Italiano L2 e Fiabe
Italiano L2 e Fiabe
Italiano L2 e Fiabe
X CICLO
TESI
A n n o A c c a d e m i c o 2 0 15 / 2 0 16
INDICE
Premessa p. 4
CAPITOLO 1
1. La descrizione del contesto di ricerca p. 5
1.1 Il Veneto, Verona e l’immigrazione p. 5
1.2 La scuola ‘Angelo dall’Oca Bianca’ p. 7
1.2.1 L’Istituto comprensivo e il quartiere di Borgo Nuovo p. 7
1.2.2 Accoglienza e inserimento scolastico degli alunni stranieri p. 8
1.2.3 Il laboratorio ‘2Elle_Insegnare a coloro che non conoscono’ p. 10
1.2.4 Relazione tra tema di ricerca e contesto p. 11
1.2.4.1 Prima opinione personale p. 14
CAPITOLO 2
2. Approccio metodologico p. 16
2.1 La Ricerca-Azione p. 16
2.2 Metodologia della didattica p. 16
2.2.1 Approccio formativo-comunicativo p. 16
2.2.2 Metodo esperienziale p. 18
2.3 TPR p. 21
CAPITOLO 3
3. Pianificazione del progetto di Ricerca-Azione p. 23
3.1 Tipologia di progetto: uno studio di caso p. 23
3.2 Gli attori della RA: il gruppo di progetto p. 25
3.3 Pianificazione del mio progetto di ricerca p. 26
3.3.1 Contenuti e pratiche finalizzati a migliorare l’azione p. 27
3.3.2 Tempo previsto p. 28
3.3.3 Piano d’azione p. 28
3.3.3.1 Avviare la ricerca: principi etici del progetto p. 28
1
3.3.3.2 Ricognizione p. 29
3.3.3.3 Azione, monitoraggio e riflessione in itinere p. 30
3.3.3.4 Riflessione e valutazione finali p. 31
3.3.4 Dati per raccogliere le tracce del lavoro p. 31
3.3.5 Tipo di strumenti per la raccolta dati p. 33
CAPITOLO 4
4. Messa in atto del percorso di Ricerca-Azione p. 36
4.1 Premesse alla programmazione: la scelta dei testi p. 36
4.1.1 Strutturazione di uno strumento operativo per la selezione dei testi
in prospettiva glottodidattica p. 39
4.2 Strutturazione didattica: coniugare il metodo-esperienziale con il
racconto della fiaba p. 41
4.3 I tre porcellini p. 45
4.3.1 La scelta del testo p. 45
4.3.2 Lettura della fiaba p. 46
4.3.3 Metti in ordine la sequenza: cartellone p. 47
4.3.4 Narrazione della fiaba a partire da immagini: analisi
dell’espressione verbale delle emozioni p. 48
4.3.5 Narrazione della fiaba a partire dalle immagini: analisi dell’uso di
congiunzioni e nessi logici p. 50
4.3.6 Drammatizzazione p. 52
4.4 Micetta e i tre orsi p. 56
4.4.1 La scelta del testo p. 56
4.4.2 Lettura della fiaba p. 57
4.4.3 Cartellone con le macro-sequenze narrative p. 58
4.4.4 Riordino e verbalizzazione delle micro-sequenze narrative p. 59
4.4.5 Drammatizzazione p. 61
4.5 La festa di Filippo p. 63
4.5.1 La scelta del testo p. 63
4.5.2 Lettura, coinvolgimento e analisi dei meccanismi di anticipazione p. 64
2
4.5.3 Riordino delle sequenze narrative p. 67
4.5.4 Produzione guidata e analisi linguistica p. 70
4.5.5 Attività sui nessi logici MA e ALLORA p. 71
4.5.6 Drammatizzazione e analisi dell’espressione delle emozioni p. 72
4.6 Riunione con le maestre del 20 aprile 2016 p. 75
4.7 Una zuppa di sasso p. 77
4.7.1 La scelta del testo p. 77
4.7.2 Lettura, coinvolgimento e analisi dei meccanismi di anticipazione p. 78
4.7.3 Come si prepara una zuppa di verdure? Individuazione, riordino e
verbalizzazione delle sequenze per la realizzazione di una ricetta di cucina p. 80
4.7.4 Come si preparano gli spaghetti? Individuazione, riordino e p. 85
verbalizzazione delle sequenze per la realizzazione di una ricetta di cucina
4.7.5 Gioco di verifica sulle emozioni p. 88
4.7.6 ‘Bandiera delle emozioni’ p. 92
5. Conclusioni p. 95
5.1 La fiaba nel laboratorio di italiano L2 p. 95
5.2 Il percorso di Ricerca-Azione p. 104
BIBLIOGRAFIA p. 109
SITOGRAFIA p. 110
APPENDICI p. 112
3
Premessa
Il mio percorso di Ricerca-Azione si svolgerà a Verona, presso la scuola statale
primaria ‘Angelo Dall’Oca Bianca’. Qui opero come insegnante di italiano L2
nell’ambito di un laboratorio linguistico da me proposto, ideato con la
collaborazione della Fondazione ‘L’Ancora ONLUS’ e della dirigente dell’Istituto
Comprensivo n.6, di cui la scuola fa parte.
La Fondazione ‘L’Ancora’, per la quale attualmente lavoro come educatrice,
promuove sul territorio di Verona e provincia numerosi progetti per la prevenzione
e la cura del disagio di tutte le età. Tra questi, esiste dal 2012 il progetto ‘Primo
Lavoro’, grazie al quale i giovani che cominciano ad affacciarsi nel mondo del
lavoro hanno la possibilità di trovare un primo impiego nelle scuole statali,
svolgendo attività di sostegno e recupero rivolte ad alunni con bisogni specifici
dell’apprendimento (BES). Nell’ambito del suddetto progetto ho avuto
l’opportunità di lavorare all’interno delle scuole dell’IC6 durante l’a.s. 2014-2015.
L’esperienza è stata oltremodo positiva, grazie anche a un corpo docente motivato
e disponibile con cui ho potuto instaurare un positivo rapporto di collaborazione e
fiducia reciproca. Per questo motivo, per l’a.s. 2015-2016, ho deciso di mettere a
disposizione dell’Istituto le mie competenze di insegnante di lingua italiana in
forma di volontariato per l’avvio di un laboratorio linguistico che, con l’insegnante
funzione strumentale per l’intercultura Marta Scandola, abbiamo denominato
‘2Elle_Insegnare a coloro che non conoscono’.
Il lavoro di ricerca verterà sulla costruzione di percorsi didattici a partire dal genere
letterario della fiaba, al fine di sviluppare nei discenti abilità linguistiche a livello
elementare congiuntamente ad abilità cognitive afferenti agli ambiti della logica,
della storia e della psicomotricità.
4
CAPITOLO 1
1. La descrizione del contesto di ricerca
1.1 Il Veneto, Verona e l’immigrazione
Regione di storica emigrazione fino agli anni Sessanta del secolo scorso, negli
ultimi decenni il Veneto è andato via via assumendo una sempre maggiore capacità
attrattiva nei confronti dei flussi migratori che caratterizzano la nostra epoca,
divenendo così una delle regioni italiane a maggiore concentrazione di residenti
stranieri.
I dati forniti dal Rapporto sull’immigrazione straniera in Veneto nel 2015 vedono
la regione comparire ai vertici della graduatoria nazionale per la presenza di
residenti a cittadinanza non italiana. Il Veneto si colloca infatti in quarta posizione
dopo Lombardia, Lazio ed Emilia Romagna (che accolgono da sole oltre il 46% del
totale nazionale delle presenze), ospitando 511.558 residenti stranieri, nonché il
10,2% del totale degli immigrati in Italia1.
Assume una certa consistenza anche il peso della popolazione nata all’estero ma
successivamente naturalizzata, che dimostra un progressivo e significativo
allargamento della platea dei soggetti con una presenza di lungo periodo. Le
concessioni di cittadinanza registrate alle anagrafi comunali del Veneto nel 2014
hanno superato infatti le 20 mila unità (+40% rispetto al 2013)2.
Ma chi sono oggi gli immigrati residenti nella nostra regione? Il rapporto
sull’immigrazione traccia il quadro di una popolazione che vede una presenza
femminile sempre più consistente, un peso crescente delle provenienze europee ed
asiatiche e, soprattutto, “una composizione per classi d’età fortemente differenziata
rispetto [a quella] nazionale, caratterizzata da una marcata rilevanza delle coorti più
giovani”3. Il numero dei residenti stranieri con un’età inferiore ai 18 anni
ammontava, a fine 2014, a 122mila unità.
1
Cfr. Anastasia, B. et al. (a cura di) (2015) Immigrazione straniera in Veneto. Rapporto
2015, [Internet] (128 pagine), Venezia-Mestre, Osservatorio Regionale Immigrazione,
http://www.venetoimmigrazione.it/documents/10590/150278/Rapporto_2013.pdf/0f9f8261-a11a-
4ab7-b21e-adeb575e5b3d (Ultima consultazione 06/05/2017).
2
Cfr. Ibid., p. 24.
3
Ibid., p. 28.
5
Questo dato ci riconduce a quello relativo ai giovani stranieri inseriti nel sistema
scolastico regionale. Nel Rapporto 2015 si legge infatti:
essendo gli stranieri mediamente più giovani della popolazione autoctona ed avendo una
maggiore propensione alla riproduzione, la presenza di alunni stranieri è in costante crescita
da oltre un decennio4.
La presenza maggiore si registra proprio nei primi ordini del sistema, quindi nella
fascia prescolare e nella scuola primaria. Qui, gli iscritti con cittadinanza straniera
sfiorano il 15%, ridefinendo sempre più l’identità delle classi di oggi in senso
multietnico e multiculturale.
Si riportano in allegato (APPENDICE 1) i dati relativi agli alunni figli di immigrati
in Veneto disponibili sul sito del CESTIM – Centro Studi Immigrazione della città
di Verona e curati da Gloria Albertini5.
All’interno di questo contesto, Verona si configura come la città che registra il
maggior numero di residenti stranieri alla fine del 2014 (con quasi 110 mila
presenze), seguita da Treviso, Padova e Vicenza. “Queste province si confermano
anche quelle con la più alta incidenza di popolazione straniera rispetto al totale dei
residenti. Verona sfiora il 12%”, configurandosi in questo senso come la
dodicesima provincia d’Italia6.
Secondo i dati ISTAT messi a disposizione dal Comune di Verona, al 15 dicembre
2015, gli stranieri ammontavano a 36.556 su un totale di 258.809 abitanti, di cui
17.404 sono maschi e 19.152 femmine. Le zone della città che registrano il maggior
4
Ibid., p. 61.
5
Albertini, G. (a cura di) (2015) Le cifre dell'immigrazione in Veneto e a Verona a inizio
2015. 29.10.2015 – presentazione Dossier Statistico Immigrazione 2015 IDOS, Confronti e UNAR,
[Internet] (24 pagine), Verona, CESTIM,
http://www.cestim.it/sezioni/dati_statistici/italia/verona/2015-10-29_ALBERTINI-
Le%20cifre%20dell%27immigrazione%20in%20Veneto%20e%20a%20Verona%20a%20inizio%
202015-DEF.pdf (ultima consultazione 06/05/2017). Parte dei dati presentati provengono dal
Dossier Statistico Immigrazione IDOS. Le altre fonti sono: ISTAT, MIUR e Anagrafe Regionale
degli Studenti del Veneto. Tali fonti sono citate in maniera completa nelle schede attualmente
disponibili sull'home page del sito www.CESTIM.it.
6
Anastasia, B. et al. (a cura di) (2015) Immigrazione straniera in Veneto. Rapporto 2015,
op. cit., p. 25.
6
numero di residenti a cittadinanza non italiana solo le Circoscrizioni 37 – zona ovest
e contesto della presente ricerca (8.273 su un totale di 59.224 abitanti), e la
Circoscrizione 5 – zona sud (7.059 su un totale di 37.068 abitanti). La
Circoscrizione a maggiore incidenza di popolazione straniera rispetto al totale dei
residenti è invece la Circoscrizione 4 – zona sud-ovest (22,2%)8.
Dati così importanti si riflettono con altrettanta consistenza sulle presenze degli
alunni stranieri nelle scuole della città. Significativo è, infatti, che la provincia con
maggiore incidenza per l’anno scolastico 2014-2015 sia proprio quella di Verona
(14,1%), seguita da Treviso (14,0%) e Vicenza (13,8%). Nel dettaglio9: vedi
APPENDICE 2 in allegato.
7
La Circoscrizione è una unità territoriale nata per svolgere alcune funzioni di governo e
per gestire servizi di base, in modo il più possibile vicino alla gente. Il Comune di Verona è suddiviso
in 8 Circoscrizioni. La Circoscrizione 3 comprende i quartieri di: 1. San Massimo; Basson; La Sorte;
Croce Bianca; 2. Chievo; Borgo Nuovo; Saval; San Procolo; Navigatori; 3. Borgo Milano; Spianà;
Stadio; Porta Nuova.
8
Cfr. S.n., (2015) Popolazione residente al 15.12.2015 suddivisa per Cittadinanza,
Circoscrizione, Sesso, [Internet] (2 pagine), Verona, Sistema Statistico Nazionale (SISTAN),
http://www.comune.verona.it/media//_ComVR/Cdr/Statistica/Allegati/popolazione/2015/12_TAV
OLA_POP_RES_MESE_DI_DIC_2015.pdf (Ultima consultazione 06/05/2017).
9
Albertini, G. (a cura di) (2015), I numeri dell'immigrazione a Verona a inizio 2015,
[Internet] (1 pagina), Verona, CESTIM, http://CESTIM.it/sezioni/dati_statistici/italia/verona/2015-
10-29_ALBERTINI-
I%20numeri%20dell'immigrazione%20a%20Verona%20a%20inizio%202015.doc (Ultima
consultazione 06/05/2017).
10
Cfr. S.n., (2015) POF IC6. Piano dell’Offerta Formativa 2015-2016, [Internet] (37
pagine), Verona,
7
Le scuole ‘Dall’Oca’ sono ubicate, specificatamente, nel quartiere di Borgo Nuovo.
Formatosi a partire dagli anni ’30 del secolo scorso, nell’area sud ovest della città,
il quartiere ha conosciuto una difficile storia di disagio sociale e ghettizzazione.
Nato infatti come area abitativa in cui accogliere le famiglie di immigrati allora
residenti in abitazioni non idonee lungo i bastioni, si è presto trasformato in un vero
e proprio ghetto, dove fenomeni quali disoccupazione, frammentazione e conflitto
sociale – aggravati dalla formazione di sacche di micro e macro criminalità – ne
hanno delineato l’identità di periferia degradata.
Negli ultimi anni, il territorio è stato oggetto di un complesso programma di
rinnovamento (Borgo Nuovo Si Diventa. Contratto di Quartiere II, promosso
dall’Amministrazione Comunale e Agec – Azienda Gestione Edifici Comunali, e
approvato dal Ministero delle Infrastrutture nel 2004) che ha portato all’attuazione
di significativi interventi di riqualificazione edilizia e sociale. Ad oggi, sono ancora
numerosi gli alloggi di edilizia pubblica che vedono un frequente ricambio di
popolazione, a cittadinanza italiana e non11. Di riflesso, anche la scuola accoglie
un’utenza composita “con discreta presenza di immigrati accanto ai numerosi
residenti storici”12.
http://web.sogiscuola.com/siti/ic6verona/uploads/file/pof%20ic%206%20%202015_2016%20.pdf
pp. 2, 3 (Ultima consultazione 06/05/2017).
11
Cfr. S.n., (2004) Borgo Nuovo a Verona: un quartiere che si rinnova. Il progetto di
Contratto di Quartiere II, [Internet] (2 pagine), Verona, Agec,
https://www.agec.it/sites/default/files/Servizi/Servizi%20Tecnici%20di%20Ingegneria/Programmi
%20Ambientali%20e%20Risparmio%20Energetico/Contratti%20di%20Quartiere%202/borgo_nu
ovo_a_verona_un_quartiere_che_si_rinnova_p_11617.pdf (Ultima consultazione 06/05/2017).
12
S.n., (2015) POF IC6. Piano dell’Offerta Formativa 2015-2016, op. cit., p. 4.
13
Ibid., p. 2.
8
Questo, infatti, persegue da sempre la piena inclusione all’interno della comunità
scolastica di:
- alunni con disabilità (HANDICAP);
- alunni con difficoltà di apprendimento (DSA);
- alunni con bisogni educativi speciali (BES);
- alunni non italiani;
offrendo loro ogni possibile opportunità per il raggiungimento del successo
formativo.
L’obiettivo dell’integrazione dei discenti di origine non italiana viene perseguito
attraverso l’interazione in rete tra attori interni ed esterni alla scuola, secondo le
direttive del Protocollo di accoglienza per alunni stranieri14.
Nello specifico, l’Istituto Comprensivo:
- è inserito nella Rete n.2 dell’associazione Tante Tinte, che offre attività di
sportello (con incontri regolari tra le Funzioni strumentali), consulenza,
attività di formazione, progetti;
- partecipa all’assegnazione di fondi in base all’Art. 9 del CCNL comparto
scuola 2002/2005 – Misure incentivanti per progetti relativi alle aree a
rischio, a forte processo immigratorio e contro l’emarginazione scolastica
(C.M. n. 91/05);
- partecipa al Progetto ‘La lingua come strumento di scambio’ di cui è titolare
l’Assessorato alla Cultura delle Differenze e Pari Opportunità del Comune
di Verona, in collaborazione con Tante Tinte in rete, CESTIM (per
interventi di volontariato), la cooperativa sociale Azalea (per interventi di
mediazione linguistico-culturale)15.
Punto di riferimento e fondamentale figura di collegamento fra la famiglia, la scuola
e il mediatore linguistico-culturale è la Funzione strumentale per l’Intercultura, la
quale, oltre che avere cura dell’inserimento degli alunni stranieri nel nuovo contesto
14
Cfr. S.n., (2015) Un’ottica interculturale. Protocollo di accoglienza per alunni stranieri,
[Internet] (8 pagine), Verona, IC6,
http://www.ic6verona.gov.it/sitoweb/downloadAllegatiSito.php?idFile=Intercultura.pdf (Ultima
consultazione 06/05/2017).
15
Cfr. Ibid., pp. 6-7.
9
scolastico, ricopre un ruolo cruciale anche nella costruzione del percorso educativo
e didattico ad essi rivolto.
I docenti, a loro volta, definiscono adeguati adattamenti dei programmi di
insegnamento al livello linguistico dei discenti attraverso la
semplificazione/facilitazione dei testi e l’individuazione di contenuti minimi per le
discipline. Dove necessario, inoltre,
16
Ibid., p. 6.
17
Cfr. S.n., (2015) POF IC6. Piano dell’Offerta Formativa 2015-2016, op. cit., p. 14.
10
I bambini sono stati divisi in due gruppi nel rispetto dell’età anagrafica. Le ore di
lezione sono state così suddivise: quattro ore settimanali (lunedì e venerdì dalle 8.00
alle 10.00) per i quattro alunni della classe prima; due ore settimanali (martedì dalle
8.00 alle 10.00) per l’alunno di classe quarta.
La maggiore continuità garantita dal monte ore più consistente, mi ha inizialmente
indotto a orientare l’osservazione sul gruppo dei bambini di prima. Il mio interesse
è stato successivamente catturato dall’emergere, all’interno di esso, di criticità che
esulano dall’apprendimento linguistico in senso stretto (ma che su di esso si
ripercuotono), andando a coinvolgere bisogni cognitivi legati agli ambiti della
storia, della logica e della psicomotricità. Criticità che possono essere parzialmente
imputabili per due dei bambini alla mancata frequentazione della scuola
dell’infanzia. Mi sono quindi chiesta in quale modo e con quali strumenti poter
contribuire, come insegnante di lingua, al loro superamento.
A tal fine, la normale e quotidiana prassi riflessiva dell’insegnante, individuale e
focalizzata sulla glottodidattica, risulta insufficiente. La complessità e il carattere
interdisciplinare delle problematiche emerse esigono infatti un’azione di ricerca
rigorosamente condotta e, soprattutto, basata su un lavoro di tipo collaborativo.
Per questo motivo ho deciso di avviare un percorso di Ricerca-Azione in questa
direzione.
concorrono a loro volta alla promozione di competenze più ampie e trasversali, che
rappresentano una condizione essenziale per la piena realizzazione personale e per la
11
partecipazione attiva alla vita sociale, orientate ai valori della convivenza civile e del bene
comune18.
18
Ministero dell’Istruzione e della Ricerca (2012) Indicazioni nazionali per il curricolo della
scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, Roma, [Internet] (68 pagine),
http://www.indicazioninazionali.it/documenti_Indicazioni_nazionali/indicazioni_nazionali_infanzi
a_primo_ciclo.pdf, p. 25 (Ultima consultazione 06/05/2017).
12
l’espressione da parte dei bambini delle proprie emozioni (quali ad esempio
stanchezza, paura, rabbia); difficoltà da cui si generano incomprensioni tanto con
le insegnanti di classe quanto con i compagni. La seconda, riguarda invece la
capacità di ricostruire secondo una sequenza logico/temporale vicende ed
esperienze. Difficoltà rilevata dalla mediatrice culturale anche nella lingua madre.
Come si vede, si tratta di bisogni cognitivi che trascendono l’apprendimento
linguistico in senso stretto, ma che ad esso sono inscindibilmente legati e che
integralmente con esso possono essere sviluppati e rafforzati. Abbiamo deciso
quindi, con le docenti di classe, di lavorare congiuntamente su questi aspetti,
inserendoli come obiettivi prioritari anche per lo spazio laboratorio.
A tale scopo, mi serve uno strumento che mi consenta di unire lo sviluppo delle
abilità linguistiche con quelle cognitive sopra illustrate, abbracciando così, in pieno
riscontro con l’unitarietà tipica dei processi di apprendimento, le discipline della
storia e della psicomotricità.
Ho quindi deciso di orientare il mio percorso di Ricerca-Azione in questa direzione,
ipotizzando l’utilizzo della fiaba (già previsto e suggerito dal metodo esperienziale)
come strumento più idoneo a perseguire gli obiettivi stabiliti.
Perché dunque la fiaba? Perché molte sono le valenze pedagogiche che questo
genere letterario riesce ad assumere, offrendosi all’insegnante come versatile
strumento didattico-educativo, e al giovane lettore come preziosa occasione di
conoscenza di sé e del mondo.
Grazie alla semplicità e alla linearità della trama, la fiaba si presta ottimamente
all’elaborazione di attività volte alla familiarizzazione con la sequenzialità logica e
temporale degli eventi. Non solo. Ad essa si assegnano compiti e funzioni molto
importanti per l’integrale sviluppo della personalità, anche a un livello emotivo-
affettivo. Infatti, grazie alla qualità dei personaggi – incarnazione univoca dei vizi
e delle virtù degli uomini – e alle loro vicende, “catalogo dei destini che possono
darsi a un uomo e a una donna”19, la fiaba mette il bambino di fronte ai principali
problemi esistenziali in un modo chiaro, essenziale e conciso, configurandosi come
19
Calvino, I. (1993) Introduzione, in Id., Fiabe italiane, Milano, Mondadori, p. XV.
13
un primo importante strumento di presa di coscienza e interpretazione. Più
precisamente, attraverso il processo di identificazione, il bambino chiarisce
gradualmente i propri sentimenti, desideri, paure e conflitti, imparando così ad
esteriorizzare il proprio mondo interiore e quindi a conoscerlo meglio20.
20
Cfr. Blezza Picherle, S. (1996) Leggere nella scuola materna, Brescia, La Scuola, pp. 134–
145.
21
Ibid., p. 141.
14
manipolazione di materiali e il gioco. Mantenendo per il ‘fare’ e il ‘fare con la
lingua’ un ruolo di primissimo piano, si aspira a far esperire ai bambini diverse
modalità di apprendimento, in modo tale da valorizzare tanto i diversi tipi di
intelligenza quanto i differenti stili d’apprendimento, facilitando sia la pratica sia la
rielaborazione personale degli input ricevuti (linguistici e non).
15
CAPITOLO 2
2 Approccio metodologico
2.1 La Ricerca-Azione
Per affrontare le criticità riscontrate all’interno della classe di laboratorio si è scelto
di avviare un percorso di Ricerca-Azione (d’ora in poi RA).
Perché la Ricerca-Azione? Perché è una pratica di ricerca che, per sua stessa natura,
mira alla risoluzione di problemi contingenti all’interno di contesti circoscritti. Si
tratta quindi di un approccio metodologico che consente all’insegnante-ricercatore
non solo di effettuare un’analisi approfondita del contesto in cui opera, ma di
apportare un effettivo miglioramento alla propria azione didattica a beneficio dei
discenti e della propria stessa crescita professionale.
Proprio perché mira allo sviluppo di un’azione volta al cambiamento all’interno di
un contesto specifico e generalmente ristretto, ogni esperienza di RA si configura
come unica. Per questo motivo i suoi risultati non sono generalizzabili ma,
attraverso la loro condivisione, vanno a costituirsi come prezioso bagaglio
esperienziale a cui appoggiarsi per successivi e similari progetti di ricerca.
