La Rivelazione Della Rivelazione Vol I
La Rivelazione Della Rivelazione Vol I
La Rivelazione Della Rivelazione Vol I
11 novembre 2010
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ESTRATTI
de
LA RIVELAZIONE
DELLA RIVELAZIONE
Volume 1
IL TITOLO
IL METODO
CRONOLOGIA BIBLICA
di
UN CATTOLICO FRANCESE
(Fernand Crombette)
Così sia.
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IL TITOLO
AVVERTENZA
Questo libro, nonostante sia stato scritto per ultimo, è di primaria importanza nell’opera
di Fernand Crombette; è presentato sotto forma di “studio linguistico”. Ecco perché il
titolo è preceduto dalla parola “ESTRATTI”. Noi lo sottomettiamo alla Chiesa Cattolica
Romana affinché Essa emetta il suo parere e decida della validità delle traduzioni otte-
nute.
L'opera "La Rivelazione della Rivelazione", ottenuta con la lettura dell'ebraico tramite
il copto antico monosillabico, si inserisce molto armoniosamente nel metodo di tradu-
zione utilizzante questo idioma. Dopo aver decifrato altre lingue antiche, l'autore con-
stata che anche quella di Mosè risponde egregiamente alle interrogazioni tramite la lin-
gua copta. Per ben comprendere perché Crombette, figlio fedele della Chiesa cattolica
romana, ha osato applicare il metodo di lettura col copto al testo ebraico della Genesi,
bisogna avere una conoscenza approfondita di tutta la sua opera precedente o, almeno,
dei princìpi del suo metodo e dei risultati così ottenuti.
É non solo alla fine della sua opera, ma anche verso la fine della sua vita, che questo
studioso ha applicato il suo metodo di lettura e di traduzione ai primi capitoli del libro
della GENESI. Il lettore ne prenderà conoscenza e vedrà l'arricchimento così apportato
al testo sacro senza che la nuova traduzione contraddica la versione che la Chiesa ci ha
trasmesso.
È facile, anche per un non specialista di lingua copta, controllare il lavoro minuzioso,
fatto parola per parola, e formarsi un'idea della validità del metodo utilizzato.
È evidente, lo ripetiamo, che noi ci sottomettiamo fin d'ora al parere ufficiale e alla pre-
sa di posizione della Santa Chiesa nella certezza che questo lavoro, ispirato da Dio, la
serva in avvenire.
Noël DEROSE
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Note dell'editore
ella sua Epistola ai Romani, S. Paolo ha scritto (VIII, 19-20): "La creazione stessa attende con
N impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità". Questo testo è gene-
ralmente interpretato nel senso che la Natura, essendo stata colpita da Dio a causa dei
peccati degli uomini, si aspetta di riavere la sua integrità primitiva alla risurrezione dei
giusti.
È accertato che Dio punì gli uomini facendoli vivere su questa terra degradata poiché
disse a Noè: "La terra è piena di iniquità a causa loro, ed Io, Io li sterminerò con la terra" come aveva detto
ad Adamo peccatore: "Maledetta sarà la terra e il tuo lavoro, essa ti produrrà spine e cardi". Tuttavia, non
sembra che sia questa stessa terra che è chiamata alla restaurazione, giacché san Gio-
vanni (Ap. XXI) dice che dopo il giudizio universale, egli vide un nuovo cielo e una nuo-
va terra, poiché il primo cielo e la prima terra sono passati.
Così, noi ci permettiamo a nostra volta un adattamento particolare del testo considerato.
In luogo di comprendere: "La creazione attende con speranza la Rivelazione [che sarà fatta] dei figli di Dio"
noi traduciamo: "La creazione attende con speranza la Rivelazione [che sarà fatta da]
dei figli di Dio"
Cosa sappiamo noi della Creazione? Da una parte, quel che ci dice la Bibbia, dall'altra,
quel che ci dice la scienza. Mentre le traduzioni della Bibbia ci danno dell'opera di Dio
un racconto sommario, trovato poco scientifico, gli studiosi pretendono di darcene delle
spiegazioni che se ne infischiano della Sacra Scrittura e fondate, non sulle loro consta-
tazioni soltanto, ma anche e soprattutto su delle pure ipotesi.
La Creazione non è dunque stata compresa, né dai credenti, che la percepiscono nebulo-
sa e deformata attraverso delle traduzioni imperfette di traduttori che non l'hanno com-
presa essi stessi, né dagli studiosi che credono di penetrarla e che ne hanno delle visuali
falsate dalla parzialità. Percepita da una conoscenza infantile, da un lato, da una cono-
scenza pervertita, dall'altro, la Creazione attende effettivamente di essere rivelata nella
sua integrità, cioè in tutta la sua realtà e verità. Finora, essa è stata sottomessa alla vani-
tà delle interpretazioni balbettanti e delle teorie fantasiose, sparse queste ultime dai figli
delle tenebre.
Chi dunque proietterà la luce sulle profondità e le ricchezze della Creazione? Chi la ri-
velerà? Ce lo dice S. Paolo: i figli di Dio; e dice ancora, nella sua prima lettera ai Corinzi
13, 11-12): "Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uo-
mo, ciò che era da bambino l'ho abbandonato. Ora vediamo come in uno specchio, in modo confuso, ma allora vedremo fac-
cia a faccia. Ora conosco imperfettamente, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto".
Il Padre Poucel (S.J.) 1aveva presentito questa rivelazione dei figli di Dio quando scri-
veva: "Un (uomo), non privato di conoscenza, ma solo di luce. Uno che crede, e ferma-
mente, alla sua esperienza, non ha forse ragione? Egli sà un mucchio di cose, altre ne
apprende. Tocca tutto, accresce indefinitamente il suo intelletto con delle persuasioni
immediate e irrecusabili dei suoi sensi prolungati di un po' più di un metro da un ba-
stone. Uomo animale, dice S. Paolo. Perché? Egli tocca tutto, tranne la luce. Conosce
tutto, e più da vicino di me; tutto, tranne la sorgente della luce: il cielo. Tutto sulla ter-
ra stessa tranne i riflessi della luce. E infine, tutto tranne ciò che diviene la terra una
volta rischiarata dalla luce. Ecco, semplicemente, ciò che egli ignora. Ma questo, lo
sapete, comincia ad essere estremamente grave. È tutta una metodologia della scienza
razionale ad essere in causa; è un codice della conoscenza su cui gli studi umani, oggi
Blanc de Saint-Bonnet ha detto da parte sua2: "Dio ha misurato con una precisione infi-
nita e lo spirito e le forze che ha dato all'uomo. Ha previsto il grado oltre il quale l'uo-
mo poteva rovinare tutto, se stesso e la sua propria libertà. E quando, all'uscita dall'E-
den, Dio lo sottomise all'ignoranza, ai bisogni, al lavoro e alla morte, pensate che non
sapesse che trattamento gli applicava?…
Se si dicesse che le vostre scienze sono tutte false… da quando non le rapportate più a
Dio! Se si dicesse che tutte le cause seconde si girano verso la Causa prima, e che i vo-
stri occhi le hanno tutte dirette verso la terra? Cosa?! … il sapere darebbe al mondo
una lunga compagnia di atei, porterebbe all'errore assoluto! … Se c'è un cammino
dell'ignoranza, è certamente quello che allontana da Dio, ed è per questo che voi volete
vedere la Chiesa passare al vostro seguito.
Bisognerebbe rifare per trent'anni la scienza nella direzione del vero per ritrovare la
verità! e rifare i costumi per un secolo per rientrare nel bene. La nostra scienza attuale
non è che l'edificio compiuto dell'orgoglio. Tutto vi sembra giusto, legittimo, perché tut-
to effettivamente guarda all'uomo, ma all'uomo che vuole separarsi da Dio… Senza sa-
perlo, gli uomini hanno completato la scienza che l'Angelo ribelle avrebbe loro offerto
se fosse venuto sulla terra per sedurla e travolgerla. Questo deriva dal fatto che gli uo-
mini, da oltre due secoli (adesso tre), impiegano la loro intelligenza a camminare nel
senso del loro io! Scienza formidabile, giacché né il linguaggio della ragione né la ra-
gione delle armi avranno presa su di essa. Assomiglia alla scienza del demonio…
Ovunque il male trionfa sul bene naturalmente, ovunque, nell'uomo come nella società,
il bene non può trionfare sul male che per un miracolo. Il Diluvio, dal quale il bene uscì
trionfante sul male fu un miracolo; la venuta al mondo del nostro Salvatore, per il qua-
le il bene trionfò sul male, fu un miracolo; l'ultimo giudizio, per il quale il bene trionfe-
rà sul male per sempre, sarà come il coronamento di tutti i miracoli (citazioni di Donoso
Cortès).
Riflettiamoci: possiamo ancora salvarci? Prima di ritirare le stelle dal firmamento e gli
ultimi popoli dalla superficie della terra, Dio attende l'ultimo atto dell'ultimo uomo di
buona volontà.
Che io sappia, è questo il più grande segreto. Il genio nasce da una profonda fiducia in
Dio. Lo scetticismo nasce da una mancanza di genio nei princìpi o nella concezione del
mondo. Quando d'istinto non si comprende che questa creazione è una meraviglia di
Dio, non si dovrebbe parlare. Ciò che si scrive sarà sempre difettoso per chiunque non
attinga la sua prudenza nei fatti e la sua luce nella Fede.
Che i pensieri che non sono secondo le vostre viste, Creatore infinitamente buono, pas-
sino inosservati! Che gli altri, vi lodino senza fine nella vostra eterna bontà, siano la
preghiera che vi fa la mia povera anima per ottenere misericordia, per Gesù Cristo No-
stro Signore."
Amen!
tro del globo per portarvi la vita dall'Alto. La Croce, oltre ciò che è, è dunque il vero, il
solo strumento della scienza. I ministri di Dio, o gli uomini sacrificati a Dio, saranno i
suoi operai. Gli altri li aiutano, e tagliano le pietre. Essi soli conoscono il piano, l'in-
sieme, la legge, la vita del tutto, e hanno la forza che eleva e avvicina i frammenti del
vero. Essi soli possono, per il Sacrificio, acquisire qualche scienza sperimentale delle
cose dell'alto e tradurre in luce umana i dati oscuri della fede; essi soli possono ascol-
tare Dio nella limpidezza della vita pura, nel silenzio dell'umiltà, nella calma della po-
vertà. Essi soli, divenuti umili per la Croce e sacrificati nella stretta personalità dello
spirito individuale, possono lavorare molti in uno... Noi soli dunque possiamo... avvici-
nare i mondi, compararli, farne... la mutua penetrazione nella luce, e nella luce della
Croce, in modo da rapportare tutta la natura all'uomo, tutto l'uomo a Gesù Cristo,
all'uomo Dio crocifisso e resuscitato... Ecco... la nostra irresistibile potenza nella lotta
contro le forze del male. Noi teniamo nelle nostre mani il principio, la possibilità di una
luce Cattolica, universale, al contempo divina e umana, che l'avversario non ha e non
saprebbe avere... Abbiamo dalla nostra la Verità, Dio stesso e il fondo delle anime...
Abbiamo inoltre, dalla nostra, ben più della metà del campo degli avversari; giacché il
numero degli spiriti sedotti, nel loro sincero amore del vero, dalla mezza luce delle ve-
rità parziali, fraudolentemente virate contro la Verità, è ben più grande di quello dei
malvagi che, per perversità di istinto, orientano la folla verso l'errore. Che un raggio
parta dalla Croce, i malvagi saranno atterrati e tutti i loro partigiani sedotti saranno
per noi, e la Croce diventerà lo scettro dei capi intellettuali come è divenuta lo scettro
di Costantino. La Croce brillerà nel cielo dell'intelligenza, come Costantino la vide
brillare nel cielo delle battaglie. La Croce avrà il suo secondo trionfo e il suo secondo
avvento nel mondo degli spiriti creati, prima dell'ultimo avvento dove brillerà in tutti i
cieli e nel cielo dei cieli per l'ultimo giudizio.
