Identità Diacronica - Ontologica - Nave Teseo

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Rivista Italiana di Filosofia Analitica Junior 5:2 (2014)

ISSN 2037-4445 CC http://www.rifanalitica.it


Patrocinata dalla Società Italiana di Filosofia Analitica

L’ IDENTITÀ DIACRONICA FRA ONTOLOGIA E METAFISICA


Francesco Franda

A BSTRACT. In questo articolo mi occuperò del problema dell’identità diacronica,


che riguarda l’identità di un ente nello stesso luogo o in diversi luoghi in tempi
diversi. L’intento dell’articolo non è di trovare un possibile criterio per stabilire
l’identità o meno di un oggetto nel tempo, bensì di capire se questo problema sia
di pertinenza dell’ontologia, intesa come quella parte della filosofia che si occupa
di rispondere alla domanda «che cosa c’è?», oppure della metafisica, intesa come
quella parte della filosofia che si occupa di rispondere alla domanda «che cosa è?».
Di primo acchito sembra che sia la metafisica a doversene occupare, ma attraver-
so l’esame delle teorie metafisiche tridimensionaliste e quadridimensionaliste, e di
quella sequenzialista, a metà fra ontologia e metafisica, cercherò di mostrare come
le cose stiano diversamente: la tesi qui sostenuta è che sia la metafisica che l’on-
tologia sono rilevanti nella questione dell’identità diacronica, ma che l’ontologia è
in questo caso prioritaria rispetto alla metafisica.

K EYWORDS. Identità diacronica, ontologia, metafisica, tridimensionalismo, qua-


dridimensionalismo, sequenzialismo.

C OPYRIGHT. 2014 Francesco Franda. Pubblicato in Italia. Alcuni diritti


C
CC BY: $
\

riservati.
A UTORE. Francesco Franda. [email protected].
R ICEVUTO. 27 febbraio 2014. A CCETTATO. 20 settembre 2014.
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1 Introduzione
Nella filosofia analitica contemporanea si è soliti distinguere fra ontologia e metafisica, se-
condo i relativi compiti di ciascuna. Seguendo questa distinzione resa popolare in particolare
a partire da Quine (1948), l’ontologia è quel ramo della filosofia che si occupa di rispondere
alla domanda «che cosa esiste?», a stilare cioè un inventario degli oggetti che fanno parte del
mondo, siano essi fisici o ideali, mentre la metafisica risponde alla domanda «che cosa è?», e
indaga quindi la natura ultima di ciò che vi è. Queste due parti della filosofia, nonostante
si continui a discutere su quale delle due debba precedere l’altra (cfr. (Varzi, 2003) e (Varzi,
2011)), si occupano di due ambiti complementari1 .
A ridosso dell’ontologia e della metafisica si staglia un antico problema riguardante l’i-
dentità di un oggetto o di un evento nel tempo, la cosiddetta identità diacronica, la quale
va distinta da quella sincronica. Quest’ultima riguarda l’identità di enti che si trovano nello
stesso luogo allo stesso tempo, mentre l’identità diacronica riguarda l’identità di un ente nello
stesso luogo o in diversi luoghi in tempi diversi.
Si potrebbe affrontare la questione dell’identità nel tempo guardando agli oggetti che po-
polano la nostra vita di ogni giorno, noi stessi compresi. Per esempio, il computer col quale
sto scrivendo questo paper è lo stesso computer di ieri? La scrivania sulla quale sto lavorando
è la stessa scrivania che ho spostato dallo studio alla mia camera? Il bambino che vedo in una
vecchia fotografia e riconosco come ‘me’ è la stessa persona che sono oggi? Lo stesso discorso
vale anche per gli eventi: possiamo per esempio chiederci se stiamo assistendo al primo o al
secondo tempo di una certa partita di calcio. Sembrano domande banali e poco interessanti,
alle quali nella maggior parte dei casi risponderemmo senza esitazione; eppure come faccia-
mo a sapere che le cose rimangono le stesse nonostante cambino nel tempo?2 O al contrario,
in base a cosa diciamo che una cosa non è più la stessa? Il riconoscere le cose come le stesse
nel corso del tempo è per l’uomo un’attività necessaria da un punto di vista pratico, ma se
guardiamo un po’ più a fondo ci accorgiamo che il criterio col quale giudichiamo identica una
certa cosa nel tempo non è affatto preciso. Paradossi antichi e moderni ci mettono di fronte a
questo problema.
Lo scopo del paper non è ricercare un possibile criterio di identità diacronica, bensì di
stabilire se questo problema sia di pertinenza dell’ontologia o della metafisica, come sopra
definite. La tesi che intendo sostenere è che la principale differenza fra i sistemi metafisi-
ci impegnati nella soluzione del problema dell’identità diacronica stia nella diversità delle
basi ontologiche su cui poggiano: per questo il problema dell’identità nel tempo è una que-
stione riguardante entrambe le discipline, ma di cui prima dovrebbe occuparsi l’ontologia e
1 In certi autori che sostengono la priorità della metafisica sulla ontologia (per esempio Meinong e Chisholm), i

due termini sono invertiti, cioè la ‘metafisica’ si occupa di rispondere alla domanda sul «che cosa c’è», mentre ciò
che chiamano ‘ontologia’ (nel caso di Meinong è chiamata ‘Teoria dell’oggetto’) risponde a quella sul «che cos’è». La
differenza è solamente terminologica e quindi la distinzione non muta (cfr. Varzi, 2005, p. 18).
2 Si potrebbe far notare che certamente il cambiamento e il tempo sono due nozioni intrinsecamente connesse,