16
Una simile visione è divenuta centrale anche nell’ambito della glottodidattica
italiana per l’infanzia, che, pur affondando le sue radici nel comunicativismo,
supera la visione puramente strumentale della lingua per abbracciare
22
Daloiso, M. (2009) La lingua straniera nella scuola dell’infanzia. Fondamenti di
glottodidattica, Novara, Utet Università, De Agostini Scuola, p. 102.
23
Ibid., p. 106.
24
“Poiché l’allievo manifesta un bisogno di significazione, ossia di recuperare il significato
sotteso alle molteplici esperienze da lui vissute, è essenziale che l’insegnante di LS [/L2] collabori
con gli altri docenti disciplinari al fine di garantire una continuità orizzontale, ossia un minimo
comune denominatore tra l’attività in LS [/L2] e le altre attività disciplinari (principio
dell’integrazione educativa)”, Ibid, p. 108.
17
visione dell’accostamento alla L2 in tenera età come processo interdipendente allo
sviluppo complessivo del bambino.
18
La prima parte del libro è dedicata all’illustrazione degli aspetti generali della
crescita, che riassumerò brevemente qui di seguito.
Dal punto di vista neuropsicologico, la crescita di un bambino è data
dall’interdipendenza di processi che “attivano il potenziale genetico utilizzando
informazioni ambientali largamente accessibili alla specie” (processi che attendono
l’esperienza) e “processi che fanno leva su informazioni ambientali che variano a
seconda dei contesti e delle situazioni di apprendimento” (processi che dipendono
dall’esperienza)25. Il percorso di maturazione cerebrale, cioè, è il risultato
dell’interazione tra una componente genetica innata nella specie umana e una
costante interazione tra l’individuo e l’ambiente che lo circonda.
Più specificatamente, tale maturazione si realizza attraverso l’attivazione di tre
categorie di processi: sensoriali, che consentono una prima esplorazione, selezione
ed elaborazione delle informazioni ambientali; mnestici, che garantiscono la
fissazione e il recupero dell’input; metacognitivi, che, in relazione all’età,
innescano le prime forme di controllo dell’apprendimento.
Tra i processi sopra elencati, il primato va senz’altro alla sfera sensoriale. Il
bambino infatti apprende prima di tutto attraverso l’esperienza; ha bisogno cioè di
interagire con l’ambiente circostante tramite il coinvolgimento di tutti i sensi. In
questo modo, non solo scopre e conosce la realtà che lo circonda, ma è in grado di
acquisire per via pratica anche nozioni astratte (concettualizzazione percettiva).
Ciò vale anche per l’acquisizione del linguaggio, che viene percepito come strumento
pragmatico che consente ‘di fare delle cose’; i bambini più piccoli tendono addirittura ad
identificare la lingua stessa con le attività ad essa associate 26.
25
Cfr. Ibid., p. 40.
26
Ibid., p. 112.
27
Queste sono governate dai seguenti principi regolatori: l’assunzione del soggetto integrale,
grazie alla quale i bambini assumono che una parola si riferisca ad un oggetto nella sua totalità, e
19
La parola cane – ad esempio – verrebbe associata a una serie di esperienze neurosensoriali
(i bambini possono vedere e accarezzare esemplari di cane, possono sentirli abbaiare, ecc.),
che grazie alle abilità computazionali sopra menzionate condurrebbero alla formazione di
una categoria concettuale costituita dalle caratteristiche fisiche del cane. Nel sistema
lessicale del bambino si formerebbero, d’altra parte, una o più espressioni linguistiche
direttamente associate a quel concetto attraverso una rete di connessioni sinaptiche
stabilizzate28.
non ad una sua parte; l’assunzione tassonomica, grazie alla quale i bambini assumono che una parola
nuova si riferisca a una categoria base, e non ad una sopraordinata o subordinata (‘gatto’ anziché
‘felino’ o ‘siamese’); l’assunzione di mutua esclusione, grazie a cui i bambini associano una parola
preferibilmente a un referente di cui non conoscono ancora il segno linguistico. (Cfr. Ibid., p. 52)
28
Ibid., p. 53.
29
Ibid., p. 46.
20
Dal punto di vista linguistico, ciò significa che i bambini sono in grado di acquisire
la lingua simultaneamente ad altri tipi di apprendimento, senza la necessità di una
focalizzazione esclusiva sul codice verbale.
Da queste premesse, è derivata la scelta da parte mia di optare per un metodo che
riconosca, preservi e metta a frutto:
- la centralità dell’esperienza ai fini dell’apprendimento, anche linguistico;
- la dimensione pragmatica della lingua, che per i bambini è precipuamente
uno strumento per soddisfare bisogni di natura pratica: giocare, comunicare,
fare esperienza di sé, degli altri e della realtà circostante.
Questo metodo prende il nome di ‘metodo esperienziale’ e, sul piano operativo, si
traduce nella progettazione e nella proposta di attività:
- espressive, in particolare attraverso l’arte figurativa e il linguaggio iconico
(disegno, colorazione e decorazione di materiale cartaceo);
- manipolative, che includono sia le attività di tipo esplorativo (in cui viene
richiesto ai bambini di scoprire le proprietà di oggetti e materiali attraverso
l’attivazione dei sensi), sia quelle creative (che si basano sulla
modificazione o costruzione di materiali attraverso azioni pratiche come
tagliare, incollare, strappare, modellare, ecc.);
- psicomotorie, che utilizzano congiuntamente il gioco spontaneo, il
movimento e la rappresentazione per lo sviluppo congiunto di abilità
motorie, cognitive e affettive;
- linguistiche, che sono finalizzate a esercitare in modo mirato specifici
aspetti della lingua. Tra queste, oltre alle attività di abbinamento, ai giochi
a incastro, di memoria o di insiemistica, ricordiamo anche il racconto di
storie.
2.3 TPR
All’interno dell’ambito della psicomotricità è possibile far rientrare, coerentemente
coi principi del metodo esperienziale, anche il metodo TPR (Total Phisical
Response). Ideato dallo psicologo James J. Asher negli anni ’60, il TPR fa
riferimento a un approccio di tipo psico-affettivo e psico-motorio, in quanto non
21
solo il discente viene posto al centro del processo di apprendimento, ma viene
coinvolto nella totalità della sua persona. Più nello specifico, il metodo si propone
di far acquisire all’apprendente primariamente una fluenza d’ascolto; la produzione
orale viene rinviata fino a quando l’allievo si sentirà in grado di parlare nella lingua
straniera. Per raggiungere tale obiettivo, l’insegnante fornisce ai discenti una serie
di comandi che comportano l’esecuzione di gesti e spostamenti. Inizialmente questi
sono molto semplici (“cammina”, “corri”); successivamente, si fanno via via più
complessi e articolati. Si vede bene come una simile strategia vada ad assecondare
uno dei principali aspetti che contraddistinguono l’acquisizione linguistica in età
infantile, ovvero l’uso integrato dei sensi e della motricità associato alla scoperta
della lingua. Non meno importante è l’abbattimento del filtro affettivo, in quanto il
discente non si sente forzato nella produzione in un codice che ancora non
padroneggia.
Nell’ambito del mio percorso didattico, ho fatto e continuerò a fare ricorso al TPR
per l’introduzione di nuovi elementi linguistici.
22
CAPITOLO 3
3. Pianificazione del progetto di Ricerca-Azione
3.1 Tipologia di progetto: uno studio di caso
Come anticipato, il mio progetto di ricerca consisterà in uno studio di caso. Nello
specifico, prevede come oggetto e destinatario d’analisi un ristretto gruppo di
studenti: quattro bambini frequentanti la classe prima della scuola primaria e con
competenze linguistiche eterogenee: M. (5 anni, anticipataria), G. (5 anni,
anticipatario), K. e S. (6 anni)30.
M. è pakistana; è arrivata in Italia con la famiglia a luglio 2015 e ha cominciato il
laboratorio come principiante assoluta. Non ha mai avuto occasione di frequentare
la scuola dell’infanzia, iniziando così il suo percorso alla primaria con gravi
difficoltà tanto nell’utilizzo di materiali e strumenti (il quaderno, le forbici, ecc.)
quanto nel disegno e in altre attività manipolative.
G. e K. sono cinesi. G. è in Italia da un paio d'anni, ha frequentato la scuola
dell’infanzia per pochi mesi e a casa parla solo la lingua materna. Ha iniziato il
laboratorio di italiano con un bagaglio lessicale di poche parole e presenta ancora
molte difficoltà nell'articolare i suoni. K., invece, è nato in Italia, dove ha
frequentato regolarmente la scuola dell’infanzia.
S., cingalese, anch’egli nato in Italia, si è aggiunto al gruppo a partire dal 30
novembre. Come K., ha frequentato qui la scuola dell’infanzia. Sebbene in famiglia
parlino entrambi esclusivamente la lingua materna, hanno raggiunto un livello di
competenza A2 del QCER.
Nonostante l’eterogeneità del livello linguistico, i bisogni dei bambini si
uniformano in prospettiva interdisciplinare, in quanto gli obiettivi cognitivi
individuati in fase di ricognizione interessano tutti allo stesso modo. Questo
significa per l’insegnante riuscire a strutturare attività fruibili a più livelli, che
tengano conto delle differenze, ma che risultino utili e motivanti per tutti.
30
I nomi degli alunni sono sostituiti con lettere per motivi di privacy.
23
La mattina del 22 febbraio, Arianna, maestra di S., G. e K., mi ferma per un breve
colloquio durante la ricreazione. Ha bisogno di parlarmi a proposito di K. Secondo
Arianna, i progressi del bambino nella L2 sono stati notevoli, tanto che, seppure
con qualche attenzione in più da parte dell’insegnante, è in grado di seguire la
lezione al pari dei compagni. Ritiene quindi importante che K. concluda al più
presto il percorso laboratoriale per riprendere una regolare frequentazione delle
lezioni. A partire dal 2 marzo, viene quindi definitivamente ritirato dal gruppo.
Al contempo, mi propone di inserire nel gruppo un altro bambino, R., le cui
difficoltà sono emerse nel corso del primo quadrimestre, rivelandosi via via
crescenti tanto nell’ambito dell’apprendimento quanto in quello relazionale.
Questo il quadro tracciato brevemente da Arianna e appuntato da me sul diario: R.,
sebbene sia nato in Italia, ha origini tunisine da parte di madre. Del padre non si
hanno notizie; la mamma si è risposata con un compagno di origini brasiliane
quando il bambino aveva quattro mesi, ma solo da un paio d’anni R. lo chiama
‘papà’. In Italia, ha frequentato la scuola dell’infanzia e a casa, con la famiglia,
parla la nostra lingua.
A livello linguistico, per quanto riguarda la produzione orale, l’alunno produce frasi
poco strutturate e la sua capacità espressiva risulta piuttosto disordinata. Anche il
vocabolario è povero e, talvolta, confuso. Nella comprensione di facili testi e/o
consegne orali deve essere guidato individualmente dall’insegnante. A livello
fonetico, fatica nel riconoscere vocali e consonanti, il che costituisce un ostacolo
nel processo di apprendimento della letto-scrittura.
Per quanto riguarda le capacità logiche, R. presenta difficoltà nell’orientamento
spazio-temporale (prima/dopo; destra/sinistra; durate temporali) e, nelle attività di
riordino di sequenze, non supera il numero di due. Laura, la maestra di matematica,
conferma tali criticità con la segnalazione di una certa fatica nel riconoscere e
comprendere situazioni problematiche, e quindi nell’individuare le possibili
soluzioni.
In riferimento alla sfera relazionale, infine, le insegnanti hanno riscontrato da parte
dell’alunno significative difficoltà nella socializzazione con i compagni. R., infatti,
24
sin dall’inizio dell’anno, alterna momenti di aggressività fisica e verbale a momenti
di sudditanza nei confronti dei compagni di classe.
Quello che desta maggiore preoccupazione nelle maestre è però il fatto che R.
appaia sempre più abbattuto: sebbene infatti sia un bambino volenteroso e curioso
nei confronti delle attività proposte, gli insuccessi e la scarsissima autonomia
operativa creano in lui crescente frustrazione e scoramento.
Ritengono quindi che l’inserimento nel laboratorio linguistico possa giovare al
bambino prima di tutto su un piano emotivo e motivazionale.
Il lavoro in piccolo gruppo all’interno di un clima rilassato e positivo, unito alla
maggiore attenzione che l’insegnante può dedicare a ciascun alunno, possono
giovare infatti al miglioramento delle relazioni e all’acquisizione di una maggiore
fiducia in se stesso.
In secondo luogo, gli obiettivi formativi delineati con le maestre in fase di
ricognizione rispondono ai bisogni dell’alunno.
25
È costituito quindi da:
- le docenti di classe dei bambini (IA e IB);
- un’osservatrice esterna, insegnante di italiano L2 e attualmente iscritta al
corso di laurea in Scienze della Formazione primaria presso l’Università
degli Studi di Padova;
- la tutor;
- l’insegnante-ricercatrice (io).
E gli studenti? Data la loro giovanissima età, non sarà possibile coinvolgerli
direttamente nella pratica riflessiva. Ciò non significa che il loro ruolo passi in
secondo piano. Proprio a causa dell’impossibilità di chiedere la loro opinione sulle
attività e i materiali proposti tramite questionari o interviste strutturate, mi sono
fatta più attenta e ricettiva durante le ore di lezione per individuare eventuali ambiti
di preferenza su cui orientare la mia azione.
L’idea dell’introduzione sistematica della fiaba all’interno del laboratorio L2 ha
cominciato a prendere forma quando, alla ricerca di una nuova direzione da dare
alle attività laboratoriali, ho letto ai bambini Eulalia cerca casa di Sue Camm.
L’interesse e il coinvolgimento durante la lettura, sempre supportata dalle
immagini, sono stati altissimi anche da parte dei principianti assoluti. Inoltre, la
motivazione si è mantenuta forte anche nello svolgimento delle attività correlate,
tanto che, al termine della lezione, hanno tutti avanzato la richiesta di ripetere presto
l’esperienza.
26
eventuale nuova azione. Una volta individuato il focus della ricerca, va quindi
predisposto un piano d’azione.
In questo capitolo si vuole tracciare il piano d’azione nelle sue linee generali,
tenendo ben presente che sarà soggetto a riaggiustamenti e correzioni di tiro, a
seconda di quanto la riflessione e il monitoraggio in itinere suggeriranno.
27
3.3.2 Tempo previsto
Il percorso di RA ha preso avvio nel mese di febbraio 2016 con le fasi di
ricognizione e pianificazione e avrà termine nel mese di ottobre dello stesso anno
con la stesura della tesi di master, recante la descrizione dello sviluppo del progetto
di ricerca accompagnata dalla valutazione degli effetti prodotti.
I cicli di azione, osservazione, monitoraggio e riflessione in itinere avranno inizio
il 29 febbraio per concludersi il 27 maggio.
28
obiettivi della ricerca e precisando chiaramente le modalità di utilizzo dei dati
emersi.
Il progetto viene accolto da subito con curiosità ed entusiasmo. Tutti i partecipanti
si dicono disponibili a ‘mettersi in gioco’, ad analizzare e, se necessario, mettere in
crisi le proprie convinzioni attraverso la pratica del dialogo e del confronto.
Poiché gli studenti coinvolti sono minorenni, si stabilisce in che modo ottenere
l’autorizzazione dei genitori a fotografare o riprendere in video i loro figli. Marta
propone di procedere con un colloquio con i familiari interessati per spiegare loro,
con l’ausilio della mediatrice linguistica, le caratteristiche e le finalità del progetto.
Solo in un secondo momento si procederà con la compilazione e la firma di un
apposito modulo: “Liberatoria riprese foto e video. Dichiarazione di consenso
all’utilizzo della propria immagine durante riprese audiovisive e fotografiche”. Nel
frattempo, Marta si fa carico di presentare il progetto al dirigente scolastico. Il suo
consenso verrà formalizzato attraverso un apposito documento messo a
disposizione di noi docenti-ricercatori dall’Università Ca’ Foscari: “Consenso per
percorsi di ricerca nella scuola o presso enti”.
3.3.3.2 Ricognizione
Una volta verificata l’esistenza delle condizioni favorevoli alla realizzazione del
progetto, ho potuto dare avvio, nel mese di febbraio, alla fase di ricognizione.
Questa ha avuto inizio con un colloquio chiarificatore con le docenti di classe,
assieme alle quali si è concordato il focus della ricerca. Dopo essermi confrontata
con la mia tutor circa la sua validità, ho potuto dare inizio alla pianificazione vera
e propria, coinvolgendo anche l’osservatrice esterna.
La fase di pianificazione ha previsto diverse tappe:
- il reperimento di bibliografia da proporre in classe (fiabe/favole/racconti
propri della tradizione italiana o comunque parte del bagaglio culturale del
nostro paese);
- il confronto con la tutor e il reperimento di bibliografia utile ai fini della
ricerca (insegnare l’italiano ai bambini; neuropedagogia delle lingue; la
valenza didattica della fiaba; la fiaba nel laboratorio di italiano L2 ecc.);
29
- il reperimento del materiale per la (video)registrazione delle lezioni
(registratore – videocamera);
- l’individuazione del tipo di attività da proporre ai discenti (confronto e
discussione delle idee con le docenti di classe e l’osservatrice esterna);
- un incontro con l’osservatrice esterna per l’esposizione del progetto di
ricerca e una prima discussione sulla strumentazione da utilizzare per la
raccolta dei dati.
30
- momenti collettivi e collaborativi di condivisione dei dati raccolti,
riflessione e valutazione: 1) con le docenti di classe, una volta al mese; 2)
con l’osservatrice esterna, al termine di ogni fase;
- breve relazione scritta e pianificazione dell’intervento successivo.
31
De Luchi, M. (2015) Metodologia della ricerca nella didattica delle lingue, [Internet] (52
pagine) Venezia, Università degli Studi Ca’ Foscari, http://elearning.itals.it/file.php/177/M01-
MATERIALI/DE_LUCHI_RICERCA_LINGUE.pdf, (con password), p. 28 (Ultima consultazione
06/05/2017).
31
Nell’ambito di questo progetto, i dati verranno raccolti da me, in qualità di docente-
ricercatrice di italiano L2 e dall’osservatrice esterna, per essere poi triangolati con
le docenti di classe dei bambini e con l’osservatrice stessa.
Saranno quindi prevalentemente dati primari, rilevati mediante osservazione diretta
o registrazione, durante la lezione di italiano L2. Nello specifico, assumeranno la
forma di materiale:
- audio e/o audiovisivo (poi completati della relativa trascrizione);
- scritto (appunti e rilevazioni dell’insegnante di italiano L2 – io – e
dell’osservatrice esterna);
integrati con:
- materiale fotografico;
- schede somministrate durante la lezione e materiale prodotto dai bambini
(cartelloni, disegni ecc.);
- dati secondari, quali la documentazione ufficiale scolastica (PDP; relazioni
delle insegnanti; valutazioni delle pagelle del primo quadrimestre ecc.).
32
3.3.5 Tipo di strumenti per la raccolta dati
- Diario dell’insegnante.
Come sottolinea Coonan, il diario è un tipo di strumento ‘introspettivo’
perché attraverso di esso “l’individuo è in grado di scoprire e di conoscere
le parti più nascoste del suo modo di fare l’insegnante”32. La sua stesura ‘a
caldo’, regolarmente condotta, lo rende un valido strumento per la
riflessione da parte di chi lo redige sulla propria prassi didattica (reflection
on action) e sulle convinzioni, idee o assunti che la determinano. I dati che
ho cominciato a raccogliere all’interno del diario sono prevalentemente di
tipo ‘affettivo’33, in quanto vi annoto le mie sensazioni circa l’esito della
lezione, le osservazioni sul modo in cui io stessa ho reagito di fronte a
determinate situazioni e la mia soddisfazione/insoddisfazione riguardo al
modo in cui ho impostato le attività programmate. Queste si accompagnano
a ipotesi riguardo le reazioni degli studenti e interpretazioni provvisorie
sulle loro difficoltà. Nella sua consultazione ai fini della riflessione, che può
essere tanto individuale quanto condivisa con altri attori del gruppo di
progetto, va tenuto in debito conto il taglio fortemente soggettivo che chi lo
redige dà alle proprie annotazioni.
A mio parere, questo tipo di strumento presenta però più di un limite:
innanzitutto, esige una forte auto-disciplina da parte del ricercatore, che
deve impegnarsi a redigerlo con costanza. In caso contrario, rischia di
diventare una fonte di informazioni poco chiara e lacunosa. In secondo
luogo, deve essere steso ‘a caldo’: i ricordi sfumano velocemente e a
distanza di tempo rischiano di essere falsati. Infine, se il ricercatore manca
nel prendersi il tempo adeguato per la sua compilazione, corre il pericolo di
trasformare il diario in un mero resoconto di accadimenti, trascurando di
annotare le proprie riflessioni su di essi.
32
Coonan, C. M. (s.d.) La Ricerca Azione, [Internet] (64 pagine), Università degli Studi Ca’
Foscari di Venezia, http://venus.unive.it/aliasve/moduli/didattica_intercultura/ricerca_azione.pdf,
p. 29 (Ultima consultazione 28/02/2016)
33
Ibid.
33
- Resoconti dettagliati delle lezioni da inviare sistematicamente alle docenti
di classe e all’osservatrice.
Al loro interno, accompagno la stesura del programma (con specificazione
per ogni attività di: obiettivi di apprendimento, modalità di svolgimento,
bibliografia) con brevi osservazioni sugli alunni sia dal punto di vista del
rendimento, sia da quello della partecipazione (quindi dell’interesse e della
motivazione). Contrariamente a quanto faccio nel diario, cerco di essere il
più possibile descrittiva, riportando puntualmente comportamenti e
situazioni per dati concreti e usando un linguaggio denotativo.
- Annotazioni sul campo da parte dell’insegnante ricercatrice o
dell’osservatrice. Questo strumento verrà usato in modo estemporaneo, per
annotare durante lo svolgimento della lezione eventi che si ritengono
particolarmente significativi. Come sottolinea Coonan34, le note sul campo
devono essere uno strumento “longitudinale perché pochi dati raccolti in un
arco di tempo molto ridotto non potranno fornire informazioni sufficienti
per avere un quadro significativo e spiegabile della questione in esame”.
- Cronaca diretta, qualora si decida di osservare un alunno per un breve
periodo di tempo, da parte dell’osservatrice esterna.
- Registrazioni audio e/o video delle lezioni. Essendo gli obiettivi da
perseguire incentrati sulla produzione e sull’interazione orale, quelli della
registrazione e della videoregistrazione si configurano come strumenti
cruciali ai fini della valutazione che per essere oggettiva non può avvenire
in tempo reale, ma deve avvalersi della riesamina in differita della
performance comunicativa.
Per quanto riguarda in particolare la raccolta dati sulle attività di interazione,
la videoregistrazione è da preferire alla registrazione audio, in quanto tiene
traccia anche della componente non verbale della comunicazione.
Anche questo strumento, tuttavia, presenta alcuni limiti. Il primo è di ordine
meramente tecnico: affidandosi a una macchina, il ricercatore deve essere
34
Ibid., p. 34.
34
consapevole della possibilità che questa possa inaspettatamente smettere di
funzionare o creare altri tipi di problemi, compromettendo così un’ottimale
registrazione o revisione dei dati.
In secondo luogo, va ricordato che videoregistrazione non è sinonimo di
oggettività. In caso la telecamera non sia posizionata in un punto fisso, la
persona addetta alle riprese, scegliendo un’inquadratura piuttosto che
un’altra, imprimerà inevitabilmente un margine di soggettività al video, col
rischio di perdere dati che potrebbero invece essere rilevanti ai fini della
ricerca.
Infine, la consapevolezza di essere ripresi, potrebbe influire sul
comportamento (anche linguistico) degli studenti che, presi da timidezza o
imbarazzo, potrebbero innalzare il filtro affettivo.
- Pattern analysis delle (video)registrazioni. Queste verranno condotte con
l’ausilio dell’osservatrice esterna e saranno supportate da griglie di
osservazione appositamente predisposte a seconda del focus prestabilito.
Potranno essere effettuate ‘a mente aperta’, con finalità esplorative, oppure
tenendo a mente un obiettivo (linguistico, cognitivo, metodologico) già
focalizzato.
35
CAPITOLO 4
4. Messa in atto del percorso di Ricerca-Azione
4.1 Premesse alla programmazione: la scelta dei testi
Una volta stabilito il focus della ricerca e delineato il piano d’azione, inizia la fase
di programmazione e messa in atto.
Il 19 febbraio procederò con la presentazione della prima fiaba. Mi si pongono
quindi due questioni:
1) quali fiabe scegliere;
2) come strutturare il percorso didattico coniugando il metodo esperienziale
con il racconto di una fiaba.
Prima di cominciare con la selezione vera e propria, sento il bisogno di fare un po’
di chiarezza sul concetto di “letteratura per l’infanzia”, poiché è all’interno di
questo campo che, d’ora in poi, prenderà avvio ciascuna delle unità didattiche che
andrò a ideare. Mi domando quindi:
- che cos’è la letteratura per l’infanzia?
