1, questo criterio
dovrebbe essere applicato con cautela, perché creare, in un programma, troppe connessioni fra i dati delle
diverse funzioni, può risultare dannoso per la sua struttura generale.
Le variabili esterne sono utili anche per il loro vasto scope e per la loro “longevità”. Infatti, le variabili automa-
tiche sono interne ad una funzione; esse nascono quando viene iniziata l’esecuzione della funzione, e scom-
paiono quando essa termina. Al contrario, le variabili esterne sono permanenti, quindi mantengono il valore
anche fra due chiamate di funzione. Perciò, se due funzioni che non si invocano a vicenda devono condivide-
re dei dati, è spesso conveniente mantenere tali dati in variabili globali, piuttosto che passarli da una funzione
all’altra come argomenti.
Esaminiamo più approfonditamente questo aspetto attraverso un esempio. Vogliamo scrivere un programma
di calcolo che gestisca gli operatori +, -, * e /. Poiché è più facile da implementare, stabiliamo che il nostro
programma usi la notazione Polacca inversa, invece che la notazione infissa (la notazione Polacca inversa è
utilizzata da alcune calcolatrici tascabili, oltre che in linguaggi come Forth e Postscript).
In notazione Polacca inversa, ogni operatore segue i suoi operandi; un’espressione in notazione infissa,
come
(1 - 2) * (4 + 5)
diventa cioè
1 2 - 4 5 + *
Le parentesi non sono necessarie; la notazione non è ambigua, purché si conosca il numero di operandi ri-
chiesto da ogni operatore.
L’implementazione è semplice. Ogni operando viene posto in cima ad uno stack; quando si incontra un ope-
ratore, dallo stack viene prelevato il numero opportuno di operandi (due per gli operatori binari), ai quali viene
applicato l’operatore incontrato, ed il risultato viene nuovamente posto in cima allo stack. Rifacendosi allo
esempio precedente, 1 e 2 vengono posti sullo stack; quindi, essi vengono sostituiti con la loro differenza, -1.
Poi, sullo stack vengono posti 4 e 5, successivamente rimpiazzati dalla loro somma, 9. Infine, in cima allo
stack viene posto il prodotto fra -1 e 9, cioè -9. Al riconoscimento della terminazione dell’input, il valore che si
trova in cima allo stack viene prelevato e stampato.
La struttura del programma è quindi un ciclo, che esegue le operazioni opportune su ogni operatore e sui
suoi operandi, nell’ordine in cui essi si presentano:
56
else
errore
Le operazioni di inserimento (push) e prelevamento (pop) dallo stack sono banali ma, poiché gestiscono
anche delle condizioni di errore, risultano abbastanza lunghe da suggerire la stesura di funzioni apposite, in
modo che non sia necessario ripetere il codice nei diversi punti del programma nei quali tali operazioni sono
richieste. Inoltre, è meglio scrivere funzioni apposite anche per la lettura del prossimo operatore od operando
in input.
Quello che non è ancora chiaro, a questo punto, è la posizione nella quale inserire lo stack, cioè quali funzio-
ni possano accedervi. Una possibilità consiste nel dichiararlo all’interno del main, e passare come argomenti
alle funzioni push e pop lo stack e la posizione corrente al suo interno. Tuttavia, il main non ha bisogno di
conoscere le variabili che controllano lo stack; esso si limita ad ordinare le operazioni push e pop. Perciò,
abbiamo deciso di memorizzare lo stack e le informazioni ad esso associate in variabili esterne, accessibili
alle funzioni push e pop ma non al main.
Codificare queste direttive è relativamente semplice. Se, per ora, supponiamo di inserire tutto il programma
in un unico file sorgente, esso apparirà così:
#includes
#defines
Nel seguito illustreremo come separare questa struttura su più file sorgenti.
La funzione main è un ciclo che contiene un grande switch sul tipo di operatore o di operando; quest’uso
dello switch è più tipico di quello che avevamo mostrato nella Sezione 3.4.
#include <stdio.h>
#include <math.h> /* per atof() */
while ((type=getop(s))!=EOF)
{
switch (type)
{
case NUMBER:
push(atof(s));
break;
case ’+’:
push(pop()+pop());
57
break;
case ’*’:
push(pop()*pop());
break;
case ’-’:
op2=pop();
push(pop()-op2);
break;
case ’/’:
op2=pop();
if (op2!=0.0)
push(pop()/op2);
else
printf(“Errore: divisione per zero\n”);
break;
case ’\n’:
printf(“\t%.8g\n”, pop());
break;
default:
printf(“Errore: comando %s sconosciuto\n”, s);
break;
}
}
return 0;
}
Poiché + e * sono operatori commutativi, l’ordine con il quale gli operandi vengono prelevati e combinati fra
loro non è rilevante; invece, per gli operatori / e - gli operandi destro e sinistro devono essere distinti. In
push(pop()-pop()); /* SBAGLIATO */
l’ordine nel quale vengono valutate le due chiamate di pop non è definito. Per garantire l’ordine corretto, è
necessario prelevare il primo valore e porlo in una variabile temporanea, come abbiamo fatto nel main.
Una variabile è esterna se è stata definita fuori da qualsiasi funzione. Quindi, lo stack ed il suo indice, che
devono essere condivisi da push e pop, sono dichiarati fuori da queste funzioni. Queste dichiarazioni, tutta-
via, sono invisibili al main, che non fa riferimento allo stack né al suo indice.
Rivolgiamo ora la nostra attenzione all’implementazione di getop, la funzione che deve leggere l’operando
od operatore successivo. Il suo compito è semplice. Essa deve tralasciare i caratteri di tabulazione e gli
58
spazi. Se il carattere successivo non è una cifra o un punto decimale, lo restituisce. Altrimenti, raccoglie una
strin-ga di cifre (che può comprendere un punto decimale), e ritorna NUMBER, il segnale usato per indicare
che è stato letto un numero.
#include <ctype.h>
int getch(void);
void ungetch(int);
Cosa sono getch e ungetch? Spesso accade che un programma non sia in grado di capire se ha letto tutto
il suo input prima di avere letto un carattere in più del dovuto. Un esempio classico è quello della lettura dei
caratteri che compongono un numero: fino a quando non si incontra il primo carattere diverso da una ci-fra, il
numero non è completo. Ma, a questo punto, il programma ha già letto un carattere di troppo, che non è in
grado di gestire.
Il problema si risolverebbe se fosse possibile “restituire all’input” il carattere letto in eccesso, dopo averlo esa-
minato. Allora, ogni volta che il programma legge un carattere di troppo, potrebbe restituirlo all’input, in modo
che il resto del codice possa comportarsi come se quel carattere non fosse mai stato letto. Fortunatamente,
un simile comportamento è facilmente simulabile, scrivendo una coppia di funzioni cooperanti tra loro. getch
esamina il successivo carattere in input; ungetch memorizza i caratteri rifiutati, in modo che le suc-cessive
chiamate a getch li riesamino prima di passare all’input successivo.
Il modo in cui queste due funzioni operano è semplice. ungetch inserisce i caratteri rifiutati in un buffer
condiviso: un vettore di caratteri. getch legge da questo buffer e, se esso è vuoto, chiama getchar. È an-
che necessario avere un indice che registri la posizione del carattere corrente all’interno del buffer.
Poiché il buffer e l’indice sono condivisi da getch e ungetch, e devono conservare i loro contenuti anche
attraverso chiamate successive, essi devono essere esterni ad entrambe le funzioni. Perciò, possiamo scri-
vere:
59
if (bufp>=BUFSIZE)
printf(“ungetch: troppi caratteri\n”);
else
buf[bufp++]=c;
}
La libreria standard comprende una funzione ungetc che permette di restituire all’input un unico carattere; la
illustreremo nel Capitolo 7. Per i caratteri rifiutati abbiamo usato un vettore, invece che un singolo caratte-re,
per illustrare un approccio più generale.
Esercizio 4.3 Data la struttura di base, è facile estendere il programma della calcolatrice. Aggiungete l’ope-
ratore modulo (%) e la gestione dei numeri negativi.
Esercizio 4.4 Aggiungete dei comandi per stampare il primo elemento dello stack senza prelevarlo, per
dupli-carlo e per prelevare due elementi in una volta. Aggiungete un comando per pulire lo stack.
Esercizio 4.5 Aggiungete l’accesso a funzioni di libreria come sin, exp e pow. Si veda <math.h> nella
Appendice B, Sezione 4.
Esercizio 4.6 Aggiungete comandi per la gestione delle variabili (la scelta più semplice consiste nel consenti-
re l’uso di 26 variabili con nomi costituiti da una sola lettera). Aggiungete una variabile che contenga l’ultimo
valore stampato.
Esercizio 4.7 Scrivete una funzione ungets(s), che restituisca all’input un’intera stringa. ungets deve
poter accedere a buf e bufp, o può limitarsi a chiamare ungetch?
Esercizio 4.8 Supponete di non dovere mai rifiutare più di un carattere. Modificate di conseguenza getch e
ungetch.
Esercizio 4.9 La nostra versione di getch e ungetch non gestisce correttamente un EOF rifiutato. Decide-
te quale sarebbe l’azione corretta da eseguire in presenza di un EOF rifiutato ed implementatela.
Esercizio 4.10 Un’altra scelta implementativa usa getline per leggere un’intera linea di input; in questo ca-
so, getch e ungetch sono inutili. Modificate il programma calcolatrice in modo che utilizzi questo approc-
cio.
4.4 Regole di Scope
Le funzioni e le variabili esterne che compongono un programma C non hanno bisogno di essere compilate
tutte contemporaneamente; il testo sorgente del programma può essere memorizzato in più file sorgente, e
funzioni compilate in precedenza possono essere caricate dalle librerie.
Discutiamo alcuni aspetti riorganizzando il programma calcolatrice in diversi file. Da un punto di vista pratico,
questo programma è troppo piccolo perché sia conveniente spezzarlo; tuttavia, il suo smembramento su più
file consente di illustrare in dettaglio ciò che accadrebbe con un programma di dimensioni maggiori.
Lo scope di un nome è la porzione di programma all’interno della quale tale nome può essere usato. Per una
variabile automatica, dichiarata all’inizio di una funzione, lo scope è la funzione stessa. Variabili locali aventi
lo stesso nome ma dichiarate in funzioni diverse non sono correlate. La stessa cosa vale per i parametri delle
funzioni i quali, in ultima analisi, non sono altro che delle variabili locali.
Lo scope di una variabile esterna o di una funzione va dal punto in cui essa è dichiarata al termine del file
sorgente in cui si trova. Per esempio, se main, sp, val, push e pop sono definite in un unico file nell’ordine
illustrato in precedenza, cioè:
60
main() { .... }
int sp=0;
double val[MAXVAL];
allora le variabili sp e val, tramite il loro nome, possono essere usate da push e pop; non è necessaria
alcun’altra dichiarazione. Al contrario, sp e val non sono visibili al main.
D’altro canto, se è necessario riferire una variabile esterna prima che essa sia stata dichiarata, oppure se
essa è definita in un file sorgente diverso da quello in cui viene utilizzata, allora è necessaria una dichiarazio-
ne di extern.
È importante distinguere tra la dichiarazione di una variabile esterna e la sua definizione. Una dichiarazione
rende note le proprietà di una variabile (principalmente, il suo tipo); una definizione, invece, provoca anche la
allocazione di un’area di memoria riservata a quella variabile. Se le linee
int sp;
double val[MAXVAL];
appaiono all’esterno di qualsiasi funzione, esse definiscono le variabili esterne sp e val, provocano
all’alloca-zione della memoria necessaria a queste variabili ed infine servono anche come dichiarazioni delle
variabili per tutto il resto del file sorgente. Invece, le linee
dichiarano, per il resto del file sorgente, che sp è una variabile di tipo int, e che val è un vettore di dou-
ble, la cui dimensione è determinata altrove, ma non creano le variabili né riservano loro alcun’area di
memoria.
Fra tutti i file che costituiscono il programma sorgente, uno solo deve contenere la definizione di una variabile
esterna; gli altri file possono contenere soltanto dichiarazioni di extern, che consentono loro di utilizzare la
variabile (anche il file che contiene la definizione può, in realtà, contenere delle dichiarazioni). Le dimensioni
del vettore devono essere specificate nella definizione, e sono opzionali nelle dichiarazioni di extern.
Sebbene questa non sia l’organizzazione ideale per il programma calcolatrice, inseriamo le funzioni push e
pop in un unico file sorgente, e definiamo ed inizializziamo le variabili sp e val in un altro. Per potere utiliz-
zare questi due file, sarebbero allora necessarie le seguenti dichiarazioni:
nel file1:
nel file2:
int sp=0;
double val[MAXVAL];
Poiché, in file1, le dichiarazioni di extern si trovano prima e fuori da qualsiasi funzione, esse si applicano a
tutte le funzioni presenti in file1. Questa stessa organizzazione sarebbe necessaria se, pur avendo funzioni e
variabili in un unico file, le dichiarazioni di sp e val fossero poste dopo il loro utilizzo.
61
4.5 Header File
Dividiamo ora il programma calcolatrice in diversi file sorgente, come accadrebbe realmente se ognuna delle
sue componenti fosse notevolmente più grande. La funzione main si trova in un file, che chiameremo
main.c; push, pop e le loro variabili si trovano in un altro file, stack.c; getop è in un terzo file, getop.c.
Infine, getch e ungetch si trovano in un quarto file, getch.c; separiamo queste due funzioni dalle altre
perché, in un programma reale, esse verrebbero prelevate da una libreria compilata separatamente.
L’ultimo aspetto da considerare è la definizione e la dichiarazione delle variabili condivise tra i vari file. Per
quanto possibile, vogliamo concentrare definizioni e dichiarazioni in un unico punto, in modo che sia più
semplice correggerle e modificarle al variare del programma. Perciò, collochiamo questo materiale comune
in un header file, calc.h, che verrà incluso, in caso di necessità, dagli altri file (la linea #include viene de-
scritta nella Sezione 4.11). Il programma risultate assume questo aspetto:
calc.h:
getch.c:
#include <stdio.h>
#define BUFSIZE 100
char buf[BUFSIZE];
int bufp=0;
int getch(void)
{
....
}
void ungetch(int)
{
....
}
Esiste un compromesso, fra il desiderio di fare sì che ogni file possa accedere soltanto alle informazioni delle
quali ha realmente bisogno, e la realtà pratica, secondo la quale è difficile gestire molti header file. Per pro-
grammi di dimensioni ridotte, è probabilmente meglio avere un unico header file, contenente tutto ciò che
dev’essere condiviso fra qualsiasi parti del programma; questa è la soluzione che abbiamo adottato in questo
62
caso. Per programma di dimensioni maggiori, tuttavia, è necessario ricorrere ad un’organizzazione più sofi-
sticata, che comprenda diversi header file.
Le variabili sp e val del file stack.c, e buf e bufp del file getch.c, sono destinate all’uso privato delle
funzioni presenti nei rispettivi file sorgente, e nessun’altra entità ha bisogno di accedervi. La dichiarazione di
static, applicata ad una variabile esterna o ad una funzione, ne limita lo scope del file sorgente nel quale
essa si trova. Per esempio, applicare la dichiarazione di static a buf e bufp significa consertirne l’utilizzo
da parte delle funzioni getch e ungetch, impedendo, al tempo stesso, che tali variabili siano visibili agli uti-
lizzatori di queste due funzioni.
Le variabili di tipo static si ottengono anteponendo ad una normale dichiarazione la parola chiave static. Se
le due funzioni e le due variabili vengono compilate all’interno di un unico file, come in
allora nessun’altra funzione potrà accedere a buf e bufp, e questi nomi non saranno in conflitto con nomi
uguali eventualmente presenti in altri file dello stesso programma. Analogamente, anche le variabili sp e
val, usate da push e pop per la manipolazione dello stack, possono essere nascoste, anteponendo alle loro
dichiarazioni la parola static.
Principalmente, la dichiarazione di static viene applicata alle variabili esterne, ma essa è lecita anche sulle
funzioni. Di solito, i nomi delle funzioni sono globali e visibili all’intero programma. Se però una funzione è
dichiarata static, il suo nome diventa visibile soltanto all’interno del file nel quale si trova.
La dichiarazione di static, infine, può essere applicata anche alle variabili interne. In questo caso, l’effetto
di tale dichiarazione è quello di consentire alla variabile di mantenere il proprio valore anche fra due chiamate
successive della funzione alla quale appartiene. Cioè, una variabile automatica dichiarata static non scom-
pare al termine dell’esecuzione della funzione, ma continua ad esistere anche dopo che la funzione è termi-
nata. Questo significa che le variabili interne dichiarate static consentono di riservare memoria privata e
permanente per una particolare funzione.
Esercizio 4.11 Modificate getop in modo che non abbia bisogno di usare ungetch. Suggerimento: usate
una variabile interna static.
Una dichiarazione register avvisa il compilatore che la variabile in questione verrà utilizzata frequentemen-
te. L’idea è che le variabili register debbano essere collocate nei registri della macchina, il cui impiego può
consentire di ottenere programmi più brevi e più veloci. Tuttavia, i compilatori sono liberi di ignorare tale
avvertimento.
register int x;
register char c;
Essa può essere applicata soltanto alle variabili automatiche ed ai parametri formali di una funzione. In que-
st’ultimo caso, appare con la seguente sintassi:
....
}
63
Nella pratica, le variabili register sono soggette a delle restrizioni, che riflettono la realtà dell’hardware sul
quale si opera. Soltanto poche variabili di una funzione possono essere mantenute nei registri, e tali variabili
possono appartenere ad un ristretto insieme di tipi. Tuttavia, le dichiarazioni register in eccesso sono in-
nocue, perché vengono semplicemente ignorate. Infine, bisogna tenere presente che non è possibile cono-
scere l’indirizzo di una variabile register (un argomento, questo, che verrà trattato nel Capitolo 5), indipen-
dentemente dal fatto che essa venga effettivamente mantenuta o meno in un registro. Le restrizioni specifi-
che sul numero e sul tipo delle variabili register dipendono dalla macchina sulla quale si opera.
Il C non è un linguaggio strutturato a blocchi, nell’accezione con la quale questo termine viene utilizzato per il
Pascal ed altri linguaggi simili. In C, infatti, le funzioni non possono essere definite all’interno di altre funzioni.
D’altro canto, all’interno di una funzione le variabili possono essere definite secondo il criterio della struttura-
zione a blocchi. La dichiarazione delle variabili (e la loro inizializzazione) può seguire la parentesi graffa sini-
stra che introduce una qualsiasi istruzione composta, e non soltanto la parentesi che indica l’inizio della fun-
zione. Le variabili dichiarate in questo modo nascondono quelle con nomi uguali dichiarate in blocchi più
esterni, e continuano ad esistere fino a che non viene raggiunta la parentesi graffa destra che chiude il bloc-
co. Per esempio, in
if (n>0)
{
int i; /* dichiara una nuova variabile i */
lo scope della variabile i è il ramo “then” dell’if; questa i non è correlata ad alcuna i all’esterno del blocco.
Una variabile automatica, dichiarata ed inizializzata in un blocco, viene inizializzata ogni volta che il blocco
entra in esecuzione. Una variabile static viene inizializzata soltanto alla prima esecuzione del blocco.
Anche le variabili automatiche ed i parametri formali nascondono le variabili esterne e le funzioni con lo stes-
so nome. Date le dichiarazioni
int x;
int y;
f(double x)
{
double y;
....
}
le occorrenze di x all’interno della funzione f si riferiscono al parametro di tipo double, mentre quelle allo
esterno fanno riferimento ad un int. La stessa cosa accade con la variabile y.
Per motivi di chiarezza, è meglio non usare nomi di variabili che nascondono nomi più esterni; la probabilità
che si verifichino errori e confusione è troppo elevata.
4.9 Inizializzazione
Fino a questo momento, il problema dell’inizializzazione è stato nominato solo in margine ad altri argomenti,
ma mai approfondito. Ora che abbiamo illustrato le diverse classi di memorizzazione, riassumiamo in questo
paragrafo alcune delle regole che governano l’inizializzazione delle variabili.
In assenza di un’inizializzazione esplicita, il C garantisce che le variabili esterne e quelle static vengano ini-
zializzate a zero; le variabili automatiche e quelle dichiarate register, invece, hanno valori iniziali indefiniti
(sono, cioè, “sporche”).
Le variabili scalari possono essere inizializzate al momento della loro definizione, postponendo al loro nome
un segno di uguale ed un’espressione:
64
int x=1;
char squote=’\’;
long day=1000L*60L*60L*24L; /* msec / giorno */
Per le variabili esterne e static, l’inizializzatore dev’essere un’espressione costante; l’inizializzazione viene fat-
ta una volta, concettualmente prima dell’inizio dell’esecuzione del programma. Per le variabili automatiche e
register, essa viene effettuata ogni volta che inizia l’esecuzione della funzione o del blocco interessato.
Per quest’ultimo tipo di variabili, l’inizializzatore può non essere una costante, ma può consistere in una qual-
siasi espressione nella quale compaiano valori definiti in precedenza ed anche, eventualmente, chiamate di
funzione. Per esempio, le inizializzazioni del programma di ricerca binaria, presentato nella Sezione 3.3,
potrebbero essere scritte nella forma seguente:
low=0;
high=n-1;
In ultima analisi, le inizializzazioni delle variabili automatiche non sono altro che un modo più compatto di
scrivere degli assegnamenti. La scelta della forma più opportuna dipende fortemente dalla situazione specifi-
ca. In generale, noi abbiamo preferito utilizzare assegnamenti espliciti, perché gli inizializzatori inseriti nelle
dichiarazioni sono meno visibili e, spesso, sono lontani dal punto in cui le inizializzazioni sono effettivamente
necessarie.
Un vettore può essere inizializzato postponendo alla sua dichiarazione una lista di valori iniziali, racchiusi tra
parentesi graffe e separati da virgole. Per esempio, per inizializzare un vettore days, contenente il numero
dei giorni di ogni mese, potremmo scrivere:
int days[]={31, 28, 31, 30, 31, 30, 31, 31, 30, 31, 30, 31};
Quando la dimensione di un vettore viene omessa, il compilatore calcola la lunghezza del vettore in base al
numero di elementi presenti nella lista di inizializzazione, che in questo caso è dodici.
Se una lista di inizializzatori possiede un numero di elementi inferiore a quello specificato dalla dimensione
del vettore, gli elementi restanti vengono inizializzati a zero se il vettore è una variabile esterna o static, ed
assumono invece valori indefiniti se il vettore è una variabile automatica. Una lista di inizializzazione troppo
lunga costituisce un errore. Non è possibile specificare che uno stesso inizializzatore dev’essere ripetuto più
volte, né inizializzare un argomento centrale del vettore senza fornire i valori di tutti gli elementi che lo prece-
dono.
I vettori di caratteri rappresentano, nell’ambito delle regole di inizializzazione, un caso particolare; invece che
con una lista delimitata da parentesi e composta da elementi separati da virgole, i vettori di caratteri possono
essere inizializzati tramite una stringa costante:
char pattern[]=”ould”;
In questo caso la dimensione del vettore è cinque (quattro caratteri più quello di terminazione, ‘\0’).
4.10 Ricorsione
65
In C, le funzioni possono essere usate in modo ricorsivo; cioè, una funzione può richiamare se stessa diret-
tamente o indirettamente. Consideriamo, per esempio, la stampa di un numero sotto forma di stringa di ca-
ratteri. Come abbiamo già detto in precedenza, le cifre vengono generate in ordine inverso: quelle meno si-
gnificative vengono generate per prime, anche se devono essere stampate per ultime.
Questo problema può essere risolto in due modi. Da un lato, le cifre possono essere memorizzate in un vet-
tore nell’ordine in cui vengono generate, ed in seguito questo vettore può essere stampato da destra a sini-
stra (questo è il metodo adottato nella funzione itoa della Sezione 3.6). L’altra soluzione possibile è quella
ricorsiva, nella quale la funzione printd dapprima chiama se stessa per gestire ogni cifra che incontra,
quindi stampa la cifra successiva. Notiamo che anche questa versione può non funzionare con il numero ne-
gativo di modulo massimo.
#include <stdio.h>
Quando una funzione si richiama ricorsivamente, ogni chiamata provoca la creazione di un insieme completo
delle variabili automatiche, nuovo ed indipendente dall’insieme precedente. Per esempio, in printd(123) la
prima printd riceve come argomento n=123. Questa chiamata passa l’argomento n=12 alla seconda, che
a sua volta passa alla terza n=1. La printd di terzo livello stampa 1 e torna al secondo livello. Questa
printd stampa 2, e torna alla printd di primo livello, che stampa 3 e termina.
Un altro buon esempio di ricorsione è dato dal quicksort, un algoritmo di ordinamento ideato da C. A. R.
Hoare nel 1962. Dato un vettore, ne viene scelto un elemento ed il vettore viene suddiviso in due parti: gli ele-
menti minori di quello prescelto e quelli maggiori o uguali. Lo stesso procedimento viene poi applicato, ricor-
sivamente, ad ognuno dei due sottoinsiemi così ottenuti. Quanto un sottoinsieme risulta composto da meno
di due elementi, esso non deve più essere ordinato; questa condizione conclude la ricorsione.
La nostra versione di quicksort non è la più veloce possibile, ma è una delle più semplici. Per suddividere
ogni sottoinsieme, utilizziamo l’elemento centrale.
66
Poiché l’operazione di scambio, in qsort, ricorre tre volte, abbiamo preferito effettuarla nella funzione swap,
scritta appositamente.
temp=v[i];
v[i]=v[j];
v[j]=temp;
}
La libreria standard comprende una versione di qsort in grado di ordinare oggetti di qualsiasi tipo.
La ricorsione richiede l’impiego di notevoli quantità di memoria, perché è necessario mantenere uno stack dei
valori da processare. Essa, inoltre, difficilmente risulta particolarmente veloce. Tuttavia, il codice ricorsivo è
più compatto e, spesso, più facile sia da scrivere che da comprendere rispetto al codice non-ricorsivo
equivalente. La ricorsione è particolarmente conveniente per la gestione di strutture dati definite ricorsiva-
mente quali, per esempio, gli alberi; a questo proposito, nella Sezione 6.5 analizzeremo un esempio significa-
tivo.
Esercizio 4.12 Sfruttate le idee della funzione printd per scrivere una versione ricorsiva di itoa; in altre
parole, convertire un intero in una stringa utilizzando una funzione ricorsiva.
Esercizio 4.13 Scrivete una versione ricorsiva della funzione reverse(s), che inverte una stringa s.
4.11 Il Preprocessore C
Il C fornisce alcune particolari funzionalità del linguaggio per mezzo di un preprocessore che, concettualmen-
te, costituisce la prima fase, separata, della compilazione. Le due funzionalità più utilizzate sono #include,
per includere, durante una compilazione, i contenuti di un particolare file, e #define, per sostituire ad un
identificatore una stringa arbitraria di caratteri. Altre funzionalità, descritte in questo paragrafo, sono la com-
pilazione condizionale e le macro dotate di argomenti.
#include “nome-file”
#include <nome-file>
viene sostituita con il contenuto del file nome-file. Se nome-file è racchiuso fra apici, la ricerca del file da in-
cludere inizia, normalmente, dalla directory nella quale è stato trovato il programma sorgente; se il file nome-
file non viene trovato in questa directory, oppure se è racchiuso fra < e >, la ricerca prosegue secondo rego-
le dipendenti dall’implementazione. Un file incluso può a sua volta contenere delle linee del tipo #include.
Spesso, all’inizio di un file, sono presenti diverse linee nella forma #include, che hanno lo scopo di include-
re istruzioni di #define e dichiarazioni extern comuni, oppure quello di accedere a prototipi di funzione
dichiarati in alcuni header, quali <stdio.h> (in realtà, questi ultimi non devono necessariamente essere dei
file; vedremo in seguito che i dettagli dell’accesso agli header dipendono dall’implementazione).
L’istruzione #include rappresenta il modo migliore per raggruppare tutte le dichiarazioni relative ad un pro-
gramma di dimensioni ragguardevoli. Quest’istruzione garantisce che tutti i file sorgente del programma ab-
biano definizioni e dichiarazioni di variabili coerenti, e questo consente di eliminare una classe di errori molto
difficili da individuare. Naturalmente, quando un file incluso viene modificato, tutti i file sorgente che lo inclu-
dono devono essere ricompilati.
67
4.11.2 Sostituzione delle Macro
Una definizione ha la forma
Essa richiede una sostituzione di macro del tipo più semplice: tutte le successive occorrenze di nome devono
essere sostituite con il testo da sostituire. Il nome in una #define ha la stessa forma di un nome di variabi-
le; il testo da sostituire è, invece, arbitrario. Normalmente, il testo da sostituire occupa la parte restante della
linea, ma testi molto lunghi possono proseguire su più linee, purché ognuna di esse, ad eccezione dell’ultima,
sia terminata dal carattere \. Lo scope di un nome definito con una #define va dal punto in cui la #define
si trova fino al termine del file sorgente. Una definizione può sfruttarne altre date in precedenza. Le sostitu-
zioni vengono effettuate soltanto sui token, e non hanno luogo in caso di stringhe racchiuse fra apici. Per
esempio, se YES è un nome definito, la sua occorrenza in printf(“YES”) o in YESMAN non comporta al-
cuna sostituzione.
Qualsiasi nome può essere sostituito con qualsiasi testo. Per esempio,
È anche possibile definire macro con argomenti, in modo che il testo da sostituire dipenda dai parametri del-
le diverse chiamate. Come esempio, definiamo una macro che chiamiamo max:
Anche se assomiglia molto ad una chiamata di funzione, ogni invocazione della macro max viene espansa in
codice in linea. Ogni occorrenza di un parametro formale (A e B nel nostro esempio) viene rimpiazzata con il
corrispondente argomento reale. Perciò la linea
x=max(p+q, r+s);
x=((p+q)>(r+s)?(p+q):(r+s));
Purché gli argomenti vengano trattati in modo consistente, questa macro può essere utilizzata per ogni tipo di
dati; diversamente da quanto accade per le funzioni, non è necessario avere macro diverse per diversi tipi di
dati.
Esaminando l’espansione di max, noterete alcune particolarità. In primo luogo, le espressioni vengono valuta-
te due volte; se esse hanno degli effetti collaterali, quali l’incremento di variabili o l’input / output, la loro dop-
pia valutazione può creare problemi. Per esempio,
incrementa due volte la variabile massima fra i e j. Inoltre, nelle macro con argomenti è necessario porre
un’attenzione particolare nell’uso delle parentesi, in modo da essere certi che l’ordine di valutazione sia
quello desiderato; analizzate ciò che accade quando la macro
Infine, notiamo che anche le macro sono oggetti preziosi. A titolo di esempio, consideriamo l’header
<stdio.h>, nel quale getchar e putchar sono spesso definite come macro al fine di evitare, durante la
esecuzione, l’overhead che deriverebbe dalla gestione di una chiamata di funzione per ogni carattere trattato.
Analogamente, anche le funzioni contenute in <ctype.h> sono implementate come macro.
La definizione di un nome può essere annullata con l’istruzione #undef; essa, normalmente, viene utilizzata
per assicurarsi con una funzione sia definita come tale, piuttosto che come macro:
68
#undef getchar
I parametri formali all’interno di stringhe tra apici non vengono sostituiti. Tuttavia se, nel testo da sostituire, un
parametro formale è preceduto da un #, la combinazione viene espansa in una stringa tra apici nella quale il
parametro è stato rimpiazzato dall’argomento reale. Questa funzionalità può essere utilizzata, per esempio,
per costruire macro per la stampa di stringhe di debugging:
dprint(x/y);
essa viene espansa in
All’interno dell’argomento reale, ogni carattere “ viene sostituito con \” ed ogni \ con \\, in modo che il
risultato sia una stringa costante lecita.
L’operatore di preprocessor ## consente di concatenare argomenti reali durante l’espansione di una macro.
Se un parametro del testo da sostituire è preceduto da ##, il parametro viene rimpiazzato con l’argomento
reale, l’operatore ## e gli spazi che lo circondano vengono rimossi, ed il risultato viene analizzato nuovamen-
te. Per esempio, la macro paste concatena i suoi due argomenti:
Le regole per l’uso innestato di ## sono complesse; ulteriori dettagli in proposito sono riportati nell’Appendice
A.
Esercizio 4.14 Definite una macro swap(t, x, y) che scambia fra loro due argomenti di tipo t (la struttu-
ra a blocchi vi potrà essere utile).
L’istruzione #if valuta un’espressione costante intera (che non può includere costanti di tipo enum, operato-
ri di cast e sizeof). Se l’espressione è diversa da zero, le linee comprese fra #if ed il successivo #endif,
o #elif o #else vengono incluse (l’istruzione di preprocessor #elif equivale ad un else if). L’espres-
sione defined (name) all’interno di un #if assume valore 1 se name è stato definito, 0 altrimenti.
Per esempio, per essere certi che il contenuto dell’header hdr.h venga incluso una sola volta, possiamo
rac-chiudere tale contenuto all’interno di un’espressione condizionale come la seguente:
#if !defined(HDR)
#define HDR
#endif
La prima inclusione di hdr.h definisce il nome HDR; eventuali inclusioni successive, trovando HDR già defini-
to, salteranno direttamente alla linea #endif. Un accorgimento simile a questo può essere utilizzato per evi-
tare di includere un file più volte; se usato in modo consistente, esso consente di fare sì che ogni header
includa tutti gli altri header dai quali dipende, senza che l’utente finale si renda conto delle interdipendenze
esistenti.
69
Nell’esempio eseguente, il nome SYSTEM viene controllato, al fine di decidere quale versione di header inclu-
dere:
#if SYSTEM==SYSV
#define HDR “sysv.h”
#elif SYSTEM==BSD
#define HDR “bsd.h”
#elif SYSTEM==MSDOS
#define HDR “msdos.h”
#else
#define HDR “default.h”
#endif
#include HDR
Le linee #ifdef e #ifndef sono delle forme specializzate che controllano se un particolare nome è defini-
to. Nel primo esempio, l’istruzione #if avrebbe potuto essere scritta come:
#ifndef HDR
#define HDR
#endif
70
CAPITOLO 5
PUNTATORI E VETTORI
Un puntatore è una variabile che contiene l’indirizzo di un’altra variabile. I puntatori, in C, vengono utilizzati
molto spesso, in parte perché essi, talvolta, costituiscono l’unico modo possibile di esprimere un calcolo, ed
in parte perché, generalmente, consentono di ottenere codice particolarmente compatto ed efficiente. I
puntatori ed i vettori sono strettamente correlati; questo capitolo, fra l’altro, evidenzia questa relazione e
mostra come sfruttarla.
I puntatori sono stati spesso accomunati all’istruzione goto per la loro supposta capacità di generare pro-
grammi incomprensibili. Ciò è certamente vero se essi vengono usati distrattamente, ed è facile creare pun-
tatori che puntano a qualcosa di inatteso. Tuttavia, se usati con discernimento, i puntatori possono accre-
scere la chiarezza e la semplicità del codice. Questa è la loro caratteristica che cercheremo di evidenziare
maggiormente.
La variazione principale dell’ANSI C consiste nell’esplicitare le regole che governano la manipolazione dei
puntatori, formalizzando, in realtà, ciò che i buoni programmatori ed i buoni compilatori già facevano. Inoltre,
nell’ANSI C il tipo void * (puntatore ad un void) sostituisce il tipo char * nella dichiarazione di un
puntatore generico.
Iniziamo con una descrizione semplificata dell’organizzazione della memoria. Una macchina, in generale,
possiede un vettore di celle di memoria numerate o indirizzate in modo consecutivo; queste celle possono
essere manipolate singolarmente o a gruppi. Una situazione tipica è quella in cui un byte viene trattato come
un char, una coppia di celle di un byte costituisce uno short, e quattro byte adiacenti formano un long. Un
puntatore è un gruppo di celle (spesso due o quattro) che può contenere un indirizzo. Quindi, se c è un char
e p un puntatore che punta a c, possiamo rappresentare la situazione con lo schema seguente:
p: c:
p=&c;
assegna l’indirizzo di c alla variabile p, e si dice che p “punta a” c. L’operatore & si applica soltanto agli og-
getti definiti in memoria: le variabili e gli elementi dei vettori. Esso non può essere applicato alle espres-sioni,
alle costanti od alle variabili register.
1
Le dichiarazioni di x, y e z sono quelle che abbiamo sempre visto. La dichiarazione del puntatore ip,
int *ip;
afferma che l’espressione *ip è un int. La sintassi della dichiarazione di una variabile rispecchia quella
delle espressioni nelle quali la variabile potrebbe comparire. Questo stesso ragionamento si applica alle
dichiarazioni di funzione. Per esempio,
afferma che, in un’espressione, *dp e atof(s) assumono valori di tipo double, e che l’argomento di atof
è un puntatore a char.
Per inciso, notate che un puntatore è vincolato a puntare ad un particolare tipo di oggetto: ogni puntatore
punta ad uno specifico tipo di dati (esiste un’eccezione: un “puntatore a void” viene usato per supportare
qualsiasi tipo di puntatore, ma non può essere referenziato. Torneremo su questo argomento nella Sezione
5.11).
Se ip punta ad un intero x, allora *ip può ricorrere in qualsiasi contesto nel quale può comparire x, quindi
*ip=*ip+10;
Gli operatori unari * e & sono più vincolanti degli operatori aritmetici, quindi l’assegnamento
y=*ip+1;
prende ciò che è puntato da ip, qualsiasi cosa sia, lo incrementa di 1 ed assegna il risultato a y, mentre
*ip+=1;
++*ip
ed a
(*ip)++
In quest’ultimo esempio, le parentesi sono necessarie; senza di esse, l’espressione incrementerebbe ip in-
vece dell’oggetto puntato, perché gli operatori unari come * e ++ sono associativi da destra a sinistra.
Infine, poiché i puntatori sono delle variabili, essi possono essere usati senza il deriferimento. Per esempio,
se iq è un altro puntatore a int,
iq=ip;
copia il contenuto di ip in iq, cioè fa puntare iq allo stesso oggetto puntato da ip.
Poiché il C passa alle funzioni gli argomenti per valore, la funzione chiamata non ha un modo diretto per
alterare una variabile nella funzione chiamante. Per esempio, una routine di ordinamento può scambiare fra
loro due elementi disordinati usando una funzione swap. Non basta scrivere
swap(a, b);
2
temp=x;
x=y;
y=temp;
}
A causa della chiamata per valore, la funzione swap non può alterare gli argomenti a e b nella routine chia-
mante. La funzione swap illustrata sopra altera solamente delle copie di a e b.
Il modo per ottenere l’effetto desiderato consiste nel passare alla funzione swap i puntatori agli oggetti che
devono essere scambiati:
swap(&a, &b);
Poiché l’operatore unario & produce l’indirizzo di una variabile, &a è un puntatore ad a. All’interno della fun-
zione swap, i parametri vengono dichiarati come puntatori, attraverso i quali gli operandi vengono acceduti
indirettamente.
temp=*px;
*px=*py;
*py=temp;
}
Graficamente:
Nel chiamante:
a:
b:
px:
py:
Il fatto che gli argomenti di una funzione siano dichiarati come puntatori consente alla funzione stessa di
accedere agli oggetti e di modificarli all’interno della funzione chiamante. Come esempio, consideriamo una
funzione getint, che esegue una conversione dell’input non formattato, spezzando una sequenza di carat-
teri in valori interi, un intero per chiamata. getint deve restituire il valore che ha trovato, oltre che segna-
lare quando rileva la fine dell’input mediante il carattere di end of file. Questi valori devono essere restituiti
attraverso cammini separati perché altrimenti l’intero usato per EOF, qualsiasi sia il suo valore, potrebbe
essere interpretato come un intero ricevuto in input.
Una soluzione consiste nel fare in modo che getint gestisca l’end of file come valore di ritorno al
chiamante, ed utilizzi invece un argomento dichiarato come puntatore per restituire alla funzione chiamante il
valore intero convertito. Questo è lo schema impiegato per la funzione scanf (si veda, a questo proposi-to,
la Sezione 7.4).
3
Il ciclo seguente riempie un vettore con degli interi ottenuti attraverso successive chiamate a getint:
Ogni chiamata memorizza in array[n] il successivo intero trovato nell’input, ed incrementa n. notate che è
essenziale passare a getint l’indirizzo di array[n]. Se ciò non avvenisse, getint non avrebbe modo di
ritornare al chiamante l’intero convertito.
La nostra versione di getint restituisce EOF in caso di fine dell’input, zero se l’input successivo non è un
numero, ed un valore positivo se l’input contiene un numero.
#include <ctype.h>
int getch(void);
void ungetch(int);
All’interno di getint, *pn viene usato come una normale variabile intera. Abbiamo anche utilizzato getch e
ungetch (descritte nella Sezione 4.3), in modo che il carattere in eccesso, che deve necessariamente
essere letto, possa poi essere ripristinato all’interno dell’input.
Esercizio 5.1 Nella versione data, getint considera una valida rappresentazione dello zero un + od un -
non seguiti da alcuna cifra. Modificatela in modo che essa ripristini nell’input un carattere di questo tipo.
Esercizio 5.2 Scrivete la funzione getfloat, versione floating-point della funzione getint. Che tipo ritorna
la funzione getfloat al chiamante?
In C, la relazione esistente tra puntatori e vettori è così stretta da consentirne la trattazione simultanea di
questi due argomenti. Qualsiasi operazione effettuabile indicizzando un vettore può essere eseguita anche
tramite i puntatori. In generale, la versione che utilizza i puntatori è più veloce ma, almeno per i programma-
tori inesperti, meno comprensibile.