O santa e beata fecondità di questa seconda epoca del trionfo temporale della Croce,
non sei tu che Bonnet vedeva quando diceva: "felici gli occhi che vedranno l'occidente e
l'oriente riunirsi per fare i bei giorni della Chiesa"... Non sei tu che Joseph de Maistre
chiamava "le ammirabili ricostruzioni che Dio prepara", tu che S. Ildegarda vedeva
quando parlava del secolo di ammirabile vigore dei ministri di Dio, secolo di vera luce,
dove i due mondi, lo spirito e il corpo, saranno confusi in una stessa scienza? Tu, di cui
un intelligente storico, Rancke4, ha detto: "Si prepara una nuova apologia del cristiane-
simo che riunirà i cristiani, che trascinerà l'incredulità stessa"; tu, di cui un filosofo ha
detto: "É l'epoca in cui il panteismo sarà distrutto, in cui l'albero della scienza crescerà
sulle radici della Rivelazione: rinascita che sarà per il mondo la più grande delle epo-
che!"
Viene il tempo in cui dobbiamo dedicarci al lavoro con più forza e insieme, e ci servi-
ranno, come a San Giuseppe, la bottega e gli strumenti di lavoro per nutrire il Divino
Infante. Qualcuno ce li darà. Dio invierà qualcuno. E se non sarà uno solo, gli inviati
di Dio saranno molti... Lo spirito di povertà è il sale della terra; è l'unica via per questa
trasformazione delle società che Dio vuole oggi; è la sola forza che possa compiere la
missione dell'uomo sulla terra, cioè: Mettere in ordine il mondo e disporre il globo ter-
restre nell'equità".
Possiamo dunque legittimamente attenderci una nuova Rivelazione che ci scoprirà il ve-
ro senso della Rivelazione. Joseph de Maistre5, menziona a più riprese, nei suoi scritti,
questa futura "Rivelazione della Rivelazione". Per acquisirla, è alle Scritture, ai Padri, ai
Dottori, alle tradizioni cristiane che bisogna rivolgersi. Egli vorrebbe che si ricercasse
nelle Scritture il senso nascosto sotto il senso letterale. Pensa inoltre che non si può ben
comprendere la Rivelazione se ci si ferma sempre alla lettera trascurando le allegorie
sacre (op. citata p. 176). E pensa (p. 109) che l'interpretazione allegorica dei testi sacri per-
metterà di conciliare più facilmente le obiezioni che la Scienza fa al solo senso letterale.
Egli ritiene come acquisito che non si tratta di prendere l'inizio della Genesi "nel senso
dei suoni" ma che bisogna prendere alla lettera le parole giorni, cielo e terra. Una volta
ben compresa questa idea, i più grandi progressi potranno essere fatti in apologetica
come in cosmologia. Oggigiorno "bisogna ascoltare in buona fede le obiezioni dell'a-
stronomia e risponderle". E Maistre conta sul futuro per rinnovare interamente la que-
stione. "Certamente, dice, apparirà un giorno qualche opera singolare in cui il grande
quesito sarà visto sotto questo punto di vista tutto nuovo".
Anche Pio XII, nella sua Enciclica Divino Afflante, ha avuto ragione di insistere
sull'importanza del senso letterale quando ha detto (II, 27): Fornito così della conoscenza
delle lingue antiche e del corredo della critica, l'esegeta cattolico si applichi a quello
che fra tutti i suoi compiti è il più alto: trovare ed esporre il genuino pensiero dei Sacri
Libri. Nel far questo, gli interpreti abbiano ben presente che loro massima cura deve
essere quella di giungere a discernere e precisare quale sia il senso letterale, come suol
chiamarsi, delle parole bibliche. Perciò devono con ogni diligenza rintracciare il signi-
ficato letterale delle parole, giovandosi della cognizione delle lingue, del contesto, del
confronto con luoghi simili: cose tutte, donde anche nell'interpretazione degli scritti
profani si suole trarre partito per mettere in limpida luce il pensiero dell'autore.
Prima dunque di pensare a una rivelazione esoterica e trascendente della Sacra Scrittura,
noi dobbiamo più modestamente limitarci a rivelare esattamente il senso letterale della
Rivelazione. È sotto questo aspetto pragmatico che, da parte nostra, noi vedremo la Ri-
velazione della Rivelazione. E certo gli innumerevoli e vani sforzi tentati fin qui per
dissipare le oscurità, e le insufficienze delle traduzioni bibliche, lasciano intravedere che
la fatica non è né priva di utilità né apparentemente facile. Essa richiede, infatti, che
Dio, che ha dettato la Bibbia, si degni di venire a rivelare il testo e il senso vero a quelli
che si dibattono nell'impotenza davanti ad un problema che non sanno da che parte
prendere, il che è veramente una Rivelazione della Rivelazione.
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IL METODO
Gli abati Chapelle e Bonnaud scrivevano sul Mercure de France del 15 agosto 1776:
"Tutto… tende a provare che la storia dell'Egitto è una delle più importanti dell'antichi-
tà profana e quanto sia essenziale cercarne l'accordo con la Sacra Scrittura. Lo studio-
so Padre Tournemine (1661–1739) vuole che non si cessi di occuparsi di questo impor-
tante studio fino a quando non si pervenga a fare questa conciliazione".
Senza lasciarci influenzare dall'abbandono generale nel quale era stata lasciata la que-
stione, noi abbiamo voluto tentare di risolverla. Il direttore di un Istituto di egittologia a
cui avevamo chiesto l'accesso, ci prevenne che non ce l'avremmo fatta: “Vi sono, disse,
200 modi di considerare la cronologia biblica, e quanto all'Egitto, le sue genealogie ri-
salgono già a circa 6.000 anni a.C., e restano ancora dei faraoni da scoprire... É dun-
que inutile cercare di comprimere le due cronologìe nello spazio di 4.000 anni a.C., che
era un tempo ammesso per la creazione di Adamo, e al quale, d'altronde, la stessa
Chiesa Cattolica non si attacca più”.
L'obiezione perentoria non ci aveva persuasi dell'inutilità dei nostri sforzi; dopo una
prima messa a punto della cronologìa biblica, noi volemmo verificare la cronologìa egi-
ziana con lo studio delle iscrizioni faraoniche. Per prima cosa, abbiamo naturalmente
pensato di decifrare le antiche iscrizioni con l'aiuto dei princìpi posti dalle grammatiche
e dizionari accettati da tutti i migliori egittologi, ma fummo immediatamente scioccati
dal carattere artificiale che l'egiziano prendeva in quelle grammatiche, e che sembrava
molto lontano dalla concezione che si poteva avere di una lingua primitiva.
Quando Champollion aveva iniziato a decifrare l'egiziano, l'aveva fatto con l'aiuto di
monumenti bilingui egitto-greci. Ora, il greco possiede una scrittura alfabetica. D'altra
parte, influenzato dalla sua conoscenza dell'ebraico, il cui alfabeto non comprende voca-
li, Champollion credeva che fosse lo stesso per l'egiziano. Aveva dunque adottato la se-
guente regola per la lettura abituale dei geroglifici: del nome copto dell'oggetto rappre-
sentato, prendeva solo la prima consonante. Soprattutto, si vietava di dare ai segni il lo-
ro valore nominale completo, come è il caso, per esempio, del messicano. Così facendo,
Champollion commetteva vari errori fondamentali. In effetti, l'alfabeto è conosciuto so-
lo dal 17° secolo a.C.; ora, i geroglifici erano ben anteriori a quest'epoca; essi avevano
dunque una lettura tutta diversa da quella alfabetica. In secondo luogo, se l'alfabeto
ebraico non ha vocali, è per una ragione antimagica. Dato che i geroglifici erano magici,
era una scrittura sacra (3,D`H, Hieros = consacrato al culto). Ora, Dio aveva vietato la
magìa al suo popolo. Non conservando dunque che le consonanti ed eliminando le voca-
li indispensabili alla pronuncia delle parole, gli Ebrei toglievano ad essi la loro forza
magica, ed è la ragione per la quale, ancor 'oggi, i rabbini non possono servirsi nelle ce-
rimonie del culto che di Bibbie senza vocali. Al contrario, gli egiziani persistettero a uti-
lizzare anche dopo l'invenzione dell'alfabeto, nelle loro iscrizioni ufficiali, i geroglifici
perché erano magici; essi non temevano dunque le vocali.
Ugualmente, gli egiziani, per dire: “versare dell'acqua da un vaso”, avevano dovuto di-
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segnare un vaso che versa dell'acqua6 ; bastava, per leggere, esprimere questo gesto
in copto.
San Clemente d'Alessandria ci dice che gli egiziani designavano il sole con un cerchio
; essi lo chiamavano Rê. Questa parola è la contrazione di re-re = Re-Re, Facere-
Esse, Fare-Essere, perché il sole produce la vita. Per analogia, il primo re d'Egitto,
Misraim, che aveva prodotto la vita della sua razza, fu chiamato Rê e assimilato al dio-
sole. Ma qui il cerchio ha un punto, e questo punto bisogna dirlo, il che si farà aggiun-
gendo hi oua = Hi Oua, Cum Aliquis: con qualcosa di elementare, a Rê. Perché que-
sto punto? Alcuni anni fa, una missione italiana scoprì nei pressi di Eliopoli, che fu la
capitale di Misraim, un antichissimo monumento a semicerchio di 600m di diametro di
cui non si seppe scoprire il significato. In realtà, questo semicerchio faceva parte di un
cerchio, e questo cerchio figurava il sole, Rê, il padre della razza, che doveva esser stato
inumato al centro, dove non erano però stati fatti gli scavi e dove si ritroverebbe senza
dubbio ancora, intatta o violata, la più antica tomba reale d'Egitto7. Ora, “I resti di Rê”,
si dicono in copto r/ hiooue = Rê Hiooue, Sol Vestigia, che è l'equivalente di Rê
Hioua, e fa comprendere che il segno è il ricordo del monumento funerario del pri-
mo re d'Egitto. Ma non è tutto: il sole puntato non è scritto a seguito dell'oca, come
avrebbe normalmente dovuto essere, ma sopra il suo dorso, il che si esprimerà con il
copto jice = Djise, dorsum, superior.
Quanto al papero, è un'oca adulta, ma Champollion, impegolato nelle sue regole gram-
maticali, non ha avuto la minima idea della maniera sottile con cui gli egiziani l'avevano
associata alla nozione di figlio. Essi avevano notato, come lo possiamo anche noi ora,
che quando le oche vanno a spasso lo fanno in fila indiana, e siccome essi avevano l'abi-
tudine, che veniva da Adamo, di designare gli animali per le loro caratteristiche, aveva-
no chiamato l'oca [ese = Çesche, parola composta da [e = Çe = Igitur = a seguito, e
se = Sche = Ire = andare; cioè: “gli uccelli che vanno a seguito uno dell'altro”. É in
questa successione che risiedeva l'immagine della filiazione.
Questo gruppo geroglifico si doveva dunque leggere, non Sara, ma Çesche Rê Hi Oua
Djise. E questo rebus si trascriveva:
ce se r/ hi oua jice
Se Sche Rê Hi Oua Djise
Certe Filius Sol Germinare Unus Caelestis
Sicuramente Figlio Sole Nato da Primo Celeste.
Ossia: “Il Figlio Legittimo del Sole, nato dal primo dei Celesti”; doppia affermazione
di legittimità regale e di origine divina, che era lungi dal restituire l'aridità del greco. Il
che mostra come bisogna diffidare delle traduzioni servili dei monumenti bilingui.
