Restauro Scientifico
Restauro Scientifico
Restauro Scientifico
Due episodi concludono la parabola del XIX sec. Per l’architettura italiana:
LA PATRIA DI PIETRA
Il Vittoriano: Il più grande monumento nazionale, inaugurato in occasione
del 50°dell’Unità d’Italia, celebrava Vittorio Emanuele II ,“Il re galantuomo”
morto il 9 gennaio 1878.
La prima proposta di legge per erigere un monumento nazionale a Vittorio
Emanuele II venne approvata già nel 1878: l’iter venne seguito dall’allora
ministro dell’Interno, il bresciano Giuseppe Zanardelli.
Vennero banditi due concorsi di idee per la scelta del progetto: il primo,
nel 1880, alimentò le proposte più bizzarre e stravaganti.
(Episodio spartiacque: costruzione del vittoriano, un grande monumento per Vittorio Emanuele II il re che
aveva costruito l’Italia unita, realizzato verso la fine dell’800.
Si decide con uno strumento di legge di ereggere questo monumento, primo concorso internazionale per
raccogliere le proposte per il monumento, momento che attiva un’attenzione enorme. Vince il concorso un
progetto di un architetto francese che propone una grande piazza di ispirazione francese con un colonna
celebrativa, 4 fontane ed un’esedra, polemiche per la scelta di un architetto francese per il simbolo del re
d’Italia. Il luogo non era opportuno per la proposta e quindi viene scartato.)
Il secondo, nel 1882, si conclude con la scelta del progetto del conte
Giuseppe Sacconi (1854-1905).
Il progetto dovette misurarsi con grossi problemi di natura statica,
costruttiva, architettonica, e subì numerosi rimaneggiamenti, il più
importante dei quali venne approvato il 4 giugno 1890.
La storia dell’Altare della patria è indissolubilmente legata a Brescia, e in
particolare ai comuni di Botticino e Mazzano, sede delle cave da cui venne
estratto il marmo utilizzato per il monumento, e di Rezzato sede delle
imprese che fornirono al governo italiano il materiale lapideo.
(Seconda fase di concorso con localizzazione del luogo con monumento gradonato sul fianco del colle vinto
da Giuseppe Sacconi 8italiano) che propone una costruzione impostata su una successione di terrazzamenti
che recupera l’idea dell’acropoli d’Atene con una monumentalità esagerata del monumento stesso. Il
progetto viene approvato nel 1890 ed iniziano i lavori.)
Tutto ciò dilatò i tempi di realizzazione e i costi del monumento, che finì per
costare 30 milioni di lire rispetto ai 9 inizialmente previsti.
Dopo la Roma degli imperatori e la Roma dei papi, la terza Roma –la capitale
del nuovo stato unitario –ha trovato nel Vittoriano il monumento-simbolo
capace di eguagliare, per ambizione e dimensioni, il Colosseo e San Pietro.
CROLLO DEL CAMPANILE DI SAN MARCO
Prevedibile per le fessurazioni visibili crolla nel 1902.
Ricostruito Com’era e dov’era
Nel 1914 vinse il concorso per la cattedra di architettura generale; e, dopo la guerra, a questo
insegnamento affiancò quello di restauro dei monumenti presso la neocostituita Scuola superiore di
architettura di Roma.
Nel 1916 fu nominato membro del Consiglio superiore di antichità e belle arti:
questa funzione di consulente ministeriale gli permise di esaminare una grande
quantità di progetti collocati all'intersezione di problemi e di scale diversi, distribuiti
sull'intero territorio nazionale.
Da questo osservatorio egli poté infatti spaziare, per quaranta anni, dai temi del
restauro architettonico a quelli più legati alla dimensione urbana, dalle questioni
proprie dello storico a quelle del progettista.
(architetto del nuovo e anche restauro)
Palazzetto Torlonia, Roma 1908-09
Esperto che vaglia molti progetti, dà consigli ed entra nel merito di molti progetti)
Gli anni giovanili trascorrono con l’acquisizione di una valida metodologia d’indagine necessaria ad
interrogare grandi complessi architettonici, primi fra tutti le architetture romane.
