ANGIOGRAFIA
ANGIOGRAFIA
ANGIOGRAFIA
Abbiamo già detto che l’angiografia digitale (AD) è una tecnica per lo studio del distretto
vascolare che impiega un intensificatore di brillanza per la rilevazione delle radiazioni; le
immagini ottenute vengono digitalizzate ed elaborate da un computer prima di venire
visualizzate su un monitor televisivo e fotografate su pellicola.
La tecnica angiografica con la digitalizzazione ha numerosi vantaggi rispetto ai sistemi
tradizionali, tanto è che questi sono stati sostituiti.
Nei sistemi digitali è poi abolito tutto il processo legato alla pellicola radiografica:
rifornimento, deposito, carico-scarico nel seriografo, sviluppo, esposizione al
negativoscopio, recupero, imbustamento ed archivio, elaborazioni fotografiche varie
quali maschere, sottrazioni ecc.
Se in passato un sistema di angiografia digitale era costituito da un apparecchiatura
dedicata che produceva immagini che venivano digitalizzate e da un elaboratore
destinato alla conversione digitale di tali immagini e alla loro manipolazione e
visualizzazione, attualmente gli impianti angiografici sono completamente digitali:
tutti i componenti del sistema sono controllati da microprocessori, i segnali di comando
ed i sincronismi sono gestiti da un computer centrale.
Il complesso radiologico di una sala angiografica comprende il generatore ad alta
tensione, il tubo radiogeno, l’intensificatore di brillanza (complesso tubo-intensificatore di
brillanza).
I generatori di alta tensione sono ad alta frequenza, con potenze da 80 a 120kW, e tempi
di esposizione minimi. Il generatore ad alta tensione è in grado di lavorare in scopia in
modo tradizionale con emissione continua di rx, oppure con scopia ad emissione pulsata
di Rx: quest’ultima è la tecnica più impiegata attualmente, in quanto, specie in
procedure complesse come quelle interventistiche che richiedono tempi lunghi di scopia,
consente una riduzione della dose anche del 50%.
Il tubo radiogeno deve poter accumulare un carico termico elevato a livello anodico e
deve poterlo dissipare rapidamente: la capacità termica dei tubi per angiografia è fino a
quattro volte superiore a quella dei tubi di radiologia tradizionale. La guaina contenente il
tubo deve accelerare questa dissipazione, ricorrendo eventualmente a particolari
dispositivi di raffreddamento.
L’apparato ricettore di immagini: intensificatore con relativa catena Televisiva oppure nel
caso di sistemi di ultima generazione, 'flat panel ', con campo di ripresa adeguato al
settore di indagine. L’Intensificatore di Brillanza (IB) raccoglie ed amplifica il fascio di
radiazioni in uscita dal paziente: le dimensioni dell’IB sono particolarmente importanti
perché determinano le dimensioni del campo utile. In diagnostica vascolare addominale
e periferica sono da preferire IB di grandi dimensioni perché consentono di coprire aree
anatomiche più ampie.
L'intensificatore di brillanza è costituito da una ampolla di vetro sottovuoto all'interno della
quale sono racchiusi:
• un grande schermo fluorescente dal quale entra il fascio di raggi x;
• un fotocatodo;
• un elevato campo elettrico;
• un piccolo schermo di uscita.
I raggi x investono il grande schermo fluorescente, il quale emette luce proporzionale
all'intensità della radiazione ricevuta. Il fotocatodo per effetto fotoelettrico emette degli
elettroni, questi, vengono accelerati dal campo elettrico presente all'interno dell'ampolla
di vetro e vanno ad urtare il piccolo schermo di uscita convertendo la loro energia
cinetica in luminosa. In questo modo ottengo in uscita un'immagine che corrisponde alla
mappa di assorbimento dei raggi x. Riprendendo con una telecamera l'immagine in
uscita dallo schermo riesco a visualizzare in tempo reale i tessuti analizzati. Per quel che
riguarda il sistema classico, la qualità dell'intensificatore costituisce uno dei fattori
determinanti per le prestazioni dell'intero sistema e pertanto deve avere le seguenti
caratteristiche:
I Sistemi che ancora utilizzano l’IB impiegano telecamere con rilevatori allo stato solido
chiamati CHARGE COMPLED DEVICES (CCD), costituiti da celle con matrici 1024x1024. Il
segnale elettrico, in uscita dalla CCD, va al Convertitore Analogico Digitale (CAD) e poi al
Computer. Da questo l’immagine digitale, elaborata o no, viene inviata a monitor e/o
stampata previa riconversione digitale-analogica (CDA) oppure viene memorizzata. I
vantaggi di un sistema CCD sono nella miglior qualità dell’immagine, nell’assenza di
fenomeni di abbagliamento e di persistenza. In particolare un sistema CCD, pur non
avendo una risoluzione spaziale sostanzialmente più alta di una telecamera, presenta una
risoluzione di contrasto migliore nella zona di interessa diagnostico.
In questi ultimi anni le sale di diagnostica angiografica sempre più si interfacciano con
indagini di tipo interventistico di alta complessità, con un imaging rivolto alla
visualizzazione di vasi sottili, guide, cateteri e stent che si sovrappongono ad organi con
differenti contrasti quali polmoni e diaframmi. Questo imaging necessita di tecnologie che
non possono più basarsi su sistemi tradizionali quali l’Intensificatore di Brillanza;
Recentemente nasce infatti una nuova tecnologia chiamata “tecnologia flat panel”. Per
comprendere il significato e i vantaggi del sistema “flat panel”, ricordiamo brevemente
ciò che avviene nel comune Intensificatore di Brillanza: i fotoni X sono arrestati e
trasformati in fotoni luminosi e quindi in elettroni nel fotocatodo; questi elettroni vengono
accelerati nel vuoto del tubo dell’IB, verso lo schermo secondario dove vengono
trasformati nuovamente in fotoni luminosi, che focalizzati da opportuni sistemi ottici,
vengono catturati da una videocamera.
Ad ogni passo di questo processo, il segnale immagine è in parte degradato anche se i
vari componenti del sistema sono ottimizzati per le loro funzioni: ne deriva che le
informazioni contenute nell’immagine sono ridotte.
Recenti sviluppi tecnologici della Radiologia Digitale hanno portato all’applicazione della
tecnologia flat panel anche agli apparecchi angiografici; In angiografia il flat panel è del
tutto analogo al sistema detettore usato in radiografia digitale convenzionale e sostituisce
tutta la catena dell’intensificatore di brillanza, con le ottiche, la camera CCD e il
convertitore analogico-digitale.
La filosofia della tecnologia flat panel è quella di eliminare i vari punti deboli di questa
lunga catena, sostituendola con un unico detettore digitale “flat panel”, che consente
una miglior qualità dell’immagine, non alterata da distorsioni, con riduzione della dose.
L’obiettivo del flat panel è quindi quello di migliorare la qualità di immagine in termini di
risoluzione spaziale e risoluzione di contrasto; la conversione diretta è la caratteristica
innovativa di tale tecnologia: i raggi x che attraversano il corpo del paziente vengono
convertiti direttamente in segnali elettrici che contribuiscono alla formazione digitale
dell’immagine. Il rilevatore flat panel è composto da quattro componenti integrati: il
convertitore di raggi X, il rilevatore (TFT array), l’elaboratore di segnale ad alta velocità e
l’unità di trasferimento digitale.
Convertitore di raggi X. Esistono due tecnologie che utilizzano un modo diretto e uno
indiretto. Nel modo diretto è utilizzato del selenio amorfo come materiale fotoelettrico
che, esposto ai raggi x, crea direttamente un segnale elettrico proporzionale al livello di
esposizione. Nel modo indiretto viene utilizzato del materiale fluorescente che converte i
raggi X in luce, la quale viene convertita a sua volta dai fotodiodi in segnale elettrico. Tra
le due tecnologie, quella diretta è molto meno sensibile alla radiazione diffusa.
Rilevatore (TFT array). La tecnologia TFT (thin film transistors) è impiegata per fabbricare
delle piastre con matrici di oltre 2 milioni di rilevatori in un substrato di vetro. Ciascun
rivelatore è composto da un condensatore e da un TFT. Il segnale elettrico proveniente
dal convertitore viene accumulato dal condensatore e trasferito al relativo TFT. Quando il
TFT viene attivato da un segnale di sincronismo, la relativa carica accumulata viene
trasferita come segnale elettrico all’elaborazione di segnali ad alta velocità.
Elaboratore di segnale ad alta velocità. Questa unità genera i segnali di sincronismo per
l’attivazione dei TFT della matrice. Il segnale elettrico proveniente da ciascun tft viene
quindi convertito da un A/D converter.
Una sala angiografica oltre ai componenti del complesso radiologico sopracitati deve
essere munita di :
tavolo di cateterismo monocolonna con piano d'esame a sbalzo di lunghezza adeguata
al tipo di applicazioni. Il piano d'esame è in generale in fibra di carbonio, quindi
particolarmente resistente (portata fino a 200 kg) e allo stesso tempo a basso
assorbimento della radiazione. Una tavola sulla quale il paziente si corica, tavola
regolabile in altezza e in lunghezza ed è dotato di diverse movimentazioni:
Serie di monitor montati su sospensione a soffitto. Le immagini trattate sono visualizzate sul
monitor ad alta risoluzione montati su apposito stativo pensile in sala d'esame ,per
facilitare la conduzione dell'esame da parte degli operatori medici, oltre che sulla
console del sistema digitale.