La dichiarazione
int a[10];
4
definisce un vettore a di ampiezza 10, cioè un blocco di dieci oggetti consecutivi, chiamati a[0], a[1],
...., a[9].
a:
La notazione a[i] si riferisce all’i-esimo elemento del vettore. Se pa è un puntatore ad un intero, dichiarato
come
int *pa;
allora l’assegnamento
pa=&a[0];
pa:
a:
a[0]
Ora l’assegnamento
x=*pa;
Se pa punta ad un particolare elemento di un vettore, allora, per definizione, pa+1 punta all’elemento suc-
cessivo, pa+i punta ad i elementi dopo pa, e pa-1 punta ad i elementi prima di pa. Cioè, se pa punta ad
a[0],
*(pa+1)
pa+1: pa+2:
pa:
a:
a[0]
Queste osservazioni sono valide indipendentemente dal tipo o dall’ampiezza delle variabili contenute in a. Il
significato della frase “sommare 1 ad un puntatore” e, per estensione, tutta l’aritmetica dei puntatori, è che
pa+1 punta all’elemento successivo, e pa+i punta all’i-esimo elemento dopo quello puntato da pa.
La corrispondenza fra indicizzazione di un vettore e aritmetica dei puntatori è molto stretta. Per definizione, il
valore di una variabile o di un’espressione di tipo vettore è l’indirizzo dell’elemento zero del vettore stesso.
Quindi, dopo l’assegnamento
pa=&a[0];
pa ed a hanno valori identici. Poiché il nome di un vettore è sinonimo della posizione del suo primo elemento,
l’assegnamento pa=&a[0] può essere scritto anche nella forma
pa=a;
Ancora più sorprendente, almeno ad una prima analisi, è il fatto che un riferimento ad a[i] può essere
scritto nella forma *(a+i). Nel valutare a[i], il C converte immediatamente quest’espressione in *(a+i);
5
le due forme sono del tutto equivalenti. Applicando l’operatore & ad entrambi i membri dell’equivalenza,
otteniamo che anche &a[i] e (a+i) sono identici: (a+i) è l’indirizzo all’i-esimo elemento di a. Un’altra
conseguenza di tutto ciò è che, se pa è un puntatore, nelle espressioni esso può essere usato unitamente ad
un indice; pa[i] è equivalente a *(pa+i). Riassumendo, possiamo dire che un’espressione sotto for-ma di
vettori e indici è equivalente ad una che utilizza puntatori e spiazzamenti (offset).
Tra il nome di un vettore ed un puntatore esiste però una differenza che deve sempre essere tenuta presen-
te. Un puntatore è una variabile, quindi espressioni come pa=a e pa++ sono legali. Ma il nome di un vettore
non è una variabile; costruzioni come a=pa ed a++ sono illegali.
Quando il nome di un vettore viene passato ad una funzione, ciò che viene passato è la posizione dell’ele-
mento iniziale. All’interno della funzione chiamata, questo argomento è una variabile locale, quindi un nome
di vettore passato come parametro è in realtà un puntatore, ovvero una variabile che contiene un indirizzo.
Possiamo utilizzare quest’osservazione per scrivere una nuova versione della funzione strlen, che calco-la
la lunghezza di una stringa.
Poiché s è un puntatore, il suo incremento è un’operazione del tutto legale; l’espressione s++ non ha alcun
effetto sulla stringa di caratteri nella funzione chiamante, perché incrementa semplicemente la copia privata
di strlen del puntatore. Questo significa che chiamate del tipo
char s[];
char *s;
sono equivalenti; noi preferiamo utilizzare la seconda, perché evidenzia maggiormente che il parametro è un
puntatore. Quando ad una funzione viene passato il nome di un vettore, la funzione può decidere se
manipolarlo come un vettore o come un puntatore. Se le sembra appropriato e chiaro, essa può anche
decidere di utilizzare entrambe le notazioni.
È anche possibile passare ad una funzione soltanto una parte di un vettore, passandole un puntatore all’inizio
del sottovettore. Per esempio, se a è un vettore,
f(&a[2])
f(a+2)
sono due modi di passare alla funzione f il sottovettore che inizia da a[2]. All’interno di f, la dichiarazione
del parametro può essere:
oppure
6
f(int *arr) { .... }
Per quanto riguarda la funzione f, il fatto che il parametro si riferisca soltanto ad una parte di un vettore più
ampio non ha alcuna importanza.
Se si è certi dell’esistenza degli elementi, è anche possibile indirizzare un vettore all’indietro; p[-1] e p[-2]
sono espressioni sintatticamente corrette, e si riferiscono agli elementi che precedono p[0]. Natural-mente,
non è consentito riferirsi ad oggetti che non sono all’interno degli estremi del vettore.
Se p è un puntatore a qualche elemento di un vettore, allora p++ incrementa p in modo da farlo puntare allo
elemento successivo, mentre p+=i lo fa puntare ad i elementi dopo quello puntato correntemente. Queste
ed altre costruzioni simili sono le forme più semplici di aritmetica dei puntatori o degli indirizzi.
Nel suo approccio all’aritmetica degli indirizzi, il C è consistente e regolare; l’integrazione fra puntatori, vettori
ed aritmetica degli indirizzi è uno dei punti di forza del linguaggio. Illustriamo questo aspetto scrivendo un
rudimentale allocatore di memoria. Ci sono due routine. La prima, alloc(n), restituisce un puntatore p ad n
caratteri consecutivi, che possono essere usati dal chiamante di alloc per memorizzare dei caratteri. La
seconda routine, afree(p), rilascia la memoria acquisita tramite alloc, in modo che possa essere
riutilizzata. Le funzioni sono “rudimentali”, perché le chiamate ad afree devono essere effettuate in ordine
oppo-sto a quelle di alloc. Cioè, la memoria gestita da alloc e afree è uno stack, ovvero una lista di tipo
last-in, first-out. La libreria standard fornisce funzioni analoghe a quelle chiamate malloc e free che non
hanno queste restrizioni; nella Sezione 8.7 vedremo come esse possono essere implementate.
L’implementazione più semplice consiste nel fare in modo che alloc gestisca segmenti di un grande vettore
di caratteri, che chiameremo allocbuf. Questo vettore è privato ad alloc e ad afree. Poiché queste due
funzioni lavorano sui puntatori, e non sugli indici dei vettori, nessun’altra routine ha bisogno di conoscere il
nome del vettori, che può quindi essere dichiarato static nel file sorgente che contiene alloc ed afree,
rimanendo perciò invisibile all’esterno. Nell’implementazione pratica, il vettore potrebbe anche non avere
alcun nome; esso potrebbe infatti essere ottenuto invocando malloc, o chiedendo al sistema operativo un
puntatore ad un blocco di memoria privo di nome.
L’altra informazione necessaria è quella sul grado di utilizzo di allocbuf. Per questo utilizziamo un
puntatore, che chiamiamo allocp, che punta al primo elemento libero. Quando ad alloc vengono chiesti n
caratteri, la funzione controlla che in allocbuf ci sia spazio sufficiente. Se ciò avviene, alloc ritorna il
valore corrente di allocp (cioè l’inizio del blocco libero), ed incrementa questo puntatore di n posizioni, in
modo da farlo puntare alla successiva area libera. Se non c’è spazio sufficiente, alloc ritorna zero,
afree(p) si limita ad assegnare ad allocp il valore p, se esso cade all’interno di allocbuf.
allocbuf:
in uso libera
allocbuf:
in uso libera
7
char *alloc(int n) /* ritorna un puntatore ad n caratteri */
{
/* se c’è spazio */
if (allocbuf+ALLOCSIZE-allocp>=n)
{
allocp+=n; /* vecchio puntatore */
return allocp-n;
}
else
return 0; /* non c’è spazio */
}
In generale un puntatore può essere inizializzato come qualsiasi altra variabile, anche se normalmente gli
unici valori significativi sono zero, oppure un’espressione che coinvolge gli indirizzi di dati del tipo appro-priato
definiti in precedenza. La dichiarazione
definisce allocp come un puntatore a carattere e lo inizializza in modo che punti all’inizio di allocbuf, che
è la prima posizione libera quando l’esecuzione del programma inizia. Avremmo anche potuto scrivere
Il test
controlla che esiste spazio sufficiente per soddisfare la richiesta di n caratteri. Se lo spazio c’è, il nuovo
valore di allocp dovrebbe al più superare di un’unità la dimensione di allocbuf. Se la richiesta può
essere soddisfatta, alloc restituisce un puntatore all’inizio di un blocco di caratteri (notate, a questo
proposito, la dichiarazione della funzione stessa). In caso contrario, alloc deve segnalare il fatto che non
c’è spazio in allocbuf. Il C garantisce che zero non sia mai un indirizzo valido per i dati, quindi zero, come
valore di ritorno, può essere utilizzato per segnalare un evento anomalo come, nel nostro caso, la mancanza
di spazio.
I puntatori e gli interi, in generale, non sono interscambiabili. Lo zero costituisce l’unica eccezione: la costante
zero può essere assegnata ad un puntatore, ed un puntatore può a sua volta essere confrontato con la
costante zero. La costante simbolica NULL viene spesso usata al posto dello zero, come nome mne-monico
per indicare più chiaramente che questo, per un puntatore, è un valore speciale. La costante simbo-lica NULL
è definita in <stdio.h>. Da questo momento in poi, noi la utilizzeremo sempre al posto dello zero.
mostrano alcuni importanti aspetti dell’aritmetica dei puntatori. In primo luogo i puntatori, in certe circostan-
ze, possono essere confrontati. Se p e q puntano a membri dello stesso vettore, operatori relazionali come
==, !=, <, >=, ecc. lavorano correttamente. Per esempio,
p<q
8
è vero se p punta ad un membro del vettore che precede quello puntato da q. Qualsiasi puntatore può
essere confrontato con lo zero. Tuttavia, il comportamento di operazioni e confronti fra puntatori che non
puntano ad elementi di uno stesso vettore è indefinito (esiste un’eccezione: l’indirizzo del primo elemento
dopo che la fine di un vettore può essere utilizzato nell’aritmetica dei puntatori).
In secondo luogo, abbiamo già osservato che un puntatore ed un intero possono esser sommati o sottratti.
La costruzione
p+n
indica l’indirizzo dell’n-esimo oggetto che segue quello attualmente puntato da p. Questo è vero
indipendentemente dal tipo di oggetto a cui punta p; n viene dimensionato in base alla dimensione degli
oggetti ai quali p punta, e tale dimensione è determinata dalla dichiarazione di p stesso. Se un intero occu-pa
quattro byte, per esempio, p verrà incrementato di quattro byte in quattro byte.
Anche la sottrazione fra puntatori è un’operazione legale: se p e q puntano ad elementi di uno stesso vettore,
e p<q, allora q-p+1 è il numero di elementi fra p e q, estremi inclusi. Quest’osservazione può essere usata
per scrivere un’ulteriore versione di strlen:
while (*p!=’\0’)
p++;
return p-s;
}
In questa dichiarazione, p viene inizializzato ad s, cioè viene fatto puntare al primo carattere della stringa s.
Nel ciclo di while, ogni carattere viene confrontato con il carattere nullo, fino a che quest’ultimo non viene
raggiunto. Poiché p punta ad un carattere, p++ incrementa p facendolo puntare al carattere successivo, e p-
s rappresenta il numero di carattere scanditi, cioè la lunghezza della stringa (il numero di caratteri che
compongono la stringa potrebbe essere troppo elevato per poter essere contenuto in un int. L’header
<stddef.h> definisce un tipo ptrdiff_t in grado di contenere la differenza, con segno, fra due puntatori.
In ogni caso, se fossimo stati precisi, avremmo usato il tipo size_t come tipo del valore di ritorno di
strlen, per coerenza con la libreria standard. size_t è il tipo unsigned int, ritornato dall’operatore
sizeof).
L’aritmetica dei puntatori è consistente: se avessimo utilizzato dei float, che occupano più memoria dei
char, e se p fosse stato un puntatore ad oggetti di tipo float, p++ avrebbe spostato p sul float suc-
cessivo. Quindi, noi potremmo scrivere una nuova versione di alloc che memorizza oggetti float invece
che char, e per farlo sarebbe sufficiente sostituire i char con i float all’interno di alloc e di afree. Tut-
te le operazioni sui puntatori terrebbero automaticamente conto della nuova dimensioni degli oggetti trattati.
Le operazioni consentite sui puntatori sono l’assegnamento fra puntatori dello stesso tipo, l’addizione e sot-
trazione fra puntatori ed interi, la sottrazione ed il confronto fra due puntatori ad elementi di uno stesso
vettore, e l’assegnamento ed il confronto con lo zero. Tutte le altre operazioni aritmetiche sui puntatori sono
illegali. È illegale sommare fra loro due puntatori, moltiplicarli, dividerli od effettuare su di essi degli shift; è
illegale applicare loro gli operatori bit a bit e sommare loro quantità float o double; infine, fatta eccezione
per il tipo void *, è illegale assegnare ad un puntatore di un tipo un puntatore di tipo diverso senza utilizzare
l’operatore di cast.
è un vettore di caratteri. Nella rappresentazione interna, il vettore è terminato dal carattere nullo ’\0’, in
modo che il programma possa trovarne la fine. La lunghezza della stringa in memoria supera quindi di una
unità il numero dei caratteri compresi fra i doppi apici.
9
Probabilmente, il caso più comune di occorrenza di stringhe costanti è quello del passaggio di parametri alle
funzioni, come in
printf(“Salve, mondo\n”);
Quando, in un programma, compare una stringa di caratteri come questa, l’accesso ad essa avviene attra-
verso un puntatore a carattere; printf riceve un puntatore all’inizio del vettore di caratteri. In altre parole,
una stringa costante viene acceduta tramite un puntatore al suo primo elemento.
Le stringhe costanti possono anche non essere degli argomenti di funzione. Se pmessage è dichiarato come
char *pmessage;
allora l’istruzione
pmessage=”ora è il momento”;
assegna a pmessage un puntatore al vettore di caratteri. Notate che non viene fatta alcuna copia della
stringa; in quest’operazione sono coinvolti soltanto dei puntatori. Il C non fornisce alcun operatore che
consenta di trattare una stringa come un’entità unica.
amessage è un vettore, sufficientemente grande da contenere la sequenza di caratteri e lo ’\0’ che lo ini-
zializzano. I singoli caratteri all’interno del vettore possono cambiare, ma amessage si riferisce sempre alla
stessa area di memoria. Al contrario, pmessage è un puntatore, inizializzato in modo che punti ad una strin-
ga costante; di conseguenza, esso può essere modificato in modo che punti altrove, ma se tentate di modifi-
care il contenuto della stringa il risultato sarà indefinito.
Ora illustreremo altri aspetti dei puntatori e dei vettori, studiando diverse versioni di due utili funzioni adattate
alla libreria standard. La prima funzione è strcpy(s, t), che copia la stringa t nella stringa s. Sarebbe
bello potere scrivere semplicemente s=t, ma questo copia soltanto i puntatori, non i caratteri. Per copiare i
caratteri, abbiamo bisogno di un ciclo. La prima versione usa i vettori:
i=0;
while ((s[i]=t[i])!=’\0’)
i++;
}
10
s++;
t++;
}
}
Poiché gli argomenti vengono passati per valore, strcpy può utilizzare i parametri s e t come meglio crede.
Nel nostro caso essi sono dei puntatori inizializzati nel modo opportuno, che vengono spostati lungo i vettori
al ritmo di un carattere per volta, fino a che il carattere ’\0’ che termina t non è copiato in s.
In realtà, la funzione strcpy non dovrebbe essere scritta come abbiamo mostrato nella versione preceden-
te. Dei programmatori esperti preferirebbero la forma seguente:
Questa versione sposta l’incremento di s e di t nella parte di controllo del ciclo. Il valore di *t++ è il carattere
puntato da t prima dell’incremento; l’operatore ++ postfisso non altera t fino a quando questo carattere non
è stato trattato. Analogamente, il carattere viene memorizzato nella vecchia posizione puntata da s, prima
che s venga incrementato. Questo carattere è anche il valore che viene confrontato con ’\0’, per
controllare il ciclo. L’effetto finale è che i caratteri vengono copiati da t a s, fino allo ’\0’ incluso.
Come abbreviazione finale, osserviamo che un confronto con ’\0’ è ridondante, perché in realtà ciò che
vogliamo sapere è se l’espressione ha un valore diverso da zero. Quindi, la funzione strcpy potrebbe
essere scritta nella forma
Anche questa versione, ad una prima analisi, può sembrare poco chiara, la convenzione notazionale che ne
deriva è considerevole, e questo idioma dovrebbe essere compreso a fondo, perché è molto frequente
all’interno di programmi C. La funzione strcpy fornita dalla libreria standard (<string.h>) restituisce,
come valore di ritorno della funzione, la stringa s modificata.
La seconda routine che esamineremo è strcmp(s, t), che confronta le due stringhe s e t, e restituisce un
valore negativo, nullo o positivo se s è lessicograficamente minore, uguale o maggiore di t. Il valore viene
ottenuto sottraendo fra loro i caratteri della prima posizione nella quale s e t differiscono.
11
return *s-*t;
}
Poiché ++ e –- possono essere operatori sia prefissi che postfissi, è possibile trovare, anche se più rara-
mente, combinazioni diverse di *, ++ e --. Per esempio,
*--p
sono gli idiomi standard per inserire e prelevare elementi da uno stack; si veda a questo proposito la Sezione
4.3.
L’header <string.h> contiene le dichiarazioni relative alle funzioni trattate in questa sezione, oltre ad un
vasto insieme di funzioni della libreria standard dedicate alla gestione delle stringhe.
Esercizio 5.3 Scrivete una versione della funzione strcat (illustrata nel Capitolo 2) che utilizzi i puntatori;
strcat(s, t) copia la stringa t al termine della stringa s.
Esercizio 5.4 Scrivete la funzione strend(s, t) che ritorna 1 se la stringa t compare al termine della
stringa s, 0 altrimenti.
Esercizio 5.5 Scrivete delle funzioni di libreria strncpy, strncat e strncmp, che operano al più su n ca-
ratteri delle stringhe passate loro come argomenti. Per esempio, strncpy(s, t, n) copia al più n caratteri
di t in s. Le descrizioni complete sono nell’Appendice B.
Esercizio 5.6 Riscrivete i programmi dei capitoli e degli esercizi precedenti utilizzando puntatori invece che
vettori. Riscrivete, per esempio, getline (Capitoli 1 e 4), atoi, itoa e le loro varianti (Capitoli 2, 3 e 4),
reverse (Capitolo 3), strindex e getop (Capitolo 4).
Poiché i puntatori sono a loro volta delle variabili, essi possono essere memorizzati esattamente come delle
variabili qualsiasi. Illustriamo questo aspetto scrivendo un programma che ordina alfabeticamente un insieme
di linee di testo, una versione semplificata del programma UNIX sort.
Nel Capitolo 3 abbiamo presentato una funzione che ordinava un vettore di interi utilizzando l’algoritmo di
Shell sort, e nel Capitolo 4 l’abbiamo migliorata usando l’algoritmo quicksort. Questi stessi algoritmi sono
ancora utilizzabili, solo che ora dovranno operare su linee di testo di lunghezze diverse le quali, a diffe-renza
degli interi, non possono essere confrontate o spostate con una singola operazione. Abbiamo biso-gno di una
forma di rappresentazione dei dati che ci consenta di trattate in modo corretto ed efficiente linee di testo di
lunghezza variabile.
Questo è il punto nel quale si inseriscono i vettori di puntatori. Se le linee da ordinare venissero memo-rizzate
l’una dopo l’altra in un vettore di caratteri molto lungo, ogni linea potrebbe essere individuata tramite un
puntatore al suo primo carattere. Inoltre anche i puntatori possono essere memorizzati in un vettore. Due
linee possono essere confrontate passando alla funzione strcmp i loro puntatori come argomenti. Quando
due linee, non rispettano l’ordine desiderato, devono essere scambiate, ciò che viene spostato sono i loro
indirizzi nel vettore di puntatori, e non le linee stesse.
defghi defghi
jklmnopqrst jklmnopqrst
12
abc abc
Questa struttura elimina il duplice problema della complessa gestione della memoria e dell’elevato overhead
che si avrebbe se si dovessero spostare le linee di testo.
Come al solito, è meglio dividere il programma in funzioni che rispecchiano la naturale suddivisione del pro-
blema. Per il momento, rinviamo la trattazione della fase di ordinamento, e concentriamoci sulle strutture dati,
sull’input e sull’output.
La routine di input deve leggere e memorizzare i caratteri di ogni linea, e costituire un vettore di puntatori alle
linee. Essa deve anche contare il numero delle linee di input, poiché quest’informazione è necessaria per lo
ordinamento e la stampa. Dal momento che la funzione di input può trattare soltanto un numero finito di linee,
essa può restituire un valore particolare, per esempio -1, se le linee inserite sono troppe.
La routine di output deve solamente stampare le linee dell’ordine in cui compaiono all’interno del vettore di
puntatori.
#include <stdio.h>
#include <string.h>
if ((nlines=readlines(lineptr, MAXLINES))>=0)
{
qsort(lineptr, 0, nlines-1);
writelines(lineptr, nlines);
return 0;
}
else
{
printf(“Errore: troppe linee di input da ordinare\n”);
return 1;
}
nlines=0;
13
while ((len=getline(line, MAXLEN))>0)
if (nlines>=maxines || (p=alloc(len))==NULL)
return -1;
else
{
line[len-1]=’\0’; /* elimina il new line */
strcpy(p, line);
lineptr[nlines++]=p;
}
return nlines;
}
char *lineptr[MAXLINES];
essa afferma che lineptr è un vettore MAXLINES elementi, ognuno dei quali è un puntatore a carattere. In
altre parole, lineptr[i] è un puntatore a carattere, e *lineptr[i] è il carattere al quale punta, cioè il
primo carattere dell’i-esima linea di testo salvata.
Poiché lineptr è a sua volta il nome di un vettore, esso può essere trattato come puntatore, analoga-
mente a quanto avveniva nei nostri precedenti esempi, e la funzione writelines può essere riscritta nella
forma seguente:
Inizialmente *lineptr punta alla prima linea; ogni incremento successivo lo fa spostare sul puntatore alla
linea successiva, mano a mano che nlines si decrementa.
Una volta scritte le routine di gestione dell’input e dell’output, possiamo dedicarci all’ordinamento. La funzione
quicksort scritta nel Capitolo 4 necessita di qualche leggero cambiamento; le dichiarazioni devono essere
modificate, e le operazioni di confronto devono essere fatte chiamando la funzione strcmp. L’algo-ritmo
rimane inalterato, e questo ci consente di sperare fondatamente che esso funzioni ancora.
int i, last;
void swap(char *v[], int i, int j);
14
qsort(v, last+1, right);
}
Per gli stessi motivi illustrati sopra, anche la funzione swap necessita di alcune banali modifiche:
temp=v[i];
v[i]=v[j];
v[j]=temp;
}
Poiché ogni singolo elemento di v (cioè di lineptr) è un puntatore a carattere, anche temp lo deve essere,
in modo che un puntatore possa essere copiato nell’altro.
Esercizio 5.7 Riscrivete readlines in modo che memorizzi le linee di un vettore fornito dal main, invece di
chiamare la funzione alloc. Di quanto risulta più veloce il programma?
Il C fornisce dei vettori multidimensionali rettangolari, anche se, nella pratica, essi vengono usati molto meno
dei vettori di puntatori. In questa sezione, mostreremo alcune delle loro proprietà.
Consideriamo il problema della conversione della data, dal giorno del mese a quello dell’anno e viceversa.
Per esempio, il primo Marzo è il sessantesimo giorno di un anno non bisestile, ed il sessantunesimo di uno
bisestile. Definiamo due funzioni che effettuano le conversioni: day_of_year converte il giorno del mese nel
giorno dell’anno, mentre month_day esegue la conversione opposta. Poiché quest’ultima funzione cal-cola
due valori, gli argomenti mese e giorno saranno dei puntatori:
Entrambe queste funzioni hanno bisogno di alcune informazioni, che possono essere fornite in una tabella
contenente il numero di giorni che compongono ogni singolo mese. Poiché il numero dei giorni di ogni mese
dipende dal fatto che l’anno sia bisestile o meno, la cosa più semplice consiste nel suddividere i due casi in
righe separate di un vettore bidimensionale, piuttosto che tenere traccia, durante tutta l’elaborazione, dei
giorni che compongono il mese di Febbraio. Il vettore e le funzioni che effettuano le conversioni sono i
seguenti:
15
leap=year%4==0 && year%100!=0 || year%400==0;
for (i=1; yearday>daytab[leap][i]; i++)
yearday-=daytab[leap][i];
*pmonth=i;
*pday=yearday;
}
Ricordiamo che il valore aritmetico di un’espressione logica, come quello che viene assegnato a leap, è
zero (falso) oppure uno (vero), ed in quanto tale può essere utilizzato come indice del vettore daytab.
Il vettore daytab dev’essere esterno a day_of_year e month_day, in modo che entrambi possano usarlo.
L’abbiamo dichiarato di tipo char, per illustrare come i char possano essere utilizzati per memoriz-zare
piccoli interi.
daytab è il primo vettore bidimensionale con il quale abbiamo a che fare. In C, un vettore bidimensionale è
in realtà un vettore ad una dimensione, in cui ogni elemento è un vettore. Quindi, gli indici devono essere
scritti come
daytab[i][j] /* [riga][colonna] */
e non come
daytab[i, j] /* SBAGLIATO */
A parte questa distinzione notazionale, un vettore bidimensionale può essere trattato in modo analogo a quel-
lo utilizzato negli altri linguaggi. Gli elementi vengono memorizzati per righe, quindi l’indice di destra, cioè la
colonna, varia più velocemente, mano a mano che si accede agli elementi nell’ordine in cui sono
memorizzati.
Un vettore viene inizializzato da una lista di inizializzatori racchiusi fra parentesi graffe; ogni riga di un vettore
bidimensionale viene inizializzata con una lista corrispondente. Abbiamo iniziato il vettore daytab con una
colonna di zeri, in modo che i numeri dei mesi possano variare da 1 a 12, anziché da 0 a 11. Poiché, in
questa sede, non ci interessa risparmiare spazio, adottiamo questo accorgimento, che rende più chiaro
l’impiego degli indici.
Se un vettore bidimensionale dev’essere passato ad una funzione, la dichiarazione del parametro nella fun-
zione deve comprendere il numero delle colonne; il numero delle righe non è rilevante, perché ciò che viene
passato, ancora una volta, è un puntatore ad un vettori di righe, nel quale ogni riga è un vettore di 13 interi. In
questo caso particolare, esso è un puntatore ad oggetti che sono vettori di 13 interi. Quindi, se il vettore
daytab dev’essere passato ad una funzione f, la dichiarazione di f deve avere la forma:
int *daytab[13]
crea un vettore di 13 puntatori ad interi. Più in generale, soltanto la prima dimensione (indice) di un vettore
multidimensionale è libera; tutte le altre devono essere specificate.
16
Esercizio 5.8 Nelle funzioni day_of_year e month_day non esiste alcun controllo sulle condizioni di
errore. Colmate questa lacuna.
Consideriamo il problema di scrivere una funzione month_name(n), che ritorna il puntatore ad una stringa
costante contenente il nome dell’n-esimo mese. Questa è una situazione alla quale ben si adatta l’impiego di
un vettore static interno. month_name contiene un vettore privato di stringhe di caratteri e, quando viene
chiamata, ritorna un puntatore all’elemento opportuno. Questa sezione illustra il modo in cui viene
inizializzato il vettore dei nomi.
La dichiarazione di name, che è un vettore di puntatori a carattere, è uguale a quella del vettore lineptr,
nell’esempio relativo all’ordinamento. L’inizializzatore è una lista di stringhe di caratteri, ognuna delle quali
viene assegnata alla corrispondente posizione all’interno del vettore. I caratteri dell’i-esima stringa vengo-no
posti in una locazione qualsiasi, ed in name[i] viene memorizzato il puntatore a tale locazione. Poiché
l’ampiezza del vettore name non è stata specificata, il compilatore conta gli inizializzatori e dimensiona il
vettore di conseguenza.
Spesso, per coloro che conoscono poco il C, la differenza fra vettori bidimensionali e vettori di puntatori, quali
name, risulta confusa. Date le definizioni
int a[10][20];
int *b[10];
allora a[3][4] e b[3][4] sono entrambi dei riferimenti ad un singolo int sintatticamente corretti. Tutta-
via, a è un vettore bidimensionale: per esso sono state riservate 200 locazioni di ampiezza pari a quella di un
int, e l’elemento a[riga][colonna] viene individuato attraverso l’algoritmo 20*riga+colonna. Per b, in-vece,
la definizione alloca soltanto 10 puntatori, che non vengono inizializzati; l’inizializzazione dev’essere fatta
esplicitamente, in modo statico oppure con del codice apposito. Assumendo che ogni elemento di b punti ad
un vettore di 20 elementi, b stesso occuperà 200 allocazioni di ampiezza pari ad un int, più dieci celle per i
puntatori. L’importante vantaggio offerto da un vettori di puntatori consiste nel fatto che esso consente di
avere righe di lunghezza variabile. In altre parole, non è detto che ogni elemento di b punti ad un vettore di
venti elementi; qualcuno può puntare a due elementi consecutivi, qualcun altro a cinquanta e qualcun altro
ancora a zero.
Anche se, finora, abbiamo parlato di interi, notiamo che l’uso più frequente dei vettori di puntatori consiste nel
memorizzare stringhe di diversa lunghezza, come abbiamo fatto nella funzione month_name. Confron-tate la
dichiarazione e lo schema seguenti, che descrivono un vettore di puntatori:
name:
17
Mese sconosciuto\0
Gen\0
Feb\0
Mar\0
name:
0 17 34 51
Esercizio 5.9 Riscrivete la routine day_of_year e month_day usando puntatori invece che indici.
Negli ambienti che supportano il C, esiste un modo per passare argomenti o parametri in linea ad un pro-
gramma quando questo viene eseguito. Eseguire un programma equivale a chiamare la funzione main defi-
nita al suo interno, alla quale vengono sempre passati due argomenti. Il primo (convenzionalmente chiama-to
argc, da “argument count”) è il numero degli argomenti in linea passati al programma; il secondo (argv, da
“argument vector”) è un puntatore ad un vettore di stringhe di caratteri che contengono gli argomenti, uno per
stringa. Normalmente, per manipolare queste stringhe di caratteri noi utilizziamo più livelli di punta-tori.
L’esempio più semplice è dato dal programma echo, che stampa i suoi argomenti su una singola linea,
separandoli con degli spazi. Cioè il comando
stampa l’output
salve, mondo
Per convenzione, argv[0] contiene il nome con il quale il programma è stato invocato, quindi argc vale
sempre almeno 1. Se argc è 1, dopo il nome del programma non esistono ulteriori argomenti. Nell’esempio
precedente, argc era 3, e argv[0], argv[1] e argv[2] erano, rispettivamente, “echo”, “salve,” e
“mondo”. Il primo argomento opzionale è argv[1] mentre l’ultimo è argv[argc-1]; infine, lo standard
richiede che argv[argc] sia un puntatore nullo.
La prima versione di echo tratta argv come se fosse un vettore di puntatori a caratteri:
argv:
echo\0
salve,\0
mondo\0
18
#include <stdio.h>
Poiché argv è un puntatore ad un vettore di puntatori, invece dell’indice noi possiamo manipolare il
puntatore stesso. La prossima variante si basa sull’incremento di argv, che è un puntatore a dei puntatori a
caratteri, e sul decremento di argc:
#include <stdio.h>
Poiché argv è un puntatore all’inizio del vettore delle stringhe, incrementarlo di 1 (++argv) significa farlo
puntare all’argomento che, inizialmente, avevamo indicato con argv[1], anziché ad argv[0]. Ogni incre-
mento successivo sposta il puntatore sull’argomento seguente; *argv diventa perciò il puntatore a tale ar-
gomento. Nello stesso tempo, argc viene decrementato; quando esso diventa zero gli argomenti da stam-
pare sono esauriti.
Un’altra soluzione possibile consisteva nello scrivere l’istruzione printf nella forma seguente:
printf((argc>1)?”%s”:”%s”, *++argv);
Questa forma evidenza che l’argomento che descrive il formato, in una printf, può anche essere una
espressione.
Come secondo esempio, apportiamo dei miglioramenti al programma di ricerca di un pattern illustrato nella
Sezione 4.1. Se ben ricordate, la parte di ricerca del pattern era stata inserita molto all’interno del program-
ma, e questa era una soluzione poco efficiente. Seguendo la linea del programma UNIX grep, modifichia-
mo il nostro programma in modo che il pattern da ricercare venga fornito come primo argomento della linea
di comando.
#include <stdio.h>
#include <string.h>
#define MAXLINE 1000
if (argc!=2)
printf(“Utilizzo: find pattern\n “);
else
19
while (getline(line, MAXLINE)>0)
if (strstr(line, argv[])!=NULL)
{
printf(“%s”, line);
found++;
}
return found;
}
La funzione strstr(s, t), presente nella libreria standard, fornisce un puntatore alla prima occorrenza
della stringa t nella stringa s, oppure NULL, se t non ricorre in s. Questa funzione è dichiarata in <strin-
g.h>.
Questo modello, ora, può essere rielaborato per illustrare ulteriori utilizzazioni dei puntatori. Supponiamo di
volere consentire la presenza di due argomenti opzionali. Uno di questi argomenti significa “stampa tutte le
linee ad eccezione di quelle contenenti il pattern specificato”, l’altro significa “anteponi ad ogni linea stam-
pata il suo numero d’ordine”.
Una convenzione comune a tutti i programmi C che lavorano su sistemi UNIX è che un argomento che inizia
con un segno meno indica un flag o un parametro opzionale. Se decidiamo che -x (da “except”) indica l’in-
versione, e che -n (da “number”) indica la richiesta di numerazione delle linee, allora il comando
find -x -n pattern
stampa ogni linea che non contiene il pattern, preceduta dal suo numero d’ordine.
Gli argomenti opzionali dovrebbero poter essere forniti in un ordine qualsiasi, ed il resto del programma do-
vrebbe essere indipendente dal numero di argomenti presenti. Inoltre, per gli utenti è conveniente che le
opzioni possano essere combinate, come in
Il programma è il seguente :
#include <stdio.h>
#include <string.h>
#define MAXLINE 1000
20
else
while (getline(line, MAXLINE)>0)
{
lineno++;
if ((strstr(line, *argv)!=NULL)!=except)
{
if (number)
printf(“%ld:”, lineno);
printf(“%s”, line);
found++;
}
}
return found;
}
Prima di ogni argomento opzionale, argc viene decrementato ed argv viene incrementato. Al termine del
ciclo, se non si sono verificati errori, argc ci dice quanti argomenti restano non analizzati, ed argv punta al
primo di essi. Quindi, argc dovrebbe essere 1 e *argv dovrebbe puntare al pattern. Notate che *++argv è
un puntatore ad una stringa, della quale (*++argv)[0] è il primo carattere (un’altra forma sintatticamen-te
corretta potrebbe essere **++argv). Poiché le parentesi quadre [] hanno precedenza superiore a ++ e ad
*, le parentesi tonde sono necessarie; senza di esse, l’espressione verrebbe considerata come *++
(argv[0]). In realtà, questa è la forma che abbiamo utilizzato nel ciclo più interno, nel quale ci propone-
vamo di scandire una stringa specifica. In questo ciclo, l’espressione *++argv[0] incrementa il puntatore
argv[0]!
Espressioni con puntatori più complesse di quelle mostrare in questo esempio sono raramente necessarie; in
ogni caso, ove sia indispensabile utilizzarle, è meglio che esse vengano spezzate in due o tre fasi, in modo
da risultare più intuitive.
Esercizio 5.10 Scrivete il programma expr, che valuta un’espressione in notazione Polacca inversa leg-
gendola da una linea di comando, nella quale ogni operatore ed ogni operando costituiscono un argomento
separato. Per esempio,
expr 2 3 4 + *
valuta 2*(3+4).
Esercizio 5.11 Modificate i programmi entab e detab (scritti per esercizio nel Capitolo 1) in modo che ac-
cettino come argomento una lista di tab stop. Se non ci sono argomenti, utilizzate i tab stop di default.
Esercizio 5.12 Estendete entab e detab in modo che accettino la notazione abbreviata
entab -m +n
che pone un tab stop ogni n colonne, a partire dalla colonna m. Scegliete dei valori di default opportuni (per
l’utente).
Esercizio 5.13 Scrivete il programma tail, che stampa le ultime n linee del suo input. Per default, n vale
10, ma questo valore può essere modificato con un argomento opzionale, in modo che
tail -n
stampi le ultime n linee. Il programma dovrebbe comportarsi sensatamente indipendentemente dal fatto che
il suo input o il valore di n siano ragionevoli. Scrivete il programma in modo che utilizzi al meglio la memo-ria;
le linee dovrebbero essere memorizzate non in un vettore bidimensionale di ampiezza prefissata, bensì in
modo analogo a quanto avveniva nel programma di ordinamento della Sezione 5.6.
In C, una funzione non è, di per se stessa, una variabile; tuttavia, è possibile dichiarare dei puntatori alle
funzioni, e tali puntatori possono essere assegnati, inseriti in vettori, passati ad altre funzioni, restituiti e co-sì
via. Illustreremo queste possibilità modificando la procedura di ordinamento scritta in questo capitolo in modo
21
che, se l’opzione -n è presente, le linee vengano ordinato in base al loro valore, piuttosto che lessi-
cograficamente.
Una procedura di ordinamento, in genere, si compone di tre fasi: un confronto per determinare l’ordinamen-to
di una qualsiasi coppia di oggetti, un’eventuale scambio che ne inverte l’ordine ed un algoritmo di ordi-
namento che ripete i confronti e le inversioni fino all’ottenimento della sequenza ordinata. L’algoritmo è indi-
pendente dalle operazioni di confronto e di scambio quindi, passandogli differenti funzioni di confronto e di
inversione, siamo in grado di ordinare gli elementi secondo criteri diversi.
Il confronto lessicografico fra due linee viene effettuato, ancora una volta, dalla funzione strcmp; ora, però,
abbiamo bisogno anche di una funzione numcmp, che confronta due linee sulla base del loro valore numeri-
co, e restituisce lo stesso tipo di informazioni restituite da strcmp. Queste funzioni sono dichiarate dopo il
main, ed alla funzione qsort viene passato il puntatore ad una di esse. Nel nostro esempio abbiamo tra-
scurato il controllo degli errori sul passaggio degli argomenti, in modo da poterci concentrare sugli obiettivi
principali.
#include <stdio.h>
#include <string.h>
Nella chiamata di qsort, strcmp e numcmp sono degli indirizzi di funzione. Poiché esse sono state dichia-
rate come funzioni, l’operatore & non è necessario, esattamente come nel caso di nomi di vettori.
Abbiamo riscritto qsort in modo che sia in grado di trattare qualsiasi tipo di dati, e non soltanto le stringhe di
caratteri. Come è indicato dal prototipo della funzione, qsort si aspetta, come parametri, un vettore di
puntatori, due interi ed una funzione con due puntatori come argomenti. Per questi ultimi, abbiamo usato il
tipo riservato ai puntatori generici, void *. Qualsiasi puntatore può essere trasformato in void * e poi ri-
portato al suo tipo originale senza alcuna perdita di informazione; questo ci consente di chiamare qsort
forzando il tipo dei suoi argomenti a void *.
La complessa operazione di cast sugli argomenti della funzione riguarda gli argomenti della funzione di
confronto. Questo tipo di operazioni, pur non avendo alcun effetto sulla rappresentazione reale, assicura al
compilatore che la situazione è coerente.
22
void qsort(void *v[], int left, int right,
int (*comp)(void *, void *));
{
int i, last;
void swap(void *v[], int, int);
if (left>=right) /* se il vettore contiene meno di */
return; /* due elementi, non fa nulla */
swap(v, left, (left+right)/2);
last=left;
for (i=left+1; i<=right; i++)
if ((*comp)(v[i], v[left])<0)
swap(v, ++last, i);
swap(v, left, last);
qsort(v, left, last-1, comp);
qsort(v, last+1, right, comp);
}
Le dichiarazioni meritano di essere analizzate con molta attenzione. Il quarto parametro di qsort è:
ed afferma che comp è un puntatore ad una funzione che ha due argomenti di tipo void * e che ritorna un
int.
if ((*comp)(v[i], v[left])<0)
(*comp)(v[i], v[left])
è la sua chiamata. Le parentesi sono necessarie, affinché le componenti vengano associate correttamente;
senza di esse,
afferma che comp è una funzione che ritorna un puntatore ad un int, il che è molto diverso da quanto ci
eravamo proposti.
Abbiamo già visto la funzione strcmp, che confronta due stringhe. Presentiamo ora numcmp, che confronta
due stringhe sulla base del loro valore numerico, calcolato tramite la funzione atof:
#include <stdlib.h>
v1=atof(s1);
v2=atof(s2);
if (v1<v2)
return -1;
else if (v1>v2)
return 1;
else
return 0;
}
La funzione swap, che scambia fra loro due puntatori, è uguale a quella già presentata in questo capitolo,
eccezione fatta per le dichiarazioni, che diventano void *:
23
void *temp;
temp=v[i];
v[i]=v[j];
v[j]=temp;
}
Al programma di ordinamento possono essere aggiunte molte opzioni, alcune delle quali vengono proposte
negli esercizi seguenti.
Esercizio 5.14 Modificate il programma di ordinamento in modo che gestisca un’opzione -r, che indica la
richiesta di ordinamento decrescente. Assicuratevi che -r operi correttamente anche in presenza dell’ordi-ne
-n.
Esercizio 5.15 Aggiungete l’opzione -f, che annulla la distinzione fra lettere maiuscole e minuscole, in modo
che, per esempio, a ed A vengano considerate uguali durante la procedura di ordinamento.
Esercizio 5.16 Aggiungete l’opzione -d, che effettua i confronti soltanto sulle lettere, sui numeri e sugli spazi.