- Quali generi e quali tipi testuali vi rientrano?
- Secondo quali criteri avverrà la mia selezione?
Una prima definizione, sintetica ed esaustiva, viene data da Blezza Picherle35:
35
Blezza Picherle, S. (2016) Letteratura per l’infanzia. Ambiti, caratteristiche, autori,
Verona, Edizioni QuiEdit, p. 3.
36
ragazzi si sono appropriati nel tempo36, “facendone una loro letteratura di elezione,
perché al contrario degli abituali testi un po’ troppo didascalici, soddisfacevano i
loro bisogni fantastici, avventurosi, creativi”37.
Il panorama della lettura per l’infanzia di ambito letterario (e non divulgativo) si
può quindi riassumere in questo modo:
- tutti i generi letterari (fiaba, favola, leggenda, mito, romanzo storico, avventuroso, fantasy,
giallo, romanzo autobiografico, poesia ecc.);
- romanzi di generi contaminati;
- testi adattati, ridotti e riscritti (fiabe, favole, romanzi classici ecc.);
- romanzi classici (Robinson Crusoe di Defoe, I viaggi di Gulliver di Swift, ecc.);
- romanzi, albi e graphic novel per adolescenti (young adult);
- letteratura a colori (albi illustrati e libri illustrati per tutte le età);
- giornalini e fumetti per bambini e ragazzi;
- testi teatrali per ragazzi (scritti intenzionalmente ex novo per il teatro o versioni teatrali di
romanzi per l’infanzia e l’adolescenza);
- media narrativi (trasposizioni di libri in film e viceversa; contaminazione tra media e libri;
narrazioni ipertestuali, anche in videogiochi) 38.
36
Si pensi a capolavori quali Robinson Crusoe (1719) di Daniel De Foe, L’isola del tesoro
(1883) di Robert Louis Stevenson, le opere di Charles Dickens (1812-1870), o al più recente e
sempre amatissimo Il Piccolo principe (1943) di Saint Exupery.
37
Ibid., p. 4.
38
Il quadro riassuntivo è tratto da Blezza Picherle, S. (2016) Letteratura per l’infanzia.
Ambiti, caratteristiche, autori, op. cit., p. 5.
39
“Il discorso della letteratura giovanile si usa farlo cominciare proprio con Gianbattista
Basile, il quale pubblica una raccolta di fiabe in dialetto napoletano, Lo cunto de li cunti overo lo
trattenimento de’ peccerille, che verrà edita nel 1674 a Napoli con il titolo di Pentamerone. […] Il
vero atto di nascita della Letteratura per l’infanzia lo si colloca invece nel 1697 con Charles Perrault
(1697 – 1703), il quale dà alle stampe una raccolta di fiabe, Contes de ma mère l’Oye (I racconti di
mamma l’Oca), scritte per le giovinette dell’epoca” (Ibid., p. 15).
37
All’interno di questo genere letterario rientrano diversi tipi di composizioni
scritte40:
- la fiaba popolare: si tratta di racconti di matrice orale e di estrazione etnico-
popolare. L’autore cerca di trascrivere nel modo più fedele possibile la
narrazione così come viene proposta dalla viva voce dei “contafiabe” (si
pensi alle raccolte di Pitré, Nerucci ecc.);
- la fiaba classica: la sua origine è popolare ma ha subito nella trasposizione
scritta libere modificazioni da parte degli autori che ne hanno curato la
raccolta (Fratelli Grimm, Basile, Calvino ecc.);
- la fiaba d’arte, d’autore o letteraria: l’autore, pur traendo motivi e temi
dalla tradizione popolare orale, li rielabora in un linguaggio letterario
artisticamente raffinato e personale. Nella maggior parte dei casi nascono
come testi scritti. Tra queste si ricordano le raccolte di Andersen, Perrault,
Hoffmann, Hauff ecc.;
- la fiaba moderna o contemporanea: consiste in ogni racconto fiabesco che
sia invenzione nuova e originale dell’autore. Tra gli autori di fiabe
contemporanee ricordiamo Rodari, Argilli, Piumini ecc.
Come si vede, l’ambito all’interno del quale andrò a operare le mie scelte è
estremamente vasto, variegato e complesso. Di fronte a me si apre un affascinante
ed enorme ventaglio di possibilità.
Comincio quindi a pensare che la scelta operata in fase di ricognizione circa il
genere della fiaba non debba diventare un limite, precludendo a priori altre opzioni
altrettanto valide dal punto di vista narrativo e/o psicologico. Così, dopo le prime
visite alle biblioteche e alle librerie di Verona, decido di tenere in considerazione
anche generi e tipi testuali altri rispetto alla fiaba classica o alla fiaba d’autore. Una
possibilità molto interessante mi sembra offerta per esempio dalla letteratura a
colori e in particolare dagli albi illustrati. Attratta dall’elevata qualità delle
immagini e dalle tematiche trattate, comincio a segnarmi sul diario di bordo alcuni
40
Per la seguente classificazione cfr. Ibid., p. 18.
38
titoli: La zuppa di sasso41; La balena della tempesta42; L’onda43: albi illustrati i
primi due, un wordless book il terzo.
41
Vaugelade, A. (2001) La zuppa di sasso, Milano, Babalibri.
42
Davies, B. (2014) La balena della tempesta, Torino, EDT.
43
Lee, S. (2008) L’onda, Mantova, Edizioni Corraini.
44
cfr. Daloiso, M. (2009) L’italiano con le fiabe. Costruire percorsi didattici per bambini
stranieri, Perugia, Guerra Edizioni, p. 7.
45
Cfr. Ibid, p. 11.
39
intelligenza simbolica e il processo di identificazione in uno o più
personaggi;
- coinvolgimento cognitivo: per il bambino il testo deve presentarsi come
un’occasione per mettere in gioco le proprie competenze cognitive e allo
stesso tempo di arricchirle;
- melodia: non solo i componimenti in versi, ma anche i testi narrativi
presentano una loro salienza a livello melodico. Questa è determinata da un
lato dalla particolare forma del linguaggio narrativo letterario (stile),
dall’altro dalla presenza di ritornelli o sezioni-chiave della storia in cui la
scelta delle parole avviene sulla base delle proprietà fonetiche del lessico;
- positività: il testo soddisfa il bisogno di riuscita e di costruzione
dell’autostima del bambino attraverso la proposta di risoluzioni positive a
situazioni critiche proprie del suo vivere quotidiano;
- ripetitività: il testo presenta ripetizioni a livello linguistico e narrativo. La
ripetitività è di fondamentale importanza per lo sviluppo del bambino in
quanto infonde sicurezza, creando quindi piacere e a livello neurologico
consente di creare connessioni sinaptiche stabili;
- sorpresa: la prevedibilità del testo viene bilanciata con l’introduzione di
alcuni elementi di sorpresa (narrativi o linguistici) al fine di mantenere alta
l’attenzione e sollecitare la motivazione del piccolo lettore/ascoltatore.
Non mi resta che tradurre in strumento operativo le premesse sin qui esposte: una
tabella riassuntiva dei criteri da adottare per la selezione dei testi, formulati
attraverso alcune domande guida (cfr. APPENDICE 3).
Per la sua strutturazione tengo come punto di riferimento la tabella proposta dallo
stesso Daloiso46. Poiché mi sembra uno strumento valido e rispondente alle mie
esigenze, scelgo di adottarla così com’è, apportandovi solo qualche modifica. La
tabella manca infatti di una sezione che mi possa guidare nella valutazione delle
illustrazioni. Decido quindi di integrarla. La dimensione iconica è di fondamentale
46
Cfr. Ibid., p. 27.
40
importanza per sostenere il processo di comprensione durante il racconto/lettura, in
quanto:
- a livello neuropsicologico, data la centralità dell’esperienza neurosensoriale
nel processo di apprendimento, è più proficuo proporre supporti
extralinguistici che sostengono la comprensione anziché ridurre o
modificare eccessivamente l’input linguistico47;
- il linguaggio iconico è facilmente decodificabile dai bambini: si configura
quindi come un supporto fondamentale per l’individuazione dei personaggi
e delle sequenze narrative48;
- le illustrazioni, se originali ed espressive, “offrono al bambino l’opportunità
di riconoscere tutte le sfumature del proprio mondo emotivo” attraverso
l’identificazione e l’empatia, aiutandolo così “ad acquisire quella
consapevolezza necessaria alla costruzione della propria identità”49.
47
Cfr. Daloiso, M. (2009) La lingua nella scuola dell’infanzia, op. cit., p. 62.
48
Cfr. Daloiso, M (2009) L’italiano con le fiabe. Costruire percorsi didattici per bambini
stranieri, op. cit., p. 34.
49
Blezza Picherle, S. (2016) Letteratura per l’infanzia. Ambiti, caratteristiche, autori, op.
cit., p. 141.
41
Saranno, questi momenti, specifico oggetto di osservazione, raccolta dati e
riflessione.
Elicitazione delle conoscenze pregresse
Verrà realizzata attraverso il ricorso ad attività ludiche, TPR, osservazione di
immagini ecc.
Lettura della fiaba
Per rendere più efficace e coinvolgente la lettura, saranno seguite le seguenti
strategie:
- preparazione dell’ambiente di apprendimento: formeremo l’angolo del
racconto disponendo le sedie in cerchio al centro della stanza. Il cerchio
consente di mantenere in ogni momento il contatto visivo con gli allievi.
Non solo: Daloiso spiega che
50
Daloiso, M. (2009) L’italiano con le fiabe. Costruire percorsi didattici per bambini
stranieri, op. cit., p. 33.
42
di alcuni momenti precisi del racconto (come riprodurre suoni o far mimare
le espressioni o le azioni dei personaggi) ecc.
Attività di comprensione e produzione guidata sulle sequenze narrative
Si tratta di attività che guidano i bambini nella comprensione prima globale poi più
analitica del testo, portandoli a focalizzare l’attenzione sulle forme linguistiche di
interesse e accompagnandoli nel loro reimpiego (abbinamento sequenza narrativa-
immagine, risposta a domande referenziali generali, riordino, riproduzione e
racconto della fiaba a partire da immagini ecc.)
Attività espressive e manipolative
Le attività espressive51 e manipolative52 che verranno proposte avranno lo scopo di
consentire ai bambini di integrare quanto appreso con le loro preconoscenze e
abilità, coadiuvando così la rielaborazione dei concetti e la loro appropriazione
affettiva.
In secondo luogo, essendo le attività di questo tipo individuali ma finalizzate ad
essere unite e integrate al lavoro dei compagni per costruire qualcosa di collettivo,
perseguono il fondamentale obiettivo formativo di imparare a collaborare per
raggiungere uno scopo comune.
Non va dimenticato, infine, l’uso autentico della lingua collegato all’aspetto del fare
e del costruire, che verrà incoraggiato dall’insegnante attraverso strategie di
sollecitazione linguistica53.
51
Per attività espressive si intendono tutte le attività (come colorare, comporre un disegno,
copiare immagini) finalizzate a stimolare le capacità espressive degli allievi, in particolare attraverso
l’arte figurativa e il linguaggio iconico. Daloiso ricorda che: 1) possiedono una forte valenza
esperienziale in quanto attivano la percezione (in questo caso visiva, soprattutto nelle attività di
copiatura) e l’azione; 2) contribuiscono all’educazione generale dell’allievo in quanto consentono
di sviluppare: la coordinazione oculo-manuale; le competenze semiotiche; la concettualizzazione di
colori e la loro corretta associazione con gli oggetti; la capacità di riconoscere e rispettare la
delimitazione dell’area di disegno. [Cfr. Daloiso, M. (2009) La lingua straniera nella scuola
dell’infanzia, op. cit., p. 172]
52
Con questa espressione ci si riferisce ad attività creative quali la modificazione o la
costruzione di materiali attraverso azioni pratiche (tagliare, incollare, modellare, strappare). I
materiali messi a disposizione dei bambini sono flessibili, cioè facilmente modellabili, come la
plastica, la stoffa, la gomma, la cartapesta ecc. Hanno una forte connotazione esperienziale in quanto
soddisfano i bisogni neuro-sensoriali del bambino promuovendo l’interazione, la percezione e
l’azione durante lo svolgimento dell’attività. (Cfr. Ibid., p. 173)
53
“Specialmente nella gestione di tecniche espressive e manipolative, le quali coinvolgono i
bambini in attività spesso individuali (disegnare, colorare, ritagliare, incollare ecc.) e che richiedono
un uso ridotto della lingua, la LS rischia di assumere un ruolo marginale” (Ibid., p. 181) Una buona
43
Drammatizzazione:
La drammatizzazione permette di usare:
- la lingua verbale;
- la gestualità;
- l’espressività del volto;
- l’intonazione della voce;
per sottolineare i vari aspetti del carattere dei personaggi, i loro sentimenti e le loro
emozioni. Rientra nelle tecniche psicomotorie in quanto:
- “si fonda su una concezione della persona intesa come intreccio
indissolubile di corporeità, intelligenza e affettività”54;
- “utilizza il movimento e la rappresentazione come strumenti per lo sviluppo
congiunto di abilità motorie, cognitive e affettive”55.
Come tale possiede un forte valore esperienziale.
Nell’ambito della RA, le rappresentazioni non saranno oggetto di analisi per la
valutazione della produzione linguistica degli studenti. Il focus dell’osservazione e
della raccolta dati sarà l’espressione dei caratteri, dei sentimenti e delle emozioni
da parte dei bambini. Attraverso l’ascolto della fiaba, infatti, i bambini cominciano
ad entrare in contatto con una gamma di emozioni diverse, a riconoscerle nei
personaggi, a dare loro un nome; poi, per mezzo della rappresentazione, le
sperimentano su di sé attraverso il processo di identificazione. Le drammatizzazioni
verranno riprese con l’aiuto dell’osservatrice esterna.
strategia per far usare la lingua ai bambini è quella del decision-making: “questa consiste nel non
distribuire ai bambini tutto il materiale necessario all’attività, bensì fare in modo che ciascun
bambino sia posto in condizione di dover chiedere il materiale di cui ha bisogno”. (Ibid., p. 181).
54
Ibid., p. 173.
55
Ibid.
44
4.3 I tre porcellini
4.3.1 La scelta del testo
Come prima fiaba scelgo I tre porcellini. Nell’unità didattica appena conclusa
abbiamo introdotto il tema della casa parlando degli animali, delle loro tane e
dell’habitat in cui vivono. Vorrei ora approfondire e ampliare l’argomento: I tre
porcellini mi dà la possibilità di farlo, permettendomi di trattare: il lessico afferente
alle diverse tipologie di abitazione e ai materiali di costruzione; le routine
linguistiche inerenti all’ingresso in casa; il significato simbolico e affettivo della
casa.
Facendo riferimento allo strumento operativo costruito per la selezione dei testi,
appunto sul mio diario che il tema è familiare ai bambini e psicologicamente
rilevante. Attraverso una piccola indagine scopro che solo S. conosce la storia; mi
chiedo se questo contribuirà ad aumentare o a diminuire la sua motivazione. Gli
eventi sono disposti in ordine cronologico e sono assenti trame secondarie. Tuttavia
la fiaba è lunga e temo che la parte centrale del testo (in cui il lupo cerca di attirare
il terzo porcellino fuori casa facendo appello alla sua golosità) possa risultare di
difficile comprensione. Decido quindi di ometterla, saltando dal tentativo del lupo
di buttare giù la casa di mattoni soffiandoci contro a quello di irrompere
nell’abitazione calandosi dal camino. Entrambi gli aspetti della forza bruta e
dell’astuzia vengono così salvaguardati, ma la trama risulta più immediata e snella.
Il carattere dei personaggi è semplice e rende possibile l’identificazione: i tre
porcellini simboleggiano tanto i diversi stadi di sviluppo dell’uomo nella storia,
quanto il processo di crescita del bambino, durante il quale egli apprende la
convenienza nell’adesione al “principio di realtà” piuttosto che al “principio di
piacere”56. La fiaba, per sua natura, non contiene una morale esplicita ma lascia la
libertà al lettore di cogliervi i significati nascosti a seconda del proprio “stadio di
sviluppo personale”57.
56
Bettelheim, B. (2012) [1977] Il mondo incantato. Uso, importanza e significati
psicoanalitici delle fiabe, Milano, Feltrinelli, p. 44.
57
Ibid., p. 45.
45
Per presentare la fiaba ai bambini opto per l’edizione di Richard Scarry58. Oltre che
per una motivazione affettiva (mi piaceva moltissimo quand’ero bambina), scelgo
Scarry per l’aspetto grafico del libro: le illustrazioni sono curate e ricche di dettagli,
ma semplici (quindi immediatamente comprensibili) e non dispersive. Inoltre, sono
di tipo descrittivo e si alternano al testo con regolarità; in questo modo ogni
sequenza narrativa trova il suo corrispettivo grafico in un’immagine. Risultano
quindi di facile reimpiego per le attività di riflessione e riordino della successione
logico-temporale del racconto. Il testo è però troppo complesso per il livello
linguistico dei discenti. Sono costretta a riscriverlo, semplificandolo. Per la
semplificazione faccio ricorso a un lessico concreto e a una struttura morfosintattica
lineare. Mantengo le parti dialogiche e tutti gli elementi di ridondanza linguistica
(il dialogo tra il lupo e i porcellini si ripete identico per tre volte).
L’unità didattica sarà così strutturata:
- elicitazione delle conoscenze pregresse: gioco de Il lupo mangia frutta
(routine linguistiche per entrare in casa); scheda: Dove abiti? (diverse
tipologie di casa);
- lettura della fiaba;
- attività di riordino delle sequenze narrative e cartellone;
- racconto della storia a partire da immagini;
- attività manipolative in vista della drammatizzazione: costruzione di
maschere su cartoncino; costruzione delle tre casette dei porcellini con
cartone, paglia, legnetti raccolti in cortile, mattoncini di polistirolo;
- drammatizzazione (videoregistrata dall’osservatrice esterna).
58
Scarry, R. (2007) Le più belle fiabe, Milano, Mondadori.
46
Dal mio diario di quel giorno:
La lettura non va benissimo; i bambini non si fanno coinvolgere dalla storia come speravo.
S., che la conosce già, si distrae, si mangia le unghie e guarda il soffitto. M., invece, ha
molta fretta di ‘correre avanti’. Mi preoccupo che una volta intuita la trama dalla figura,
voglia scappare alla figura successiva senza ascoltare quello che dico. Qual è il problema?
La trama è troppo scarna? Troppo ripetitiva? Le immagini sono troppo essenziali (povere)?
Non sono abbastanza espressive?
59
Blezza Picherle, S. (1996) Leggere nella scuola materna, op. cit., p. 57.
60
“Vi è un primo momento di piacere, che è forse quello più sensuale, il quale nasce dalla
scoperta di luoghi inesplorati e l’attenzione è incentrata soprattutto sulla storia. Esso sgorga
rapidamente ed in maniera molto forte, perché il bambino è attirato dall’intreccio degli avvenimenti
e dal ritmo narrativo del testo. È soprattutto la trama che avvince e, mano a mano che si prosegue
nella lettura, subentra la gioia per l’attesa degli sviluppi futuri” (Ibid.)
47
abbastanza scoraggiata”. In questo senso individuo velocemente una mia
mancanza: prima di iniziare l’esercizio non ho lasciato molto tempo ai bambini per
osservare le immagini e, soprattutto, non ho chiesto loro di verbalizzarle insieme.
Penso invece che sarebbe stato molto utile.
Dopo la lezione scambio due parole con la maestra Elisabetta a proposito di M.
Elisabetta non si dimostra per nulla stupita da quanto le riferisco. Mi dice: “Ha la
stessa fretta di fare anche in classe. Fa le cose in modo precipitoso e non si concede
tempo per riflettere… e infatti fa tantissimi errori! La stessa fretta ce l’ha anche
quando parla: dice le cose così rapidamente che si mangia le parole”.
48
Per quanto riguarda il lupo, S. vi associa autonomamente il tratto della cattiveria
(mai esplicitata nella fiaba attraverso aggettivazione). S: “Un giorno arrivò il lupo
cattivo”. G. ne sottolinea l’ingordigia mimando l’atto del divorare spalancando e
richiudendo le braccia, come fossero una grande bocca. Il gesto viene
accompagnato dal verso “Aaahm!”, emesso con un timbro cavernoso della voce e
dall’esclamazione: “Bocca grande!”. Spiega Bettelheim:
La cattiveria del lupo è qualcosa che il bambino piccolo riconosce nel proprio intimo: il suo
desiderio di divorare e la sua conseguenza: l’angoscia di poter subire anche lui una sorte
del genere. Quindi il lupo è un’esteriorizzazione, una proiezione della cattiveria del
bambino, e la storia dice come essa possa essere affrontata in modo costruttivo 61.
Dato che i tre porcellini rappresentano vari stadi dello sviluppo umano, la scomparsa dei
primi due non è traumatica; il bambino comprende a livello subconscio che dobbiamo
emanciparci da forme più primitive di esistenza se vogliamo passare a forme superiori 63.
61
Bettelheim, B. (2012) [1977] Il mondo incantato. Uso, importanza e significati
psicoanalitici delle fiabe, op. cit., p. 46.
62
Ibid., p. 44.
63
Ibid., p. 47.
49
Per quanto riguarda invece il terzo porcellino, tutti ne colgono la superiorità rispetto
ai fratelli. G. ne identifica il comportamento più maturo e previdente con la forza.
A: “E il terzo porcellino? Cosa fa?”. G: “Forte!”. K rimarca: “Sì, è il più forte di
tutti!”. Cerco di indirizzare i bambini verso una denominazione più adeguata
attraverso un rinforzo positivo: “Certo, il porcellino è stato più saggio, ha usato la
testa! Ha pensato bene a come costruire la sua casa e non ha avuto fretta!”. M.,
quindi, sottolinea la correlazione tra la resistenza della casa di mattoni e il materiale
con cui è stata costruita: “E dopo il lupo si fa toc toc, e dopo si fa suffia. E dopo
porcellino dice: adesso no butta via la casa, è di muro!”.
S: Il lupo voleva che il porcellino faccia entrare e il porcellino dice… [RIFLETTE] ah, sì!
Il porcellino dice: “Posso entrare, porcellino?” e il porcellino dice: “Te lo puoi scordare,
brutto lupo spelacchiato!”.
50
Complessivamente, tuttavia, i bambini procedono giustapponendo le frasi in modo
paratattico. I periodi sono molto brevi, spesso di natura nominale (G. e M.) e seguiti
da silenzi che esprimono attesa dell’intervento dell’insegnante per proseguire la
narrazione.
Avverbio ANCHE
L’avverbio ANCHE viene usato da R. una volta per strutturare un paragone fra il
lupo e Babbo Natale: “Anche Babbo Natale ha il camino che porta i regali”. Anche
G. se ne serve una volta, nell’ambito di una frase nominale, con lo scopo di
aggiungere un nuovo elemento all’interno di un elenco:
M: Questo è altro porcellino. Un giorno brutto lupo e il porcellino c’è dentro casa. Ha detto
“brutto lupo” … e dopo… dopo suffia!
(…)
G: Dopo lui faccio sopra [IL LUPO SI ARRAMPICA SUL TETTO DELLA CASA]. Dopo
cado giù!
A: Sì! Il lupo si cala dal camino!
G: Camino! Dopo giù!! Sccccch! [BATTITO DI MANI]
M: E dopo va giù acqua calda.
POI è usato solo una volta da G.: “Perché no? Poi dice: salute!”.
UN GIORNO: viene usato una volta da M., spontaneamente. Io lo utilizzo tre volte
per introdurre l’arrivo del lupo. In due casi lascio la frase in sospeso: “Un
giorno…”; S. lo riprende: “Un giorno arrivò un lupo spelacchiato”, G. no: “…lupo”.
Nessi logici per esprimere causa e conseguenza: PERCHÉ, ALLORA
PERCHÉ viene usato spontaneamente 1 volta da G. e 1 volta da R. Nella frase di
G. non è ancora utilizzato in maniera del tutto coerente, ma si coglie la volontà di
esprimere un rapporto di causa-effetto tra la resistenza della casa in mattoni, il
51
grande sforzo del lupo nel soffiare sempre più forte e la sua corporatura, percepita
dai bambini come più forte e robusta rispetto a quella dei porcellini:
ALLORA: uso la congiunzione molte volte per sottolineare il legame fra gli eventi,
ma i bambini ancora non la riprendono e non la usano spontaneamente. M. la
converte in DOPO:
A: Allora il porcellino…
M: Dopo fatto festa.
Altre osservazioni:
G. si sente più sicuro nel riportare le parti dialogiche, da cui sembra essere molto
coinvolto. Proprio nel riferire queste ultime, prende maggiore iniziativa e il tempo
del racconto si allunga:
G: “Posso di intrare? Toc toc!” “Chi è?” “Io sono il lupo! Posso intrare?” “Noooo!”.
4.3.6 Drammatizzazione
Venerdì 4 marzo 2016 (con osservatrice esterna).
Mercoledì 2 marzo abbiamo cominciato con le prove per la drammatizzazione della
fiaba. In quell’occasione, i bambini hanno memorizzato i dialoghi tra i personaggi.