VIA ARTERIOSA. Per gli studi per la via arteriosa la tecniche utilizzate sono sempre o per
puntura diretta, oppure quando il distretto esaminato non è direttamente accessibile per
cateterismo. In questi studi però, con l’AD cambia la quantità globale di mdc iniettato
rispetto all’angiografia tradizionale. Per l’elevata risoluzione di contrasto. In AD è infatti
possibile ottenere opacizzazioni vascolari adeguate con quantità di Iodio inferiori rispetto
alla radiologia tradizionale. Ciò si può ottenere, riducendo, per ciascuna iniezione, la
quantità di mdc lasciandone invariata la concentrazione e riducendo proporzionalmente
i flussi ; oppure lasciando invariati quantità e flussi ma riducendo la concentrazione;
oppure ancora riducendo opportunamente sia la quantità che la concentrazione.
L’iniezione arteriosa di mdc rappresenta un’indicazione elettiva quando si debba
esaminare patologia d’organo o patologia vascolare di piccole e medie dimensioni (ad
esempio aneurismi cerebrali) e dove sia necessario precisare la sede della lesione.
Posizionato il paziente sul tavolo della sala angiografica, non appena posizionato il
catetere nella sede opportuna, l’area di studio viene centrata sotto il sistema tubo-
amplificatore di brillanza. Sotto controllo scopico si perfeziona il posizionamento del
paziente, e si verifica l’eventuale esistenza di zone di iperilluminazione che devono venir
attenuate attraverso filtri. Durante tutta questa fase si rivela utilissima la possibilità di
congelare l’immagine scopica sul monitor, il che consente di realizzare l’intera proceduta
somministrando solo pochi brevi “flash” di scopia.
Il catetere viene poi raccordato all’iniettore automatico sul quale vengono impostati i
parametri di iniezione; il paziente viene ragguagliato sul comportamento da tenere
(immobilità, eventualmente apnea) e gli operatori si spostano verso il tavolo di comando.
Il passo successivo è costituito dalla determinazione dei parametri o fattori di esposizione
ottimali: normalmente l’operazione avviene in maniera automatica ad opera del
computer sulla base di alcuni parametri prefissati dalla ditta costruttrice o dall’operatore
(KV massimi, tempo massimo di esposizione, dimensione della macchia focale),
eventualmente differenziati per zone anatomiche e per dimensioni del paziente. Si
programmano l’intervallo tra inizio della sequenza angiografica ed iniezione del mdc
(ricordare che almeno la prima immagine SEMPRE non deve contenere mdc perché è
quella che funge da maschera), e poi la cadenza desiderata; a seconda della
sofisticatezza delle apparecchiature quest’ultima sarà fissa durante tutta la sequenza (ad
esempio 1 immagine al secondo per 15 secondi) oppure variabile (ad esempio 2
immagini al secondo per i primi 5 secondi e poi un’immagine ogni 2 secondi per i
successivi 10). A questo punto la sequenza può iniziare; all’intervallo prefissato compaiono
sul monitor televisivo dapprima un’immagine della zona anatomica in esame ed
immediatamente dopo, in cadenzata successione, le immagini della sequenza
angiografica già sottratte. Non appena la sequenza è terminata è subito possibile
impostarne un’altra oppure rivedere le immagini appena ottenute per operare su di esse
tutte le operazioni necessarie. Le immagini più significative di ciascuna sequenza
vengono stampate.
RADIOLOGIA INTERVENTISTICA
La radiologia interventistica comprende l’insieme delle procedure invasive e mini-invasive,
diagnostiche e terapeutiche realizzate mediante tecniche, metodiche e
apparecchiature radiologiche che utilizzano un approccio percutaneo. La RI sta
andando incontro ad una continua espansione in particolare per quanto concerne le
procedure endovascolari; questa espansione è in diretta correlazione con l’evoluzione di
materiali dedicati a disposizione degli operatori. In relazione alla particolare importanza
che assume la conoscenza di questi materiali nella pratica clinica accenniamo
brevemente alle loro caratteristiche principali.
GUIDE
Le guide consentono di incannulare una struttura canalicolare quale un vaso o un dotto
biliare, permettendo di introdurre in sicurezza e con minimo traumatismo i dilatatori, gli
introduttori e i cateteri necessari per la procedura interventistica.
Possono essere suddivise in 2 gruppi: metalliche, non idrofiliche, e idrofiliche.
Si distinguono, inoltre, in base alla loro rigidità, in guide normali, stiff o superstiff; alla forma
della loro punta, J o retta; alle loro dimensioni.
Le metalliche, sono rivestite in teflon con un’anima interna metallica che ne regola la
rigidità e hanno un calibro compreso tra 0,010 e 0,048 inches (1 cm = 0,39 inches).
Le guide idrofiliche sono ricoperte da polimeri che a contatto con l’acqua acquisiscono
caratteristiche di scorrevolezza, elasticità e ridotta traumaticità consentendo di superare
le stenosi più serrate o le ostruzioni più difficili.
CATETERI
I cateteri sono dei dispositivi che trovano impiego sia in procedure vascolari che
extravascolari. Il loro diametro esterno viene espresso in French (3 Fr= 1 mm), mentre
quello interno in inches, la loro lunghezza è misurata in cm e si dividono in cateteri per
impego vascolare e in cateteri per drenaggi.
Tra i cateteri per impiego vascolare ritroviamo: cateteri diagnostici, cateteri terapeutici e
cateteri per infusione.
Alcuni di loro prendono il nome dalla loro forma altri dal nome dello specialista che per
primo li propose. I cateteri diagnostici si dividono a loro volta in cateteri ad alto flusso con
multipli fori laterali per vasi di grosso calibro detti pig tail (a coda di maiale) e cateteri a
basso flusso con foro esclusivamente terminale usati per angiografie selettive.
I cateteri a basso flusso si differenziano per la forma dell’estremità distale confezionata a
seconda del vaso da andare a cateterizzare:
Cobra (A. mesenterica superiore, A. renale, A. iliaca controlaterale) come il serpente
cobra.
Simmons (A. mesenterica superiore, tronco celiaco, vasi epiaortici, iliaca controlaterale)
Headhunter (A. carotidi e vasi epiaortici)
Berenstein (A. carotidi)
Controlateral (selettive iliache controlaterali)
Judkins (selettive coronariche)
La grande maggioranza di questi cateteri ha un calibro di 4-5 Fr. Caeteri di calibro
maggiore (7-9 Fr) vengono impiegati come cateteri guida nel corso di procedure
particolarmente impegnative in cui un catetere di dimensioni minori non consentirebbe
una sufficiente manovrabilità.
L’obiettivo è quello di avere una via d’accesso attraverso la quale inserire cateteri più
piccoli, cateteri a palloncino e protesi da impiegare a seconda dei casi. Grazie ai
progressi tecnologici sono stati confezionati cateteri di calibro estremamente ridotto (3 Fr)
che vengono impiegati nelle procedure interventistiche e diagnostiche che richiedono un
cateterismo superselettivo del distretto vascolare fino ai rami distali di piccolo calibro.
Tra i cateteri terapeutici ricordiamo i cateteri a palloncino che derivano dal catetere
proposto nel 1974 da Gruntzig .
Le alterazioni patologiche a carico del sistema arterioso periferico sono alterazioni di tipo
steno-ostruttivo da riferirsi nella maggior parte dei casi a patologia aterosclerotica o a
fibrodisplasia.
La stenosi o l’ostruzione di un’arteria principale determina una riduzione del flusso ematico
a valle della lesione provocando l’insorgenza di una sintomatologia dolorosa durante
l’esercizio muscolare oppure compromette la funzionalità di un organo come avviene ad
esempio a livello renale.
Il trattamento con la RI si basa sull’utilizzo di cateteri a palloncino, di calibro e lunghezza
variabili in rapporto al distretto da trattare, per la dilatazione del tratto stenotico
(angioplastica percutanea transluminale-PTA).
I cateteri a palloncino possono essere suddivisi in : over the wire (OTW) e monorail, a
seconda del sistema di conduzione sulla guida ove viene montato il catetere. In base alla
capacità del palloncino di superare o meno il suo diametro nominale (livello
sovradilatazione) man mano che viene gonfiato ad una pressione crescente, si
distinguono palloni complianti, semicomplianti, non complianti.
Semicompliante Il pallone è compliante fino ad una certa pressione a cui diviene non
compliante
I cateteri per infusione sono dei cateteri retti in nylon provvisti di un foro terminale e di
multipli fori disposti lateralmente lungo il tratto terminale del catetere, che vengono
impiegati per l’infusione ditrettuale di farmaci fibrinolitici nel trattamento di estese
trombosi vascolari.