Nel -1638, sentendo prossima la morte, Giacobbe aveva chiesto a Giuseppe di non sot-
terrarlo in Egitto ma di trasportare il suo corpo in Palestina e metterlo nel sepolcro dei
suoi antenati. Giuseppe si conformò a questo volere del padre, e passati i 70 giorni del
lutto ufficiale, si sentì in dovere di recarsi in Palestina con il corpo del Patriarca. Fu ac-
compagnato dai suoi ufficiali, dai suoi vassalli, dai grandi d'Egitto e dagli ebrei adulti;
vi erano anche dei carri e dei cavalieri e dunque una grande moltitudine di gente. E, dice
la Volgata, “Quando furono arrivati nell'area di Atad, che è situata al di là del Giordano, essi vi celebrarono i funerali
per 7 giorni con molti pianti e grandi grida. Vedendo ciò, gli abitanti del paese di Canaan dissero: “ecco un grande lutto per
gli egiziani”. Per questo chiamarono questo luogo il Lutto dell'Egitto”. La Bibbia del rabbinato francese dice
similmente: “Pervenuti fino all'area dei cespugli, situata ai bordi del Giordano, vi celebrarono grandi e solenni funera-
li, e Giuseppe ordinò in onore di suo padre un lutto di 7 giorni. Gli abitanti del paese, i cananei, videro questo lutto dell'area
dei cespugli e dissero: “É un grande lutto per l'Egitto!” Ecco perché fu chiamato Abel Miçrayim questo luogo situato dall'al-
tra parte del Giordano”. Ma d'Allioli, nel suo “Nuovo commentario delle S. Scritture”, T. I°,
pag. 261, fa osservare che la parola Abel, com'è scritta nel testo, significa “Pianura,
campo coperto d'erba”, e non “lutto”.
Ora, uno dei faraoni vassalli di Giuseppe all'epoca, e proprio quello che regnava a orien-
te del Basso Egitto sul percorso del corteo funebre, ha uno scarabeo che evoca l'avve-
nimento, con i 2 occhi che sembrano piangere:
É la prima volta che questo gruppo, che in seguito si troverà frequentemente sui sarco-
faghi egiziani, appare in un'iscrizione reale. Fu dunque in occasione dei funerali di Gia-
cobbe che questi geroglifici furono creati. Ciò che lo dimostrerebbe, per di più, è che il
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segno non è altro, in alfabeto ebraico primitivo, che la firma stessa di Giuseppe, il
vero inventore dell'alfabeto, come abbiamo abbondantemente dimostrato nel nostro
“Libro dei nomi dei re d'Egitto”, e abbiamo qui, pertanto, la prima firma alfabetica del
mondo; giacché:
Per di più, questo segno e il suo simmetrico, considerati come geroglifici egiziani, si
leggono Saphêahenos Paaohnêhik, il che altro non è che una variante del soprannome
dato a Giuseppe da Apophis il Grande: Çaphenath Pahenêach.
ve a henho[e pa ha
Phe A Henhoçe Pa Ha
Cælum Facere Socii Qui pertinet ad Adversus
Cielo Fare Compagnia Che arriva a Che è all'opposto
In linguaggio chiaro: "Essendo in marcia verso la dimora nascosta del capo, un prodi-
gio si produsse allorché si arrivò alla tappa che è ai confini; il fiume torrenziale, in-
grossato, ribolliva ed era fortemente debordato; la volontà del maestro del cielo fece sì
che la compagnia riuscisse senza danno e rapidamente alla (riva) opposta per l'azione
del grande profeta".
E siccome l'occhio che vede (videre = Eiorh = eiwrh) rappresenta anche il fiume (flu-
vius = Eioor = eioor) la riunione del grande occhio, della firma di Giuseppe e del segno
del capo , indica graficamente che Giuseppe si è reso padrone del fiume ingrossato.
Può anche darsi, essendo il gruppo doppio, che il miracolo si sia prodotto due volte,
all'andata e al ritorno. Questo non è affatto ciò che ne dicono la Volgata e il rabbinato
francese; nessuna delle versioni conosciute della Bibbia menziona questo miracolo.
Ora, in quel momento, regnava a Creta il XXXI° re della Iª dinastìa, salito sul trono ver-
so il 1641, ed ecco come si traduce il suo nome (l'analisi onomastica è nel nostro manoscritto,
volume II, pag. 127 del libro "Luci su Creta"): "Giuseppe, avendo imbalsamato suo padre
morto, (il re di Creta) ha avuto compassione del suo dolore e gli ha fatto onore. La gran-
de spalla (la grande potenza) del saggio ha separato le acque gonfiate del fiume, e l'as-
semblea del dirigente delle greggi (Giacobbe) è andata al di là a deporlo con cura nella
sua fossa".
Così, ecco un re di Creta, vassallo di Giuseppe, che ha fatto parte del corteo di re e di
grandi che accompagnavano il figlio di Giacobbe ai funerali di suo padre, dettaglio che
le traduzioni della Bibbia non ci rivelavano, e che mostra tuttavia che il potere dell'on-
nipotente visir si estendeva fuori dall'Egitto. Questo re di Creta, così come molti faraoni
vassalli dell'Egitto che assistevano alla stessa cerimonia, dichiara, anche lui, che al pas-
saggio del fiume (l'Ouadi el-Arish) le acque agitate del torrente si sono aperte per la poten-
za del profeta (egli dice: "la sua spalla", secondo un'espressione ben orientale). Di fronte
a questa affermazione ripetuta di testimoni oculari, noi non esitiamo a dire che le tradu-
zioni dei Settanta e di S. Gerolamo sono inesatte e lacunose su questo punto. D'Allioli10
ha visto un po' più giusto, ma non ha messo più a punto questo testo e ha fatto apparire,
in una redazione rettificata, il miracolo compiuto da Giuseppe come il preludio del pas-
saggio del Mar Rosso e del Giordano. Pertanto, noi ci siamo decisi a tentare personal-
mente una traduzione del testo in questione, non con l'ebraico ma col copto. Noi daremo
il testo ebraico (Gen. L, 11), la sua trascrizione in caratteri romani e in copto, la traduzio-
ne latina e la traduzione letterale in italiano:
10 - Nouveau commentaire des Divines Ecritures, T.I, Vivès, Paris, 1884, p. 261, nota 6.
11 - Nota dell'editore: In tutta Genesi Crombette legge “i” per yod, allorchè normalmente egli lo legge
“dj”. Ugualmente, è letto “ou” al posto di “ouo”.
21
Begorèn Hôhôthôed
Be Go Rèn Hô Hô Thôed
hba koh hren hou kw you/t
Hba Koh Hren Hou Kô Thouet
Violentia Vertex Occurrere Aqua Proficisci Congregatio
Violentemente Punto culminante Mettersi contro Acqua Essere in cammino Corteo
Hôbel Miçeraim
Hô Bel = Miçe Ra Im
hou bel mice r/ em
Hou Bel Misraim Mise Rê Em
Aqua Transgredi Aegyptus Natus Rê Nota genitivi
Acqua Passare oltre Egitto Figlio Re Generato da
In testo coordinato: E mentre che, in religioso rispetto, Giuseppe avanzava sotto il peso
del dolore verso Canaan in vista di far giungere il lutto a Heth, le acque, portate al
punto culminante, si drizzarono contro il corteo in marcia. Ma su una vera grande pa-
rola di quello che esercitava la direzione del lutto, le onde potentemente agitate cessa-
rono di scendere, tornarono indietro, si placarono e tacquero, e la truppa armata note-
vole passò oltre l'acqua del torrente che fa il limite dell'eredità dei figli generati da Rè,
e si inchinò davanti a Colui che É sostanzialmente e che l'ebreo di Eliopoli teme.
12 - N.d.e: Crombette avrebbe dovuto leggere qui, secondo il suo metodo, Ehaschèr.
22
È qui che l'abate Glaire ha tradotto, secondo san Gerolamo 13: "Avendo visto ciò, gli abitanti della
terra dissero: "Ecco un grande lutto tra gli egiziani". Ecco perché si chiama questo luogo col nome del Lutto dell'Egitto."
Precisiamo che la tomba dove doveva essere deposto Giacobbe si trovava nella terra de-
gli Ittiti, avendola Abramo acquistata dai figli di Het; e il torrente che formava il limite
dell'eredità dei figli di Rê, cioè la frontiera dell'Egitto, era, come lo è ancor' oggi, l'uadi
El Arish (el ar/j = El Arêdj = Facere Fines = Fare la frontiera) che si chiamava an-
che il torrente d'Egitto, fiume di circa 250km discendente dal Sinai, potente nella stagio-
ne delle piogge, alimentato com'era da innumerevoli affluenti; che Giuseppe aveva il
seggio del suo potere a Eliopoli (o Ôn); infine, che quella che si dice una grande parola è
una parola magica, mentre una vera grande parola è una parola divina.
Ritorno al metodo.
Si vede tutta la differenza che c'è tra la traduzione della Volgata e il testo reale. La tra-
duzione dei Settanta (a cui san Gerolamo si è visibilmente ispirato) non vale di più ed essa ha
almeno la scusante che san Gerolamo dovette apprendere l'ebraico da un rabbino per po-
ter tradurre la Bibbia, mentre i settanta Dottori giudei riuniti ad Alessandria da Tolomeo
II Filadefo dovevano conoscere la loro lingua, il testo che avevano per leggerlo ai fede-
li, e la storia del loro popolo.
Quanto diciamo può sorprendere, ma ecco ciò che ne scrive M. Reuss (Il Salterio, pag.11):
“Il lettore che conosce la Bibbia dalle nostre versioni ordinarie, fa fatica a distinguere
la poesia dalla prosa. Esse si rassomigliano troppo per la forma che si dà al testo nella
stampa, e purtroppo i traduttori si sono preoccupati ben poco, un tempo, del bisogno di
farne sentire la differenza. Essi possono allegare come scusa che gli stessi dottori giu-
dei, dalle cui mani noi abbiamo ricevuto gli originali, non sembravano averlo netta-
mente intravisto. Non è che più tardi, al Medio Evo, che hanno cercato di segnalare il
carattere poetico di certi libri ... e si dispose il testo in un modo abbastanza curioso ma
che tradiva al contempo l'assenza di qualsiasi critica estetica tra i redattori. Ma questo
metodo non prevalse, e non vi è nessuna traccia nelle traduzioni”. Così, è ben stabilito
che i Dottori ebrei sono ignoranti del genio stesso della loro lingua sacra.
Per essere pratici, facciamo notare la stretta somiglianza dell'ebraico col copto, e indi-
chiamo soprattutto che il copto illumina straordinariamente l'ebraico. Ciò è dovuto al
fatto che il copto, essendo monosillabico, permette l'analisi onomastica delle parole
ebraiche complesse il cui senso primitivo è sfuggito per il fatto che i radicali, entrando
in composizione, si sono irrigiditi in un'accezione particolare e anche perché, in luogo di
analizzare l'ebraico (che è una lingua molto antica e molto vicina, pertanto, alle mono-
sillabiche) lo si tratta come una delle nostre lingue moderne fatte di parole composte
tutte formate. Prendendo superficialmente le parole, e non vedendone che la morfologia
in luogo dell'etimologia, si è esposti a fare delle traduzioni superficiali.
Ecco, per esempio, la parola che si è letta, Abel, dove i Settanta hanno visto
un'aia, san Gerolamo un lutto, d'Allioli una pianura o un campo erboso che era stato
umido, o si sarebbe potuto vedere anche un fiume o altre cose prendendo le parole nelle
diverse varianti; questa parola diviene, quando la si scompone: , Hou, Bel: hou =
Aqua, bel = Transgredi: L'acqua passata oltre; o meglio ancora, tenendo conto del se-
gno : Hou, Èbal: hou = Aqua, ebol = Ex: Fuori dall'acqua. In effetti, da una
parte, il Gamès che si è letto A, si leggeva preferibilmente Ô, Ou e non A, Â per esten-
sione; dall'altra è una combinazione del Metheg che rinforza la vocale E .. situata al-
la sua destra, e della vocale A , da cui:
L B H = Hou Èbal.
A È Ou
Lo studio del copto sembra dunque di primaria importanza per la comprensione della
Bibbia. Benché non sia stato fatto fino al presente, e ci si sia così privati di una preziosa
sorgente di luce, noi pensiamo di entrare nello spirito di Leone XIII° che ha scritto: “Bi-
sogna cercare che in tutte le università, e per fortuna è già stato fatto in molte, si stabi-
liscano delle cattedre per gli altri idiomi analoghi (a quelli nei quali sono stati scritti i Libri
Santi), in particolare per le lingue (dette) semitiche e per le conoscenze che vi si colle-
gano”. Ci sembra che questo consiglio non sia stato seguito quanto sarebbe stato auspi-
cabile. É anche vero che nè il copto nè l'ebraico sono delle lingue semitiche, ma piutto-
sto camitiche.