Esse saranno indagate sotto ogni punto di vista facendo attenzione alla materia,
agli elementi costruttivi e al contesto storico.
Nel caso del Tempio di Minerva Medica, attraverso un calcolo statico grafico di uno
degli archi meridiani arriva a calcolarne i processi che lo hanno portato alla sua
rovina.
(fabbrica con stile eclettico, Giovannoni ha molte contraddizioni nel suo lavoro di
restauratore)
Fabbrica di Birra Peroni, Roma 1909-13
Proprio questo metodo positivo diverrà presto la base dei suoi studi e delle sue ricerche sull’architettura
romana e quella dell’alto Rinascimento.
Visione di una disciplina che diverrà presto, a partire dal 1938, elemento di contrasto con Adolfo Venturi.
Giovannoni ribadisce i principi che debbono servire da fondamento scientifico alla conoscenza di una
disciplina come è la Storia dell’Architettura.
Gli aspetti figurativi insiti in un manufatto non sarebbero stati sufficienti per studiare un’architettura ma
bisogna prendere in esame il suo dato materiale e costruttivo.
(Giovannoni è indirizzato verso un pensiero positivista, razionale con sicurezza nel valore della scienza che
vuole fare di questa visione metodologica il motivo del restauro proprio per questo il suo restauro viene
definito SCIENTIFICO, con un carattere metodologico. Si interessa in particolare dell’arte del Rinascimento.
Figura fondamentale per far individuare la figura dello storico dell’architettura come disciplina autonoma,
architetto integrale, architetto di oggi, figura multidisciplinare che è in grando di entrare in ambito sociale e
tecnico con facilità.)
Dall'inizio degli anni Trenta, a costituire il prevalente campo di interessi fu l'architettura del passato,
specialmente quella che si connette ai grandi episodi della Roma cinque-seicentesca.
Dopo il 1935, egli si dedicò allo studio di una serie di grandi figure: Bramante, Bernini e Antonio da Sangallo
il Giovane,
A questo impegno di studioso egli unì, l’attività di consulente ministeriale.
A quella fase risalgono i suoi sforzi per dare vita a nuove istituzioni nel campo dello studio e del restauro dei
monumenti: un Istituto nazionale di restauro, una scuola di specializzazione, una rivista a diffusione
nazionale, un'associazione e un centro nazionale di studi.
“Lo studioso di architettura deve rendere l’opera architettonica come un libro aperto pronto per essere
studiato.
Il testo si sarebbe dunque dischiuso ad un professionista capace di cimentarsi con problemi sia dell’arte che
della tecnica: il progettista integrale o per meglio dire l’architetto integrale
Fin dal 1903 Giovannoni divulgherà le prime nozioni in materia di restauro, tracciandone in seguito i
fondamenti di una teoria e di una disciplina.
L’intento è quello di unificare le prassi che a volte si disperdono negli effetti discrezionali delle singole
Soprintendenze.”
(concetto che con Giovannoni diventa essenziale per restauratori e conservatori, legge l’opera nella sua
fisicità e matericità e i documenti che la corredano, è l’architettura ad essere un libro aperto oltre ai
documenti).
(si rende conto che non tutte le sovraintendenze non lavorano in modo omogeneo e quindi crea la carta del
restauro).
Restauri
- Tempio di Ercole, Cori 1913
- Chiesa di San Domenico, Orvieto 1934
- Chiesa di Santa Maria del Piano, Ausonia 1916
- Chiesa di Santo Stefano degli Abissini, Città del Vaticano 1931
- Villino Calderai Torlonia, Roma 1910
- Chiesa di Sant’Andrea, Orvieto 1930
- Chiesa di San Pietro, Cori 1913
Rifiuto del restauro stilistico tale rifiuto parte da un concetto di storia inteso come evoluzione di tipi e
forme, mentre il restauro stilistico vuole ricondurre ad unità stilistica ciò che la storia ha creato e
trasformato in molteplice e complesso.
Rifiuto della teoria modernista ovvero dell’architettura contemporanea e della sua positiva capacità di
intervenire nell’opera di restauro.