STENT
Gli stent sono dispositivi di forma tubulare, costituiti da filamenti metallici in acciaio, nitinol
o tentalio che vengono impiegati sia nel sistema vascolare che extravascolare con lo
scopo di mantenere pervia una strutttura
canalicolare in caso di restenosi o di occlusione
dopo semplice dilatazione con palloncino o per
trattare eventuali complicanze dopo
angioplastica (dissezione), o in caso di
infiltrazione per neoplasie ad accrescimento
endoluminale; Vengono distinti in:
Espandibili con palloncino: si tratta di stent
metallici montati attorno ad un catetere a
palloncino ; gonfiando il palloncino lo stent
viene dilatato e modellato attorno alla parete
da trattare in base al diametro del palloncino. Pre-stent Post-stent
Utilizzato in: Renale, Iliache, Succlavie Utilizzati in: carotidi ,iliache, fem.
superficiale
ANGIOPLASTICA
L'angioplastica percutanea transluminale, o più semplicemente angioplastica, è una
tecnica mini-invasiva capace di eliminare, o perlomeno ridurre, i restringimenti del calibro
vasale. Quando il lume interno di un'arteria si riduce, generalmente a causa di una
placca aterosclerotica, di un trombo o di un processo infiammatorio, si parla di stenosi. A
causa di questo restringimento patologico, il normale passaggio del sangue e delle
sostanze che trasporta vengono ostacolati, o nella peggiore delle ipotesi impediti.
In tutti questi casi l'angioplastica si propone come un'alternativa sicura ed efficace alla
terapia chirurgica, perché si esegue in in anestesia locale (il paziente è quindi sveglio e
cosciente) e senza bisogno di ricorrere alla toracotomia.
Risulta concreto anche il rischio che l'angioplastica provochi dei danni a carico della
parete vasale (dissecazione) o inneschi meccanismi ostruttivi acuti o subacuti del vaso.
Comune è anche una re-stenosi vasale nei mesi successivi alla dilatazione.
APPLICAZIONE DI STENT Molti di questi limiti vengono superati mediante l'introduzione dei
cosiddetti stent, piccole protesi metalliche, simili a una rete, che rimangono fissate alla
parete vascolare impedendone un nuovo restringimento.
L'adesione alla parete vascolare può essere spontanea (stent autoespandibili) o favorita
dalla pressione esercitata dal palloncino
Il mantenimento della pervietà ottenuta può essere favorito da appositi farmaci applicati
sulla superficie dello stent (si parla in questi casi di stent medicato) e rilasciati in maniera
graduale.
Ultimamente è pratica comune utilizzare per effettuare l'angioplastica l'arteria radiale che
migliora notevolmente la qualità di vita del paziente nel post-procedura utilizzando come
sistema di emostasi dei presidi molto simili a dei braccialetti che vengono gestiti dal
personale infermieristico fino alla completa rimozione degli stessi. Recentemente sono stati
introdotti sistemi di emostasi a collagene riassorbibile che consentono di evitare la
compressione e permettono al paziente di deambulare in meno di un'ora in completa
sicurezza.
INDICAZIONI.La trombolisi può trovare impiego quando c'è bisogno di dissolvere trombi o
emboli responsabili di:
Infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST. È una grave forma di attacco di
cuore, dovuta al blocco completo di una delle coronarie principali e caratterizzata da un
elettrocardiogramma molto particolare
Trombosi venosa profonda. È la condizione patologica che deriva dalla formazione di un
trombo in una vena profonda del corpo umano.
Con una preferenza per il sistema venoso degli arti inferiori, la trombosi venosa profonda è
molto pericolosa, perché bloccare il flusso sanguigno lungo la vena coinvolta e/o dare a
origine a emboli che, facendo ritorno al cuore attraverso il sangue, possono dar origine a
episodi di embolia polmonare.
Ictus ischemico. In medicina, il termine "ictus" e i suoi sinonimi " indicano la morte (o
necrosi), per mancanza di apporto sanguigno, di un'area più o meno estesa di encefalo.
Embolia polmonare. È la condizione medica, contraddistinta dall'ostruzione di una delle
arterie polmonari, ossia i vasi sanguigni deputati al trasporto del sangue deossigenato dal
ventricolo destro del cuore ai polmoni, con lo scopo di ossigenarlo.La principale causa
dell'embolia polmonare sottoponibile a trombolisi è la trombosi venosa profonda.
Ischemia acuta periferica. Conosciuta anche come ischemia acuta degli arti, è la
riduzione repentina e improvvisa del flusso di sangue ("ischemia acuta") all'interno della
rete vascolare arteriosa presente alle estremità del corpo umano ("periferica").Può essere
di natura trombotica (quando dipende da un trombo) oppure embolica (quando
dipende da un embolo).
Il processo della coagulazione del sangue, che si innesca per esempio in occasione di
una ferita della cute, coinvolge numerose proteine; tra queste, spicca la fibrina, la quale,
formando una sorta di rete, ha il compito di intrappolare le piastrine e generare il coagulo
che andrà a bloccare la fuoriuscita di sangue.
Durante la normale coagulazione, la fibrina è finemente controllata nella sua azione, nel
senso che, a coagulo formato, interviene un sistema che ne blocca la produzione; se così
non fosse, si assisterebbe alla formazione di coaguli sanguigni anomali, ossia alla
generazione di trombi.
Il termine "fibrinolitico" deriva dalla parola "fibrinolisi", nella quale "lisi" significa
disgregazione/distruzione, mentre "fibrino" fa riferimento alla fibrina.
Pertanto, "fibrinolisi" e gli aggettivi derivati, come per esempio "fibrinolitico", vogliono dire,
letteralmente, "distruzione della fibrina".
RISCHI E COMPLICANZE.La trombolisi presenta alcuni rischi; nello specifico, il paziente che
vi si sottopone potrebbe: Sviluppare una reazione allergica al farmaco fibrinolitico
impiegato; Sviluppare un'infezione nel punto d'inserimento del catetere per la
somministrazione farmacologica; Essere oggetto di emorragie più o meno gravi; Subire un
danno a livello dei vasi sanguigni attraversati dal catetere per la somministrazione diretta
del farmaco fibrinolitico; Essere vittima di un ictus emorragico dal potenziale esito fatale. È
la complicanza più grave, ma anche quella meno comune (interessa, infatti, solo un 1%
dei pazienti).
EMBOLIZZAZIONE ENDOVASCOLARE
Con il termine embolizzazione si intende l’iniezione di sostanze chimiche, agenti
meccanici o fisici. In un vaso, allo scopo di ottenere l’occlusione del vaso stesso o di un
microcircolo a valle.Le procedure di embolizzazione vengono eseguite sia nel circolo
arterioso che venoso, sebbene ovviamente la tipologia di patologie coinvolte sia
differente.
INDICAZIONI.Il medico può raccomandare EE se si verifica una delle seguenti condizioni:
-aneurismi cerebrali, che stanno gonfiando punti deboli nelle pareti dei vasi sanguigni nel
cervello
-tumori come i fibromi uterini, che possono essere ridotti bloccando il loro flusso sanguigno
-escrescenze anomale in il sistema circolatorio
-malformazioni artero-venose (AVM) del cervello e della colonna vertebrale, che sono
nodi di vasi sanguigni che sono soggetti a sanguinamento
- epistassi eccessivi
EE può essere usato come unica forma di trattamento, oppure può essere fatto prima di
un altro intervento chirurgico. Bloccare il flusso di sangue in una zona danneggiata può
rendere più sicuro l'intervento chirurgico.
PROCEDURA.Durante la procedura, verrà praticata una piccola incisione nell'inguine. Un
catetere viene quindi inserito attraverso l’arteria femorale e guidato attraverso il sistema
circolatorio fino alla regione di interesse, il tutto sotto controllo radiologico.
Quando il catetere raggiunge la posizione dell'anomalia da trattare, il materiale viene
iniettato per sigillare il vaso sanguigno.
Quando si parla di embolizzazione il concetto di “cateterismo selettivo” risulta
fondamentale; A seconda della conformazione e dello stato dei vasi del paziente e
dell’anatomia del distretto coinvolto nella procedura, l’operatore sceglierà il tipo di
catetere più adatto. In funzione del cocnetto di selettevità compare tra i materiali di cui si
serve il radiologo interventista per le embolizzazioni il catetere coassiale e microcatetere.
Si tratta di cateteri dal diametro esterno ridotto a 4 Fr, che vengono introdotti
coassialemnte nel catetere utilizzato per la selettivizzazione dell’arteria distrettuale.
Essendo anche le guide un dispositivo che fa parte dello strumentario del radiologo
interventista, connesse ai microcateteri sono le microguide.
MATERIALI EMBOLIZZANTI.
Palloncini staccabili, posizionati tramite catetere;colle biologicamente inerti, il che
significa che non interagiscono con i tessuti ,Particelle di collagene ,Spirali metalliche,
Polvinilalcol (agenti particolati).