Altra osservazione: si vede, analizzando l'ebraico col copto, che, nel corso delle copie
successive che sono state fatte del testo primitivo dove le parole si seguivano senza pun-
teggiature, gli scribi hanno raggruppato delle parole che dovevano essere separate. Così
è di Ouaiareh, formata di tre elementi ben distinti: Oua-I-Areh = E - mentre che - in
un religioso rispetto; Halken, da Hal = fare dietro-front, e Ken = Stare a riposo;
Behèber = Adorare in ebraico; etc.. Si alteravano anche certe parole quali la penultima
dove il Ch è divenuto H, e quella di Giuseppe divenuta Youséb, che lo scriba cretese
trascriveva Iahschaub, allorchè lo stesso Giuseppe scriveva il suo nome Djouzaїfe. Co-
sa curiosa, il nome così scritto si scompone in jo = Djo = Loqui = parlare; = Oza
(ebraico) = forza; i = I = Venire = venire; ve = Phe = Cælum = cielo: La forza della sua
parola viene dal cielo, che è il senso di "vera grande parola".
Quanto alla natura del miracolo operato nella circostanza da Giuseppe, il testo ci fa ve-
dere che, così come più tardi al passaggio del Giordano, le acque rifluirono a monte.
Ora, fatti recenti hanno mostrato che dei grandi sconvolgimenti avvenuti nelle rive ar-
gillose del fiume palestinese, potevano sbarrarne il corso per molte ore obbligando le
acque a rifluire verso la sorgente. Marston14 cita appunto quel che è successo nel 1927,
nello stesso punto in cui gli Ebrei avevano attraversato il Giordano: durante un terremo-
to, dei banchi d'argilla di tredici metri d'altezza caddero dall'alto e interruppero il corso
del fiume per più di 21 ore. Gli stessi effetti nelle stesse circostanze hanno dovuto avere
delle cause analoghe: smottamento delle rive sotto l'azione delle acque ribollenti che le
minavano, accentuato da una scossa sismica. Il miracolo tuttavia sussiste, nonostante la
spiegazione razionale, giacché il meraviglioso risiede nel fatto che esso si è prodotto al-
la parola di Giuseppe e per il passaggio del corpo di suo padre, antenato del Cristo, mi-
racolo che era il primo abbozzo di quelli che dovevano prodursi all'Esodo del popolo di
Dio.
Ed ecco, a conferma di quanto abbiamo appena scritto, cosa dice la trascrizione greca
del nome del nostro re di Creta: “Lanciando grandi grida di dolore, essi andavano at-
traverso il paese tutti insieme con il profeta. Çâphenath Pahenêach è entrato nel fiume
che si spandeva in flutti muggenti. La terra si è ammucchiata per colmarlo su suo co-
mando, e sono andati passo passo attraverso”. Qui troviamo la spiegazione del feno-
Il 31° re della prima dinastia cretese possedeva un sigillo a 4 facce, di cui una ci rivela
quanto segue15: “La moltitudine riunita perché sia inviato lontano il padre morto
dell'ottimo conduttore, Giuseppe, sacerdote dell'Eterno, ha visto i flutti agitati andare
indietro, e al ritorno fare lo stesso per l'effetto delle parole dall'azione efficace proferite
dal capo la cui scrittura potente annulla il male lanciato”.
Troviamo qui la conferma del doppio miracolo che si produsse nel 1638 a.C., al passag-
gio del corteo funebre di Giacobbe attraverso l'uadi El-Arish. Nello stesso tempo, il re
di Creta menziona la potenza antimagica della firma di Giuseppe. Fin qui noi avevamo
solo supposto, secondo il carattere simmetrico dello scarabeo che riproduce questa fir-
ma, che il miracolo del passaggio del torrente d'Egitto si era prodotto al ritorno come
all'andata del corteo funebre di Giacobbe. Adesso, il 31° re della prima dinastia cretese
ce lo dichiara formalmente. Di conseguenza, noi rivedremo anche il testo della Bibbia
su questo punto.
La Volgata (Gen. L, 14), che in merito non ha fatto che riprodurre i Settanta, scrive: “E Giu-
seppe tornò in Egitto con i suoi fratelli e tutto il suo seguito, dopo aver sepolto il padre”. Ora, l'ebraico si legge e
si traduce col copto:
Miçeraedjmôh
Miçe Raedjm Ôh Hauoh Hauoh
mice rhoeim ws ouwt
Mise Rhoeim Osch Ouôt
Generatio Fluctuare Magnus Idem
Nazione Essere agitato (dai flutti) Grande Uguale
Ouehèchôiou Ouekôl
Oueh Èch Ô I Ou Oue Kôl
oueh is o i hou oue [ol
Oueh Isch O I Hou Oue Çol
Imponere Homo Magnus Ire Aqua Remotum esse Colligere
Imporre Uomo Grande Andare Acqua Andare in disparte Riunire
Hâholiim Hittou
Hâh O Liim Hit Tou
hah o limi hit tou
Hah Ô Limi Hit Tou
Multitudo Magna Luctus Procidere Deus
Moltitudine Grande Lutto Prosternarsi Dio
15 - Rinviamo per la sua analisi al v. 3, p. 237 e 238 del manoscritto Clartés sur la Crète.
16 - vedere l'osservazione della nota 12.
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Liqeborbar
Liqe Borbar
lese borber
Lesche Borber
Potens Defluere
Potente Far scorrere e cessare di scorrere
Inoltre, spostandosi Giuseppe e la sua nazione in senso contrario, i flutti erano ancora
fortemente agitati; il grande uomo impose all'acqua di andare in disparte, ed egli riunì
(o fece tornare) la grande moltitudine del lutto che si prosternò davanti al Dio potente
che fa sì che l'acqua scorra e cessi di scorrere.
L'ebraico, come lo si concepisce oggi, è una lingua flessionale detta semitica. Siamo si-
curi che la lingua di cui si serviva Mosè era anch'essa flessionale e semitica? Quando il
padre della razza giudea, Abramo, era ancora con i suoi, abitava, si dice, a Ur (scritto Be-
houor) in Caldea. Abbiamo dimostrato, nel nostro scritto Sintesi preistorica e schizzo
assiriologico (vol. II°, p. 534 del manoscritto), che questa città doveva essere, non Ur della
Bassa Caldea, come si è in genere creduto, ma l'attuale Bidor, ai piedi del Chaldi-Dagh,
a sud del lago Van nell'Arapachitis. Questo paese doveva la sua designazione ad Arpha-
xad, figlio di Sem e padre di Hèber, l'avo di Abramo, che ha dato il suo nome al popolo
ebreo. Abramo parlava dunque allora, non la lingua camitica della Babilonia, ma una
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lingua semitica. Quando Dio gli comandò di recarsi a Harran, egli si trovò ancora in ter-
ra semitica poiché Harran era la capitale del paese di Aram, ultimo figlio di Sem; egli
continuò dunque a parlare semitico. Ma quando, su un nuovo ordine di Dio, si fu recato
a Canaan, fu, con la sua tribù, isolato in paese camitico, giacché Canaan era l'ultimo dei
figli di Cam. Così come farebbe oggi un coltivatore fiammingo che ha ricomprato un'a-
zienda agricola in Francia ed è costretto a piegarsi al francese, Abramo dovette mettersi
a parlare cananeo, e, alle generazioni seguenti, i suoi discendenti dovevano aver total-
mente perso l'uso del semitico. É del resto la ragione per cui tutti gli orientalisti ricono-
scono l'identità dell'ebraico col cananeo. Il loro torto è di chiamare, al seguito di Renan,
queste due lingue “semitiche”, come se tutti i popoli cananei avessero adottato la lingua
della piccola tribù di Abramo, il che è evidentemente inammissibile. Gli Ebrei stessi
chiamavano d'altronde la loro lingua il cananeo (Isaia XIX, 18).
Ora, Canaan era il fratello di Misraim, fondatore della nazione egiziana. I cananei e gli
egiziani parlavano così delle lingue sorelle, e, ad eccezione di certe probabili varianti
dialettali, l'egiziano e il cananeo, e di conseguenza l'ebraico, erano una stessa lingua.
Questa stretta parentela dovette essere consolidata quando Giuseppe, figlio di Giacobbe,
fece venire in Egitto suo padre e i suoi fratelli, e gli Ebrei furono rimasti 430 anni nella
terra di Goshen. É nel corso delle persecuzioni che dovettero subire nell'ultimo secolo di
questo periodo che Mosè, esposto sul Nilo, venne raccolto e adottato dalla figlia del fa-
raone Sèthos e quindi educato per 40 anni alla corte d'Egitto con quello che sarebbe sta-
to il grande faraone Ramesse II. La Bibbia si premura di dirci che Mosè fu istruito in
tutta la scienza degli egiziani. Mosè parlò dunque l'egiziano come se fosse la sua lingua
materna, dalla quale, peraltro, non differiva quasi; egli pensò in egiziano, scrisse in egi-
ziano, impiegò i procedimenti dialettici dell'egiziano.
Il copto è dunque il più antico e fedele testimone delle lingue camitiche primitive. É col
copto che noi abbiamo tradotto non solo il cretese, ma i geroglifici ittiti, cioè la lingua
che aveva parlato Abramo quando era venuto a Canaan, dal paese di Heth appunto.
Orbene, il copto è una lingua monosillabica, come lo erano tutte le lingue primitive.
Anche l'antico ebraico, che non differisce sensibilmente dal copto, dev'essere quindi
trattato come una lingua monosillabica e non flessionale. In una tale lingua, ognuna del-
le sillabe rappresenta una o più delle nostre parole; quando le sillabe si combinano in
una parola polisillabica, esse si giustappongono senza deformarsi, contrariamente a
quanto avviene per le lingue flessionali. I termini di relazione: congiunzioni, preposi-
zioni o altro, sono inutilizzati. Siccome queste sillabe sono delle radici, rappresentano
sia un sostantivo che un aggettivo, un verbo all'infinito, al passato, al presente, senza
cambiamento di forma.
É notevole che l'ebraico abbia conservato tracce di questa iniziale disposizione. Così
non si dirà “Parole vere”, o “Parole di verità”, ma “Parole verità” ... non “Chi è sag-
gio”, ma “Chi saggio”; non “Di' dunque, te ne prego, che tu sei mia sorella”, ma “Dì
mia sorella tu”. Un orientalista come Lenormant non esitava a stabilire una stretta pa-
rentela tra le radici dell'egiziano e quelle dell'ebraico; la comunanza era un tempo ancor
più stretta.
Così come diceva S. Clemente d'Alessandria, che era ben piazzato per conoscere l'egi-
ziano antico, la scrittura geroglifica può prendere molti sensi: il senso proprio, il senso
imitativo, il senso simbolico, il senso allegorico, laudativo, enigmatico. Noi abbiamo
potuto in effetti costatare, dall'analisi onomastica dell'egiziano, che i geroglifici erano
suscettibili di multiple interpretazioni grazie alla scomposizione di questa lingua mono-
sillabica nei suoi elementi e all'impiego di omonimie per via di rebus.
Era lo stesso in ebraico. Così Preiswerk20 ha potuto scrivere: “Risulta, dall'insieme del
Talmud, che vi era per il testo sacro una lezione accettata e garantita; e se, in alcuni
passaggi, esso sembra voler raccomandare un'altra lezione accanto alla prima, non è
che ritenga dubbia la lezione del testo accettato; vuol solo attaccare ingegnosamente
alla parola di cui cambia le vocali un certo insegnamento. Ugualmente, il Talmud sem-
bra talvolta far menzione di varianti, chiamando una lezione e l'altra. . La
prima è la lezione sanzionata, riconosciuta in tutte le scuole, e della quale non vuol cer-
to contestare l'autenticità; e la seconda non è una variante storica e critica, ma arbitra-
ria, inventata e trasmessa dai rabbini per attaccarvi una certa tradizione o sofistiche-
ria; giacché essi dicono: la legge ha settanta facce, cioè permette un numero infinito di
spiegazioni, ed è precisamente in questo che fanno consistere la sua ispirazione e che
riconoscono un effetto della sapienza divina”.