Assicuratevi che -d operi correttamente anche in presenza dell’opzione -f.
Esercizio 5.17 Aggiungete la possibilità di gestire dei campi, in modo che l’ordinamento possa essere fatto
su campi all’interno delle linee, dove ogni campo viene ordinato in base ad un insieme autonomo di opzioni
(l’indice di questo libro è ordinato con le opzioni -df per le categorie, e con -n per i numeri di pagina).
Talvolta il C risulta molto vincolato dalla sintassi delle sue dichiarazioni, specialmente quelle relative ai pun-
tatori alle funzioni. La sintassi non è altro che il tentativo di facilitare le dichiarazioni ed il loro uso; essa si
adatta molto bene a casi relativamente semplici, ma può risultare confusa nei casi più complessi, perché le
dichiarazioni non possono essere lette da sinistra a destra, e perché le parentesi vengono usate pesante-
mente. La differenza fra
esemplifica il problema: * è un operatore prefisso ed ha una precedenza inferiore a (), quindi, per forzare
l’associazione corretta, le parentesi sono indispensabili.
Sebbene, nella pratica, le dichiarazioni molto complesse siano rare, è importante essere in grado di com-
prenderle e, se necessario, di crearle. Un buon metodo per sintetizzare le dichiarazioni consiste nel rag-
grupparle in piccole sezioni, usando l’istruzione typedef, che verrà discussa nella Sezione 6.7.
In alternativa, in questa sezione presenteremo una coppia di programmi che convertono codice C in descri-
zioni verbali e viceversa. Le descrizioni verbali si leggono da sinistra a destra.
Il primo programma, dcl, è il più complesso. Esso converte una dichiarazione C in una descrizione verbale,
come per esempio:
char **argv
argv: puntatore a dei puntatori a caratteri
int (*daytab)[13]
daytab: puntatore ad un vettore di 13 int
int *daytab[13]
daytab: vettore di 13 puntatori ad int
void *comp()
comp: funzione che ritorna un puntatore a void
void (*comp)()
comp: puntatore ad una funzione che ritorna un void
24
char (*(*x())[])()
x: funzione che ritorna un puntatore ad un vettore di
puntatori a funzioni che ritornano un char
char (*(*x[3])())[5]
x: vettore di 3 puntatori a funzioni che ritornano un
puntatore ad un vettore di 5 char
dcl si basa sulla grammatica che specifica un dichiaratore, espressa in modo preciso nell’Appendice A,
Sezione 8.5; la forma semplificata di tale grammatica è la seguente:
Verbalmente, questo equivale a dire che dcl è un direct-dcl, che può anche essere preceduto da uno o più *.
Un direct-dcl è un nome, oppure un dcl fra parentesi tonde, oppure un direct-dcl seguito da una coppia di
parentesi tonde, oppure un direct-dcl seguito da parentesi quadre contenenti un’ampiezza opzionale.
Questa grammatica può essere utilizzata per analizzare le dichiarazioni. Per esempio, consideriamo il di-
chiaratore:
(*pfa[])()
pfa viene identificato come un nome, cioè come un direct-dcl. Quindi anche pfa[] è un direct-dcl. Da que-
sto segue che *pfa[] viene riconosciuto come un dcl, quindi (*pfa[]) è un direct-dcl.
Allora, (*pfa[])() è un direct-dcl, quindi un dcl. Questa procedura di analisi può essere illustrata anche
tramite un algoritmo di parsing come il seguente (nel quale il termine direct-dcl è stato abbreviato in dir-dcl):
( * pfa [] ) ()
name
dir-dcl
dir-dcl
dcl
dir-dcl
dir-dcl
dcl
Il cuore del programma dcl è costituito dalla coppia di funzioni, dcl e dirdcl, che analizzano una dichia-
razione sulla base della grammatica data. Poiché la grammatica è definita ricorsivamente, le funzioni si ri-
chiamano ricorsivamente mano a mano che riconoscono segmenti di una dichiarazione; il programma viene
chiamato analizzatore (parser) discendente ricorsivo.
25
{
int type;
if (tokentype==’(’) /* ( dcl ) */
{
dcl();
if (tokentype!=’)’)
printf(“Errore: manca una parentesi )\n”);
}
else if (tokentype==NAME) /* nome variabile */
strcpy(name, token);
else
printf(“Errore: atteso un nome o un (dcl)\n”);
while ((type=gettoken())==PARENS || type==BRACKETS)
if (type==PARENS)
strcat(out, “ funzione che ritorna”);
else
{
strcat(out, “ vettore”);
strcat(out, token);
strcat(out, “ di”);
}
}
Poiché i nostri programmi vogliono essere soltanto dimostrativi, la funzione dcl è soggetta a restrizioni
piuttosto significative. Essa può gestire soltanto tipi di dati molto semplici, come i char o gli int. Essa non
gestisce i tipi degli argomenti delle funzioni, o i qualificatori come const. Gli spazi in sovrannumero la con-
fondono. Poiché non gestisce molto bene neppure gli errori, anche le dichiarazioni scorrette la confondono.
Tutte le modifiche necessarie ad eliminare queste limitazioni vengono lasciate come esercizio.
#include <stdio.h>
#include <string.h>
#include <ctype.h>
void dcl(void);
void dirdcl(void);
int gettoken(void);
int tohentype; /* tipo dell’ultimo token */
char token[MAXTOKEN]; /* ultimo token */
char name[MAXTOKEN]; /* nome identificatore */
char datatype[MAXTOKEN]; /* tipo di dati = char, int .... */
char out[1000]; /* stringa di output */
26
La funzione gettoken tralascia gli spazi ed i caratteri di tabulazione, e trova il token successivo nell’input; un
“token” è un nome, una coppia di parentesi tonde, una coppia di parentesi quadre che possono anche
racchiudere un numero, oppure un qualsiasi altro singolo carattere.
Il percorso inverso è più semplice, specialmente se non ci poniamo il problema di evidenziare la generazio-
ne di parentesi ridondanti. Il programma undcl converte una descrizione verbale come “x è una funzione
che ritorna un puntatore ad un vettore di puntatori a funzioni che ritornano un char”, che esprimeremo come
x () * [] * () char
nella dichiarazione
char (*(*x())[])()
La sintassi abbreviata dell’input ci consente di riutilizzare la funzione gettoken. Inoltre, undcl usa anche le
stesse variabili esterne impiegate da dcl.
while(gettoken()!=EOF)
27
{
strcpy(out, token);
while ((type=gettoken())!=’\n’)
if (type==PARENS || type==BRACKETS)
strcat(out, token);
else
{
sprintf(temp, “(*%s)”, out);
strcpy(out, temp);
}
else if (type==NAME)
{
sprintf(temp, “%s %s”, token, out);
strcpy(out, temp);
}
else
printf(“Input illegale a %s\n”, token);
printf(“%s\n”, out);
}
return 0;
}
Esercizio 5.18 Fate in modo che dcl gestisca gli errori sull’input.
Esercizio 5.19 Modificate undcl in modo che non aggiunga parentesi ridondanti alle dichiarazioni.
Esercizio 5.20 Estendete dcl in modo che gestisca dichiarazioni contenenti i tipi degli argomenti di funzio-
ne, i qualificatori come const e così via.
28
CAPITOLO 6
STRUTTURE
Una struttura è una collezione contenente una o più variabili, di uno o più tipi, raggruppate da un nome co-
mune per motivi di maneggevolezza (in alcuni linguaggi, come il Pascal, le strutture vengono chiamate
“record”). Soprattutto in programmi di dimensioni notevoli, le strutture aiutano ad organizzare dati comples-si,
in quanto consentono di trattare come un unico oggetto un insieme di variabili correlate.
Un esempio classico di struttura è quello dello stipendio: un impiegato viene descritto da un insieme di attri-
buti, quali il nome, l’indirizzo, il numero della tessera sanitaria, lo stipendio e così via. A loro volta, alcuni di
questi attributi potrebbero essere delle strutture: ogni nome ha diverse componenti, così come avviene per
ogni indirizzo o stipendio. Un altro esempio, più tipico del C, proviene dalla grafica: un punto è una coppia di
coordinate, un rettangolo è una coppia di punti e così via.
La principale variazione introdotta dall’ANSI C riguarda l’assegnamento delle strutture, che possono essere
copiate ed assegnate, passate alle funzioni e da queste restituite.
Molti compilatori forniscono già da alcuni anni queste funzionalità, le quali tuttavia vengono precisate sol-
tanto ora. Adesso, anche le strutture automatiche ed i vettori possono essere inizializzati.
Creiamo alcune strutture utili per la grafica. L’oggetto base è un punto, che noi assumiamo abbia due coor-
dinate intere, x ed y.
(4,3)
(0,0)
Queste due componenti possono essere collocate in una struttura, dichiarata nel seguente modo:
struct point {
int x;
int y;
};
La parola chiave struct introduce una dichiarazione di struttura, che è una lista di dichiarazioni racchiuse
fra parentesi graffe. Un nome opzionale (point nel nostro esempio), chiamato identificatore o tag della
struttura, può seguire la parola struct. Il tag identifica questo tipo di struttura, e può essere utilizzato co-me
abbreviazione per la parte di dichiarazione compresa fra le parentesi.
Le variabili specificate nella struttura sono dette membri. Il membro di una struttura, un tag ed una variabile
ordinaria (che, cioè, non appartiene ad alcuna struttura) possono avere lo stesso nome senza che questo
crei dei conflitti, poiché il contesto consente sempre di distinguerli. Inoltre, gli stessi nomi dei membri posso-
no ricorrere in strutture diverse, anche se, per chiarezza, è sempre meglio usare nomi uguali soltanto per
oggetti strettamente correlati.
Una dichiarazione struct definisce un tipo. La parentesi graffa di chiusura che chiude la lista dei membri
può essere seguita da una lista di variabili, analogamente a quanto avviene per i tipi fondamentali. Cioè,
101
struct { .... } x, y, z;
è sintatticamente analogo a
int x, y, z;
nel senso che ognuna di queste due istruzioni dichiara tre variabili (x, y e z) del tipo voluto, e riserva lo
spazio necessario per esse.
Una dichiarazione di struttura non seguita da una lista di variabili non riserva alcun’area di memoria; essa
descrive soltanto l’aspetto della struttura. Se la dichiarazione ha però un tag, esso può essere utilizzato in un
secondo tempo nelle definizioni che istanziano la struttura. Per esempio, data la precedente dichiarazio-ne di
point,
definisce una variabile pt come una struttura di tipo struct point. Una struttura può venire inizializzata
facendo seguire la sua definizione da una lista di inizializzatori, ognuno dei quali è un’espressione costante:
Una struttura automatica può venire inizializzata anche tramite un assegnamento, oppure una chiamata ad
una funzione che ritorna una struttura del tipo corretto.
In un’espressione, un membro di una particolare struttura viene individuato attraverso un costrutto del tipo
nome-struttura.membro
L’operatore di membro di una struttura “.” connette il nome della struttura con quello del membro. Per
esempio, per stampare le coordinate del punto pt possiamo scrivere:
Le strutture possono essere nidificate l’una nell’altra. Una rappresentazione di un rettangolo è una coppia di
punti che denotano i due angoli diagonalmente opposti:
y
pt2
pt1
x
struct rect {
struct point pt1;
struct point pt2;
};
allora
102
screen.pt1.x
Una struttura può essere soltanto copiata, assegnata come un unico oggetto, indirizzato tramite l’operatore &,
oppure manipolata tramite l’accesso ai suoi membri. La copia e l’assegnamento comprendono anche il
passaggio di argomenti alle funzioni e la restituzione di valori dalle funzioni. Le strutture non possono esse-re
confrontate. Una struttura può essere inizializzata con una lista di valori costanti, uno per membro; una
struttura automatica, poi, può essere inizializzata anche tramite un assegnamento.
Approfondiamo lo studio delle strutture scrivendo alcune funzioni che manipolano punti e rettangoli. Gli ap-
procci possibili sono almeno tre: passare separatamente le componenti, passare un’intera struttura o passa-
re un puntatore ad essa. Ognuna di queste soluzioni possiede vantaggi e svantaggi.
La prima funzione, makepoint, riceve in input due interi e ritorna una struttura point:
temp.x=x;
temp.y=y;
return temp;
}
Notate che non esiste conflitto alcuno fra i nomi degli argomenti e quelli dei membri della struttura; al con-
trario, l’omonimia evidenzia la relazione fra di essi.
Ora makepoint può essere utilizzata per inizializzare dinamicamente una qualsiasi struttura, oppure per
passare delle strutture come argomenti ad una funzione.
screen.pt1=makepoint(0, 0);
screen.pt2=makepoint(XMAX, YMAX);
middle=makepoint((screen.pt1.x+screen.pt2.x)/2,
(screen.pt1.y+screen.pt2.y)/2);
Il passo successivo consiste nella stesura di funzioni che svolgono operazioni aritmetiche sui punti. Per
esempio,
In questa funzione, sia gli argomenti che il valore ritornano sono delle strutture. Invece di usare una variabi-le
temporanea apposita, abbiamo incrementato le componenti di p1, in modo da evidenziare il fatto che i
parametri strutturati vengono passati per valore come qualsiasi altro.
Come ulteriore esempio, scriviamo la funzione ptinrec, che controlla se un punto si trova all’interno di un
rettangolo dato; la convenzione adottata è che un rettangolo includa i suoi lati sinistro ed inferiore, ed esclu-
da quelli superiore e destro.
103
int ptinrec(struct point p, struct rect r)
{
return p.x>=r.pt1.x && p.x<r.pt2.x &&
p.y>=r.pt1.y && p.y<r.pt2.y;
}
Questa funzione assume che un rettangolo sia rappresentato in forma canonica, cioè che le coordinate di
pt1 siano inferiori a quelle di pt2. La funzione seguente restituisce un rettangolo per il quale garantisce la
forma canonica:
temp.pt1.x=min(r.pt1.x, r.pt2.x);
temp.pt1.y=min(r.pt1.y, r.pt2.y);
temp.pt2.x=max(r.pt1.x, r.pt2.x);
temp.pt2.y=max(r.pt1.y, r.pt2.y);
return temp;
}
Se ad una funzione dev’essere passata una struttura molto grande, in genere è più conveniente passare il
puntatore alla struttura stessa. I puntatori alle strutture sono del tutto analoghi a quelli delle variabili ordina-
rie. La dichiarazione
afferma che pp è un puntatore ad una struttura di tipo struct point. Se pp punta ad una struttura point,
*pp è la struttura, mentre (*pp).x e (*pp).y sono i membri. Per usare pp potremmo scrivere, per esem-
pio
pp=&origin;
printf(“L’origine è (%d, %d)\n”, (*pp).x, (*pp).y);
Le parentesi sono necessarie in (*pp).x, perché la precedenza dell’operatore di membro di una struttura,
“.”, è superiore a quella di *. L’espressione *pp.x significa perciò *(pp.x) che è scorretto, in quanto x non
è un puntatore.
I puntatori alle strutture sono usati tanto spesso che, per brevità, si è deciso di non fornire una notazione al-
ternativa. Se p è un puntatore ad una struttura, allora
p->membro-della-struttura
Sia . che -> sono operatori associativi da sinistra a destra, pertanto se abbiamo
r.pt1.x
rp->pt1.x
(r.pt1).x
(rp->pt1).x
104
Gli operatori di struttura . e ->, insieme a () per le chiamate di funzione ed a [] per gli indici, sono collo-cati
al vertice della scala delle precedenze e, di conseguenza, sono molto vincolanti. Per esempio, data la
dichiarazione
struct {
int len;
char *str;
} *p;
allora
++p->len;
incrementa len e non p, perché la parentesizzazione sottintesa è ++(p->len). L’ordine di valutazione può
venire alterato tramite le parentesi: (++p)->len incrementa p prima di accedere a len, mentre (p++)-
>len lo incrementa dopo (quest’ultima coppia di parentesi non è necessaria).
Analogamente, *p->str accede a ciò che è puntato da str; *p->str++ incrementa str dopo aver acce-
duto al suo contenuto (come *str++); (*p->str)++ incrementa l’oggetto puntato da str; infine, *p++-
>str incrementa p dopo aver acceduto all’oggetto puntato da str.
Vogliamo scrivere un programma che conti le occorrenze di ogni parola chiave del C. Abbiamo bisogno di un
vettore di stringhe di caratteri che contenga i nomi, e di un vettore di interi che contenga i contatori. Una
possibile soluzione consiste nell’impiego di due vettori paralleli, che potremmo chiamare keyword e key-
count, come in
char *keyword[NKEYS];
int keycount[NKEYS];
Tuttavia, il fattore stesso che i vettori siano paralleli suggerisce un’organizzazione diversa: un vettore di
strutture. Ogni elemento che descrive una parola chiave è una coppia:
char *word;
int count;
struct key {
char *word;
int count;
} keytab[NKEYS];
dichiara un tipo di struttura, key, definisce un vettore keytab di strutture di questo tipo, e riserva memoria
per tali strutture. Ogni elemento del vettore è una struttura. Avremmo anche potuto scrivere:
struct key {
char *word;
int count;
};
Poiché la struttura keytab contiene un insieme costante di stringhe, è meglio dichiararla come variabile
esterna ed inizializzarla una volta per tutte al momento della sua definizione. L’inizializzazione della struttu-ra
è analoga a quelle precedenti: la definizione è seguita da una lista di inizializzatori racchiusi fra parente-si
graffe:
struct key {
char *word;
int count;
} keytab[]={
105
“auto”, 0, “break”, 0, “case”, 0, “char”,
0, “const”, 0, “continue”, 0, “default”, 0,
/* .... */ “unsigned”, 0, “void”, 0,
“volatile”, 0, “while”, 0
}
Gli inizializzatori sono elencati in coppie che corrispondono ai membri della struttura. Sarebbe più preciso
racchiudere gli inizializzatori di ogni riga fra parentesi graffe, come in
{ “auto”, 0 },
{ “break”, 0 },
{ “case”, 0 },
....
ma, quando gli inizializzatori sono semplici variabili o stringhe di caratteri e sono tutti presenti, le parentesi
interne non sono necessarie. Come al solito, il numero di elementi del vettore keytab verrà calcolato sol-
tanto se le parentesi quadre [] saranno vuote e se verranno forniti tutti gli inizializzatori.
Il programma di conteggio delle parole chiave inizia con la definizione del vettore keytab. La routine princi-
pale legge l’input chiamando ripetutamente la funzione getword, che legge una parola per volta. Ogni pa-
rola viene cercata in keytab, utilizzando una versione del programma di ricerca binaria presentato nel Ca-
pitolo 3. La lista delle parole chiave, all’interno della tabella, dev’essere ordinata in ordine alfabetico cre-
scente.
#include <stdio.h>
#include <ctype.h>
#include <string.h>
low=0;
high=n-1;
while (low<=high)
{
mid=(low+high)/2;
if ((cond=strcmp(word, tab[mid].word))<0)
high=mid-1;
else if (cond>0)
low=mid+1;
else
return mid;
106
}
return -1;
}
Illustreremo la funzione getword in un secondo tempo; per ora, è sufficiente sapere che ogni chiamata a
getword legge una parola, che viene copiata nel vettore passato come primo argomento a getword stes-
sa.
La quantità NKEYS è il numero di parole chiave contenute in keytab. Sebbene sia possibile calcolarla a
mano, è più semplice e più sicuro affidare questo compito alla macchina, specialmente se la lista è soggetta
a cambiamenti. Una possibilità consiste nel terminare la lista degli inizializzatori con un puntatore nullo e,
quindi, contare gli elementi di keytab scandendo la tabella fino al suo raggiungimento.
Questa soluzione è però più complessa del necessario, perché l’ampiezza del vettore è completamente de-
terminata al momento della compilazione. La dimensione del vettore è data dalla dimensione di un elemento
moltiplicata per il numero di elementi, quindi quest’ultimo è, a sua volta, dato da
Il C fornisce un operatore unario, chiamato sizeof, che può essere utilizzato per calcolare la dimensione di
un oggetto. Le espressioni
sizeof oggetto
producono un intero uguale all’ampiezza, in byte, dell’oggetto o del tipo specificati (precisamente, sizeof
produce un intero privo di segno il cui tipo, size_t. è definito nell’header <stddef.h>). Un oggetto può
essere una variabile od un vettore, oppure ancora una struttura. Un nome di tipo può essere il nome di un
tipo fondamentale, come int o double, oppure quello di un tipo derivato, come una struttura o un punta-
tore.
Nel nostro caso, il numero di parole chiave è dato dall’ampiezza del vettore divisa per la dimensione di un
suo elemento. Questo calcolo viene utilizzato in un’istruzione #define, per definire il valore di NKEYS:
Questa seconda forma presenta il vantaggio di non dover essere modificata nel caso in cui il nome del tipo
venga cambiato.
L’operatore sizeof non può essere utilizzato in una riga che inizi con #if, perché il preprocessore non
analizza i nomi dei tipi. Al contrario, l’espressione nella riga #define non viene valutata dal preprocessore e
risulta quindi legale.
Occupiamoci ora della funzione getword. La versione che abbiamo scritto è più generale di quanto non sia
necessario per questo programma, tuttavia non è complicata. getword legge la “prossima” parola dall’in-put,
dove una parola può essere una stringa di lettere e cifre che inizia con una lettera, oppure un singolo
carattere non bianco. Il valore della funzione è il primo carattere della parola, EOF in caso di fine dell’input,
oppure il carattere stesso se non è alfabetico.
107
while (isspace(c=getch()))
;
if (c!=EOF)
*w++=c;
if (!isalpha(c))
{
*w=’\0’;
return c;
}
for ( ; --lim>0; w++)
if (!isalnum(*w=getch()))
{
ungetch(*w);
break;
}
*w=’\0’;
return word[0];
}
getword usa le funzioni getch e ungetch che abbiamo scritto nel Capitolo 4. Quando termina la lettura di
un token alfanumerico, getword ha già letto un carattere più del dovuto. La chiamata a ungetch restitui-sce
tale carattere all’input, in modo che venga preso in considerazione alla chiamata successiva di get-word.
Altre funzioni usate da getword sono isspace per tralasciare gli spazi bianchi, isalpha per identi-ficare le
lettere e isalnum per identificare lettere e cifre; tutte queste funzioni provengono dall’header stan-dard
<ctype.h>.
Esercizio 6.1 La nostra versione di getword non gestisce correttamente gli underscore, le costanti di tipo
stringa, i commenti e le linee di controllo del preprocessore. Scrivete una migliore versione di questa funzio-
ne.
Per illustrare alcune delle considerazioni legate ai vettori di strutture ed ai puntatori ad essi, riscriviamo il
programma di conteggio delle parole chiave, usando però dei puntatori al posto degli indici dei vettori.
La dichiarazione esterna di keytab non subisce alcuna variazione, al contrario di quanto avviene per le
funzioni main e binsearch.
#include <stdio.h>
#include <ctype.h>
#include <string.h>
#define MAXWORD 100
108
int cond;
struct key *low=&tab[0];
struct key *high=&tab[n];
struct key *mid;
while (low<high)
{
mid=low+(high-low)/2;
if ((cond=strcmp(word, mid->word))<0)
high=mid;
else if (cond>0)
low=mid+1;
else
return mid;
}
return NULL;
}
In secondo luogo, ora agli elementi di keytab si accede tramite puntatori. Questo comporta modifiche si-
gnificative all’interno di binsearch.
Gli inizializzatori per low ed high, adesso, sono dei puntatori all’inizio ed alla fine di keytab.
mid=(low+high)/2; /* SBAGLIATO */
perché la somma fra puntatori non è consentita. Tuttavia, la sottrazione è legale, quindi high-low è il nu-
mero degli elementi, e di conseguenza
mid=low+(high-low)/2;
La modifica basilare è, comunque, quella che impedisce all’algoritmo di generare un puntatore illegale o di
accedere ad un elemento esterno al vettore. Il problema è dato dal fatto che sia &tab[-1] che &tab[n]
cadono al di fuori dei limiti del vettore tab. Il primo dei due riferimenti è strettamente illegale, mentre il se-
condo, pur essendo sintatticamente corretto, è illegale in quanto accede ad un elemento esterno al vettore.
Tuttavia, la definizione del linguaggio garantisce che le operazioni aritmetiche su puntatori che puntano al
primo elemento oltre la fine di un vettore (cioè &tab[n]) lavorino correttamente.
Non possiamo comunque assumere che la dimensione di una struttura sia pari alla somma delle dimensioni
dei suoi membri. A causa di particolari requisiti di allineamento su oggetti differenti, all’interno di una struttu-
ra possono esserci “buchi” privi di nome. Se, per esempio, un char occupa un byte ed un int ne occupa
quattro, la struttura
struct {
char c;
int i;
};
109
potrebbe anche occupare otto byte invece di cinque. L’operatore sizeof ritorna il valore corretto.
Infine, facciamo un’osservazione legata al formato del programma: quando una funzione ritorna del tipo
complesso, come il puntatore ad una struttura, come in
il nome della funzione può risultare poco visibile. Per questo motivo, spesso viene utilizzato lo stile se-guente
struct key *
binsearch(char *word, struct key *tab, int n)
La scelta dello stile è personale; scegliete la forma che preferite ed attenetevi ad essa.
Supponiamo di volere gestire il programma più generale di contare le occorrenze di tutte le parole presenti in
un particolare input. Poiché la lista delle parole non è nota a priori, non siamo in grado di ordinarla e di
utilizzare la ricerca binaria.
Non possiamo neppure effettuare una ricerca lineare su ogni parola in input, per vedere se essa è già stata
letta in precedenza: il programma risulterebbe troppo lungo (in particolare, il suo tempo d’esecuzione cre-
scerebbe quadraticamente rispetto al crescere delle parole in input). Come possiamo organizzare i dati, in
modo da gestire con efficienza una lista di parole arbitrarie?
Una soluzione consiste nel tenere sempre ordinato l’insieme delle parole lette fino ad un certo istante, collo-
cando nella posizione corretta ogni parola in arrivo. Ciò non può essere fatto spostando le parole all’interno di
un vettore lineare, perché anche questo procedimento risulterebbe eccessivamente lungo. Useremo inve-ce
una struttura dati detta albero binario.
L’albero contiene un “nodo” per ogni parola diversa; ogni nodo contiene:
Ogni nodo può avere zero, uno o due figli, ma non di più.
I nodi vengono ordinati in modo che, per ognuno di essi, il sottoalbero di sinistra contenga parole lessico-
graficamente minori della parola contenuta nel nodo stesso, mentre il sottoalbero di destra contiene soltanto
parole maggiori di quest’ultima.
Nella figura che segue è illustrato l’albero corrispondente alla frase “now is the time for all good men to come
to the aid of their party”, costruito inserendo ogni parola non appena è stata letta:
now
is the
aid come
Per scoprire se una parola si trova già nell’albero, iniziamo dalla radice e confrontiamo la nuova parola con
quella contenuta in quel nodo. Se esse sono uguali, la risposta al nostro quesito è affermativa. Se la nuova
parola è minore di quella contenuta nel nodo in esame, la ricerca prosegue nel sottoalbero di sinistra, altri-
menti in quello di destra. Se, nella direzione in cui dovrebbe proseguire la ricerca, non esistono ulteriori no-di,
la nuova parola non è nell’albero, e la posizione vuota trovata è proprio quella in cui essa dev’essere in-
serita. Questo procedimento è ricorsivo, poiché la ricerca su ogni nodo è legata a quella su uno dei suoi figli.
110
Di conseguenza, le funzioni più adatte per l’inserimento e la stampa di elementi dell’albero sono di tipo
ricorsivo.
Tornando alla descrizione di un nodo, possiamo dire che esso è ben rappresentato da una struttura avente
quattro componenti:
La dichiarazione ricorsiva di un nodo può sembrare pericolosa, ma è corretta. Non è possibile dichiarare una
struttura che contenga un’istanza di se stessa, ma
A volte, può essere necessario utilizzare una variante delle strutture ricorsive: due strutture che si riferisco-no
l’una all’altra. Il modo per gestire questi oggetti è il seguente:
struct t {
....
struct s *p; /* p punta ad un oggetto di tipo s */
};
struct s {
....
struct t *q; /* q punta ad un oggetto di tipo t */
};
Utilizzando routine di supporto già scritte, come getword, il codice per l’intero programma risulta sorpren-
dentemente breve. La routine principale legge una parola con getword e la inserisce nell’albero tramite la
funzione addtree.
#include <stdio.h>
#include <ctype.h>
#include <string.h>
root=NULL;
while (getword(word, MAXWORD)!=EOF)
if (isalpha(word[0]))
root=addtree(root, word);
treeprint(root);
return 0;
}
La funzione addtree è ricorsiva. La funzione main fornisce una parola ponendola al livello più alto (la radi-
ce) dell’albero. Ad ogni passo, la parola viene confrontata con quella già memorizzata nel nodo, e viene fat-ta
scendere verso il ramo di sinistra o di destra tramite una chiamata ricorsiva ad addtree. Alla fine, o la parola
risulta uguale ad una già presente nell’albero (ed in tal caso il contatore viene incrementato), oppure si
incontra un puntatore nullo, che indica che all’albero dev’essere aggiunto un nodo creato appositamente per
111
la parola in esame. Se viene creato un nuovo nodo, addtree ritorna un puntatore ad esso, e tale pun-tatore
viene memorizzato nel nodo padre.
La memoria per il nuovo nodo viene allocata dalla routine talloc, che ritorna un puntatore allo spazio suf-
ficiente per contenere il nodo stesso, e la nuova parola viene copiata da strdup in una posizione non nota
(discuteremo queste funzioni in un secondo tempo). Il contatore viene inizializzato, ed i puntatori vengono
posti a NULL. Questa parte del codice è eseguita soltanto sulle foglie dell’albero, quando si deve aggiunge-re
un nuovo nodo. Abbiamo (imprudentemente) tralasciato il controllo degli errori sui valori restituiti da tal-loc
e strdup.
treeprint stampa l’albero in modo ordinato; ad ogni nodo, la funzione stampa dapprima il sottoalbero di
sinistra (tutte le parole minori di quella nel nodo in esame), quindi la parola stessa, ed infine il sottoalbero di
destra (tutte le parole maggiori). Se non vi è chiaro il modo in cui lavora la ricorsione, simulate la funzione
treeprint sull’albero mostrato in precedenza.
Una nota pratica: se l’albero diventa “sbilanciato” perché le parole non arrivano in ordine casuale, il tempo di
esecuzione del programma può crescere eccessivamente. Nel caso pessimo, se le parole sono già ordi-nate,
questo programma non è altro che una costosa simulazione della ricerca lineare. Esistono delle gene-
ralizzazioni dell’albero binario che non sono soggette a questo peggioramento, ma noi non le descriveremo.
Prima di abbandonare definitivamente questo esempio, è utile fare una breve digressione sui problemi lega-ti
agli allocatori di memoria. È ovviamente desiderabile che in un programma esista un unico allocatore di
memoria, in grado di allocare diversi tipi di oggetti. Tuttavia, il fatto che un allocatore debba gestire, per
esempio, l’allocazione di memoria sia per dei puntatori a char che per dei puntatori a struct tnode, sol-
leva due problema. Innanzitutto, come può esso rispettare il requisito, presente su molte macchine, che og-
getti di particolari tipi debbano soddisfare restrizioni di allineamento (per esempio, spesso gli interi devono
essere collocati ad un indirizzo pari) ? In secondo luogo, quali dichiarazioni consentono di gestire il fatto che
l’allocatore debba restituire puntatori ad oggetti di volta in volta differenti?
112
In genere, i requisiti di allineamento possono essere soddisfatti facilmente, a prezzo di un certo spreco di
spazio, assicurandosi che l’allocatore ritorni sempre un puntatore che rispetta tutte le restrizioni sull’allinea-
mento. La funzione alloc del Capitolo 5 non garantisce alcun allineamento particolare, quindi noi utilizze-
remo la funzione della libreria standard malloc, che invece lo fa. Nel Capitolo 8 illustreremo una possibile
implementazione di malloc.
Il problema della dichiarazione di tipo per una funzione come malloc affligge tutti i linguaggi che prendono in
seria considerazione il controllo sui tipi. In C, la soluzione corretta consiste nel dichiarare che l’oggetto
ritornato da malloc è un puntatore a void, e forzare poi esplicitamente questo puntatore a puntare al tipo
desiderato, usando l’operatore cast. malloc e le routine ad essa legate sono dichiarate nell’header stan-
dard <stdlib.h>. Quindi, talloc può essere scritta nel modo seguente:
#include <stdlib.h>
strdup non fa altro che copiare la stringa datale come argomento in un luogo sicuro, ottenuto con una
chiamata a malloc:
malloc ritorna NULL se lo spazio richiesto non è disponibile; strdup passa all’esterno questo valore, la-
sciando al chiamante il compito di gestire l’errore.
La memoria ottenuta tramite la chiamata a malloc può essere liberata, invocando free, in vista di un im-
piego successivo; si vedano, a questo proposito, i Capitoli 7 e 8.
Esercizio 6.2 Scrivete un programma che legga un programma C e stampi in ordine alfabetico ogni gruppo
di nomi di variabili identici per i primi sei caratteri e diversi in qualcuno dei successivi. Non contate le parole
all’interno di stringhe e commenti. Fate in modo che 6 sia un parametro, stabilito dalla linea di comando.
Esercizio 6.3 Scrivete un programma di riferimenti incrociati (“cross-referencer”) che stampi una lista di tut-te
le parole presenti in un documento e, per ogni parola, una lista dei numeri di linea nei quali la parola ri-corre.
Eliminate congiunzioni, articoli e così via.
Esercizio 6.4 Scrivete un programma che stampi le diverse parole del suo input, ordinandole in modo de-
crescente oppure in base alla loro frequenza di occorrenza. Precedete la stampa di ogni parola con il nume-
ro di occorrenze.
In questa sezione descriveremo a grandi linee un pacchetto di funzioni per l’analisi delle tabelle, con lo sco-
po di illustrare altre caratteristiche delle strutture. Questo codice è quello che, tipicamente, viene utilizzato
nelle funzioni di gestione della tabella dei simboli (symbol table) presenti in un compilatore od in un macro-
processore. Per esempio, consideriamo l’istruzione #define. Quando una linea del tipo
#define IN 1
viene incontrata, nella tabella vengono memorizzati il nome IN ed il testo da sostituire, 1. In seguito, quan-do
il nome IN compare in un’istruzione come
113
state=IN;
Esistono due funzioni che manipolano i nomi ed i testi da sostituire. install(s, t) memorizza il nome s
ed il testo t in una tabella; s e t sono delle stringhe di caratteri. lookup(s) cerca s nella tabella, e resti-
tuisce un puntatore alla posizione nella quale s si trova, oppure NULL se s non compare.
L’algoritmo è una ricerca hash: il nome in input viene convertito in un piccolo intero non negativo, che viene
poi utilizzato come indice in un vettore di puntatori. Un elemento del vettore punta all’inizio di una lista con-
catenata di blocchi, che descrivono nomi aventi quel particolare valore di hash. Esso è NULL se nessuna
parola ha quel valore di hash.
0 name
0 defn
0
0 nam
e
0 defn
Un blocco della lista è una struttura che contiene puntatori al nome, al testo da sostituire ed al blocco suc-
cessivo nella lista. Se quest’ultimo puntatore è nullo, la lista è finita.
La funzione di hashing, che viene usata sia da lookup che da install, somma il valore di ogni chiamata
della stringa ad una combinazione rimescolata dei caratteri precedenti, e ritorna il resto della divisione fra il
valore finale così ottenuto e la dimensione del vettore. Questa non è la migliore funzione di hashing possibi-
le, ma è breve ed efficace.
L’aritmetica degli oggetti privi di segno assicura che il valore di hash sia non negativo.
Il processo di hashing produce un indice di partenza del vettore hashtab; se la stringa si trova da qualche
parte nella tabella, essa sarà nella lista di blocchi che inizia da quell’indice. La ricerca viene effettuata da
lookup. Se lookup trova che la parola è già presente, ritorna un puntatore ad essa, altrimenti ritorna NULL.
114
for (np=hashtab[hash(s)]; np!=NULL; np=np->next)
if (strcmp(s, np->name)==0)
return p; /* trovata */
return NULL; /* non trovata */
}
Il ciclo for presente in lookup rappresenta l’idioma classico utilizzato per attraverso una lista concatenata:
install usa lookup per determinare se il nome in esame è già presente; se lo è, la nuova versione an-
nulla la precedente. Altrimenti, viene creato un nuovo elemento. install ritorna NULL se, per un motivo
qualsiasi, lo spazio per un nuovo elemento non è disponibile.
Esercizio 6.5 Scrivete una funzione undef, che rimuova un nome e la sua corrispondente definizione dalla
tabella creata e gestita da lookup e install.
Esercizio 6.6 Implementate una semplice versione del processore di #define (non considerate le macro
con argomenti), che sia utile per i programmi C; basatevi sulle routine di questa sezione. Potreste trovare
molto utili anche le funzioni getch e ungetch.
6.7 TYPEDEF
Per creare nuovi nomi di tipi di dati, il C fornisce uno strumento chiamato typedef. Per esempio, la dichia-
razione
definisce Lenght come sinonimo di int. Il tipo Lenght può essere utilizzato nelle dichiarazioni, nei cast,
ecc., esattamente come il tipo int:
Analogamente, la dichiarazione
115
definisce String come sinonimo di char *, cioè come un puntatore a carattere, che può venir impiegato
nelle dichiarazioni e nei cast:
Notate che il nome dichiarato da una typedef appare nella posizione del nome di variabile, e non subito
dopo la parola chiave typedef. Sintatticamente, typedef è analogo ad una classe di memoria come ex-
tern, static, ecc. Per evidenziare i tipi definiti tramite typedef, abbiamo utilizzato delle iniziali maiu-
scole.
Come esempio più complesso, usiamo typdef all’interno del programma che abbiamo scritto per gestire i
nodi di un albero:
Questa dichiarazione crea due nuove parole chiave, che definiscono due tipi: Treenode (una struttura) e
Treeptr (un puntatore ad una struttura). Ora, la routine talloc può diventare
Treeptr talloc(void)
{
return (Treeptr)malloc(sizeof(Treenode));
}
È bene sottolineare che una dichiarazione typedef non crea esattamente un nuovo tipo; semplicemente,
essa aggiunge un nuovo nome ad un tipo già esistente. Neppure dal punto di vista semantico questa dichia-
razione gode di particolari proprietà: le variabili dichiarate in questo modo hanno le stesse caratteristiche di
quelle dichiarate in modo esplicito. In effetti, typedef è analoga a #define, a parte il fatto che, essendo
interpretata dal compilatore, la prima consente di gestire sostituzioni di testo che vanno oltre le capacità del
preprocessore. Per esempio,
crea il tipo PFI, la cui sigla deriva da “puntatore a funzione (con due argomenti char *) che ritorna un int”,
che può essere utilizzato in contesti simili al seguente:
A parte i motivi puramente estetici, due sono le ragioni che rendono auspicabile l’impiego di typedef. La
prima è quella di parametrizzare il più possibile un programma, al fine di aumentarne la portabilità. Se, per i
tipi dipendenti dall’architettura della macchina, vengono utilizzate delle typedef, spostando il programma
sarà sufficiente modificare le typedef stesse. Una situazione molto comune è quella in cui typedef viene
usata per dare nomi diversi a diverse quantità intere, creando così un insieme particolare di short, int e
long per ogni macchina. Esempi di questo genere sono dati dai tipi size_t e ptrdiff_t, definiti nella li-
breria standard.
Il secondo scopo delle typedef è quello di fornire una migliore documentazione di un programma: il signifi-
cato di un tipo chiamato Treeptr risulta più comprensibile di quello di un puntatore ad una struttura com-
plessa.
6.8 UNION
116
Una union è una variabile che può contenere (in istanti diversi) oggetti di tipo e dimensioni differenti, dei quali
il compilatore gestisce l’ampiezza in base ai requisiti di allineamento. Le union consentono di manipo-lare
diversi tipi di dati all’interno di un’unica area di memoria, senza che questo implichi l’inserimento di in-
formazioni dipendenti dalla macchina all’interno dei programmi. Esse sono analoghe ai record varianti del
Pascal.
Come esempio di qualcosa che potrebbe essere trovato in un compilatore in relazione alla gestione della
tabella dei simboli, assumiamo che una costante possa essere un int, un float od un puntatore a carat-
tere. Il valore di una particolare costante dev’essere registrato in una variabile del tipo corretto, anche se, per
il compilatore, è più conveniente poter inserire tale valore, indipendentemente dal suo tipo, sempre nel-la
stessa area di memoria. Questo è lo scopo di una union: una singola variabile può contenere uno qual-siasi
dei tipi facenti parte di un certo insieme. La sintassi si basa sulle strutture:
union u_tag {
int ival;
float fval;
char *sval;
} u;
La variabile u è sufficientemente grande da contenere il più ampio dei tre tipi; la dimensione specifica è di-
pendente dall’implementazione. Ognuno di questi tre tipi può essere assegnato alla variabile u ed utilizzato
nelle espressioni, purché l’utilizzo sia consistente: il tipo impiegato dev’essere l’ultimo memorizzato. È re-
sponsabilità del programmatore tenere traccia di quale sia il tipo attualmente registrato in una union; se ciò
che è stato memorizzato è di tipo diverso da ciò che viene estratto, il risultato dell’operazione dipende dalla
implementazione.
nome-union.membro
oppure
puntatore-union->membro
analogamente a quanto si fa con le strutture. Se la variabile utype viene usata per tenere traccia del tipo
correntemente memorizzato in u, allora codice simile a quello che segue può risultare frequente
if (utype==INT)
printf(“%d\n”, u.ival);
else if (utype==FLOAT)
printf(“%f\n”, u.fval);
else if (utype==STRING)
printf(“%s\n”, u.sval);
else
printf(“Tipo %d scorretto in utype\n”, utype);
Le union possono trovarsi all’interno di strutture e vettori, e viceversa. La notazione per accedere al mem-bro
di una union in una struttura (o viceversa) è identica a quella usata per le strutture nidificate. Per esem-pio,
nel vettore di strutture definito da
struct {
char *name;
int flags;
int utype;
union {
int ival;
float fval;
char *sval;
} u;
} symtab[NSYM];
symtab[i].u.ival
117
ed il primo carattere della stringa sval può essere ricavato con una delle due espressioni
*symtab[i].u.sval
symtab[i].u.sval[0]
In ultima analisi, una union è una struttura nella quale tutti i membri hanno spiazzamento nullo dalla base, la
struttura è sufficientemente grande da potere contenere il membro “più ampio”, e l’allineamento è corretto
per tutti i tipi presenti nella union. Le operazioni consentite sulle union sono quelle consentite sulle struttu-re:
l’assegnamento o la copia in blocco, il prelievo dell’indirizzo e l’accesso ai membri.