CHEMIOEMBOLIZZAZIONE,
La chemioembolizzazione (o TACE, ovvero trans-arterial chemioembolization) è una
procedura medica che viene eseguita da un radiologo interventista. Attraverso questa
tecnica possono essere somministrati farmaci chemioterapici direttamente all'interno del
tumore, mediante un catetere inserito nell'arteria nutritizia dello stesso[1]. Questa
procedura garantisce una concentrazione superiore del farmaco, che può rimanere a
contatto con le cellule tumorali per un tempo maggiore[2].
Questa tecnica attualmente trova largo impiego nel trattamento delle neoplasie del
fegato[3] e nelle neoplasie del sistema neuroendocrino[4].
Come già abbiamo detto è una procedura che viene eseguita per via trans-arteriosa.
Sotto guida radiologica (accesso dalla arteria femorale, o dalla omerale o dalla radiale)
viene inserito un catetere e si navigano i vasi sino ad arrivare alla arteria epatica e si
cateterizza selettivamente il vaso che irrora il tumore. A quel punto si inietta il farmaco di
solito legato con delle sostanze che lo veicolano e talvolta ne aumentano la
concentrazione nel contesto delle cellule tumorali garantendone un rilascio continuo nel
tempo sino a circa 1 mese. Questi farmaci chemio-terapici causano la necrosi delle
cellule maligne e le sostanze che lo veicolano servono anche per chiudere il vaso o i
piccoli vasi che alimentano il tumore.
In lesioni voluminose è possibile usare le due metodiche sopra-descritte in maniera
combinate (termoablazione+ TACE), per garantire una maggiore efficacia del
trattamento.
TERMOABLAZIONE.
La termoablazione epatica viene annoverata, tra le terapie locoregionali dei tumori
epatici, primitivi o secondari, in pazienti non candidabili a intervento chirurgico di
resezione.
La termoablazione è indicata nel caso di un’unica lesione con diametro inferiore a 5 cm o
in caso di lesioni multiple con diametro inferiore a 3 cm, in stadio non avanzato, in assenza
di metastasi extraepatiche e in assenza di scompenso epatico (ittero, ascite, disturbi della
coagulazione, insufficienza renale). È invece controindicata nelle lesioni con diametro
superiore a 6-7 cm o in numero superiore a 4-5, nonché in caso di scompenso della
malattia epatica (cirrosi in stadio avanzato, alterazione dei valori di coagulazione,
riduzione importante delle piastrine).
La termoablazione mediante radiofrequenza, microonde, laser permette di bruciare la
lesione mediante lo sviluppo di calore all’interno della lesione e la formazione di necrosi
coagulativa.
Possono essere trattate sino a circa 3 lesioni nella stessa seduta. Le procedure vengono
eseguite in sedazione e con l’anestesia locale nella sede di inserzione dell’ago/antenna.
Per lesione con dimensioni sino a 3 cm, è possibile essere completamente radicali (questo
è valido anche per lesioni localizzate in sedi difficili (vicino ai grossi vasi, colecisti, cupola
epatica, etc), grazie alle nuove tecnologie oggi disponibili.
I TRATTAMENTI IN DETTAGLIO
ANGIOGRAFIA POLMONARE
(TRADIZIONALE) L’angiografia polmonare consiste nello studio contrastografico delle
arterie polmonari, a partire dai grandi tronchi del peduncolo vascolare nel mediastino
fino ai vasi polmonari segmentari e subsegmentari, nonché del ritorno venoso attraverso
le vene polmonari al cuore sinistro. Tale esame consente di studiare modificazioni dei vasi
sanguigni che portano sangue ai polmoni e valutare dunque eventuali blocchi o il
restringimento di questi vasi ,ad esempio, dovuti ad un coagulo di sangue.
L’iniezione del mdc avviene a livello della radice dell’arteria polmonare o tronco
comune, oppure a livello della radice di uno dei suoi rami principali, a seconda che si
voglia attuare uno studio bilaterale e sistemico, unilaterale o selettivo, oppure
superselettivo.
Durante l’esame il paziente si sdraia su un tavolo attrezzato per la scansione con raggi X e
viene monitorizzato tramite elettrocardiogramma.
La via di accesso venosa preferibile è quella brachiale, attraverso le vene antecubitali del
braccio ( vena basilica e vena cefalica), o in caso di necessità anche attraverso la vena
giugulare interna o esterna destra oppure attraverso la vena femorale. I vantaggi offerti
dall’approccio brachiale sono la facile comprimibilità del vaso, la riduzione delle
complicanze legate al sanguinamento indotto dalla terapia, la facilità di accesso
all’arteria polmonare ed il ridotto rischio di mobilizzazione di trombi ileo-cavali.
I cateteri da usare preferibilmente sono quelli pig-tail angolati Swan-Ganz angiografici
con fori laterali prossimalmente al palloncino, attraverso di essi una soluzione di contrasto
(si utilizzano mezzi di contrasto non ionici )viene iniettata nelle arterie del polmone per
renderle maggiormente visibili . Per quanto riguarda la sede di iniezione si eseguono in
prima istanza le selettive dei due rami polmonari, evitando l’iniezione globale nel tronco
della polmonare in quanto le immagini risultanti sono generalmente non sufficientemente
particolareggiate.
Per lo studio selettivo del ramo polmonare destro e del suo intero emisistema la proiezione
generalmente usata è quella postero-anteriore, mentre per il ramo polmonare sinistro è
l’obliqua anteriore sinistra 25°/30°.
La ripresa angiografica deve essere sufficientemente protratta da permettere la
visualizzazione della fase levo-grafica, cioè dell’atrio sinistro, del ventricolo sinistro e
dell’aorta ascendente.
L’angiografia polmonare ha rappresentato sino a qualche anno fa il gold standard nella
diagnosi di embolia polmonare. Oggigiorno, dopo l’introduzione della tomografia
computerizzata multislice e dell’angio-RM mediante risonanza magnetica, l’angiografia
polmonare trova indicazione quasi esclusivamente limitata ai pazienti candidati ad
embolectomie strumentali o trombolisi locale oppure nei casi in cui le altre tecniche
diagnostiche sono dubbie. Bisogna infatti ricordare che l’angiografia polmonare è un
esame invasivo, costoso e non privo di rischi, soprattutto nei pazienti con ipertensione
polmonare, scompenso cardiaco destro e/o insufficienza respiratoria.
Altre più rare indicazioni allo studio con angiopneumografia possono essere
rappresentate da: alterazioni vascolari su base displasica quali le anomali di deflusso
venoso; fistole arterovenose; aneurismi; ipoplasia o agenesia dell’arteria polmonare;
dilatazione idiopatica o costrizione dell’arteria polmonare. Particolare interesse può trarre
l’angiopneumografia nello studio tardivo delle cavità cardiache di sinistra, della valvola
mitrale, delle valvole aortiche e dell’aorta nelle situazioni in cui non sia possibile il
cateterismo dell’aorta stessa e l raggiungimento dei suoi segmenti prossimali (ad esempio
in caso di stenosi serrate), oppure il cateterismo transvalvolare aortico della cavità
ventricolare sinistra.
Scarso interesse ha trovato l’angiografia polmonare nel giudizio di operabilità di tumori
polmonari e nella diagnosi di malignità delle masse polmonari, in quanto risultano
vascolarizzate fondamentalmente dal sistema delle arterie bronchiali.
(AD POLMONARE) L’angiografia polmonare digitale, grazie ai miglioramenti tecnologici,
consente ottimi risultati iconografici soprattutto nel cateterismo selettivo; nello studio del
cono dell’arteria polmonare, delle cavità cardiache o dell’aorta toracica possono
persistere alcuni artefatti da movimento dovuti alle pulsazioni cardiache, nonostante
l’impiego della ripresa sincronizzata con l’ECG.
Inoltre l’elevato gradiente di attenuazione delle strutture del campo d’esame (polmone e
mediastino) comporta sempre un difficile e talvolta non del tutto adeguato compromesso
nella scelta e nella disponibilità dei parametri di esposizione.
La tecnologia offre inoltre vari software che consentono non solo la rimaschera, ma
anche la ricostruzione elaborata delle immagini (post-processing) consentendo così di
ottenere un importante contenimento degli artefatti ed una elevata risoluzione
diagnostica per le lesioni più vistose a livello dei grandi vasi o delle cavità cardiache (fase
angiocardiografica); l’affidabilità diagnostica, pur migliorando nello studio selettivo, può
talvolta non essere adeguata nella dimostrazione di piccole embolie dei vasi segmentali
o subsegmentali. Al momento, non disponiamo ancora di una metodica diagnostica
soddisfacente per la individuazione degli emboli più periferici.