Noi non facciamo difficoltà ad ammettere che Dio, che ha creato la Parola e che, con
questa Parola, ha tutto creato, abbia potuto racchiudere in uno stesso testo una moltepli-
cità di sensi. Ma non è il nostro caso. Benché le vocali (e anche le consonanti) siano mobili,
noi non le permuteremo per ottenere delle interpretazioni multiple con dei rebus a cas-
setti; non rimpiazzeremo delle lettere se non in caso di necessità e seguendo il più vici-
no possibile la notazione massoretica21, quantunque essa non goda del privilegio dell'i-
spirazione. Se i rabbini hanno utilizzato le permutazioni per dei fini mistici o esoterici,
il nostro scopo è, al contrario, di scoprire il senso letterale, reale e profondo, di testi che
non sono stati considerati da questo punto di vista se non in maniera superficiale e limi-
tata allorché si portava tutta l'attenzione sui significati simbolici. Ecco perché noi scom-
porremo nei suoi elementi l'ebraico biblico e lo analizzeremo col copto. In una parola,
noi determineremo l'etimologia di ciascun termine della Bibbia.
Forse ci direte: “Perché non ricercate queste etimologie dalle radici ebraiche stesse?”
Per la stessa ragione che fa che si ricerchi l'etimologia delle parole francesi nel latino, e
per l'altra ragione pratica che la forma attuale dell'ebraico ha annegato le radici in delle
parole polisillabiche che hanno preso al contempo un significato composito dove non
appaiono più i sensi elementari primitivi, il che non è avvenuto, in generale, per il cop-
to.
Faremo solo osservare che, per via delle differenze dialettali che hanno dovuto manife-
starsi tra il copto e l'ebraico (ecco perché Giuseppe si servì di un interprete per parlare ai
fratelli), il metodo esige una certa elasticità delle consonanti e delle vocali, e si sà che le
vocali dell'ebraico, che non si scrivevano, sono estremamente mobili. Ma, in copto, que-
sta plasticità pesa ugualmente sulle consonanti; così il Djandja , Dj, può passare a Sj,
S, Th, T, Sch, etc. Ora, tutte le consonanti dell'alfabeto ebraico sono state tratte da Giu-
seppe, suo vero inventore, dai geroglifici egiziani; le consonanti dell'ebraico hanno dun-
que dovuto risentire della plasticità delle pronunce egiziane.
Alcune ultime note pratiche perché gli ebraicizzanti che ci leggeranno non siano sorpre-
si dalle trascrizioni che daremo in copto delle lettere ebraiche.
Noi trascriveremo:
(alef) per (hori) = H
(ghimel) per K (Kappa) = K, la G non esistendo in copto;
(vav) per (ipsilon) = Ou, vicino a Wou (w inglese);
(yod) per (djandia) = Dj, giacché è una consonante e non la vocale i; questo se-
gno non è altro che la figura del germe che si dice in copto Dje;
(aïn) per H, K, R o Kr, questo segno, secondo Preiswerk, essendo un'aspirazione,
tiene nello stesso tempo il suono di G e di R;
(tsadi) per $ (tschima) = Ç duro, vicino al C latino e al K francese.
Il punto , avendo per valore O, il gruppo sarà letto da noi Oou, e il gruppo , Ouo.
Il gâmés varrà, secondo la scuola di Tiberiade Ô, salvo quando sarà accompagnato dal
meteg nel qual caso, essendo rinforzato, lo leggeremo A.
Il munah sarà scomposto nei suoi due elementi: il pathah (=A) e il metheg e pren-
derà il valore Ha quando formerà gruppo.
Ecco la giustificazione di quest'ultima lettura: in Genesi I, 16, la parola che è stata tra-
dotta "stelle" (e che significa in realtà "pianeti") è scritta Hakkooubîdjm; in
Giobbe XXXVIII, 7, la parola analoga, tradotta "astri", si scrive: Hakkoouke-
bèdj. Si vede che, nel secondo caso, il munah tiene il posto di = Ha, nel primo.
Inoltre, nel secondo caso, se il segno era considerato come un munah congiuntivo, non
si vedrebbe affatto la sua ragion d'essere all'inizio di una parola mentre si inquadra mol-
to bene se è l'articolo Ha, (quando forma gruppo).
Ci scusiamo con i lettori che non conoscono l'ebraico per l'aridità di questi dettagli tec-
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nici. Li tengano tuttavia presenti, giacché noi trascriveremo sempre l'ebraico ed il copto
in caratteri romani che sarà facile a chiunque comparare tra loro per controllare l'analo-
gia delle parole delle due lingue.
Affinché si possa, da subito, rendersi conto del valore del nostro metodo di traduzione
dell'ebraico, noi daremo ad esempio i risultati ottenuti su uno stesso testo con la Volga-
ta, il Rabbinato francese, e il nostro metodo. Si tratta del salmo CIX, versetto 3. In
ebraico si scrive:
Talha Djaledouthêkô
Tal Ha Dja L E Dou Thê Kô
tal ha ja l e twi y/ [w
Tal Ha Dja L È Tôi The Ço
Collis Prae Loqui Facere Ab Mea Uterus Seminare
Collina Prima di Parlare Fare Da Mio Seno Generare
Questo confronto mette in piena luce l'inefficacia dei metodi anteriori di traduzione del-
la Bibbia. La traduzione del rabbinato francese non è, dall'inizio alla fine, che contro-
senso; e questa non ha senso del tutto. Di quella di S. Gerolamo c'è da ritenere solo: "È
dal mio seno che ti ho generato"; e c'è stato bisogno di mettere un impiastro alla traduzione ag-
giungendovi le parole "che esistesse", che non sono nell'ebraico, affinché non si credesse
che Lucifero, anche lui, era stato generato, il che è il proprio del Figlio di Dio. E come
sono scarne queste traduzioni! Esse lasciano cadere la maggior parte dei pensieri. Non
hanno colto né l'elevazione delle idee, né la bellezza delle espressioni, né il vigore dello
stile. Quale ricchezza invece in queste frasi: "Io ti amo al di sopra di ogni grandezza!
Chinino la testa nella polvere quelli che sono prodotti da altri semi! Si curvino sotto le
parole che tu pronunci quelli che hanno il potere da ogni parte! Tu sei il mio Primoge-
nito nel quale ho speso il mio Essere. Prima di fare le colline con la Parola, dal mio se-
no io ti ho generato!"
Il salmo CIX concerne il Cristo, che è la seconda Persona della Santissima Trinità, la
natura divina del Figlio generato. Giacché è Lui la Parola creatrice dell'Universo; Colui
del quale S. Giovanni ha detto: "Per Lui tutte le cose sono state fatte e niente di ciò che è stato fatto è stato
fatto senza di Lui"; e ancora: "Prima di tutto era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio". Ecco per-
ché il salmo CIX comincia con queste parole: "Il Signore ha detto al mio Signore: siedi alla mia destra
finché Io faccia dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi". Erano meglio ispirati i cabalisti che vedevano
in Bereschith l'Adamo Qadmon, l'Adamo superiore, l'Adamo eterno, il pre-Adamo, il
macrocosmo, tipo intellettuale del mondo intero, di cui il primo uomo non è che l'im-
magine. Ma nello stesso tempo il testo che abbiamo tradotto si ritorce contro i Giudei e
prova loro che, proprio nell'Antico Testamento, si fa menzione della seconda Persona
della Santissima Trinità; il Primogenito di Dio, generato dal suo seno, formato di tutta la
Sua sostanza, di tutto il Suo Essere, e distinto dalla Creazione.
Da questo solo esempio si intravede tutta l'importanza che può avere, dal punto di vista
teologico, una ritraduzione della Bibbia col copto. Si dovrà pur notare che, per ottenere
la nostra traduzione, non abbiamo dovuto distorcere il testo originale, il copto segue fe-
delmente l'ebraico, sillaba per sillaba, diremmo quasi lettera per lettera. C'è qui il senso
letterale, ma si trova al contempo che questo senso è anche altamente soprannaturale;
esso è pieno, e non è necessario rompersi la testa per scoprirvi un senso esoterico: è la
Rivelazione della Rivelazione.
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CRONOLOGIA BIBLICA
La tesi del fondatore dell'egittologia era che le dinastie dei re d'Egitto, enumerate dal
prete egiziano Manéthon, si erano succedute nel tempo nel loro ordine numerico, e che
era "assurdo" volerle ripartire su più troni simultanei. Si trattava di un'affermazione gra-
tuita, di un'interpretazione personale non puntellata da un benché minimo indizio di
prova, che, al contrario, era nettamente in opposizione con i dati storici, giacché lo stes-
so Erodoto, che affermava molto moderatamente che si erano avuti 330 faraoni da
Mènès al suo tempo, dichiarava anche che, al momento in cui si costruiva il Labirinto,
c'erano 12 re simultanei in Egitto. Inoltre Mosè, che non era un testimone trascurabile
poiché era vissuto 40 anni alla corte d'Egitto, esponeva, nella sua tabella etnografica
della Genesi, che l'Egitto era stato fondato da Misraïm e dai suoi sei figli, il che impli-
cava la ripartizione di questo paese fra sette re. Vi erano pure dei monumenti egiziani
che menzionavano dei re simultanei, e antiche tradizioni relazionavano delle lotte tra
numerosi re contemporanei. Non importa, il dogma dei faraoni in fila indiana si impian-
tò sulla parola del maestro.
Si seguì per lungo tempo quest'ultima data, fino al giorno in cui Meyer, osservando più
attentamente il calendario sotiaco, giunse alla considerazione che la più antica data egi-
ziana non doveva risalire al di là del 4241 a.C.. Questa fu la cronologia detta corta che
fece concorrenza a quella lunga nella mente degli egittologi.
Ma lo studio approfondito che noi abbiamo fatto del calendario sotiaco e dei giubilei
trentennali celebrati dagli egiziani, ci ha permesso di determinare con precisione che
questo calendario, che regolava la vita amministrativa della nazione, era stato introdotto
da Thoth, il figlio maggiore di Misraim, il 3 marzo gregoriano dell'anno 2176 a.C.. D'al-
tra parte, la nazione egiziana era arrivata sul Nilo dopo la dispersione dei Popoli il 17-
18 settembre 2198 a.C., che risultava dunque essere la più antica data della storia
dell'Egitto.
33
Da questa data alla fine della regalità faraonica, nel 313 d.C., l'Egitto ricapitolava, in
2510 anni, circa 945 re aventi regnato ciascuno in media 151/3 anni, e, in media, 6 simul-
taneamente.
La cronologia egiziana si trova così facilmente racchiusa negli antichi limiti biblici che
ponevano il Diluvio Universale verso il 2348 a.C..
Noi qui non possiamo entrare in ulteriori dettagli per i quali rinviamo al nostro volume
speciale sulla Cronologia dell'Egitto Faraonico22, annesso al nostro libro dei Nomi dei
re d'Egitto23.
La cronologia egiziana, che era stata fatta così lunga, essendo riportata ai limiti tradi-
zionali della Bibbia, ci permette, sia pure a titolo di ipotesi di lavoro, di adottare come
punto di partenza della cronologia biblica la data classica del –4004, che è il 4000 a.C.,
essendo Nostro Signore nato nel –4. Denys le Petit, promotore di questa èra, si era infat-
ti ingannato di 4 anni nel suo punto di partenza (anno di Roma 754 in luogo di 750).
Giacché una cronologia biblica c'è. Come giustamente dice Bacuez24: "La cronologia e
la geografia sono i due occhi o i due lumi della storia, … e se si dà ai fatti la loro vera
data, si vede svanire ogni difficoltà". Il fatto che esistano più di 200 cronologie bibliche
false, non si oppone a che ve ne sia una vera, essendosi i fatti svolti comunque nel tem-
po. Ora, la cronologia biblica ha un'importanza tutta particolare in quanto comprende la
genealogia di Gesù Cristo, e, così come abbiamo mostrato, nelle parti geografica e
astronomica del nostro lavoro, che la croce di Gesù era al centro del mondo, possiamo
anche dire che la sua genealogia è la colonna vertebrale della storia, giacché è attorno ad
essa che si svolgono le storie di tutti i popoli allo stesso modo che i fasci nervosi del
corpo umano partono dal midollo spinale. Trascurare, come in genere si è fatto, la preci-
sione cronologica nella storia sacra, è accecarsi volontariamente.