Una union può venire inizializzata fornendo soltanto il valore del tipo del suo primo membro; quindi, la union u
sopra descritta può venire inizializzata con un valore intero.
L’allocatore di memoria illustrato nel Capitolo 8 mostra come una union possa essere impiegata per forzare
l’allineamento di una variabile ad indirizzi multipli di un valore dipendente da un particolare tipo di memoria.
Quando lo spazio in memoria è scarso, può risultare necessario inserire diversi oggetti in un’unica word del-
la macchina; una soluzione molto usata consiste nell’impiegare, in applicazioni come la gestione delle ta-
belle dei simboli nei compilatori, un insieme di flag di un singolo bit. Anche i formati dei dati imposti dallo
esterno, come le interfacce hardware verso i device, richiedono spesso la capacità di gestire segmenti di una
word.
Immaginiamo la parte di un compilatore relativa alla gestione della tabella dei simboli. Sicuramente, in un
programma ogni identificatore ha delle informazioni associate quali, per esempio, il fatto che sia o meno una
parola chiave, il fatto che sia o meno esterno e/o static, e così di seguito. Il modo più compatto di codifi-care
queste informazioni è un insieme di flag di un bit, contenuti in un singolo char o int.
Il modo più frequente per realizzare una simile soluzione consiste nel definire un insieme di “maschere” che
corrispondono alle posizioni dei bit significativi, come in
#define KEYWORD 01
#define EXTERNAL 02
#define STATIC 04
oppure
I numeri devono essere potenze di due. In questo modo, l’accesso ai bit si riduce ad un problema di “sinto-
nizzazione di bit”, risolvibile con gli operatori di shift, di masking e di completamento illustrati nel Capitolo 2.
li abbassa, e
Sebbene questi idiomi siano abbastanza chiari, il C offre la possibilità di definire ed accedere ai campi allo
interno di una word in modo diretto, invece che attraverso gli operatori logici bit a bit. Un bit-field, o sempli-
cemente field, è un insieme di bit adiacenti all’interno di una singola unità di memoria, definita dall’imple-
mentazione, che chiameremo “word”. La sintassi della definizione di un field e del riferimento ad esso si ba-
sa sulle strutture. Per esempio, le tre #define precedenti potrebbero essere sostituite dai tre field:
118
struct {
unsigned int is_keyword: 1;
unsigned int is_extern: 1;
unsigned int is_static: 1;
} flags;
Questa dichiarazione definisce una variabile flags, che contiene tre field di un bit. Il numero che segue il
due punti rappresenta l’ampiezza del field. I field vengono dichiarati come unsigned int, per assicurare
che essi siano sempre quantità prive di segno.
Ai singoli field si accede in modo analogo a quanto avviene per i membri delle strutture: flags.is_key-
word, flags.is_extern ecc. I field si comportano come dei piccoli interi, e possono intervenire in
espressioni aritmetiche, esattamente come gli altri interi. Quindi, gli esempi precedenti possono essere ri-
scritti come:
flags.is_extern=flags.is_static=1;
flags.is_extern=flags.is_static=0;
per abbassarli; e
per controllarli.
Quasi tutto ciò che riguarda i field è dipendente dalla macchina. Il fatto che un field possa trovarsi al confine
fra due word successive dipende dalla macchina. I field possono non avere nome; quelli privi di nome (un
due punti seguito da un’ampiezza) vengono usati per colmare i “buchi”. L’ampiezza speciale 0 può essere
utilizzata per forzare un allineamento alla word successiva.
I field vengono assegnati da sinistra a destra su alcune macchine, e da destra a sinistra su altre. Questo si-
gnifica che, anche se essi sono molto utili per mantenere delle strutture dati definite internamente, il proble-
ma di quale sia l’estremo che viene raggiunto per primo dev’essere considerato con molta attenzione, quan-
do si prelevano dati definiti esternamente; i programmi che dipendono da queste caratteristiche non sono
portabili. I field possono essere dichiarati soltanto come int; per motivi di portabilità, è necessario specifi-
care esplicitamente se sono signed o unsigned. Essi non sono dei vettori, e non possiedono indirizzo,
quindi ad essi non può essere applicato l’operatore &.
119
CAPITOLO 7
INPUT ED OUTPUT
Le funzionalità di input ed output non fanno parte del linguaggio C, e per questo motivo, fino a questo mo-
mento, non le abbiamo sottolineate in modo particolare. Tuttavia, i programmi interagiscono con il loro am-
biente in modo notevolmente più complesso di quanto non abbiamo mostrato sino ad ora. In questo capitolo
descriveremo la libreria standard, un insieme di funzioni che consentono l’input / output, la gestione delle
stringhe e della memoria, le funzioni matematiche e diversi altri servizi utili nei programmi C. In particolare,
concentreremo la nostra attenzione sull’input / output.
Lo standard ANSI definisce in modo preciso queste funzioni di libreria, cosicché esse siano compatibili su
tutti i sistemi che supportano il C. I programmi che limitano le loro interazioni con il sistema all’impiego delle
routine dalla libreria standard, possono essere trasportati da una macchina all’altra senza alcuna modifica.
Le proprietà delle funzioni di libreria sono specificate in una dozzina di header, come ad esempio <st-
dio.h>, <string.h> e <ctype.h>, che abbiamo già incontrato. In questa sede non presenteremo l’intera
libreria, poiché siamo più interessati alla stesura di programmi che la utilizzino. La libreria viene descritta in
dettaglio nell’Appendice B.
Come abbiamo detto nel Capitolo 1, la libreria implementa un modello molto semplice di input ed output ri-
guardante i testi. Un flusso di testo consiste in una sequenza di linee; ogni linea termina con un carattere di
new line. Se il sistema non opera in questo modo, la libreria fa tutto ciò che è necessario affinché appaia il
contrario. Per esempio, la libreria può convertire i caratteri di return e di linefeed in caratteri di new line sia
quando li riceve in input che quando li pone in output.
Il più semplice meccanismo di input consiste nel leggere un carattere per volta dallo standard input, normal-
mente la tastiera, usando getchar:
int getchar(void)
ad ogni chiamata, getchar restituisce il successivo carattere in input, oppure il valore EOF se incontra la fine
del file. La costante simbolica EOF è definita in <stdio.h>. Il suo valore è, in genere, -1, ma tutti i controlli
dovrebbero utilizzare il termine EOF, in modo da risultare indipendenti dal valore specifico.
In molti ambienti la tastiera può essere sostituita con un file qualsiasi, utilizzando la convenzione < di redi-
rezione dell’input: se il programma prog usa getchar, allora la linea di comando
prog <infile
costringe prog a leggere i caratteri dal file infile. La sostituzione dell’input viene effettuata in modo da non
interessare direttamente prog; in particolare, la stringa “<infile” non fa parte degli argomenti della linea di
comando, registrati in argv. La trasparenza viene mantenuta anche nel caso in cui l’input sia fornito da un
altro programma, attraverso il meccanismo di pipe: su alcuni sistemi, la linea di comando
otherprog | prog
comporta l’esecuzione dei programmi otherprog e prog, e sostituisce lo standard input di prog con lo
standard output di otherprog.
La funzione
int putchar(int)
viene utilizzata per l’output: putchar(c) invia il carattere c allo standard output, che normalmente è il vi-
deo; putchar ritorna il carattere scritto, oppure EOF se si verifica un errore. Ancora, l’output può venire fa-
cilmente rediretto su un file usando >nomefile: se prog usa putchar,
121
prog >outfile
scriverà su outfile invece che sullo standard output. Se il meccanismo di pipe è supportato,
prog | anotherprog
Anche l’output prodotto da printf viene inviato allo standard output. Le chiamate a putchar e printf
possono essere intercalate: l’output appare nell’ordine in cui le chiamate sono state effettuate.
Ogni file sorgente che utilizza una qualsiasi funzione di input / output della libreria standard deve contenere la
linea
#include <stdio.h>
prima di quella in cui la funzione viene usata per la prima volta. Quando il nome dell’header è racchiuso fra <
e >, la ricerca dell’header stesso avviene in un insieme standard di directory (per esempio, sui sistemi UNIX,
la directory /usr/include).
Molti programmi si limitano a leggere un unico flusso di input e a scriverne un altro; per tali programmi, l’in-
put e l’output realizzabili con le funzioni getchar, putchar e printf possono rivelarsi del tutto adeguati, e
sono certamente sufficienti per i primi approcci di un programmatore inesperto. Ciò è particolarmente vero se
si usa la redirezione per connettere l’output di un programma con l’input del successivo. Per esempio,
consideriamo il programma lower, che converte il suo input in lettere minuscole:
#include <stdio.h>
#include <ctype.h>
while ((c=getchar())!=EOF)
putchar(tolower(c));
return 0;
}
La funzione tolower è definita in <ctype.h>; essa converte una lettera maiuscola nel suo corrispondente
minuscolo, e restituisce invariati tutti gli altri caratteri. Come abbiamo già detto, le “funzioni” come getchar e
putchar in <stdio.h> e come tolower in <ctype.h> sono spesso delle macro, il che consente di
evitare l’overhead che si avrebbe se al trattamento di ogni carattere corrispondesse una chiamata di funzio-
ne. Nel Capitolo 8 illustreremo come è possibile realizzare tutto ciò. Indipendentemente da come vengono
implementate le funzioni di <ctype.h> su una particolare macchina, i programmi che le utilizzano possono
ignorare quale sia il set di caratteri adottato.
Esercizio 7.1 Scrivete un programma che converta la lettere maiuscole in minuscole e viceversa, in base al
nome con il quale viene invocato, registrato in argv[0].
La funzione di output printf traduce dei valori interni in caratteri. Nei capitoli precedenti abbiamo usato
printf in modo informale. La descrizione che ne diamo in questo paragrafo, pur non essendo completa,
copre i casi più comuni; per maggiori dettagli, si veda l’Appendice B.
printf converte, formatta e stampa sullo standard output i suoi argomenti sotto il controllo di format. Essa
ritorna il numero di caratteri stampati.
La stringa di formato contiene due tipi di oggetti: caratteri ordinari, che vengono semplicemente copiati sullo
output, e specifiche di conversione, ognuna delle quali provoca la conversione e la stampa del successivo
122
argomento di printf. Ogni specifica di conversione inizia con un % e termina con un carattere di conver-
sione. Tra % ed il carattere di conversione possiamo trovare, nell’ordine:
I caratteri di conversione sono illustrati in Tabella 7.1. Se il carattere che segue % non è una specifica di
conversione, il comportamento di printf è indefinito.
Un’ampiezza o precisione può essere specificata come *, nel qual caso il valore viene calcolato converten-do
l’argomento successivo, che dev’essere un int. Per esempio, per stampare al più max caratteri di una
stringa s, possiamo scrivere
La maggior parte dei formati di conversione è stata illustrata nei capitoli precedenti. Un’eccezione è data dalla
precisione in relazione alle stringhe. La tabella seguente illustra l’effetto di un certo numero di specifi-che
diverse usate per stampare “salve, mondo” (12 caratteri). Intorno ad ogni campo abbiamo posto dei due
punti, in modo che possiate vederne l’ampiezza.
Un avvertimento: printf usa il suo primo argomento per decidere quanti e di che tipo sono gli argomenti
successivi. Se gli argomenti non sono sufficienti o se sono di tipo scorretto, printf produce stampe diver-se
da quelle che voi vi attendereste. Dovete anche prestare molta attenzione alla differenza che esiste fra le
seguenti due chiamate:
123
printf(s); /* Fallisce se s contiene qualche % */
printf(“%s”, s); /* CORRETTO */
La funzione sprintf effettua conversioni uguali a printf, ma memorizza il suo output in una stringa:
sprintf formatta, in base a format, gli argomenti arg1, arg2 ecc., ma pone il risultato in string, invece
che sullo standard output; string dev’essere sufficientemente ampia da potere contenere il risultato.
Esercizio 7.2 Scrivete un programma che stampa in modo sensato un input arbitrario. Come requisito mini-
mo, esso deve scrivere caratteri non stampabili in ottale o in esadecimale, in base all’uso più comune, e
spezzare le linee troppo lunghe.
Questa sezione contiene un’implementazione di una versione minimale di printf, che ha lo scopo di illu-
strare come scrivere in modo portabile una funzione che ha una lista di argomenti di lunghezza variabile.
Poiché siamo interessati soprattutto al trattamento degli argomenti, facciamo in modo che minprintf ge-
stisca la stringa di formato ed i suoi argomenti, ma richiami printf per eseguire le conversioni di formato.
dove la dichiarazione ... significa che il numero ed i tipi degli argomenti che seguono sono variabili. La
dichiarazione ... può comparire soltanto al termine di una lista di argomenti. La nostra funzione minprin-
tf è dichiarata come
Degno di particolare attenzione è il modo in cui minprintf scandisce la lista dei suoi argomenti, dei quali
non conosce neppure il nome. L’header standard <stdarg.h> contiene un insieme di macro che definisco-
no come scandire una lista di argomenti. L’implementazione di questo header varia da macchina a macchi-
na, ma l’interfaccia che esso presenta è unica.
Per dichiarare una variabile che si riferisca, in momenti diversi, ai diversi argomenti, viene usato il tipo
va_list; in minprintf, questa variabile viene chiamata ap, da “argument pointer (puntatore all’argomen-
to)”. La macro va_start inizializza ap in modo che punti al primo argomento privo di nome, e dev’essere
chiamata prima dell’utilizzo di ap. Deve sempre esistere almeno un argomento con un nome, l’ultimo dei
quali viene usato da va_start per l’inizializzazione.
Ogni chiamata a va_arg restituisce un argomento ed incrementa ap in modo che punti al successivo;
va_arg usa un nome di tipo per determinare quale tipo ritornare e di quanto incrementare il puntatore. Infi-
ne, va_end ripulisce tutto ciò che è necessario. Essa dev’essere chiamata prima di uscire dalla funzione.
Queste proprietà costituiscono le basi sulle quali si fonda la nostra printf semplificata:
#include <stdarg.h>
124
va_start(ap, fmt); /* fa puntare ap al primo argomento
senza nome */
for (p=fmt; *p; p++)
{
if (*p!=’%’)
{
putchar(*p);
continue;
}
switch (*++p) {
case ’d’:
ival=va_arg(ap, int);
printf(“%d”, ival);
break;
case ’f’:
dval=va_arg(ap, double);
printf(“%f”, dval);
break;
case ’s’:
for (sval=va_arg(ap, char *); *sval; sval++)
putchar(*sval);
break;
default:
putchar(*p);
break;
}
}
va_end(ap); /* ripulisce quando ha finito */
}
Esercizio 7.3 Riscrivete minprintf in modo che gestisca qualcuna delle altre funzionalità fornite da
printf.
La funzione scanf è l’analogo, ma per l’input, di printf; essa fornisce infatti, nella direzione opposta, molte
delle possibilità di conversione offerte da printf.
scanf legge caratteri dallo standard input, li interpreta in base al contenuto della stringa format e memo-
rizza il risultato di queste operazioni negli argomenti successivi. L’argomento format verrà descritto nel
seguito di questa sezione; gli altri argomenti, ognuno dei quali dev’essere un puntatore, indicando dove re-
gistrare l’input convertito. Come per printf, questa sezione vuole essere un riassunto delle funzionalità più
utili, e non un loro elenco esaustivo.
scanf termina quando esaurisce la sua stringa di formato, oppure quando riscontra un’inconsistenza fra lo
input e le specifiche di controllo. Il suo valore di ritorno è il numero di elementi in input letti e registrati cor-
rettamente, ed in quanto tale può essere utilizzato per determinare il numero di oggetti trovati. Al termine del
file, scanf ritorna il valore EOF; notate che questo valore è diverso dallo 0, che viene invece restituito quando
il carattere in input è in contrasto con la prima specifica di controllo presente in format. Ogni chia-mata a
scanf riprende dal carattere immediatamente successivo all’ultimo convertito.
Esiste anche una funzione, sscanf, che legge da una stringa invece che dallo standard input:
sscanf scandisce la stringa string in base alle specifiche date in format, e memorizza in arg1, arg2 ecc.
(che devono essere puntatori) i valori risultanti.
In genere, la stringa di formato contiene alcune specifiche di conversione, utilizzate per il controllo della
conversione dell’input. Tali specifiche possono contenere:
125
a) Spazi o caratteri di tabulazione, che vengono ignorati.
b) Caratteri normali (non %), che ci si aspetta corrispondano al successivo carattere non bianco del
flusso di input.
c) Specifiche di conversione, costituite dal carattere %, da un * opzionale di soppressione dell’as-
segnamento, da un numero opzionale che specifica la massima ampiezza del campo, da un h, 1
o L opzionali indicanti la dimensione dell’elemento, e da un carattere di conversione.
Una specifica di conversione si riferisce alla conversione del successivo campo in input. Normalmente il ri-
sultato viene registrato nella variabile alla quale punta l’argomento corrispondente. Tuttavia, se è presente il
carattere * ad indicare la soppressione dell’assegnamento, il campo in input viene ignorato; non viene effet-
tuato alcun assegnamento. Un campo in input è definito come una stringa priva di caratteri di spaziatura;
esso si estende fino al primo carattere di spaziatura oppure fino all’ampiezza massima, se specificata. Que-
sto implica che scanf cerchi il suo input all’interno di più linee, perché i new line sono considerati semplici
caratteri di spaziatura (i caratteri di spaziatura sono gli spazi, i new line, i return, i tab orizzontali e verticali ed i
salti pagina).
Il carattere di conversione indica l’interpretazione del campo in input. L’argomento corrispondente dev’esse-
re un puntatore, com’è richiesto dalla semantica della chiamata per valore del C. I caratteri di conversione
sono illustrati in Tabella 7.2.
I caratteri di conversione d, i, o, u e x possono essere preceduti da h, per indicare nella lista di argomenti,
invece di un puntatore ad un int, compare un puntatore ad uno short; oppure, essi possono essere pre-
ceduti da l (lettera elle) per indicare che quello che compare è un puntatore ad un long. Analogamente, i
caratteri di conversione e, f e g possono essere preceduti da l per indicare che nella lista degli argomenti
compare un puntatore ad un double invece che ad un float.
Come primo esempio possiamo riscrivere, usando scanf, la rudimentale calcolatrice del Capitolo 4.
#include <stdio.h>
sum=0;
while (scanf(“%lf”, &v)==1)
printf(“\t%.2f\n”, sum+=v);
return 0;
}
Supponiamo di volere leggere linee di input contenenti date espresse nella forma
25 Dec 1988
126
L’istruzione scanf è la seguente
monthname, essendo un nome di vettore e quindi un puntatore, non ha bisogno di essere preceduto da &.
Nella stringa di formato di scanf possono comparire caratteri normali; essi, però, devono corrispondere ai
caratteri dell’input. Di conseguenza, usando scanf potremmo leggere date espresse nella forma mm/dd
/yy:
scanf ignora i caratteri di spaziatura, sia nella sua stringa di formato che nell’input. Per leggere un input il cui
formato non è fissato, è spesso meglio leggere una linea per volta, la quale verrà trattata separatamente
tramite sscanf. Per esempio, supponiamo di volere leggere linee contenenti date che possono essere
espresse in una qualsiasi delle forme esposte in precedenza. Potremmo allora scrivere:
Le chiamate a scanf possono essere intercalate a chiamate di altre funzioni di input. Ogni chiamata a qual-
siasi funzione di input inizierà leggendo il primo carattere non letto da scanf.
Un avvertimento finale: gli argomenti di scanf e di sscanf devono essere dei puntatori. L’errore più comu-
ne che si riscontra è
scanf(“%d”, n);
al posto di
scanf(“%d”, &n);
Nella maggior parte dei casi, questo errore non viene rilevato dal compilatore.
Esercizio 7.4 Scrivete una vostra versione di scanf analoga a minprintf, scritta nella sezione prece-
dente.
Esercizio 7.5 Riscrivete la calcolatrice in notazione postfissa del Capitolo 4, usando scanf e/o sscanf per
effettuare le conversioni dell’input e dei numeri.
Gli esempi visti fino a questo momento leggevano dallo standard input e scrivevano sullo standard output,
che sono entrambi definiti dal sistema operativo locale.
Il passo successivo consiste nello scrivere un programma che accede ad un file al quale non è già connes-
so. Un programma che evidenzia la necessità di una simile operazione è cat, che concatena un insieme di
file sullo standard output. cat viene usato per stampare file sullo schermo, e come collettore dell’input per
quei programmi che non sono in grado di accedere ai file tramite il loro nome. Per esempio, il comando
127
cat x.c y.c
stampa sullo standard output il contenuto dei file x.c e y.c (e nient’altro).
Il problema consiste nel fare in modo che i file nominati vengono letti, cioè nel connettere i nomi esterni
pensati dall’utente alle istruzioni che leggono i dati.
Le regole sono semplici. Prima di poter essere letto o scritto, un file dev’essere aperto con la funzione di li-
breria fopen. fopen legge un nome esterno, come x.c o y.c, esegue alcune operazioni di carattere ge-
stionale ed alcune chiamate al sistema operativo (i cui dettagli non ci interessano), e restituisce un puntato-re
che dev’essere utilizzato nelle successive letture o scritture del file.
Questo puntatore, chiamato file pointer, punta ad una struttura che contiene informazioni sul file, come l’in-
dirizzo di un buffer, la posizione corrente nel buffer, se il file è stato aperto in lettura o scrittura, e se si sono
verificati errori oppure è stata raggiunta la fine del file. Gli utenti non hanno bisogno di conoscere questi
dettagli, perché le definizioni contenute nell’header <stdio.h> comprendono la dichiarazione di una strut-
tura chiamate FILE. L’unica dichiarazione necessaria per poter utilizzare un file pointer è esemplificata da
FILE *fp;
FILE *fopen(char *name, char *mode);
Questa dichiarazione afferma che fp è un puntatore a FILE, e che fopen restituisce un puntatore a FILE.
Notate che FILE è un nome di tipo, come int, e non il tag di una struttura; esso è definito con una type-
def (i dettagli dell’implementazione di fopen nel sistema operativo UNIX sono dati nella Sezione 8.5).
fp=fopen(name, mode);
Il primo argomento di fopen è una stringa contenente il nome del file. Il secondo argomento è il modo, an-
ch’esso una stringa, che indica come si intende utilizzare il file. I modi possibili sono la lettura (“r”), la scrit-
tura (“w”) e l’aggiunta o append (“a”). Alcuni sistemi distinguono tra file di testo e file binari; per questi ultimi,
alla stringa della modalità deve essere aggiunto il suffisso “b”.
Se un file che non esiste viene aperto in scrittura o in append, se è possibile esso viene creato. L’apertura in
scrittura di un file già esistente fa sì che i vecchi contenuti vengano persi, diversamente da quando acca-de
con l’apertura in modalità append. Tentare di leggere un file che non esiste è un errore, così come è un
errore tentare di leggere un file sul quale non si ha permesso di accesso. Qualunque sia l’errore che si veri-
fica, fopen ritorna NULL (l’errore può essere poi identificato con maggiore precisione; si veda la discussio-ne
sulla gestione degli errori, al termine della Sezione 1 nell’Appendice B).
Una volta aperto il file, è necessario avere degli strumenti che consentano di leggerlo e scriverlo. Esistono
diverse possibilità, le più semplici delle quali sono getc e putc. getc ritorna un carattere prelevato da un
file; per poter identificare il file da cui leggere, essa deve conoscere il file pointer.
getc ritorna il prossimo carattere dal file fp; ritorna EOF per errore o fine file.
putc scrive il carattere c sul file fp e ritorna il carattere scritto, oppure EOF se si verifica un errore. Come
getchar e putchar, getc e putc possono essere delle macro, piuttosto che delle funzioni.
Quando un programma C entra in esecuzione, l’ambiente del sistema operativo si incarica di aprire tre file e
di fornire i rispettivi puntatori. Questi file sono lo standard input, lo standard output e lo standard error; i
puntatori corrispondenti sono chiamati stdin, stdout e stderr, dichiarati in <stdio.h>. In genere, st-
din è associato alla tastiera, mentre stdout e stderr sono associati al video, ma stdin e stdout pos-
sono essere rediretti su altri file o pipe, secondo quanto descritto nella Sezione 7.1.
128
getchar e putchar possono essere definite in termini di getc, putc, stdin e stdout nel modo se-
guente:
Per l’input e l’output formattati sui file, si possono usare le funzioni fscanf e fprintf. Esse sono identi-che
a scanf e printf, ad eccezione del fatto che il loro primo argomento è un file pointer che specifica il file da
cui leggere o sul quale scrivere; la stringa di formato è il secondo argomento.
Una volta definiti questi aspetti preliminari, siamo in grado di scrivere il programma cat. Il suo schema è
quello già utilizzato per altri programmi. Se alla linea di comando vengono forniti degli argomenti, essi ven-
gono interpretati come nomi di file, ed esaminati nell’ordine in cui compaiono. In mancanza di argomenti, il
file trattato è lo standard input.
#include <stdio.h>
while ((c=getchar(ifp))!=EOF)
putc(c, ofp);
}
I file pointer stdin e stdout sono oggetti di tipo FILE *. Tuttavia, essi sono delle costanti, non delle va-
riabili, e quindi non è possibile assegnare loro oggetti diversi.
La funzione
è l’inverso di fopen; essa interrompe la connessione, creata da fopen, fra il puntatore al file ed il suo no-me
esterno, rilasciando il puntatore per un altro file. Poiché molti sistemi operativi impongono dei limiti al numero
di file che un programma può aprire contemporaneamente, è buona norma rilasciare i puntatori a file non
appena essi diventano inutili, come abbiamo fatto nel programma cat. Esiste anche un’altra ragio-ne che
giustifica l’esecuzione di fclose sul file di output: questa chiamata scrive effettivamente sul file il buffer in
cui putc inserisce l’output. Quando un programma termina senza errori, fclose viene chiamata
129
automaticamente su tutti i file che esso aveva aperto (se non sono necessari, potete chiudere esplicitamen-te
stdin e stdout, che possono anche venire riassegnati tramite la funzione di libreria freopen).
Il trattamento degli errori realizzato nel programma cat non è il migliore possibile. Infatti se, per una ragio-ne
qualsiasi, uno dei file non può essere aperto, il messaggio di errore viene stampato soltanto al termine
dell’output concatenato. Questo può essere accettabile soltanto se l’output è diretto sullo schermo, ma non
se è rediretto su un altro file o se costituisce l’input di un altro programma (tramite una pipe).
Per gestire meglio questa situazione, ad ogni programma viene assegnato un secondo flusso di output, det-
to stderr (standard error). In genere, l’output scritto su stderr compare sul video anche se lo standard
output è stato rediretto.
Rivediamo il programma cat in modo da fargli scrivere i messaggi di errore sullo standard error.
#include <stdio.h>
Il programma segnala gli errori in due modi. Da un lato, l’output diagnostico prodotto da fprintf va su
stderr, in modo da potere raggiungere lo schermo, invece di scomparire in una pipe o in un file di output.
Nel messaggio abbiamo incluso il nome del programma, argv[0]; in questo modo, se questo programma
viene eseguito insieme ad altri, la fonte dell’errore è sempre identificabile.
In secondo luogo, il programma utilizza la funzione della libreria standard exit, che quando viene chiamata
termina l’esecuzione di un programma. L’argomento di exit è a disposizione di qualunque processo abbia
chiamato quello terminato da exit stessa.
Convezionalmente, un valore di ritorno nullo segnala una terminazione corretta; valori diversi da zero se-
gnalano invece situazioni anomale. exit chiama fclose su ogni file di output aperto dal processo, per po-
tere scaricare su file qualsiasi residuo di output bufferizzato.
All’interno di main, return expr equivale a exit(expr). exit ha il vantaggio di poter essere invocata an-
che da altre funzioni, e queste chiamate possono essere trovate con un programma di ricerca di un pattern
come quello illustrato nel Capitolo 5.
130
La funzione ferror ritorna un valore non nullo se su fp si è verificato qualche errore.
Anche se piuttosto raramente, gli errori di output si verificano (per esempio, se su un disco non c’è più spa-
zio), quindi i programmi dovrebbero sempre controllarne la presenza.
La funzione feof(FILE *) è analoga a ferror; essa ritorna un valore non nullo se è stata raggiunta la fi-
ne del file specificato
Nei nostri brevi programmi illustrativi, non ci siamo in genere preoccupati di verificare gli stati di uscita, ma
qualsiasi programma ben scritto dovrebbe gestire valori di ritorno significativi ed utili.
La libreria standard fornisce una routine di input, fgets, simile alla funzione getline usata nei capitoli
precedenti:
fgets legge una linea di input (compreso il new line) dal file fp e la registra nel vettore line; essa legge al
più maxline-1 caratteri. La linea risultante termina con uno ’\0’. Normalmente fgets ritorna line; al
termine del file, oppure alla rilevazione di un errore, essa ritorna invece NULL (la nostra funzione getline
ritorna la lunghezza della linea, che è un valore più utile; zero, in questo caso, indica la fine del file).
Per l’output, la funzione fputs scrive una stringa (che può anche non contenere un new line) su un file:
Le funzioni di libreria gets e puts sono simili a fgets e fputs, ma operano su stdin e stdout, rispetti-
vamente. Notiamo che gets cancella il carattere ’\n’ finale, mentre puts lo aggiunge.
Per mostrare come le funzioni fgets e fputs non presentino alcuna caratteristica particolare, le presentia-
mo qui di seguito, così come appaiono nella libreria standard del nostro sistema:
cs=s;
while (--n>0 && (c=getc(iop))!=EOF)
if ((*cs++=c)==’\n’)
break;
*cs=’\0’;
return (c==EOF && cs==s)?NULL:s;
}
while (c=*s++)
putc(c, iop);
return ferror(iop)?EOF:0;
}
131
Per ragioni non ovvie, lo standard specifica valori di ritorno differenti per ferror e fputs.
Esercizio 7.6 Scrivete un programma per confrontare due file, che stampi la prima linea nella quale essi dif-
feriscono.
Esercizio 7.7 Modificate il programma di ricerca di un pattern scritto nel Capitolo 5, in modo che esso prele-
vi il suo input da un insieme di file elencati oppure, se non viene indicato alcun file come argomento, dallo
standard input. Quando viene trovata una linea contenente il pattern voluto, è bene stampare il nome del file?
Esercizio 7.8 Scrivete un programma per stampare un insieme di file, iniziando la stampa di ognuno con una
nuova pagina, e scrivendo un titolo ed un numero di pagina corrente per ogni file.
La libreria standard fornisce un’ampia varietà di funzioni. Questa sezione è un elenco della sintassi delle più
utili. Maggiori dettagli e molte altre funzioni si possono trovare nell’Appendice B.
7.8.3 UNGETC
132
La libreria standard fornisce una versione piuttosto ristretta della funzione ungetch che abbiamo scritto nel
Capitolo 4; tale versione si chiama ungetc.
rideposita il carattere c nel file fp, e restituisce c oppure EOF, se rileva un errore. Per ogni file viene garan-
tito il deposito di un solo carattere. ungetc può essere utilizzata con una qualsiasi delle funzioni di input
scanf, getc o getchar.
system(“date”);
provoca l’esecuzione del programma date; esso stampa la data e l’ora del giorno sullo standard output.
system ritorna un intero, dipendente dal sistema, relativo allo stato di terminazione del programma esegui-
to. Nei sistemi UNIX, lo stato di ritorno è il valore restituito da exit.
void *malloc(size_t n)
ritorna un puntatore a n byte di memoria non inizializzata, oppure NULL se la richiesta non può essere sod-
disfatta.
ritorna un puntatore ad un’area sufficiente a contenere un vettore di n oggetti dell’ampiezza specificata, op-
pure NULL se la richiesta non può essere soddisfatta. La memoria è inizializzata a zero. Il puntatore restitui-to
da malloc e calloc ha l’allineamento corretto per gli oggetti in questione, ma deve essere forzato dal tipo
appropriato, come in
int *ip;
ip=(int *) calloc(n, sizeof(int));
free(p) libera lo spazio puntato da p, dove p è un puntatore ottenuto tramite una precedente chiamata a
malloc o calloc. Non esiste alcuna restrizione sull’ordine in cui lo spazio può essere liberato, ma è
comunque un errore rilasciare spazio che non è stato ottenuto tramite malloc o calloc.
Anche usare un’area già rilasciata in precedenza è un errore. Un segmento di codice molto frequente ma
scorretto è questo ciclo, che libera elementi di una lista:
Il modo corretto di eseguire quest’operazione consiste nel salvare tutto ciò che serve prima della free:
La Sezione 8.7 illustra l’implementazione di un allocatore come malloc, nel quale i blocchi allocati possono
essere rilasciati in un ordine qualsiasi.
133
Esistono più di venti funzioni matematiche, dichiarate in <math.h>; l’elenco che segue comprende quelle
maggiormente utilizzate. Ognuna di esse ha uno o più argomenti di tipo double, e ritorna a sua volta un
double.
Se la vostra libreria fornisce già una funzione per i numeri casuali in floating-point, essa avrà, probabilmen-te,
proprietà statistiche migliori di questa.
La funzione srand(unsigned) stabilisce il seme per rand. L’implementazione portabile di rand e srand
suggerita dallo standard è quella presentata nella Sezione 2.7.
Esercizio 7.9 Funzioni come isupper possono essere implementate per risparmiare spazio e tempo.
Esplorate entrambe queste possibilità.
134
CAPITOLO 8
Il capitolo è suddiviso in tre parti principali: l’input / output, il file system e l’allocazione della memoria. Le
prime due sezioni assumono che il lettore abbia una seppur limitata familiarità con le caratteristiche esterne
dei sistemi UNIX.
Il Capitolo 7 si riferiva ad un’interfaccia di input / output uniforme sui vari sistemi operativi. Su un particolare
sistema operativo, le routine della libreria standard devono essere però implementate utilizzando le
funzio-nalità disponibili sul sistema in questione. Nelle prossime sezioni descriveremo le chiamate del
sistema UNIX per l’input e l’output, e mostreremo come esse sono state impiegate nella realizzazione di
alcune parti della libreria standard.
Nel sistema operativo UNIX, tutto l’input / output viene effettuato leggendo o scrivendo file, perché tutte le
periferiche, compresi la tastiera ed il video, sono considerati dei file all’interno del file system. Questo
signi-fica che la gestione della comunicazione fra un programma e le periferiche è lasciata ad un’unica
interfaccia omogenea.
Nel caso più generale, prima di leggere o scrivere un file dovete informare il sistema delle vostre intenzioni,
aprendo il file stesso. Nel caso in cui vogliate scrivere sul file, è anche necessario crearlo o, se esiste già,
cancellarne il contenuto. Il sistema controlla che voi abbiate il permesso di fare queste operazioni e, in caso
affermativo, restituisce al programma un piccolo intero non negativo, chiamato descrittore di file. Ogni volta
che dev’essere eseguito dell’input / output sul file, quest’ultimo viene identificato attraverso il suo descrittore,
invece che tramite il nome (un descrittore di file è analogo al file pointer usato nella libreria standard). Tutte le
informazioni relative ad un file aperto vengono gestite dal sistema: il programma utente accede al file soltanto
attraverso il descrittore.
Poiché le operazioni di input / output che coinvolgono la tastiera ed il video sono molto frequenti, per questi
dispositivi esistono accorgimenti particolari. Quando l’interprete di comandi (la “shell”) esegue un
program-ma, vengono aperti tre file aventi descrittori 0, 1 e 2, detti rispettivamente standard input, standard
output e standard error. Se un programma legge dal descrittore 0 e scrive sui descrittori 1 e 2, esso esegue
dell’input / output senza dover aprire esplicitamente alcun file.
In questo caso, la shell modifica gli assegnamenti di default dei descrittori 0 e 1, associandoli ai file nominati
nella linea di comando. In genere, il descrittore 2 rimane associato allo schermo, in modo che i messaggi di
errore possano essere visualizzati. Osservazioni molto simili alle precedenti valgono anche per l’input / output
associato ad una pipe. In ogni caso, gli assegnamenti dei file sono a carico della shell, e non del programma
utente, che non sa né da dove proviene il suo input né dove è diretto il suo output, poiché si limita ad
utilizzare i descrittori 0 per il primo e 1 e 2 per il secondo.
135
L’input / output sfrutta le chiamate di sistema read e write, alle quali un programma C accede attraverso
due funzioni dette, a loro volta, read e write. Per entrambe, il primo argomento è un descrittore di file. Il
secondo argomento è un vettore di caratteri, appartenente al programma, nel quale i dati vengono registrati o
dal quale provengono. Il terzo argomento è il numero dei byte da trasferire.
Ogni chiamata restituisce il numero di byte trasferiti. In lettura, tale numero può essere inferiore a quello
ri-chiesto. Un valore di ritorno nullo significa che è stata raggiunta la fine del file, mentre in caso di errore
viene fornito il valore -1. In scrittura, il valore di ritorno è il numero di byte scritti; in questo caso, il numero
fornito differisce da quello richiesto soltanto in caso di errore.
In un’unica chiamata è possibile trasferire un qualsiasi numero di byte. I valori più comuni sono 1, se si vuole
leggere un carattere per volta (operazione “non bufferizzata”), oppure un numero come 1024 o 4096, che
corrisponde alla dimensione di un blocco fisico sulla periferica. Valori maggiori possono aumentare
l’efficienza, perché consentono di effettuare un numero inferiore di chiamate di sistema.
Consideriamo tutti questi fattori, siamo in grado di scrivere un semplice programma che copia il suo input nel
suo output, equivalente al programma per la copia di file scritto nel Capitolo 1. Questo programma copierà
qualsiasi altra, poiché l’input l’output possono essere rediretti su qualunque file o device.
#include “syscalls.h”
Abbiamo riunito i prototipi di funzione delle chiamate di sistema in un unico file chiamato syscalls.h, che
verrà incluso dalle funzioni di questo capitolo. Notiamo, tuttavia, che questo nome non è standard.
È istruttivo vedere come read e write possano essere utilizzate per costruire routine di più alto livello,
co-me getchar e putchar. Per esempio, illustriamo una versione di getchar che effettua dell’input non
buf-ferizzato, leggendo dallo standard input un carattere per volta.
#include “syscalls.h”
c dev’essere di tipo char, perché read vuole un puntatore a carattere. Forzare c ad un unsigned char,
nell’istruzione return, elimina qualsiasi problema di estensione del segno.
La seconda versione di getchar esegue l’input a blocchi di grandi dimensioni, e rilascia ad uno ad uno i
caratteri verso l’esterno.
#include “syscalls.h”
136
/* getchar: versione semplice bufferizzata */
int getchar(void)
{
static char buf[BUFSIZ];
static char *bufp=buf;
static int n=0;
Se queste versioni di getchar fossero state compilate con <stdio.h>, sarebbe stato necessario inserire la
linea #undef getchar, per gestire la possibilità che getchar fosse già definita come macro.
Per leggere o scrivere file diversi dagli standard input, output ed error di default, è necessario aprirli
esplici-tamente. Per poterlo fare, il C fornisce due chiamate di sistema: open e creat.
open è molto simile alla funzione fopen discussa nel Capitolo 7, eccetto che per il fatto che essa restituisce
un descrittore di file, cioè un int, invece di un file pointer, come fopen. In caso di errore, open restituisce
–1.
#include <fcntl.h>
int fd;
int open(char *name, int flags, int perms);
Come per fopen, l’argomento name è una stringa contenente il nome del file. Il secondo argomento, flags,
è un int che specifica come aprire il file; i suoi valori più frequenti sono:
Queste costanti sono definite in <fcntl.h> su sistemi UNIX System V, ed in <sys/file.h> nelle versioni
di Berkeley (BSD).
L’argomento perms, negli esempi di open che vedremo, sarà sempre nullo.
È un errore tentare di aprire un file che non esiste. Per creare nuovi file, oppure per riscrivere quelli già
esi-stenti, bisogna utilizzare la chiamata di sistema creat:
fd=creat(name, perms);
fornisce un descrittore di file, se riesce a creare il file richiesto, e –1 altrimenti. Se il file esiste già, creat
tronca a zero la sua lunghezza, perdendo quindi il vecchio contenuto; non è un errore creare un file esiste
già.
Se il file non esiste, creat lo crea con i permessi specificati dall’argomento perms. Nel file system UNIX, ad
ogni file sono associati nove bit che controllano i permessi di lettura, scrittura ed esecuzione del file da parte
137
del suo proprietario, del gruppo al quale egli appartiene e di tutti gli altri utenti del sistema. Di conseguenza, i
permessi di accesso possono essere convenientemente specificati da un numero ottale. Per esempio, 0755
specifica che il file può essere letto, scritto ed eseguito dal suo proprietario, mentre può essere soltanto letto
e scritto dal suo gruppo e da tutti gli altri utenti.
Per illustrare questi concetti, presentiamo nel seguito una versione semplificata del programma UNIX cp, che
copia un file in un altro. La nostra versione copia soltanto un file, non accetta come secondo argomento una
directory e, invece di copiarli dal file di partenza, inventa i permessi di accesso.