nel senso che non c’è cambiamento se non nel tempo, e però non necessariamente. È difficile immaginare che gli
oggetti fisici del nostro mondo non mutino anche solo minimamente ad ogni istante, ma potremmo pensare ad un
mondo possibile nel quale le cose non mutano in alcun modo, nonostante il trascorrere del tempo. È una posizione
comunque problematica perché si potrebbe obiettare che senza cambiamento non abbiamo neanche a che fare col
’tempo’ oppure che solo apparentemente gli oggetti materiali in questo mondo non cambierebbero: in realtà, infatti,
si potrebbe sostenere che hanno la proprietà relazionale di ‘essere all’istante t1 ’, di ‘essere all’istante t2 ’, ecc. Sorvo-
liamo comunque su questa difficoltà e assumiamo che gli oggetti materiali, almeno nel nostro mondo, cambino nel
tempo.
Per una nozione alternativa e più ampia di cambiamento, che non sia solo temporale, ma anche spaziale vedi
(Taylor, 1955, pp. 602–603).
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solo in seguito la metafisica. Questa tesi avvalorerebbe inoltre la visione dell’ontologia co-
me prioritaria rispetto alla metafisica e sarebbe anche un buon punto di partenza in vista di
un’eventuale formulazione di un criterio di identità nel tempo.
Come casi problematici di identità nel tempo verranno presi ad esempio tre antichi puzzle:
il rompicapo di Dione e Teone, il «paradosso del sorite» e il «paradosso della nave di Teseo».

2 Paradossi antichi e problemi moderni


Il paradosso di Dione e Teone è presentato dallo stoico Crisippo di Soli nello scritto andato
perduto Sull’argomento crescente, e di cui ci rimane una testimonianza importante nell’ope-
ra Sull’eternità del mondo di Filone di Alessandria (cfr. Philo., Aet. Mundi 48 = SVF 2.397),
pensatore ebreo polemico nei confronti del filosofo stoico. Il puzzle è costruito da Crisippo per
rispondere al cosiddetto ‘argomento crescente’, secondo il quale, dato che se ad un numero ne
aggiungiamo un altro tale numero non è più lo stesso, analogamente se si aggiunge o si toglie
una parte di un oggetto, questo non rimane più lo stesso. L’argomento si trova in una comme-
dia di Epicarmo (cfr. Epich. 23B1 DK ap. D.L. III 11) ed è ripreso dagli accademici contro gli
stoici (cfr. Plu. Comm. not. 44, 1083AB e 1083BC), ma in questa sede non ci interessa più di
tanto il quadro della polemica fra stoici e accademici intorno all’argomento crescente, quanto
il rompicapo proposto da Crisippo in risposta3 .
Prendiamo un tavolo4 , chiamiamolo Alfa, e chiamiamo Beta la parte propria di Alfa com-
posta da ogni sua parte eccetto che per una molecola. È pacifico che Alfa e Beta non siano
la stessa cosa, bensì due cose distinte, poiché occupano allo stesso tempo porzioni diverse di
spazio. Supponiamo ora che ad Alfa venga sottratta quella molecola che non fa parte di Beta:
chiunque accetterebbe che Alfa continui ad essere lo stesso tavolo anche in seguito a un cam-
biamento minimo come questo. Ora però, Alfa e Beta vengono a coincidere, dato che Alfa si
ritrova ad occupare lo stesso identico spazio di Beta, e siamo quindi costretti ad ammettere o
che Alfa e Beta siano la stessa cosa, il che è in contraddizione con la premessa secondo la qua-
le Alfa e Beta sono due cose distinte, oppure che uno dei due oggetti, o Alfa o Beta, scompaia
in seguito alla sottrazione della molecola. Ma quale dei due? E perché5 ?
3 Per un quadro esaustivo dell’argomento crescente e del concetto di identità per gli stoici rimando all’ottimo
(Sedley, 1982) e a (Long e Sedley, 1987). Wiggins (1968) pone in esame un caso analogo nel suo articolo, attribuendo
il paradosso a Peter Geach, il quale a sua volta lo fa risalire a Guglielmo di Sherwood.
4 Modifichiamo un po’ la versione originale del paradosso, riguardante due ‘individui’ chiamati Dione e Teone, per

evitare di sfiorare il problema ancor più delicato dell’identità personale nel tempo. Il paradosso stoico presentava
Teone come la parte propria di Dione composta da ogni sua parte eccetto che per un piede.
5 La soluzione che Crisippo dà al paradosso è una vera a propria risposta alla domanda su chi sopravviva fra

Dione e Teone in seguito all’amputazione del piede, e non, come vedremo più avanti, una ‘dissoluzione’ del problema
che abbiamo adottando il punto di vista quadridimensionalista o sequenzialista, che non impone una scelta fra la
sopravvivenza di Alfa o Beta. Secondo Crisippo a sopravvivere è Dione perché alla domanda «Il piede di chi è stato
amputato?» l’unica risposta possibile è «Quello di Dione», perché Teone non può averlo perso, non avendolo mai avuto
(la testimonianza sulle ragioni della risposta di Crisippo non è sufficientemente chiara e questa ricostruzione è di
Sedley, 1982, p. 269). Nell’intento di Crisippo il paradosso di Dione e Teone ribalta la tesi dell’argomento crescente:
i processi di aumento e di diminuzione materiale, lungi dall’essere in realtà processi di ‘generazione’ e ‘corruzione’
nei quali un certo ente si trasforma in qualcos’altro, sono al contrario condizioni dell’identità nel tempo.
«According to the Growing Argument, material growth and diminution are fatal to any idea of enduring
identity. By way of counterexample, Chrysippus borrows the Growing Argument’s own presuppositions
to concoct an instance in which material diminution is actually a condition of enduring identity: the
undiminished Theon perishes, while it is the diminished Dion who survives». (Sedley, 1982, p. 270)
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Il paradosso del sorite, noto anche come «paradosso del mucchio», si deve invece a Eubulide
di Mileto, filosofo del IV secolo a.C. appartenente alla scuola megarica (cfr. Dominic, 2011).
Nella sua forma originaria il paradosso riguarda il concetto di ‘mucchio’ e pone la questione di
stabilire quanti chicchi di grano siano necessari per formare un mucchio. Chiedendosi questo
si interroga anche sulla reale possibilità di stabilire una quantità del genere. Il paradosso
verrà qui leggermente modificato perché, se nella sua forma originaria riguardava il formarsi
di un qualcosa, a noi interessa invece il persistere di un qualcosa nel tempo. In questo senso
si vedrà come questo paradosso sia per molti aspetti, ma non totalmente, analogo a quello
della nave di Teseo.
Prendiamo ancora un oggetto come un tavolo. Se noi togliessimo a questo tavolo una
sola molecola, penseremmo ancora che questo sia un tavolo? Attenendoci al senso comune
risponderemmo di sì senza alcuna esitazione, e accetteremmo dunque il fatto che la rimozione
di un’unica molecola dal tavolo non influisca sul suo essere ancora un tavolo; ma se accettiamo
questo dobbiamo anche accettare che, tolta un’altra molecola, ne possiamo togliere un’altra
e poi un’altra ancora. . . fino a concludere che per un numero qualsiasi di molecole il tavolo
rimarrà sempre tale, il che non è possibile. Togliendo un certo numero di molecole potrebbe
per esempio rimanere solo una gamba del tavolo, che evidentemente non è un tavolo.
È sempre su questo tipo di identità che gioca anche il paradosso della nave di Teseo6 ,
presente in Plutarco, e poi successivamente ripreso e modificato in età moderna da Thomas
Hobbes. Nella Vita di Teseo Plutarco racconta cosa fecero gli ateniesi della nave del mitico
eroe:

La nave sulla quale Teseo aveva compiuto la traversata ed era tornato indietro con
i giovani sani e salvi, una nave a trenta remi, gli Ateniesi la conservarono fino ai
tempi di Demetrio Falereo, eliminando le vecchie assi di legno, sostituendole con
altre solide e inserendole in modo tale che per i filosofi la nave costituisce un buon
esempio per ragionare sul discorso della crescita7 ; c’è infatti chi sostiene che la
nave sia rimasta la stessa, chi invece lo nega. (Plutarco, Thes. XXIII 1)

Hobbes, nell’undicesimo capitolo del De corpore, riprende l’antico paradosso e lo complica nel
quadro di una discussione intorno al fondamento del ‘principio di individuazione’, chiedendosi
se esso consista nell’unità della materia, della forma o dell’unità di tutti gli accidenti. Hobbes,
assumendo l’ipotesi della forma per poterla confutare, amplia il paradosso della nave di Teseo
aggiungendo che

[. . . ] se qualcuno avesse conservato le vecchie tavole, nell’ordine in cui venivano


tolte e, conservatele e rimessele nello stesso ordine dopo, avesse rifatto la nave, non
c’è dubbio che questa sarebbe stata, numericamente, la stessa che fu al principio,
cioè avremmo avuto due navi identiche, la qual cosa è del tutto assurda [traduzione
lievemente modificata]. (Hobbes, De corpore, XI 7)

Riprendendo a nostra volta il paradosso della nave di Teseo nella versione di Hobbes, ci chie-
deremo, indipendentemente dal principio di individuazione nella forma: quale delle due navi
è quella di partenza, la nave di Teseo?
6 Per una discussione del paradosso vedi il capitolo III «Identity through Time» di Person and Object. A

Metaphysical Study di Chisholm (1976, pp. 89–113).


7 Il «discorso della crescita» è il sopracitato «argomento crescente».
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3 Risposte metafisiche
Si potrebbe pensare di dipanare questa matassa filosofica grazie ad una risposta di carattere
metafisico, per come è stata definita sopra questa parte della filosofia, e cioè determinando
la natura di certe entità, per esempio degli oggetti materiali come la nave di Teseo e un
qualsiasi tavolo. Intuitivamente il tipo di risposta ‘metafisico’ sembra sia il più adatto a dare
una soluzione al problema dell’identità nel tempo: sapere che cosa è un oggetto fisico può
aiutarci a sapere come reidentificare un certo oggetto fisico nel tempo.
Prendiamo allora in considerazione tre fra le più importanti teorie metafisiche contempo-
ranee: il tridimensionalismo, il quadridimensionalismo e il sequenzialismo8 .

3.1 Tridimensionalismo
La concezione tridimensionalista risale ad Aristotele e ha avuto moltissimi sostenitori nel
corso del XX secolo e ancora oggi, anche se per molti si tratta di fatto di una esplicitazione di
una nozione del senso comune. Il filosofo tridimensionalista sostiene che gli oggetti materiali
si estendono secondo le tre dimensioni dello spazio e che quindi persistono nel tempo poiché
permangono nel tempo; la teoria è nota anche come ‘endurantismo’ (dall’inglese to endure,
appunto ‘permanere’)9 .
Cerchiamo ora di sciogliere i paradossi attraverso la concezione tridimensionalista, par-
tendo dal rompicapo elaborato da Crisippo. Accostandoci al problema però, notiamo fin
da subito che in questo caso il tridimensionalismo non sembra venirci incontro, ma pare
al contrario che il paradosso funzioni proprio perché pensato all’interno di una concezione
endurantista. Vediamo ora il perché.
Riprendiamo in considerazione ciò che riteniamo vero riguardo ad Alfa e a Beta prima
della scomparsa della molecola:

(1) Alfa e Beta sono due oggetti diversi.

Dopo che la molecola non è più in Alfa saremmo comunque disposti a credere che questo sia
lo stesso tavolo e che quindi

(2) Alfa è lo stesso oggetto dopo la perdita della molecola.

A questo punto però, dato che secondo la concezione tridimensionalista un oggetto è tale in
quanto si estende nelle tre dimensioni, Alfa e Beta vengono a coincidere, perché occupano la
stessa identica regione di spazio nello stesso istante. Quindi il tridimensionalista a questo
punto dovrebbe ritenere vero il seguente enunciato:

(3) Alfa e Beta sono lo stesso oggetto.