Forse ci si potrà obiettare: "Ma i documenti sui quali noi possiamo voler stabilire una
tale cronologia sono discordanti e alcuni non sono esenti da errori od omissioni". Non
è una ragione per rigettarli in blocco. Vi sono testimonianze di valore ineguale: sta a noi
ricercare le migliori.
Per i primi patriarchi, possediamo tre liste di 10: l'ebraica, la samaritana, e quella dei
Settanta. Vi sono alcune anomalie nella samaritana, ve ne sono soprattutto nei Settanta
che hanno proceduto a delle maggiorazioni sistematiche degli anni di paternità compen-
sate con delle riduzioni fittizie della durata di vita posteriore. Prescindendo da queste
anomalie, c'è un modo generale per riconoscere le cifre vere, è il numero dei testimoni
che depongono in loro favore. Ora, le cifre dell'ebraica sono le sole, prima del Diluvio, a
trovare la loro conferma nell'una o nell'altra cronologia vicina. Non v'è differenza che
per Matusalemme, che sarebbe stato padre, secondo i Settanta, 20 anni prima rispetto
all'ebraica, ma questi 20 anni sono stati riportati sul resto della sua vita, la cui durata to-
tale è uguale nelle due liste. Differenza anche di 6 anni tra le due liste per l'età di pater-
nità di Lamech; ma noi pensiamo che qui è l'ebraica che ragione, giacché, se si aggiun-
gessero 6 anni alla vita di Lamech, lo si farebbe morire alla fine del Diluvio, dunque un
anno dopo tutti gli altri uomini, il che sarebbe già impossibile; ma inoltre Lamech, pa-
dre di Noè il giusto, e giusto anche lui, non conveniva che perisse con i colpevoli. Es-
sendo dunque la maggioranza di voci a favore dell'ebraica, è su questa che noi ci base-
remo per ricostruire la cronologia antidiluviana. Seguono le liste comparate dove le ci-
fre concordanti sono in grassetto.
Partendo dunque dalla base del 4004 per la creazione di Adamo, troviamo che Seth nac-
que nel 3874; Enos nel 3769; Cainan nel 3679; Malaléél nel 3609; Jared nel 3544; He-
noch nel 3382; Matusalemme nel 3317; Lamech nel 3130; Noè nel 2948, e che il Dilu-
vio, che si produsse quando Noè aveva 600 anni, ebbe luogo nel 2348.
Rimarchiamo che, se le tre liste possono differire quanto alle date, sono d'accordo sul
numero dei Patriarchi. Non sembra dunque esserci lacuna in questa prima parte della
genealogia. François Lenormant25 ha evidenziato la solidità di questa documentazione;
scrive infatti: "Dobbiamo ora cercare di scrutare il principio della costruzione della li-
sta dei patriarchi che conducono, di generazione in generazione, da Seth fino a Noè.
Questa nuova parte delle nostre ricerche ci metterà di fronte a una massa imponente di
dati concordanti che arrivano dai quattro venti del cielo e non permettono di dubitare
dell'antica comunità dei racconti sui primi giorni dell'umanità fra tutte le razze colte
del mondo antico. Per il numero assegnato dalla Bibbia ai patriarchi antidiluviani,
questo accordo delle tradizioni dei popoli più diversi si manifesta in un modo eclatante.
Essi sono dieci nel racconto della Genesi, e una persistenza singolare fa riprodurre
questo numero di dieci nelle leggende di un gran numero di nazioni, per i loro antenati
primitivi ancora avvolti nella nebbia delle favole". Noi abbiamo stabilito in maniera
precisa, per la Caldea e l'Assiria, la concordanza di molte liste reali antiche con quelle
della Bibbia, alle pagine26 da 393 a 424 del tomo II della nostra Sintesi Preistorica e
Schizzo Assiriologico, alle quali rinviamo il lettore interessato. Quanto alla preferenza
che noi abbiamo dato all'ebreo tra le tre sorgenti ebraiche, essa concorda col parere di
Lenormant secondo il quale "il sistema più antico dei tre sembra certamente essere
quello che ha conservato il testo ebraico". È logico che l'ebreo, essendo il più vicino al-
le fonti, offre maggior garanzia di esattezza.
Molti hanno trovato inaccettabili le lunghe durate di vita attribuite dalla Bibbia ai pa-
triarchi antidiluviani. La loro inverosimiglianza è tuttavia solo apparente; essa si basa
sulla nostra ottica di uomini post-diluviani abituati ad esistenze brevi. Noi supponiamo
che le condizioni esistenziali di un tempo fossero le stesse di oggi, ma non era così: una
ragione è che prima del Diluvio l'acqua del mare era la metà di quella di oggi. Kant27 ha
pensato con ragione che all'origine la terra era attorniata a distanza da un anello acqueo,
analogo a quelli di Saturno, e che la caduta di questo anello contribuì maggiormente
all'inondazione diluviana; e aggiungeva: "e nei vapori strani e sottili di questa pioggia
soprannaturale, [l'uomo] assorbì questo lento veleno che accorciò la vita di tutte le
creature". Quella che per Kant era solo un'ipotesi, fu verificata coi progressi della
scienza. Albert Ducrocq28 scrive: "È evidente che l'acqua ordinaria si compone di 6000
molecole ordinarie per una molecola di acqua pesante. Questo rapporto non ha tuttavia
alcuna ragione di essere invariabile: la proporzione d'acqua pesante nell'acqua è va-
riabile secondo il suo passato… Ma soprattutto si sa che le proprietà chimiche dell'ac-
qua pesante non sono esattamente quelle dell'acqua ordinaria e che, per esempio, l'ac-
qua pesante è tossica per l'individuo. Al contrario, sembra che essa sia fissata seletti-
vamente su diversi tessuti organici, i quali contengono appunto del deuterio al posto
dell'idrogeno. Si pensa che la deuterizzazione d'albuminoide sarebbe una proprietà
ereditaria suscettibile di giocare un ruolo importante nell'atavismo delle specie".
Le ricerche della Muchemblé29 sulla radioattività elevata delle rocce marine del terreno
carbonifero del nord della Francia, le hanno permesso di concludere che "non essendo
particolarmente radioattive né le rocce eruttive della regione, né quelle metamorfiche,
la radioattività costatata… non ha la sua origine diretta nella crosta terrestre e non è in
relazione coi fenomeni del geodinamismo interno, [ma che] i fanghi fini marini, ricchi
in organismi, sono delle rocce di radioattività anormalmente elevata".
Così, da una parte, sappiamo oggi (Ducrocq, op. cit. p. 25 e s.) che il legno degli alberi ac-
quista la sua radioattività da dei raggi cosmici provenienti dalle regioni celesti, dall'al-
tra, si costata che le rocce di origine marina sono radioattive, forse rese tali dagli organi-
smi oceanici. Questi ultimi avrebbero apparentemente acquisito la loro radioattività
dall'ambiente in cui vivevano, cioè il mare. Ma l'acqua del mare, da dove avrebbe preso
la sua radioattività, superiore in generale a quella della parte solida del globo? Essendo
il nostro pianeta sottoposto ad un bombardamento di particelle cosmiche, non si potreb-
be arrivare a concepire che l'acqua che forma attualmente gli oceani si è trovata un tem-
po nell'alta atmosfera in contatto diretto con le radiazioni cosmiche che le hanno dato
una carica di radioattività che essa ha in seguito apportato al mare ricadendovi? Quando
ancora si trovava nell'anello di Kant, essa tratteneva la parte di radiazioni cosmiche che
poteva essere nociva alla longevità umana; la caduta di questo scudo protettivo, ha resti-
tuito alla terra i mali dai quali l'aveva preservata, e la vita dell'umanità si è trovata for-
temente accorciata.
do, 420.000 anni-giorni, ossia 1150 anni solari. Le due cifre sono dello stesso ordine di
grandezza della lista dell'ebraico: 1056 anni.
Il documento biblico appare dunque come costituente una base solida per l'edificazione
di una cronologia. Esso ci conduce così al Diluvio Universale.
IL DILUVIO
Secondo la Sacra Scrittura, il Diluvio cominciò il 17° giorno del secondo mese ebraico.
La determinazione di questa data ha dato luogo a discussioni. Taluni mettono l'inizio
dell'anno giudaico in tischri, mese che corrisponde a metà-settembre metà-ottobre del
nostro calendario. Altri fanno cominciare l'anno giudaico al mese di abib o di nisan,
cioè alla luna nuova di primavera, come facevano numerosi popoli dell'antichità. È
sembrato ai primi che l'anno giudaico, ravvisato nel racconto del Diluvio, fosse l'anno
civile, che iniziava verso l'equinozio d'autunno con i lavori agricoli della semina, e che
l'anno religioso, che iniziava con la luna nuova di primavera, non datasse che dall'Esodo
degli Ebrei. Questa opinione è certamente errata, giacché non v'è alcuna ragione di sup-
porre che il popolo giudeo, uscito da Abramo, venuto dall'Asia Minore, e che aveva
soggiornato 430 anni in Egitto, non avesse conosciuto o utilizzato, come gli Asiatici e
gli Egiziani, l'anno che cominciava alla luna di primavera. Non solo, quando Mosè
scrisse la Genesi, aveva inizialmente seguito gli usi egiziani concernenti l'anno lunare,
poiché era stato formato alla corte dei faraoni, ma, inoltre, aveva appena ricevuto l'ordi-
ne da Dio di cominciare gli anni alla luna nuova di primavera, preferendola alle altre da-
te iniziali ugualmente utilizzate. La sua redazione della Bibbia dovette dunque confor-
marsi a questa ingiunzione. D'altronde Vigouroux30 precisa che "Nell'Antico Testamen-
to, non è fatta espressamente menzione che dell'anno religioso; il primo mese è Nisan
(o abib), il secondo quello di Ziv (o iiar)". Non è neanche proibito pensare che Dio, che
ripeteva all'Esodo come aveva fatto al Diluvio la distruzione degli infedeli e la salvezza
dei giusti, dovette senza dubbio riprodurre anche in questo momento le condizioni del
tempo del Diluvio, e l'Esodo ebbe luogo poco dopo la luna nuova di primavera. È dun-
que quest'epoca che noi adotteremo anche per il Diluvio.
Secondo il ciclo di Metòne, la luna nuova di primavera dell'anno 2348 a.C., avrebbe
avuto luogo il 23 marzo giuliano (osservazione a occhio nudo). Siccome a quest'epoca il
calendario giuliano avrebbe presentato uno scarto di 19 giorni con il calendario grego-
riano, è, in definitiva, il 4 marzo gregoriano che ebbe luogo la luna nuova di primavera
del 2348, marcante il I° Abib. Avendo questo mese 30 giorni, il secondo mese comin-
ciava il 3 aprile gregoriano, e il 17° giorno del secondo mese, giorno in cui cominciò il
Diluvio, era il 19 aprile gregoriano -2348. È questa data che ha marcato la fine del pri-
mo capitolo della storia dell'umanità.
LE GLACIAZIONI
Ora, il Diluvio Universale ha marcato la fine delle glaciazioni quaternarie. Queste furo-
no 7; generalmente si dice 4 periodi glaciali e 3 interglaciali, ma in realtà questi ultimi
tre periodi sono anche dei periodi glaciali nell'emisfero opposto, poiché una glaciazione
nel nord si alterna con una glaciazione nel sud. Questi cambiamenti erano realizzati da
Dio, grazie a degli spostamenti polari, al fine di eseguire la sentenza che aveva decretato
contro Adamo peccatore: "maledetta sarà la terra e il tuo lavoro". E quando una regione diveniva
glaciale, un'altra diveniva torrida, quella che corrispondeva al nuovo equatore, ed es-
sendo questa regione torrida l'antica regione fredda, a causa del bilanciamento dell'asse
terrestre, la calotta glaciale fondeva rapidamente.