#include <stdio.h>
#include <fcntl.h>
#include “syscalls.h”
#define PERMS 0666 /* RW per proprietario, gruppo e altri */
/* cp: copia f1 in f2 */
main(int argc, char *argv[])
{
int f1, f2, n;
char buf[BUFSIZ];
if (argc!=3)
error(“Utilizzo: cp da a”);
if ((f1=open(argv[1], O_RDONLY, 0))==-1)
error(“cp: non posso aprire %s”, argv[1]);
if ((f2=creat(argv[2], PERMS))==-1)
error(“cp: non posso creare %s, modo %03o”, argv[2], PERMS);
while ((n=read(f1, buf, BUFSIZ))>0)
if (write(f2, buf, n)!=n)
error(“cp: errore di scrittura sul file %s”, argv[2]);
return 0;
}
Questo programma crea il file di output con dei permessi di accesso fissati a 0666. Usando la chiamata di
sistema stat, descritta nella Sezione 8.6, è possibile determinare i permessi di un file già esistente ed
assegnarli al risultato della copia.
Notate che la funzione error viene invocata con un numero variabile di argomenti, come printf.
L’imple-mentazione di error illustra come utilizzare un altro membro della famiglia di printf. La funzione
della li-breria standard vprintf è uguale a printf, ad eccezione del fatto che in essa la lista variabile di
argomenti è sostituita da un singolo argomento, precedentemente inizializzato con una chiamato alla macro
va_start. Analogamente, vfprintf e vsprintf sono le versioni corrispondenti a fprintf e sprintf.
#include <stdio.h>
#include <stdarg.h>
va_start(args, fmt);
fprintf(stderr, “errore: ”);
vprintf(stderr, fmt, args);
fprintf(stderr, “\n”);
va_end(args);
exit(1);
}
Esiste un limite (che in genere si aggira intorno a 20) al numero di file che un programma può tenere aperti
contemporaneamente. Di conseguenza, un programma che intende usare molti file deve predisporsi a
riuti-lizzare più volte gli stessi descrittori. La funzione close(int fd) spezza la connessione esistente tra
un descrittore di file ed un file aperto, e libera il descrittore, in modo che sia disponibile per un altro file;
questa funzione corrisponde alla funzione fclose della libreria standard, con la differenza che la prima non
138
svuota i buffer. La terminazione di un programma tramite exit o tramite l’uscita dal main provoca la
chiusura au-tomatica di tutti i file aperti.
La funzione unlink(char *name) rimuove il file name dal file system. Essa corrisponde alla funzione
re-move della libreria standard.
Esercizio 8.1 Riscrivete il programma cat del Capitolo 7 usando read, write, open e close invece dei
loro equivalenti della libreria standard. Effettuate delle prove per determinare la velocità relativa delle due
versioni.
Normalmente, l’input e l’output sono sequenziali: ogni read o write opera nella posizione del file
immedia-tamente successiva a quella in cui si è svolta l’operazione precedente. Tuttavia, quando è
necessario, un fi-le può essere letto o scritto in un ordine arbitrario. La chiamata di sistema lseek consente
lo spostamento sul file senza che avvenga alcuna lettura o scrittura di dati:
inizializza la posizione corrente del file con descrittore fd a offset, che viene considerato come un valore
relativo rispetto a origin. Le successive letture o scritture inizieranno a quella posizione. origin può
va-lere 0, 1 0 2, ed indica che offset dev’essere calcolato, rispettivamente, dall’origine del file, dalla
posizio-ne corrente o dalla fine. Per esempio, per appendere dati ad un file (con l’operatore >> di redirezione
della shell di UNIX, o con l’argomento “a” per fopen), è necessario posizionarsi in scrittura al termine del file:
Osservate l’argomento 0L; avremmo anche potuto scriverlo come (long)0, o semplicemente 0, se lseek
fosse stata dichiarata nel modo opportuno.
Usando lseek è possibile trattare i file quasi come i vettori, pagando però un maggiore costo di accesso.
Per esempio, la funzione che segue legge un qualsiasi numero di byte da una posizione arbitraria del file.
Essa ritorna il numero letto, oppure –1 in caso di errore.
#include “syscalls.h”
Il valore restituito da lseek è un long che fornisce la nuova posizione del file, oppure –1 se si è verificato
un errore. La funzione fseek, della libreria standard, è simile a lseek, ad eccezione del fatto che il suo
pri-mo argomento è di tipo FILE * e che si limita a ritornare un valore diverso da zero in caso di errore.
Per illustrare come i concetti sin qui discussi siano collegati, mostriamo un’implementazione delle funzioni
fopen e getc, fornite dalla libreria standard.
Ricordiamo che, nella libreria standard, i file sono descritti da file pointer, e non da descrittori. Un file pointer
è un puntatore ad una scrittura che contiene informazioni relative al file: un puntatore ad un buffer, che
con-sente di leggere il file a blocchi di grandi dimensioni; un contatore del numero di caratteri rimasti nel
139
buffer; un puntatore alla posizione del successivo carattere nel buffer; il descrittore del file; alcuni flag che
descri-vono la modalità di apertura (lettura / scrittura), lo stato di errore ecc.
La struttura che descrive un file si trova in <stdio.h>, che dev’essere incluso (tramite #include) da tutti i
file sorgente che utilizzano routine di input / output della libreria standard. Questo stesso file è incluso anche
dalle funzioni della libreria stessa. Nel seguente estratto di un tipico <stdio.h>, i nomi usati soltanto da
funzioni della libreria iniziano con il carattere underscore, il che li rende difficilmente confondibili con quelli
contenuti nei programmi utente. Questa convenzione, notiamo, è comune a tutte le routine della libreria
standard.
#define NULL 0
#define EOF (-1)
#define BUFSIZ 1024
#define OPEN_MAX 20 /* massimo numeri di file aperti insieme */
enum _flags {
_READ=01, /* file aperto in lettura */
_WRITE=02, /* file aperto in scrittura */
_UNBUF=04, /* file non bufferizzato */
_EOF=010, /* EOF raggiunto sul file */
_ERR=020 /* rilevamento di un errore */
};
Normalmente la macro getc decrementa il contatore, sposta in avanti il puntatore e ritorna il carattere
(ri-cordiamo che una #define molto lunga può proseguire su più righe, purché ognuna di queste, ad
eccezio-ne dell’ultima, termini con il carattere backslash). Se però il contatore diventa negativo, getc chiama
la fun-zione _fillbuf che riempie nuovamente il buffer, reinizializza il contenuto della struttura e restituisce
un carattere. I caratteri vengono forniti come unsigned, il che assicura che siano tutti positivi.
Anche se non discuteremo tutti i dettagli, abbiamo incluso anche la definizione di putc, per mostrare come
essa operi in modo analogo a getc, chiamando una funzione _flushbuf quando il buffer è pieno.
Abbia-mo infine incluso anche le macro per il riconoscimento della fine del file, di uno stato di errore e del
descrit-tore del file.
Ora possiamo scrivere la funzione fopen, buona parte della quale riguarda l’apertura ed il posizionamento
sul file, oltre che l’inizializzazione dei bit di stato. fopen non effettua alcuna allocazione di spazio su un
buf-fer; quest’operazione, infatti, viene svolta dalla routine _fillbuf al momento della prima lettura sul file.
140
#include <fcntl.h>
#include “syscalls.h”
#define PERMS 0666 /* RW per proprietario, gruppo e altri */
if (*mode==’w’)
fd=creat(name, PERMS);
else if (*mode==’a’)
{
if ((fd=open(name, O_WRONLY, 0))==-1)
fd=creat(name, PERMS);
lseek(fd, 0L, 2);
}
else
fd=open(name, O_RDONLY, 0);
if (fd==-1) /* l’accesso a name non è consentito */
return NULL;
fp->fd=fd;
fp->cnt=0;
fp->base=NULL;
fp->flag=(*mode==’r’)?_READ:_WRITE;
return fp;
}
Questa versione di fopen non gestisce tutte le modalità di accesso che sono fornite dallo standard, che
po-trebbero comunque essere aggiunte senza l’inserimento di grandi quantità di codice. In particolare, la
nostra fopen non riconosce la modalità “b”, che segnala l’accesso binario, poiché sui sistemi UNIX essa non
è si-gnificativa; neppure la modalità “+”, per aprire in lettura e scrittura, è supportata da questa versione.
La prima chiamata a getc su un particolare file trova il contatore azzerato, e questo provoca una chiamata a
_fillbuf. Se _fillbuf trova che il file non è aperto in lettura, essa restituisce immediatamente il
ca-rattere EOF. Altrimenti, essa cerca di allocare un buffer (se la lettura è bufferizzata).
Una volta allocato il buffer, _fillbuf invoca, per riempirlo, la funzione read, inizializza il contatore ed i
puntatori e restituisce il carattere che si trova all’inizio del buffer. Le chiamate successive a _fillbuf
tro-veranno un buffer già allocato.
#include “syscalls.h”
141
{
if (fp->cnt==-1)
fp->flag!=_EOF;
else
fp->flag!=_ERR;
fp->cnt=0;
return EOF;
}
return (unsigned char)*fp->ptr++;
}
L’unico punto ancora oscuro è il modo in cui tutto questo meccanismo viene innescato. Il vettore _iob deve
essere definito ed inizializzato per stdin, stdout e stderr:
L’inizializzatore del campo flag della struttura mostra che stdin dev’essere letto, stdout dev’essere
scritto, e stderr dev’essere scritto in modo non bufferizzato.
Esercizio 8.2 Riscrivete fopen e _fillbuf usando dei field invece che delle operazioni esplicite sui bit.
Confrontate la dimensione del codice e la velocità delle sue versioni.
è uguale a lseek, ad eccezione del fatto che fp è un file pointer invece di un descrittore di file, e che il
va-lore restituito non è una posizione, bensì uno stato di tipo int. Scrivete fseek. Assicuratevi che la vostra
versione coordini nel modo opportuno le bufferizzazioni effettuate dalle altre funzioni della libreria.
Spesso è necessario interagire con il file system non per conoscere il contenuto di un file, bensì per ottene-re
informazioni sul file. Un esempio di ciò è dato dal programma di listing di una directory, ls, fornito da UNIX:
questo comando stampa i nomi dei file contenuti in una directory e, opzionalmente, altre informazioni quali le
loro dimensioni, i permessi e così via. ls è, per UNIX, ciò che il comando dir è per MS-DOS.
Poiché in UNIX una directory non è altro che un file, per potere leggere i nomi dei file ls deve
semplice-mente leggere la directory. Tuttavia alcune informazioni, quali la dimensione dei file, possono
essere otte-nute soltanto attraverso delle chiamate di sistema. Su alcuni altri sistemi, come per esempio
MS-DOS, an-che i nomi dei file presenti nella directory sono accessibili soltanto tramite chiamate di sistema.
Il nostro in-tento è quello di fornire un accesso alle informazioni che sia indipendente dal sistema usato,
anche se l’im-plementazione può dipendere fortemente da quest’ultimo.
Illustreremo alcuni degli aspetti legati a questo problema scrivendo un programma chiamato fsize. fsize è
una versione particolare di ls, che stampa la dimensione di tutti i file forniti nella lista di argomenti alla li-nea
di comando. Se uno dei file è una directory, fsize vi si applica ricorsivamente. Se non vengono forniti
argomenti, fsize tratta la directory corrente.
Iniziamo con una breve revisione della struttura del file system di UNIX. Una directory è un file che contiene
una lista di nomi di file, ed alcune indicazioni sulla loro posizione. Tale “posizione” è un indice in una tabella
detta “lista degli inode”. L’inode di un file è il luogo in cui vengono mantenute tutte le informazioni relative ad
esso, ad eccezione del suo nome. Nella maggior parte dei casi, ogni entry della directory è costituita da un
nome di file e dal numero dell’inode.
142
Purtroppo, il formato ed i contenuti di una directory non sono gli stessi su tutte le versioni del sistema.
Per-ciò, cercheremo di suddividere il nostro problema in due segmenti, nel tentativo di identificare le parti non
portabili. Il livello più esterno definisce una struttura chiamata Dirent e tre routine (opendir, readdir e
closedir), che consentono di accedere al nome ed all’inode contenuti nella directory in modo indipenden-te
dal tipo di file system. Scriveremo fsize usando quest’interfaccia. In seguito, illustreremo come
imple-mentare queste routine su sistemi che usano directory con struttura analoga a quella adottata sulla
Version 7 e su UNIX System V; le varianti sono lasciate come esercizio.
La struttura Dirent contiene il numero dell’inode ed il nome del file. La lunghezza massima di quest’ultimo è
NAME_MAX, un valore dipendente dal sistema. opendir ritorna un puntatore ad una struttura chiamata DIR,
analoga a FILE, usata da readdir e closedir. Quest’informazione è memorizzata in un file chia-mato
dirent.h.
La chiamata di sistema stat prende in input un nome di file e ritorna tutte le informazioni contenute nel suo
inode, oppure –1 se si verifica un errore. Quindi,
char *name;
struct stat stbuf;
int stat(char *, struct stat *);
stat(name, &stbuf);
inserisce nella struttura stbuf le informazioni contenute nell’inode relativo al file name. La struttura che
de-scrive il valore ritornato da stat si trova in <sys/stat.h>, ed ha il seguente formato:
Il significato di molti di questi campi è chiarito nei commenti. I tipi come dev_t e ino_t sono definiti in
<sys/types.h>, che dev’essere incluso.
Il campo st_mode contiene un insieme di flag che descrivono il file. La definizione di questi flag si trova
an-ch’essa in <sys/stat.h>; per i nostri scopi, è rilevante soltanto la parte di definizioni relative al tipo di
file:
143
#define S_IFMT 0160000 /* tipo del file */
#define S_IFDIR 0040000 /* directory */
#define S_IFCHR 0020000 /* speciale a caratteri */
#define S_IFBLK 0060000 /* speciale a blocchi */
#define S_IFREG 0100000 /* regolare */
Ora siamo in grado di scrivere il programma fsize. Se il modo ottenuto tramite stat indica che il file non è
una directory, allora la sua dimensione è nota e può venire stampata direttamente. Se il file è una directo-ry,
invece, dobbiamo analizzarla al ritmo di un file per volta; a sua volta, questa directory può contenere delle
sotto-directory, e questo rende ricorsivo il processo di listing.
La routine principale gestisce gli argomenti della linea di comando; ogni argomento viene passato alla
fun-zione fsize.
#include <stdio.h>
#include <string.h>
#include “syscalls.h”
#include <fcntl.h> /* flag per lettura e scrittura */
#include <sys/types.h> /* definizioni di tipi */
#include <sys/stat.h> /* struttura ritornata da stat */
#include “dirent.h”
La funzione fsize stampa la dimensione del file. Se il file è una directory, fsize chiama dirwalk, per
gestire i file che tale directory contiene. Per decidere se il file è una directory, vengono usati i flag S_IFMT e
S_IFDIR, definiti in <sys/stat.h>. La parentesizzazione è necessaria, perché la precedenza di & è
infe-riore a quella di ==.
if (stat(name, &stbuf)==-1)
{
fprintf(stderr, “fsize: non posso accedere a %s\n”, name);
return;
}
if ((stbuf.st_mode & S_IFMT)==S_IFDIR)
dirwalk(name, fsize);
printf(“%8ld %s\n”, stbuf.st_size, name);
}
La funzione dirwalk è una routine generale, che applica una funzione a ciascun file presente nella
directo-ry specificata da name. Essa apre la directory, scandisce tutti i file in essa contenuti, chiamando su
ognuno di essi la funzione desiderata, quindi chiude la directory e termina. Poiché fsize chiama dirwalk
su ogni directory, le due funzioni si richiamano ricorsivamente.
144
/* dirwalk: applica fcn a tutti i file contenuti in dir */
void dirwalk(char *dir, void (*fcn)(char *))
{
char name[MAX_PATH];
Dirent *dp;
DIR *dfd;
if ((dfd=opendir(dir))==NULL)
{
fprintf(stderr, “dirwalk: non posso aprire %s\n”, dir);
return;
}
while ((dp=readdir(dfd))!=NULL)
{
if (strcmp(dp->name, “.”)==0 || strcmp(dp->name, “..”)==0)
continue; /* tralascia se stessa e la directory padre */
if (strlen(dir)+strlen(dp->name)+2>sizeof(name))
fprintf(stderr, “dirwalk: il nome %s/%s
è troppo lungo”, dir, dp->name);
else
{
sprintf(name, “%s/%s”, dir, dp->name);
(*fcn)(name);
}
}
closedir(dfd);
}
Ogni chiamata a readdir restituisce un puntatore alle informazioni relative al file successivo, oppure NULL
se i file sono esauriti. Ogni directory contiene sempre una entry per se stessa, chiamata “.”, ed una per la
propria directory padre, “..”; queste due entry devono essere tralasciate, per evitare che il programma entri
in un ciclo infinito.
Fino a questo livello, il codice è indipendente dal formato delle directory. Il passo successivo consiste nel
presentare le versioni minimali di opendir, readdir e closedir per uno specifico tipo di file system. Le
routine che seguono valgono per sistemi Version 7 e UNIX System V; esse utilizzano le informazioni sulle
directory contenute in <sys/dir.h>, che sono le seguenti:
#ifndef DIRSIZ
#define DIRSIZ 14
#endif
Alcune versioni consentono di avere nomi più lunghi e gestiscono strutture più complesse per le directory.
Il tipo ino_t è una typedef che descrive l’indice nella lista degli inode. Sui sistemi che usiamo
normal-mente, questo tipo è un unsigned short, ma quest’informazione è bene non sia direttamente
inclusa in un programma; questo tipo, infatti, potrebbe essere diverso su sistemi differenti, e ciò rende
preferibile l’im-piego di typedef. L’insieme completo dei tipi “di sistema” è reperibile in <sys/types.h>.
Opendir apre la directory, verifica che il file sia una directory (questa volta usando la chiamata di sistema
fstat, simile a stat ma che utilizza un descrittore di file), alloca una struttura per la directory e registra le
informazioni:
145
struct stat stbuf;
DIR *dp;
Infine, readdir usa read per leggere ogni entry della directory. Se una di esse non è correntemente in uso
(perché il file è stato rimosso), il suo numero di inode è zero, ed essa viene tralasciata. Altrimenti, il numero
dell’inode ed il nome vengono collocati in una struttura static, ed all’utente viene fornito un puntatore a
questa struttura. Ogni chiamata cancella le informazioni ricavate dalla chiamata precedente.
Pur essendo alquanto specializzato, il programma fsize illustra un paio di idee importanti. Innanzitutto, molti
programmi non sono “programmi di sistema”; essi si limitano ad usare informazioni mantenute dal si-stema
operativo. Per questi programmi, è importante che la rappresentazione delle informazioni appaia sol-tanto
negli header standard, inclusi dai programmi stessi al posto delle dichiarazioni esplicite. La seconda
osservazione è che, facendo una certa attenzione, è possibile creare un’interfaccia abbastanza indipenden-te
dal sistema verso oggetti che invece dipendono da esso. Le funzioni della libreria standard costituiscono, a
questo proposito, degli ottimi esempi.
Esercizio 8.5 Modificate il programma fsize in modo che stampi anche le altre informazioni contenute
nell’inode.
Nel Capitolo 5 abbiamo presentato un allocatore di memoria molto limitato. La versione che scriveremo ora è
invece priva di limitazioni. Le chiamate a malloc e free possono essere effettuate in un ordine qualsia-si;
146
per ottenere la memoria necessaria, malloc invoca il sistema operativo. Queste routine illustrano alcu-ne
delle considerazioni legate alla stesura di codice machine-dependent secondo criteri che lo rendono
ab-bastanza indipendente dal sistema usato; inoltre, esse mostrano un caso reale di utilizzo delle strutture,
del-le union e delle typedef.
Invece di allocarlo a partire da un vettore di ampiezza prefissata, malloc preleva lo spazio di memoria dal
sistema operativo. Poiché, nel programma, possono esistere altre attività che richiedono aree di memoria
senza invocare questo allocatore, lo spazio gestito da malloc può non essere contiguo. Per questo motivo,
la memoria libera viene gestita sotto forma di una lista di blocchi liberi (free list). Ogni blocco contiene una
ampiezza, un puntatore al blocco successivo e l’area vera e propria. I blocchi sono ordinati in modo
cre-scente rispetto al loro indirizzo, e l’ultimo blocco (cioè quello con indirizzo più alto) punta al primo.
All’atto di una richiesta di memoria, la free list viene scandita fino al reperimento di un blocco
sufficiente-mente grande. Questo algoritmo è detto “first fit”, in contrapposizione all’algoritmo “best fit”, che
cerca il più piccolo blocco in grado di soddisfare la richiesta. Se la dimensione del blocco trovato coincide con
quella ri-chiesta, il blocco viene staccato dalla lista e fornito all’utente. Se il blocco è troppo grande, esso
viene spez-zato, ed all’utente viene restituita soltanto la parte che egli ha richiesto, mentre l’altra parte rimane
nella li-sta libera. Se non esiste alcun blocco sufficientemente grande da poter soddisfare la richiesta, la
memoria necessaria viene allocata dal sistema operativo ed inserita nella lista libera.
Anche il rilascio di un blocco provoca una scansione della lista, allo scopo di trovare la posizione corretta
nella quale inserire il blocco liberato. Se quest’ultimo è adiacente ad un blocco già libero, i due blocchi
ven-gono unificati, in modo da ridurre la frammentazione della memoria. L’identificazione di due blocchi
adia-centi è facilitata dal fatto che la free list è ordinata in ordine crescente.
free list
Un problema, al quale abbiamo accennato nel Capitolo 5, consiste nell’assicurare che la memoria ritornata
da malloc sia allineata in modo corretto rispetto al tipo di oggetti che deve contenere. Nonostante le
mac-chine possano variare, ogni macchina possiede un tipo più restrittivo: se esso può essere memorizzato
ad un particolare indirizzo, anche tutti gli altri possono esserlo. Su alcune macchine, il tipo più restrittivo è il
double, mentre su altre è l’int o il long.
Un blocco libero contiene un puntatore al blocco successivo della catena, l’ampiezza del blocco e lo spazio
stesso; l’informazione di controllo collocata all’inizio è detta “header”. Per semplificare l’allineamento, tutti i
blocchi sono multipli della dimensione dell’header, e l’header è allineato in modo opportuno. Tutto ciò può
essere fatto con una union, contenente la struttura dell’header ed un’istanza del tipo più restrittivo, che
as-sumiamo essere il long:
147
union header { /* header del blocco */
struct {
union header *ptr; /* blocco successivo in free list */
unsigned size; /* dimensione di questo blocco */
}s;
Align x; /* forza l’allineamento dei blocchi */
};
Il campo Align non viene mai usato; il suo scopo è soltanto quello di allineare ogni header.
Nella funzione malloc l’ampiezza richiesta, in caratteri, viene arrotondata al corretto multiplo dell’ampiezza
dell’header; il blocco che verrà allocato contiene un elemento in più, destinato a contenere l’header stesso, e
questo valore è quello contenuto nel campo size dell’header. Il puntatore fornito da malloc punta allo
spazio libero, non all’header. L’utente può utilizzare in qualsiasi modo l’area ottenuta, ma scrivere al di fuori di
essa equivale a distruggere l’ordine della lista.
dimensione
Il campo contenente l’ampiezza è necessario, perché lo spazio gestito da malloc può non essere contiguo,
e quindi non è possibile calcolare le ampiezze sfruttando l’aritmetica dei puntatori.
La variabile base viene usata per innescare il meccanismo. Se freep è NULL, come nel caso della prima
chiamata a malloc, allora viene creata una free list degenere, contenente un blocco di ampiezza zero che
punta a se stesso. In ogni caso, la free list viene sempre scandita. La ricerca di un blocco libero di ampiezza
adeguata inizia dal punto (freep) in cui era stato trovato l’ultimo blocco; questa strategia aiuta a mantenere
omogenea la lista. Se viene trovato un blocco troppo grande, all’utente viene restituita la sua parte finale; in
tal modo è necessario aggiornare soltanto il campo size dell’header originario. In ogni caso, il puntatore
fornito all’utente punta allo spazio libero del blocco, che inizia un’unità dopo l’header.
nunits=(nbytes+sizeof(Header)-1)/sizeof(Header)+1;
if ((prevp=freep)==NULL) /* non esiste free list */
{
base.s.ptr=freep=prevp=&base;
base.s.size=0;
}
for (p=prevp->s.ptr; ; prevp=p, p=p->s.ptr)
{
if (p->s.size>=nunits) /* spazio sufficiente */
{
if (p->s.size==nunits) /* esattamente */
148
prevp->s.ptr=p->s.ptr;
else /* alloca la parte finale */
{
p->s.size-=nunits;
p+=p->s.size;
p->s.size=nunits;
}
freep=prevp;
return (void *)(p+1);
}
if (p==freep) /* la free list è terminata */
if ((p=morecore(nunits))==NULL)
return NULL; /* non c’è più spazio */
}
La funzione morecore ottiene memoria dal sistema operativo. I dettagli di come ciò avviene variano da
si-stema a sistema. Poiché la richiesta di memoria al sistema operativo è un’operazione relativamente
costo-sa, noi non vogliamo effettuarla ad ogni chiamata di malloc, quindi facciamo in modo che morecore
allo-chi almeno NALLOC unità; questo blocco verrà successivamente separato in blocchi più piccoli, in base
alla necessità del momento. Dopo avere inizializzato il campo dell’ampiezza, morecore inserisce in free list
la memoria aggiuntiva, invocando free.
In UNIX, la chiamata di sistema sbrk(n) ritorna un puntatore a n byte aggiuntivi di memoria. sbrk ritorna
–1 se lo spazio richiesto non è disponibile. Per poterlo confrontare con il valore di ritorno, -1 deve essere
forzato a char *. Ancora una volta, il casting rende la funzione abbastanza indipendente dalla
rappresenta-zione adottata per i puntatori sulle diverse macchine. Notiamo che la nostra malloc assume
che il confron-to fra due puntatori a blocchi diversi ottenuti con sbrk sia significativo. Questo non è garantito
dallo stan-dard, che consente soltanto il confronto fra puntatori all’interno di uno stesso vettore. Per questo
motivo, questa versione di malloc è portabile soltanto su macchine che consentono il confronto
generalizzato fra puntatori.
if (nu<NALLOC)
nu=NALLOC;
cp=sbrk(nu*sizeof(Header));
if (cp==(char *) –1) /* non c’è spazio */
return NULL;
up=(Header *) cp;
up->s.size=nu;
free((void *)(up+1));
return freep;
}
L’ultima funzione che dobbiamo scrivere è free. Essa scandisce la free list, partendo da freep, e cerca la
posizione nella quale inserire il blocco. Tale posizione può trovarsi in due blocchi esistenti oppure ad uno
degli estremi della lista. In ogni caso, se il blocco che dev’essere rilasciato è adiacente ad uno già esistente, i
due blocchi contigui vengono uniti. L’unico problema consiste nel mantenere correttamente aggiornati i
puntatori e le dimensioni.
149
if (bp+bp->s.size==p->s.ptr)
{ /* lo unisce al blocco successivo */
bp->s.size+=p->s.ptr->s.size;
bp->s.ptr=p->s.ptr->s.ptr;
}
else
bp->s.ptr=p->s.ptr;
if (p+p->s.size==bp)
{ /* lo unisce al blocco precedente */
p->s.size+=bp->s.size;
p->s.ptr=bp->s.ptr;
}
else
p->s.ptr=bp;
freep=p;
}
Esercizio 8.6 La funzione calloc(n, size), della libreria standard, ritorna un puntatore ad n oggetti di
ampiezza pari a size, ed inizializza a zero la memoria allocata. Scrivete calloc, invocando malloc
op-pure modificandola.
Esercizio 8.7 malloc accetta in input una dimensione, senza effettuare su di essa alcun controllo; free
assume che il blocco da liberare contenga un campo size significativo. Migliorate queste routine
introdu-cendo il controllo delle condizioni di errore.
Esercizio 8.8 Scrivete una routine bree(p, n) che libera un arbitrario blocco p di n caratteri e lo inserisce
in una free list gestita da malloc e free. Usando bfree, un utente può aggiungere alla free list, in
qual-siasi istante, un vettore statico o esterno.
150
APPENDICE A
REFERENCE MANUAL
A1. Introduzione
Questo manuale descrive il linguaggio C come specificato dal “Draft Proposed American National Standard
for Information System – Programming Language C”, documento numero X3J11/88-001, datato 11 Gennaio
1988. Questo documento non contiene lo standard definitivo, ed è ancora possibile che vengano apportate
modifiche al linguaggio. Di conseguenza, questo manuale non può essere considerato una descrizione
definitiva del linguaggio. Inoltre, esso è in realtà un’interpretazione dello schema standard proposto, e non lo
standard stesso.
Nella maggior parte dei casi, questo manuale segue la linea del Draft Standard, che a sua volta rispecchia
quella della prima edizione di questo libro, anche se i dettagli organizzativi sono diversi. Se si escludono la
ridenominazione di alcune produzioni e la mancata formalizzazione della definizione dei token lessicali o del
preprocessor, la grammatica presentata in questo manuale può essere considerata equivalente a quella del
draft.
In questo manuale, i commenti sono indentati e scritti in caratteri più piccoli, come questi. Spesso questi commenti evidenziano
i punti nei quali l’ANSI C differisce dal linguaggio definito nella prima edizione di questo libro, o da raffinamenti prodotti in un
secondo tempo nei diversi compilatori.
Un programma è costituito da una o più unità di traduzione registrate nei file. Esso viene tradotto attraverso
diverse fasi, descritte nel paragrafo A12. Le prime fasi effettuano trasformazioni lessicali di basso livello,
eseguendo le direttive introdotte da linee che iniziano con il carattere #, ed effettuando la definizione e la
espansione delle macro. Quando il preprocessing descritto nel paragrafo A12 termina, il programma è
ridot-to ad una sequenza di token.
A2.1 Token
Esistono sei classi di token : identificatori, parole chiave, costanti, stringhe letterali, operatori ed altri
sepa-ratori. Gli spazi, i caratteri di tabulazione verticali ed orizzontali, i new line, i salti pagina ed i commenti
(glo-balmente definibili come “spazi bianchi”), nel seguito vengono descritti e considerati soltanto in qualità di
separatori di token. Gli spazi sono infatti necessari per separare identificatori, parole chiave e costanti che
altrimenti sarebbero adiacenti.
Se il flusso di input è stato separato in token fino ad un certo carattere, il token successivo è la più lunga
stringa di caratteri che può costituire un token.
A2.2 Commenti
I caratteri /* introducono un commento, che termina con i caratteri */. I commenti non possono essere
nidificati e non possono comparire all’interno di stringhe.
A2.3 Identificatori
Un identificatore è una sequenza di lettere e cifre. Il primo carattere dev’essere una lettera, fra le quali è
compreso il carattere underscore _. Le lettere maiuscole sono considerate diverse da quelle minuscole. Gli
identificatori possono avere qualsiasi lunghezza e, per gli identificatori interni, sono significativi almeno i
pri-mi 31 caratteri ; questo limite, in alcune implementazioni, è superiore. Gli identificatori interni
comprendono i nomi delle macro di preprocessor e tutti gli altri nomi privi di linkaggio esterno (paragrafo
A11.2). Gli identificatori con linkaggio esterno sono soggetti a restrizioni maggiori: le diverse implementazioni
possono considerare significativi anche solo i primi 6 caratteri, e possono ignorare la distinzione fra lettere
maiuscole e minuscole.
151
A2.4 Parole Chiave
Quelli che seguono sono identificatori riservati per essere utilizzati come parole chiave, e non possono
es-sere usati altrimenti:
Le parole chiave const, signed e volatile sono state introdotte con l’ANSI C; enum e void sono nuove rispetto alla prima
edizione, anche se comunemente usate da tempo; entry, che finora era riservata ma non veniva mai utilizzata, è stata
eliminata.
A2.5 Costanti
Esistono diverse classi di costanti. Ognuna di esse ha un proprio tipo di dati; il paragrafo A4.2 illustri i tipi
principali.
costante:
costante-intera
costante-carattere
costante-floating
costante-enumerativa
Una costante intera, costituita da una sequenza di cifre, viene considerata ottale se la prima cifra è 0,
deci-male altrimenti. Le costanti ottali non contengono le cifre 8 e 9. Una sequenza di cifre preceduta da 0x
e 0X viene considerata una costante intera esadecimale. Le cifre esadecimali comprendono le lettere da a o
A alle lettere f o F, estremi inclusi, che rappresentano i valori da 10 a 15.
Una costante intera può contenere il suffisso u oppure U, che specifica che essa è priva di segno. Un
suffis-so l o L indica invece che la costante è un long.
Il tipo di una costante intera dipende dal suo formato, dal suo valore e dal suffisso (si veda il paragrafo A4
per una discussione sui tipi).Se la costante è decimale e priva di suffissi, essa ha il primo, fra i tipi seguenti,
con cui può essere rappresentato il suo valore: int, long int, unsigned long int. Se la costante è priva
di suffissi ed è ottale o esadecimale, il suo tipo è il primo possibile tra: int, unsigned int, long int,
unsigned long int. Se la costante ha il suffisso u (oppure U), il suo tipo è unsigned int o unsigned
long int. Se è presente il suffisso l (o L), il tipo è long int oppure unsigned long int.
L’elaborazione del tipo delle costanti intere è notevolmente più sofisticata rispetto alla prima edizione, che si limitava a
considerare long le costanti con valore intero molto grande. I suffissi u e U sono nuovi.
Una costante carattere è una sequenza di uno o più caratteri racchiusi fra singoli apici, come ’x’. Il valore di
una costante composta da un solo carattere è il valore numerico del carattere all’interno del set di caratteri
della macchina. Il valore di una costante composta da più caratteri è definito dall’implementazione.
Le costanti carattere non contengono il carattere ’ (apice singolo) ed i new line; per rappresentare questi
caratteri, ed alcuni altri, si possono utilizzare le seguenti sequenze di escape:
newline NL(LF) \n
152
tab orizzontale HT \t
tab verticale VT \v
backspace BS \b
return CR \r
salto pagina FF \f
allarme udibile BEL \a
backslash \ \\
punto interrogativo ? \?
apice singolo ’ \’
apice doppio “ \”
numero ottale ooo \ooo
numero esadecimale hh \hh
La sequenza \ooo è composta da un carattere backslash seguito da 1, 2 o 3 cifre ottali, che specificano il
valore del carattere desiderato. Un esempio comune di costrutto di questo tipo è la sequenza \0 (una sola
cifra) che indica il carattere NUL. La sequenza \xhh è costituita da un carattere backslash, da una x e da
ci-fre esadecimali, che specificano il valore del carattere desiderato. Non c’è limite al numero di cifre, ma il
comportamento è indefinito se il valore risultante supera quello massimo contemplato dal set di caratteri
della macchina. Per le sequenze di escape ottali ed esadecimali, se la macchina considera il tipo char
comprensivo di segno, il valore viene esteso con il segno, come se venisse applicato l’operatore di cast.
In alcune implementazioni esiste un set di caratteri esteso, che non può essere rappresentato con il tipo
char. Una costante appartenente ad un set di questo tipo viene preceduta dal carattere L, per esempio
L’x’, e viene chiamata costante carattere estesa. Essa è di tipo wchar_t, un tipo intero definito
nell’hea-der standard <stddef.h>. Anche per queste costanti si possono utilizzare le sequenze di escape
ottali o esadecimali; l’effetto è indefinito se il valore specificato eccede quello massimo rappresentabile con il
tipo wchar_t.
Alcune di queste sequenze di escape, come per esempio la rappresentazione esadecimale di un carattere sono nuove. Anche
le costanti carattere estese sono una novità. Il set di caratteri normalmente usato in America e nell’Europa occidentale può
essere rappresentato con il tipo char; lo scopo principale dell’introduzione del tipo wchar_t è la rappresentazione dei
linguaggi asiatici.
Una costante floating consiste in una parte intera, un punto decimale, una parte frazionaria, una e oppure
una E, un esponente intero con un segno (opzionale) ed un suffisso opzionale per il tipo; f, F, l o L. Le
par-ti intera e frazionaria sono sequenze di cifre. Una delle due (non entrambe) può essere omessa;
possono essere tralasciati (non contemporaneamente) l’esponente e oppure il punto decimale. Il tipo è
determinato dal suffisso; F o f indica un float, l o L indica un long double; se il suffisso non è presente,
il tipo è double.
Gli identificatori dichiarati come enumeratori (paragrafo A8.4) sono costanti di tipo int.
Stringhe letterali adiacenti vengono concatenate in una singola stringa. Dopo ogni concatenazione, viene
inserito un byte nullo (\0) che consente ai programmi di scorrere la stringa ed individuarne la fine. Le
strin-ghe letterali non contengono new line e doppi apici; questi caratteri sono rappresentabili con le stesse
se-quenze di escape descritte per le costanti carattere.
153
Come per le costanti carattere, anche le stringhe letterali, in un set di caratteri esteso, possono essere
pre-cedute da una L, come L“...”. Le stringhe letterali estese sono di tipo “vettore di wchar_t”. Il risultato
della concatenazione fra stringhe letterali estese e stringhe normali è indefinito.
Il fatto che due stringhe letterali possano non essere distinte ed il divieto di modificarle sono stati introdotti con l’ANSI C, così
come la concatenazione di stringhe letterali adiacenti. Anche le stringhe letterali estese sono una novità.
Nella notazione adottata da questo manuale, le categorie sintattiche sono indicate dallo stile corsivo, mentre
per le parole ed i caratteri viene usato lo stile typewriter. Le categorie alternative sono nor-malmente
disposte su linee diverse; in alcuni casi, un vasto insieme di alternative obbligate viene presenta-to su una
unica riga, iniziata dalla frase “uno fra”. Un simbolo opzionale, terminale o meno, ha il suffisso “opt”, in modo
che, per esempio,
{espressioneopt }
indica un’espressione opzionale, racchiusa fra parentesi graffe. La sintassi è riassunta nel paragrafo A13.
Diversamente da quanto accadeva nella grammatica data nella prima edizione di questo libro, quella presentata qui rende
esplicita la precedenza e l’associatività degli operatori nelle espressioni.
Gli identificatori, o nomi, si riferiscono a diverse classi di oggetti: funzioni; tag delle strutture, delle union e
delle enumerazioni; membri di strutture o union; costanti enumerative; nomi di tipi definiti con typedef e
oggetti. Un oggetto, talvolta chiamato variabile, è una locazione di memoria, e la sua interpretazione
dipen-de da due attributi principali: la sua classe di memoria ed il suo tipo. La classe di memoria determina
la du-rata della vita della memoria associata all’oggetto identificato; il tipo determina il significato dei valori
trovati nell’oggetto identificato. Un nome ha anche uno scope, che è la regione del programma nella quale
tale no-me è conosciuto, ed un linkaggio, che determina se lo stesso nome, in un altro scope, si riferisce allo
stesso oggetto o funzione. Lo scope ed il linkaggio sono discussi nel paragrafo A11.
Gli oggetti statici possono essere locali ad un blocco od esterni a qualsiasi blocco, ma in entrambi i casi
mantengono il loro valore anche fra l’uscita ed il successivo rientro da funzioni e blocchi. All’interno di un
blocco, compreso quello che costituisce il corpo di una funzione, gli oggetti statici sono dichiarati
esterna-mente a qualsiasi blocco, cioè allo stesso livello delle definizioni di funzione, sono sempre statici.
Essi pos-sono essere resi locali ad una particolare unità di traduzione tramite la parola chiave static; una
simile operazione attribuisce agli oggetti un linkaggio interno. Omettendo lo specificatore della classe di
memoria, oppure utilizzando la parola chiave extern, questi oggetti diventano globali all’intero programma,
ed acqui-stano così un linkaggio esterno.
Gli oggetti dichiarati come caratteri (char) sono sufficientemente grandi da potere rappresentare qualsiasi
membro del set locale di caratteri. Se un carattere di questo set viene memorizzato in un oggetto di tipo
char, il suo valore equivale al codice intero di quel carattere, ed è non negativo. Nelle variabili di tipo char
154
possono essere registrate anche altre qualità, ma la sfera dei valori disponibili, e soprattutto il fatto che il
valore abbia o meno il segno, dipendono dall’implementazione.
I caratteri privi di segno, dichiarati unsigned char, occupano la stessa quantità di spazio occupata dai
ca-ratteri normali ma, a differenza di questi, sono sempre non negativi; anche i caratteri dichiarati signed
char occupano uno spazio uguale a quello occupato dai caratteri normali.
Il tipo unsigned char non compariva nella prima edizione di questo libro, pur essendo comunemente utilizzato. II tipo signed
char, invece, è nuovo.
Oltre al tipo char, sono disponibili fino a tre tipi di interi: short int, int e long int. Gli oggetti di tipo int
hanno la dimensione naturale suggerita dall’architettura della macchina; le altre ampiezze vengono fornite
per soddisfare esigenze particolari. Gli interi più ampi riservano un’area di memoria almeno pari a quella
degli interi più piccoli, ma l’implementazione può rendere equivalente il tipo int al tipo short int o al tipo
long int. A meno di direttive esplicite particolari, tutti i tipi int rappresentano oggetti con segno.
Gli interi privi di segno, dichiarati usando la parola chiave unsigned, seguono le leggi dell’aritmetica
modu-lo 2^n, dove n è il numero di bit della rappresentazione; quindi le operazioni aritmetiche su oggetti privi
di segno non possono mai andare in overflow. L’insieme dei valori non negativi rappresentabili con un
oggetto con segno è un sottoinsieme dei valori che possono essere registrati nel corrispondente oggetto
privo di se-gno, e la rappresentazione dei valori rappresentabili in entrambe le classi è la stessa.