Oggi in classe con noi c’è la dott.ssa Giulia Dalle Pezze in veste di osservatrice.
Approfittiamo della sua presenza per ripetere la rappresentazione de I tre porcellini
con le maschere e le casette costruite insieme. Io, in veste di narratore, leggo la
storia; i bambini mimano i fatti narrati e, al momento opportuno, recitano le
sequenze dialogiche concordate. Durante la rappresentazione i bambini saranno
liberi di improvvisare e modificare le battute a seconda di ciò che ricordano.
52
Chiediamo a Giulia di fare un filmato da riguardare poi insieme. L’idea entusiasma
molto i bambini, che, alla fine della rappresentazione, insistono per rivedere il
filmato subito, dal piccolo schermo della telecamera.
Al termine della lezione io e Giulia riguardiamo il filmato, ciascuna per conto
proprio. Poiché tutti indossano la maschera, incentriamo l’analisi sull’espressività
del corpo e della voce. Successivamente mettiamo a confronto le nostre
osservazioni.
Giulia: Dalla drammatizzazione emerge il percorso che avete fatto e che io non ho visto. Si
percepisce molto bene che i bambini hanno compreso e interiorizzato la storia: conoscono
la successione degli eventi e talvolta anticipano le battute rispetto all’input fornito dal
narratore.
Sono d’accordo. L’interiorizzazione della storia, come dice Giulia, è evidente anche
dal modo in cui i bambini ‘entrano’ nel personaggio.
Alla prima visione, G. e R. appaiono immediatamente come i più coinvolti. G.
riveste un ruolo molto importante: quello del lupo. La sua interpretazione è coerente
col carattere del personaggio: cammina con passi pesanti, tenendo le braccia
sollevate in avanti con fare minaccioso. Anche il timbro della voce è incupito e
ingrossato. Ogni gesto viene molto enfatizzato. Quando deve soffiare sulle casette
per raderle al suolo, solleva addirittura la maschera. Quando soffia sulla casetta di
mattoni, inscena egregiamente la fatica e la frustrazione del lupo: si piega in avanti,
soffia con energia sempre maggiore, mima un gran fiatone. Quanto cade nella
pentola di acqua bollente, grida e si dimena come un forsennato. Giulia mi fa notare
che, nonostante lo svantaggio linguistico rispetto agli altri, G. è l’attore che si
mostra più sicuro: più volte anticipa il narratore con la battuta.
Anche R. appare molto coinvolto nell’attività. Il suo personaggio è il primo
porcellino, costruttore della casetta di paglia. La mimica delle azioni denota la
corretta comprensione di quanto indicato dal narratore. Il porcellino, dall’interno
della sua casetta, si mostra molto sicuro di sé e caccia il lupo con voce dura e
sprezzante: “Vai via, brutto lupo spelacchiato!”. Una volta che la casetta è
(idealmente) andata in pezzi, scappa per tutta la classe finché il lupo non se lo
mangia. Quello che R. non sembra avere colto sono la spensieratezza e la fretta con
53
cui il porcellino costruisce la sua casa. Al contrario, nella sua personale
interpretazione, il porcellino si muove con movimenti ampi e lenti, ma precisi.
Sembra anche molto concentrato. Giulia mette in risalto il comportamento di R.
durante il ‘fuori-scena’:
R. tende a voler partecipare anche quando non è il suo turno, sia verbalmente (suggerisce
ai compagni le battute o interviene con commenti personali), sia fisicamente (si butta nel
pentolone insieme al lupo). Da un lato, questo atteggiamento è positivo: indica un forte
coinvolgimento da parte di R. nella rappresentazione. Dall’altro evidenzia la fatica del
bambino a rispettare i turni e le regole.
M., rispetto ai compagni, appare intimidita. Nella sua interpretazione (il secondo
porcellino, costruttore della casetta di legno), la gestualità è sbrigativa e appena
accennata. Quando il lupo soffia sulla sua casa, rimane impassibile e inespressiva.
Anche nella recitazione delle battute appare più insicura del solito. Giulia si chiede:
“Non riesce a formulare la frase? Non le vengono le parole?”. Io, forte del risultato
positivo nell’ambito delle attività precedenti, ipotizzo che influiscano su di lei la
presenza della telecamera e dell’osservatrice esterna. D’altronde M. ha bisogno di
tempo per prendere confidenza con una situazione nuova. I primi giorni di
laboratorio, ad esempio, piangeva e non voleva allontanarsi dalla classe.
Di S. Giulia scrive:
Ad una prima impressione, S. appare insicuro e impacciato: mima le azioni per pochi
secondi, poi si ferma e si mette in atteggiamento di attesa, senza fare nulla. Riguardando il
filmato, però, emergono l’enfasi e l’espressività che mette nella voce. Man mano che
prosegue la rappresentazione, si scioglie un po’ e cura maggiormente la gestualità.
A tale proposito, appunto tra le mie osservazioni il gesto del dito picchiettato sulla
tempia per esprimere il pensiero che si mette in moto: mentre il lupo si arrampica
sul tetto, infatti, il porcellino escogita la sua trappola (A: “ma il porcellino è più
furbo del lupo, e quando se ne accorge mette a bollire una grande pentola d’acqua”).
È molto apprezzabile il fatto che il gesto sia una sua iniziativa: dimostra che il
bambino ha compreso e saputo esprimere l’intelligenza dell’animale. Quello che S.
non coglie, appuntiamo entrambe, sono la fatica e la conseguente lentezza con cui
il porcellino costruisce la sua casa. A: “Il terzo porcellino si mette al lavoro e piano
piano… PIANO PIANO!!, con pazienza e FATICA, costruisce la sua casetta di
54
mattoni”. I suoi gesti, al contrario, esprimono un’estrema fretta. Questo un pochino
mi stupisce, perché durante l’attività manipolativa di costruzione della scenografia,
S. aveva lamentato la fatica di incollare, uno per uno, tutti i mattoncini di polistirolo
al muro della casa: “Uff! Che fatica maestra! Sono più indietro di tutti!”. In
quell’occasione avevo colto la palla al balzo per rimarcare come, per costruire una
casa solida e sicura, ci volessero impegno, tempo e pazienza.
55
4.4 Micetta e i tre orsi
4.4.1 La scelta del testo
La fiaba che scelgo per la seconda UD si intitola Micetta e i tre orsi: rivisitazione
da parte di Richard Scarry della fiaba popolare Boccoli d’Oro e i tre orsi. La vicenda
di Micetta mi consente di proseguire con la trattazione del tema della casa e,
spostandomi questa volta al suo interno, di approfondire:
- il lessico relativo agli ambienti di un’abitazione e del suo arredamento;
- le azioni che in essi si svolgono;
- la descrizione di un ambiente e le espressioni di luogo;
- il significato affettivo e simbolico della casa;
- (indirettamente) il tema della famiglia e del ruolo che ciascun membro
ricopre al suo interno in relazione alla ricerca d’identità propria di ogni
individuo64.
Un altro fattore non secondario che mi indirizza alla scelta di questa fiaba è la sua
particolare struttura narrativa. Questa, infatti, può essere suddivisa in una serie di
sotto-sequenze tra loro similari e tutte fondate su una struttura modulare ‘ternaria’.
Prima di entrare indebitamente nella casa degli orsi, Micetta compie tre azioni:
guarda dalla finestra, spia dal buco della serratura, entra senza chiedere permesso.
Una volta entrata, Micetta si sposta in tre stanze, in ciascuna delle quali esamina
una serie di tre oggetti, secondo uno schema fisso: prima quello più grande, poi
quello medio, infine quello più piccolo. Penso che una simile strutturazione possa
permettermi di lavorare agilmente sulle sequenze temporali, abituando i bambini
all’utilizzo di tre semplici avverbi: prima, poi, infine.
Anche in questo caso, il testo è troppo complesso per il livello linguistico degli
alunni. Procedo quindi con la sua riscrittura, seguendo i criteri indicati dallo
strumento operativo (cfr. APPENDICE 3): lessico concreto, struttura
morfosintattica lineare, mantenimento delle parti dialogiche e degli elementi di
ridondanza linguistica.
64
“In Boccoli d’Oro il contrasto è fra la famiglia ben integrata, rappresentata dagli orsi, e
l’estraneo in cerca di se stesso. I felici ma ingenui orsi non hanno problemi di identità: ciascuno sa
esattamente qual è il suo posto in rapporto agli altri membri della famiglia […]. Boccoli d’Oro cerca
di scoprire la propria personalità, il ruolo che le si addice” (Ibid., p. 210).
56
Questa volta, nessuno dei bambini conosce la storia.
Similmente alla precedente, la presente UD sarà così strutturata:
- elicitazione delle conoscenze pregresse: osservazione del dizionario a
immagini65; gioco de Il telefono senza fili (lessico della casa);
- lettura della fiaba;
- attività di individuazione delle macro-sequenze narrative e cartellone coi
disegni dei bambini;
- attività di riordino delle micro-sequenze narrative e loro resoconto a partire
dalle immagini precedentemente sistemate;
- attività manipolative in vista della drammatizzazione: costruzione delle
stanze della casa (cucina, salotto, camera da letto, bagno) all’interno di
scatole da scarpe e realizzazione delle marionette (sagoma del personaggio
disegnata su del cartoncino e fissata a una cannuccia colorata). Per la
costruzione delle stanze usiamo carta, cartoncino, disegni di mobili e altri
oggetti da ritagliare e colorare, stoffa, cotone, spago, adesivi colorati;
- drammatizzazione (videoregistrata dall’osservatrice esterna).
Durante la lettura della fiaba i bambini sono attenti e coinvolti. R. e S., in particolare, sono
molto partecipi; dimostrano il loro coinvolgimento con esclamazioni e commenti. Entrambi
compiono inferenze corrette. G., invece, segue attento ma non proferisce verbo.
Dalla trascrizione e dal riascolto dei commenti dei bambini emerge che:
- tutti rispondono correttamente alle domande poste per sollecitare inferenze
sull’appartenenza degli oggetti della casa ‘testati’ da Micetta (scodelle,
65
Amery, H. & Cartwright, S. (2008) First thousand words in Italian, S.l., Usborne.
57
poltrone e letti). Per i bambini è addirittura ovvio compiere le equazioni
grande-papà, medio-mamma, piccolo-figlioletto.
- Tutti i bambini manifestano sin dal principio una certa antipatia per Micetta:
la vedono come un’intrusa che viola uno spazio altrui ed è quindi meritevole
di una punizione. Quando racconto che Micetta assaggia la minestra di papà
orso, S. esclama: “Ah! Cattiva!”. Quando si scotta la lingua, poi, R. rincara:
“E ti sta bene!”.
58
dal personaggio nell’ambiente: Micetta sulla grande poltrona di papà orso; Micetta
sulla poltrona media di mamma orsa; Micetta sulla seggiolina a dondolo di orsetto;
Micetta a terra circondata da quel che rimane della sedia, andata in mille pezzi.
Tengo a sottolineare che G. ha agito in totale autonomia. (Per vedere il disegno, cfr.
APPENDICE 4)
Una volta completati i disegni, i bambini li dispongono in sequenza sul cartellone.
In questo hanno bisogno di qualche piccolo aiuto da parte mia. Appendiamo infine
il cartellone alla parete.
59
Sequenza 1: il riordino della prima sequenza risulta problematico per tutti, tranne che per
R., che mette in ordine le immagini in un baleno e in modo corretto. M. e G., invece, non
riescono a svolgere l’esercizio da soli. Li invito ad aiutarsi guardando il cartellone.
Nonostante l’aiuto, M. ancora sbaglia (cucina-camera da letto-salotto). Anche G. continua
ad essere parecchio in difficoltà. Lo aiuto quindi guidandolo con delle domande. S. non si
muove. Mi riferisce a voce la sequenza in modo corretto ma ha bisogno di me per associare
quanto ha appena detto alle immagini che ha davanti.
La seconda sequenza risulta molto più immediata: a tutti viene naturale disporre le
scodelle dalla più grande alla più piccola (tranne M. che mette la più piccola in
mezzo). Non è però altrettanto scontata l’attribuzione a ciascuna scodella delle
qualità di caldo-freddo-tiepido. Le associazioni proposte dai bambini, infatti, non
tengono conto di quelle presenti nella fiaba (grande-troppo calda; media-troppo
fredda; piccola-tiepida), ma vengono strutturate secondo una logica di ‘gradualità’:
grande-troppo calda; media-tiepida; piccola-troppo fredda.
Per quanto riguarda la terza sequenza, M. non sa come collocare la seggiolina a
dondolo: ai suoi occhi, se la poltrona di papà orso è grande, quella della mamma è
“piccolissima”, mentre quella di piccolo orso esula dalla categorizzazione basata
sul criterio delle misure di grandezza. Questa infatti viene identificata per la sua
funzione:
60
sottesa agli eventi riportati e di aver interiorizzato la loro successione temporale
(cfr. APPENDICE 5).
4.4.5 Drammatizzazione
Lunedì 14 marzo 2016 (con osservatrice esterna).
La drammatizzazione avviene in modo analogo a quella de I tre porcellini. Le
possibilità espressive sono però un po’ limitate dall’uso delle marionette che, in
questo caso, non sono che sagome fissate a una cannuccia. Sarà quindi molto
importante osservare, in fase di analisi dei dati, come i bambini si servono della
voce per supplire all’impossibilità di utilizzare la mimica facciale e la gestualità del
corpo. La rappresentazione viene videoregistrata da Giulia. Oggi M. è assente.
S. veste i panni della protagonista: Micetta. La sua marionetta è la prima a entrare
in scena. S. subito la posiziona dietro il tavolo della cucina perché risulti più visibile
alla telecamera e la muove sulla scena “in modo perfettamente corrispondente alla
situazione”66: la sporge sul tavolo nel momento in cui assaggia le zuppe; la sposta
da una scodella all’altra; la agita un po’ quando si scotta la lingua; la sdraia sui letti,
ecc. L’espressività veicolata dalla modulazione della voce è molto ricca: parla in
falsetto per avvicinare il suo timbro di voce a quello di Micetta e arricchisce le
battute con suoni e onomatopee (“Gnam gnam!”, quando Micetta mangia;
“Mmmmmh!”, quando apprezza la zuppa della giusta temperatura; “Patatrac”,
quando la seggiolina si rompe; “Yawn!”, quando sbadiglia per il sonno). Anche
l’intonazione della voce veicola le emozioni e i sentimenti dei personaggi: ciò è
indice di comprensione e immedesimazione.
Mentre S. recita la sua parte, G. e R. seguono con molta attenzione e intervengono
per correggerlo quando si confonde o per dare qualche suggerimento quando non
gli vengono le parole. Giulia mi fa notare che in tale frangente S. dimostra molta
autonomia di pensiero e di sicurezza in se stesso: non si lascia influenzare dalle
dritte dei compagni; si prende il suo tempo per pensare e, da solo, arriva a una
soluzione.
66
Le parole sono di Giulia.
61
In assenza di M., G. interpreta due personaggi: papà orso e piccolo orso. Anche lui,
come S., modifica il timbro della voce a seconda del personaggio e recita le battute
con molta enfasi. Lo stesso si può dire di R.
Giulia conclude la sua relazione con un’osservazione generale:
I bambini intervengono dal fuori-scena sempre in modo positivo: le loro osservazioni non
sono di disturbo ma sempre pertinenti e finalizzate alla buona riuscita della
rappresentazione. Lo spettacolino ha incentivato la collaborazione e lo spirito di gruppo.
Io concludo con un appunto su quanto mi sembra che i bambini abbiano colto della
morale implicita della fiaba. Quando leggo la conclusione (“E state sicuri che
Micetta non è più entrata in casa di qualcuno senza chiedere permesso”), i bambini
sovrappongono alla mia la loro voce, recitando la frase in coro e con veemenza.
Inoltre, quando Micetta-S. scappa spaventata dai rimproveri degli orsi, R. e G. la
rincorrono per tutta la stanza, insistentemente, continuando a ripetere parole di
biasimo. Mi pare che quello che più è rimasto impresso ai bambini sia la necessità
del rispetto delle regole e di un’adeguata punizione per chi le trasgredisce. Il
processo di identificazione, dunque, è avvenuto nei confronti dei tre orsi, non di
Micetta. Trovo spiegazione e conferma di ciò andando a rileggere Bettelheim:
Boccoli d’Oro (nella fiaba tradizionale) rappresenta il pre-adolescente alla ricerca
della propria identità a partire dall’ambito familiare. È troppo presto, quindi, per
un’identificazione da parte dei bambini con un simile personaggio. Per questo
motivo, la fiaba diviene ai loro occhi una “storia ammonitrice […] che protegge i
diritti di proprietà e psicologici di chi si trova in casa propria”67.
67
Bettelheim, B. (2012) [1977] Il mondo incantato. Uso, importanza e significati
psicoanalitici delle fiabe, op. cit., p. 215.
62
4.5 La festa di Filippo
4.5.1 La scelta del testo
La lettura che scelgo per la terza UD si intitola: La festa di Filippo68. Si tratta di un
vecchio libro illustrato69 che riposava dimenticato tra gli scaffali della mia libreria
da non so quanti anni e che ricordo come una delle mie prime letture. A differenza
delle fiabe presentate nelle unità precedenti, riprese e in parte rivisitate da una
tradizione secolare, La festa di Filippo è una breve storia scritta e illustrata
appositamente per un pubblico di piccoli lettori. Il tema è quello di una festa a
sorpresa organizzata da alcuni animaletti di campagna per il topolino Filippo, loro
amico, in occasione del suo compleanno.
Le principali motivazioni che hanno orientato la mia scelta si possono così
riassumere:
1) la struttura della trama mi dà la possibilità di lavorare con i bambini sui nessi
logici che esprimono conseguenza (ALLORA/QUINDI) – e che ancora non
fanno parte del bagaglio lessicale degli alunni – e sulle congiunzioni
avversative (MA). La vicenda, infatti, può essere così riassunta: Filippo
chiede a un amico di giocare con lui, MA l’amico rifiuta l’invito perché si
dice impegnato in altre faccende. ALLORA Filippo chiede a un secondo
amico, MA anche questo declina l’invito fingendosi altrettanto indaffarato.
Lo schema si ripete uguale per tre volte consecutive, fino a che il topolino,
ormai triste e sconsolato, riceve un misterioso invito che lo attira nel luogo
in cui gli amici hanno organizzato per lui una festa a sorpresa;
2) la storia mette in scena sentimenti molto comuni nella vita affettiva e
relazionale dei bambini: la gioia e la trepidazione per il proprio compleanno,
le aspettative di condivisione e di gioco con chi si ama per celebrare un
giorno speciale, il dispiacere di sentirsi rifiutati dagli amici o comunque di
essere messi in secondo piano rispetto ai loro impegni, la tristezza e la
68
Camm, S. (1987), La festa di Filippo, Milano, AMZ editrice.
69
“Il testo scritto è preesistente alle immagini, nel senso che è già completo in sé e non ha
bisogno della parte iconica per essere compreso”. “In esso le figure (a volte anche numerose),
sebbene subordinate alla parte verbale, apportano un importante contributo al racconto” [Blezza
Picherle, S. (2016), Letteratura per l’infanzia. Ambiti, caratteristiche, autori, op. cit., p. 118].
63
solitudine, la gioia inaspettata di ricevere una bella sorpresa e del sentirsi
amati. Il riconoscimento, l’indagine e l’espressione verbale dei sentimenti
sopra descritti si configurano come obiettivo pertinente alle finalità del
laboratorio in termini di educazione emotiva e affettiva dei bambini.
64
Una forte immedesimazione a livello Tanti auguri a te, tanti auguri a te, tanti
emotivo con il protagonista, di cui il auguri, caro Pippo! Tanti auguri a te! [R.
bambino sembra aver individuato e inventa un soprannome per il topolino:
compreso i sentimenti, quindi le Pippo, abbreviazione di Filippo. Interpreto
aspettative. questo personale ‘battesimo’ come indice
di appropriazione emotiva del
personaggio.]
65
R: Eh, no, perché i topi non possono
andare in acqua.
66
Le risorse a cui S. fa appello sono più difficili da identificare, in quanto, nei suoi
ragionamenti, rimangono implicite: non c’è, nelle sue parole, riferimento alle
immagini o alle affermazioni dei compagni, né a determinati passaggi testuali. Mi
pare molto significativo, però, che il bambino accompagni le sue deduzioni con
affermazioni di natura meta-cognitiva: “Ora ho capito!! Filippo!”; “Aaah! Ora ho
capito tutto!!”; “Ora lo so cosa si fa: si fa una surfresa!”. I verbi ‘capire’ e ‘sapere’
afferiscono infatti alla sfera della cognizione e del pensiero.
Fermo restando che, all’età di cinque-sei anni, le competenze narrative di un
bambino dovrebbero ormai includere la capacità “di comprendere non solo le
intenzioni e i desideri dei personaggi, ma anche pensieri, opinioni e credenze70”, la
conclusione a cui approdo, seppure in modo ancora non definitivo, è che la
discrepanza creatasi tra i due alunni nell’attivazione dei meccanismi di
anticipazione non è dovuta a scogli di natura linguistica, bensì ad un differente
affinamento di abilità più strettamente cognitive.
70
Daloiso, M. (2009) La lingua straniera nella scuola dell’infanzia, op. cit., p.76.
71
Le immagini ripropongono una selezione tra le illustrazioni del testo. Le ho scannerizzate
e ristampate in un formato più piccolo, in bianco e nero.
67
in caso di bisogno, io sono lì. Ci metto un po’ a convincerlo, ma alla fine riesco nel
mio intento e anche R. comincia a lavorare.
Faccio un rapido giro fra i banchi e vedo che G. si è bloccato: sta osservando con
attenzione le figurine, ma alcune di esse sono ancora girate a faccia in giù sul tavolo.
Mi avvicino, lo invito a girare le immagini rovesciate e rispiego l’esercizio. Lo aiuto
ad individuare la prima figurina con una semplice domanda: “Cosa succede
all’inizio?”. Il bambino risponde sicuro: “Quello!”. “Benissimo, poi?”. Senza
aspettare la risposta, mi allontano lentamente mentre G. continua il lavoro in
autonomia.
Integrando gli appunti del diario di bordo con il riascolto della registrazione audio,
riesco a ricavare dati più dettagliati sullo svolgimento dell’attività in termini di
strategie adottate dai bambini.
Innanzi tutto, mi colpisce il fatto che S. e G. si aiutano pensando ad alta voce; R. al
contrario procede in silenzio:
Per quanto riguarda invece l’organizzazione spaziale della seriazione, risulta che G.
e S. abbiano disposto le figurine da sinistra a destra, R. invece in colonna.
G. e S. R.
1 2 1 4
3 4 2 5
5 6 3 6
68
Riascoltando la registrazione audio, riesco inoltre a risalire alle tempistiche esatte
impiegate dai bambini nello svolgimento dell’attività: G. finisce in 2’ e 16’’; R. in
2’ e 49’’; S. in 4’ e 30’’.
Il risultato finale è per tutti più che positivo: tutti i bambini hanno disposto le
figurine nell’ordine corretto. L’unico errore, commesso da S. e R., è stato quello di
invertire la sequenza dell’incontro col coniglietto Patù con quella dell’incontro con
Toni lo scoiattolo. Non lo reputo un errore grave: le sequenze, effettivamente, si
assomigliano per molti particolari non solo grafici ma anche narrativi. Il loro
scambio, inoltre, non comporta alcuno stravolgimento nell’economia del racconto.
Più grave mi sembra invece il fatto che R., dopo la correzione, abbia incollato le
immagini sul quaderno trascurando completamente l’ordine cronologico appena
individuato. Semplice distrazione?
Sempre in fase di riascolto, annoto un ultimo avvenimento che mi pare
significativo: come riportato più sopra, S. impiega più tempo dei compagni a
portare a termine l’esercizio. Si viene quindi a creare un tempo d’attesa. E proprio
durante questa attesa, G. compie la sua personale rielaborazione del contenuto della
storia:
G: Tutti scherzando?
A: Scherzando? Chi sta scherzando?
G: [INDICA GLI ANIMALI]
A: Sì, in un certo senso stanno scherzando. Non è vero che hanno da fare!
G: Scherzando… perché… scherzando… perché… perché… non lo so.
A: Perché? Perché stanno scherzando gli animali?
G: Perché, perché… aspetta lui tutti…
A: Gli animali aspettano Filippo nella casa abbandonata per fargli una sorpresa!
G: Sorpresa… festa!
A: Sì! Una festa a sorpresa!
69
4.5.4 Produzione guidata e analisi linguistica
Venerdì 1 aprile 2016.
Quest’oggi presenterò ai bambini un’attività avente come obiettivo il rafforzamento
dell’uso dei nessi logici MA e ALLORA. Prima di cominciare, chiedo loro di
ripassare la storia insieme. Una volta a casa, scelgo di sbobinare la loro performance
allo scopo di tenere monitorato il ricorso spontaneo ai connettivi testuali. Purtroppo
M. è ancora assente.
Dall’analisi della trascrizione salta subito all’occhio una certa disparità tra la
produzione di G. e quella dei compagni. G., infatti, formula frasi brevi o brevissime,
per di più:
Queste costituiscono inoltre – nella maggioranza dei casi – risposte alle mie
domande-imbeccata e vengono giustapposte per asindeto:
A: Perché no?