Ma (3) è in palese contraddizione con (1) e quindi il tridimensionalista è costretto o ad asserire


che Alfa e Beta siano sempre stati lo stesso oggetto, opzione che va scartata perché assurda,
oppure ad ammettere che o Alfa o Beta ‘svanisca’ in seguito alla sottrazione della molecola.
Si potrebbe optare per l’ipotesi secondo la quale è Beta a non sopravvivere se pensiamo
che Beta non sia rimasto in realtà indenne dalla perdita dalla molecola, perché ne era at-
taccata e in seguito la separazione «ne ha modificato la topologia complessiva» (Varzi, 2001,
8 Sider (2000) offre una estesa bibliografia su questi temi e più in generale sul problema dell’identità diacronica.
9 La terminologia è di David Lewis che nella sezione 4.2 «Against Overlap» di On the Plurality of Worlds scrive
«Let us say that something persists iff, somehow or other, it exists at various times; this is the neutral word. [. . . ]
[something] endures iff it persists by being wholly present at more than one time» (Lewis, 1986, p. 202). Vedi infra
per la terminologia quadridimensionalista di Lewis.
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p. 114). Questa è in fondo la soluzione di Crisippo, che contiene però la premessa implicita
che una modifica unicamente relazionale, il tipo di cambiamento conosciuto come Cambridge
change, sia metafisicamente decisiva, e si tratta di una premessa non immediata da accettare
e che anzi è stata contestata10 . Oppure si potrebbe dire che è Alfa a non sopravvivere: Beta
c’è ancora perché non ha subito alcuna modifica (quella relazionale è quindi ininfluente in
questo caso), mentre Alfa non sopravvive perché ha perso una sua parte. Questa soluzione
lontana dal senso comune presuppone quello che Chisholm (1973) chiama «essenzialismo me-
reologico», secondo il quale se un oggetto perde anche una sola parte, questo cessa di esistere.
Torneremo su questo punto più avanti parlando del sequenzialismo11 .
Il tridimensionalista non se la cava meglio col paradosso di Eubulide. Infatti, abbiamo
visto che qualora si creda che togliendo una molecola dal tavolo si abbia ancora lo stesso
tavolo, allora si ritengono vere le seguenti proposizioni:

(4) Tolta una molecola abbiamo ancora un tavolo.

(5) Per ogni n, se dopo aver tolto n molecole abbiamo ancora un tavolo, allora anche toglien-
do n + 1 molecole abbiamo ancora un tavolo.

Ma ponendo k uguale al numero di molecole tale che, se tolte in un certo modo, resta
solo una gamba del tavolo, la conseguenza possibile delle precedenti proposizioni è accettare
anche la seguente proposizione:

(6) Tolto un numero k di molecole dal tavolo abbiamo ancora un tavolo.

Questa è una proposizione che vorremmo negare, ma che siamo però costretti ad ammettere
come conseguenza logica di (4) e (5). Anche questo paradosso è di fatto pensato all’interno
di una prospettiva tridimensionalista: supponendo che ad ogni istante t venga rimossa una
molecola, avremo il tavolo iniziale all’istante t1 uguale al tavolo all’istante t2 in cui viene sot-
tratta una molecola, e così via fino all’istante tn in cui avremo solo una gamba del tavolo, ma,
per la proprietà transitiva dell’identità, saremo costretti ad asserire che il tavolo all’istante
tn è identico al tavolo all’istante t1 , il quale è persistito permanendo (secondo la terminolo-
gia tridimensionalista lewisiana) nel tempo fino all’istante tn in cui è però rimasta solo una
gamba del tavolo.
Per quanto riguarda il paradosso della nave di Teseo il problema è simile, ma non è lo
stesso come sostiene invece Varzi, secondo il quale

può essere visto come una versione diacronica del paradosso del mucchio. Chi ri-
tiene che la nave sopravviverà alla rimozione della prima tavola dello scafo riterrà
che la nave sopravviva anche alla rimozione della seconda tavola. Ma allora so-
pravviverà anche alla rimozione della terza tavola. . . C’è forse un numero n tale
che la rimozione di n tavole non intacca l’identità della nave mentre la rimozione
della n + 1-esima tavola cambia tutto? (Varzi, 2001, p. 140)

Infatti, anche se modificassimo il paradosso come sopra (perché nella versione originale di
Plutarco come in quella di Hobbes ci si interroga sulla identità delle navi solo alla fine del
processo di sostituzione delle parti), avremmo comunque una differenza che risiede nel fatto
che nel paradosso di Eubulide ci si chiede se il tavolo in questione sia ancora un tavolo,
mentre nel paradosso della nave di Teseo la domanda è se la nave alla fine del processo di
10 Per una critica di tale premessa vedi (Denkel, 1995).
11 Per la discussione delle due opzioni vedi (Varzi, 2001, pp. 114–115).
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sostituzione delle assi di legno sia ancora la nave di Teseo. Utilizzando la terminologia della
teoria dei ‘sortali’, nel primo problema ci si chiede se una certa cosa sia ancora di una certa
sorta, la quale in tal caso è il tavolo, domanda alla quale si può rispondere indicando quali
tratti essenziali deve perdere per non appartenere più a una sorta12 . Nel paradosso riportato
da Plutarco, invece, sappiamo che la nave di partenza, quella di Teseo, è della stessa sorta
dell’oggetto finale con tutte le assi di legno sostituite: entrambi gli oggetti sono navi. Ciò
che ci si chiede è se la nave così modificata sia la stessa nave sulla quale Teseo viaggiò secoli
prima oppure, nella versione del paradosso fornita da Hobbes, se quest’ultima sia identica
alla nave ricostruita coi vecchi pezzi di legno scartati.
In ogni caso di fronte al paradosso della nave di Teseo il tridimensionalismo non fornisce di
per sé una soluzione: o si sceglie il principio di continuità spazio-temporale e si indica la nave
ricostruita con nuovi pezzi come la nave di Teseo, oppure ci si appella all’identità materiale
fra la nave di Teseo e quella ricostruita coi vecchi pezzi. Oppure si potrebbe anche pensare
che c’è stata una ‘scissione’ che ha dato luogo a due nuove navi diverse dalla iniziale nave di
Teseo13 . Ma ad ogni modo il tridimensionalismo si rivela di per sé insufficiente per risolvere
il paradosso. Vediamo a questo punto se possiamo trovare utile il quadridimensionalismo.