ARTERIOGRAFIA BRONCHIALE. Si attua soltanto mediante cateterismo selettivo (per via
femorale) delle arterie bronchiali, che originano per lo più dall’aorta discendente;
l’arteriografia bronchiale, un tempo applicata nella diagnosi di natura di opacità di
masse periferiche del polmone, attualmente può trovare indicazione nel protocollo di
studio delle emottisi importanti, sia nella diagnosi che nel successivo trattamento,
mediante embolizzazione, della displasia vascolare responsabile del sanguinamento.
il Drenaggio Biliare Esterno (DBE), in cui il catetere di drenaggio, posizionato nella via
biliare, fuoriesce dall’accesso percutaneo ed eventualmente viene connesso con una
sacca di drenaggio in cui viene scaricata la bile; Eseguita la CPT e ottenuta
l’opacizzazione delle vie biliari si identifica un dotto periferico che viene punto e
impiegato per il cateterismo biliare con materiale di derivazione angiografica. Il catetere
di drenaggio di solito ha diametro tra 7 e 10 F ed è munito di fori nella porzione distale.
il Drenaggio Biliare Esterno Interno in cui il catetere di drenaggio, inserito per via
percutanea, attraversa la via biliare e viene posizionato con l’estremità distale nel tubo
gastroenterico; il catetere di drenaggio è dotato numerosi fori (pre- e post-stenotici) nel
suo tragitto lungo la via biliare sino in duodeno. Questo tipo di drenaggio consente il
ripristino del normale circolo della bile e non necessita normalmente del sacchetto di
raccolta.
Le complicanze gravi dei drenaggi biliari, seppur molto rare, possono essere precoci o
tardive e sono rappresentate da emobilia, colangite, ascessi e dislocazione del catetere.
Il Drenaggio Biliare Interno (DBI); Quest’ultimo può essere costituito
da dispositivi differenti (endoprotesi o stent). Dopo aver posizionato
in intestino una guida rigida Amplatz con la medesima procedura
descritta per il posizionamento di un DBEI, si può decidere se
posizionare un’endoprotesi o uno stent metallico.
ENDOPROTESI: Le più comuni sono le endoprotesi di Miller e le
Carey-Coons.
Sono dei cateteri di differenti lunghezze e fogge, costituite da
materiale idoneo alla lunga permanenza (alta biocompatibilità) di
calibro variabile tra 12 e 14 F e sono
munite di fori laterali. Vengono inserite
utilizzando una guida metallica sulla
quale si fanno scorrere fino a giungere a
cavallo della stenosi, sospinte da un
catetere “vettore”. Il periodo medio di
pervietà è di 6-9 mesi: quando si
ostruiscono possono essere recuperate
per via endoscopica previa rimozione del bottone di
ancoraggio sottocutaneo e sostituite per via percutanea.
I vantaggi delle protesi plastiche possono essere così riassunti:
– consentono di trattare, mediante l’inserimento di due o più endoprotesi, anche stenosi
alte o ilari con separazione dei dotti di destra e di sinistra;
– possono essere agevolmente rimosse in caso di ostruzione o intervento chirurgico; –
possono essere impiegate in tutti i tipi di stenosi; – hanno un costo minore rispetto agli stent
metallici.
Fra gli svantaggi devono essere ricordati:
– la minore maneggevolezza (posizionamento più difficoltoso) rispetto a quelle metalliche;
– la necessità di disporre di introduttori peel-away di grosso calibro (12 F);
– la maggior incidenza di ostruzione (minor calibro interno).
STENT:Hanno carattere permanente, tranne poche eccezioni. Sono costituite da una rete
metallica con maglie molto strette e si suddividono in autoespandibili o espandibili su
pallone. Gli stent vengono rilasciati a cavallo della stenosi; dopo averne verificato,
mediante un controllo colangiografico, il corretto posizionamento, si rimuove il catetere di
drenaggio. La maggiore “facilità” di posizionamento, il minor traumatismo legato
all’utilizzo di introduttori di tipo angiografico di piccolo calibro (7 F) e il minor rischio di
ostruzione grazie a un adeguato calibro interno (7-12 mm) sono i maggiori vantaggi nei
confronti delle protesi plastiche. Rispetto a queste ultime sono però più costose, non
possono essere rimosse quando si occludono e non sono utilizzabili per trattare stenosi
alte.
In campo biliare si utilizzano prevalentemente gli stent auto-espandibili, ovvero montati su
un catetere e compressi da una guaina che, una volta ritirata, ne permette la dilatazione
fino al raggiungimento del diametro prestabilito.
La scelta della lunghezza dello stent viene ovviamente fatta individualmente, sulla base
della localizzazione e della lunghezza della lesione, ma è preferibile utilizzare dispositivi di
lunghezza maggiore per ridurre i rischi di ostruzione da crescita del tumore.
BILIOPLASTICA
La bilioplastica percutanea consiste nella dilatazione di un segmento stenotico della via
biliare mediante l’impiego di cateteri a palloncino di Gräntzig (di diametro variabile) che,
scorrendo su un filo guida, vengono posizionati a cavallo della stenosi.
Quelli più comunemente utilizzati hanno diametro di 10-12 mm, una lunghezza di 2-4 cm e
generalmente resistono a pressioni fino a 16-18 atmosfere; la dilatazione del segmento
stenotico dura pochi secondi e può essere ripetuta sino a quando non si ottiene un
risultato soddisfacente.
In pazienti con stenosi fibrotiche a causa di ripetuti interventi chirurgici, possono essere
necessari palloni con diametri ancora maggiori ed alte pressioni di gonfiaggio.
La procedura richiede analgesia e talvolta una blanda sedazione e tutti i pz devono
essere monitorati. Altri ancora richiedono anestesia generale.
PATOLOGIA MALIGNA DELLE VIE BILIARI
La Radiologia Interventistica ha un ruolo importante a partire dalla diagnosi con le biopsie
percutanee imaging guidate delle lesioni epatiche che permette di definire la istologia
della o delle lesioni epatiche.La terapia delle neoplasie maligne delle vie biliari è
naturalmente chirurgica; tuttavia, quando il tumore è avanzato e non suscettibile di
intervento radicale sono preferibili trattamenti alternativi.
Le problematiche concernenti la patologia maligna sono numerose, da quelle più
strettamente tecniche a quelle inerenti la gestione clinica e la qualità di vita del paziente
a quelle, non meno importanti, riguardanti le implicazioni economiche gravanti
sull’impiego di materiali sempre più innovativi e sempre più costosi.
Da un punto di vista strettamente diagnostico, una volta dimostrata l’esistenza di una
ostruzione biliare con esami TC o ultrasonografici, può essere indicato il ricorso alla PTC o
all’ERC ( Endoscopic Retrograde Cholanghiography)
La prima tecnica interventistica proposta per la decompressione nelle ostruzioni maligne
(ostruzioni cioè causate da tumori che comprimono o invadono le vie biliari) è stata il
drenaggio biliare esterno; attualmente tuttavia esso non è praticamente più usato. Si
predilige il posizionamento di un drenaggio esterno-interno temporaneo sostituito poi dal
definitivo dispositivo interno. Originariamente il DBE veniva proposto pre-operatoriamente
per alleviare l’ittero dei pazienti candidati alla chirurgia, ma attualmente si ritiene che
esso determini un aumento del tasso di morbilità operatoria a causa delle complicanze
settiche. Oggi si pratica solo in caso di colangiti gravi. Infatti i pazienti con drenaggio,
oltre al dolore ed al disagio associato ad esso, rischiano, a lungo termine, di sviluppare
infezioni.
Da un punto di vista strettamente tecnico gli stent metallici risultano essere maggiormente
efficaci come terapia palliativa dell’ittero maligno rispetto alle endoprotesi in plastica; ad
essi si associano migliori risultati in termini di tassi di mortalità a 30 giorni, varietà media,
tempo di sopravvivenza, complicanze globali e costo totale. Questi dati si riferiscono a
stenosi basse della via biliare; i vantaggi dello stent tuttavia sono ancora maggiori nei casi
di stenosi più alte in quanto consentono di drenare meglio rami collaterali.
Un indubbio vantaggio però delle endoprotesi in plastica è sicuramente il costo
decisamente inferiore rispetto agli stent; questo limita l’uso di questi ultimi a vantaggio
delle prime.
La scelta va fatta comunque caso per caso. Un problema comune nell’utilizzo delle
endoprotesi è la formazione di incrostazioni e fango biliare che ne condizionano il tasso di
ostruzione, attestato intorno al 20-30%. E’ importante tener presente a questo proposito
che il diametro interno della protesi è l’unico fattore in grado di migliorare il tasso di
pervietà, anche se l’utilizzo di dispositivi con diametri di 10-14 Fr è limitato dal rilevante
disagio/dolore del paziente all’atto del posizionamento.
L’ideale quindi sono dispositivi con elevato diametro interno e, diametro esterno non
troppo maggiore ma con spessore di parete tale da prevenire compressione e kinking ab
estrinseco da parte del tumore in crescita. Rispetto alle endoprotesi in plastica gli stent
consentono, grazie all’alto grado di espansione, di ottenere un diametro interno
soddisfacente, con diametro esterno, e conseguentemente, dispositivi di posizionamento,
più piccoli; tale procedura, meno traumatica è più adatta dell’endoprotesi a pazienti
defedati e poco tolleranti al dolore.
Altri vantaggi sono rappresentati dalla possibilità di stenting multiplo, in più dotti, e dal più
basso rischio di migrazione.
Gli svantaggi degli stent sono la formazione di fango biliare, il danno della mucosa
duttale, la crescita tumorale ab estrinseco ed intrastent con conseguente ostruzione.
