Modena Nel Medioevo
Modena Nel Medioevo
Modena Nel Medioevo
Tra il IV e il X secolo Modena, come altri centri urbani situati in area padana, subì
pesantemente le conseguenze della generale crisi economica, politica e demografica.
Soltanto all'inizio del X secolo, sotto l'episcopato del vescovo Leodoino, si ebbero
tangibili segni di ripresa. Fu infatti sotto questo vescovo che il perimetro cittadino
venne dotato di mura (opere in terra e legno, intercalate forse da porte fortificate)
destinate a proteggere la città dai pericoli esterni. Verso la fine del X secolo quindi, la
vita pubblica e politica a Modena si aggregava intorno alla figura del vescovo,
secondo una consuetudine che si rafforzerà nel secolo successivo e che sarà
un'importante componente nelle vicende legate alla costruzione della cattedrale.
Infatti le diverse parti sociali facevano riferimento al vescovo in materia sia di
protezione sia di amministrazione della città: alla cattedrale era legata la riscossione
di tasse sul transito di canali e rive nel territorio limitrofo; inoltre fin dalla metà del
secolo VIII, ai tempi del re longobardo Astolfo, le erano state donate consistenti
porzioni di terreno coltivate e organizzate secondo il modello della “curtis” (destinate
col tempo a trasformarsi in villaggi), con lo scopo di fornire gli approvvigionamenti
alla città. Così già sul finire del IX secolo l'imperatore concesse al vescovo modenese
diritti pubblici sulla città e su di una fascia del territorio vicina, accentuando
ulteriormente il suo peso politico e la sua caratteristica di rappresentante della città e
dei suoi abitanti, che spesso dipendevano anche economicamente da lui. Nello stesso
periodo un ceto di mercanti, artigiani, giudici, notai, sopravvissuto anche nei
momenti della maggior depressione urbana dei secoli VI-VII, riprese forza,
preparandosi a darsi forme organizzative che, nei secoli X e XI prelusero agli
ordinamenti comunali del periodo successivo.
Tra XI e XII secolo i possedimenti della Cattedrale andarono costantemente
arricchendosi a sud della via Emilia: ad ovest e a nord Modena era infatti frenata dai
domini dei Canossa, la dinastia nobiliare più potente dell'Italia centro-settentrionale
in quel periodo, e dai vasti possedimenti dell'Abbazia di Nonantola, due importanti
assi di potere e di controllo del territorio rurale, che costituirono un limite all'autorità
del vescovo cittadino.
E' proprio all'interno delle continue tensioni tra queste tre potenti istituzioni (i
Canossa, l'Abbazia di Nonantola e la chiesa Cattedrale) che la città prese forza, fino
ad esprimere tra il 1099 e il 1106 l'energia e l'impegno economico presupposto dalla
costruzione della nuova Cattedrale di Lanfranco e Wiligelmo, così ben narrata nella
“Relatio”. Non è un caso che proprio nelle miniature della “Relatio”, accanto agli
uomini di chiesa e a Matilde, i protagonisti della vicenda del Duomo siano gli
esponenti della nuova società urbana, i “milites”, la nobiltà inurbata, e i “cives”, la
nuova classe emergente della borghesia cittadina: in sostanza i rappresentanti del
nascente Comune. Nel 1126, dieci anni dopo la morte di Matilde di Canossa,
troviamo infatti a Modena le prime esplicite attestazioni dell'esistenza di un governo
comunale.
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Sistema curtense
Era il sistema di gestione della grande proprietà terriera, molto diffuso in Europa tra i
secoli VIII e X, che ha origine nel sistema di conduzione della “villa” romana. Si
caratterizzava per l'autosufficienza, pur non essendo un ordinamento economico
totalmente chiuso, in quanto vi si esercitavano attività di scambio e di produzione
artigianale anche con l'esterno della proprietà.
Le terre della “curtis” o villa erano divise in una “pars dominica”, "parte del signore",
gestita attraverso uomini di fiducia del signore stesso e in una “pars massaricia”, a
sua volta suddivisa in poderi o mansi lavorati da coloni che corrispondevano al
signore una rendita in natura (più raramente in denaro). Il sistema prevedeva che i
massari non si limitassero a consegnare il tributo annuale in natura o in denaro, ma
dovessero anche prestare la loro opera, i loro attrezzi o i loro animali da lavoro per la
“pars dominica”. Questo comportava gravi problemi per i coloni nei periodi delle
semine e dei raccolti (operazioni da compiersi in precisi momenti dell'anno), in
quanto spesso erano costretti a trascurare le proprie terre per occuparsi di quelle del
signore.