Anche i tipi floating point in singola (float), in doppia (double) o in extra (long double) precisione
pos-sono essere sinonimi, ma ogni elemento di questa lista dev’essere preciso almeno quanto quelli che lo
precedono.
Il tipo long double è nuovo. La prima edizione considerava equivalenti i tipi double e long float; quest’ultima locuzione è
stata eliminata.
Le enumerazioni sono di un unico tipo ed hanno valori interi; ad ogni enumerazione è associato un insieme
di nomi costanti (paragrafo A8.4). Le enumerazioni si comportano come gli interi, anche se è abbastanza
comune che i compilatori generino un messaggio di warning quando ad un oggetto di particolare tipo
enu-merativo viene assegnato qualcosa di diverso dalle sue costanti o da un’espressione del suo stesso
tipo.
Poiché gli oggetti di questi tipi possono essere interpretati come numeri, noi ci riferiremo ad essi come ai tipi
aritmetici. I tipi char e int (di ogni dimensione), con o senza segno, uniti ai tipi enumerativi verranno
chiamati, nel loro complesso, tipi interi. I tipi float, double e long double verranno chiamati tipi floating.
Il tipo void specifica un insieme vuoto di valori. Esso viene utilizzato come tipo restituito da funzioni che non
generano alcun valore.
In generale, questi metodi di costruzione degli oggetti possono essere utilizzati ricorsivamente.
155
A5. Oggetti e Lvalue
Un oggetto è un’area di memoria alla quale è stato associato un nome; un lvalue è un’espressione che si
riferisce ad un oggetto. Un esempio ovvio di espressione lvalue è un identificatore avente un tipo ed una
classe di memoria significativi. Esistono operatori che producono degli lvalue: per esempio, se E è una
espressione di tipo puntatore, allora *E è un’espressione lvalue, che si riferisce all’oggetto puntato da E. Il
nome “lvalue” deriva dall’espressione di assegnamento E1=E2, nella quale l’operando sinistro (“left”) deve
essere un’espressione lvalue. La discussione di ogni operatore specifica se esso si aspetta operandi lvalue
e se produce un lvalue.
A6. Conversioni
In base ai loro operandi, alcuni operatori possono provocare la conversione di un operando da un tipo
all’al-tro. Questa sezione illustra il risultato che ci si deve attendere da queste conversioni. Il paragrafo A6.5
rias-sume le conversioni eseguite dagli operatori più usati; in caso di necessità, esso potrà essere integrato
con la lettura della discussione relativa al singolo operatore.
Quando un valore di tipo intero viene convertito in un floating, ed il valore è rappresentabile ma non
esatta-mente, il risultato può essere sia il primo valore rappresentabile inferiore a quello dato, sia il primo
superio-re. Se il risultato non appartiene alla sfera dei valori rappresentabili, il comportamento è indefinito.
156
In primo luogo, se uno degli operandi è un long double, l’altro viene convertito in un long
dou-ble.
Altrimenti, se uno degli operandi è un double, anche l’altro viene convertito in un double.
Altrimenti, se uno degli operandi è un float, anche l’altro viene convertito in un float.
Altrimenti, su entrambi gli operandi viene eseguita la trasformazione degli interi; quindi, se uno di
essi è un unsigned long int, anche l’altro lo diventa.
Altrimenti, se uno degli operandi è un long int e l’altro è un unsigned int, l’effetto dipende dal
fatto che un long int possa rappresentare tutti i valori di un unsigned int; se questo avviene, lo
operando unsigned int viene convertito in long int; in caso contrario, entrambi vengono
trasfor-mati in unsigned long int.
Altrimenti, se un operando è un long int, anche l’altro viene convertito in un long int.
Altrimenti, se un operando è un unsigned int, anche l’altro viene convertito in un unsigned int.
Altrimenti, entrambi gli operandi sono di tipo int.
A questo proposito sono state fatte due modifiche. In primo luogo, l’aritmetica sugli operandi float può avvenire in singola
pre-cisione, invece che in doppia; la prima edizione specificava che tutta l’aritmetica sui floating lavorava in doppia precisione.
In secondo luogo, i tipi privi di segno più piccoli, quando vengono combinati con interi più grandi, non propagano il loro essere
privi di segno al tipo risultante; nella prima edizione, il tipo privo di segno dominava sempre. Le nuove regole sono leggermente
più complesse, ma riducono in un certo senso le “sorprese” che si possono avere quando una quantità priva di segno opera
insieme ad una con segno. Risultati inattesi si possono ancora verificare, quando un’espressione priva di segno viene
confrontata con una con segno della stessa dimensione.
Due puntatori ad oggetti di medesimo tipo, appartenenti allo stesso vettore, possono essere sottratti; il
risul-tato viene convertito in un intero, secondo quando specificato per l’operatore di sottrazione (paragrafo
A7.7). Un’espressione costante intera con valore 0, o un’espressione di questo tipo forzata al tipo void *,
può essere convertita per mezzo di un casting, di un assegnamento o di un confronto, ad un puntatore di
qualsiasi tipo. Questo produce un puntatore nullo uguale ad un puntatore nullo dello stesso tipo, ma diverso
da qualsiasi puntatore ad una funzione o ad un oggetto.
Sui puntatori sono consentite alcune altre conversioni, che comprendono però degli aspetti legati
all’imple-mentazione. Queste conversioni devono essere specificate tramite un operatore esplicito di
conversione di tipo, oppure tramite un casting (paragrafi A7.5 e A8.8).
Un puntatore può essere convertito in un tipo intero sufficientemente grande da contenerlo; l’ampiezza
ne-cessaria e la funzione di trasformazione dipendono dall’implementazione.
Un oggetto di tipo intero può essere esplicitamente convertito in un puntatore. La trasformazione garantisce
che un intero ricavato da un puntatore venga sempre ricondotto al puntatore di partenza, ma è dipendente
dall’implementazione negli altri casi.
Un puntatore ad un tipo può essere convertito ad un puntatore ad un altro tipo. Il puntatore risultante può
provocare errori di indirizzamento se il puntatore di partenza non si riferisce ad un oggetto correttamente
al-lineato in memoria. È garantito che un puntatore ad un tipo possa essere fatto puntare ad un tipo soggetto
a restrizioni di allineamento almeno pari a quelle del tipo dell’oggetto puntato inizialmente; la nozione di
“alli-neamento” dipende dall’implementazione, ma gli oggetti di tipo char sono soggetti ai requisiti di
allinea-mento meno restrittivi. Come si dirà nel paragrafo A6.8, un puntatore può anche essere convertito in
un void * e viceversa, senza che queste operazioni ne modifichino il valore.
Un puntatore ad una funzione può essere convertito in un puntatore ad una funzione di un altro tipo. La
chiamata della funzione specificata dal puntatore convertito dipende dall’implementazione; tuttavia, se il
puntatore convertito viene riportato al suo tipo originario, il risultato è identico al puntatore di partenza.
Un puntatore può essere convertito ad un altro puntatore il cui tipo è uguale a meno della presenza o
assenza di qualificatori sul tipo dell’oggetto puntato. Se i qualificatori sono presenti, il nuovo puntatore è
equivalente al vecchio a meno delle restrizioni ad esso dovute al nuovo qualificatore. In assenza di
quali-ficatori le operazioni sull’oggetto sono governate dai qualificatori presenti nella dichiarazione.
157
A6.7 VOID
Il valore (inesistente) di un oggetto void può non venire utilizzato in alcun modo, ed è anche possibile che
ad esso non vengano mai applicate conversioni esplicite né implicite. Poiché un’espressione void denota
un valore inesistente, essa può essere usata soltanto dove non è richiesto alcun valore, per esempio come
operando sinistro dell’operatore virgola (paragrafo A7.18).
Un’espressione può essere convertita al tipo void usando l’operatore di cast. Per esempio, per rendere
esplicita la volontà di scartare il valore ritornato da una chiamata di funzione usata come espressione.
Pur appartenendo all’uso comune, il tipo void non era presente nella prima edizione di questo libro.
Quest’interpretazione dei puntatori void * è nuova; in precedenza il ruolo dei puntatori generici era ricoperto dal tipo char *.
Lo standard ANSI favorisce, in particolare, la commistione fra puntatori di tipo void * e puntatori ad oggetti all’interno di
assegnamenti ed espressioni relazionali, mentre richiede un casting esplicito per le altre commistioni fra puntatori.
A7. Espressioni
La precedenza degli operatori, nelle espressioni, è rispecchiata dall’ordine delle prossime sezioni, in senso
decrescente. Quindi, per esempio, le espressioni alle quali ci si riferisce come operandi dell’operatore +
(descritto nel paragrafo A7.7) sono quelle discusse nei paragrafi da A7.1 ad A7.6. All’interno di ogni
sotto-sezione, gli operatori hanno la stessa precedenza. L’associatività destra o sinistra viene specificata di
volta in volta. La grammatica incorpora la precedenza e l’associatività degli operatori, e viene riassunta nel
para-grafo A7.13.
Il comitato ANSI ha deciso, in una fase avanzata dei lavori, di limitare la libertà di riordinamento delle espressioni che
coinvolgono operatori matematicamente associativi e commutativi, ma che possono non essere associativi a livello
computazionale. In pratica, le variazioni riguardano soltanto i calcoli in floating-point su valori vicini al limite dell’accuratezza, e
le situazioni nelle quali si può verificare un overflow.
La gestione dell’overflow, i controlli sulle divisioni e le altre eccezioni che si possono verificare durante la
valutazione delle espressioni non sono definite dal linguaggio.
La maggior parte delle attuali implementazioni del C ignora l’overflow nella valutazione di espressioni ed
as-segnamenti su variabili intere con segno, ma questo comportamento non è garantito dallo standard.
Il trattamento della divisione per 0, e di tutte le eccezioni sui floating-point, dipende dall’implementazione;
talvolta esso è regolabile con l’aiuto di una funzione della libreria non-standard.
158
venga usata come operando dell’operatore &, viene convertita nel tipo “puntatore ad una funzione che ritorna
T”. Un’espressione che ha subito una di queste conversioni non è un lvalue.
espressione-primaria
identificatore
costante
stringa
(espressione)
Un identificatore è un’espressione primaria, purché sia stato dichiarato correttamente, secondo quanto
de-scritto in precedenza. Il suo tipo è specificato dalla sua dichiarazione. Un identificatore è un lvalue se si
rife-risce ad un oggetto (paragrafo A5) e se il suo tipo è aritmetico, struttura, union o procedure.
Una costante è un’espressione primaria. Il suo tipo dipende dal suo formato, discusso nel paragrafo A2.5.
Una stringa letterale è un’espressione primaria. Il suo tipo originario è “vettore di char” (per le stringhe di
caratteri estesi, il tipo è “vettore di wchar_t”) ma, in base alle regole illustrate nel paragrafo A7.1, questo
ti-po viene di solito modificato in “puntatore a char” (wchar_t), ed il risultato è un puntatore al primo
caratte-re della stringa. Per alcuni inizializzatori (si veda il paragrafo A8.7), questa conversione può non
avvenire.
Un’espressione racchiusa fra parentesi è un’espressione primaria, il cui tipo ed il cui valore sono identici a
quelli dell’espressione senza parentesi, la presenza delle quali non influisce sul fatto che l’espressione sia
un lvalue o meno.
espressione-postfissa:
espressione-primaria
espressione-postfissa [espressione]
espressione-postfissa (lista-argomenti-espressioneopt)
espressione-postfissa .identificatore
espressione-postfissa ->identificatore
espressione-postfissa ++
espressione-postfissa –
lista-argomenti-espressione:
espressione-assegnamento
lista-argomenti-espressione, espressione-assegnamento
Un’espressione postfissa seguita da un’espressione fra parentesi quadre è un’espressione che denota un
riferimento ad un vettore. Una delle due espressioni dev’essere di tipo “puntatore a T”, dove T è un tipo
par-ticolare, e l’altra dev’essere di tipo intero; il tipo dell’espressione con indice è T. L’espressione E1[E2] è
identica (per definizione) a *((E1)+(E2)). Il paragrafo A8.6.2 approfondisce questo argomento.
Una chiamata di funzione è un’espressione postfissa, detta designatore di funzione, seguita da parentesi
tonde che racchiudono una lista (che può anche essere vuota) di espressioni di assegnamento separate da
virgole (paragrafo A7.17); queste espressioni costituiscono gli argomenti della funzione. Se l’espressione
postfissa è composta da un identificatore che non ha dichiarazione nello scope corrente, l’identificatore
159
stesso viene implicitamente dichiarato come se, nel blocco più interno contenente la chiamata di funzione,
fosse stata data la dichiarazione.
Nella prima edizione, il tipo era semplicemente “funzione” e, per passare ad un puntatore a funzione, era necessario ricorrere
ad un operatore * esplicito. Lo standard ANSI favorisce l’impiego dei compilatori già esistenti consentendo l’utilizzo della stessa
sintassi per le chiamate sia alle funzioni che ai puntatori a funzione. La vecchia sintassi, cioè, è ancora adottabile.
Un’espressione passata con una chiamata di funzione è detta argomento; il termine parametro indica invece
un oggetto in input (od il suo identificatore) ricevuto da una definizione di funzione o descritto in una
dichiarazione di funzione. Talvolta, per indicare la stessa distinzione, vengono utilizzati rispettivamente i
termini “argomento (parametro) attuale” e “argomento (parametro) formale”.
In preparazione ad una chiamata di funzione, di ogni argomento viene fatta una copia; tutto il passaggio di
argomenti avviene infatti per valore. Una funzione può modificare i valori dei suoi parametri, che sono delle
copie degli argomenti, ma queste modifiche non possono influire sui valori degli argomenti stessi. Tuttavia, è
possibile passare anche un puntatore, così che la funzione possa cambiare il valore dell’oggetto puntato.
Esistono due modi di dichiarare una funzione. Secondo la sintassi più recente, i tipi dei parametri sono
espliciti e fanno parte del tipo della funzione; una simile dichiarazione è detta anche prototipo della
funzio-ne. Nella sintassi originaria, i tipi dei parametri non vengono specificati. La dichiarazione di funzione è
di-scussa nei paragrafi A8.6.3 e A10.1.
Se la dichiarazione di una funzione nello scope di una particolare chiamata è di tipo vecchio, agli argomenti
vengono applicate le trasformazioni seguenti: su ogni argomento di tipo intero viene eseguita la
trasforma-zione degli interi (paragrafo A6.1), ed ogni argomento float viene convertito in un double.
L’effetto della chiamata è indefinito se il numero di argomenti non concorda con il numero di parametri
presenti nella defi-nizione della funzione, o se il tipo di un argomento, dopo le trasformazioni, è diverso da
quello del parame-tro corrispondente. Il controllo sulla consistenza dei tipi dipende dal fatto che la
definizione di funzione sia scritta secondo il vecchio od il nuovo stile. Se essa è nello stile vecchio, il
controllo avviene tra il tipo tra-sformato dell’argomento della chiamata, e quello trasformato del parametro;
se la definizione è nello stile nuovo, il tipo trasformato dell’argomento dev’essere uguale a quello del
parametro.
Se la dichiarazione di una funzione nello scope di una particolare chiamata è di tipo nuovo, gli argomenti
vengono convertiti ai tipi dei parametri corrispondenti nel prototipo della funzione. Il numero degli argomenti
dev’essere pari a quello dei parametri, a meno che la lista di questi ultimi non termini con la notazione (,
...). In questo caso, il numero degli argomenti dev’essere uguale o maggiore al numero dei parametri; gli
argomenti in eccesso rispetto ai parametri con tipo esplicito vengono convertiti in base alle regole descritte
nei paragrafi precedenti. Se la definizione di funzione è nello stile vecchio, il tipo di ogni parametro nel
pro-totipo visibile alla chiamata dev’essere in accordo con il corrispondente parametro nella definizione,
dopo che la definizione del tipo nei parametri è stata sottoposta alla trasformazione degli argomenti.
Queste regole sono particolarmente complesse perché devono supportare una commistione, da evitare quando possibile, fra
vecchio e nuovo stile.
L’ordine di valutazione degli argomenti non è specificato; prendete quindi nota del fatto che i vari compilato-ri
possono comportarsi in modo diverso. Tuttavia, gli argomenti ed il designatore di funzione vengono
com-pletamente valutati, compresi i loro effetti collaterali, prima di entrare nella funzione. Sono consentite le
chiamate ricorsive a qualsiasi funzione.
160
è del membro. L’espressione è un lvalue se la prima espressione lo è, e se il tipo della seconda espressione
non è un vettore.
Un’espressione postfissa seguita da una freccia (composta dai segni – e >) e da un identificatore è ancora
un’espressione postfissa. L’espressione che funge da primo operando dev’essere un puntatore ad una
struttura o ad una union, della quale l’identificatore individua un membro. Il risultato si riferisce al membro
specificato della struttura o union puntata dal primo operando, ed il suo tipo è quello del membro; il risultato
è un lvalue se il tipo non è un vettore.
Quindi l’espressione E1->MOS è uguale a (*E1).MOS. Le strutture e le union sono discusse nel paragrafo
A8.3.
Nella prima edizione di questo libro, esisteva già la regola secondo la quale il nome del membro specificato deve appartenere
alla struttura o union presente nell’espressione postfissa; tuttavia, una nota ammetteva che questa regola non era ferrea. I
compilatori più recenti, ed anche lo standard ANSI, la rafforzano.
espressione-unaria:
espressione-postfissa
++espressione-unaria
--espressione-unaria
operatore-unario espressione-casting
sizeof espressione-unaria
sizeof (nome-di-tipo)
L’operatore unario & preleva l’indirizzo del suo operando, che dev’essere un lvalue e non si deve riferire ad
un field né ad un oggetto dichiarato register; in alternativa, lvalue può essere anche un tipo di funzione. Il
risultato è un puntatore all’oggetto o funzione riferito dall’lvalue. Se il tipo dell’operando è T, il tipo del
ri-sultato è “puntatore a T”.
L’operatore unario * indica l’indirezione, e ritorna l’oggetto o funzione a cui punta l’operando. Esso non è un
lvalue se l’operando è un puntatore ad un oggetto di tipo aritmetico, struttura, union o puntatore. Se il tipo
dell’espressione è “puntatore a T”, il tipo del risultato è T.
161
L’operando dell’operatore unario + dev’essere di tipo aritmetico, ed il risultato è il valore dell’operando. Un
operando intero viene sottoposto alla trasformazione degli interi. Il tipo del risultato è il tipo dell’operando
trasformato.
L’operatore unario + è stato introdotto dallo standard ANSI per simmetria con l’operatore – unario.
L’operatore sizeof produce il numero di byte richiesti per la memorizzazione di un oggetto del tipo del suo
operando. L’operando può essere un’espressione, che non viene valutata, oppure un nome di tipo racchiuso
tra parentesi. Quando l’operatore sizeof viene applicato ad un char, il risultato è 1; quando viene
applicato ad un vettore, il risultato è il numero totale di byte del vettore. Se applicato ad una struttura o
union, il risultato è il numero di byte dell’oggetto, compresi eventuali arrotondamenti dovuti ad esigenze di
allineamento; l’ampiezza di un vettore di n elementi è n volte la dimensione di un elemento. L’operatore
sizeof non dovrebbe mai essere applicato ad un operando di tipo funzione, o di tipo incompleto oppure ad
un field. Il risultato è una costante intera priva di segno; il suo particolare tipo dipende dall’implementazione.
L’header standard <stddef.h> (Appendice B) definisce questo tipo come size_t.
A7.5 Cast
Un’espressione unaria preceduta da un nome di tipo racchiuso fra parentesi tonde provoca una conversione
del valore dell’espressione nel tipo specificato.
espressione-casting:
espressione-unaria
(nome-tipo) espressione-casting
Questa costruzione è detta cast. I nomi dei tipi sono descritti nel paragrafo A8.8. Gli effetti delle conversioni
sono invece discussi nel paragrafo A6. Un’espressione con un cast non è un lvalue.
espressione-moltiplicativa:
espressione-casting
espressione-moltiplicativa * espressione-casting
espressione-moltiplicativa / espressione-casting
espressione-moltiplicativa % espressione-casting
162
Gli operandi di * e / devono essere di tipo aritmetico; gli operandi di % devono essere di tipo intero. Su tutti
gli operandi vengono applicate le conversioni aritmetiche usuali, che determinano anche il tipo del risultato.
L’operatore binario / produce il quoziente, e l’operatore % il resto della divisione del suo primo operando per
il secondo; se quest’ultimo è 0, il risultato è indefinito. Altrimenti, è sempre vero che (a/b)*b+a%b è uguale
ad a. Se entrambi gli operandi sono non negativi, allora il resto non è negativo e più piccolo del divisore; se
non lo sono, viene garantito che il valore assoluto del resto sia inferiore al valore assoluto del divisore.
espressione-additiva:
espressione-moltiplicativa
espressione-additiva + espressione-moltiplicativa
espressione-additiva – espressione-moltiplicativa
La gestione dei puntatori immediatamente dopo la fine del vettore è nuova. Essa legittima un idioma comune, da tempo
utilizzato per la scansione dei vettori.
Il risultato dell’operatore – è la differenza dei suoi operandi. Un valore di qualsiasi tipo intero può essere
sottratto da un puntatore, ed a questa operazione si applicano tutte le condizioni illustrate nel caso
dell’ad-dizione.
Se si sottraggono fra loro due puntatori ad oggetti dello stesso tipo, il risultato è un intero con segno, che
rappresenta la distanza fra i due oggetti puntati; i puntatori ad oggetti adiacenti differiscono di 1. Il tipo del
risultato dipende dall’implementazione, ma è definito come ptrdiff_t nell’header standard <stddef.h>.
Il valore è indefinito a meno che i puntatori non puntino ad oggetti appartenenti ad uno stesso vettore; se,
però, P punta all’ultimo elemento di un vettore, l’espressione (P+1)-P ha valore 1.
espressione-shift:
espressione-additiva
espressione-shift << espressione-additiva
espressione-shift >> espressione-additiva
Il valore di E1<<E2 è E1 (interpretato come sequenza di bit) shiftato a sinistra di E2 posizioni; in assenza di
overflow, questo equivale ad una moltiplicazione per 2^E2. Il valore di E1>>E2 è E1 shiftato a destra di E2
posizioni. Lo shift a destra equivale ad una divisione per 2^E2 se E1 è privo di segno o se ha comunque
valore non negativo; altrimenti, il risultato è definito dall’implementazione.
163
A7.9 Operatori Relazionali
Gli operatori relazionali si raggruppano da sinistra a destra, ma ciò non è utile; a<b<c viene trattato come
(a<b)<c, e a<b vale sempre 0 o 1.
espressione-relazionale
espressione-shift
espressione-relazionale < espressione-shift
espressione-relazionale > espressione-shift
espressione-relazionale <= espressione-shift
espressione-relazionale >= espressione-shift
Gli operatori < (minore di), > (maggiore di), <= (minore o uguale a) e >= (maggiore o uguale a) producono 0
se la relazione specificata è falsa, 1 altrimenti. Il tipo del risultato è int. Sugli operandi aritmetici vengono
applicate le conversioni aritmetiche usuali. I puntatori ad oggetti dello stesso tipo, ignorando qualsiasi
quali-ficatore, possono essere confrontati; il risultato dipende dalla collocazione relativa dei puntatori nello
spazio di indirizzamento degli oggetti puntati. Il confronto fra puntatori è definito soltanto per parti di uno
stesso og-getto: se due puntatori puntano allo stesso oggetto, essi sono uguali; se puntano a membri di una
stessa struttura, i puntatori ai membri dichiarati prima sono i minori; se puntano a membri di una stessa
union, essi risultano uguali; se i puntatori si riferiscono ad elementi di un vettore, il confronto equivale ad un
confronto degli indici corrispondenti. Se P punta all’ultimo membro di un vettore, allora P+1 risulta maggiore
di P, an-che se esce dal vettore. In tutti gli altri casi, il confronto fra puntatori è indefinito.
Queste regole diminuiscono leggermente le restrizioni imposte nella prima edizione di questo libro, consentendo il confronto fra
puntatori a differenti membri di una struttura o union. Essi legalizzano anche il confronto con un puntatore che cade appena
oltre la fine di un vettore.
Gli operatori == (uguale a) e != (diverso da) sono analoghi agli operatori relazionali, eccetto che per la loro
precedenza, più bassa (quindi, a<b == c<d vale 1 ogni volta che a<b e c<d hanno lo stesso valore di
verità).
Gli operatori di uguaglianza seguono le stesse regole degli operatori relazionali, ma forniscono possibilità
aggiuntive: un puntatore può essere confrontato con un’espressione costante intera con valore 0, o con un
puntatore a void. Si veda, a questo proposito, il paragrafo A6.6.
Vengono applicate le conversioni aritmetiche usuali; il risultato è la funzione AND bit a bit degli operandi. Lo
operatore si applica soltanto ad operandi di tipo intero.
Vengono applicate le conversioni aritmetiche usuali; il risultato è la funzione OR esclusivo bit a bit degli
operandi. L’operatore si applica soltanto ad operandi di tipo intero.
164
espressione-OR-inclusivo:
espressione-OR-esclusivo
espressione-OR-inclusivo | espressione-OR-esclusivo
Vengono applicate le conversioni aritmetiche usuali; il risultato è la funzione OR inclusivo bit a bit degli
ope-randi. L’operatore si applica soltanto ad operandi di tipo intero.
L’operatore && si raggruppa da sinistra a destra. Esso ritorna 1 se entrambi gli operandi sono diversi da
ze-ro, 0 altrimenti. Diversamente da &, && garantisce una valutazione da sinistra a destra: il primo operando
viene valutato, inclusi i suoi effetti collaterali; se esso risulta uguale a zero, il valore dell’intera espressione è
0. Altrimenti, viene valutato l’operando di destra e, se è nullo, il valore dell’intera espressione è 0, altri-menti
è 1.
Non è necessario che gli operandi siano dello stesso tipo, purché essi siano tutti di tipo aritmetico o
punta-tore. Il risultato è di tipo int.
L’operatore || si raggruppa da sinistra a destra. Esso ritorna 1 se uno dei suoi operandi è diverso da zero, 0
altrimenti. Diversamente da |, || garantisce una valutazione da sinistra a destra: il primo operando viene
valutato, inclusi i suoi effetti collaterali; se esso risulta diverso da zero, il valore dell’intera espressione è 1.
Altrimenti, viene valutato l’operando di destra e, se non è nullo, il valore dell’intera espressione è 1,
altri-menti è 0.
Non è necessario che gli operandi siano dello stesso tipo, purché essi siano tutti di tipo aritmetico o
punta-tore. Il risultato è di tipo int.
Viene valutata, compresi gli effetti collaterali, la prima espressione; se risulta diversa da 0, il risultato è il
valore della seconda espressione, altrimenti quello della terza. Soltanto una delle ultime due espressioni
viene valutata. Se esse sono di tipo aritmetico, vengono ridotte ad un tipo comune tramite l’impiego delle
conversioni aritmetiche usuali, e questo tipo è anche quello del risultato. Se entrambe le espressioni sono di
tipo void, o sono strutture o union dello stesso tipo, o puntatori ad oggetti dello stesso tipo, il risultato è del
tipo comune. Se un’espressione è un puntatore e l’altra è la costante 0, lo 0 viene convertito nel tipo
puntatore, che è anche il tipo del risultato. Se un’espressione è un puntatore a void e l’altra è un puntatore
di tipo diverso, quest’ultima viene convertita a void, che è anche il tipo del risultato.
Nel confronto fra i tipi dei puntatori, tutti i qualificatori di tipo (paragrafo A8.2) degli oggetti puntati sono non
significativi, ma il tipo del risultato riguarda i qualificatori di entrambi i rami della condizione.
165
espressione-assegnamento:
espressione-condizionale
espressione-unaria operatore-assegnamento espressione-assegnamento
Tutti, come operando sinistro, richiedono un lvalue modificabile; esso non dev’essere un vettore, e non deve
avere un tipo incompleto o essere una funzione. Inoltre, il suo tipo non deve possedere il qualificatore
const; se esso è una struttura o una union, neppure i suoi membri possono essere qualificati come const.
Il tipo di un’espressione di assegnamento è quello del suo operando di sinistra, ed il suo valore è quello
re-gistrato in esso dopo che l’assegnamento ha avuto luogo.
Nell’assegnamento semplice con =, il valore dell’espressione sostituisce quello dell’oggetto al quale lvalue si
riferisce. Deve sempre essere verificata una delle seguenti condizioni: entrambi gli operandi sono di tipo
aritmetico, nel qual caso l’operando di destra viene convertito al tipo di quello di sinistra; entrambi gli
opera-tori sono strutture o union dello stesso tipo; un operando è un puntatore, e l’altro è un puntatore a
void; lo operando sinistro è un puntatore e l’operando destro è un’espressione costante con valore 0;
entrambi gli operandi sono puntatori a funzioni od oggetti i cui tipi sono uguali, a meno di una possibile
assenza dei qualificatori const e volatile nell’operando destro.
Un’espressione della forma E1op=E2 equivale a E1=E1op(E2), ad eccezione del fatto che, nella prima
for-ma, E1 viene valutata una sola volta.
Una coppia di espressioni separate da una virgola viene valutata da sinistra a destra, ed il valore della
espressione di sinistra viene scartato. Il tipo ed il valore del risultato sono quelli dell’espressione di destra.
Tutti gli effetti collaterali dell’espressione di sinistra vengono valutati prima della valutazione dell’operando
destro. Nei contesti nei quali la virgola ha un significato particolare, come per esempio una lista degli
argo-menti di una funzione (paragrafo A7.3.2) o una lista di inizializzatori (paragrafo A8.7), l’unità sintattica
ri-chiesta è un’espressione di assegnamento, in modo che l’operatore virgola compaia soltanto in un
raggrup-pamento; per esempio,
espressione-costante:
espressione-condizionale
Le espressioni costanti sono necessarie in diversi contesti: dopo un case, come limiti di un vettore e come
lunghezze dei field, come valore di una costante enumerativa, negli inizializzatori ed in alcune espressioni
del preprocessor.
166
Una maggiore libertà viene concessa per le espressioni costanti di inizializzatori; gli operandi possono
essere costanti di qualsiasi tipo, e l’operatore unario & può venire applicato ad oggetti statici od esterni, ed a
vettori statici od esterni indicizzati tramite un’espressione costante. L’operatore unario & può venire
appli-cato implicitamente utilizzando vettori non indicizzati o funzioni. Gli inizializzatori, una volta valutati,
devono produrre una costante oppure l’indirizzo di un oggetto, precedentemente dichiarato statico o esterno,
più o meno una costante.
Una libertà minore è concessa sulle espressioni costanti intere che seguono un #if; le espressioni
conte-nenti sizeof, casting e costanti enumerative non sono consentite. Si veda, a questo proposito, il
paragrafo A12.5.
A8. Dichiarazioni
dichiarazione:
specificatori-dichiarativi lista-dichiaratori-inizialiopt;
I dichiaratori nella lista-dichiaratori-iniziali contengono gli identificatori che devono essere dichiarati; gli
spe-cificatori-dichiarativi consistono in una sequenza di specificatori di tipo e di classe di memoria.
specificatori-dichiarativi:
specificatore-classe-memoria specificatori-dichiarativiopt
specificatore-tipo specificatori-dichiarativiopt
qualificatore-tipo specificatori-dichiarativiopt
lista-dichiaratori-iniziali:
dichiaratore-iniziale
lista-dichiaratori-iniziali, dichiaratore-iniziale
dichiaratore-iniziale:
dichiaratore
dichiaratore = inizializzatore
I dichiaratori verranno discussi nel paragrafo A8.5; essi contengono i nomi che devono essere dichiarati.
Una dichiarazione deve avere almeno un dichiaratore, oppure il suo tipo deve dichiarare un tag di una
strut-tura o di una union, oppure i membri di un’enumerazione; le dichiarazioni vuote non sono permesse.
specificatore-classe-memoria:
auto
register
static
extern
typedef
Gli specificatori auto e register inseriscono nella classe di memoria automatica gli oggetti ai quali si
rife-riscono, e dovrebbero essere utilizzati soltanto all’interno delle funzioni. Queste dichiarazioni fungono
anche da definizioni, e riservano la memoria per gli oggetti dichiarati. Una dichiarazione register equivale
ad una auto, ma suggerisce che gli oggetti interessati verranno usati spesso. Soltanto pochi oggetti
vengono realmente memorizzati nei registri, e solo per alcuni tipi questo è possibile; le restrizioni in proposito
dipendono dall'implementazione. In ogni caso, se un oggetto è dichiarato register, l’operatore unario &
non può esservi applicato, né esplicitamente né implicitamente.
167
La regola secondo la quale è scorretto prelevare l’indirizzo di un oggetto dichiarato register, ma che in realtà è di tipo auto,
è nuova.
Lo specificatore static inserisce nella classe di memoria statica gli oggetti ai quali si riferisce, e può veni-re
utilizzato sia all’interno che all’esterno delle funzioni. All’interno di una funzione, esso provoca l’allocazio-ne
di memoria e funge da definizione; per i suoi effetti all’esterno di una funzione, si veda il paragrafo A11.2.
Una dichiarazione comprendente lo specificatore extern, usata all’interno di una funzione, specifica che la
memoria per gli oggetti dichiarati è definita altrove; per i suoi effetti all’esterno delle funzioni, si veda il
para-grafo A11.2.
Lo specificatore typedef non riserva memoria, e viene chiamato specificatore di classe di memoria solo per
convenienza sintattica; esso verrà discusso nel paragrafo A8.9.
Una dichiarazione può comprendere al più uno specificatore. Se questo non compare, vengono applicate le
seguenti regole: gli oggetti dichiarati all’interno di una funzione vengono considerati auto; le funzioni
di-chiarate all’interno di altre funzioni vengono considerate extern; gli oggetti e le funzioni dichiarati al di
fuo-ri di qualsiasi funzione vengono considerati static, con linkaggio esterno (si vedano i paragrafi A10 e
A11).
specificatore-tipo:
void
char
short
int
long
float
double
signed
unsigned
specificatore-struttura-o-union
specificatore-enumerativo
nome-typedef
Insieme ad int può essere specificata al più una fra le parole long e short; il significato non cambia se
int non viene menzionato. La parola long può comparire insieme a double. Gli specificatori signed e
unsigned sono mutuamente esclusivi, e possono comparire insieme ad int o a qualsiasi sua variante
long e short, oltre che insieme a char. Se compaiono da soli, si assume che il tipo sottinteso sia int. Lo
specificatore signed è utile per forzare la presenza del segno negli oggetti di tipo char; con gli altri tipi
in-teri esso è consentito ma ridondante.
In tutti gli altri casi, una dichiarazione può contenere al più uno specificatore. Se esso viene omesso, si
as-sume che venga sottinteso lo specificatore int.
Anche i tipi possono venire qualificati, allo scopo di indicare proprietà speciali degli oggetti che vengono
dichiarati.
qualificatore-tipo:
const
volatile
I qualificatori di tipo possono comparire a fianco di qualsiasi specificatore. Un oggetto const dovrebbe
sempre venire inizializzato, ma mai più modificato. Per gli oggetti qualificati volatile non esistono
se-mantiche indipendenti dall’implementazione.
Le proprietà const e volatile sono novità introdotte dallo standard ANSI. Lo scopo del qualificatore const è quello di
indicare oggetti che devono essere posti in memoria a sola lettura consentendo, in alcuni casi, una certa ottimizzazione. Lo
168
scopo del qualificatore volatile è invece quello di eliminare l’ottimizzazione che si potrebbe avere. Per esempio, per una
macchina con un input / output mappato in memoria, un puntatore ad un registro di device potrebbe essere qualificato come
volatile, per impedire che il compilatore rimuova riferimenti, apparentemente ridondanti effettuati tramite questo puntatore.
Un compilatore può ignorare questi qualificatori, anche se dovrebbe comunque segnalare eventuali tentativi espliciti di
modificare oggetti const.
specificatore-struttura-o-union:
struttura-o-union identificatoreopt {lista-dichiarazione-struttura}
struttura-o-union identificatore
struttura-o-union:
struct
union
Una lista-dichiarazione-struttura è una sequenza di dichiarazioni dei membri della struttura o union:
lista-dichiarazione-struttura:
dichiarazione-struttura
lista-dichiarazione-struttura dichiarazione-struttura
dichiarazione-struttura:
lista-specificatori-qualificatori
lista-dichiaratore-struttura;
lista-specificatori-qualificatori:
specificatore-tipo lista-specificatori-qualificatoriopt
qualificatore-tipo lista-specificatori-qualificatoriopt
lista-dichiaratore-struttura:
dichiaratore-struttura
lista-dichiaratore-struttura, dichiaratore-struttura
Normalmente, un dichiaratore-struttura non è altro che un dichiaratore per un membro di una struttura o
union. Un membro di una struttura può consistere anche in un numero specificato di bit. In questo caso il
membro è chiamato anche bit-field, o semplicemente field; la sua lunghezza è separata dal suo nome
trami-te un due punti.
dichiaratore-struttura:
dichiaratore
dichiaratoreopt : espressione-costante
dichiara che l’identificatore è il tag della struttura o union specificata dalla lista. Una dichiarazione
successi-va, nello stesso scope od in uno più interno, può riferirsi allo stesso tipo utilizzando il tag in uno
specificato-re senza lista:
struttura-o-union identificatore
Se, quando il tag non è dichiarato, compare uno specificatore con il tag stesso ma senza lista, si ha la
defi-nizione di un tipo incompleto. Gli oggetti con un tipo struttura o union incompleto possono essere
utilizzati nei contesti nei quali non è necessaria la loro dimensione, per esempio nelle dichiarazioni (non nelle
defini-zioni), per specificare un puntatore o per creare una typedef, ma non in tutti gli altri casi. Il tipo
diventa completo al momento della successiva occorrenza di quel tag in uno specificatore, contenente una
lista di dichiarazioni. Anche negli specificatori aventi una lista, il tipo struttura o union può essere dichiarato
169
in mo-do incompleto nella lista, e diventa completo soltanto in corrispondenza della parentesi } che termina
lo specificatore.
Una struttura non può contenere un membro di tipo incompleto. Quindi, è impossibile dichiarare una
struttu-ra o union contenente un’istanza in se stessa. Tuttavia, una volta dato un nome alla struttura o union,
i tag consentono di creare strutture ricorsive; una struttura o union può contenere un puntatore ad un’istanza
di se stessa, perché si possono dichiarare puntatori a tipi incompleti.
struttura-o-union identificatore ;
viene applicata una regola molto particolare. Queste dichiarazioni specificano una struttura o union, ma non
contengono lista di dichiarazione né dichiaratori. Anche se l’identificatore è il tag di una struttura o union
di-chiarata in uno scope più esterno (paragrafo A11.1), questa dichiarazione crea, nello scope corrente, un
nuovo tag per un tipo struttura o union incompleto.
Questa strana regola è stata introdotta dallo standard ANSI. Il suo scopo è quello di consentire il trattamento di strutture
mutuamente ricorsive dichiarate in uno scope più interno, ma i cui tag possono essere stati dichiarati in uno scope più esterno.
Uno specificatore di struttura o union con una lista ma senza tag crea un tipo unico; esso può essere riferito
direttamente soltanto nella dichiarazione alla quale appartiene.
I nomi dei membri ed i tag non sono in conflitto con alcuna delle altre variabili ordinarie. Uno stesso nome di
un membro non può comparire due volte in una stessa struttura o union, ma può essere utilizzato in
struttu-re o union diverse.
Nella prima edizione di questo libro, i nomi dei membri di strutture e union non erano associati a quelli dei loro “genitori”.
Tuttavia, quest’associazione era già comune nei compilatori che hanno preceduto la definizione dello standard ANSI.
Un membro di una struttura o union che non sia un field può contenere oggetti di qualsiasi tipo. Un field (che
non ha bisogno di alcun dichiaratore e, quindi, può anche essere privo di nome) è di tipo int, unsi-gned
int o signed int, e viene interpretato come oggetto di tipo intero della lunghezza specificata in bit; il fatto
che un field di tipo int venga considerato con o senza segno dipende dall’implementazione. I field adiacenti
vengono unificati in unità di memoria ed in una direzione dipendenti dall’implementazione. Quan-do un field
che ne segue un altro non può essere contenuto in un’unità di memoria già parzialmente occupata,
quest’ultima può essere riempita di zeri, oppure il field può venire spezzato. Un field senza nome con
ampiezza 0 forza il riempimento, in modo che il field seguente si trovi all’inizio della successiva unità di
allocazione.
Lo standard ANSI rende i field ancora più dipendenti dall’implementazione di quanto non lo fossero nella prima edizione. È
consigliabile considerare le regole di gestione dei field come dipendenti dall’implementazione. Le strutture contenenti field
possono essere utilizzate in modo portabile per tentare di ridurre la memoria richiesta da una struttura (con un probabile
aumento delle istruzioni e del tempo necessario per accedere ai field), oppure in modo non portabile per descrivere la memoria
a livello di bit. In quest’ultimo caso, è necessario comprendere a fondo le regole dell’implementazione locale.
I membri di una struttura hanno indirizzi crescenti nell’ordine delle dichiarazioni. Un membro di una struttura
che non sia un field è allineato al limite di indirizzamento dipendente dal suo tipo; quindi, nella struttura
pos-siamo trovare buchi privi di nome. Se un puntatore ad una struttura viene forzato al tipo di un puntatore
al suo primo membro, il risultato si riferisce al primo membro della struttura.