G: Perché… non lo so…
“Mi dispiace Filippo ma devo fare tanti lavori importanti e devo spazzare le foglie e anche
usare le foglie per mettere da… sotto… i piedi…”
70
R. denuncia ancora qualche incertezza nell’organizzazione logica del periodo; sono
ancora molti gli anacoluti, le omissioni del soggetto e le incoerenze logico-
sintattiche. Si veda ad esempio il seguente scambio di battute:
Per quanto riguarda più specificatamente l’utilizzo dei connettivi da parte dei
bambini, questi si limitano a: E; ANCHE; MA; POI/E DOPO; COSÌ; PERCHÉ.
Per l’intera trascrizione si rimanda all’APPENDICE 8; per l’analisi dettagliata dei
connettivi, all’APPENDICE 9.
71
Quando riascolto l’audio per trascrivere la produzione dei bambini, analizzarla e
confrontarla con la precedente, trovo una brutta sorpresa: il file è danneggiato. Metà
della lezione è andata perduta.
72
È ovvio che, una volta in scena, gli attori saranno liberi di improvvisare,
aggiungendo o togliendo dettagli a loro piacimento.
Per quanto riguarda la raccolta dei dati, oltre al solito registratore farò uso della
telecamera per riprendere le prove. I filmati verranno poi analizzati da me e
dall’osservatrice esterna.
Il tempo della lezione va quindi a strutturarsi in due fasi distinte. Nella prima
avviene tutto un lavoro di contrattazione e ‘assestamento’, consistente nella lettura
della parte del narratore, nella definizione delle battute da recitare e delle azioni da
compiere in scena. Nella seconda parte si svolgono invece quelle che potremmo
definire le ‘prove generali’. Riusciamo a farne quattro. Delle prime due, decido di
non fare oggetto d’analisi, in quanto l’osservazione dell’espressività dei piccoli
attori è prematura. I bambini, infatti, devono prendere dimestichezza con le battute
e con i movimenti da compiere sulla scena. Si aggiunge il fatto che i miei interventi
per indirizzarli sono ancora numerosi e interrompono la performance in
continuazione.
Oggetto d’osservazione sono invece la terza e la quarta performance, in quanto i
bambini si muovono sulla scena in modo autonomo.
Alla prima visione dei video, il mio occhio ‘interno’ di insegnante e ideatrice
dell’attività tende a concentrarsi sulle mancanze e le imperfezioni; Giulia, invece,
ha da subito un’impressione globalmente positiva.
Io infatti appunto che:
In generale, la mimica delle marionette risulta meno curata (e quindi meno espressiva)
rispetto all’intonazione della voce: i bambini, infatti, sono ancora troppo concentrati nel
ricordare le battute e convogliano su questo aspetto la maggior parte delle loro energie.
Si crea un po’ di confusione al lancio dei palloncini: momento probabilmente sentito dai
bambini come ludico e liberatorio. Durante le prime due prove è un po’ difficile recuperare
la disciplina e la concentrazione: i bambini dimenticano addirittura che la narrazione non è
finita e trascurano di porgere torta e regali al festeggiato.
73
Ad un’analisi più approfondita, emergono anche le considerazioni riportate in
APPENDICE 11.
Alla luce di queste ultime, posso davvero ritenermi soddisfatta. Per i bambini è stata
un’esperienza positiva e intensa; tutti hanno dimostrato di aver riconosciuto e
partecipato alle emozioni dei personaggi, apportando il proprio contributo alla
rappresentazione ciascuno secondo le proprie possibilità.
S., in particolare, di carattere così riservato e taciturno, ha trovato nell’attività uno
spazio e un tempo in cui poter esprimere se stesso. Il bambino infatti è riuscito ad
improvvisare, sperimentare e, in un certo senso, lavorare sul suo personaggio,
arrivando a rendere una gamma sempre più complessa di sfumature emotive.
Attraverso la gestualità conferita alla marionetta, è stato capace non solo di mimare
delle semplici azioni, ma a restituire efficacemente gli stati d’animo del
personaggio: la felicità, resa con un moto ascensionale della mano e l’apertura delle
braccia di Filippo; la tristezza, con l’incurvatura della schiena e lo sguardo rivolto
verso il basso; la delusione, attraverso lo sdraiare la marionetta sul banco. Il dubbio,
l’incredulità e la sorpresa sono stati espressi invece attraverso il tono della voce e il
ripetuto uso di interiezioni. Si tratta di espedienti che il bambino ha elaborato da
solo e gradualmente, aggiungendo sempre maggiori dettagli fra una prova e l’altra.
Anche i compagni hanno attinto alle proprie risorse, mettendole a frutto in modo
adeguato e arricchente. G., ad esempio – il più penalizzato nell’espressività dalla
scarsa padronanza linguistica – ha saputo, da un lato, valorizzare la battuta
attraverso il tono della voce; dall’altro, ha dimostrato di essere in grado di supplire
alla proprie carenze sfruttando la propria conoscenza enciclopedica del mondo in
modo pertinente ed efficace.
Colei che ha incontrato maggiori difficoltà è stata forse M., la quale ha forse
risentito non solo dell’incerta padronanza linguistica, ma anche dell’assenza
durante le prime lezioni dell’UD. È ipotizzabile infatti che non abbia avuto
abbastanza tempo per prendere confidenza con la storia e con i personaggi. Anche
un uso disinvolto della marionetta non era da dare per scontato. La bambina, infatti,
non aveva mai visto questo tipo di strumento. È naturale quindi che non sapesse
bene come gestirlo. Questo mi suggerisce, per il futuro, che sarebbe utile prevedere
74
un momento nell’UD in cui sperimentare coi bambini le potenzialità della
marionetta o di qualsiasi altro strumento espressivo.
75
Finalmente arriva anche Arianna, maestra di G., R. e S. È molto in ritardo e ha poco
tempo per parlare. Cominciamo con R.: l’insegnante mi riferisce che, a suo parere,
il bambino presenta difficoltà cognitive importanti. Per questo motivo, si è deciso
di prenotare per lui una visita al Palazzo della Sanità per un’eventuale
certificazione. Arianna spera che per l’anno successivo riesca a ottenere il sostegno.
È molto preoccupata, in special modo, per il fatto che R. ancora non riesca a leggere.
Perde molto tempo per riconoscere le singole lettere e non riesce poi a legarle
insieme per comporre la sillaba. Ha molte difficoltà, inoltre, nel comprendere il
significato figurato delle parole. Mi racconta che, all’espressione ‘passo dopo
passo’ inserita da Arianna stessa all’interno di una spiegazione, R. ha chiesto
confuso perché venisse loro richiesto di camminare, e dove. Le espressioni figurate,
tuttavia, sono molto complesse da interpretare e dato il livello linguistico del
bambino è normale che le codifichi letteralmente.
Per quanto riguarda S., la maestra mi aggiorna sul fatto che da qualche tempo il
bambino fa i compiti con l’aiuto di un’amica di famiglia che parla bene l’italiano.
Mi parla poi di lui come di un bambino estremamente insicuro. Durante il lavoro
individuale in classe, si guarda molto in giro e allunga lo sguardo sul quaderno dei
compagni. Ne risulta che Arianna non sa mai quanto del lavoro svolto sia ‘farina
del suo sacco’. Questo ritratto di S. come di bambino estremamente insicuro un po’
mi stupisce. Riferisco quindi, più dettagliatamente possibile, dell’entusiastica
partecipazione alle attività dell’UD appena conclusa. Sottolineo non solo le buone
capacità inferenziali dimostrate da S. durante la lettura del libro, ma soprattutto lo
spirito d’iniziativa e i preziosi contributi apportati dal bambino alla costruzione
della drammatizzazione. Arianna sembra stupita del mio racconto quanto io del suo.
Arriviamo quindi alla conclusione che un percorso teatrale potrebbe essere una
buona occasione per il bambino per acquisire sicurezza in se stesso e trovare quella
tranquillità per esprimersi che forse in classe non trova.
Giunge sgradito il suono della campanella. Il tempo che Arianna può dedicarmi è
finito; non abbiamo fatto in tempo a parlare di G. Prima di lasciarci, come
Elisabetta, mi consiglia di continuare a lavorare sulle sequenze temporali.
76
4.7 Una zuppa di sasso
4.7.1 La scelta del testo
Dopo la riunione con le maestre, decido di cercare un libro – e un argomento – che
mi permetta di lavorare a più riprese sulla sequenzialità di fatti e avvenimenti. La
scelta ricade sull’albo Una zuppa di sasso, scritto e illustrato dall’autrice francese
Anaїs Vaugelade72.
Durante uno dei miei giri di ricognizione per le librerie di Verona, il libro aveva
attirato la mia attenzione per le tonalità calde della copertina. Dal diario di quel
giorno:
Una grande macchia di colore mi chiama dallo scaffale sistemato al centro della stanza. Su
una copertina 28x29,5 cm, il giallo acceso dello sfondo e il rosso caldo, tendente al cotto,
del pavimento piastrellato, si contendono tutto lo spazio. L’accostamento cromatico
esercita su di me l’effetto di un invito irresistibile, quasi avvolgente: mi parla di casa, calore
e focolare acceso. Lo prendo in mano e leggo: “Una zuppa di sasso”. Al centro della
copertina campeggia, enorme, la figura di un lupo nero. Mi dà le spalle, ma il muso si gira
verso di me che lo osservo e l’animale mi punta addosso l’occhio sottile, fissandomi con
sguardo arcigno. È scarno, sotto la pelle si intravedono le costole. Le orecchie sono
appuntite, così come il lungo muso dalla forma conoidale. I gomiti piegati, gli artigli, le
lunghe zampe posteriori, l’occhio aperto in una fessura sottilissima: tutto è spigoloso,
puntuto, e trasmette un inquietante senso di minaccia. Il lupo tiene in mano un grande sacco
bianco-grigiastro che crea un bel contrasto col colore del pelo. Il sacco passa sopra la spalla
destra dell’animale, cadendo poi lungo la schiena piegata in avanti, guadagnandosi nella
spazialità dell’immagine un primissimo piano. Lì dentro c’è il sasso, penso. A questo punto
la curiosità si è fatta irrefrenabile: apro il libro e mi metto a leggere.
72
Vaugelade, A. (2001), Una zuppa di sasso, op.cit.
77
- lettura del libro;
- attività per l’individuazione e la rielaborazione personale delle macro-
sequenze narrative: riproduzione del libro da parte dei bambini;
- attività per l’individuazione e il riordino delle micro-sequenze necessarie
alla realizzazione di una ricetta di cucina: ‘Come si fa una zuppa di
verdure?’; ‘Come si fanno gli spaghetti al pomodoro?’;
- attività per la messa in pratica delle conoscenze: facciamo insieme la
macedonia di frutta;
- verifica finale sull’espressione delle emozioni e la loro contestualizzazione
nel proprio vissuto personale: pesca e racconta; Bandiera delle emozioni.
Saranno oggetto di raccolta dati e analisi le attività di: lettura del libro (22 aprile);
‘Come si fa una zuppa di verdure?’ (29 aprile); ‘Come si fanno gli spaghetti al
pomodoro?’ (2 maggio); verifica finale sulle emozioni (13 maggio).
73
Per maggiori informazioni sull’attività e la biografia dell’attore, si consiglia la
consultazione del sito: http://www.alfonsocuccurullo.com (Ultima consultazione 06/05/2017).
74
Per la visione del video si rimanda al link:
https://www.youtube.com/watch?v=AxYv2ib5Dhk (Ultima consultazione 06/05/2017).
78
emozioni dei personaggi: il bussare alla porta del lupo (reso dal narratore col battere
le nocche contro la rigida copertina del libro), per esempio, non ha lo stesso ritmo
e la stessa intensità di quella del preoccupatissimo porcello. Mi piace l’uso che
Cuccurullo fa delle pause, il giusto spazio e il giusto tempo riservato a ogni parola,
il diverso timbro di voce conferito ai personaggi: basso e cupo quello del lupo; alto
e squillante quello della gallina. Le battute degli animali sono poi accompagnate
dai loro rispettivi versi. Inizio così a provare, leggendo a casa ad alta voce,
registrando la mia performance e riascoltandola poi, fino a quando non mi ritengo
soddisfatta.
Quando la ripropongo ai bambini, mi rendo conto che la loro reazione nei confronti
della storia è molto diversa rispetto a quella avuta all’ascolto de La festa di Filippo.
È parecchio diversa anche da quanto mi aspettavo. Gli ascoltatori rimangono quasi
muti per tutto il tempo della lettura. S., che aveva partecipato in modo così attivo
alla costruzione dei significati de La festa di Filippo, rimane ora in silenzio. Si
limita a ripetere un paio di volte che forse quella storia l’ha già sentita da qualche
parte, fino a quando non ne ha la conferma e rivela ai compagni che di lì a poco
tutti gli animali della fattoria si troveranno radunati nella casa della gallina. R.
sembra non gradire l’anticipazione e zittisce S. in modo brusco: “Puoi stare zitto?”
Nonostante gli scarsissimi interventi, l’attenzione generale mi pare elevata: gli
occhi dei bambini rimangono incollati alle pagine del libro per tutto il tempo.
L’unico ad accompagnare la lettura con assidui commenti è R. Dall’analisi della
trascrizione della registrazione è possibile dividere gli interventi del bambino in tre
categorie: 1) per chiedere spiegazioni circa una parola sconosciuta; 2) per fare
inferenze sullo sviluppo della storia e le motivazioni che spingono i personaggi ad
agire; 3) di partecipazione emotiva (direi quasi empatica) alla lettura. Questi ultimi
sono di gran lunga i più numerosi (per la trascrizione degli interventi si rimanda
all’APPENDICE 13).
In particolare, R. rimane colpito dall’uso che faccio dei suoni e mi chiede da subito
di poter partecipare alla loro resa: “Ce lo fai fare il verso?”. Durante la lettura prende
più volte l’iniziativa in questo senso, ripetendo i suoni fatti da me o inserendoli di
sua inventiva nella narrazione. Quando, per esempio, leggo che l’oca e il cavallo
79
bussano alla casa della gallina, R., vedendo nell’illustrazione la porta aperta, imita
il soffio del vento: “Vvvvvh! Vvvvvh!”
Ritengo particolarmente significativi anche gli interventi di tipo inferenziale.
Sebbene non siano molti, indicano che il bambino ha compreso il principale
meccanismo narrativo della storia: “Quando mette la gallina dentro per cucinare?”.
R. cade – giustamente – nel tranello teso dall’autrice, creandosi una corretta
aspettativa sulle intenzioni del lupo ed entrando in quello stato di tesa
preoccupazione in cui ci si aspetta che il lettore cada. Non ricevo però alcun
feedback sul finale della vicenda: il lupo non ha mangiato nessuno degli animali. I
bambini avranno provato sollievo? Sorpresa? Si sono resi conto del pericolo
scampato? Quando leggo la frase pronunciata dal porcello: “All’inizio pensavo che
avremmo mangiato un brodo di gallina”, inaspettatamente nessuno commenta. R.
esprime però il suo rammarico (quasi disappunto) quando il lupo annuncia di
doversene andare: “E dove va, scusa?” Deduco che l’intervento positivo
dell’animale, l’atmosfera di convivialità, condivisione e amicizia da esso creata,
siano arrivati al cuore del bambino, il quale non prova nessun sollievo per
l’allontanamento di un personaggio creduto universalmente così pericoloso. Il lupo
ha guadagnato non solo la piena fiducia del piccolo lettore abbattendo ogni
pregiudizio, ma anche la sua simpatia e – forse – la sua gratitudine per la calda
atmosfera creata. È stato così anche per gli altri?
80
Attività preliminari
Come prima cosa, propongo ai bambini di ripassare insieme la storia del lupo e la
zuppa di sasso. Mentre la ripetiamo, sfogliando il libro, cerco di portare la loro
attenzione sulle azioni svolte dall’animale per preparare la zuppa: tira il sasso fuori
dal sacco e lo mette dentro una pentola con dell’acqua (“In una pentola mettere un
grande sasso, aggiungere acqua e aspettare che bolla”), aggiunge le verdure portate
dagli animali, mette la pentola sul fuoco, mescola la zuppa e, quando è pronta, la
versa nei piatti con il mestolo.
Nella fase finale dell’attività, i bambini hanno saputo ripetere azioni a partire da un
input linguisticamente complesso, comprendente una certa quantità di lessico
nuovo (per la trascrizione dei comandi forniti, cfr. APPENDICE 14). Riguardando
81
il video insieme a loro, sono felice di constatare che tutti i comandi sono stati
eseguiti correttamente e con una buona dose di divertimento. Solo S. ha avuto delle
titubanze al comando ‘mescolate’. Prima di eseguirlo, ha guardato cosa stessero
facendo i compagni. Complessivamente siamo tutti molto soddisfatti di come è
andata l’attività. Mi sembra che i bambini siano pronti per affrontare senza
difficoltà l’attività di riordino.
Individuazione, riordino e verbalizzazione delle sequenze.
1) Guardiamo le figure e le descriviamo
Consegno ai bambini cinque figurine, disegnate da me (cfr. APPENDICE 15). Su
ognuna è rappresentata un’azione necessaria per la preparazione di una zuppa:
1) tagliare le verdure;
2) mettere le verdure nella pentola;
3) mettere la pentola sul fuoco;
4) mescolare;
5) versare la zuppa nel piatto.
Chiedo loro di mescolare le figure e di metterle davanti a sé sul banco, in modo tale
da vederle bene tutte. Successivamente chiedo a ciascuno di prenderne una,
mostrarla ai compagni e provare a descriverne il contenuto. Mi accerto in questo
modo che tutti i bambini abbiano chiaro il contenuto dell’immagine e riescano a
verbalizzarlo (per la trascrizione di questa fase, cfr. APPENDICE 16).
82
A. Bimbi, secondo voi cosa faccio per prima cosa?
R. Tagliare!
A. Secondo R. taglio le verdure. Secondo voi?
S. Anch’io dico tagliare.
A. Secondo te, M., cosa si fa per prima cosa? Ti ricordi cosa abbiamo fatto poco fa,
quando abbiamo preparato la nostra zuppa?
M. Abbiamo mettato il cappello, poi abbiamo mettato il vestito quando si cucina le
cose…
A. Sì! E poi?
M. E dopo non mi ricordo…
A. Neanche guardando le figure?
M. Non lo so.
A. Ok, chiediamo aiuto ai tuoi compagni. Cosa facciamo per prima cosa?
G., R., e S. Tagliare!
A. Tagliare. Sono d’accordo. Prima di tutto taglio le verdure. Scrivete ‘1’ sulla figurina.
Poi cosa faccio con queste verdure?
Mi chiedo se ho fatto bene a indirizzarli. Mi conforta il fatto che R., il bambino più
insicuro del gruppo, abbia subito individuato la giusta figura. È bastato non farlo
sentire solo, che subito ha agito correttamente. M. invece è rimasta nel suo
disorientamento. I bambini riprendono il lavoro da soli. G. ragiona a voce alta, tra
sé e sé:
83
Dopo aver controllato l’esercizio in plenaria, chiedo ai bambini di incollare le figure
una sotto l’altra, lasciando tra di esse un po’ di spazio. Disegno lo schema da seguire
alla lavagna, perché la consegna sia più chiara. Al momento di incollare, però,
nascono ulteriori problemi. R. ha iniziato il lavoro su una pagina del quaderno
lasciata in bianco qualche lezione prima; se ne accorge solo al momento di girare
pagina: quella successiva è occupata da altri contenuti e non c’è più spazio per
proseguire. M., invece, incolla le figure un po’ a caso, senza preoccuparsi di seguire
l’ordine numerico appena individuato.
L’attività ha generato davvero una gran confusione. La testa mi si riempie di
domande: non sono stata abbastanza chiara nelle consegne? Le figure erano troppe?
Le sequenze che ho presentato ai bambini erano una selezione di quelle eseguite
insieme durante il TPR; forse l’assenza di alcuni dei passaggi mimati poco prima
ha generato confusione? Nonostante lo scoramento, aiuto i bambini a mettere tutto
a posto. Faccio scrivere sopra ogni figura la ‘parola del tempo’ appropriata: prima,
poi, poi, poi, infine. Dopo di che, proseguiamo con la verbalizzazione dell’intera
sequenza.
84
Prima tagliare, mettere alla padella… P… O… I… [LEGGE LE LETTERE] Dopo!
Numero 3: mettere la pentola al fuoco. Poi mescolare. L’ultima mangiare.
Attività preliminari
L’attività di riordino è quindi preceduta da: 1) un’attività di motivazione, che
prevede la visione della sequenza del cartone animato Lilli e il vagabondo della
Disney in cui Lilli e Biagio mangiano gli spaghetti alle polpette in una trattoria
italiana. 2) Un’attività in modalità TPR: ‘Facciamo gli spaghetti al pomodoro’.
Come accennato sopra, ho portato con me alcuni oggetti: una grossa pentola, uno
scolapasta, degli spaghetti, un pacco di sale, una bottiglia di conserva di pomodoro.
Lascio che i bambini li osservino e, nel frattempo, ne pronunciamo i nomi. La
curiosità degli alunni verte sullo scolapasta: “Maestra, a cosa serve questo?” mi
85
chiedono. Successivamente, iniziamo il TPR vero e proprio, seguendo la stessa
modalità adottata la lezione scorsa. Questa volta cerco di fare in modo che i
comandi dati ai bambini siano meno numerosi della volta scorsa e più vicini alle 6
immagini su cui lavoreranno nell’esercizio successivo (per la trascrizione del
comandi cfr. APPENDICE 18). Poiché anche quest’oggi i comandi sono stati svolti
correttamente e senza troppe esitazioni, chiedo ai bambini se vogliono provare a
fare i maestri e dirmi come fare per preparare gli spaghetti. L’idea entusiasma tutti:
saranno loro a darmi i comandi; io li eseguirò. Al mio battito di mani il turno di
parola passa al compagno. Mi rendo conto che l’argomento è nuovo e che il lessico
sconosciuto sarà difficile da ricordare, ma i bambini possono aiutarsi fra loro.
Voglio vedere se, in contesto altro rispetto al riordino di immagini, i bambini
riescono a ricostruire la sequenza appena esperita.
Innanzi tutto, mi sembra molto importante che l’attività non causi l’innalzamento
del filtro affettivo. Il primo a parlare, infatti, è R; i suoi comandi iniziali non solo
sono corretti, ma non sono stati preceduti da frasi di scoramento o sfiducia nei
confronti di se stesso. Lo stesso vale per gli altri bambini: nessuno dice di non
sapere o non saper fare, nonostante ci siano diversi momenti in cui i bambini non
sanno come proseguire. Penso che l’idea di poter collaborare fra loro li tranquillizzi:
eventuali sensazioni negative generate dal non sapere come procedere possono
essere annullate dalla soddisfazione di aiutare i compagni in un momento di
bisogno. Potrebbe essere significativo anche il fatto che l’obiettivo dell’attività non
sia quello di svolgere un esercizio senza commettere errori, ma quello di far
svolgere all’insegnante delle azioni affinché arrivi a mangiarsi i suoi immaginari
spaghetti. Il focus si sposta da sé all’insegnante, facendo dimenticare lo stress da
performance. (Per la trascrizione dei comandi dati dai bambini, cfr. APPENDICE
19).
86
1) versare l’acqua nella pentola e aggiungere il sale;
2) mettere la pentola sul fuoco;
3) buttare la pasta;
4) mescolare con un cucchiaio;
5) scolare la pasta;
6) aggiungere il sugo e impiattare.
87
Verbalizzazione delle sequenze
Il passo successivo è quello di verbalizzare l’intera sequenza. Prima di iniziare,
chiedo ai bambini di scrivere accanto a ciascuna immagine la corretta ‘parola del
tempo’: prima, dopo, oppure infine. Quando tutti hanno finito, li invito a riferire –
uno per volta – quanto vedono sul quaderno.
L’esercizio viene svolto da tutti senza troppe difficoltà. Dalla trascrizione delle loro
performance (cfr. APPENDICE 22) emerge che:
- tutti i bambini usano con facilità gli indicatori prima, dopo e poi. Per quanto
riguarda R. e M., l’indicatore temporale di apertura (prima) viene usato
spontaneamente; G. si aiuta leggendolo sul quaderno. Il bambino, inoltre,
utilizza di sua iniziativa l’avverbio anche. Nessuno, però, conclude con la
parola infine. Devo essere io a invitarli a leggere quanto hanno scritto sul
quaderno;
- per quanto riguarda l’utilizzo dei tempi verbali, sono felice di constatare la
perfetta coerenza di M., che mantiene il presente indicativo di prima persona
singolare dall’inizio alla fine: accendo; metto; mescolo; mangio. R., invece,
inizia col presente indicativo alla prima persona singolare (accendo; metto),
passa poi all’infinito (dopo mettere), per approdare infine alla forma
impersonale del verbo (si mescola; si mette; ecc.). Anche G. mescola tempi
e forme diverse. Penso però che quella di G. sia una difficoltà puramente
linguistica, perché la stessa mescolanza torna anche nella produzione libera.