Tumori del terzo superiore della VBP
Questo tipo di neoplasia può interessare la confluenza dei dotti epatici o il dotto epatico
comune. Lo stato itterico viene risolto posizionando un drenaggio biliare esterno qualora
non si riesca a valicare la stenosi neoplastica. Talvolta, nel caso in cui sia presente la
separazione dei due emisistemi biliari per infiltrazione della confluenza, si rende necessario
il posizionamento di due drenaggi biliari, uno a destra e l’altro a sinistra. Solitamente, dopo
alcuni giorni si tenta di valicare la stenosi sostituendo il DTBE con un DTBEI o, qualora non
sussista indicazione chirurgica, con una protesi interna
Tumori del terzo medio della VBP
Le lesioni neoplastiche situate a questo livello sono dovute a infiltrazione secondaria a
carcinomi della colecisti o da adenopatie metastatiche del peduncolo epatico. Dopo un
preventivo DTBE o DTBEI, a distanza di 5-7 giorni, nei pazienti non operabili, o a elevato
rischio operatorio, si può posizionare una protesi biliare definitiva.
Tumori del terzo inferiore della VBP
Le neoplasie del terzo inferiore della VBP possono originare dal pancreas, dalla via biliare,
dalla papilla di Vater o dal duodeno. La stenosi neoplastica può inoltre essere secondaria
a linfoadenopatie locoregionali.
Come per gli altri tipi di neoplasia della VBP, è indicato posizionare un drenaggio biliare
per risolvere lo stato itterico e distendere le vie biliari.In questa sede è preferibile il
posizionamento di un stent metallico anziché la protesi plastica, poiché non
compromette un’eventuale correzione chirurgica.
INTERVENTISTICA VASCOLARE
CIRCOLO INTRACRANICO
Aneurismi Intracerebrali. L’aneurisma cerebrale si presenta come una dilatazione della
parete arteriosa, in comunicazione con l’arteria tramite un piccolo foro (colletto
dell’aneurisma) attraverso cui passa il sangue che lo riempie. La parete della sacca
aneurismatica è debole perché non possiede la normale struttura pluristratificata di
un’arteria e può rompersi improvvisamente generando l’emorragia cerebrale
subaracnoidea. Normalmente non ci sono segni premonitori della presenza
dell’aneurisma, a meno che questo non comprima delle strutture nervose adiacenti (ad
es. nervi cranici) provocando dei deficit o che la sua grandezza non comprima il tessuto
cerebrale circostante.
L’intervento di esclusione di aneurisma, sia che questo venga eseguito mediante
clippaggio chirurgico che mediante embolizzazione con spirali trans -catetere, ha
dunque come principale scopo la prevenzione di una emorragia subaracnoidea.
L’alta traumaticità e soprattutto le alte complicanze della chirurgia, hanno fatto sì che si
preferisse, fin dagli anni 70, il trattamento endovascolare che risulta essere meno invasivo,
più scevro da complicanze intra e post operatorie e richiede un tempo di
ospedalizzazione inferiore (2-4 giorni) rispetto a quello richiesto dal corrispettivo intervento
chirurgico. Talvolta risulta essere l’unica strategia terapeutica nei pazienti che per età
avanzata, condizioni generali scadenti o controindicazioni all’anestesia generale, non
possono essere sottoposti ad un intervento chirurgico convenzionale.
L'intervento consiste nella puntura dell'arteria femorale e, con un sistema di piccoli
cateteri appositamente studiati, flessibili e atraumatici, si giunge alla regione interessata
posizionando un microcatetere nell'aneurisma, sotto la guida dei raggi X di un angiografo
a sottrazione d'immagine. Si procede quindi all'esclusione dell'aneurisma dal circolo
cerebrale che in passato avveniva attraverso l’utilizzo di piccoli palloni distaccabili
“detachable ballons” successivamente riempiti con mdc, oggi invece si utilizzano spirali
metalliche.
La tecnica con palloni distaccabili è stata abbandonata a causa delle innumerevoli
complicanze, prima fra tutte la non infrequente rottura dell’aneurisma durante il
gonfiaggio del palloncino al suo interno, favorendo l’impiego di tecniche più moderne e
affidabili.
Attualmente la tecnica ritenuta più efficace e sicura è l’obliterazione della sacca
aneurismatica mediante rilascio di spirali. Il grande vantaggio di questa tecnica è quello
di mantenere comunque pervio il vaso affetto da aneurisma.
La tecnica con spirali richiede estrema cautela nell’introduzione del catetere all’interno
dell’aneurisma, soprattutto in quegli aneurismi che hanno già sanguinato e che hanno
quindi nel sito di rottura un punto di estrema fragilità.
L’utilizzo delle spirali ha lo scopo di creare un vero e proprio “groviglio” di materiale
trombigeno e trombotico all’interno della sola cavità aneurismatica che viene così
esclusa dal flusso. In questo modo l’arteria affetta dall’aneurisma, rimane assolutamente
pervia con un flusso al suo interno del tutto normale.
Le principali complicanze di esclusione d’aneurisma oltre alla già menzionata rottura della
sacca durante le manovre comprendono gli eventi embolici per distacco di placca o
molto più raramente per migrazione di spirale, con conseguente possibile infarto
ischemico del parenchima cerebrale.
ALTRE APPLCIAZIONI (TUMORI). Alcuni tumori intracranici, in particolare quelli della fossa
cranica posteriore come alcuni meningiomi, possono essere trattati mediante
embolizzazione intra arteriosa, facilitando il successivo trattamento chirurgico.
La vascolarizzazione di questi tumori intracranici può dipendere da uno o più vasi arteriosi,
per cui diviene di fondamentale importanza prima dell’intervento conoscere
accuratamente l’esatta anatomia vascolare della lesione.
Anche per la patologia tumorale dunque, può essere praticata l’embolizzazione. Il rilascio
all’interno del letto vascolare di materiali di dimensioni ridottissime come l’alcol polivinilico
consente, andando ad occludere il rifornimento arterioso a livello capillare, di ottenere
una buona devascolarizzazione del tumore ed è solo mediante un’embolizzazione, la più
distale possibile che si può ottenere tale risultato. Se la lesione appare però rifornita da
vasi di considerevoli dimensioni (Esempio arteria mascellare interna) dovranno essere
usate, in aggiunta all’alcool polivinilico, particelle di dimensioni maggiori in modo da
poter bloccare il rifornimento anche dai rami più grandi.
VASI EPIAORTICI.
L’esame angiografico dei vasi epiaortici viene effettuato mediante la tecnica
convenzionale secondo Seldinger con approccio trans femorale o trans omerale e
l’utilizzo di cateteri ad alto flusso tipo Pig tail di 4 5 Fr di calibro con iniezione di 15-20 cc di
mezzo di contrasto non ionico a livello dell’arco aortico, al flusso di 10-15 cc al secondo.
Le proiezioni necessarie per una valutazione completa dei vasi epiaortici sono:
ANTERO-POSTERIORE (anche con rotazione del tubo di 45° per la valutazione dell’arco);
OBLIQUA LATERALE SINISTRA con rotazione del cranio di 20-30° a destra;
OBLIQUA LATERALE DESTRA con rotazione del cranio 20-30° a sinistra;
(entrambe per la valutazione delle biforcazioni carotidee)
ANTERO-POSTERIORE per la valutazione del circolo intracranico e del ritorno venoso;
Ove necessiti sono possibili iniezioni selettive a livello del tronco anonimo e della carotide
comune sinistra con cateterismo selettivo.
VIE D’ACCESSO
L’accesso più utilizzato è trans femorale, in anestesia locale, con cateterizzazione selettiva
della carotide comune; sono possibili anche accessi trans brachiali e con puntura diretta
dell’arteria carotide comune.
Il cateterismo selettivo della carotide comune con un catetere angiografico diagnostico
è necessario per effettuare un angiografia selettiva di controllo in modo da ottenere una
completa visualizzazione della biforcazione carotidea, della carotide interna, della
carotide esterna e dell’eventuale stenosi e per favorire l’ingresso di guide di supporto.
Salvo che per casi molto semplici, è preferibile avanzare il catetere diagnostico, solo
dopo aver portato il filo guida 0,035” [idrofilica, punta J, flessibile per 3 cm in punta, poco
traumatica nella versione standard] in carotide esterna.
A questo punto, il catetere è spinto in carotide esterna, si effettua lo scambio di fili guida:
da una standard ad una rigida; a questo punto, si porta il catetere da lavoro: introduttore
lungo o catetere guida.
Elemento cardine dell’intervento, infatti, è poter conseguire l’accesso all’arteria carotide
comune, nel lato da trattare, con un introduttore lungo o con un catetere guida.
L’intento è quello di conseguire una posizione stabile e sicura, per poter poi effettuare
agevolmente i vari passaggi di materiale, senza dover ricorrere ad alcuno sforzo, e
concludere l’intervento percutaneo.
La tecnica più utilizzata per lo stent carotideo è quella dei cateteri coassiali; tale tecnica
consente di posizionare preliminarmente il sistema di protezione cerebrale e
successivamente di dilatare e stentare la stenosi, utilizzando la guida del sistema di
protezione.