Una union può essere vista come una struttura i cui membri si trovano tutti ad un offset 0, e la cui ampiezza
è sufficiente a contenere uno qualsiasi dei suoi membri. In un particolare istante, in una union può essere
memorizzato al più uno dei suoi membri. Se un puntatore ad una union viene forzato al tipo di un puntatore
ad un membro, il risultato si riferisce a quel membro.
struct tnode {
char tword[20];
int count;
struct tnode *left;
struct tnode *right;
170
};
che contiene un vettore di 20 caratteri, un intero e due puntatori a strutture dello stesso tipo. Una volta data
questa dichiarazione, la dichiarazione
afferma che s è una struttura del tipo descritto ed sp è un puntatore ad una struttura di questo tipo. Con
queste dichiarazioni, l’espressione
sp->count
s.left
s.right->tword[0]
si riferisce al primo carattere del membro word del sottoalbero destro di s. In generale, un membro di una
union non dovrebbe venire controllato, a meno che non sia stato assegnato usando lo stesso membro.
Tut-tavia, una garanzia speciale semplifica l’impiego delle union: se una union contiene diverse strutture che
condividono una stessa sequenza iniziale, e se in un certo istante contiene una di queste strutture, è
possi-bile riferirsi alla parte iniziale comune di una qualsiasi delle strutture contenute. Per esempio, il
seguente frammento di codice è corretto:
union {
struct {
int type;
}n;
struct {
int type;
int intnode;
}ni;
struct {
int type;
float floatnode;
}nf;
}u;
....
u.nf.type=FLOAT;
u.nf.floatnode=3.14;
....
if (u.n.type==FLOAT)
...sin(u.nf.floatnode) ...
8.4 Enumerazioni
Le enumerazioni sono tipi unici, che assumono valori all’interno di un insieme di costanti chiamate
enume-ratori. La forma di uno specificatore enumerativo deriva da quelle delle strutture e delle union.
specificatore-enumerativo:
enum identificatoreopt {lista-enumeratori}
enum identificatore
lista-enumeratori:
enumeratore
lista-enumeratori, enumeratore
enumeratore:
identificatore
171
identificatore = espressione-costante
In una lista di enumeratori, gli identificatori sono dichiarati come costanti di tipo int, e possono apparire in
tutti i punti nei quali possono apparire le costanti. Se non compaiono enumeratori con =, i valori delle
co-stanti corrispondenti iniziano dallo 0 ed aumentano di 1 mano a mano che la dichiarazione viene letta da
si-nistra a destra. Un enumeratore contenente un = assegna all’identificatore associato il valore specificato;
gli identificatori successivi continuano la progressione a partire dal valore assegnato.
I nomi degli enumeratori all’interno di uno stesso scope devono essere diversi dagli altri enumeratori e dai
nomi delle variabili ordinarie, anche se i valori possono non essere distinti.
Il ruolo dell’identificatore in uno specificatore enumerativo è analogo a quello del tag in uno specificatore di
struttura; esso denomina una particolare enumerazione. Le regole per gli specificatori enumerativi con e
senza tag e liste sono uguali a quelle per le strutture o union, ad eccezione del fatto che non esistono i tipi
enumerativi incompleti; il tag di uno specificatore enumerativo senza una lista di enumeratori deve riferirsi ad
uno specificatore avente una lista ed appartenente allo stesso scope.
Le enumerazioni sono una novità rispetto alla prima edizione di questo libro, anche se fanno parte del linguaggio già da alcuni
anni.
A8.5 Dichiaratori
I dichiaratori hanno la seguente sintassi:
dichiaratore:
puntatoreopt dichiaratore-diretto
dichiaratore-diretto:
identificatore
(dichiaratore)
dichiaratore-diretto (espressione-costanteopt)
dichiaratore-diretto (lista-tipo-parametri)
dichiaratore-diretto (lista-identificatoriopt)
puntatore:
* lista-qualificatori-tipoopt
* lista-qualificatori-tipoopt puntatore
lista-qualificatori-tipo:
qualificatore-tipo
lista-qualificatori-tipo qualificatore-tipo
La struttura dei dichiaratori assomiglia a quella delle espressioni contenenti indirezioni, funzioni e vettori; il
raggruppamento è lo stesso.
Considerando soltanto le parti relative al tipo degli specificatori di dichiarazione (paragrafo A8.2) ed un
par-ticolare dichiaratore, una dichiarazione ha la forma “T D”, dove T è un tipo e D un dichiaratore. Il tipo
attri-buito all’identificatore nelle diverse forme del dichiaratore viene descritto induttivamente usando questa
no-tazione.
In una dichiarazione T D, dove D è un identificatore non racchiuso fra parentesi, il tipo dell’identificatore è T.
172
In una dichiarazione T D, dove D ha la forma
( D1 )
il tipo dell’identificatore in D1 è uguale a quello di D. Le parentesi non alterano il tipo, ma possono modifica-re
i legami di dichiaratori complessi.
* lista-qualificatori-tipoopt D1
int *ap[];
In essa ap[] ricopre il ruolo di D1; una dichiarazione “int ap[]” assegnerebbe ad ap il tipo “vettore di
int”, la lista-qualificatori-tipo è vuota ed il modificatore-tipo è “vettore di”. Invece, la dichiarazione data
as-segna ad ap il tipo “vettore di puntatori ad int”.
che dichiarano un intero i ed un puntatore ad intero, pi. Il valore del puntatore costante cpi non dovrebbe
mai essere modificato; esso punterà sempre alla stessa locazione, anche se il valore al quale si riferisce
potrà variare. L’intero ci è costante, e non dovrebbe mai essere modificato (anche se può essere
inizializ-zato, come nel nostro caso). Il tipo di pci è “puntatore a const int”, e pci può puntare ad oggetti
diversi, che però non devono mai essere alterati tramite riferimenti a pci stesso.
D1[espressione-costanteopt]
Un vettore può essere costruito a partire da un tipo aritmetico, da un puntatore, da una struttura o union o da
un altro vettore (per generare vettori multidimensionali). Il tipo usato per la costruzione del vettore deve
sempre essere completo; esso non può essere un vettore o una struttura di tipo incompleto. Questo implica
che, in un vettore multidimensionale, possa essere tralasciata soltanto la prima dimensione. Il tipo di un
og-getto di un vettore di tipo incompleto è completato da un’altra dichiarazione, completa, dell’oggetto
(para-grafo A10.2), o dalla sua inizializzazione (paragrafo A8.7).
Per esempio,
173
static int x3d[3][5][7];
dichiara un vettore statico tridimensionale, con rango 3*5*7. In particolare, x3d è un vettore di tre elementi,
ognuno dei quali è un vettore di cinque vettori; ognuno di questi ultimi, a sua volta, è un vettore di sette
in-teri. In un’espressione può comparire una qualsiasi delle seguenti forme: x3d, x3d[i], x3d[i][j],
x3d[i][j][k]. Le prime tre forme sono espressioni di tipo “vettore”, mentre la quarta è di tipo int. In
particolare, x2d[i][j] è un vettore di 7 interi, e x3d[i] è un vettore di 5 vettori di 7 interi.
L’operazione di indicizzazione di un vettore è definita in modo che E1[E2] sia identico a *(E1+E2).
Quin-di, nonostante il suo aspetto asimmetrico, l’indicizzazione è un’operazione commutativa. In base alle
regole di conversione che si applicano all’operatore + ed ai vettori (paragrafi A6.6, A7.1 e A7.7), se E1 è un
vettore ed E2 un intero, allora E1[E2] si riferisce all’E2-esimo elemento di E1.
D1(lista-tipo-parametri)
lista-tipo-parametri:
lista-parametri
lista-parametri, ...
lista-parametri:
dichiarazione-parametro
lista-parametri, dichiarazione-parametro
dichiarazione-parametro:
specificatori-dichiarazione dichiaratore
specificatori-dichiarazione dichiaratore-astrattoopt
Nella dichiarazione nel nuovo stile, la lista dei parametri specifica il loro tipo. Come caso speciale, un
di-chiaratore di una funzione di nuovo stile senza parametri ha una lista di tipo dei parametri composta
unica-mente dalla parola chiave void. Se la lista del tipo dei parametri termina con “, ...”, significa che la
fun-zione può accettare più argomenti di quanti non ne siano descritti esplicitamente (paragrafo A7.3.2).
I tipi dei parametri che sono vettori o funzioni vengono trasformati in puntatori, in base alle regole di
conver-sione dei parametri (si veda il paragrafo A10.1). L’unico specificatore di classe di memoria consentito
nello specificatore di dichiarazione dei parametri è register, e questo specificatore viene ignorato a meno
che il dichiaratore di funzione non sia una definizione di funzione. Analogamente, se i dichiaratori delle
dichiara-zioni dei parametri contengono degli identificatori ed il dichiaratore di funzione non è una
definizione, gli identificatori escono immediatamente dallo scope. I dichiaratori astratti, che non si riferiscono
ad alcun iden-tificatore, verranno discussi nel paragrafo A8.8.
D1(lista-identificatoriopt)
174
ed il tipo dell’identificatore nella dichiarazione T D1 è “modificatore-tipo T”, il tipo dell’identificatore D è
“mo-dificatore-tipo funzione con argomenti non specificati che ritorna T”.
lista-identificatori:
identificatore
lista-identificatori, identificatore
Nei dichiaratori in vecchio stile, la lista degli identificatori dev’essere assente, a meno che il dichiaratore non
funga da definizione di funzione (paragrafo A10.1). Nella dichiarazione non viene fornita alcuna
infor-mazione sul tipo dei parametri.
dichiara una funzione f che ritorna un intero, una funzione fpi che ritorna un puntatore ad un intero, ed un
puntatore pfi ad una funzione che ritorna un intero. In nessuna di queste dichiarazioni è specificato il tipo
dei parametri: esso sono tutte dichiarazioni in vecchio stile.
strcpy è una funzione con due argomenti, un puntatore a carattere il primo ed un puntatore a carattere
co-stante il secondo, e che ritorna un int. I nomi dei parametri ne spiegano il significato. La seconda
funzione, rand, non ha argomenti e ritorna un int.
I dichiaratori di funzione con i prototipi dei parametri sono la novità più importante introdotta nel linguaggio dallo standard ANSI.
Ri-spetto ai dichiaratori “vecchio stile” della prima edizione, essi hanno il vantaggio di consentire la rilevazione degli errori e la
forzatura del tipo degli argomenti al momento delle chiamate di funzione, ma ad un prezzo: lo scompiglio e la confusione dovuti
alla loro introduzione, e la necessità di gestire entrambe le forme. Per salvaguardare la compatibilità è stato necessario
introdurre degli artifici particolari, quali per esempio lo specificatore void esplicito per identificare una funzione nuovo stile
senza parametri.
Anche la notazione “, ...”, per funzioni con numero variabile di argomenti, è nuova e, insieme alle macro contenute
nell’header standard <stdarg.h>, formalizza un meccanismo ufficialmente proibito ma, di fatto, adottato dalla prima edizione.
A8.7 Inizializzazione
Quando un oggetto viene dichiarato, il suo dichiaratore-iniziale può specificare un valore iniziale da
asse-gnare all’identificatore dichiarato. L’inizializzatore è preceduto dal segno =, ed è un’espressione oppure
una lista di inizializzatori racchiusi fra parentesi graffe. Per una formattazione precisa, la lista dovrebbe
sempre terminare con una virgola.
inizializzatore:
espressione-assegnamento
{lista-inizializzatori}
{lista-inizializzatori,}
lista-inizializzatori:
inizializzatore
lista-inizializzatori, inizializzatore
175
La prima edizione di questo libro non consentiva l’inizializzazione di strutture, union o vettori automatici. Lo standard ANSI
consen-te quest’operazione, ma soltanto su costrutti costanti, a meno che l’inizializzatore possa essere espresso sotto forma di
singola espressione.
Un oggetto statico (o i suoi membri, se è una struttura o union) non esplicitamente inizializzato viene
inizia-lizzato a 0. Il valore iniziale di un oggetto automatico non esplicitamente inizializzato è indefinito.
L’inizializzatore di una struttura è un’espressione dello stesso tipo, oppure una lista di inizializzatori per i suoi
membri. Se il numero di inizializzatori è inferiore a quello dei membri della struttura, i membri restanti
vengono inizializzati a zero. Non dovrebbero mai esistere più inizializzatori che membri. I membri dei field
privi di nome sono ignorati e non vengono inizializzati.
L’inizializzatore di un vettore è una lista di inizializzatori per i suoi elementi. Se la dimensione del vettore è
sconosciuta, ciò che la determina è il numero degli inizializzatori, ed il tipo del vettore diventa completo. Se il
vettore ha ampiezza fissata, il numero degli inizializzatori non deve superare quello degli elementi del
vet-tore stesso; se gli inizializzatori sono meno degli elementi, quelli in eccesso fra questi ultimi vengono
inizia-lizzati a zero.
Un caso speciale è quello del vettore di caratteri, che può essere inizializzato come una stringa; successivi
caratteri della stringa inizializzano successivi elementi del vettore. Analogamente, un letterale con caratteri
estesi (paragrafo A2.6) può inizializzare un vettore di tipo wchar_t. Se la dimensione del vettore non è
no-ta, essa viene determinata dal numero di caratteri della stringa più il carattere di terminazione (’\0’); se,
invece, l’ampiezza è fissata, il numero di caratteri della stringa, escluso il carattere ’\0’, dev’essere al
massimo pari all’ampiezza stessa.
L’inizializzatore di una union è un’espressione dello stesso tipo, oppure un inizializzatore racchiuso fra
pa-rentesi, per il primo elemento della union.
La prima edizione di questo libro non consentiva l’inizializzazione delle union. La regola del “primo elemento” è grossolana, ma
è difficile generalizzarla senza ricorrere ad una nuova sintassi. In compenso, consentendo l’inizializzazione esplicita delle union,
que-sta regola dello standard ANSI definisce la semantica di union statiche non esplicitamente inizializzate.
Un aggregato è una struttura od un vettore. Se un aggregato contiene, a sua volta, membri di tipo
aggrega-to, le regole di inizializzazione vengono applicate ricorsivamente. Nell’inizializzazione, le parentesi
graffe possono essere tralasciate osservando il seguente criterio: se l’inizializzatore di un membro di un
aggregato che è a sua volta un aggregato inizia con una parentesi graffa sinistra, allora la successiva lista di
inizializ-zatori, separata da una virgola, inizializza i membri del sottoaggregato; quindi, la presenza di un
numero di inizializzatori superiore a quello dei membri costituisce un errore. Se, tuttavia, l’inizializzatore di un
sottoag-gregato non inizia con una parentesi graffa sinistra, allora nella lista vengono considerati soltanto gli
ele-menti necessari ad inizializzare i membri del sottoaggregato; gli elementi restanti inizializzano i membri
suc-cessivi dell’aggregato al quale il sottoaggregato appartiene.
Per esempio,
dichiara ed inizializza x come un vettore monodimensionale con tre elementi, poiché la dimensione non è
stata specificata e sono stati elencati tre inizializzatori.
float y[4][3]={
{1, 3, 5},
{2, 4, 6},
{3, 5, 7},
};
è un’inizializzazione con parentesizzazione completa: 1, 3 e 5 inizializzano la prima riga del vettore, y[0],
cioè gli elementi y[0][0], y[0][1] e y[0][2]. Analogamente vengono inizializzate le righe y[1] e
y[2]. L’inizializzatore termina in anticipo, e quindi gli elementi della riga y[3] vengono inizializzati a 0. Lo
stesso risultato sarebbe stato prodotto dall’inizializzazione:
176
float y[4][3]={
1, 3, 5, 2, 4, 6, 3, 5, 7
};
L’inizializzatore di y inizia con una parentesi graffa sinistra, diversamente dall’inizializzatore di y[0]; quin-di,
per y[0], vengono presi i primi tre elementi della lista. I successivi tre inizializzano y[1] e gli altri y[2]. Il
costrutto
float y[4][3]={
{1}, {2}, {3}, {4}
};
inizializza la prima colonna di y (visto come un vettore bidimensionale) e lascia a zero tutti gli altri elementi.
Infine,
mostra un vettore di caratteri i cui elementi vengono inizializzati con una stringa; la sua dimensione
com-prende il carattere nullo di terminazione.
nome-tipo:
lista-specificatori-qualificatori dichiaratore-astrattoopt
dichiaratore-astratto:
puntatore
puntatoreopt dichiaratore-astratto-diretto
dichiaratore-astratto-diretto:
(dichiaratore-astratto)
dichiaratore-astratto-direttoopt [espressione-costanteopt]
dichiaratore-astratto-direttoopt (lista-tipo-parametriopt)
Nel dichiaratore-astratto è possibile identificare la posizione nella quale dovrebbe apparire l’identificatore se
la costruzione fosse un dichiaratore all’interno di una dichiarazione. Il tipo nominato è allora uguale al ti-po
dell’ipotetico identificatore. Per esempio,
int
int *
int *[3]
int (*)[]
int *()
int (*[])(void)
indicano, rispettivamente, il tipo “intero”, “puntatore ad intero”, “vettore di tre puntatori ad intero”, “puntatore
ad un vettore di un numero imprecisato di interi”, “funzione con parametri imprecisati, che ritorna un
punta-tore ad intero” e “vettore, di ampiezza imprecisata, di puntatori a funzioni prive di parametri, ognuna
delle quali ritorna un intero”.
A8.9 TYPEDEF
177
Le dichiarazioni comprendenti lo specificatore di classe di memoria typedef non dichiarano alcun oggetto;
esse si limitano a definire degli identificatori per particolari tipi di dati. Questi identificatori vengono chiamati
nomi-typedef.
nome-typedef:
identificatore
Una dichiarazione typedef attribuisce, secondo le regole usuali (paragrafo A8.6), un tipo ad ogni nome
compreso nei dichiaratori. Quindi, ogni nome-typedef è sintatticamente identico ad una parola chiave che
specifica un tipo.
le costruzioni
Blockno b;
extern Blockptr bp;
Complex z, *zp;
sono dichiarazioni legali. Il tipo di b è long, quello di bp è “puntatore a long”, e quello di z è la struttura
specificata; zp, infine, è un puntatore ad una struttura di questo tipo.
typedef non introduce nuovi tipi, ma solo dei sinonimi che potrebbero essere specificati anche in altro
mo-do. Nell’esempio, b ha lo stesso tipo di un qualsiasi altro oggetto long.
I nomi-typedef possono venire ridichiarati in uno scope più interno, ma è indispensabile fornire un insieme
non vuoto di specificatori di tipo. Per esempio,
extern Blockno;
lo fa.
Due tipi sono uguali se i loro dichiaratori astratti (paragrafo A8.8), dopo l’espansione dei tipi typedef e la
cancellazione degli identificatori dei parametri delle funzioni, sono uguali nel senso dell’equivalenza fra le
loro liste di specificatori di tipo. Le dimensioni dei vettori ed i tipi dei parametri delle funzioni sono
significa-tivi.
A9. Istruzioni
Ad eccezione di casi specifici, che verranno evidenziati, le istruzioni vengono eseguite in sequenza. Le
istruzioni vengono eseguite per il loro effetto, e non hanno valore proprio. Esse si suddividono in diversi
gruppi.
istruzione:
istruzione-con-label
istruzione-espressione
istruzione-composta
178
istruzione-di-selezione
istruzione-di-iterazione
istruzione-di-salto
istruzione-con-label:
identificatore : istruzione
case espressione-costante : istruzione
default : istruzione
Una label è un identificatore che dichiara l’identificatore stesso. L’unico impiego della label è come target di
un goto. Lo scope dell’identificatore è la funzione corrente. Poiché le label hanno un proprio spazio per il
nome, questo non interferisce con gli altri identificatori e non può essere ridichiarato. Si veda, a questo
pro-posito, il paragrafo A11.1.
Le label case e default vengono usate nell’istruzione switch (paragrafo A9.4). L’espressione costante
associata a case dev’essere di tipo intero.
istruzione-espressione:
espressioneopt;
Molte istruzioni espressione sono assegnamenti o chiamate di funzione. Tutti gli effetti collaterali della
espressione vengono completamente valutati prima che venga eseguita l’istruzione successiva. Se
l’espres-sione manca, la costruzione è detta istruzione nulla, e viene spesso utilizzata per associare un
corpo vuoto ad un’istruzione di iterazione o per collocare una label.
istruzione-composta:
{lista-dichiarazioniopt lista-istruzioniopt}
lista-dichiarazioni:
dichiarazione
lista-dichiarazioni dichiarazione
lista-istruzioni:
istruzione
lista-istruzioni istruzione
Se un identificatore della lista-dichiarazioni si trova anche nello scope all’esterno del blocco, la
dichiarazio-ne esterna al blocco viene tralasciata (paragrafo A11.1) e ripresa all’uscita del blocco. Un
identificatore può essere dichiarato soltanto una volta all’interno di uno stesso blocco. Queste regole si
applicano agli identifi-catori collocati nello spazio di nomi (paragrafo A11); identificatori in spazi di nomi
diversi sono considerati distinti.
L’inizializzazione degli oggetti automatici viene eseguita ogni volta che si entra nel blocco, e segue l’ordine
dei dichiaratori. Se l’ingresso nel blocco non è sequenziale ma avviene a causa di un salto,
179
quest’inizializ-zazione non viene eseguita. Le inizializzazioni degli oggetti static vengono eseguite soltanto
una volta, prima dell’inizio dell’esecuzione del programma.
istruzione-di-selezione:
if (espressione) istruzione
if (espressione) istruzione else istruzione
switch (espressione) istruzione
In entrambe le forme dell’istruzione if l’espressione, che dev’essere di tipo aritmetico o puntatore, viene
valutata, con tutti i suoi effetti collaterali, e confrontata con lo 0: se il suo valore è nullo, la sottoistruzione
viene eseguita. Nella seconda forma, la seconda sottoistruzione viene eseguita quando l’espressione risulta
nulla. L’ambiguità sull’else viene risolta associando ogni else all’ultimo if che ne è privo, incontrato allo
stesso livello di nidificazione del blocco.
Il costrutto switch provoca il trasferimento del controllo ad una delle sue istruzioni, scelta in base al valore
di una particolare espressione, che dev’essere di tipo intero. Tipicamente, la sottoistruzione controllata da
uno switch è composta. Qualsiasi istruzione all’interno della sottoistruzione può essere etichettata con una
o più label case (paragrafo A9.1). L’espressione di controllo dello switch viene sottoposta alla
trasfor-mazione degli interi (paragrafo A6.1), e le costanti associate alle label case vengono convertite nel
tipo fi-nale dell’espressione. Due case associati allo stesso switch non possono contenere, dopo la
conversio-ne, costanti con valore uguale. Ad ogni switch può venire associata al più una label default.
Gli switch possono essere nidificati; ogni label case o default è associata allo switch più interno che la
contiene.
Quando l’istruzione switch viene eseguita, la sua espressione viene valutata, insieme ai suoi effetti
colla-terali, e confrontata con ogni costante associata alle label case. Se una di queste costanti risulta
uguale al valore dell’espressione, il controllo passa all’istruzione associata a quella label case. Se non
esistono label case con costanti uguali al valore dell’espressione, ed esiste la label default, il controllo
passa all’istru-zione associata a questa label. Se non esiste neppure la label default, non viene eseguita
alcuna delle sottoistruzioni dello switch.
Nella prima edizione di questo libro, l’espressione che controllava lo switch e le costanti associate alle label case dovevano
essere esclusivamente di tipo int.
istruzione-di-iterazione:
while (espressione) istruzione
do istruzione while (espressione);
for (espressioneopt; espressioneopt; espressioneopt)
istruzione
Nelle istruzioni while e do, la sottoistruzione viene eseguita ripetutamente, fino a quando il valore della
espressione rimane diverso da zero; l’espressione dev’essere di tipo aritmetico o puntatore. Con l’istruzione
while il controllo, comprendente tutti gli effetti collaterali derivanti dall’espressione, avviene prima di ogni
esecuzione dell’istruzione; con l’istruzione do, il controllo avviene invece al termine di ogni esecuzione.
Nell’istruzione for, la prima espressione viene valutata una sola volta, e specifica l’inizializzazione del ci-clo.
Non esistono restrizioni sul tipo di quest’espressione. La seconda espressione dev’essere di tipo arit-metico
o puntatore; essa viene valutata prima di ogni iterazione, ed il ciclo termina quando il suo valore è 0. La terza
espressione viene valutata dopo ogni iterazione, e specifica la reinizializzazione del ciclo. Non esi-stono
restrizioni sul suo tipo. Gli effetti collaterali di ogni espressione vengono completati immediatamente dopo la
sua valutazione. Se la sottoistruzione non contiene alcun continue, un’istruzione del tipo
180
for (espressione1; espressione2; espressione3) istruzione
equivale al blocco
espressione1;
while (espressione2) {
istruzione
espressione3;
}
Ognuna delle tre espressioni può venire omessa. Omettere la seconda espressione equivale a controllare
una costante non nulla.
istruzione-di-salto:
goto identificatore;
continue;
break;
return espressioneopt;
Nell’istruzione goto, l’identificatore dev’essere una label (paragrafo A9.1) collocata nella funzione corrente.
Il controllo viene trasferito all’istruzione associata alla label.
Un’istruzione continue può comparire soltanto all’interno di un’istruzione di iterazione. Essa trasferisce il
controllo alla parte di continuazione del più interno ciclo di iterazione che la contiene. Più precisamente, in
ognuna delle istruzioni
while (....) {
....
contin: ;
}
do {
....
contin: ;
} while (....);
for (....) {
....
contin: ;
}
un’istruzione continue non contenuta in un’istruzione di iterazione più interna equivale ad un goto
con-tin.
Un’istruzione break può comparire soltanto in un’istruzione di iterazione o in uno switch, e termina
l’ese-cuzione dell’istruzione di iterazione (o switch) più interna che la contiene; il controllo passa
all’istruzione che segue quella appena terminata.
Una funzione restituisce il controllo dell’esecuzione al chiamante tramite l’istruzione return. Quando
que-st’ultima è seguita da un’espressione, il valore restituito al chiamante è quello dell’espressione stessa.
La espressione viene convertita, come se si trattasse di un assegnamento, al tipo fornito dalla funzione nella
quale compare.
Terminare una funzione equivale ad un ritorno senza espressione. In entrambi i casi, il valore restituito è
in-definito.
181
L’unità di input fornita dal compilatore C viene chiamata unità di traduzione; essa consiste in una sequenza
di dichiarazioni esterne, che sono o dichiarazioni o definizioni di funzioni.
unità-traduzione:
dichiarazione-esterna
unità-traduzione dichiarazione-esterna
dichiarazione-esterna:
definizione-funzione
dichiarazione
Lo scope delle dichiarazioni esterne si estende fino al termine dell’unità di traduzione nella quale sono
di-chiarate, così come l’effetto delle dichiarazioni all’interno dei blocchi si estende fino al termine del blocco.
La sintassi delle dichiarazioni esterne è uguale a quella delle altre dichiarazioni, ad eccezione del fatto che il
codice per le funzioni può essere scritto soltanto a questo livello.
definizione-funzione:
specificatori-dichiarazioneopt dichiaratore
lista-dichiarazioniopt istruzione-composta
Negli specificatori di dichiarazione, gli unici specificatori di classe di memoria consentiti sono extern e
static; per le differenze fra i due, si veda il paragrafo A11.2.
Una funzione può restituire un valore di tipo aritmetico, una struttura, una union, un puntatore o un void, ma
non una funzione o un vettore. In una dichiarazione di funzione, il dichiaratore deve specificare
esplici-tamente che l’identificatore dichiarato è di tipo funzione; cioè, il dichiaratore deve contenere una delle
forme (paragrafo A8.6.3)
dichiaratore-diretto (lista-tipo-parametri)
dichiaratore-diretto (lista-identificatoriopt)
dove dichiaratore-diretto è un identificatore, eventualmente racchiuso fra parentesi. In particolare, esso non
può definire il tipo della funzione usando typedef.
Nella prima forma, la definizione riguarda una funzione nuovo stile, i cui parametri, insieme ai loro tipi, sono
dichiarati nella lista-tipo-parametri; la lista-dichiarazioni che segue il dichiaratore di funzione dev’essere
as-sente. A meno che la lista del tipo dei parametri contenga soltanto l’identificatore void, che indica una
fun-zione priva di parametri, ogni dichiaratore deve contenere un identificatore. Se la lista termina con “,
...” la funzione può essere chiamata con un numero di argomenti superiore a quello dei parametri; per
riferirsi agli argomenti in eccedenza, dev’essere utilizzato il meccanismo della macro va_arg, definito
nell’header standard <stdarg.h> e descritto nell’Appendice B. Le funzioni con numero variabile di
argomenti devono avere nominato esplicitamente almeno un parametro.
Nella seconda forma, la definizione riguarda una funzione vecchio stile: la lista di identificatori elenca i
pa-rametri, ai quali la lista di dichiarazione attribuisce il tipo. Se per un parametro non viene data alcuna
di-chiarazione, si assume che il suo tipo sia int. La lista di dichiarazioni deve dichiarare soltanto i parametri
elencati nella lista degli identificatori non è consentita e l’unico specificatore di classe di memoria utilizzabi-le
è register.
In entrambe le forme di definizione delle funzioni, i parametri vengono considerati dichiarati subito dopo lo
inizio dell’istruzione composta che forma il corpo della funzione dove, quindi, gli stessi identificatori non
possono essere ridichiarati (anche se, come qualsiasi altro identificatore, potrebbero essere ridichiarati nei
blocchi più interni). Se il tipo di un parametro è dichiarato “vettore di tipo”, la dichiarazione viene letta come
“puntatore a tipo”; analogamente, se il parametro è dichiarato di tipo “funzione che ritorna tipo”, la
dichiara-zione viene letta come “puntatore a funzione che ritorna tipo”. Durante la chiamata ad una funzione,
gli ar-gomenti vengono convertiti secondo necessità ed assegnati ai parametri; si veda il paragrafo A7.3.2.
182
Le definizioni di funzione del nuovo stile sono state introdotte dallo standard ANSI. Esiste anche una piccola variazione nei
dettagli di trasformazione; la prima edizione specificava che le dichiarazioni di parametri float venivano lette come double.
La differen-za diventa notevole quando in una funzione viene generato un puntatore ad un parametro.
m=(a>b)?a:b;
return (m>c)?m:c;
}
int max(a, b, c)
int a, b, c;
{
/* .... */
}
dove il dichiaratore è int max(a, b, c), e int a, b, c; è la lista di dichiarazione dei parametri.
Purché siano consistenti nel tipo e nel linkaggio, e purché non ci sia al più una definizione per
l’identificato-re, nella stessa unità di traduzione possono esistere più dichiarazioni esterne per uno stesso
identificatore.
Due dichiarazioni di un oggetto o funzione sono considerate consistenti in base alle regole descritte nel
pa-ragrafo A8.10. Inoltre, se le dichiarazioni sono diverse perché un tipo è una struttura, una union o
un’enu-merazione di tipo incompleto (paragrafo A8.3) e l’altro è il tipo corrispondente completato e con lo
stesso tag, i tipi sono considerati consistenti. Ancora, se un tipo è un vettore di tipo incompleto (paragrafo
A8.6.2) e l’altro è un tipo vettore completato, i tipi sono considerati consistenti. Infine, se un tipo specifica
una fun-zione vecchio stile e l’altro una funzione nuovo stile che, se non fosse per questo, sarebbe identica
alla pri-ma, i tipi sono considerati consistenti.
Una dichiarazione esterna per un oggetto è una definizione se possiede un inizializzatore. Una
dichiarazio-ne di un oggetto esterna e priva di inizializzazione, e che non contiene lo specificatore extern, è
una defi-nizione sperimentale. Se in un’unità di traduzione compare una definizione di un oggetto, tutte le
definizioni sperimentali relative a tale oggetto vengono considerate ridondanti. Se nell’unità di traduzione non
compa-iono definizioni dell’oggetto, tutte le definizioni sperimentali relative ad esso diventano un’unica
definizione con inizializzatore 0.
Ogni oggetto deve avere una ed una sola definizione. Per oggetti con linkaggio interno, questa regola si
ap-plica separatamente ad ogni unità di traduzione, perché tali oggetti sono unici rispetto ad un’unità di
tradu-zione. Per oggetti con linkaggio esterno, la regola si applica all’intero programma.
183
Anche se la regola della definizione unica era formulata in modo leggermente diverso nella prima edizione di questo libro, il suo
effetto era identico a quello descritto qui. Alcune implementazioni ne diminuiscono la rigidità generalizzando la nozione di
definizio-ne sperimentale. Nella formulazione alternativa, diffusa nei sistemi UNIX e riconosciuta come estensione dello
Standard, tutte le definizioni sperimentali relative ad un oggetto linkato esternamente, in tutte le unità di traduzione del
programma, vengono conside-rate insieme, invece che separatamente per ogni unità. Se in qualche punto del programma è
presente una definizione, allora le definizioni sperimentali diventano semplicemente delle dichiarazioni ma, se non compare
alcuna definizione, esse diventano una unica definizione con inizializzatore 0.
Un programma non ha bisogno di essere compilato tutto contemporaneamente: il testo sorgente può essere
mantenuto in più file contenenti diverse unità di traduzione, e dalle librerie possono essere caricate routine
precompilate. La comunicazione tra le funzioni di un programma può avvenire sia tramite le chiamate che
attraverso la manipolazione di dati esterni.
Quindi, è necessario considerare due tipi di scope: il primo è lo scope lessicale di un identificatore, che è la
regione di testo del programma all’interno della quale le caratteristiche dell’identificatore sono conosciute; il
secondo scope è, invece, quello associato ad oggetti e funzioni con linkaggio esterno, che determina le
connessioni tra identificatori residenti in unità di traduzione compilate separatamente.
Queste regole differiscono, per alcuni aspetti, da quelle date nella prima edizione di questo manuale. In precedenza le label non
avevano un loro spazio separato; i tag delle strutture e delle union avevano ciascuno un loro spazio separato così come, in
alcune implementazioni, i tag delle enumerazioni; l’inserimento di diversi tipi di tag in uno stesso spazio è una restrizione nuova.
La più importante differenza rispetto alla prima edizione è che ogni struttura crea uno spazio separato per i suoi membri, in
modo che lo stesso nome possa comparire in strutture diverse. Questa regola, comunque, fa parte dell’uso comune già da
alcuni anni.
Lo scope lessicale di un oggetto o funzione in una dichiarazione esterna inizia al termine del suo
dichiarato-re e si estende fino al termine dell’unità di traduzione nella quale l’identificatore compare. Lo
scope di un parametro di una definizione comincia all’inizio del blocco che definisce la funzione, e si estende
per tutta la funzione; lo scope di un parametro in una dichiarazione di funzione termina alla fine del
dichiaratore. Lo scope di un identificatore dichiarato all’inizio di un blocco si estende dalla fine del
dichiaratore alla fine del blocco. Lo scope di una label è l’intera funzione nella quale compare. Lo scope di
un tag di una struttura, di una union o di un’enumerazione o di una costante enumerativa va dalla sua
comparsa nello specificatore di tipo al termine dell’unità di traduzione (per le dichiarazioni a livello esterno),
oppure al termine del blocco (per dichiarazioni all’interno di una funzione).
A11.2 Link
All’interno di un’unità di traduzione, tutte le dichiarazioni dello stesso identificatore di oggetto o funzione con
linkaggio interno si riferiscono alla stessa cosa, e l’oggetto o funzione è unico in quell’unità di traduzione.
Tutte le dichiarazioni dello stesso identificatore di oggetto o funzione con linkaggio esterno si riferiscono al-la
stessa cosa, e l’oggetto o funzione viene condiviso dall’intero programma.
Come si è detto nel paragrafo A10.2, la prima dichiarazione esterna di un identificatore gli fornisce un
lin-kaggio interno se contiene lo specificatore static, esterno altrimenti. Se una dichiarazione di un
identifica-tore all’interno di un blocco non contiene lo specificatore extern, allora l’identificatore non ha
linkaggio ed è visibile solo a quella funzione. Se, invece, la dichiarazione contiene lo specificatore extern, e
nello sco-pe che circonda il blocco è attiva una dichiarazione esterna per quell’identificatore, allora
quest’ultimo ha linkaggio uguale a quello della dichiarazione esterna, e si riferisce allo stesso oggetto o
funzione; se, infine, non è visibile alcuna dichiarazione esterna, l’identificatore ha linkaggio esterno.
184
A12. Preprocessing
Un preprocessor effettua sostituzioni delle macro, compilazioni condizionali ed inclusioni di file. Le linee che
iniziano con il carattere #, eventualmente preceduto da spazi bianchi, comunicano con il preprocessor. La
sintassi di queste linee è indipendente dal resto del linguaggio; esse possono comparire ovunque ed hanno
un effetto che permane (indipendentemente dallo scope) fino al termine dell’unità di traduzione. La fine del-le
linee è significativa; ogni linea viene analizzata individualmente (ma il paragrafo A12.2 spiega come unire
due linee). Per il preprocessor, un token è un qualsiasi token del linguaggio, od una sequenza di caratteri
che descrive un nome di file in una direttiva #include (paragrafo A12.4); inoltre, ogni carattere non defini-to
altrimenti viene considerato un token. Tuttavia, nelle linee di preprocessor l’effetto di caratteri di spaziatu-ra
diversi dal tab orizzontale è indefinito.
L’attività di preprocessing ha luogo in più fasi logicamente successive, che in alcune particolari
implementa-zioni possono essere condensate.
1. Dapprima, le sequenze triplici (descritte nel paragrafo A12.1) vengono sostituite con il loro
equi-valente. Se l’ambiente gestito dal sistema operativo lo richiede, tra le linee del file sorgente
vengono inseriti dei caratteri di new line.
2. Ogni occorrenza del carattere backslash seguito da un new line viene cancellata; le linee vengono
cioè unite (paragrafo A12.2).
3. Il programma viene separato in token suddivisi da spazi bianchi; i commenti vengono sostituiti con un
singolo spazio. A questo punto vengono eseguite le direttive di preprocessing e vengono espanse le
macro (paragrafi da A12.3 a A12.10).
4. Le sequenze di escape nelle costanti carattere e nelle stringhe letterali (paragrafi A2.5.2 e A2.6)
ven-gono sostituite con i loro equivalenti; quindi, le stringhe letterali adiacenti vengono concatenate.
5. Il risultato viene tradotto, quindi linkato insieme agli altri programmi e librerie, unendo i programmi ed i
dati necessari, e connettendo i riferimenti a funzioni ed oggetti esterni alle rispettive definizioni.
??= #
??/ \
??’ ^
??( [
??) ]
??! |
??< {
??> }
??- ~
185
fa in modo che il preprocessor sostituisca tutte le istanze dell’identificatore con la data sequenza di token; gli
spazi bianchi che precedono e seguono la sequenza vengono scartati. La presenza di una seconda
#define per lo stesso identificatore costituisce un errore, a meno che la seconda sequenza non sia
identi-ca alla prima, considerando il fatto che tutte le separazioni costituite da spazi bianchi sono considerate
equivalenti.
senza spazi fra il primo identificatore e la parentesi tonda sinistra, definisce una macro con i parametri dati
nella lista degli identificatori. Come nel primo caso, gli spazi bianchi che precedono e seguono la sequenza
di token vengono scartati, e la macro può essere ridefinita soltanto con una definizione in cui il numero dei
parametri e la sequenza di token sono uguali.
#undef identificatore
Quando una macro è stata definita nel secondo modo, le successive istanze testuali dell’identificatore della
macro, seguite da spazi bianchi opzionali, da {, una sequenza di token separati da virgole e da },
costitui-scono una chiamata della macro stessa. Gli argomenti della chiamata sono i token separati dalle
virgole; le virgole tra apici o protette da parentesi nidificate non separano gli argomenti. Il numero di
argomenti della chiamata dev’essere uguale a quello dei parametri nella definizione. Dopo aver isolato gli
argomenti, gli spazi bianchi che li precedono e li seguono vengono scartati. Quindi, la sequenza di token
risultante da ogni argomento viene sostituita ad ogni occorrenza, che non sia tra apici, dell’identificatore
della macro nel-la sequenza di token che costituisce la macro stessa. A meno che il parametro nella
sequenza non sia pre-ceduto da #, o preceduto o seguito da ##, i token che costituiscono gli argomenti
vengono esaminati, e se necessario espansi, prima dell’inserimento.
L’altro operatore speciale è ##. Se la definizione della sequenza di token per uno qualsiasi dei due tipi di
macro contiene un operatore ##, allora, subito dopo la sostituzione dei parametri, ogni ## viene cancellato
insieme agli spazi che lo precedono e lo seguono, in modo che due token adiacenti vengano concatenati e
ne formino uno nuovo, singolo. L’effetto è indefinito se ciò che viene prodotto è un token non valido, o se il
risultato dipende dall’ordine di valutazione degli operatori ##. Inoltre, ## non può comparire all’inizio od alla
fine di una sequenza di token.
In entrambi i tipi di macro, la sequenza di token da sostituire viene scandita ripetutamente per identificatori
definiti più volte. Tuttavia, una volta che un identificatore è stato sostituito in una data espansione, esso non
viene più sostituito, anche se ricompare in una scansione successiva.
Anche se il valore finale dell’espansione di una macro inizia con #, esso non deve essere interpretato come
una direttiva di preprocessor.
I dettagli del processo di espansione delle macro sono definiti più precisamente nello standard ANSI che non nella prima
edizione. La variazione più importante è l’aggiunta degli operatori # e ##, che rendono possibili il quoting e la concatenazione.
Alcune delle nuove regole, in particolare quelle relative alla concatenazione, sono piuttosto strane (si vedano gli esempi che
seguono).
Per esempio, questa definizione può essere utilizzata per le costanti esplicite:
186
La definizione
definisce una macro che restituisce il valore assoluto della differenza dei suoi argomenti. Diversamente da
quanto accadrebbe con una funzione che eseguisse le stesse operazioni, gli argomenti ed il valore restituito
dalla macro possono essere di qualsiasi tipo aritmetico, oltre che dei puntatori. Notiamo poi che gli
argo-menti, che potrebbero anche avere effetti collaterali, vengono valutati due volte, una per il controllo e
l’altra per la generazione del valore.