3.2 Quadridimensionalismo
Il quadridimensionalismo è una teoria molto più recente del tridimensionalismo e che ha in-
contrato molto successo nel corso del XX secolo, anche perché ben si adatta a certi sviluppi
della fisica contemporanea come la teoria della relatività. Secondo il filosofo quadridimen-
sionalista gli oggetti concreti possiedono non solo una estensione spaziale, ma anche una
temporale: gli oggetti rimangono nel tempo perché si protraggono nel tempo. La teoria è nota
anche come ‘perdurantismo’ (dall’inglese to perdure, appunto ‘protrarsi’)14 .
La teoria quadridimensionalista si rivela efficace nel caso del rompicapo di Crisippo, in
quanto il quadridimensionalista non sarà costretto come il tridimensionalista ad accettare la
proposizione (3) secondo la quale Alfa, dopo che gli è stata sottratta una molecola, è identico
a Beta, bensì dirà che

(1) Al momento t1 , nel quale ad Alfa è sottratta una molecola, abbiamo solo una parte
spazio-temporale dell’oggetto Alfa nella sua interezza.

(2) Al momento t1 , nel quale ad Alfa è sottratta una molecola, abbiamo solo una parte
spazio- temporale dell’oggetto Beta nella sua interezza.

L’espressione sulla quale occorre porre l’attenzione è «nella sua interezza»; per un tridi-
mensionalista, quando ci troviamo in un certo istante davanti ad un certo oggetto, lo abbiamo
di fronte nella sua interezza, siccome si estende solo secondo le tre dimensioni dello spazio.
Per un quadridimensionalista invece, non ci troviamo mai di fronte ad un oggetto nella sua
12 «[. . . ] questa concezione occupa una posizione di rilievo nella letteratura recente, soprattutto sulla scorta dei

lavori di filosofi come Peter Strawson e David Wiggins. L’idea è che ogni cosa sia un qualcosa, cioè una cosa di
qualche sorta, è che la sorta di appartenenza ne determini le condizioni di identità (sia essa una sorta naturale,
come in Platone, o un semplice artefatto)» (Varzi, 2001, p. 87).
13 Cfr. (Chisholm, 1976, pp. 140–141 della trad. it.).
14 Anche in questo caso questa terminologia è presa da Lewis: «Something perdures iff it persists by having diffe-

rent temporal parts, or stages, at different times, though no one part of it is wholly present at more than one time
[. . . ]» (Lewis, 1986, p. 202). Il perdurantismo è sostenuto da Lewis stesso, ma per la prima formulazione completa
del quadridimensionalismo vedi (Quine, 1950).
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interezza, perché quest’ultima è sì data dalla sua estensione nello spazio, ma anche dall’e-
stensione nel tempo. Noi abbiamo solo a che fare con parti di oggetti, i quali finiscono per
essere solo eventi particolarmente lunghi; come scrisse Goodman: «una cosa è un evento
monotono [. . . ]» (Goodman, 1951, p. 415).
Il problema è così risolto siccome non si potrà dire né che Alfa senza una molecola è
identico ad Alfa con la molecola, né che non lo è, ma si affermerà invece che si tratta di
due parti spazio-temporalmente diverse dello stesso tavolo, mentre Alfa e Beta, avendo parti
spazio-temporali diverse, sono per forza due oggetti diversi.
Passando al paradosso del sorite ci troviamo già in difficoltà. Seguendo la teoria quadri-
dimensionalista non diremo più che allo stesso tavolo vengono sottratte progressivamente
n + 1 molecole, ma che diverse parti spazio-temporali del tavolo vengono modificate togliendo
ad esse n + 1 molecole. Vediamo come il problema, a questo punto, sia solamente rimanda-
to. Non si accetteranno le proposizioni tridimensionaliste (4), (5) e (6), ma la sostanza non
cambia se le traduciamo ‘quadridimensionalmente’ nella maniera seguente:

(3) Tolta una molecola abbiamo ancora una parte spazio-temporale del tavolo.

(4) Per ogni n, se dopo aver tolto n molecole abbiamo ancora una parte spazio-temporale del
tavolo, allora anche togliendo n+1 molecole abbiamo ancora una parte spazio-temporale
del tavolo.

E ponendo k uguale al numero di molecole tale che, se tolte in un certo modo, ci rimane solo
la gamba del tavolo, l’enunciato del perdurantista sarà:

(5) Tolto un numero k di molecole abbiamo ancora una parte spazio-temporale del tavolo.

Non affermiamo più che la gamba del tavolo è ancora un tavolo, ma che questa è una parte
spazio-temporale di questo, il che è assurdo: non stiamo infatti affermando che la gamba
del tavolo è una parte dell’oggetto ‘tavolo’ dal momento in cui questo è composto da tutte le
parti che lo rendono tale (le gambe insieme all’asse che funge da superficie), perché in questo
caso ci riferiamo solo ad una parte necessaria per l’esistenza del tavolo, ma stiamo asserendo
invece che la gamba del tavolo senza il resto è una parte spazio-temporale di questo tavolo,
cosa impossibile perché significherebbe dire che la gamba è parte di un certo tipo di oggetto
che non è più tale.
Anche nel caso della nave di Teseo pare che il problema rimanga insoluto sia che si sposi
la tesi tridimensionalista che quella quadridimensionalista. Infatti, che si parli della stessa
nave che permane nel tempo malgrado le modifiche, o che si parli delle varie parti spazio-
temporali della nave la quale si protrae nel tempo, questo non ci aiuta a stabilire quale delle
due navi sia quella di Teseo. Che questo problema di vaghezza sia metafisico o semantico non
ci interessa molto qui: ciò che ci preme sottolineare è che il quadridimensionalismo non ci è
più di aiuto.