Il geologo incredulo inglese Lyell, ha attribuito alla glaciazione, per estrapolazione, una
durata di 224.000 anni. Altri hanno rincarato queste cifre già fantastiche e sono giunti a
600.000 anni e più. De Morgan31 non si è impressionato, poiché scrive: "Quanto alla
durata dell'epoca glaciale vedremo che, basando i calcoli sull'osservazione dei fenome-
ni attuali in Groenlandia, si arriva a un minimo di mille anni per la durata di quei fe-
nomeni quaternari e a 3000 accordandone 2000 alle fluttuazioni". De Morgan cita allo-
ra le opinioni molto diverse e contraddittorie di numerosi studiosi, di cui l'ultima, la più
seria, è quella di Kerviler che " riportandosi ai fanghi della baia di Penhouët, fissa la
data delle armi e degli strumenti di bronzo a 500 anni a.C., e a 6000 anni l'inizio del
periodo geologico attuale".
Il massiccio scandinavo, continua De Morgan, sola regione elevata nel nord dell'antico
continente, formava l'ossatura principale della massa europea dei ghiacci... Da questo
fuoco ai limiti dei depositi glaciali attualmente riconosciuti, si contano in linea retta fi-
no all'Inghilterra 1500Km, fino in Germania 1200, fino a Mosca 2000, e infine le ultime
tracce orientali, verso gli Urali, si rincontrano a 3000km dal centro glaciale. Nessun
dubbio che i ghiacciai di allora, nella loro maggior estensione, si estendessero a tutte
queste regioni partendo dal fuoco scandinavo; giacché le formazioni erratiche di tutto
il nord europeo racchiudono, in grandi proporzioni, delle rocce di origine norvegese e
svedese".
Le distanze indicate da De Morgan sono determinate sulle terre così come sono disposte
attualmente; ma prima del Diluvio non era così, poiché tutte le terre erano riunite in un
unico blocco circondato da un solo Oceano Pacifico. Ora, in questa situazione, le diver-
se tracce della morena terminale dell'ultima glaciazione, si ordinano attorno a un punto
situato sul cerchio polare àrtico alla frontiera svedo-norvegese in modo tale che a partire
da questo centro noi abbiamo potuto recuperarle tracciando una circonferenza di 2000
chilometri di raggio. Le fluttuazioni che la morena mostra da una parte e dall'altra di
questa linea, si spiegano molto bene per gli ostacoli o le facilità che ha potuto incontrare
il ghiaccio nella sua progressione seguendo gli accidenti del terreno.
Riportiamoci adesso alle constatazioni fatte sulla marcia dei ghiacciai della Groenlan-
dia. De Morgan scrive (op. cit. p. 79): "Il tavolato groenlandese, alto 1000-1500 metri in
media… è un'immensa riserva dove… le nevi… si trasformano in ghiaccio che discen-
de… fino al mare. Benché la pendenza di scorrimento sia di soli 0° 30', la velocità di
questi ghiacciai raggiunge proporzioni inconcepibili alle nostre latitudini. Il ghiacciaio
di Iakobhanv avanza, in luglio, a una velocità di 19 m. al giorno; quello a nord di Upe-
rnivick, percorre 31 m. al giorno; quello di Torsukatak 10 m. solamente". È risaputo
che lo scorrimento di un ghiacciaio è tanto più rapido quanto più il suo volume è consi-
derevole; ora, la superficie della Groenlandia non è che l'ottava parte di una calotta gla-
ciale di 2000 km. di raggio; noi dunque non esageriamo adottando, per la velocità di
scorrimento del ghiacciaio scandinavo, quella di 25 m. al giorno, media aritmetica tra le
velocità groenlandesi di 19-31 metri. Se ora noi dividiamo i 2000 km. di raggio della
nostra calotta glaciale per 25 metri, otteniamo come quoziente 80.000, che rappresenta
il numero di giorni che sono stati necessari a una roccia scandinava per raggiungere la
periferia della calotta e contribuire a formare la morena terminale. Questi 80.000 giorni,
tradotti i anni, danno 222,222 anni. La media di De Morgan era di 265 anni; ma lo stu-
dioso archeologo ha, come abbiamo detto, operato su terreni nel loro stato di divisione
attuale, e non, come facciamo noi, sui terreni uniti, il che spiega il debole scarto tra la
sua cifra e la nostra.
N° Formazione Fusione
Inizio Fine Inizio Fine
7ª 2569,92 2347,70 2347,70 0
6ª 2792,15 2569,92 2569,92 2347,70
5ª 3014,37 2792,15 2792,15 2569,92
4ª 3236,59 3014,37 3014,37 2792,15
3ª 3458,81 3236,59 3236,59 3014,37
2ª 3681,03 3458,81 3458,81 3236,59
1ª 3903,255 3681,03 3681,03 3458,81
Arriviamo così, per l'inizio della prima glaciazione, al 3903,255, che corrisponde al 29
settembre 3904 (data gregoriana). Siccome le glaciazioni sono state il castigo del pecca-
to originale, sappiamo perciò stesso che il peccato dovette essere commesso il 29 set-
tembre 3904. Ora, Adamo era stato creato nel 4004; aveva dunque allora 100 anni; è cu-
rioso costatare che, tra i giudei, "l'anno civile cominciava nel mese di Tisri, tra settem-
bre e ottobre, perché, secondo una tradizione giudaica, seguita da alcuni Padri, il mon-
do era stato creato in autunno32". Per la creazione del mondo, bisogna comprendere qui
la fine della creazione, che è appunto quella di Adamo.
Questa età di 100 anni, alla quale Adamo avrebbe commesso il Peccato Originale, è al-
tamente verosimile. La Bibbia ci dice, in effetti, che egli generò Seth a 130 anni, ed Eva
disse allora: "Dio mi ha dato un figlio al posto di Abele che è stato ucciso da Caino". Quando Caino, il colti-
vatore, uccise Abele, il pastore, erano entrambi non sposati, poiché è solo in seguito che
Caino conobbe sua moglie; essi potevano dunque avere da 20 a 30 anni, il che ci riporta
a circa 30 anni prima della nascita di Seth per la nascita di Caino che fu la conseguenza
del Peccato Originale. Ora, se Adamo aveva 100 anni quando peccò il 29 settembre
3904, era certamente nato alla fine del settembre 4004, nel mese di Tisri, secondo la
tradizione giudaica. Benché queste date risultino da deduzioni, esse si coordinano così
perfettamente che quella che chiamiamo "Preistoria" prende un carattere di precisione
del tutto insospettato, cosa che non hanno raggiunto molte date dette storiche. Con ciò,
si disegnano nettamente i contorni del quadro in cui è evoluta l'umanità antica, e la Prei-
storia, riunita alla storia, diviene storia, la base stessa della Storia.
Già De Morgan, appoggiandosi, rimarchiamolo, sulla velocità attuale dei ghiacciai e la-
sciando un margine molto largo all'ignoto, è arrivato a una durata di glaciazione 75 vol-
te più debole di quella di Lyell, e noi abbiamo ulteriormente ridotto di metà quella di De
Morgan. Perché dunque, malgrado la loro inverosimiglianza, si è data la preferenza alle
stime stravaganti di Lyell e compagni? Perché esse escludevano le catastrofi e i miracoli
e davano all'umanità un numero incalcolabile di millenni e delle origini scimmiesche, e,
di conseguenza, essi andavano contro la Bibbia la quale dice che la creazione dell'uomo
ha circa 6000 anni e dell'intervento diretto di Dio nella vita dell'umanità con dei catacli-
smi e miracoli. La Scienza ha mentito sfrontatamente perché non si creda alla verità del-
la Parola di Dio. "Mentite, mentite sempre, qualcosa resterà" diceva Voltaire. Ecco per-
ché se ne trovano così pochi negli ambienti colti, anche cattolici, disposti ad ammettere
la cronologia biblica, e tanti inclini, per contro, ad avallare le più enormi corbellerie
scientifiche. Quegli stessi che ritengono inverosimile un racconto storico che attribuisce
all'umanità 6000 anni di esistenza, trovano del tutto ammissibili delle affermazioni gra-
tuite che le danno un milione di anni.
Non è senza ragione che noi abbiamo conservato i decimali nel numero periodico
222,22 trovato col calcolo per le glaciazioni, giacché questa cifra è il decuplo dell'onda
doppia di 11,11 anni che è quella delle variazioni di attività delle macchie solari e marca
non solo la periodicità delle grandi glaciazioni quaternarie, ma anche quella dei diluvi
locali di cui la storia ha conservato il ricordo. È così che noi troviamo, dopo il Diluvio
universale del 2347,70, la successione del diluvio di Osiris nel 2125,48, del diluvio di
Ogygès-Okèanos nel 1903,26, del diluvio di Deucalione nel 1681,04, del diluvio di
Dardanus nel 1458,82, di un diluvio che, secondo Plutarco, (T. IV), si sarebbe prodotto
circa 15 anni prima dell'affondamento di Atlantide, ossia verso il 1236,60. L'Esodo de-
gli Ebrei e l'affondamento di Atlantide accadde verso il 1225,72, cioè circa 11 anni do-
po. Noi ignoriamo dove ebbero luogo le inondazioni seguenti che dovevano normal-
mente presentarsi nel 1003,50 e nel 781,28; forse si produssero nelle Indie e in Persia
dove si nota il diluvio persiano del Vendîdâd e il diluvio indù del Salapatha Brâhnana33;
ma in seguito troviamo una grande migrazione cèlta provocata da inondazioni e che sa-
rebbe avvenuta, secondo alcuni, verso il 530, secondo Morery verso il 591, data media
560 che raggiunge la data periodica di 559,06. Poi viene la migrazione belga nel III e IV
secolo a.C. che corrisponderebbe al 336.84; e la lista si chiude col famoso diluvio cim-
brico del 115 (=114,62). Non è tutto: nel nostro Libro dei nomi dei re d'Egitto, noi
abbiamo mostrato che le carestie si producevano a intervalli regolari di 111,11 anni, e
questa periodicità è ugualmente quella degli anni di grandi pescagioni e di abbondanti
raccolti, così come hanno provato l'abate Moreux34, Le Danois, Ljungmann, Pettersson,
Lellemand, Prévost35.
Una tale regolarità dimostra che Dio fa tutto con numero, peso e misura, e rende quanto
mai ammissibile la periodicità di 222,22 anni che noi abbiamo attribuito alle glaciazioni
quaternarie. Da notare che ritroviamo in queste glaciazioni il numero sette, caro a Dio.
Si noti, inoltre, che i diluvi locali terminano 111 anni prima della venuta di Nostro Si-
gnore Gesù Cristo (-4 a.C.); la sua Natività è festeggiata il 25 dicembre, ma questa data
non fu adottata che nel IV secolo per far concordare la Natività col solstizio d'inverno;
ma potrebbe esser stata benissimo il solstizio d'estate, (-3,51) e in questo caso l'Annun-
ciazione sarebbe da riportare in Tisri dell'anno -5, anniversario della creazione di Ada-
mo e della sua caduta che l'Incarnazione doveva riparare.
Discendenza di Caino
La Bibbia ci dà, per la discendenza di Caino, solo una lista nominativa senza indicazio-
ne cronologica. Noi sappiamo che i patriarchi della linea setita sono divenuti padri in
media a un'età di 116 anni; applicando la stessa norma alla genealogia cainita, ottenia-
mo la successione:
Tubalcain nacque molto tempo dopo i suoi due fratelli; ammettendo che sia stato parto-
rito 50 anni dopo Jabel, sarebbe nato verso il 3157. Noè nacque nel 2948; Tubalcain
aveva dunque circa 200 anni quando Noè venne al mondo.
Lo studio dettagliato delle liste babilonesi, che noi abbiamo fatto nel Tomo 2 della Sin-
tesi Preistorica e Schizzo Assiriologico, ci permette di approntare la seguente tabella:
C'è da rimarcare che l'ultima cifra (2944) corrisponde alla data della nascita di Noè
(2948) che, sulle liste babilonesi, è intercalata dopo Opartes; che i 100 anni di Aloros
corrispondono all'esistenza di Adamo prima del Peccato Originale e del parto di Caino,
e che i 30 anni di Alaparos rappresentano l'età di Caino quando uccise Abele e poi si
sposò. Potrebbe dunque darsi che la lista babilonese abbia, nell'insieme, una cronologia
molto prossima alla realtà.