Ritengo invece che R., come M., sarebbe dovuto essere capace di una
maggiore coerenza. Il problema, forse, non risiede solo nella lingua.
88
hanno permesso loro di prendere coscienza di alcune emozioni e di esprimerle
attraverso l’interpretazione di un personaggio. Questa volta, però, non ci saranno
maschere né copioni. I bambini, rimanendo se stessi, sono chiamati a raccontare
episodi della propria vita, riconoscendo in questi le emozioni incontrate, scoperte e
sperimentate durante il nostro percorso.
Ho preparato per loro dei cartoncini di diversi colori. Su ciascuno ho scritto una
parola designante un’emozione. Ho poi ripiegato i bigliettini in modo tale da
nascondere la parola, per aumentare l’aspettativa e l’effetto sorpresa. I bambini
pescano, a turno, un bigliettino e leggono la parola scritta al suo interno. A questo
punto, ciascuno racconta un episodio della propria vita in cui ha provato l’emozione
indicata.
Per lo svolgimento dell’attività, disponiamo le sedie in cerchio con lo scopo di
favorire l’attenzione e l’ascolto reciproco. L’allontanamento dai banchi e la
riproposizione del setting di lettura mirano a far sentire i bambini a proprio agio,
nonché a ricreare quell’atmosfera rilassata che si viene a instaurare durante la
narrazione. L’attività si svolge quindi in uno spazio ‘amico’ e amichevole.
Mi rendo conto che non si tratta di un esercizio semplice. Per G., in particolare, la
produzione libera è generalmente molto faticosa a causa del basso livello
linguistico. In questo caso, inoltre, non ci sono immagini ad aiutarlo e l’argomento
è estremamente astratto. Questo potrebbe costituire per lui uno scoglio notevole e
inibire la produzione provocando scoramento e frustrazione. Un’altra
preoccupazione concerne l’argomento stesso dell’attività. In genere ai bambini
piace molto raccontarsi, ma la richiesta di rievocare emozioni negative potrebbe far
riaffiorare vissuti dolorosi e provocare una chiusura da parte loro. Penso soprattutto
a M., che per raggiungere l’Italia ha dovuto attraversare il Mediterraneo su un
gommone. Mi motiva però il fatto che, dall’inizio dell’anno, si è andato a creare tra
noi – e soprattutto tra loro – un clima di fiducia e rispetto reciproco. Percepisco
anche il loro crescente affetto nei miei confronti. Durante le attività manuali amano
molto raccontare il loro vissuto quotidiano: all’interno del laboratorio trovano uno
spazio d’ascolto che probabilmente in classe non riescono a ritagliarsi. Decido
quindi di tentare.
89
Le emozioni prese in considerazione sono: la preoccupazione, la tristezza, la
sorpresa, la felicità, la curiosità, lo spavento, la rabbia. Sui bigliettini, queste sono
presentate ai bambini in forma di aggettivo: felice, arrabbiato, ecc. Le domande che
pongo loro per stimolare il racconto sono: “Quando sei felice?” oppure “Racconta
di una volta che ti sei arrabbiato”. In APPENDICE 23 sono riportate le trascrizioni
dei racconti dei bambini.
Dalla loro analisi emerge che la felicità e la rabbia sono due emozioni che gli alunni
sanno individuare, contestualizzare ed esprimere in modo corretto. Gli episodi
riportati, infatti, sono pertinenti e nessuno ha chiesto chiarificazioni circa il
significato dell’aggettivo.
Anche gli episodi riguardanti la preoccupazione sono pertinenti e tutti afferiscono
allo stato di salute proprio o di un genitore. G., in particolare, dà voce a una
preoccupazione profonda, forse la più grave e angosciante paura che un bambino
possa esperire: quella della morte della madre. Non la esprime però chiamandola
col suo nome; per tre volte dice: “Io no piace”.
Per quanto concerne la tristezza, considero gli episodi riferiti pertinenti. È
interessante però il fatto che R. abbia confuso – o forse sarebbe più corretto dire
‘assimilato’ – questa emozione con la precedente. Quando legge sul bigliettino
l’aggettivo ‘triste’, subito chiede stupito: “Ancora??” Nel momento in cui gli faccio
notare che la tristezza e la preoccupazione sono due emozioni diverse, lui risponde:
“Aaaah! Pensavo era triste preoccupato”. L’episodio narrato mi fa poi dedurre che
la differenza sia stata compresa: “[Sono triste] quando qualcuno non mi fa giocare”,
riferisce il bambino. R. mi ha comunque regalato un bello spunto di riflessione:
forse davvero la preoccupazione porta in sé una più o meno celata dose di tristezza.
G., ancora una volta, esprime un’emozione per lui cruciale: la frustrazione di non
sentirsi all’altezza delle aspettative della madre, che, a quanto pare, è estremamente
esigente nei confronti del figlio: “mia mamma voglio io più bravo di tutti però io
non lo so niente.” Come emergerà più tardi, questo genera in lui un miscuglio di
emozioni diverse, tra cui anche la rabbia (vedi sotto). In questo caso, immagino che
G. voglia davvero esprimere il dispiacere, quindi in un certo senso la tristezza, di
90
deludere la madre. Come per la preoccupazione, però, il sentimento viene
verbalizzato con un altro significante: “Io paura quando mia mamma dica
[PAROLA NON CHIARA CHE ASSOMIGLIA FORSE A ‘SGRIDA’] io dopo
piangere. Ueeeeeè!!!!”
Segue l’espressione dello spavento. Mi rendo conto che il termine viene inteso in
modo diverso dai bambini. Mentre G. e S. danno una risposta quasi superficiale e
insieme divertita (G. dice: “Mostro! Io paura! Uuuuuuh!!” [SI ALZA E SI METTE
A CORRERE PER TUTTA LA STANZA CON LE MANI ALZATE]), M.
racconta un episodio che mi lascia letteralmente senza parole. Sebbene infatti il
resoconto sia a tratti confuso, mi sembra di capire che la bambina sta raccontando
di un sequestro avvenuto tra la cerchia degli amici di famiglia quando ancora
abitava in Libia. L’esperienza traumatica (più volte la bambina balbetta) non solo
ha generato spavento nel momento in cui si è verificata:
E dopo da mattina era andato fuori e dopo da notte abbiamo fatto sapere quella cosa qua
che hanno preso li ladri. Dopo la mia cugina, no scusa, la mia zia, dopo abbiamo fatto
sapere e dopo la mia zia mi ha… ha chiamato la mia mamma e dopo sono spaventata.
91
riporta come episodio personale uno degli esempi che le ho appena presentato, G.
coglie l’occasione per soddisfare una curiosità che, probabilmente, si porta dentro
da un po’ di tempo: perché il cugino K. è stato escluso dal laboratorio. Il prendere
le distanze dagli esempi dell’insegnante e il calare il termine in un contesto nuovo,
personale e pertinente, mi danno prova dell’avvenuta comprensione da parte del
bambino.
G: Sorpreso.
A: Ti ricordi cosa vuol dire sorpreso?
G: Sì! Sorpresooo! Topo dice [PAROLA NON CHIARA] io lavorare, dopo via, ancora
lavorare, via, ancora lavorare, via, dopo uccellino andare a casa topo, dopo toc toc, dopo
dice… si chiama Filippo… vai vecchio casa abandunata. Dopo: sorpresa!!!
92
raccontando episodi della loro vita anche drammatici e dando voce ad angosce
profonde, come la paura della morte. Pur rimanendo in tema, è il momento di
alleggerire l’atmosfera con qualcosa di diverso.
Il gioco che propongo è una classica ‘Bandiera’. L’obiettivo è quello di riconoscere
i nomi delle emozioni e attribuirle correttamente a una situazione nota. Le situazioni
sono tratte dalle fiabe, storie e albi che abbiamo letto finora.
Le regole sono molto semplici: i bambini si dividono in due squadre da due persone
ciascuna e si dispongono in due file indiane tra loro parallele. Io mi metto all’altro
lato della stanza, rivolta verso di loro. In una mano reggo un lungo fazzoletto bianco
(la ‘bandiera’), nell’altra un foglio con delle frasi. Quando i bambini sono pronti,
leggo la prima parte della prima frase e la lascio un momento in sospeso. Ad
esempio: “Il lupo de I tre porcellini era…” Subito dopo fornisco due opzioni per il
suo completamento: “buono o cattivo?”. I due bambini capofila corrono verso di
me; il primo che riesce a prendere la bandiera conquista il diritto di completare la
frase scegliendo una delle opzioni date. Se la risposta è corretta, la squadra
guadagna un punto. Il gioco prosegue in questo modo fino a esaurimento delle frasi.
(Per la visione delle domande poste ai bambini si rimanda all’APPENDICE 24).
Osservazioni.
Una squadra vince sull’altra con un solo punto di differenza. Tutti i bambini
rispondono ad almeno una domanda e, quel che è più importante, scelgono
appropriatamente tutte le opzioni meno una. Anche il binomio della ‘sorpresa’ e
dello ‘spavento’, che durante l’attività precedente era stato confuso o assimilato,
viene in questo caso correttamente discriminato. La domanda che crea confusione
è la prima: “Il lupo de I tre porcellini è… BUONO o CATTIVO?”. Il primo a
prendere la bandiera è R., che grida trionfante: “buono!”. S. gli fa eco dal posto:
“buonissimo!”, ma M. subito corregge i compagni: “No, è cattivo!! Perché una volta
lei fa la casa e lui fa ffffff!!”. Probabilmente i bambini hanno concentrato
l’attenzione sulla parola ‘lupo’, trascurando l’attribuzione del personaggio alla
fiaba dei porcellini. La loro mente è andata spontaneamente all’ultima storia letta:
quella de La zuppa di sasso. Considero quindi l’episodio una svista, più che un
93
errore. Mi pare molto interessante, invece, che M. abbia giustificato la cattiveria del
lupo non con il fatto che questo abbia divorato i poveri porcellini, ma con l’atto di
distruggere il frutto del loro – più o meno spensierato – lavoro.
94
5. Conclusioni
L’etimo latino del verbo ‘concludere’ è il termine concludĕre, composto di con- e
cludĕre per claudĕre (‘chiudere’). La base del concludere è quindi il chiudere. Il
‘con-’ che lo precede, tuttavia, suggerisce l’idea del raccogliere e del serrare
insieme. Il laboratorio ‘2Elle’ è giunto al termine, è vero, ma la ricerca condotta ha
aperto strade nuove, tanto nella prassi didattica quanto nella riflessione su di essa e
sulle competenze dei bambini. È arrivato quindi il momento di fare un bilancio sul
lavoro svolto, di mettere insieme le numerose tessere raccolte lungo il percorso e
comporle in un’immagine unitaria, sempre nella consapevolezza che i risultati della
riflessione non vogliono essere un traguardo (una chiusura, appunto), ma una nuova
base da cui partire alla volta di nuove strade, percorsi didattici e ragionamenti.
Poiché in ogni percorso di Ricerca-Azione la figura dell’insegnante e quella del
ricercatore vengono a sovrapporsi e coincidere, ritengo che le riflessioni conclusive
debbano vertere su due aspetti:
1) quello più propriamente didattico e operativo, incentrato sull’introduzione
della fiaba nella strutturazione delle UD;
2) quello più propriamente metodologico, concernente la progettazione e la
messa in atto della Ricerca-Azione in sé.
95
laboratorio, opere di letteratura per l’infanzia di altro genere (albi illustrati). Attorno
a queste, sono andata a strutturare ogni unità e ogni specifica attività didattica, in
conformità col metodo esperienziale adottato sin dall’inizio del corso.
Le domande che si pongono a conduzione di una riflessione conclusiva sono quindi:
l’introduzione della fiaba nel laboratorio di italiano L2 ha aiutato i bambini a
perseguire gli obiettivi stabiliti? In che modo?
75
Cfr. Caon, F. & D’Annunzio, B. (2003) “Il laboratorio di italiano lingua seconda”. In
Luise, M.C. (cur.) Italiano Lingua Seconda: Fondamenti e metodi, Perugia, Guerra Edizioni, p. 149.
76
Cfr. Daloiso, M. (2015) Aspetti neuropsicologici dell’apprendimento linguistico, [Internet]
(50 pagine) Venezia, Università degli Studi Ca’ Foscari, http://elearning.itals.it/file.php/177/M03-
MATERIALI/DALOISO_ModuloNeuropsicologia_def.pdf, (con password), pp. 9-10 (Ultima
consultazione 06/05/2017).
96
‘Alfabetizzazione emozionale’
Prima di iniziare qualsiasi ragionamento su quale sia stata l’efficacia della lettura
di una fiaba nei termini degli obiettivi stabiliti, è bene ricordare le motivazioni che
mi hanno spinta a sceglierla come strumento più idoneo per perseguirli.
La letteratura sull’argomento ha ampiamente dimostrato quale possa essere per un
pubblico di giovani e giovanissimi lettori la valenza pedagogica ed educativa della
fiaba77. Nell’ambito del contributo allo sviluppo identitario ed emotivo della
persona, in particolare, si può affermare che: grazie all’ascolto di una fiaba i
bambini incontrano delle emozioni all’interno di un contesto che li aiuta a
riconoscerle; attraverso l’identificazione e i meccanismi empatici che essa innesca,
vivono quelle stesse emozioni in prima persona, sperimentandole quindi, e
approfondendole. Il testo, infine, fornisce loro delle parole per poterle nominare e
condividere con gli altri.
È stato effettivamente così? Alla luce dei dati raccolti, ritengo che la risposta a
questa domanda possa considerarsi complessivamente affermativa. L’attività di
verifica presentata ai bambini a conclusione del percorso78 ha dimostrato che
ciascuno degli alunni è in grado di riconoscere in se stesso le emozioni incontrate
nei testi, di contestualizzarle correttamente nel proprio vissuto e di riferirle
efficacemente ai propri interlocutori mettendo in atto una pluralità di strategie
comunicative.
In particolare, credo che la chiave di volta dell’intero percorso di apprendimento
possa essere individuata nel processo di identificazione che naturalmente si viene a
innescare quando si entra in contatto con questa specifica tipologia testuale. Se il
testo viene adeguatamente selezionato e predisposto dall’insegnante alla fruizione
dei suoi lettori/ascoltatori79, i bambini instaurano con i protagonisti della vicenda
un rapporto empatico, che a sua volta va a porre alla base dell’apprendimento
77
Cfr. CAPITOLO 1, par. 1.2.4 e 1.2.4.1.
78
Cfr. CAPITOLO 4, par. 4.7.5 Gioco di verifica sulle emozioni, pp. 85-89.
79
Cfr. CAPITOLO 4, par. 4.1 Premesse alla programmazione: la scelta dei testi e 4.1.1
Strutturazione di uno strumento operativo per la selezione dei testi in prospettiva glottodidattica,
pp. 33-42.
97
quell’esperire su di sé, in prima persona, che è il più proprio ed efficace mezzo
dell’apprendere in questa fascia d’età80.
Grazie agli strumenti e alle strategie di raccolta e analisi dei dati previsti dalla
Ricerca-Azione, in particolare la registrazione e la trascrizione degli interventi dei
bambini durante l’ascolto dei testi, è possibile dimostrare che tale processo di
identificazione è avvenuto. Basti pensare a come i bambini abbiano instaurato un
vero e proprio dialogo con i personaggi delle fiabe, rivolgendosi a loro come a
persone in carne e ossa presenti in aula; a come abbiano riproposto con il proprio
corpo le azioni da essi compiute e abbiano attribuito loro dei soprannomi,
significativo segnale di appropriazione emotiva.
Nel momento in cui è stato chiesto ai bambini di trasformarsi in narratori e
raccontare essi stessi la storia, inoltre, hanno dato prova di volere e sapere compiere
una prima e personalissima analisi psicologica dei personaggi. Ciò è dimostrato
dalla ricerca di un’aggettivazione idonea alla loro connotazione in tal senso.
Durante la narrazione de I tre porcellini, ad esempio, i bambini hanno attinto del
tutto spontaneamente al proprio bagaglio lessicale per attribuire ai personaggi tratti
caratteriali non esplicitati dal testo (lupo cattivo; porcellino forte per
saggio/previdente). Nei casi in cui il vocabolario in loro possesso non è stato
sufficiente, hanno cercato e trovato valide vie alternative nel linguaggio non
verbale, come l’espressione del volto, la gestualità e i suoni onomatopeici.
Un ulteriore passo fondamentale verso l’acquisizione delle abilità-obiettivo è
individuabile nelle attività di drammatizzazione, grazie alle quali i bambini hanno
avuto l’opportunità di approfondire e personalizzare ulteriormente l’esperienza
‘emozionale’ iniziata con la lettura dei testi. La video-registrazione ha restituito dati
più che positivi in tal senso: i bambini, infatti, prova dopo prova, hanno trovato da
sé espedienti e strategie per la resa delle emozioni dei personaggi incarnati, tanto
attraverso l’uso della voce che quello del corpo. Grazie a questa esperienza, ognuno
ha arricchito notevolmente le proprie possibilità espressive, dotandosi di strumenti
utili a rendere più limpida ed efficace la comunicazione.
80
Cfr. CAPITOLO 2, par. 2.2.2 Metodo esperienziale.
98
Su questi punti, nell’ambito di un’ultima riunione tenuta con le maestre a
conclusione del percorso, siamo state tutte d’accordo. Elisabetta e Arianna, in
particolare, hanno ipotizzato, per l’anno a seguire, l’organizzazione di un
laboratorio di lettura che possa coinvolgere le classi nella loro interezza. Lo
sviluppo del senso dell’identità personale, la percezione delle esigenze e dei
sentimenti propri e altrui, così come una loro espressione sempre più ricca e
complessa, sono infatti obiettivi trasversali alle discipline e concorrono a costituire
quella “alfabetizzazione culturale e sociale” di cui parlano le Indicazioni nazionali
per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione81.
Elisabetta, in particolare, ipotizza di poter coniugare il laboratorio in termini
interculturali, attingendo alla tradizione letteraria degli alunni di provenienza non
italiana.
La discussione si è concentrata in particolar modo sulla drammatizzazione. La
drammatizzazione è un potente strumento per lo sviluppo congiunto di abilità
motorie, cognitive e affettive, in quanto possiede un forte valore esperienziale;
richiede infatti ai bambini la messa in campo della percezione, dell’osservazione,
dell’azione e dell’interazione, le quali sono molto amate in questa fascia d’età,
soprattutto – ricorda Daloiso – da quelli con uno stile cognitivo impulsivo, che
privilegia l’azione rispetto alla riflessione82. Si avvicina, inoltre, al gioco spontaneo
di immaginazione, a cui i bambini fanno ricorso continuamente.
In virtù delle caratteristiche sopra elencate, le drammatizzazioni sono state molto
apprezzate dagli alunni, che si sono messi in gioco al massimo delle loro possibilità.
Il piacere generato dallo svolgimento di un’attività gradita, più vicina al gioco che
alla routine scolastica, ha innescato una serie di processi virtuosi che sono andati al
di là degli obiettivi prefissati, e che hanno suscitato un vivo interesse nelle maestre.
In particolar modo, sono rimaste colpite dalla libertà che ho lasciato ai bambini
nella definizione delle battute da pronunciare e dei movimenti da eseguire.
Per le recite di fine anno – mi riferisce Arianna – di solito siamo noi a scrivere il copione,
e i bambini lo imparano a memoria. Sembra invece che aver lasciato loro la possibilità di
81
Ministero dell’Istruzione e della Ricerca (2012) Indicazioni nazionali per il curricolo della
scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, op.cit., p. 25.
82
Daloiso, M. (2009) La lingua straniera nella scuola dell’infanzia, op.cit., p. 173-174.
99
esprimersi abbia portato a risultati sorprendenti, soprattutto per quanto ci riferisci su S. e
R.
83
Col termine autoefficacia si intende “la convinzione personale nella propria competenza,
la sensazione di essere in grado di svolgere con successo un dato compito” [Belsky, J. (2009)
Psicologia dello sviluppo, op. cit., p. 17]
100
Ecco quindi che la Ricerca-Azione apre un’ulteriore questione, suggerendo nuove
strade da percorrere per un miglioramento dell’azione didattica e formativa. Come
fare per far sì che i benefici tratti dai bambini nel corso del laboratorio si
ripercuotano sulla loro vita scolastica (tanto in termini di apprendimento, quanto di
relazione con i compagni)?
Una prima risposta viene da Elisabetta, la quale osserva che le attività di laboratorio
sono rimaste per lo più ‘dentro’ il laboratorio. Aggiunge:
Sarebbe bene invece trovare il modo per integrare maggiormente attività di classe e attività
‘fuori dalla classe’… escogitare delle attività tramite cui i bambini che hanno lavorato fuori
dall’aula possano dare una restituzione ai compagni di quanto hanno fatto, coinvolgendoli.
La rappresentazione de La festa di Filippo che avete organizzato è un esempio… si poteva
fare anche per le altre drammatizzazioni. In alternativa può essere un gioco, una lettura…
insomma, dobbiamo pensarci.
101
quindi uno sforzo di astrazione maggiore rispetto a quelle proposte
successivamente, tratte invece dal testo loro mostrato. Parimenti
significativo è il fatto che il riordino della trama de La festa di Filippo (per
il quale ho assegnato ai bambini sei immagini in una volta) è stato svolto
con maggiore disinvoltura rispetto al riordino delle azioni da compiere per
la preparazione di una zuppa (somministrate in numero di cinque). Sebbene
avessimo svolto ripetutamente la sequenza in modalità TPR, è ipotizzabile
che le sequenze più propriamente narrative risultino più facilmente
memorizzabili rispetto a seriazioni di altro genere (come quella relativa alle
fasi di un procedimento svolto). Tale ipotesi andrebbe a supporto
dell’efficacia della fiaba come strumento didattico; necessiterebbe tuttavia
di essere avvalorata da ulteriori esercitazioni in ottica comparativa. Mi
confronto a questo proposito con Giulia, la quale mi suggerisce che,
nell’ambito di una stessa UD, si potrebbero predisporre delle attività di
riordino tanto delle sequenze narrative, quanto dei procedimenti seguiti dai
bambini per il confezionamento di oggetti (le marionette, le casette dei tre
porcellini, i pacchetti regalo per il topolino Filippo, la macedonia di frutta,
ecc) durante le attività manipolative. Ponendo i risultati a confronto sarebbe
agevole stabilire in quale situazione i bambini si trovano maggiormente a
proprio agio e perché;
- l’attività di riordino di immagini è risultata nella maggior parte dei casi
foriera di ansia, provocando inequivocabilmente l’innalzamento del filtro
affettivo. Numerose e ripetute sono state infatti le frasi di rifiuto e di
scoramento pronunciate dai bambini, sia nei confronti dell’attività stessa,
sia nei confronti delle proprie capacità. Ciò pregiudica – e ha pregiudicato
– inevitabilmente la buona riuscita dell’attività. Prendere coscienza di ciò è
di fondamentale importanza, soprattutto per le insegnanti di classe, che
propongono spesso ai bambini questo tipo di esercizio. Trovare delle vie
alternative per stimolare nei discenti l’utilizzo e lo sviluppo delle stesse
abilità cognitive è possibile. L’analisi dei dati raccolti tramite le
registrazioni e le videoregistrazioni ha messo in luce che attività con
102
obiettivi affini, svolte però in plenaria e favorendo la cooperazione tra i
bambini, hanno avuto esiti migliori. Il TPR stesso si è rivelato un valido
strumento in tal senso. Si prenda ad esempio l’attività in cui è stato chiesto
ai bambini di fornire all’insegnante i comandi per preparare la zuppa. In
questo contesto, lo sforzo di richiamare alla memoria le azioni da compiere
e di ricostruirne la sequenza è passato in secondo piano rispetto al
divertimento di vedere la propria insegnante alle prese con pentole e mestoli
immaginari. Il focus emotivo è andato a spostarsi dalla necessità di svolgere
un esercizio tipicamente oggetto di valutazione al piacere del rovesciamento
dei ruoli (per una volta sono gli studenti a dire all’insegnante cosa fare),
nonché all’obiettivo finale di ‘vedere’ la zuppa pronta nel piatto.
Considerato che la capacità della memoria di lavoro aumenta enormemente fra i
due e i sette anni (si passa da circa due a cinque item o ‘pezzi’ di informazione), e
che intorno ai sei anni il processore esecutivo che consente la manipolazione
deliberata dei materiali provenienti dai vari depositi di memoria espande la propria
capacità fino a raggiungere quella tipica dell’adulto (sette item o ‘pezzi’ di
informazione)84, credo di poter affermare che gli obiettivi posti in fase di
ricognizione in questo senso non siano stati completamente raggiunti. I bambini
non hanno raggiunto l’autonomia nel portare a termine questo tipo di attività.
Laura, maestra di matematica di G., R. e S., mi informa a questo proposito che è
stata predisposta una “Relazione per la segnalazione” al Palazzo della Sanità di
Verona di R. e S., i quali, in ambito logico-matematico, presentano difficoltà
importanti, così come in ambito mnemonico e attentivo. L’eventuale emergere nei
bambini della presenza di disturbi dell’apprendimento porterebbe a dei
cambiamenti significativi nel metro di verifica del raggiungimento degli obiettivi.