3.3 Sequenzialismo
C’è un’altra teoria metafisica, meno nota e più radicale delle due precedenti, che potrebbe
aiutarci nella soluzione di tutti questi paradossi: il sequenzialismo. Secondo Varzi, il quale
abbraccia questa teoria, una certa forma di sequenzialismo era già presente in Malebranche
e negli scritti dei grammatici di Port-Royal. Il sequenzialista sostiene che gli oggetti mate-
riali siano in realtà sequenze di entità più fondamentali tutte diverse le une dalle altre ad
ogni istante, e che è solo il nostro apparato concettuale unificatore a mettere insieme queste
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entità primarie secondo quelle sequenze che Chisholm (1976) chiama entia per alio o entia
successiva.

[. . . ] il sequenzialista traccerà una distinzione netta tra entità fondamentali, o


primarie (come le masse d’acque che salgono e scendono), e entità in qualche modo
secondarie, costituite da successioni di entità primarie (le onde). (Varzi, 2001,
p. 126)

Nella sua forma radicale, che considera la maggior parte degli oggetti attorno a noi come
entità secondarie la cui individualità è frutto di una costruzione cognitiva continua, questo
punto di vista scioglie tutti i paradossi fin qui esaminati. Smettiamo infatti di domandarci se
il tavolo Alfa sia identico a Beta nel caso del rompicapo di Crisippo, fino a che punto il tavolo
sia ancora un tavolo nel caso del paradosso di Eubulide e quale delle due navi sia quella
del mitico re di Atene nel caso del paradosso della nave di Teseo, perché quelle cose che noi
chiamiamo ‘tavoli’, ‘navi’, ‘case’ e ‘libri’ sono in realtà entia successiva, che però noi percepiamo
come oggetti dotati di una propria individualità e indipendenza. Questo implica anche una
revisione radicale del linguaggio in quanto i nomi non indicano più qualcosa di determinato
e invece «continuano ad aggiornare il proprio referente» (Varzi, 2001, p. 124): alla fine per il
sequenzialista le questioni intorno alla vaghezza diventano piuttosto irrilevanti.
Secondo una certa versione del sequenzialismo come quella di Sider (1996), che chiama
«teoria degli stadi», anche le persone non sono altro che entia successiva. Questa posizione
non è condivisa da Chisholm, le cui tesi comunque non sono esattamente sequenzialiste. La
teoria che Chisholm sostiene è, come si è visto sopra, l’«essenzialismo mereologico», secondo
cui è sufficiente un qualsiasi cambiamento mereologico di un oggetto perché questo non sia
più lo stesso; allo stesso tempo però, Chisholm sembra ammettere la possibilità, senza fornire
però esempi, di un cambiamento che non è mereologico e quindi sostanziale15 .
A differenza della posizione sequenzialista secondo la quale abbiamo a che fare con diversi
oggetti ad ogni istante, per Chisholm invece un oggetto può rimanere lo stesso nel corso del
tempo purché non subisca un qualsivoglia cambiamento mereologico (e per quanto riguarda
le persone un cambiamento sostanziale non avviene tout court).
È evidente però quanto l’essenzialismo mereologico si avvicini al sequenzialismo come
sopra descritto. Decisiva e fondamentale per il sequenzialista è la distinzione che Chisholm
pone fra una nozione di identità «stretta e filosofica» e una «ampia e popolare» (Chisholm,
1976) che il filosofo attribuisce a Thomas Butler nel suo L’analogia della religione: per un
essenzialista mereologico non è possibile che un oggetto cambi mereologicamente e rimanga
lo stesso in senso «stretto e filosofico», ma si può parlare di una nozione «ampia e popolare» e
quindi di un certo modo di persistenza per quanto riguarda le entità secondarie costituite dal
nostro apparato concettuale:

To say that a thing persists through a given period of time in the strict and phi-
losophical sense is to say (i) that the thing exists at every moment within that
period of time and (ii) that the thing is a primary object [. . . ] But to say that a
thing persists through a given period of time only in a loose and popular sense is
to say (i) that the thing exists at every moment within that period of time and (ii)
15 «We may take note, in passing, of this interesting metaphysical question: can there be any change without there
being mereological change? Of course, everything changes if anything changes, but can anything change if nothing
undergoes mereological change? I suggest that the answer to this is “Yes”. It is possible, surely, for me to think
now of this and now of that without it being the case that I or any other thing undergoes any mereological change».
(Chisholm, 1975, p. 482).
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that it is not a primary object. And therefore it is one thing to persist only in a
loose and popular sense and quite another to persist in the strict and philosophical
sense. (Chisholm, 1973, p. 603)

È evidente che questa distinzione fra due nozioni di identità e fra enti primari e non pri-
mari torna utile anche per il sequenzialista vero e proprio, ed è proprio ciò che Sider fa nel
difendere la sua «teoria degli stadi», seppure in termini diversi16 .
Come è evidente il sequenzialismo è una posizione decisamente distante dal senso comu-
ne, anche più del quadridimensionalismo, ma questo non per forza costituisce un punto debole
in filosofia. Il problema è un altro: quali sono le entità fondamentali o primarie? Particelle
subatomiche o un tipo di entità più grandi? Difficile stabilirlo. Inoltre, nella sua versione
estrema, che nega l’esistenza di un qualcosa come una ‘persona’ va incontro all’obiezione di
Kant riguardo alla teoria sequenzialista di Hume e Reid che all’inizio costituiva unicamente
una teoria dell’identità personale: il sequenzialismo presuppone quella stessa entità che vuo-
le negare, cioè il soggetto che unifica gli oggetti che sono in realtà entità separate, rivelandosi
del tutto incoerente17 .
Ma supponiamo di accettare il sequenzialismo nella sua versione non così radicale, cioè
riguardante gli oggetti materiali, ma non le persone, in modo tale da evitare l’obiezione di
Kant, e supponiamo che le entità fondamentali o primarie siano particelle subatomiche. Ap-
plicando questa teoria ai paradossi abbiamo visto come questi siano stati superati, e non ci
siamo limitati solo ad andare oltre questi rompicapi, ma siamo riusciti anche a togliere di
mezzo il problema stesso dell’identità diacronica: ora non ha più senso chiedersi fino a che
punto i ‘tavoli’ o le ‘navi’ rimangano identici nel tempo, perché queste sono in realtà entità
fittizie e in quanto tali le loro condizioni di identità dipendono dalle nostre convenzioni e pra-
tiche linguistiche, e non da quelle porzioni di materia che noi individuiamo come oggetti. Il
sequenzialismo pare a questo punto fornire una possibile soluzione di tipo metafisico al pro-
blema dell’identità diacronica. Ma in realtà questa non è affatto una via di uscita metafisica,
bensì ontologica.