Essa, per quanto risponda ai principi di distinguibilità, non garantisce armonia con l’antico.
(Da una parte ha una posizione molto simile a quella di Boito, propone una via intermedia del restauro
italiano che incunea tra i due pensieri ritrovando un compendio, pensiero nei cpnfronti del modernismo e
dell’architettura razionale e moderna, DECISAMENTE CONTRARIO alle commistioni tra antico e moderno in
senso di linguaggi contrapposti a favore di un affiancamento tra edificio antico e componenti
contemporanei)
Il restauro non è riconducibile a criteri generali; è operazione scientifica –in continuità col pensiero del
restauro filologico, e soprattutto storico –volta a conservare tanto il monumento quanto l’ambiente
monumentale
Il restauro assume dunque una funzione mediatrice = ‘posizione intermedia’ (ripresa da Boito), cercando di
porre una condizione di equilibrio tra le ragioni della storia e quelle dell’arte, ovvero tra le tendenze
puramente conservative esemplificate dalla corrente archeologica che sostiene il mantenimento dello
status quo e gli atteggiamenti stilistici.
(innalzare la disciplina del restauro a un livello scientifico con una metodologia condivisa, chiara e con modi
di intervenire riconoscibili. In questo suo generare categorie di interventi di restauro è molto abile.
Pur riconoscendo "pedantesca ed artificiosa" una tale classificazione, egli la giudica necessaria per dare un
quadro sistematico della situazione, differenziando i criteri da adottare a seconda del tipo di intervento.
(ideologicamente queste idee di restauro vengono strumentalizzate dal potere per conseguire i propri
principi ideologici -> PERIODO FASCISTA)
Cornicione merlato realizzato in parte con un modello in legno per dare l’idea alla città della realizzazione
finita. Due soluzioni alternative di finestre una con bifora e l’altra crociata.
Nel 1933, viene avanzata la terza richiesta di realizzare il cornicione e la merlatura di Rubbiani. Ne è
promotore un comitato locale, con il sostegno politico del podestà Angelo Maranesi.
Il restauro dei monumenti più rappresentativi della città è un punto fondamentale del suo programma
amministrativo.
Alla proposta di completare il palazzo si oppone il nuovo soprintendente di Bologna, Carlo Calzecchi.
Questi non solo è contrario alla merlatura, ma pone pure in discussione i due precedenti pareri del
Consiglio Superiore, favorevoli al cornicione. Accusato da Maranesi di essere ostile ai restauri, Calzecchi
osserva che, nel caso del palazzo del Podestà, non ci si trova di fronte a un intervento di, ma più
semplicemente a un "arbitraria scenografia".
(promuovere un’immagine della città ideologicamente affine al modello fascista.)
Per il comitato promotore del restauro e per il Consiglio Superiore, l'idea di completamento sottende due
diverse finalità ideologiche.
Da un lato c'è chi vuole i merli, in quanto espressione di uno spirito "tutto locale", bolognese;
dall'altro chi vuole il solo cornicione, in quanto simbolo di una rinascenza italico-romana.
Entrambe le proposte, pur così diverse negli esiti formali, attribuiscono all'opera cli completamento un
coerente significato fascista.
VICENZA Loggia del Capitaniato
Il consiglio comunale, nella seduta del 5 maggio 1926 aveva
approvato il completamento della Loggia del Capitaniato per farne
il famedio della città, il “tempio della fama” degli eroi vicentini
caduti per la patria
Con questa proposta si sostituiva il monumento funebre
progettato al Piazzale della Vittoria, appena inaugurato dal Duce
nel settembre 1924. Incaricato di presentare il progetto di
completamento della Loggia del Capitaniato fu l’architetto Ettore Fagiuoli.
Qui Giovannoni sostiene fin dall'inizio la proposta di completamento tanto che Ettore Fagiuoli, il
progettista, è scelto su suo suggerimento.
(luogo della celebrazione dei caduti della grande guerra, completare l’opera proseguendo le sue linee
architettoniche.
Giovannoni promuove Fagiuoli per questo intervento)
Nell'aprile 1928, il Consiglio Superiore approva all'unanimità il progetto cli Fagiuoli, che prosegue l'opera di
Palladio, aggiungendo altre due arcate all’edificio esistente.