Riguardo l’attenzione apriamo un’ultima parentesi: nell’ambito del laboratorio,
infatti, non ho avuto significativi riscontri circa l’incapacità dei bambini di
mantenere l’attenzione per tempi adeguati, lamentata invece da Arianna e Laura.
Durante la lettura delle fiabe, in particolare, il livello di attenzione si è mantenuto
84
Cfr. Ibid., p. 178.
103
mediamente alto. Non solo: i bambini hanno partecipato tutti in modo costante e
costruttivo. È possibile che il coinvolgimento psico-emotivo innescatosi nei
bambini grazie all’ascolto delle fiabe e dei racconti proposti abbia contribuito in
maniera significativa a mantenere l’attenzione per un tempo più lungo rispetto ad
altre attività e contesti? Si tratta di un ulteriore interrogativo; una porta che apre
davanti a noi ulteriori aspetti da approfondire, ulteriori ambiti di ricerca.
si può ritenere efficace quando provoca la messa in movimento del pensiero, quando genera
l’emergere di nuovi sguardi sull’esperienza, quando innesca nuove relazioni dialogiche
all’interno della comunità di ricerca e fra questa e l’esterno 85.
85
Mortari, L. (2007) Cultura della ricerca e pedagogia, Carrocci, Roma, p. 218.
104
In altre parole: quando promuove un processo di formazione di coloro che vi hanno
preso parte. A che cosa ha portato la nostra RA?
Come già anticipato, ha portato innanzitutto a un cambiamento significativo nella
strutturazione della didattica del laboratorio, grazie all’introduzione di uno
strumento – quello della fiaba – per me nuovo, mai adottato prima. Uno strumento
che, oltre ad essersi dimostrato idoneo al perseguimento di alcuni degli obiettivi
stabiliti, ha provocato in aggiunta un significativo innalzamento della motivazione
da parte dei bambini.
Adottare uno strumento nuovo, inoltre, significa fornirsi di strumenti conoscitivi
adeguati al fine di saperlo utilizzare. In questo senso, la ricerca mi ha dato modo di
approfondire le conoscenze teoriche e pratiche da me possedute circa la letteratura
per l’infanzia in generale, il genere della fiaba e le sue potenzialità operative per la
didattica dell’italiano come L2.
Non solo. Laddove gli obiettivi sono stati solo parzialmente raggiunti, la ricerca si
è rivelata comunque un terreno fertile per la nascita di nuovi interrogativi e con essi
di nuovi ambiti su cui indagare, dimostrando che non esistono conclusioni sulla
strada delle ricerca: solo tappe da cui ripartire alla volta di nuovi obiettivi.
D’altronde, ricordiamo con Mortari:
Un altro aspetto che mi sembra significativo consiste nel fatto che il lavoro di
squadra, col suo incrociarsi di punti di vista differenti, ha aperto prospettive
inaspettate sull’idea che ogni insegnante aveva dei suoi alunni. Il quadro
prevalentemente negativo dipinto dalle maestre di classe riguardo alcuni membri
del gruppo (basse capacità attentive; difficoltà relazionali; insicurezza e bassa
autostima) si è arricchito di ‘tonalità’ nuove. Il laboratorio, infatti, ha contribuito in
86
Ibid.
105
modo decisivo all’emergere di potenzialità che nell’ambito della classe erano
rimaste latenti e che ciascuno degli attori coinvolti nella formazione deve aver cura
di coltivare.
106
visto che i bambini sono seduti in semicerchio davanti a te, si potrebbe posizionare la
telecamera alle tue spalle, così da inquadrare tutti i bambini in modo costante… perché se
adottassimo la tecnica dell’inquadratura mobile, come per le drammatizzazioni,
rischieremmo di rendere troppo soggettiva la raccolta dei dati e di perdere dettagli
importanti.
Una tecnica simile si sarebbe potuta usare anche per video-registrare le attività di
riordino delle sequenze. Per la raccolta dei dati in questo frangente ho fatto infatti
ricorso alle annotazioni sul campo, che ho integrato in un secondo momento con le
trascrizioni delle registrazioni audio. Tuttavia, durante lo svolgimento di tali
attività, i bambini hanno spesso chiesto il mio aiuto. Il risultato è stato che le
annotazioni si sono rivelate lacunose, in quanto, nel momento in cui ero impegnata
a parlare con un bambino, perdevo di vista tutti gli altri. Poter disporre di una video
registrazione mi avrebbe aiutata a osservare in modo più preciso la gestione
dell’attività da parte di ogni singolo studente, ricavando quindi dati più abbondanti
e oggettivi.
Sempre a tale proposito, Giulia mi fa notare che, nonostante l’avessimo inserita
negli strumenti di cui servirci, non abbiamo mai fatto ricorso alla cronaca diretta.
Sarebbe stata invece di grande utilità per ricavare informazioni sistematiche sulle
strategie messe in atto da ogni singolo alunno durante il riordino.
Si sarebbe potuta ripetere quattro volte, una per ogni attività di riordino, osservando per
ciascuna di esse il comportamento di un solo bambino. Avremmo potuto vedere quante
volte ciascuno cambia idea nella disposizione delle figure, se sbircia dal quaderno del
vicino di banco, se si aiuta con le dritte che tu dai ai compagni che chiedono aiuto.
Purtroppo non ho potuto garantire più presenze… ecco perché non l’abbiamo mai utilizzata.
107
Riflessioni circa la triangolazione dei dati
Una pratica fondamentale per la conduzione di una Ricerca-Azione è quella della
triangolazione, la quale garantisce una maggiore oggettività all’analisi critica dei
dati. La pratica riflessiva, cioè, deve divenire un’azione plurale.
È proprio qui, a mio parere, che si annida il punto debole del percorso intrapreso,
soprattutto per quanto concerne la fase di monitoraggio.
La triangolazione sui dati raccolti all’interno del laboratorio, infatti, condivisi con
costanza con le maestre con l’invio di un dettagliato report settimanale, non ha
prodotto una riflessione altrettanto approfondita da parte di tutti i membri del
gruppo. Per questo motivo, la presente ricerca è ricca di osservazioni e
considerazioni personali; più costante e approfondita sarebbe dovuta essere, a mio
parere, la presenza di punti di vista differenti sui fenomeni osservati.
Allo stesso modo, ritengo che sarebbe stato utile condurre una raccolta sistematica
di dati anche all’interno della classe. Più precisamente, per una più efficace
valutazione del perseguimento degli obiettivi nei termini di riordino e
verbalizzazione delle sequenze narrative, avrebbe forse giovato un’osservazione
sistematica dei bambini impegnati nello stesso esercizio anche all’interno della
classe, per porre poi a confronto i dati raccolti con quelli provenienti dal laboratorio
di lingua.
108
BIBLIOGRAFIA
Saggi critici
Daloiso, M. (2009) L’italiano con le fiabe. Costruire percorsi didattici per bambini
stranieri, Perugia, Guerra Edizioni.
Luise, M.C. (a cura di) (2003) Italiano lingua seconda: fondamenti e metodi,
Coordinate – volume 1, Perugia, Guerra Edizioni.
Materiale didattico
Amery, H. & Cartwright, S. (2008) First thousand words in Italian, S.l., Usborne.
109
Camm, S. (1987) La festa di Filippo, Milano, AMZ editrice.
SITOGRAFIA
Saggi critici
110
Albertini, G. (a cura di) (2015) I numeri dell'immigrazione a Verona a inizio 2015,
[Internet] (1 pagina), Verona, CESTIM,
http://CESTIM.it/sezioni/dati_statistici/italia/verona/2015-10-29_ALBERTINI-
I%20numeri%20dell'immigrazione%20a%20Verona%20a%20inizio%202015.doc
(Ultima consultazione 06/05/2017).
S.n. (2015) POF IC6. Piano dell’Offerta Formativa 2015-2016, [Internet] (37
pagine), Verona,
http://web.sogiscuola.com/siti/ic6verona/uploads/file/pof%20ic%206%20%20201
5_2016%20.pdf (Ultima consultazione 06/05/2017).
111
APPENDICI
APPENDICE 1
Alunni figli di immigrati in Veneto – a.s. 2014/15.
Nell'a.s. 2009/2010 ‘solo’ il 43% degli alunni non italiani era nato in Italia: in 5 anni si
è passati da 2 alunni nati in Italia ogni cinque a 3 alunni ogni 5.
APPENDICE 2
Alunni figli di immigrati nelle scuole italiane – a.s. 2014/2015.
Gli alunni figli di immigrati** nell'anno scolastico 2014/2015 sono 19.091 (14,1% degli alunni).
12.366 di essi sono nati in Italia (il 65%).
4.365 alla Scuola dell'Infanzia, ove sono il 16,7% degli alunni - 91% nati in Italia;
7.302 alla Scuola Primaria, 16,3% degli alunni - 76% nati in Italia;
3.858 alla Scuola Secondaria di I Grado, 14,6% degli alunni - 50% nati in Italia;
3.566 alla Scuola Secondaria di II Grado. 9,4% degli alunni - 26% nati in Italia;
Altri 1.007 alunni non italiani frequentano i CFP, ove sono il 24,2% degli alunni***.
112
APPENDICE 3
Strumento ad uso dell’insegnante: criteri per la selezione di fiabe per la didattica dell’italiano
a bambini stranieri.
Le sezioni relative a tema, narrazione, cultura e lingua sono tratte da Daloiso 87. L’ultima sezione,
relativa alle illustrazioni, è una mia integrazione.
87
Daloiso, M. (2009) L’italiano con le fiabe. Costruire percorsi didattici per bambini
stranieri, op. cit., p. 27.
88
Blezza Picherle ricorda che, in materia di letteratura per l’infanzia, già da molti anni una
buona parte dell’editoria è orientata verso la novità d’espressione, che si manifesta soprattutto nella
qualità artistica dell’illustrazione. Esiste infatti una categoria di illustratori-artisti che puntano a
trasmettere la loro personale visione interpretativa del mondo rifacendosi alle più recenti correnti
artistiche, alla grafica pubblicitaria, al cinema e ai moderni linguaggi audiovisivi e multimediali. Se,
da un lato, il livello di artisticità delle immagini si fa sempre più elevato, dall’altro si cade però nel
rischio che una eccessiva tendenza estetizzante o stilizzazione inibiscano la comprensione del
bambino (Cfr. Blezza Picherle, S. (2016) Letteratura per l’infanzia. Ambiti, caratteristiche, autori,
op.cit., pp. 127-128).
113
APPENDICE 4
Micetta e i tre orsi.
Disegno di G.: Micetta prova le poltrone degli orsi in salotto.
In alto a sinistra: Micetta prova la poltrona di papà orso; in alto a destra: Micetta prova la poltrona
di mamma-orsa; in basso a sinistra: Micetta prova la sedia a dondolo di piccolo orso; in basso a
destra: la sedia si è rotta e Micetta si trova a terra, circondata da viti e pezzi di legno. La successione
temporale degli eventi è organizzata sulla pagina secondo il percorso seguito dalla parola scritta: da
sinistra verso destra.
114
APPENDICE 5
Micetta e i tre orsi.
Riordino e verbalizzazione delle micro-sequenze narrative: trascrizione e osservazioni.
M. “Prima va cucina. Più [poi] va in camera Usa gli indicatori temporali, ma confonde
guarda TVna, infine va in letto a POI con PIÙ.
dormire.”
R. R: “Mangia prima questa minestra Usa gli indicatori temporali. Ricorre agli
grande, dopo la seconda è media… è aggettivi dimostrativi (deissi); alla prima
media?”. proposizione costruita su un predicato
verbale, fa seguire una coordinata strutturata
A: “Sì, è media!”. su un predicato nominale. Il soggetto slitta
R: “E dopo… la fine… quella minestra da Micetta alla scodella. (La narrazione
piccola”. assume i connotati della descrizione).
S. “Prima si dorme sul letto grande, ma è Sebbene il resoconto sia molto dettagliato
troppo duro. L’altro, quello medio, dice (S. è l’unico che arricchisce la denotazione
che è troppo morbido e gli fa male al di grande-medio-piccolo con altri attributi -
collo e l’ultimo è il meglio di tutti”. troppo duro, troppo morbido, il meglio di
tutti), il POI e l’INFINE vengono persi. Usa
correttamente la congiunzione avversativa
MA.
115
APPENDICE 6
Narrazione La storia non è nota ai bambini, il che ha due risvolti positivi: 1) il fatto di non
conoscere la trama incrementa nei piccoli lettori la curiosità, quindi la
motivazione; 2) offre all’insegnante l’opportunità di testare le capacità
inferenziali dei bambini, ponendo loro, durante la lettura, semplici domande-
stimolo sul testo.
Gli eventi sono posti in ordine cronologico e non ci sono trame secondarie che
potrebbero complicare la comprensione della vicenda.
La trama, inoltre, è costruita sulla base di micro-sequenze narrative che si
ripetono simili per tre volte consecutive. Questo aspetto va, da un lato, a
soddisfare il bisogno di ricorsività, quindi di stabilità e sicurezza, che è proprio
dei piccoli lettori. Dall’altro, la modularità dello schema narrativo favorisce
l’assimilazione degli elementi sintattici e lessicali che si ripetono uguali o
simili in ogni situazione.
89
Cfr. Blezza Picherle, S. (2016) Letteratura per l’infanzia. Ambiti, caratteristiche, autori,
op.cit., p. 149.
116
Cultura Le modalità della celebrazione del compleanno sono legate alla cultura di
appartenenza e alle sue tradizioni. Questa specificità potrebbe potenzialmente
risultare di ostacolo alla comprensione del racconto. Tuttavia tutti i bambini
hanno avuto la possibilità di fare esperienza, almeno una volta, di una festa di
compleanno nel nostro paese: ne conoscono quindi le essenziali caratteristiche
di rito.
117
APPENDICE 7
La festa di Filippo.
Lettura, coinvolgimento e analisi dei meccanismi di anticipazione.
La trascrizione della lettura e dei dialoghi fra me e i bambini è riportata nella colonna di sinistra.
Nella colonna di destra, in corrispondenza delle frasi a mio parere più salienti pronunciate dai
bambini, ho appuntato le mie considerazioni.
TRASCRIZIONE OSSERVAZIONI
118
A: Ok. Vediamo se avete indovinato.
[Leggo] “Il topo Filippo guarda fuori dalla sua
porta. Il sole è alto nel cielo. «Oggi è il mio
compleanno ed è una splendida giornata» esclama
Filippo. «Andrò dallo scoiattolo Toni. Gli dirò che
è la mia festa e forse verrà a giocare con me.
Potremo giocare a nascondino». Pieno
d’entusiasmo, Filippo va a cercare il suo amico
Toni […] «Ciao Toni» dice Filippo. «Sai che giorno
è oggi? È il mio compleanno e c’è il sole. Allora
vieni a giocare con me?»”
Secondo voi, Toni cosa gli risponde?
Questo momento è molto importante. I
TUTTI: Siiiiì!!!
bambini hanno iniziato a immedesimarsi in
Filippo. Assieme a lui, si sono creati
un’aspettativa ben precisa sul futuro
svolgimento dei fatti, che viene infatti
espressa da questo “Siiiiì” pronunciato
all’unisono.
119
A: [LEGGO] “«Oh, mi spiace, Filippo» dice Patù.
«Ho troppo lavoro da fare oggi. Devo spazzare la
casa e devo trovare delle foglie secche da spargere
per terra. Non ho tempo per giocare» Povero topo
Filippo! «Non importa» dice. «Spero che il
ranocchio Teddi giochi con me». [GIRO PAGINA]
Filippo va a cercare l’amico Teddi.”
Chi è Teddi?
TUTTI: La rana!!
A: Dove abita la rana?
R: In acqua! In acqua! In acqua!!
A: In acqua, giusto. [RIPRENDO A LEGGERE]
“«Ciao, Teddi!» dice Filippo.”
R: [INTERROMPENDO LA LETTURA] Teddi! R. interrompe la lettura chiamando il nome
Ciao Teddi! di Teddi e salutandolo: sembra che abbia
riconosciuto un amico! Lo interpreto come
un segnale positivo: significa che il processo
di immedesimazione si sta consolidando.
R. Oppure fanno un regalo per loro così quando L’incipit di frase con la congiunzione
diventano grandi possono nuotare. disgiuntiva oppure indica che R. ha
ascoltato l’ipotesi di S. e che, in un certo
senso, l’ha presa in considerazione: l’idea
della sorpresa lo conduce a quella di regalo.
Tuttavia, prosegue il suo ragionamento
allontanandosi sempre più dai meccanismi
narrativi originali.
120
A: [RIPRENDO A LEGGERE] “Teddi il ranocchio
è molto spiacente. «Sono troppo occupato» dice.
«Oggi devo insegnare ai miei piccoli come si fa a
tuffarsi»”.
R: Ah, ho capito maestra! Si fa così? [MIMA UN
TUFFO]
A: Sì, quello è tuffarsi.
R: Guarda questo! [INDICA UN GIRINO CHE SI
TUFFA.] E lui non può andare in acqua? [INDICA
FILIPPO, FERMO SULLA SPONDA DELLO
STAGNO, MENTRE GUARDA LE RANE
TUFFARSI IN ACQUA E NUOTARE.]
A: Mmmh, avete sentito cosa ha detto S.?
R: Gli fanno una surfresa loro.
A: Sì, forse gli amici di Filippo non vogliono
giocare con lui perché gli stanno preparando una
sorpresa per il suo compleanno! Vediamo se S. ha
ragione…
[RIPRENDO A LEGGERE] “«Ma è il mio
compleanno» dice Filippo. Ma perché oggi tutti
quanti i miei amici sono impegnati?» [GIRO
PAGINA] Povero Filippo!”
R: Sta piangendo!
A: Sì, sta piangendo… hai visto? Tutti i suoi amici
gli hanno detto che non possono giocare con lui
perché devono fare delle altre cose! [RIPRENDO
A LEGGERE] “Filippo si sente solo e triste […]
«Basta, sono stanco di girare, me ne torno a casa»”
S. Ah, ecco! Ancora una volta, gli interventi dei bambini
R. No, non va a casa! si muovono in direzioni opposte: per S. tutto
è coerente. La sua esclamazione dimostra
che il bambino è in sintonia con gli stati
d’animo e le decisioni del protagonista. R.
invece sembra non credere alle parole del
topolino e lo smentisce.
A: [LEGGO] “Mentre sta tornando a casa Filippo
vede volare sopra di sé il pettirosso Fulvio”.
R: Maestra cos’è il pettiretto foglio?
A: Il pettirosso è un uccellino che ha il pancino
rosso. Fulvio è il suo nome.
R: Pancino! Come te! [DICE RIVOLGENDOSI A
S.]
S: Mah…
A: Anche S. oggi ha il pancino rosso!
S: Ehi!
A: Perché hai la maglia rossa, S.
R: Sì, e sembri spiderman!
A: [RIPRENDO A LEGGERE] “Fulvio pettirosso
è il postino di tutti gli animali. Filippo osserva che
Fulvio pettirosso ha una lettera nel becco. «Chissà
per chi è quella lettera?» si domanda Filippo”.
121
R: A lui! A lui! A lui! Questa volta l’inferenza di R. è corretta.
A: “«Spero tanto che sia per me!»”. È come ha detto
R.? è per lui secondo voi?
TUTTI: Siiiiì!
A: [RIPRENDO A LEGGERE] “La lettera è per
Filippo! Fulvio l’ha lasciata sulla soglia di casa sua.
Filippo legge il nome sulla busta. È indirizzata
proprio Al signor Filippo. «È per me, non ci sono
dubbi!». La apre e legge il biglietto: «Caro Filippo,
vuoi venire subito alla vecchia casa?».
[GIRO PAGINA] «Che strano» pensa Filippo. «Ma
chi è che scrive? Non ci vive più nessuno là. Mah!
Andrò a vedere». Filippo corre per il sentiero alla
vecchia casa. […] La casa sembra disabitata.
Filippo entra.
[GIRO PAGINA] «Tanti auguri, Filippo!» dice lo
scoiattolo Toni. «Buon compleanno!» dice il
coniglio Patù”.
R: [INIZIA A CANTARE] Tanti auguri a te, tanti R. inizia a cantare ‘Tanti auguri’. Interpreto
auguri a te, tanti auguri, caro Pippo! Tanti auguri a l’iniziativa come un ulteriore segnale di un
te! alto coinvolgimento emotivo nella vicenda.
Un’ulteriore conferma di ciò è data dal fatto
che R. inventa un soprannome per il
topolino: Pippo, abbreviazione di Filippo.
S: Io l’avevo detto!
TUTTI: Bellissimo!!
122
APPENDICE 8
Produzione guidata: ripassiamo insieme la trama de La festa di Filippo.
Trascrizione.
A: […] cosa succede all’inizio?
R: È il compleanno di Teddi.
S: No, Filippo.
A: Filippo! Quindi, cosa fa Filippo?
R: Va a… a… scoiattolo.
S: Si chiama Toni.
A: Sì, dallo scoiattolo Toni.
R: E dopo dice: “V…v…vuoi andare a giocare con me?” E lui dice: “Ce l’ho tanti impegni, non
posso giocare con te.
A: Allora Filippo va da…
R: Il coniglio che dice “vuoi giocare con me?”
A: S., cosa risponde il coniglio a Filippo?
S: “Mi dispiace Filippo ma devo fare tanti lavori importanti e devo spazzare le foglie e anche usare
le foglie per mettere da… sotto… i piedi…”
A: G., allora da chi va Filippo?
G: Rana!
A: Dalla rana! E cosa le chiede?
G: “Ciao! Rana! Voglio giocare!”
A: E la rana cosa risponde?
G: “Noooo!”
A: Perché no?
G: Perché… non lo so…
A: “Perché devo insegnare alle mie piccole rane come si fa a…”
R: Nuotare! Così quando diventano grandi… così possono nuotare…
S: Ma le rane sono fortunate a fare… possono arrivare sull’erba e fare salti così tanto in alto che
poi cadono e fanno un tuffo in acqua.
R: Così, guarda! [MIMA UN TUFFO]
A: Certo! Le rane possono stare sulla terra e possono anche tuffarsi in acqua e nuotare. Allora…
cosa succede poi, G.?
G: Piangere.
A: Ma… chi arriva?
G: Non lo so più… niente!!
A: Un uccellino?
TUTTI: Siiiì!
A: Come si chiama questo uccellino? Chi si ricorda?
G: Uc-cel-li-no rosso!
A: Bravissimo! Il pettirosso! E cos’ha il pettirosso per Filippo?
S: Una lettera!
R: Una lettera per lui e lo legge.
A: Cosa c’è scritto sulla lettera?
R: “Caro Filippo” e vuole andare alla sua festa del compleanno.
A: Ma c’è proprio scritto ‘festa di compleanno’?
S: No! No! C’è scritto, veramente, “Caro Filippo, vieni alla vecchia casa!”
A: Esatto! Giorgio, quando Filippo entra nella vecchia casa, cosa succede?
G: Lui… festa!
A: C’è una festa! E cosa gli gridano i suoi amici?
S: Supresa!
123
G: Compleanno! [CANTA] Tanti auguri a te!
TUTTI: [CANTANDO] Tanti auguri a te! Happy birthday to you!
A: Bravissimi!
APPENDICE 9
S. R. G.
E E PERCHÉ
4 volte, di cui 1 rafforzata 3 volte: 1 volta, ripreso dalla mia
dall’avverbio ANCHE: - […] vuoi andare a domanda-imbeccata al fine
- […] devo fare tanti giocare con me?” di fornire la risposta:
lavori importanti e E lui dice: “Ce - A: Perché no?
devo spazzare le l’ho tanti impegni G: Perché… non
foglie e anche […]; lo so…
usare le foglie per - Una lettera per lui
mettere da… e lo legge.
sotto… i piedi…; - “Caro Filippo” e
- […] possono vuole andare alla
arrivare sull’erba sua festa del
e fare salti così compleanno.
tanto in alto che
poi cadono e fanno In quest’ultimo caso, la
un tuffo in acqua. congiunzione copulativa
mette sullo stesso piano due
MA proposizioni che potrebbero
2 volte: invece essere gerarchizzate
- 1 con valore secondo una logica causale
avversativo: Mi o di conseguenza.
dispiace Filippo
ma devo fare tanti E DOPO
lavori importanti; 1 volta:
- 1 con funzione di - E dopo dice:
appoggio per “V…v…vuoi
introdurre la andare a giocare
principale: Ma le con me?”
rane sono
fortunate a fare… COSÌ
possono arrivare 3 volte:
sull’erba e fare - 2 come
salti così tanto in congiunzione con
alto che poi valore finale:
cadono e fanno un Nuotare! Così
tuffo in acqua. quando diventano
grandi… così
possono nuotare.
124
POI - 1 come avverbio
1 volta, inserito in una con valore
consecutiva: deittico: Così,
- […] possono guarda! [MIMA
arrivare sull’erba UN TUFFO]
e fare salti così
tanto in alto che
poi cadono e fanno
un tuffo in acqua.