4 Una metafisica dall’ontologia differente


Il sequenzialismo si differenzia sia dal tridimensionalismo che dal quadridimensionalismo
anche perché non condivide la stessa ontologia. Il tridimensionalismo e il quadridimensio-
nalismo possono dare risposte diverse alla domanda sul ‘che cos’è’ di un certo oggetto ma-
teriale perché credono entrambi che quel determinato oggetto materiale esista: condividono
un’ontologia18 , ma sono metafisicamente in disaccordo. Nelle versioni delle due teorie che
abbiamo qui esaminato, queste condividono un’ontologia perché sono entrambe d’accordo sul
fatto che esistano cose come ‘tavoli’ e ‘navi’. Si potrebbe obiettare che non è vero che riguardo
16 «Iosostengo di essere identico a uno stadio istantaneo, e sostengo anche che esisterò per più di un istante: come
posso avere entrambe le cose? La risposta è che quando dico che uno stadio è istantaneo, e quindi che domani
non esisterà, sto negando che si trovi nella I-relazione-di-stadio con uno stadio qualsiasi appartenente al futuro.
La I-relazione-di-stadio è la relazione di identità: poiché gli stadi non persistono nel tempo, le loro I-relazioni non
connettono mai stadi di momenti diversi (e ovviamente nemmeno stadi diversi simultanei). Tuttavia io (o il mio
stadio attuale, con cui sono identico) sono legato a degli stadi di domani da una I-relazione-di-persona, ed è questo
che intendo quando dico che esisterò domani». (Sider, 1996, pp. 229–230 della trad. it.). Poco più avanti Sider parla
anche di due diversi sensi di «persistenza» esattamente come ne parla Chisholm (Sider, 1996, p. 231).
17 Varzi (2001, p. 133) ricorda che questa obiezione è fra i paralogismi della Critica della ragion pura.
18 Ma non necessariamente condividono un’intera ontologia: per esempio riguardo al problema degli universali

potrebbero essere, indipendentemente l’uno dall’altro, ‘nominalisti’, ‘concettualisti’ o ‘realisti’.


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agli oggetti materiali il tridimensionalista e il quadridimensionalista condividano la stessa


ontologia. Per quest’ultimo infatti esistono parti spaziotemporali di oggetti materiali, mentre
per il tridimensionalista non esistono, essendoci unicamente parti spaziali19 .
In realtà non è così ovvio che le parti degli oggetti siano da includere nell’inventario on-
tologico che intendiamo stilare, e che abbiano quindi la stessa ‘dignità ontologica’ degli interi
che compongono. Secondo alcuni l’impegno ontologico nei confronti di un intero implica sì un
impegno nei confronti delle sue parti, ma questo non significa che questo sia un ulteriore im-
pegno ontologico, perché le parti sono l’intero e l’intero è la parte. Sono esattamente la stessa
cosa. Questa è la tesi e l’argomentazione di Lewis: la mereologia non implica una indebita
moltiplicazione di entità a partire da un intero, perché vale la tesi della «composizione come
identità»:

I say that composition – the relation of part to whole, or, better, the many-one
relation of many parts to their fusion – is like identity. The ‘are’ of composition
is, so to speak, the plural form of the ‘is’ of identity. Call this the Thesis of Com-
posion as Identity. It is in virtue of this thesis that mereology is ontologically
innocent: it commits us only to things that are identical, so to speak, to what we
were commited before. (Lewis, 1991, p. 82)

Se si accetta la tesi della cosiddetta «innocenza ontologica» allora possiamo ancora affermare
che i tridimensionalisti e i quadridimensionalisti condividono la stessa ontologia riguardo
agli oggetti materiali e che allo stesso tempo però, sono in disaccordo metafisico, siccome per
i primi gli oggetti materiali sono oggetti che si estendono nello spazio, mentre per i secondi si
estendono nello spaziotempo.
Non tutti i filosofi però assolvono la mereologia in quanto ‘ontologicamente innocente’20 .
Van Inwagen (1994, p. 213), per esempio, obietta che nel momento in cui è possibile quantifi-
care tanto sull’oggetto intero quanto sulle parti che lo compongono, allora è opportuno inserire
anche queste ultime in un catalogo di ciò che vi è, in osservanza al principio quineano secondo
cui «essere è essere il valore di una variabile» (Quine, 1939, p. 708)21 .
Ora, proviamo ad ammettere a questo punto che la tesi dell’innocenza ontologica della
mereologia sia falsa e che quindi si debba ammettere una ontologia diversa riguardo agli
oggetti materiali per il tridimensionalista, fatta di parti spaziali, da quella del quadridimen-
sionalista, fatta di parti spaziotemporali22 . Anche a questo punto il tridimensionalista e
il quadridimensionalista si troveranno ontologicamente d’accordo sull’esistenza di qualcosa:
degli oggetti materiali persistenti come le navi e i tavoli.
Due nazioni X e Y possono contendersi un lembo di terra al confine che ognuno reclama
come una parte del proprio territorio nazionale, ma questo non implica che i contendenti
siano in disaccordo sull’esistenza due stati, X e Y. Si può essere in disaccordo sul fatto che
la copertina estraibile di un libro sia o non sia effettivamente parte di quel volume, ma si
resta comunque d’accordo sul fatto che quel libro esista. Allo stesso modo se a un lato il
19 Ringrazio due anonimi referee per aver sollevato questo punto.
20 Sulla «innocenza ontologica» della mereologia, oltre ai già citati (Lewis, 1991) e (Van Inwagen, 1994) si possono
trovare altri contributi a favore o contro la suddetta tesi, come (Baxter, 1988), (Forrest, 1996), (Varzi, 2000) e (Yi,
1999).
21 Cfr. anche (Quine, 1948, p. 26 della trad. it.).
22 Da notare che, assunte le stesse premesse mereologiche, secondo il quadridimensionalista ci saranno più parti