La stenosi può essere dilatata prima del posizionamento dello stent con un pallone di 3-
3,5 mm di diametro; in caso di difficoltà di superare la stenosi con lo stent o con il filtro, lo
stent rilasciato deve successivamente essere dilatato con palloncino da 5-6 mm.
Un controllo angiografico è effettuato al termine della procedura prima di togliere la
guida, al fine di poter mantenere l’approccio per poter eventualmente reintervenire, e
deve comprendere anche la valutazione del circolo intracranico nelle proiezioni fronto-
occipitale e laterale.
Durante la procedura vengono somministrate 5,000 U di eparina e 1 mg di atropina subito
prima di dilatare lo stent a livello delle stenosi con il catetere a palloncino.
E’ importante monitorare l’ECG, per evitare complicanze da picco ipertensivo con rischio
di danno da riperfusione, bradicardia indotta dalla dilatazione carotidea o ipotensione
eccessiva per il riflesso glomo-carotideo e la valutazione del compenso vascolare con il
Doppler-intracranico.
Prima e dopo la procedura vengono somministrati antiaggreganti piastrinici.
Gli stent in nitinol sembrano dare migliori risultati rispetto a quelli in acciaio medicale, nelle
lesioni della carotide interna distanti dalla biforcazione; essi riescono ad aderire
maggiormente alla parete vasale per via della loro struttura, che però, nel caso di pareti
vasali irregolari , può causare un effetto sfavorevole sulla dinamica del flusso e provocare
una trombosi all’interno dello stent; un ulteriore svantaggio degli stent in nitinol è la
possibilità che provochino una reazione allergica, dovuta alla presenza del nichel.
Per ovviare alla problematica legata alle alterazioni emodinamiche che possono
generare trombosi sono stati progettati stent conici che si adattano alle pareti dei vasi.
Anche il disegno delle maglie dello stent può influire sulla capacità di adattamento alla
anatomia del vaso.
D’altra parte gli stents in acciaio medicale possono non aderire in maniera completa al
vaso in particolare con vasi tortuosi, questo può portare ad un azione trombofilica da
parte dello stent nelle prime settimane dopo la procedura, tendenza che scompare con
la riepitelizzazione dello stent da parte dell’endotelio vasale.
Un’ulteriore differenza tra gli stent in acciaio e in nitinol è nella differente capacità di
modellarsi a livello della biforcazione carotidea, gli stent in acciaio, tendono infatti , a
rimodellare la biforcazione rendendola più dritta per via della sua scarsa flessibilità,
viceversa gli stents in nitinol sono più indicati per vasi anatomicamente tortuosi e quando
si deve posizionare uno stent in maniera più precisa.
SISTEMI DI PROTEZIONE.
Durante le procedure è possibile che frammenti di placca o aggregati di piastrine
embolizzino verso il cervello con potenziali severe conseguenze. Per ridurre questa
evenienza vengono utilizzati dei dispositivi di protezione, alcuni vanno sotto il nome di filtri,
di cui è intuitiva la funzione, altri sono più sofisticati e bloccano il flusso anterogrado
durante la procedura, permettendo l’aspirazione manuale del materiale di placca al
termine dell’intervento.
Il sistema d’interruzione del flusso può essere attuato mediante il posizionamento di un
palloncino occlusale a livello della carotide comune o a livello della carotide interna,
dopo la stenosi.
In entrambi i casi è necessario valutare la tolleranza del paziente all’interruzione del flusso,
poiché il 5% dei pazienti non riesce a supplire con i circoli controlaterali, i sintomi si
manifestano entro il primo minuto dall’interruzione del flusso.
Nei sistemi di protezione con palloncino in carotide interna bisogna monitorare anche
che non sia invertito il flusso in carotide esterna e in arteria oftalmica.
E’ recentemente uscito in commercio un sistema di protezione ad inversione del flusso
chiamato sistema di Parodi; esso prevede il posizionamento di due palloncini uno in
carotide esterna e l’altro in carotide comune; con questa tecnica il flusso in carotide
interna è invertito, e il sangue viene preso dall’introduttore, filtrato e reinserito a livello
della vena femorale.
Una recente variante di questo sistema è il sistema Mo.Ma di “ blocco del flusso
prossimale” che si basa sull’interruzione del flusso sanguigno nella zona della biforcazione
carotidea tramite occlusione con due palloncini, della carotide comune e carotide
esterna. In questo modo il flusso in carotide interna è arrestato ed è possibile attraversare
la stenosi, dilatarla e rilasciare lo stent in completa sicurezza, al termine verrà aspirata la
colonna ematica presente in carotide così da aspirare tutti i detriti.
Al termine dell’aspirazione verranno sgonfiati i cateteri a palloncino.
Questi sistemi, rispetto ai precedenti, consentono di oltrepassare la stenosi con la
protezione già inserita rispetto ai precedenti che superano la stenosi con il palloncino di
protezione.
L’utilizzo dei filtri come sistema di protezione comporta invece, i seguenti vantaggi:
Mantenimento della perfusione cerebrale, Valutazione angiografica di tutte le fasi della
procedura, Minore rischio di spasmo e di dissezione.
Ovviamente la scelta del filtro va fatta valutando morfologia e decorso della carotide
interna, diametro del vaso e grado di stenosi.
Nei filtri è molto importante la lunghezza del sistema perché più sono vicini alla placca e
maggiore è la possibilità che si chiudano, il che si evidenzia nei controlli come una
colonna di contrasto ferma tra la placca e il sistema di filtro; in questi casi va aspirato il
sangue tra filtro e stenosi essendoci sangue con emboli al suo interno.
ANEURISMI CAROTIDE INTERNA
L’aneursima della carotide interna è un evento piuttosto raro, spesso di natura
traumatica, che può essere risolto con terapia endovascolare mediante l’utilizzo di stents
ricoperti. Questi stents escludono la sacca aneurismatica o pseudo-aneurismatica dal
flusso, evitando il rifornimento della stessa. La sacca esclusa andrà incontro a trombosi,
con risoluzione del quadro. La tecnica d’approccio alla carotide è la stessa utilizzata per
la patologia steno-ostruttiva, con cateterismo selettivo della carotide comune mediante
un catatere guida o un introduttore lungo.
Attraverso la tecnica coassiale si rilascia lo stent dilatandolo successivamente con un
palloncino da 5-6 mm, si tende a comprendere la biforcazione carotidea nello stent in
modo da garantire che non vi siano turbolenze, che potrebbero provocare trombosi.
L’alternativa all’utilizzo dello stent ricoperto, negli pseudo-aneurismi, è l’embolizzazione
mediante spirali, piccoli filamenti metallici che si arricciano su se stessi a contatto con il
sangue provocando così una trombosi nella zona in cui vengono rilasciati, ma per poter
utilizzare le spirali è necessaria la presenza di un colletto affinchè le spirali rimangano nella
sacca cosi da non essere spinte dal flusso fuori dall’aneurisma e quindi a livello encefalico
con il rischio di embolizzazione.
Da un punto di vista tecnico è preferibile utilizzare un catetere all’interno dello
presuodoaneurisma, attraverso cui rilasciare le spirali e un catetere a palloncino che
chiude a protezione il catetere stesso all’interno della sacca e il colletto così da evitare
pericolose dislocazioni delle spirali. Le dimensioni del catetere dipendono dalla
localizzazione dell’aneuirsma, più è alto minore sarà il diametro del catetere, la forma è in
relazione all’anatomia vascolare del paziente e alla preferenza dell’operatore.
Le spirali più utilizzate sono attualmente le spirali di Guglielmi che si arricciano all’interno
dell’aneurisma una volta rilasciate dal catetere.
CIRCOLO VERTEBRO-BASILARE.
Il posizionamento di stent ha indicazioni nelle disostruzioni e nel caso in cui la PTA
(angioplastica percutanea transluminale) da sola non abbia ottenuto risultati
soddisfacenti.
Gli accessi per la procedura possono essere brachiali o femorali; attraverso l’accesso
femorale viene cateterizzato il tronco anonimo o l’arteria succlavia, ed effettuato un
controllo con iniezione di mdc al fine di localizzare la stenosi.
Prima di intervenire vengono misurate le pressioni e calcolato il gradiente tra i due arti.
La stenosi è dilatata con catetere a palloncino montato su una guida rigida tipo Amplaz.
Dopo la dilatazione si misurano nuovamente le pressioni, se il gradiente è superiore a 5
mmHg, o il controllo angiografico dimostra una stenosi superiore al 20% si procede con il
posizionamento dello stent. Diametro e lunghezza di quest’ultimo sono scelti a seconda
del caso.
Con l’accesso brachiale non vengono utilizzati cateteri, ma solo una guida tipo Amplaz in
aorta ascendente su cui viene montato il catetere a palloncino e l’eventuale stent.