COSÌ
1 volta, utilizzato nella
strutturazione di una
proposizione consecutiva:
- possono arrivare
sull’erba e fare
salti così tanto in
alto che poi
cadono e fanno un
tuffo in acqua.
APPENDICE 10
125
APPENDICE 11
Io Osservatrice
126
velocità con cui percorre il tragitto è
notevolmente diminuita.
90
Gioco che implica l’invenzione e l’interpretazione di una storia immaginaria. Nel gioco di
fantasia o gioco di finzione, ovvero il ‘fare finta che’, il bambino si distacca dalla realtà e costruisce
una scena fantastica, spesso con la mediazione di un giocattolo o uno stimolo di altra natura. Il gioco
di fantasia inizia a emergere verso la fine della prima infanzia, quando i bambini afferrano il
significato dei simboli, cioè che una cosa può rappresentarne un’altra. A partire dai 3 anni, i bambini
cominciano a giocare con la fantasia insieme ad altri bambini: si parla quindi di ‘gioco collaborativo
di fantasia’. Poiché i bambini devono collaborare per riuscire a sviluppare insieme una scena
127
rincorrersi. La rappresentazione è diventata
autentico gioco e, se fosse per il bambino,
potrebbe proseguire al di là del copione e delle
tempistiche dettate dalla lezione, di cui ormai
sembra dimentico.
immaginaria, la comparsa di questa forma di gioco dimostra lo sviluppo di una teoria della mente,
ovvero essi comprendono che gli altri vedono le cose in una prospettiva differente. [Cfr. Belsky, J.
(2009) Psicologia dello sviluppo, Bologna, Zanichelli, pp. 210-211].
128
Tiene la marionetta correttamente infilata nella
mano e si cura che stia di fronte a quella
dell’interlocutore. Tuttavia, non si preoccupa
troppo della gestualità. È concentrato
prevalentemente su quello che deve dire.
Parlando, lancia diverse occhiate all’insegnante
in cerca di conferme.
PROVA 4
Io Osservatrice
S. Sequenza 3. Dopo il rifiuto del coniglietto Rispetto alla drammatizzazione precedente,
Patù, S. sdraia letteralmente la marionetta S. esprime la delusione e la tristezza con il
a pancia in giù sul banco. Rispetto alla pianto.
rappresentazione precedente, la resa della Simula lo scendere delle lacrime con un gesto
tristezza è molto enfatizzata. Anche il tono del dito.
della voce è decisamente più mesto.
129
con qualche dettaglio. Quando Filippo
arriva, per esempio, Patù sta saltellando di
qua e di là per il banco. Si tratta di
un’azione non menzionata nel racconto:
G. è quindi riuscito a fare appello alla
propria conoscenza enciclopedica del
mondo per dare una maggiore
connotazione al suo personaggio.
APPENDICE 12
Una zuppa di sasso. Analisi del testo.
Tema Riassunto. In una notte d’inverno un vecchio lupo giunge al villaggio degli animali
e bussa alla casa della gallina, chiedendo di poter entrare. La gallina non ha alcun
motivo di temere, la rassicura il lupo: ormai è vecchio e senza denti. Vuole solo
preparare la sua zuppa di sasso. Superato lo spavento iniziale, la curiosità ha la
meglio sulla diffidenza: una zuppa di sasso? E la gallina apre la porta. Pochi
secondi dopo, il lupo si è messo a proprio agio dentro casa; chiede una pentola e
dell’acqua per mettere il sasso a cucinare. La gallina chiede di poter apportare il
proprio contributo e aggiunge alla ricetta una gamba di sedano. A questo punto,
preoccupati, arrivano alla spicciolata gli animali della fattoria. Ciascuno di loro è
il benvenuto, viene rassicurato sulle intenzioni del lupo e invitato a entrare. Alla
singolare notizia di quanto bolle in pentola, nasce in ognuno il desiderio di
arricchire la zuppa con un ingrediente a piacere: così, il porcello aggiunge delle
zucchine; l’oca e il cavallo aggiungono i porri; la pecora, la capra e il cane
aggiungono rape e cavoli. Nell’attesa che il pasto sia pronto, gli animali
chiacchierano insieme attorno al fuoco: si raccontano storie e barzellette,
scambiano punti di vista. Quando è il momento, mangiano la zuppa; è il lupo a
servire tutti gli animali. Si è fatto tardi, annuncia a un tratto il lupo, che si riprende
il sasso e si congeda dagli animali, dispiaciuti. L’ultima pagina lo ritrae alla porta
di un tacchino. Ma questa è un’altra storia.
91
Cfr. Quadro comune europeo di riferimento per le lingue: apprendimento insegnamento
valutazione, traduzione dall’inglese di Quartapelle F. e Bertocchi D. (2007 [2002]), Firenze, La
Nuova Italia-Oxford, pp. 60-61: “Tav. 5. Contesto situazionale d’uso della lingua: categorie
descrittive”.
130
di antagonista e la cui tradizionale sconfitta serve a esorcizzare le proprie paure.
Abbiamo conosciuto un lupo di questo genere con la lettura de I tre porcellini e
abbiamo avuto modo di testarne la voracità e le cattive intenzioni.
L’interesse maggiore del libro risiede tuttavia proprio nel rovesciamento dei tratti
comportamentali tradizionali, conferendo al personaggio uno spessore e una
complessità nuovi.
Narrazione Non so se la storia sia nota ai bambini. È possibile che alcuni di loro abbiano avuto
modo di conoscere l’albo alla scuola dell’infanzia.
Gli eventi sono disposti in ordine cronologico e non ci sono trame secondarie che
potrebbero complicarne la comprensione. Il ripetersi modulare degli eventi nella
parte centrale del racconto dovrebbe, al contrario, facilitarla.
I meccanismi narrativi, assieme alle caratteristiche dei personaggi, risultano a mio
parere uno degli elementi di maggior interesse dell’albo. L’autrice, infatti,
attraverso un sapiente uso delle immagini (vedi sotto), fa riemergere sin dal
principio tutti i pregiudizi che il lettore ha sul lupo, creando così uno stato di
suspense e crescente apprensione per la sorte degli animali della fattoria. Quando
ormai il lettore si è rilassato e ha accettato di credere nei buoni propositi della
bestia, ecco un colpo di scena che lo mette in allarme e, in una frazione di secondo,
lo porta a riconfermare le sue aspettative iniziali: “Poi il lupo tira fuori dal suo
sacco un coltello appuntito e … infilza il sasso.” Come si vede, però, altrettanto
velocemente, il pregiudizio riconsolidato viene nuovamente smentito, e per
l’ultima volta. Il momento di spannung dà infatti il via al definitivo scioglimento
della tensione narrativa sino al lieto fine.
Personaggi. Il lettore si identifica spontaneamente con gli animali della fattoria.
Questi credo possano essere definiti personaggi semplici, in quanto incarnano
emozioni elementari, che il piccolo lettore identifica immediatamente e nelle quali
si riconosce: sono l’iniziale paura per il lupo, la preoccupazione per la sorte degli
amici, la curiosità per una zuppa dalla ricetta insolita. L’emozione in cui mi aspetto
che i bambini non si identifichino è la pronta fiducia degli animali nelle buone
intenzioni del lupo e che noi lettori adulti chiamiamo da subito col nome di
ingenuità. Lo iato che si viene a creare tra la fiducia dei personaggi e la diffidenza
del lettore costituisce infatti il presupposto fondamentale per il funzionamento
della storia.
Il lupo, invece, è un personaggio di gran lunga più complesso: arriva portandosi
sulle spalle il peso dei pregiudizi del lettore e rimane avvolto in un alone di mistero
dall’inizio alla fine del racconto. Nel corso della storia conquista per sé un ruolo
tutto nuovo: quello di collante sociale, catalizzatore di energie e creatività nuove.
È colui che lega, mette insieme, crea unione, convivialità e condivisione, anche se
le sue reali intenzioni non sono mai esplicitate. Quella a cui dà vita, poi, non è
un’unità che omologa e appiattisce, ma complessa e prismatica, fatta del personale
contributo di ciascuno. Finita l’azione di avviare il processo virtuoso, il
personaggio si allontana per andare a innescarlo altrove. Lascia che chi ha
beneficiato del suo intervento, scoprendo in se stesso e negli altri una nuova
dimensione e nuove potenzialità, continui a camminare in quella direzione con le
sue gambe. È forse il ruolo di noi educatori e insegnanti. Detto così, il messaggio
del libro sembra assai complesso. Ma sono convinta che possa arrivare dritto al
cuore del bambino per vie più semplici, forse implicite.
Cultura La storia ha una morale implicita: il libro infatti offre diversi livelli di
interpretazione, risultando così godibile al lettore bambino come a quello adulto.
131
Non ci sono aspetti culturalmente determinati che potrebbero creare difficoltà a
studenti stranieri; forse il lessico e la natura stessa degli ingredienti che gli animali
mettono nella zuppa, ma l’ostacolo si può facilmente superare con un’adeguata
attività di pre-lettura.
Illustrazioni Il ruolo delle immagini è decisivo. Queste occupano tutto lo spazio della pagina,
dichiarando da subito la loro funzione centrale. Il testo è inserito all’interno delle
immagini stesse; nella maggioranza dei casi è collocato in alto, in modo tale che
il nero delle parole risalti sulla parete gialla della casa della gallina.
La resa grafica dei personaggi è ottima. Ad esclusione del lupo, le loro espressioni
lasciano trapelare, quindi facilmente interpretare, i loro stati d’animo e le loro
intenzioni. Anche le loro azioni sono chiare e facilmente decodificabili dai
bambini.
La funzione che l’autrice attribuisce alle immagini è tanto descrittiva quanto
interpretativa. Descrittiva, perché illustrano quanto accade: ogni sequenza
narrativa, così come ogni personaggio, sono rappresentati. Interpretativa, perché
ampliano la storia con aggiunta di dettagli e sfumature che non sono veicolati dal
testo. In questo senso il contrasto cromatico svolge una funzione decisiva.
All’esterno predominano i colori freddi: il grigio, il bianco della neve, il nero della
notte. Fuori infatti è inverno: tutto trasmette una sensazione di freddo, incertezza
e isolamento. Ciascuno degli animali sta rintanato nella propria abitazione. Dentro
casa, invece, predominano i colori caldi: il giallo della parete, il rosso del
pavimento e del fuoco acceso. Tutto trasmette una sensazione positiva e
accogliente; simbolicamente, la giusta predisposizione per il clima di unione e
condivisione che di lì a poco di verrà a creare.
Altrettanto cruciale è la resa del lupo come ‘lupo cattivo’. Le sue fattezze scarne e
puntute, il suo sguardo torvo e la mole quasi gigantesca a confronto con quella
degli altri animali ispirano da subito diffidenza e paura. Si comprende quindi come
le scelte grafiche siano necessarie all’innescarsi della suspense: il lettore dà quasi
per certo che il lupo mangerà gli animali. La gestione dell’immagine si fa in questo
modo vera e propria strategia narrativa, in quanto è funzionale alla generazione di
quei pregiudizi e di quelle aspettative che reggono tutta la macchina narrativa fino
all’inaspettato scioglimento e al disvelarsi della morale.
132
APPENDICE 13
Per chiedere Per fare inferenze sullo sviluppo Per partecipare alla lettura
spiegazioni circa una della storia e le motivazioni che
parola sconosciuta spingono i personaggi ad agire
R. [COMMENTANDO
L’ASPETTO DEL LUPO] Che
vecchio! La sua pancia sembra una
ciccia…
133
R. Beeeeh! Che cosa state facendo?
[PRONUNCIA LA FRASE CON
VOCE TREMULA A
IMITAZIONE DEL BELATO]
APPENDICE 14
Oggi prepariamo una zuppa. Prendete il cappello da cuoco. Mettevi in testa il cappello da cuoco.
Prendete il grembiule. Allacciatevi il grembiule. Prendete una pentola molto grande. Vediamo
quanto è grande? Bravi! Mettete la pentola nel lavandino. Aprite l’acqua. Riempite la pentola…
sssssssssscccchhh [RUMORE DELL’ACQUA]. La pentola è piena di acqua! Chiudete l’acqua.
Mettete la pentola sul tavolo. Attenzione è pesante! È piena di acqua… piaaano! Ok. Prendete le
verdure. Prendete un coltello e tagliate le verdure. Mettete a posto il coltello. Prendete le verdure
tagliate. Mettete le verdure dentro la pentola. Prendete la pentola. Mettete la pentola sul fornello e
accendete il fuoco, senza scottarvi. [I BAMBINI URLANO E SCUOTONO LA MANO
DOLORANTE] Eeeeh! Ho detto senza scottarvi!! Correte a mettere il dito sotto l’acqua fredda!!!
Sssssssscccch. Ok. Ora va meglio… Prendete un cucchiaio. Mescolate la zuppa. Assaggiate la zuppa.
[“BLEAH!!!!” DICONO SPONTANEAMENTE IN BAMBINI. LI ASSECONDO] Non va bene?
Manca il sale? Manca il pepe? Allora… aggiungete il sale. Aggiungete il pepe. Prendete il cucchiaio.
Mescolate. Assaggiate, ma prima soffiate bene, perché scotta! [“ADESSO VA BENE, LA ZUPPA!”
DICE R.] Adesso va bene! Prendete il mestolo e versate la minestra dentro il piatto. Buon appetito!
134
APPENDICE 15
APPENDICE 16
135
G. Lanciare pezzi.
A. Certo!
G. Carota… patata…
R. Dado.
M. Ma cosa si mette il dado?
A. Il dado si mette per fare più buona la zuppa. Ma quello è un cetriolo.
G. Cetriolo.
A. Ok. Quindi, metto le verdure tagliate nella…
TUTTI. Pentola!
M. Carota… zucchine…
G. Io voglio quella di lanciare perché è bella!
A. Bene! M.!
M. Io metto le cose tutte e metto… e dopo avevo mettato sopra il fuoco.
A. Proprio così. In quella figurina c’è: ‘Metto la pentola sul fuoco’. S., quale figura manca?
S. Quella… aspetta… R. ha scelto quella del mescolato, io ho scelto quella del tagliato… quello
del… [INDICA UNA DELLE FIGURINE]
A. Mettere le verdure nella pentola…
S. Sì… ah! Manca questo!
A. Sì! Cosa succede lì?
S. Ehm… aspetta! Allora, succede che assaggio!
A. Certo! Ma prima di assaggiare cosa faccio? Cosa fa quel mestolo lì?
S. Lo metto dentro la zuppa.
A. Esatto! Mette la zuppa dentro il piatto! Bene!
APPENDICE 17
S.
S. Prima taglio la fru… ehm,, la… le cose da mangiare. Poi si deve mettere le cose dentro la mestola,
poi si deve accucire la mestola così anche dentro, poi si deve mescolare e poi arriva la zuppa e con
il cucchiaio metto dentro al… eeeeeh… piatto.
A. Infine metto la zuppa nel piatto. Ok!
R.
R. Prima tagliare, mettere alla padella… P… O… I… [LEGGE LE LETTERE] Dopo! Numero tre:
mettere la pentola al fuoco. Poi mescolare. L’ultima mangiare.
A. Infine…
R. Infine mangiare.
G.
G. Prima tagliare frutta, dopo lanciare frutta, dopo aciare fuoco…
A. Sì, accendere il fuoco…
G. Accendere fuoco, dopo girare, dopo… [GUARDA MEGLIO IL QUADERNO E SI METTE A
LEGGERE] in…fi…ne… fatto una zuppa e dentro piatto!
A. Bravissimo!
R. Bravissimo, amico mio!
M.
M. Uno… taglio
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A. Aspetta, aspetta, usiamo queste paroline qui.
M. Prima taglio le verdure, poi metto le verdure dientro…
A. La pentola…
M. La pentola… dopo accendo il fuoco, poi accendo il fuoco… poi… e poi… [A QUESTO PUNTO
CI ACCORGIAMO CHE M., INCOLLANDOLE, HA INVERTITO LE ULTIME DUE
IMMAGINI. CI FERMIAMO PER CORREGGERE]
A. Ok, dicevamo… accendo il fuoco, e poi?
M. Mescolo, mescolo, mescolo e dopo mangio.
A. Infine mangio. Esatto!
M. Infine mangio.
APPENDICE 18
Come si preparano gli spaghetti?
TPR – Comandi forniti dall’insegnante agli alunni.
Prendete il cappello da cuoco. Mettete il cappello da cuoco. Prendete il grembiule. Allacciate il
grembiule. Prendete una grossa pentola. Mettete la pentola nel lavandino. Riempite la pentola di
acqua. Ssssssccch! È piena? È bella piena d’acqua la vostra pentola? [MI FANNO SÌ COL CAPO]
Benissimo, allora chiudete l’acqua. Prendete il sale. Mettete un po’ di sale nella pentola. Mettete la
pentola sul fuoco, senza scottarvi!!! [R.: “QUESTA VOLTA NON MI SONO SCOTTATO,
MAESTRA!” M.: “NEANCHE IO!”] Bravi. Prendete gli spaghetti. Mettete gli spaghetti nella
pentola. Prendete un cucchiaio. Mescolate. Adesso aspettate un pochino… gli spaghetti devono
cuocere. Ok. Credo siano pronti! Spegnete il fuoco. Prendete lo scolapasta. Mettete lo scolapasta nel
lavandino. Prendete la pentola. Buttate gli spaghetti nello scolapasta. Prendete lo scolapasta.
Muovetelo un pochino, l’acqua deve andare giù bene… via via tutta l’acqua!! Benissimo! Ora
mettete gli spaghetti nel piatto. Mettete sopra il sugo di pomodoro e… buon appetito!
APPENDICE 19
137
A. Oh mamma! Sul tavolo? Guarda che è pieno di buchi!! Faccio un lago sulla tavola!!! [TUTTI
RIDONO] Dove posso metterlo per non bagnare dappertutto?
R. Sssssscccchhh.
A. Esatto! Proprio lì! Ti ricordi come si chiama?
R. Lavandino!
A. Benissimo! Poi?
R. Prendo la pentola. E poi bisogna mettere gli spaghetti dentro…
A. Dentro lo…
R. Scolapasta!
A. [BATTO LE MANI]
G. Dopo tutta acqua andare giù! Dopo dentro lo piatto. Dopo faccio… pomodoro… [BATTO LE
MANI]
M. E dopo mangio!
A. Che buoni! Bravissimi!
APPENDICE 20
138
APPENDICE 21
139
A. Benissimo. Arrivano le ultime due figure. Siete pronti?
TUTTI: Siiiiiì!
A. Questa volta provate a fare tutto da soli? Non diciamo niente?
TUTTI: Siiiiiì!
[DISTRIBUISCO L’ULTIMA COPPIA DI IMMAGINI. I BAMBINI LE OSSERVANO E LE
NUMERANO]
M. Fatto!
R. Fatto!
[CONTROLLO]
A. Siete stati tutti bravissimi! Avete fatto tuuuutto giusto!
R. Perché mi stavo ricordando, maestra!
APPENDICE 22
R.
R. Prima accendo il rubinetto, metto del sale. Dopo mettere la pentola a… su fuocoo. Dopo si
mettono i spaghetti alla pentola dove c’è il fuoco. Dopo si mecola e si mette, si mette i spaghetti alla
pentola. E dopo si mette…
A. Si dice: ‘si scola la pasta’.
R. Si scola la pasta e si mette la pentola, scola la pasta e dopo…
A. Leggi bene la parolina [INDICO LA PAROLA ‘INFINE’ SUL SUO QUADERNO]
R. [SILENZIO]
A. In…
R. Infine metto il sugo e lo mangio!
M.
M. Prima accendo l’acqua e la metto dentro la pentola e dopo metto il sale. E dopo metto il sale. E
dopo accendo il fuoco e dopo aspetto un attimo. Poi metto gli spaghetti e aspetto. E dopo mescolo,
mescolo. Dopo metto l’acqua e viene fuori. E dopo… e la mangio!
G.
G. Prima [LEGGE LA PAROLA ‘PRIMA’ SUL QUADERNO] accende la acqua, sale. Dopo
[LEGGE] cende lo fuoco. Aspetta. Dopo… dopo… dopo… mettere…
A. Gli spaghetti.
G. Spaghetti. Lanciare dentro. Anche accendere fuoco. Dopo giro, mescola. Dopo mescola. Dopo…
non lo so più…
A. Scolo la pasta.
G. Scolo il pasta…
A. Sì!
G. Dopo…
A. [LO INTERROMPO] In…
G. Infine sugo, spaghettini, mangiare!!
140
APPENDICE 23
Per facilitare la lettura e l’interpretazione dei dati in ottica comparativa, i racconti dei bambini sono
stati inseriti nella seguente una tabella:
Bambini S. R. G. M.
Emozioni
Preoccupato S: Quando mi R: Il mio papà una G: Io no piace mia M: Quando la
sono fatto male volta stava guidando mamma mota. Io no mamma era
e mi arriva con la bici e dopo è piace moto. all’ospedale.
sangue dalla caduto con la bici e
mano. sussesso sangue e la A: Anch’io quando
mamma l’ha portato ero piccola avevo
A: E quando la a casa con la tanta paura che la
mamma è bicicletta. mia mamma
caduta ti sei morisse.
preoccupato per A: Allora quella
lei? volta ti sei G: Moto. Io no
preoccupato tanto? piace moto.
S: Sì, un po’.
R: Sì.
S: Ma questo è
spaventoso!
141
paura che il lupo la
R: Ah! Ha paura
mangiasse! della sua mamma.
Non devi avere
Tu quando sei paura perché le
triste? mamme non fanno
R: Quando qualcuno niente, sono gentili
non mi fa giocare. coi figli!
G: Mia mamma no
gentili… Maestra,
però mia mamma
voglio io più bravo
di tutti però io non
lo so niente.
G: Cane… pecora…
mucca… ape…
dopo, mela… dopo,
macchina… dopo…
A: Anche io sono
felice con voi,
TANTISSIMO!!!
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una cosa bella fanno la torta e dopo ancora lavorare, via, quaderni, le
che non ti dici “sorpresa!”. dopo uccellino matite, i colori…
aspetti. Quando andare a casa topo, e io ero sorpresa.
sei sorpreso? A: E tu che faccia dopo toc toc, dopo
fai? dice… si chiama
S: Non lo so, Filippo… vai
perché non R: [ASSUME
sono mai così UN’ESPRESSIONE vecchio casa
SORPRESA abandunata. Dopo:
tanto sorpresa!!!
spaventato. Lo SPALANCANDO
faccio solo GLI OCCHI E LA A: Bravissimo!!
quando BOCCA] Prova a fare una
qualcuno vuole S: Vorrei dire una faccia sorpresa…
che si diverta a cosa: R, non è solo
spaventare gli G: Aaaaaah!
regali e torta, è [SPALANCA LA
altri e faccio anche condividere.
finta che sono BOCCA ED
spaventato e EMETTE UN
invece non sono SUONO
spaventato. ASPIRATO CHE
SEMBRA UNA
‘A’]
M: Quando dici
“Quando viene la
maestra Giulia,
143
quando viene la
maestra Giulia,
quando viene la
maestra Giulia?”
[RIDE]
* M: Quando la mia mamma e il mio papà sono a casa e anch’io sono a casa e vengono i ladri sulla
mia casa. E siamo spaventati.
R: Sì, anch’io! Ma noi ce l’abbiamo una pistola e quando arrivano i ladri il mio papà fa BUM! BUM!
M: Sai, in Libia ci sono i ladri e fanno tantissima paura! Una volta il mio nonno… ma non è il mio
nonno, è un nostro amico e ce l’ha il suo bambino come te, grande. E dopo da mattina era andato
fuori e dopo da notte abbiamo fatto sapere quella cosa qua che hanno preso li ladri. Dopo la mia
cugina, no scusa, la mia zia, dopo abbiamo fatto sapere e dopo la mia zia mi ha… ha chiamato la
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mia mamma e dopo sono spaventata. E dopo ha stato dieci giorni là. E dopo hanno messo il sale
sulla bocca e c’era e…er…era un cassetto di sale e di piccante, c’erano li uccelli dentro, serpenti, e
c’erano tutti animali e… e… e… hanno messo sopra su… su… sulla bocca e dopo sono andati dentro
la bocca e dopo, e dopo e dopo era meglio e dopo e dopo hanno detto di darli i soldi… mille mille
milioni tanti che di mille mile e dopo… mille soldi!
E dopo noi abbiamo paura che sennò se andiamo anche noi ci fanno male anche noi. E però noi non
siamo andati, e dopo siamo dormiti e dopo abbiamo portati noi là… perché sennò loro sono
spaventati. E dopo noi abbiamo fatto la pasta… era così buona, erano tanti, era una pentola così
[APRE LE BRACCIA PER SUGGERIRE UNA MISURA GRANDE]. Dopo siamo andati e dopo
abbiamo mangiato e dopo un altro giorno c’è un’altra cosa e un ladro era là e dopo hanno preso la
polizia, lui però non ha fatto male a lui, e dopo altri ladri erano andati fuori a fare la spesa e dopo la
polizia aveva la pistola per fortuna e dopo uno era morto, il ladro – è… è bravo la punizione! – e
dopo, dopo, da notte noi siamo andati a prendere.
APPENDICE 24
145