di un oggetto materiale, che non abbia durata istantanea, di quante saranno le parti secondo il tridimensionalista.
Infatti, se per il tridimensionalista l’oggetto sarà composto dalle parti spaziali presenti a un determinato istante, per
il quadridimensionalista sarà composto dalle parti spaziotemporali a un certo istante, a quello successivo, a quello
precedente, alle parti spaziotemporali che si estendono in tutti e tre gli istanti, ecc.
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quadridimensionalista pensa che il tavolo sia formato da parti che sono temporali oltre che
spaziali, mentre dall’altro il tridimensionalista ritiene che siano solo parti spaziali di quel
determinato tavolo, questo non significa che non siano d’accordo sul fatto che quel determinato
tavolo esista, ma che non sono d’accordo su che cosa esso sia.
Il sequenzialista, invece, non la pensa allo stesso modo al riguardo, perché secondo lui le
cose come i ‘tavoli’ e le ‘navi’ non esistono proprio: esistono sequenze di entità fondamentali
che noi, secondo certi criteri di continuità e omogeneità (che sarebbe opportuno specificare in
una teoria del genere), leghiamo le une alle altre fino a formare gli ‘oggetti’ che ci circondano.
Ecco quindi come ciò che permette al sequenzialista di sbarazzarsi della questione dell’i-
dentità nel tempo sia la sua ontologia, e non la sua metafisica. Quest’ultima si rivela quindi
essere una metafisica «descrittiva» e non «correttiva» come quella del tridimensionalista e del
quadridimensionalista. Secondo questa distinzione risalente a (Strawson, 1959, pp. 9–11), la
metafisica (e l’ontologia) è descrittiva nel momento in cui descrive «l’effettiva struttura del
nostro pensiero sul mondo», mentre è correttiva quando si occupa invece della ‘realtà stessa’,
indipendentemente da come viene filtrata attraverso il nostro apparato cognitivo23 .
In effetti se i tridimensionalisti e i quadridimensionalisti ci dicono che cosa sia un oggetto
materiale ordinario indipendentemente dall’armamentario concettuale dell’uomo, invece il
sequenzialista quando afferma che non ci troviamo di fronte ad altro che entia successiva
organizzati dalla nostra mente, ci dice che cos’è ciò che noi riteniamo essere un oggetto e
descrive quindi il nostro apparato concettuale, e non propriamente come è il mondo esterno al
di là della nostra mediazione intellettuale. In questa concezione una metafisica correttiva può
riguardare unicamente quegli enti ammessi dall’ontologia che soggiace al sequenzialismo,
cioè quegli enti fondamentali o primari che formano le sequenze, un compito che abbiamo
visto essere senza dubbio alquanto problematico.

5 Conclusione
Non si è qui inteso sostenere una delle teorie presentate, bensì mostrare come il problema
dell’identità nel tempo possa essere risolto assumendo una soluzione filosofica radicale che è
solo apparentemente metafisica, ma che è in realtà ontologica. Questo non significa che non
esista una via di uscita metafisica dal problema: si potrebbe per esempio adottare una teoria
‘sortale’ e specificare certe precise condizioni di identità di un oggetto e accettare il problema
della vaghezza come insolubile, ma unicamente da un punto di vista semantico e non me-
tafisico. Si dirà che esistono certi confini oltre i quali non si può andare, certi cambiamenti
essenziali che mutano un certo oggetto in un altro oggetto, ma si aggiungerà che questi confini
difficilmente possono essere conosciuti con precisione. Come ricorda Varzi (2001, pp. 86–87)
si tratta in fondo di acquisire quella precisa e accurata tecnica che Platone descriveva già nel
Fedro:

La capacità di suddividerlo [l’oggetto] nuovamente e per specie, seguendone le


articolazioni naturali e cercando di non lacerare nessun pezzo come farebbe un
cattivo macellaio [. . . ] (Platone, Phdr. 265e)
23 La distinzione si presenta così per come è entrata nell’uso filosofico odierno, ma in realtà a proposito della meta-
fisica correttiva Strawson in Individui. Saggio di metafisica descrittiva si limita a dire che «si interessa di produrre
una struttura migliore» (Strawson, 1959, p. 9). Si potrebbe quindi trattare di una distinzione diversa da come la si
intende oggi, anche perché Aristotele è collocato fra i metafisici descrittivi e difficilmente si può pensare allo Stagiri-
ta come un filosofo impegnato a descrivere non il mondo stesso, ma unicamente il nostro apparato concettuale. . . Ma
lasciamo da parte questo problema interpretativo che qui non ci interessa.
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Per quanto non sia così semplice sostenere una tale concezione, la teoria sortale si è fatta
sempre più strada nella filosofia contemporanea, in seguito ai lavori di Peter Strawson e
David Wiggins. Ma questo è tutto un altro discorso, che apre la strada a nuovi problemi.
Ciò che si è voluto sostenere è quindi che la questione dell’identità diacronica debba essere
affrontata innanzitutto da un punto di vista ontologico, prima che metafisico, in modo tale da
sapere con quali enti abbiamo a che fare prima di addentrarci in qualsivoglia soluzione di
carattere metafisico. Il punto di vista metafisico, il quale sembrava essere l’unico possibile e
che può risolvere il problema, è certamente fondamentale, ma è il punto di vista ontologico,
che è emerso nel caso del sequenzialismo e che può invece, per così dire, dissolvere il proble-
ma, ad essere prioritario. Lo dissolve perché se non esistono oggetti persistenti, non esiste
neanche alcuna questione relativa all’identità diacronica. Il problema, semplicemente, non si
pone più.
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