Il Duomo di Modena
La prima pietra del Duomo di Modena fu posta il 9 giugno del 1099. La cattedrale
romanica sorse nel luogo dove fin dal IV secolo era stata costruita una primitiva
basilica intorno al sepolcro di san Geminiano, il vescovo contemporaneo di
sant'Ambrogio divenuto ben presto patrono della città. Secondo quanto afferma
un'importante cronaca contemporanea, la “Relatio”, la decisione di erigere la nuova
cattedrale fu presa per volere concorde delle varie classi cittadine, in un'epoca in cui
la crescente autorità di queste aveva ormai incrinato il potere del vecchio regime
feudale, e nel pieno della "lotta per le investiture", quando tra l'altro la città si trovava
temporaneamente senza vescovo perché il suo clero si era schierato dalla parte
dell'imperatore. Nel 1106 i lavori erano già giunti al punto da consentire la
traslazione delle spoglie di san Geminiano dalla vecchia alla nuova cattedrale: la
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cerimonia ebbe luogo alla presenza del papa, del vescovo Dodone, della contessa
Matilde di Canossa e di tutta la cittadinanza e sancì il ritorno ufficiale della Chiesa
modenese all'ortodossia religiosa. La nuova cattedrale romanica fu poi solennemente
consacrata nel 1184, ma i lavori proseguirono ininterrottamente fino ai primi decenni
del XIV secolo, affidati a diverse generazioni di Maestri campionesi, che
intervennero sulla struttura originaria, aprendo sulla facciata due porte laterali e il
grande rosone e sul fianco meridionale l'imponente Porta Regia. Ai Campionesi
spettano inoltre la creazione del falso transetto, che modificò notevolmente la zona
absidale e, all'interno, la costruzione del pontile e la recinzione presbiteriale. Essi
inoltre portarono a termine la costruzione dell'alta torre campanaria detta Ghirlandina,
destinata anche a svolgere funzioni civiche (fu infatti torre di guardia e deposito degli
atti e dei forzieri del Comune).
L'attuale struttura del Duomo tuttavia rispecchia ancora sostanzialmente il progetto
dell'architetto Lanfranco (fine XI secolo): un edificio a tre navate la cui planimetria
interna viene rivelata all'esterno dalla fronte tripartita. Sotto il presbiterio, fortemente
rialzato, si apre una cripta “ad oratorium”, con colonnine e capitelli decorati, i cui
accessi sono posizionati in corrispondenza del grande pontile che salda il coro alle
navate. La scansione interna è data dall'alternanza tra pilastri quadrilobati e colonne,
secondo un sistema alternato che prevedeva una copertura a tetto (sostituita da volte
in muratura nel corso del XV secolo) su archi trasversi già dall'origine a profilo
acuto, ma che si ripercuotono sulle navatelle con ghiere a tutto sesto sormontate da
bifore. In corrispondenza di ogni campata così determinata, la parete viene scandita
verticalmente su tre livelli costituiti in basso dalle arcate, in alto da una parete nella
quale si aprono strette monofore e, al centro, da coppie di trifore che definiscono il
finto matroneo e diventano all'esterno della costruzione motivo decorativo. Viene
così realizzata una sorta di bassa galleria che gira attorno all'edificio con funzione
puramente ornamentale, in quanto le navate laterali prendono luce da monofore
posizionate più in basso.
Le porte in origine dovevano essere tre, tutte precedute da protiri sorretti da leoni
stilofori; si aprivano, la principale, al centro della facciata, mentre le altre due lungo i
fianchi. La “Porta dei Principi”, a meridione, rispecchia ancora l'originaria
collocazione, mentre la “Porta della Pescheria”, a settentrione, fu invece
probabilmente più tardi spostata verso la zona absidale.