AORTA
L’esame angiografico dell’aorta è effettuato con tecnica di seldinger tramite approccio
trans-femorale e l’utilizzo di cateteri diagnostici ad alto flusso tipo Pig Tail di 4-5 Fr di calibro
con iniezione di 20-25 cc di mezzo di contrasto non ionico a livello dell’origine del tronco
anonimo per la valutazione dell’aorta toracica e a livello delle arterie renali nello studio
dell’aorta addominale. Le proiezioni sono:
ANTERO POSTERIORE, OBLIQUA ANTERIORE con rotazione del tubo a sinistra di 45° per la
valutazione dell’arco, OBLIQUE LATERALI DESTRE e SINISTRE con rotazione del tubo (25-30°),
per la valutazione delle biforcazioni iliache e la laterale per la valutazione dell’emergenza
dei vasi dall’aorta addominale.
Il trattamento endovascolare costituisce una valida alternativa alla chirurgia tradizionale
per patologie dell’aorta toracica discendete e in alcuni casi dell’arco aortico, mentre
rimane di esclusiva pertinenza chirurgica la patologia dell’aorta toracica ascendente.
La possibilità di effettuare il trattamento endovascolare degli aneurismi dell’aorta
toracica, come per quelli dell’aorta addominale, è strettamente correlato alla
definizione, mediante l’impiego dell’Angio tcms, di una serie di caratteristiche
morfologiche della dilatazione aneurismatica ( caratteristiche del colletto prossimale,
morfologia dell’aneurisma, estensione distale).
Ancora la radiologia interventistica può essere applicata in caso di DISSEZIONE, in
particolare nei casi di :
-Dissezioni acute associate a rottura o ischemia di vasi arteriosi
-Dissezioni croniche con dilatazioni aneurismatiche
Per quanto riguarda il posizionamento, tutte le procedure devono essere eseguite con la
collaborazione di un TEAM costituito da Radiologi Interventisti, Chirurghi Vascolari,
Anestesisti Rianimatori, preferibilmente in sale angiografiche adatte per
proceduremRadiologico-Chirurgiche o in sale operatorie provviste di archi a C portatili
con caratteristiche tecnologiche idonee.
L’endoprotesi viene posizionata in genere in anestesia locale, con blanda sedazione del
paziente e assistenza anestesiologica.
Si esegue un’angiografia così da valutare correttamente la posizione delle arterie renali e
la morfologia dell’aorta addominale. Nella maggior parte delle protesi è necessario un
accesso femorale bilaterale, per alcune misto (chirurgico per la porzione protesica
principale e percutaneo per la branca accessoria) per altre chirurgico bilaterale. Si
procede con l’avanzamento del corpo protesico principale su una guida metallica, fino
all’origine delle arterie renali. Si esegue un breve test angiografico così da valutare il
corretto posizionamento dell’endoprotesi rispetto al colletto aortico ed all’ostio delle
arterie renali.
Dopo aver controllato la corretta localizzazione dell’endoprotesi se ne effettua il rilascio.
Attraverso l’accesso controlaterale si cateterizza successivamente la branca principale
dell’endoprotesi e si posiziona la gamba iliaca controlaterale. Questa viene fatta risalire
fino a che non vi sia la sovrapposizione dei markers della componente aortica con quelli
prossimali della branca iliaca che viene poi rilasciata sotto controllo fluoroscopico. Viene
fatto quindi il controllo angiografico per valutare il corretto posizionamento di tutta la
protesi, la completa esclusione dell’aneurisma o la presenza di eventuali endolak. Il
posizionamento dell’endoprotesi viene controllato mediante l’esecuzione di un’ Angio-
TCMS a distanza di qualche giorno dalla procedura per confermare la completa
esclusione dell’aneurisma ed escludere la presenza di endolak .
Verranno eseguiti controlli TC-multistrato a distanza di 1-3-6-12 mesi ed ogni 12 mesi. Il
follow up dei pazienti con aneurisma dell’aorta addominale trattati con endoprotesi,
viene eseguito con Angio-TCms valutando le immagini assiali e le successive ricostruzioni
multiplanari ed eventualmente le navigazioni endoscopiche virtuali. La TC-ms permette
oltre alla valutazione dell’endoprotesi con le immagini assiali, di integrare l’esame con
algoritmi di ricostruzione.
L’endoscopia virtuale è una tecnica di post-processing basata su raggi divergenti
analizzati tramite uno speciale algoritmo al fine di creare immagini tridimensionali
partendo da scansioni in angio-TC e scansioni con RM ad alta risoluzione in modo da
poter verificare eventuali complicanze trombotiche endoprotesiche.
ARTI INFERIORI
Radiologia Interventistica. Molti pazienti soffrono di disturbi agli arti inferiori di origine
vascolare che si manifestano con una claudicatio intermittente (crampi intermittenti),
oppure con un’ischemia, ulcerazioni o gangrena.
Interrogare il paziente è fondamentale per determinare la progressione o meno della
malattia, la sua origine e i problemi funzionali che essa comporta; E’ molto importante un
attento follow-up di questi pazienti che verranno sottoposti ad esami strumentali quali
l’Eco color Doppler, l’Angio-TC multistrato.
La classificazione delle arteriopatie degli arti inferiori svolge un ruolo fondamentale
nell’indirizzare il paziente verso i diversi tipi di trattamento.
Due sono le classificazioni oggi utilizzate: quella di Leriche e Fontaine e quella della
Società di Chirurgia Vascolare modificata da Rutheford e Becker:
La prima si suddivide in quattro stadi:
stadio I: leggera claudicatio che non richiede trattamento di RI ne trattamento chirurgico
stadio II: attenta valutazione della lesione prima di prendere qualsiasi decisione
stadio III e IV: ischemia critica la quale necessita di trattamento rapido per salvare l’arto.
La seconda classificazione risulta essere più precisa e porta ad una miglior valutazione
delle condizioni cliniche del paziente e della prognosi.
STENT: Lo stent mantiene la forma e le dimensioni del palloncino usato per la dilatazione
ed è mantenuto in sede dalla rimanente forza elastica dell’arteria.
Siccome il posizionamento di uno stent intravascolare in un vaso stenotico è un processo
irreversibile, la certezza che esso espanda il lume arterioso è di fondamentale importanza.
Risulta chiaro che le maglie di uno stent debbono vincere la forza e l’elasticità della
parete arteriosa lesionata e per far questo lo stent deve essere posizionato in modo
corretto rendendo omogenea la distribuzione del carico all’interno delle maglie.
Gli stent oggi in commercio sono moltissimi e tra i materiali più usati ricordiamo l’acciaio, il
tantalio, il nitinol, il titanio ecce cc.
La reattività del metallo a contatto col flusso sanguigno dipende dalle caratteristiche
fisiche della superficie. Più risulta ruvida e porosa la superficie maggiore sarà la
trombogenicità. Dopo pochi giorni o alcune settimane dal posizionamento dello stent lo
stato trombotico superficiale viene rimpiazzato da tessuto fibromuscolare che si espande
in maniera concentrica.
b) FIBRINOLISI. Alcuni pazienti possono essere sottoposti a fibrinolisi con Urochinasi per
cercare di riaprire il vaso. La Fibrinolisi viene mantenuta dalle 6 alle 24 ore, il catetere di
infusione viene posizionato, grazie ad un approccio controlaterale, a ridosso del trombo.
La dose somministrata è di 4000 UI/min per le prime due ore seguite da 2000 UI/min per le
seguenti ore.
Salvataggio d’arto. Negli ultimi 20 anni c’è stato un considerevole miglioramento nelle
tecniche chirurgiche di rivascolarizzazione nell’ischemia degli arti inferiori con notevole
riduzione della percentuale delle amputazioni.
Nonostante la vasta esperienza e lo sviluppo della terapia endovascolare, il ruolo della
tecnica percutanea nell’ischemia del circolo di gamba ancora non è ben codificato.
Il termine salvataggio d’arto appare di frequente nella letteratura scientifica come
descrittivo per giustificare una strategia terapeutica.
In caso di stenosi severa una PTA, con o senza successivo posizionamento di stent, viene
eseguita per mantenere pervia l’arteria.
Eventuali trombi vengono trattati con tromboaspirazione e successiva somministrazione di
200.000 UI di UK.
In caso di occlusioni trombotiche, gli emboli distali vengono trattati con la sola
tromboaspirazione o associata anche alla trombolisi.
Per l’occlusione di by-pass chirurgici si preferisce usare la fibrinolisi somministrando il
farmaco con la tecnica pulse-spray.
La procedura interventistica consiste in una ricanalizzazione dell’arteria seguita da PTA ed
eventuale posizionamento di stent metallico anche se come abbiamo visto in
precedenza le indicazioni allo stenting sono riservate ad un ristretto gruppo di casi.
I criteri d’inclusione al trattamento endovascolare non tengono conto della lunghezza
dell’occlusione: nessuna stenosi od occlusione è considerata a priori inadatta alla
ricanalizzazione,a nche stenosi ed occlusioni maggiori di 10 cm di lunghezza, stenosi
multiple consecutive, occlusioni calcifiche, sono trattate con tecnica endovascolare.
In questo modo è possibile ottenere tassi di salvataggio dell’arto superiori all’80% con tassi
non significativi di mortalità peri-operatoria.