Questa la motivazione del Consiglio Superiore: mentre il "completamento in stile similare", attuato su
monumenti "lontani ormai dal nostro sentimento e dalla nostra civiltà", è considerato inopportuno, all'
opposto è ritenuta possibile "la ritmica continuazione" di opere ciel rinascimento rimaste incompiute.
(Anche questo progetto inizia ad avere dei detrattori anche a livello ministeriale, anche Mussolini che era
tanto favorevole all’improvviso cambia idea e tutto si blocca).
Scopo della Carta internazionale di Atene del 1931 è il tentativo di unificare le diverse posizioni dei Paesi, in
nome dell’unico obiettivo.
Indicazioni della Carta riferite ai soli beni architettonici.
Collaborazione tra gli Stati per la conservazione dei monumenti.
Evitare restituzioni integrali →istituzione di manutenzioni regolari.
Restauro solo se è necessario, rispetto dell’opera d’arte di interesse storicoartistico e nessuna
preferenza verso lo stile di alcuna epoca.
Rovine → conservazione scrupolosa senza ricostruzioni, è consentita l’anastilosi (ricomposizione di
un monumento frammentario del quale si conservino le parti) e i materiali nuovi devono essere
riconoscibili.
Necessità di studi e ricerche sulle patologie e i materiali del restauro.
L’utilizzo giudizioso dei materiali moderni è consentito, in particolare l’uso del cemento armato, ma
gli elementi di rinforzo devono essere dissimulati.
Rispetto del carattere e della fisionomia delle città e delle prospettive pittoresche
Nel documento finale composto da una premessa e 10 articoli, si esprime la condanna del restauro
stilistico, il rispetto per l'intorno ambientale del monumento, la necessità di una costante manutenzione e
della divulgazione delle conoscenze acquisite.
La unitarietà degli intenti dei Paesi porta ad una stretta collaborazione (art. I)
Conservazione attraverso una manutenzione ordinaria nel rispetto dell'opera attuale (art.II)
Per le "rovine" processo di anastilosi o riseppellimento dopo rilievo accurato (art. IV).
Accettazione di tecniche e materiali moderni nel consolidamento, ma NON visibili (art. V).
Necessario mantenimento in situ della scultura monumentale (art. VI)
Problemi di carattere urbanistico: rispetto dell'ambiente (art. VII)
Invito agli Stati di pubblicare un Inventario dei monumenti e creare un Archivio (art. VIII)
Necessaria sensibilizzazione generale (art. X)
Riprendendo i punti espressi ad Atene, il Consiglio Superiore per le Antichità e le Belle Arti, struttura del
Ministero della Pubblica Istruzione, nel 1932, emanò la Carta del restauro italiana, la prima direttiva
ufficiale dello Stato Italiano in materia di restauro. (non leggi ma linee guida che indirizzano l’operatività)
Di fatto le sue idee di restauro vengono recepite anche con lo scoglio degli elementi di ricostruzione.
1938 contro-carta del restauro da parte dei sovraintendenti che andranno a toccare il nervo scoperto
dell’ampia possibilità di composizione e completamento degli edifici.
(Trasformazione della città in senso moderno. La sua posizione in contraddizione con la posizione
dominante del periodo fascista, ovvero gli sventramenti, demolizione di interi quartieri con presunti motivi
di carattere igienico-sanitario, con obbiettivi di carattere di città immagine fascista.
Per Giovannoni invece propone la teoria del diradamento, molto più strategica, riconosce la necessità di
intervenire in alcuni punti ma in senso quasi chirurgico, con interventi puntali, alleggerimenti edilizi per
opportunità di luce della città ma con un’impostazione operativa più blanda.)
Per Giovannoni, attraverso il diradamento edilizio è possibile programmare: “una sistemazione artistica:
opera non trionfale ma modesta, di rispetto al passato con criteri moderni, d’innesto di bellezza nuova sulla
bellezza antica” Questi principi acquistano una fisionomia operativa nella proposta per la sistemazione del
quartiere Rinascimento, presentata da Giovannoni in Consiglio Comunale il 30 giugno del 1918 . In tale
proposta viene affermata la necessità di un equilibrato rapporto tra diradamento edilizio e decentramento
residenziale.