Sulla struttura ideata da Lanfranco si innesta, in un rapporto di armonica
integrazione, la scultura di Wiligelmo. A lui e alla sua scuola si deve la ricca
decorazione che popola di motivi vegetali e di esseri fantastici capitelli, mensole e
cornici, decorazione che nel suo complesso efficacemente esprime la visione del
mondo propria dell'uomo medievale. A Wiligelmo (fine XI - inizi XII secolo) e ai
suoi collaboratori spettano anche le sculture che ornano la facciata, tra le quali
emergono le quattro lastre con “Storie della Genesi”, che narrano le “Storie dei
progenitori” fino all' ”Arca di Noè” e le decorazioni del “Portale Maggiore”, intorno
al quale si snoda un tralcio popolato di esseri mostruosi di ogni specie, immagini del
peccato che in ogni momento insidia il cammino spirituale dell'uomo. Scultori legati
a Wiligelmo scolpirono anche le storie di san Geminiano sull'architrave della “Porta
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dei Principi”, e le raffigurazioni dei mesi della “Porta della Pescheria”, sul cui
archivolto figura un episodio del ciclo arturiano. Ad un ignoto maestro attivo nella
prima metà del XII secolo, anch'egli suggestionato dall'esempio del grande scultore
che operò a fianco dell'architetto Lanfranco, spetta la straordinaria serie delle
cosiddette metope, oggi visibili presso i “Musei del Duomo” e un tempo collocate sui
salienti dei tetti, dove sono state sostituite da copie
Relatio
La “Relatio de innovatione ecclesiae sancti Geminiani”,scritta probabilmente da un
testimone diretto e partecipe all'impresa, il canonico Aimone , “magister scholarum “
della Cattedrale, racconta la storia della prima fase costruttiva del Duomo di Modena,
svoltasi tra il 1099 e il 1106. L'argomento è in realtà la traslazione delle reliquie del
Santo patrono della città, il vescovo Geminiano, nella nuova Cattedrale, ma la
narrazione investe anche gli aspetti organizzativi e tecnici della costruzione,
registrando anche gli interventi dei committenti e dell'architetto progettista. Per
questo motivo la “Relatio” è la più interessante fonte letteraria conservata in Italia
sull'architettura dei secoli XI e XII. Così scrive il cronista: "Essendo trascorsi
settecentocinquanta e più anni da quando il nostro patrono Geminiano migrò dai vivi,
la chiesa in cui il suo corpo fu onorevolmente sepolto (...) sembrava minacciare
rovina a causa di molte crepe e fenditure che scendevano fino alle fondamenta. Spinti
dal timore del crollo, gli ecclesiastici e il popolo presero consiglio sul da farsi. Una
sola voce unanime, un solo clamore risuona per la città intera: bisogna restaurare,
bisogna riedificare la chiesa di tanto patrono! (...). Nell'anno 1099, dunque, gli
abitanti della città si mettono a cercare un architetto capace per tale opera (...), e
finalmente per grazia di Dio si trova un uomo di nome Lanfranco, mirabile architetto;
col suo consiglio si dà inizio alla fondazione della Cattedrale col concorso del
popolo, a lode e gloria di Dio onnipotente, padre dell'Unigenito figlio suo signor
nostro Gesù Cristo, della beata semprevergine Maria e del nostro patrono San
Geminiano, il giorno 10 di giugno (...), con lodi, inni e canti, con ceri, lampade e
processione dei sacri testi e con onore e gloria".
La “Relatio” si sofferma poi sugli eventi che precedettero la traslazione delle reliquie,
che avvenne alla presenza dei “milites” e dei “cives”, molto probabilmente
rappresentanti del nascente Comune, del vescovo Dodone e della contessa Matilde di
Canossa. In questo complesso equilibrio politico, sarà proprio l'architetto Lanfranco,
insieme al vescovo di Reggio Bonseniore, ad aprire il sarcofago a traslazione
avvenuta.
Uno dei codici della “Relatio”, conservato presso l'Archivio Capitolare della
Cattedrale modenese e generalmente datato agli inizi del XIII secolo, è corredato da
quattro scene miniate: le prime due illustrano lo scavo delle fondamenta iniziato il 23
maggio del 1099 e l'inizio della costruzione dei muri; le altre due rispettivamente
l'incontro della contessa Matilde con il clero e i cittadini modenesi in occasione del
trasferimento delle reliquie e il solenne scoprimento delle stesse l'8 ottobre del 1106.