Data la definizione
“/usr/tmp” “/%s”
#define cat(x,y) x ## y
cat(1,2)3
e )3 (la concatenazione dell’ultimo token del primo argomento con il primo token del secondo) non è un
to-ken legale. Se si introduce un secondo livello di definizione di macro,
le cose si svolgono diversamente; xcat(xcat(1,2),3) produce 123, perché l’espansione di xcat non
coinvolge direttamente l’operatore ##.
#include <nomefile>
provoca la sostituzione di questa linea con l’intero contenuto del file nomefile. I caratteri del nome nomefile
non devono comprendere > o new line, e l’effetto è indefinito se contengono un carattere qualsiasi fra “, ’, \
o /*. Il file specificato viene cercato in una serie di luoghi dipendente dall’implementazione.
#include “nomefile”
cerca dapprima un file associato al file sorgente originale (una frase, questa, deliberatamente dipendente
dall’implementazione) e, se questa ricerca fallisce, il comportamento diviene identico a quello assunto nella
prima forma. L’effetto dell’impiego di ’, \ o /* nel nome del file rimane indefinito, ma il carattere > è
con-sentito.
#include sequenza-di-token
187
che non corrisponde a nessuna delle forme precedenti viene interpretata espandendo la sequenza di token
come se si trattasse di normale testo; il risultato di quest’operazione dev’essere una delle due forme <....>
o “....”, che viene trattata secondo le modalità già descritte.
condizione-di-preprocessor:
linea-if testo parti-elif parte-elseopt #endif
linea-if:
#if espressione-costante
#ifdef identificatore
#ifndef identificatore
parti-elif:
linea-elif testo
parti-elifopt
linea-elif:
#elif espressione-costante
parte-else:
linea-else testo
linea-else:
#else
Ognuna delle direttive (linea-if, linea-elif, linea-else e #endif) compare da sola su una linea. Le espressio-ni
costanti nella linea #if e nelle successive linee #elif vengono valutate nell’ordine, fino a quando non
viene trovata un’espressione con valore non nullo; il testo che segue una linea con valore zero viene
scar-tato. Il testo che segue invece una linea con valore non nullo viene trattato normalmente. In questo
contesto il termine “testo” si riferisce a qualsiasi tipo di materiale, incluse le linee di preprocessor, che non
appartie-ne alla struttura condizionale; tale materiale potrebbe anche essere nullo. Una volta individuata una
linea #if o #elif con valore non nullo, e dopo il trattamento del suo testo, le successive linee #elif e
#else vengono scartate, insieme al loro testo. Se tutte le espressioni sono nulle, ed esiste una linea #else,
il te-sto che la segue viene trattato normalmente. Il testo controllato da rami inattivi della struttura
condizionale viene ignorato, se non per il controllo dell’annidamento delle condizioni.
L’espressione costante nelle linee #if e #elif è soggetta alle ordinarie sostituzioni sulle macro. Inoltre,
ogni espressione del tipo
defined identificatore
oppure
defined (identificatore)
viene sostituita con 1L se l’identificatore è definito nel preprocessor, con 0L altrimenti. Tutti gli identificatori
che rimangono dopo l’espansione delle macro vengono sostituiti con 0L. Infine, ogni costante intera viene
considerata come se avesse il suffisso L, in modo che tutte le operazioni aritmetiche si svolgano su oggetti
long o unsigned long.
L’espressione costante risultante (paragrafo A7.19) ha delle restrizioni: essa dev’essere di tipo intero, e non
può contenere sizeof, cast o costanti enumerative.
188
Le linee di controllo
#ifdef identificatore
#ifndef identificatore
sono equivalenti a
rispettivamente.
#elif è una direttiva nuova rispetto alla prima edizione, anche se era già da tempo disponibile su alcuni preprocessor. Anche
lo operatore di preprocessor defined è nuovo.
fa in modo che il compilatore, a scopo di diagnostica, creda che il numero di linea della prossima linea di
codice sorgente sia dato dalla costante decimale intera e che il corrente file di input sia quello nominato
dal-l’identificatore. Se il nome del file è assente, il nome memorizzato non cambia. Le macro nella linea
vengo-no espanse prima che essa venga interpretata.
#error sequenza-di-tokenopt
A12.8 Pragma
Una linea di controllo del tipo
#pragma sequenza-di-tokenopt
__LINE__ Costante decimale contenente il numero della corrente linea di codice sorgente.
__FILE__ Stringa letterale contenente il nome del file del quale è in corso la compilazione
__DATE__ Stringa letterale contenente la data della compilazione, nel formato “Mmm dd yyyy”.
__TIME__ Stringa letterale contenente l’ora della compilazione, nel formato “hh:mm:ss”.
189
__STDC__ La costante 1. Questo identificatore è definito a 1 soltanto nelle implementazioni
con-formi allo standard.
Le direttive #error e #pragma sono state introdotte dallo standard ANSI; le macro di preprocessor predefinite sono nuove, ma
alcune di esse erano già da tempo disponibili su alcune implementazioni.
A13. Grammatica
Quella che segue è una ricapitolazione della grammatica data nel corso dei paragrafi di quest’appendice. Il
suo contenuto è uguale a quello esposto in precedenza, ma è ordinato in modo diverso.
unità-traduzione:
dichiarazione-esterna
unità-traduzione dichiarazione-esterna
dichiarazione-esterna:
definizione-funzione
dichiarazione
definizione-funzione:
specificatori-dichiarazioneopt dichiaratore
lista-dichiarazioniopt istruzione-composta
dichiarazione:
specificatori-dichiarazioneopt lista-dichiaratori-iniziali;
lista-dichiarazioni:
dichiarazione
lista-dichiarazioni dichiarazione
specificatori-dichiarazione:
specificatore-classe-memoria specificatori-dichiarazioneopt
specificatore-tipo specificatori-dichiarazioneopt
qualificatore-tipo specificatori-dichiarazioneopt
specificatore-struttura-o-union:
struttura-o-union identificatoreopt {lista-dichiarazione-struttura}
struttura-o-union identificatore
190
struct union
lista-dichiarazione-struttura:
dichiarazione-struttura
lista-dichiarazione-struttura dichiarazione-struttura
lista-dichiaratori-iniziali:
dichiaratore-iniziale
lista-dichiaratori-iniziali, dichiaratore-iniziale
dichiaratore-iniziale:
dichiaratore
dichiaratore = inizializzatore
dichiarazione-struttura:
lista-specificatori-qualificatori
lista-dichiaratore-struttura;
lista-specificatori-qualificatori:
specificatore-tipo lista-specificatori-qualificatoriopt
qualificatore-tipo lista-specificatori-qualificatoriopt
lista-dichiaratore-struttura:
dichiaratore-struttura
lista-dichiaratore-struttura, dichiaratore-struttura
dichiaratore-struttura:
dichiaratore
dichiaratoreopt: espressione-costante
specificatore-enumerativo:
enum identificatoreopt {lista-enumeratori}
enum identificatore
lista-enumeratori:
enumeratore
lista-enumeratori, enumeratore
enumeratore:
identificatore
identificatore = espressione-costante
dichiaratore:
puntatoreopt dichiaratore-diretto
dichiaratore-diretto:
identificatore
(dichiaratore)
dichiaratore-diretto [espressione-costanteopt]
dichiaratore-diretto (lista-tipo-parametri)
dichiaratore-diretto (lista-identificatoriopt)
puntatore:
* lista-qualificatori-tipoopt
* lista-qualificatori-tipoopt puntatore
lista-qualificatori-tipo:
qualificatore-tipo
lista-qualificatori-tipo qualificatore-tipo
lista-tipo-parametri:
lista-parametri
lista-parametri, ...
191
lista-parametri:
dichiarazione-parametro
lista-parametri, dichiarazione-parametro
dichiarazione-parametro:
specificatori-dichiarazione dichiaratore
specificatori-dichiarazione dichiaratore-astrattoopt
lista-identificatori:
identificatore
lista-identificatori, identificatore
inizializzatore:
espressione-assegnamento
{lista-inizializzatori}
{lista-inizializzatori, }
lista-inizializzatori:
inizializzatore
lista-inizializzatori, inizializzatore
nome-tipo:
lista-specificatori-qualificatori dichiaratore-astrattoopt
dichiaratore-astratto:
puntatore
puntatoreopt dichiaratore-astratto-diretto
dichiaratore-astratto-diretto:
(dichiaratore-astratto)
dichiaratore-astratto-direttoopt [espressione-costanteopt]
dichiaratore-astratto-direttoopt (lista-tipo-parametriopt)
nome-typedef:
identificatore
istruzione:
istruzione-con-label
istruzione-espressione
istruzione-composta
istruzione-di-selezione
istruzione-di-iterazione
istruzione-di-salto
istruzione-con-label:
identificatore: istruzione
case espressione-costante: istruzione
default: istruzione
istruzione-espressione:
espressioneopt;
istruzione-composta:
{lista-dichiarazioniopt lista-istruzioniopt}
lista-istruzioni:
istruzione
lista-istruzioni istruzione
istruzione-di-selezione:
if (espressione) istruzione
if (espressione) istruzione else istruzione
192
switch (espressione) istruzione
istruzione-di-iterazione:
while (espressione) istruzione
do istruzione while (espressione);
for (espressioneopt; espressioneopt; espressioneopt)
istruzione
istruzione-di-salto:
goto identificatore;
continue;
break;
return espressioneopt;
espressione:
espressione-assegnamento
espressione, espressione-assegnamento
espressione-assegnamento:
espressione-condizionale
espressione-unaria operatore-assegnamento espressione-assegnamento
espressione-condizionale:
espressione-OR-logico
espressione-OR-logico ? espressione : espressione-condizionale
espressione-costante:
espressione-condizionale
espressione-OR-logico:
espressione-AND-logico
espressione-OR-logico || espressione-AND-logico
espressione-AND-logico:
espressione-OR-inclusivo
espressione-AND-logico && espressione-OR-inclusivo
espressione-OR-inclusivo:
espressione-OR-esclusivo
espressione-OR-inclusivo | espressione-OR-esclusivo
espressione-OR-esclusivo:
espressione-AND
espressione-OR-esclusivo ^ espressione-AND
espressione-AND:
espressione-uguaglianza
espressione-AND & espressione-uguaglianza
espressione-uguaglianza:
espressione-relazionale
espressione-uguaglianza == espressione-relazionale
espressione-uguaglianza != espressione-relazionale
espressione-relazionale:
espressione-shift
espressione-relazionale < espressione-shift
espressione-relazionale > espressione-shift
espressione-relazionale <= espressione-shift
espressione-relazionale >= espressione-shift
193
espressione-shift
espressione-additiva
espressione-shift << espressione-additiva
espressione-shift >> espressione-additiva
espressione-additiva:
espressione-moltiplicativa
espressione-additiva + espressione-moltiplicativa
espressione-additiva - espressione-moltiplicativa
espressione-moltiplicativa:
espressione-casting
espressione-moltiplicativa * espressione-casting
espressione-moltiplicativa / espressione-casting
espressione-moltiplicativa % espressione-casting
espressione-casting:
espressione-unaria
(nome-tipo) espressione-casting
espressione-unaria:
espressione-postfissa
++espressione-unaria
--espressione-unaria
operatore-unario espressione-casting
sizeof espressione-unaria
sizeof (nome-di-tipo)
espressione-postfissa:
espressione-primaria
espressione-postfissa [espressione]
espressione-postfissa (lista-argomenti-espressioneopt)
espressione-postfissa .identificatore
espressione-postfissa ->identificatore
espressione-postfissa ++
espressione-postfissa –
espressione-primaria:
identificatore
costante
stringa
(espressione)
lista-argomenti-espressione:
espressione-assegnamento
lista-argomenti-espressione, espressione-assegnamento
costante:
costante-intera
costante-carattere
costante-floating
costante-enumerativa
La seguente grammatica per il preprocessor riassume la struttura del controllo delle linee, ma non è adatta
ad un’analisi automatica. Essa comprende il simbolo testo, che significa testo normale del programma, linee
di controllo non condizionali del preprocessor, oppure costruzioni complete del preprocessor.
linea-di-controllo:
194
#define identificatore sequenza-di-token
#define identificatore(identificatore, ....,
identificatore) sequenza-di-token
#undef identificatore
#include <nomefile>
#include “nomefile”
#include sequenza-di-token
#line costante “nomefile”
#line costante
#error sequenza-di-tokenopt
#pragma sequenza-di-tokenopt
#
condizione-di-preprocessor
condizione-di-preprocessor:
linea-if testo parti-elif parte-elseopt #endif
linea-if:
#if espressione-costante
#ifdef identificatore
#ifndef identificatore
parti-elif:
linea-elif testo
parti-elifopt
linea-elif:
#elif espressione-costante
parte-else:
linea-else testo
linea-else:
#else
195
APPENDICE B
LIBRERIA STANDARD
In questa appendice viene riassunta la libreria definita dallo standard ANSI. La libreria standard non
appar-tiene propriamente al linguaggio C, ma qualsiasi ambiente che supporta il C fornisce le dichiarazioni di
fun-zione e le definizioni dei tipi e delle macro proprie di questa libreria. Abbiamo omesso un piccolo insieme
di funzioni di utilità limitata o che, comunque, sono ben rappresentate da altre; abbiamo trascurato il
tratta-mento dei caratteri su più byte; inoltre, abbiamo tralasciato la discussione degli aspetti locali, cioè di
tutte le proprietà che dipendono dal linguaggio locale, dalla nazionalità o dalla cultura.
Le funzioni, i tipi e le macro della libreria standard sono dichiarate negli header.
#include <header>
Gli header possono essere inclusi in qualsiasi ordine ed un qualsiasi numero di volte. Un header dev’essere
incluso al di fuori di qualunque dichiarazione o definizione esterna, e prima che venga utilizzata una
qual-siasi entità definita in esso. Un header può non essere un file sorgente.
Gli identificatori esterni che iniziano con il carattere underscore sono riservati alla libreria, così come tutti gli
identificatori nei quali il primo underscore è seguito da un secondo o da una lettera maiuscola.
Le funzioni, i tipi e le macro definiti in <stdio.h> costituiscono circa un terzo della libreria.
Uno stream è una sorgente o una destinazione di dati che possono essere associati ad un disco oppure ad
altre periferiche. La libreria supporta stream di testo e binari, anche se essi, su alcuni sistemi (per esempio
UNIX) sono identici. Uno stream di testo è una sequenza di linee; ogni linea possiede zero o più caratteri ed
è terminata dal carattere ’\n’. Un particolare ambiente può avere bisogno di convertire uno stream di testo
da una rappresentazione ad un’altra (per esempio, tradurre ogni carattere ’\n’ in un return o in un line
feed). Uno stream binario è una sequenza di byte non processati che registrano dati interni, e garantisce che
una scrittura ed una successiva lettura sullo stesso sistema producano gli stessi caratteri.
Uno stream viene connesso ad un file o ad un device tramite un’operazione di apertura; la connessione
vie-ne introdotta chiudendo lo stream. L’apertura di un file fornisce un puntatore ad un oggetto di tipo FILE,
che contiene tutte le informazioni necessarie per la gestione dello stream. Dove non si presenteranno
ambigui-tà, noi utilizzeremo indifferentemente i termini “puntatori a file“ e “stream”.
Quando un programma entra in esecuzione, i tre stream stdin, stdout e stderr sono già stati aperti.
176
“a” appende; apre o crea il file di testo e lo predispone alla scrittura in coda al contenuto già
eventualmente esistente
“r+” apre il file di testo in aggiornamento (cioè in lettura e scrittura)
“w+” crea il file di testo in aggiornamento; se esistono, scarta i vecchi contenuti
“a+” appende; apre o crea il file di testo in aggiornamento, scrivendo in fondo
Le modalità di aggiornamento consentono di leggere e scrivere lo stesso file; tra una lettura ed una scrittura,
e viceversa, è necessario eseguire una fflush oppure una funzione di riposizionamento sul file. Se il
parametro mode contiene anche la lettera b, come in “rb” o in “w+b”, il file è binario. I nomi dei file possono
avere al massimo FILENAME_MAX caratteri. Possono venire aperti al più FOPEN_MAX file
contem-poraneamente.
FILE *tmpfile(void)
tmpfile crea un file temporaneo con modalità “wb+”; tale file verrà rimosso automaticamente al
momento della chiusura esplicita oppure in caso di terminazione corretta del programma. tmpfile
restituisce uno stream, oppure NULL se non riesce a creare il file.
177
Le funzioni printf forniscono le conversioni per l’output formattato.
La stringa di formato contiene due tipi di oggetti: caratteri normali, che vengono copiato sullo stream di
out-put, e specifiche di conversione, ognuna delle quali provoca la conversione e la stampa del successivo
ar-gomento di fprintf. Ogni specifica di conversione inizia con il carattere % e termina con il carattere di
conversione. Tra questi due caratteri si possono inserire, nell’ordine:
• Flag (in un ordine qualsiasi), che modificano la specifica di conversione: -, che specifica un
incolon-namento destro dell’argomento all’interno del suo campo.
+, che specifica che il numero verrà sempre stampato insieme al suo segno.
#, che specifica un formato alternativo dell’output. Con o, la prima cifra è uno zero. Con x o X, un
risultato non nullo viene preceduto con il suffisso 0x o 0X. Con e, E, f, F, g e G l’output ha sempre il
punto decimale; con g e G, eventuali zeri non significativi non vengono rimossi.
• Un numero che specifica un’ampiezza minima del campo. L’argomento convertito viene stampato in
un campo di ampiezza almeno pari a quella specificata. Se l’argomento convertito ha meno caratteri
della ampiezza del campo, esso viene incolonnato a destra (o a sinistra, se è stato richiesto un
inco-lonnamento sinistro) in modo da raggiungere l’ampiezza opportuna. Il carattere usato per
incolonna-re è, di norma, lo spazio bianco, ma diventa 0 se è stato fornito il flag opportuno.
• Un punto, che separa l’ampiezza del campo dalla precisione.
• Un numero, la precisione, che specifica il massimo numero di caratteri stampabili da una stringa,
op-pure il numero di cifre da stampare dopo il punto decimale in presenza dei flag e, E o f, oppure il
numero di cifre significative per i flag g e G, oppure il numero minimo di cifre da stampare per un
in-tero (per raggiungere l’ampiezza desiderata verranno aggiunti degli zeri iniziali).
• Un modificatore di lunghezza h oppure l (lettera elle) oppure L; “h” indica che l’argomento
corri-spondente dev’essere stampato come short o come unsigned short; “l” indica che esso
deve essere stampato come long o come unsigned long; “L” indica che l’argomento è un long
dou-ble.
L’ampiezza o la precisione, o anche entrambe, possono essere indicate con *, nel qual caso il loro valore
viene calcolato convertendo l’argomento (o gli argomenti) successivo, che dev’essere di tipo int.
I caratteri di conversione ed il loro significato sono illustrati nella Tabella B.1. Se il carattere che segue % non
è un carattere di conversione, il comportamento è indefinito.
178
S char *; stampa caratteri dalla stringa fino al raggiungimento di ’\0’ o della precisione.
f double; [-]m.dddddd, dove il numero delle d è dato dalla precisione (il default è 6).
e, E double; [-]m.dddddde±xx oppure [-]m.ddddddE±xx, dove il numero delle d è dato dalla
precisione (il default è 6). La precisione 0 sopprime il punto decimale.
g, G double; usa %e o %E se l’esponente è minore di -4 o maggiore o uguale alla precisione;
altrimenti usa %f. Gli zeri superflui non vengono stampati.
p void *; puntatore (rappresentazione dipendente dall’implementazione).
n int *; il numero dei caratteri stampati fino a questo momento in questa chiamata a
printf viene scritto nell’argomento. Nessun argomento viene convertito.
% non converte alcun argomento; stampa un %.
Normalmente la stringa di formato contiene le specifiche di conversione, che vengono utilizzate per
inter-pretare l’input. La stringa di formato contiene:
Una specifica di conversione determina la conversione del successivo elemento in input. Di norma, il
risul-tato viene memorizzato nella variabile puntata dall’argomento corrispondente. Se è presente il carattere
di soppressione dell’assegnamento, come in %*s, l’elemento in input viene scartato. Un elemento in input è
definito come una stringa priva di caratteri di spaziatura (tra i quali è compreso il new line); esso si estende
fino al successivo spazio o fino al raggiungimento della dimensione del campo, se questa è specificata.
Questo implica che scanf, per trovare il suo input, possa scandire più linee, poiché i new line sono
consi-derati degli spazi (i caratteri di spaziatura sono gli spazi, i new line, i return, i tab orizzontali e verticali
ed i salti pagina).
179
d intero decimale; int *.
I intero; int *. L’intero può essere in ottale (preceduto da uno 0) oppure in esadecimale
(preceduto da 0x o 0X).
O intero ottale (preceduto o meno dallo 0); int *.
X intero esadecimale (preceduto o meno da 0x o 0X); int *.
C Caratteri; char *. I prossimi caratteri in input (1 per default) vengono inseriti nella
posi-zione indicata; vengono considerati anche i caratteri di spaziatura; per leggere il
prossi-mo carattere non bianco, usate %1s.
s stringa di caratteri (non racchiusa fra apici); char *, che punta ad un vettore di caratteri
sufficientemente grande da contenere la stringa ed uno ’\0’ di terminazione, che verrà
aggiunto automaticamente.
e, f, g Numero floating-point con segno, punto decimale ed esponente opzionali; float *.
P Valore del puntatore, così come viene stampato da printf(“%p”); void *.
N Scrive nell’argomento il numero di caratteri letti fino a questo momento in questa
chia-mata; int *. Non viene letto alcun input. Il numero degli elementi letti non viene
incre-mentato.
[...] Trova la più lunga stringa non vuota di caratteri di input corrispondenti all’insieme
rac-chiuso fra le parentesi; char *. Aggiunge il carattere ‘\0’. L’insieme []...]
comprende il carattere ].
[^...] Trova la più lunga stringa non vuota di caratteri di input non corrispondenti all’insieme
racchiuso fra le parentesi; char *. Aggiunge il carattere ‘\0’. L’insieme [^]...]
com-prende il carattere ].
% Carattere %; non viene effettuato alcun assegnamento.
180
int getchar(void)
getchar() equivale a getc(stdin).
int putchar(int c)
putchar(c) equivale a putc(c, stdout).
size_t fwrite(const void *ptr, size_t size, size_t nobj, FILE *stream)
fwrite scrive su stream, prelevandoli dal vettore ptr, nobj oggetti di ampiezza pari a size.
Es-sa restituisce il numero di oggetti scritti, che è inferiore a quello richiesto soltanto in caso di
errore.
181
B1.7 Funzioni di Errore
Molte funzioni della libreria, quando rilevano un errore, aggiornano degli indicatori di stato. Questi indicatori
possono essere modificati e controllati esplicitamente. Inoltre, l’espressione intera errno (contenuta nello
header <errno.h>) può contenere un numero di errore che fornisce ulteriori informazioni sull’ultimo errore
verificatosi.
L’header <ctype.h> dichiara le funzioni per il controllo dei caratteri. L’argomento di ognuna di queste
fun-zioni è un int, il cui valore dev’essere EOF o, comunque, una quantità rappresentabile come unsigned
char; ogni funzione ritorna un int. Le funzioni ritornano un valore diverso da zero (true) se l’argomento c
soddisfa la condizione descritta, zero altrimenti.
Nel set di caratteri ASCII a 7 bit, i caratteri stampabili vanno da 0x20 (’ ’) a 0x7E (’-’); i caratteri di
con-trollo vanno da 0 (NUL) a 0x1F (US), più il carattere 0x7F (DEL).
Oltre a quelle già elencate, esistono due funzioni che convertono le lettere:
Se c è una lettera maiuscola, tolower(c) restituisce la corrispondente lettera minuscola, altrimenti ritorna
c. Se c è una lettera minuscola, toupper(c) restituisce una lettera maiuscola, altrimenti restituisce c.
182
Esistono due gruppi di funzioni sulle stringhe, entrambi definiti in <string.h>. Il primo gruppo è composto
da nomi che iniziano con str, il secondo da nomi che iniziano con mem. Ad esclusione di memmove, il
com-portamento è indefinito se si effettuano delle copie su aree che si sovrappongono.
Nella tabella seguente, le variabili s e t sono di tipo char *; cs e ct sono di tipo const char *; n è di tipo
size_t e c è un int convertito ad un char.
Una sequenza di chiamate a strtok(s, ct) spezza s in una serie di token, ognuno delimitato da un
ca-rattere preso da ct. La prima chiamata della sequenza ha il parametro s diverso da NULL. Esso trova il
pri-mo token di s, composto dai caratteri non presenti in ct; questa chiamata termina sovrapponendo al
suc-cessivo carattere di s il carattere ’\0’, e restituendo un puntatore al token. Ogni chiamata successiva,
indicata dal fatto che il parametro s è NULL, restituisce il successivo token costruito in questo modo,
ini-ziando la scansione al termine del token precedente. Strtok restituisce NULL quando non trova più
alcun token. La stringa ct può variare ad ogni chiamata.
Le funzioni mem... sono dedicate alla manipolazione di oggetti quali i vettori di caratteri; il loro scopo è
quello di fornire un’interfaccia verso routine efficienti. Nella tabella seguente, s e t sono di tipo void *; cs e
ct sono di tipo const void *; n è di tipo size_t e c è un int convertito ad un unsigned char.
183
Le macro EDOM e ERANGE (che si trovano in <errno.h>) sono valori interi costanti non nulli, usati per
segnalare errori sul dominio e sul campo di esistenza delle funzioni; HUGE_VAL è un valore double
positi-vo. Quando un argomento cade al di fuori del dominio di definizione di una funzione, si verifica un
errore di dominio. In caso di errore di dominio, errno vale EDOM; il valore di ritorno dipende
dall’implementazione. Quando invece il risultato della funzione non può essere rappresentato come double,
si verifica un errore di esistenza. Se il risultato è troppo grande, la funzione ritorna HUGE_VAL con il segno
corretto, e lascia in errno il valore ERANGE. Se il risultato è troppo piccolo, la funzione ritorna zero; il fatto
che errno valga ERANGE dipende dall’implementazione.
Nella tabella seguente, x e y sono di tipo double, n è di tipo int, e tutte le funzioni restituiscono un
dou-ble. Gli angoli, nelle funzioni trigonometriche, sono espressi in radianti.
sin(x) Seno di x.
cos(x) Coseno di x.
tan(x) Tangente di x.
asin(x) sin^-1(x) nel range [-π/2, π/2], x ∈ [-1, 1].
Acos(x) cos^-1(x) nel range [0, π], x ∈ [-1, 1].
Atan(x) tan^-1(x) nel range [-π/2, π/2].
Atan2(y,x) tan^-1(y/x) nel range [-π, π].
sinh(x) Seno iperbolico di x.
cosh(x) Coseno iperbolico di x.
tanh(x) Tangente iperbolica di x.
exp(x) Funzione esponenziale e^x.
log(x) Logaritmo naturale ln(x), x>0.
Log10(x) Logaritmo in base 10, log10(x), x>0.
Pow(x,y) x^y. Se x=0 e y<=0, oppure x<0 e y non è un intero si ha un errore di
dominio.
sqrt(x) Radice quadrata di x, x>=0.
ceil(x) Il minimo intero non minore di x, espresso come double.
floor(x) Il massimo intero non maggiore di x, espresso come double.
fabs(x) Valore assoluto di x.
n
ldexp(x,n) x*2 .
frexp(x, int *exp) Separa x in una frazione normalizzata nell’intervallo [-1/2, 1], che viene
ritornata, ed in una potenza di 2, che viene memorizzata in *exp. Se x è
ze-ro, entrambe le parti del risultato sono nulle.
modf(x, double *ip) Separa x in una parte intera ed una frazionaria, ognuna avente il segno di x.
La parte intera viene memorizzata in *ip, la parte frazionaria viene ritornata.
fmod(x,y) Resto, in floating point, della divisione x/y, con segno uguale a quello di x.
Se y è zero, il risultato dipende dall’implementazione.
L’header <stdlib.h> dichiara funzioni relative alla conversione dei numeri, all’allocazione di memoria e
funzionalità simili.
184
long strtol(const char *s, char **endp, int base)
strtol converte il prefisso di s in un long, ignorando eventuali spazi bianchi iniziali; se endp non è
nullo, essa memorizza in *endp un puntatore al suffisso non convertito. Se base è compreso fra 2 e
36, la conversione viene effettuata assumendo che l’input sia scritto in quella base. Se base è ze-ro,
la base è 8, 10 oppure 16; uno 0 iniziale indica la base ottale, ed uno 0x (o 0X) indica la base
esadecimale. In ogni caso, le lettere rappresentano le cifre da 10 a base-1; in base 16 è consentito
il prefisso 0x (o anche 0X). Se il valore di ritorno è troppo grande o troppo piccolo, il valore restituito
è LONG_MAX o LONG_MIN, in base al segno del risultato, ed errno vale ERANGE.
int rand(void)
rand restituisce un intero pseudo-casuale compreso fra 0 e RAND_MAX, che vale almeno 32767.
void abort(void)
abort provoca una terminazione anomala del programma, come se venisse impartita l’istruzione
raise(SIGABRT).
185
char *getenv(const char *name)
getenv restituisce la stringa dell’ambiente associato a name, oppure NULL se tale stringa non
esi-ste. I dettagli dipendono dall’implementazione.
void *bsearch(const void *key, const void *base, size_t n, size_t size,
int (*cmp)(const void *keyval, const void *datum))
bsearch cerca in base[0]...base[n-1] un elemento uguale a quello in *key. La funzione cmp deve
ritornare un valore negativo se il suo primo argomento (la chiave di ricerca) è inferiore al secondo (un
ele-mento della tabella), zero se sono uguali, ed un valore positivo se il primo argomento è maggiore del
secon-do. Gli elementi nel vettore base devono essere ordinati in ordine crescente. bsearch ritorna un
puntatore all’elemento trovato, o NULL se esso non esiste.
int abs(int n)
abs restituisce il valore assoluto del suo argomento (un int).
long labs(long n)
labs restituisce il valore assoluto del suo argomento (un long).
assert(espressione)
Dopo la stampa, per terminare l’esecuzione assert chiama abort. Il nome del file sorgente ed il numero di
linea provengono dalle macro di preprocessor __FILE__ e __LINE__.
Se quando viene incluso <assert.h> la variabile NDEBUG è definita, la macro assert viene ignorata.
L’header <stdarg.h> contiene funzioni che consentono di scandire una lista di argomenti variabili in
nu-mero e tipo.
186
Supponiamo che lastarg sia l’ultimo parametro esplicito di una funzione f, avente un numero variabile di
ar-gomenti. Dichiariamo allora, in f, una variabile ap di tipo va_list, che punta di volta in volta ad uno dei
diversi argomenti:
va_list ap;
ap deve venire inizializzato una volta, tramite la macro va_start, prima che uno qualsiasi degli argomenti
non elencati venga utilizzato:
Da questo momento, ogni esecuzione della macro va_arg produrrà un valore avente il tipo ed il valore del
successivo argomento non specificato, e modificherà ap in modo che la chiamata seguente a va_arg
resti-tuisca l’argomento successivo:
Dopo avere trattato tutti gli argomenti e prima di uscire da f, è necessario invocare una volta la macro
if (setjmp(env)==0)
/* codice eseguito su chiamata diretta */
else
/* codice eseguito su chiamata a longjmp */
L’header <signal.h> fornisce funzioni per la gestione di condizioni di eccezione che si verificano durante
l’esecuzione, come l’arrivo di un segnale di interrupt da una sorgente esterna, oppure un errore
nell’esecu-zione.
187
SIGINT Segnalazione interattiva, per esempio interrupt.
SIGSEGV Illegale accesso a memoria, per esempio riferimento ad un indirizzo
esterno alla memoria.
SIGTERM Richiesta di terminazione inviata a questo programma.
signal restituisce il precedente valore di handler per uno specifico segnale, oppure SIG_ERR se rileva un
errore.
Quando il segnale sig viene effettivamente ricevuto, il segnale viene riportato al suo comportamento di
de-fault; quindi, viene eseguita la funzione di gestione del segnale, come se venisse impartita l’istruzione
(*handler)(sig). Se tale funzione ha un punto di ritorno, l’esecuzione riprende dal punto in cui era stato
ricevuto il segnale.
L’header <time.h> dichiara tipi e funzioni che consentono di manipolare l’ora e la data. Alcune funzioni
gestiscono l’ora locale, che può variare, per esempio, al variare della zona oraria. clock_t e time_t sono
tipi aritmetici che rappresentano il tempo, e struct tm contiene le componenti di un calendario:
tm_isdst è positivo se l’ora legale è in vigore, nullo se non lo è e negativo se quest’informazione non è
disponibile.
clock_t clock(void)
clock restituisce il tempo di CPU usato dal programma dall’inizio dell’esecuzione, e -1 se tale
in-formazione non è disponibile. clock()/CLOCK_PER_SEC è un tempo espresso in secondi.
Le prossime quattro funzioni restituiscono puntatori ad oggetti statici che possono venire sovrascritti nel
corso di chiamate successive.
188
Sun Jan 3 15:14:13 1988\n\0
asctime(localtime(tp))
size_t strftime(char *s, size_t smax, const char *fmt, const struct tm *tp)
strftime formatta le informazioni contenute in *tp secondo le direttive che compongono fmt
(analogo al parametro fmt di printf), e pone in s il risultato. I caratteri normali (compreso ’\0’)
vengono copiati in s. Ogni %c viene sostituito secondo quanto descritto nel seguito, usando i valori
corretti rispetto all’ambiente locale. In s vengono collocati al massimo smax caratteri. strftime
re-stituisce il numero di caratteri, escluso ’\0’, oppure zero se il numero dei caratteri prodotti
supera smax.
L’header <limits.h> definisce alcune costanti di tipo intero. I valori riportati nel seguito sono le grandez-ze
minime consentite; possono venire utilizzati anche valori superiori.
189
SHRT_MIN -32767 Minimo valore di un short.
UCHAR_MAX 255 Massimo valore di un unsigned char.
UINT_MAX 65535 Massimo valore di un unsigned int.
ULONG_MAX 4294967295 Massimo valore di un unsigned long.
USHRT_MAX 65535 Massimo valore di un unsigned short.
I nomi della tabella che segue, un sottoinsieme di <float.h>, sono quelli di costanti legati all’aritmetica in
floating point. Quando il valore viene fornito, esso rappresenta la grandezza minima della quantità
corri-spondente. Ogni implementazione definisce valori appropriati.
190
APPENDICE C
Questa Appendice riassume le differenze tra il linguaggio definito nella prima edizione di questo libro e quello
che costituirà lo Standard finale. Essa si riferisce unicamente al linguaggio, e tralascia l’ambiente in cui esso
opera e la libreria; pur essendo anche questi aspetti importanti dello Standard, un confronto con la prima
edizione sarebbe pressoché impossibile, perché essa non li trattava.
• Nello Standard il preprocessing è definito più attentamente rispetto alla prima edizione, ed è più
esteso: esso si basa esplicitamente sui token; possiede nuovi operatori per la concatenazione dei
token (##), e per la creazione di stringhe (#); prevede nuove linee di controllo come #elif e
#pragma; è esplicitamente consentita la ridichiarazione di macro che utilizzino la stessa sequenza di
token; i parametri all’interno delle stringhe non vengono più sostituiti. L’unione di due linee tramite \ è
consentita ovunque, non più soltanto nella definizione delle macro e nelle stringhe. Si veda il paragrafo
A12.
• Il numero minimo di caratteri significativi per gli identificatori interni è stato portato a 31; quello per gli
identificatori esterni rimane, invece, di 6 caratteri tutti maiuscoli o tutti minuscoli (molte implementa-
zioni hanno aumentato questo minimo).
• L’introduzione delle sequenze triplici, inizianti con ??, consente di rappresentare caratteri che non sono
presenti in alcuni set. Sono state definite sequenze #\^[]{}#~; si veda il paragrafo A12.1. Osservate
che l’introduzione delle sequenze triplici può modificare il significato di stringhe contenenti la
sequenza ??.
• Sono state introdotte nuove parole chiave (void, const, volatile, signed, enum). È stata elimi-
nata la parola chiave entry, nata nella prima edizione ma mai utilizzata.
• Sono state definite nuove sequenze di escape, da utilizzare all’interno di costanti carattere di stringhe
letterali. Se il carattere \ è seguito da un carattere che non fa parte di una sequenza di escape ap-
provata, il comportamento è indefinito. Si veda il paragrafo A2.5.2.
• Lo Standard introduce un più vasto insieme di suffissi che rendono esplicito il tipo delle costanti: U o L
per gli interi, F o L per i floating. Esso perfeziona anche le regole per la determinazione del tipo delle
costanti prive di suffisso (paragrafo A2.5).
• Esiste una notazione particolare per le stringhe letterali e le costanti composte da caratteri estesi; si
veda il paragrafo A2.6.
• I caratteri, analogamente ad altri tipi, possono essere esplicitamente dichiarati come privi di segno o
meno, usando rispettivamente le parole chiave unsigned e signed. È stata eliminata la locuzione
long float, sinonimo di double; long double, però, può venire utilizzato per quantità floating in
extra precisione.
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• Per un certo periodo è stato disponibile il tipo unsigned char. Lo Standard ha introdotto la parola
chiave signed per rendere esplicita la presenza del segno per gli oggetti char e per quelli di tutti gli
altri tipi interi.
• Il tipo void era disponibile, su alcune implementazioni, già da alcuni anni. Lo Standard introduce l’uso
del tipo void *, che identifica il puntatore generico; in precedenza, questo ruolo era coperto dal tipo
char *. Nello stesso tempo, sono state emanate regole per impedire la commistione fra puntatori ed
interi, e fra puntatori di tipo diverso, senza l’uso dell’operatore di casting.
• Lo Standard stabilisce dei valori minimi per i tipi aritmetici, e degli appositi header (<limits.h> e
<float.h>) che contengono i valori specifici di ogni implementazione.
• Lo Standard adotta dal C++ la nozione di qualificatore di tipo, per esempio const (paragrafo A8.2).
• Le stringhe non sono più modificabili, e quindi potrebbero essere poste in memoria a sola lettura.
• Sono cambiate le “conversioni aritmetiche usuali”, essenzialmente passate da “per gli interi, prevale
sempre lo specificatore unsigned; per i floating, prevale sempre double“ a “il tipo finale è il più
piccolo tipo che può rappresentare la quantità voluta”. Si veda il paragrafo A6.5.
• I vecchi operatori di assegnamento come =+ sono scomparsi. Inoltre, ora gli operatori di assegna-
mento sono dei singoli token; nella prima edizione, essi erano delle coppie, e potevano venire sepa-rati
con degli spazi bianchi.
• È stata tolta ai compilatori la possibilità di decidere se trattare come computazionalmente associativi gli
operatori matematicamente associativi.
• Un puntatore ad una funzione può venire utilizzato come designatore di funzione senza che debba
essere usato esplicitamente l’operatore *. Si veda il paragrafo A7.3.2.
• Le strutture possono essere assegnate, passate alle funzioni e ritornate dalle funzioni.
• L’operatore sizeof, nella prima edizione, produceva il tipo int; successivamente, molte implemen-
tazioni trasformarono questo int in un unsigned. Lo Standard rende esplicitamente dipendente
dall’implementazione questo tipo, ma richiede che esso, size_t venga definito nell’header <std-
def.h>. Una modifica analoga è stata introdotta per il tipo (ptrdiff_t) della differenza tra due pun-
tatori. Si vedano i paragrafi A7.4.8 e A7.7.
• L’operatore di indirizzamento & non può venire applicato ad un oggetto dichiarato register, anche se
l’implementazione sceglie di non tenere tale oggetto in un registro.
• Il tipo di un’espressione di shift è quello del suo operando sinistro; l’operando destro non può deter-
minare il tipo del risultato. Si veda il paragrafo A7.8.
• Lo Standard legalizza la creazione di un puntatore che cada subito dopo il termine di un vettore, e
consente che gli vengano applicate relazioni aritmetiche; si veda il paragrafo A7.7.
• Lo Standard introduce (ereditandola dal C++) la nozione di una dichiarazione di un prototipo di fun-
zione che incorpori il tipo dei parametri, ed include il riconoscimento esplicito di funzione con numero di
argomenti variabile, insieme ad un ben definito procedimento per il loro trattamento. Si vedano i
paragrafi A7.3.2, A8.6.3, B7. Il vecchio stile, anche se con delle restrizioni, è ancora accettato.
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• Le dichiarazioni vuote, che non hanno dichiaratori e non dichiarano almeno una struttura, una union od
un’enumerazione sono proibite nello Standard. D’altro canto, una dichiarazione con un tag di una
struttura o union ridichiara quel tag, anche se esso era già stato dichiarato in uno scope più esterno.
• Sono vietate le dichiarazioni esterne di dati prive di specificatori o qualificatori (cioè i dichiaratori puri).
• Lo scope dei parametri è l’istruzione composta di una funzione, in modo che le dichiarazioni delle
variabili all’inizio della funzione non possano nascondere i parametri.
• Sono in parte cambiati gli spazi dei nomi degli identificatori. Lo Standard colloca tutti i tag in un singolo
spazio dei nomi, ed introduce uno spazio separato per le label; si veda il paragrafo A11.1. Inoltre, i
nomi dei membri sono associati alla struttura o union alla quale appartengono (nella pratica, questa
convenzione è stata adottata già da qualche tempo).
• Le strutture, le union ed i vettori automatici possono venire inizializzati, anche se con delle restrizioni.
• I vettori di caratteri aventi una dimensione esplicita possono venire inizializzati con una stringa lette-
rale composta da un numero di caratteri pari a tale dimensione (il carattere \0 non viene considera-to).
• L’espressione di controllo, e le label dei vari casi, di uno switch possono essere di qualsiasi tipo
intero.
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