Pianta della Direzione Generale del Censo, 1866.Il tessuto edilizio e viario
permane immutato rispetto alle trasformazioni di età rinascimentale e
barocca fino alla metà del XIX secolo.
Stralcio del “Piano Regolatore di Roma” di A. Viviani del 1883. In giallo le
nuove strade previste nel Quartiere Rinascimento
Risultato di un concorso bandito nel 1926, il piano di Luigi Angelini (1884-1969) sarà chiaramente ispirato
dalle teorie di Giovannoni, ad esempio attraverso l’individuazione degli edifici da tutelare, lo studio dei
percorsi di attraversamento, la ricerca di nuovi scorsi prospettici e l’applicazione della teoria del
diradamento edilizio.
chiesa di sant’Andrea a Orvieto
Giovannoni riconosce le contraddizioni che si riscontrano nella pratica rispetto agli assunti teorici.
«Ora se vi è un caso in cui le costruzioni aggiunte in tempo relativamente recente non meritano davvero il
minimo rispetto è proprio quello del S. Andrea.
La parte seicentesca, grottescamente gotica, della facciata tricuspidale. La galleria superiore e la cupoletta
del campanile, le basse botteghe schierate su Corso Cavour, non solo non hanno il benché minimo elemento
d’Arte, ma nei riguardi del monumento rappresentano una triste orrenda alterazione del concetto
originario, ed in quelli estrinseci dell’edilizia cittadina rendono sgradevole e indecoroso quello che dovrebbe
essere il maggior centro del movimento e della vita urbana […]».
Un preventivo viene redatto già nel 1921, ma i lavori di demolizione della parte superiore del campanile
inizieranno solo nel marzo del 1926.
Dal carteggio si evince che le motivazioni del ritardo, oltre che di natura economica, sono da ricercarsi
anche in un forte contrasto fra il soprintendente Umberto Gnoli e Giovannoni, mai reso esplicito dai due
protagonisti, eppure piuttosto marcato, tale da portare a continui rimandi dei lavori e modifiche del
progetto già presentato al pubblico,
E’ il campanile a fare le spese di questi contrasti e, soprattutto, delle scoperte realizzate durante le
demolizioni.
Questo, da una prima ipotesi che prevedeva un solo giro di bifore –l’unico noto al momento del progetto –
soprastato da uno di monofore e concluso, «dopo un ulteriore sviluppo verticale, […] con 12 pilastri
angolari, non merli isolati […] ma elementi di sostegno di un tetto piramidale di coronamento» pian piano
giunge, attraverso ‘aggiustamenti’ successivi, alla soluzione finale a tre ordini di bifore e merlatura
terminale.
Da una parte quindi il progetto iniziale dovrà essere modificato perché‚ «il
monumento, che ne sa più di tutti noi, ha parlato ed è superfluo dire che non
c’è altro da fare che seguire ciò che egli dice»
dall’altra però, l’altezza complessiva della torre rimane quella indicata fin dal
1919, infatti, «Nulla di male […] se la sopraelevazione, necessariamente
arbitraria, risponderà un poco ad un altro criterio estetico di ambiente, e si
eleverà presso a poco all’altezza che avevamo fissato nella nostra visita ad
Orvieto. Chi ha mai visto due monumenti medievali perfettamente uguali?»
«Ora se vi è un caso in cui le costruzioni aggiunte in tempo relativamente recente non meritano davvero il
minimo rispetto è proprio quello del S. Andrea.
La parte seicentesca, grottescamente gotica, della facciata tricuspidale. La galleria superiore e la cupoletta
del campanile, le basse botteghe schierate su Corso Cavour, non solo non hanno il benché minimo elemento
d’Arte, ma nei riguardi del monumento rappresentano una triste orrenda alterazione del concetto
originario, ed in quelli estrinseci dell’edilizia cittadina rendono sgradevole e indecoroso quello che dovrebbe
essere il maggior centro del movimento e della vita urbana […]».