I figli di Noè
Cento anni prima del Diluvio, ossia nel 2448, Mosè ci dice che Noè aveva generato tre
figli, Sem, Cam, Jafet. A meno di supporre, il che è poco verosimile, tre gemelli, biso-
gna credere che la data precitata è quella della nascita del maggiore, a cui gli altri due
seguirono forse da vicino, giacché abbiamo l'esempio di Sem che, nello spazio di due
41
anni dopo il Diluvio, ebbe tre figli: Elam, Assur e Arphaxad. La Bibbia ci dice che Sem
era maggiore di Jafet. Ma le traduzioni erronee del Libro Santo potrebbero lasciar crede-
re che Cam era il secondo. Ora, noi abbiamo mostrato nel nostro libro Il vero volto dei
figli di Heth (T. I, p36. 136), che Cam era il maggiore, ma che era decaduto dal suo diritto
di primogenitura per aver mancato di rispetto a suo padre. Possiamo dunque porre la na-
scita di Cam nel 2448, e quelle di Sem e di Jafet poco dopo, rispettivamente nel 2447 e
2446.
Essendo il Diluvio durato esattamente un anno, gli uomini rimisero piede sulla terra il
18 aprile gregoriano 2347. È questa data che marca l'inizio della seconda parte della sto-
ria dell'umanità. Noè offrì un sacrificio a Dio sull'Ararat, dove si era posata l'arca, e at-
torno al quale si sparsero i suoi figli con i loro greggi. La Bibbia ci ragguaglia solo
sommariamente sulle generazioni di Cam e di Jafet; essa è più precisa per quella di
Sem, che doveva dar nascita al popolo ebraico. In questa linea, il seguito della cronolo-
gia biblica si presenta nel modo indicato dalla tabella seguente.
Una prima anomalia salta agli occhi: Cainan manca nella lista ebraica e nella samarita-
na. Se noi avessimo, per stabilirne l'esistenza, solo la menzione che ne fanno i Settanta,
l'argomento sarebbe di poco peso, giacché si sa che i dottori giudei alessandrini non esi-
tavano a rimaneggiare le genealogie secondo le loro convenienze; ma san Luca lo cita
nel suo Vangelo e qui noi abbiamo l'autorità del testo ispirato. Aggiungiamo che l'as-
senza di Cainan forzerebbe a raccorciare tutta questa parte della cronologia che non
concorderebbe più con altri avvenimenti databili. Malgrado il parere degli esegeti che
l'hanno eliminato, noi manterremo dunque Cainan sulla lista genealogica.
Si pone la questione di sapere per quale ragione l'ebraica l'ha omesso. Ecco quella che ci
è sembrata la più verosimile: il nome di Cainan si scrive in ebraico ; ora, l'ultima
lettera , nun, in ebraico arcaico , vale, nella numerazione, 50. Il nome del patriarca ha
potuto essere Qedjôn, variante di Qadjin, Caino, ed essere seguito dalla cifra 50,
età alla quale avrebbe generato. In seguito al loro avvicinamento in un testo senza sepa-
razione, il nome e la cifra avranno riprodotto, per uno scriba disattento, il nome di Cai-
nan senza cifra. In queste condizioni, l'ebraica, non avendo cifre da mettere di fronte al
nome, l'avrebbe volontariamente omesso come un intruso, mentre i Settanta vi avrebbe-
ro aggiunto una cifra arbitraria: 130. Ora, il nome , Kedjôn, ha un senso appropriato
alla situazione giacché si traduce in copto: ke = Ke = Proficisci = mettersi in strada, jon
= Djon = Vallis = valle: Mettersi in strada per le valli; il che indica che egli doveva il
36 - del manoscritto.
42
suo nome al fatto che la sua nascita era avvenuta quando i figli di Noè, inizialmente sta-
bilitisi sui fianchi dell'Ararat, avevano cominciato a discendere nelle valli dei fiumi che
vi scorrono, giacché erano trascorsi 37 anni da quando gli uomini erano usciti dall'Arca
e, in questo tempo, i loro greggi avevano dovuto crescere considerevolmente. D'altra
parte, noi vedremo ben presto che la cifra 50 è proprio quella che ci vuole per far con-
cordare la cronologia biblica con gli avvenimenti che seguiranno.
Dato che la Bibbia precisa che Arpharxad era nato due anni dopo il Diluvio, noi pos-
siamo porre la sua nascita verso il 2345,5; quella di Cainan, 35 anni più tardi, nel
2310,5; quella di Salè, 50 anni dopo, nel 2265; quella di Hèber, 30 anni più tardi, nel
2230,5; quella di Phaleg, dopo 34 anni, nel 2196,5. In questo momento, noi abbiamo un
riscontro cronologico possibile, giacché la Bibbia ci dice che Phaleg fu così chiamato
perché nei suoi giorni la terra fu divisa: dividere si dice in ebraico palag. Phaleg sareb-
be dunque nato poco dopo la dispersione dei popoli a partire dalla torre di Babele. Ora,
la dispersione si situa nel 2197,5, secondo la nostra scomposizione. La data del 2196,5
per la nascita di Phaleg risponde dunque alla condizione posta dalla Bibbia.
La marcia dei discendenti di Noè a partire dall'Ararat fu progressiva e durò senza dub-
bio molti anni. Se è impossibile pertanto marcarne e datarne le tappe, è più facile datar-
ne l'arrivo in Sennaar, per i Camiti, e di conseguenza l'arrivo in Mesopotamia e in Cap-
padocia per i Semiti e gli Japetiti. Simplicius rapporta37 che, durante la presa di Babilo-
nia da Alessandro (327 a.C.) Callìstene inviò a suo zio Aristotele una raccolta di osser-
vazioni di tutte le eclissi di 1900 anni". Si era dunque cominciato a fare delle osserva-
zioni astronomiche in Babilonia nell'anno 227 a.C. Essendo il Diluvio terminato nel
2347, ne consegue che la durata delle peregrinazioni degli uomini dall'Ararat fino al
Sennaar, durò 120 anni. Un elemento di controllo di questo calcolo ci è fornito dallo
storico Caldèo Beroso che "dava una lista di dinastie reali dal 2225 a.C. fino ad Ales-
sandro38".
Una lista reale detta sumera, stampata da Jacobsen39 dà, dopo i re antidiluviani, una
prima enumerazione di 23 sovrani che avrebbero regnato 24.510 anni, 3 mesi e 3,5
giorni. Questa cifra è sembrata inammissibile, e Weill40 non esitò a dichiarare questi re
nettamente mitologici. Noi non pensiamo che egli abbia ragione, giacché gli antichi non
hanno sempre fatto uso dell'anno solare come unità di tempo. Essi hanno avuto, prima
dell'anno, il giorno, la settimana, il decano, il mese e il semestre. Ma la parola che desi-
gnava l'unità di tempo restava la stessa quando l'unità cambiava.
Dopo il diluvio, l'unità di tempo impiegata per le liste reali sembra esser stata, per un
certo periodo, il decano, unità astrologica utilizzata per la determinazione degli oroscopi
e che comprendeva 10 giorni supposti essere sotto l'influenza di una stella particolare.
La cifra di 24.510 anni sarebbe dunque da dividere per 36. Su questa base, diviene 681
anni. Significa forse che 23 re avrebbero regnato successivamente per tale durata? Noi
non lo crediamo. La maggior parte dei nomi reali può essere riportata a quelli dei nipoti
di Cham, i quali, essendo contemporanei, hanno dovuto regnare sensibilmente nello
stesso periodo. Ora, se dividiamo 681 anni per 23, otteniamo una durata media di regno
di 29,5 anni. Sarebbe questa la durata dell'occupazione del Sennaar dagli uomini prima
della dispersione. Essa avrebbe pertanto avuto luogo nel 2227-29,5 = 2197,5 a.C.
37 - Couderc - Les étapes de l'astronomie; Presses univ. de France, Paris 1945, p. 24.
38 - Cavaignac - Chronologie de l'histoire mondiale, Payot, Paris, 1934, p.40.
39 - The Sumerian King List; Univ. of Chicago Press, 1939.
40 - La Phénicie et l'Asie occidentale; Armand Colin, Parigi, 1939, p. 50.
43
Ma se è certo che i 24.510 anni indicati dalla lista sumera non sono anni solari, è non
meno chiaro che i 3 mesi e 3 giorni e mezzo che vi si aggiungono sono dei mesi lunari
di 30 o 29 giorni, e dei giorni di 24 delle nostre ore. Ora, per i Sumeri gli anni comin-
ciavano alla luna nuova di primavera. L'anno della dispersione, 2198, aveva nella tabel-
la di Metòne il numero d'oro 8, che corrisponde a una luna nuova del 5 aprile giuliano,
osservabile a occhio nudo il giorno 6,5. Il ritardo dovuto al ciclo era di circa 7 giorni, il
che riporta la data suddetta circa verso il 13 aprile e mezzo, giuliano. Ma l'anno giuliano
sarebbe differito allora di circa 18 giorni dall'anno gregoriano. É dunque il 26-27 marzo
gregoriano che l'anno 2198 sarebbe cominciato per i Sumeri. Se noi aggiungiamo a que-
sta data 3 mesi, di cui due di 30 giorni e uno di 29, e 3 giorni e mezzo, ossia 92 giorni e
mezzo, otteniamo il 28 giugno 2198 per la data esatta della dispersione, che ebbe dun-
que luogo, come abbiamo pensato noi, nel 2197,5.
Dopo Phaleg, nato verso il 2196,5, noi troviamo, 30 anni più tardi, Réu, nato nel
2166,5; poi Sarug, generato 32 anni dopo, nel 2134,5; Nachor, dopo 30 anni, nel
2104,5, e Tharè, 29 anni più tardi, nel 2075,5.
Abramo
Qui si presenta una difficoltà cronologica. La Bibbia ci dice che Tharè visse 70 anni e
che generò Abram, Nachor e Aran; che Aran morì per primo, prima di suo padre, e che
quest'ultimo prese in seguito Abram, suo figlio, e Lot, figlio di Aran, per andare nella
terra di Canaan; discesero dapprima fino a Haran dove Tharè morì all'età di 205 anni.
Poi Abram e Lot uscirono da Haran per andare in Canaan; Abramo aveva allora 75 anni.
Se Tharè aveva 70 anni quando nacque Abram, ne avrebbe avuti 145 anni quando
Abram lasciò Haran, e avrebbe dovuto vivere ancora 60 anni per raggiungere l'età di
205 anni. Tuttavia gli Atti degli apostoli ci raccontano espressamente che Abram lasciò
Haran dopo la morte di suo padre. Qui lasciamo la penna a Vigouroux41:
"Per risolvere questa difficoltà, si è supposto che la cifra di 205, in Gen. XI, 32, è un
errore di copista, o piuttosto, che il passaggio di Gen. XI, 26, dove è detto: "Tharè visse 70
anni e generò Abram, Nachor e Aran", deve intendersi, non nel senso che il patriarca aveva 70 an-
ni alla nascita di Abram, ma alla nascita di Aran. Questi sarebbe stato il maggiore e i
suoi due fratelli sarebbero nati molto più tardi. È vero che nulla prova che Aran fu il
maggiore; Gen XI, 26, sembra indicare il contrario, ma si può ammettere che, in questo
versetto, Abram è nominato in primo luogo come padre degli Ebrei; e ciò che sembra
confermare che Aran era il più anziano di tutti, è che sua figlia Melcha sposò suo fra-
tello Nachor (Gen. XI, 29). Di più, secondo Giuseppe, S. Gerolamo, Abulfeda, Jescha, la
sorella di Melca non sarebbe altri che Sarai, la moglie di Abram; essa sarebbe stata, di
conseguenza, la sorella di Lot, figlio di Aran, il che ci spiegherebbe meglio come Lot,
chiamato fratello di Abram (Gen. XIV, 14-16) lo seguì in Canaan. Ora, si comprende che i
fratelli minori sposino le figlie del loro fratello maggiore, ma si spiegherebbe più diffi-
cilmente che i due maggiori sposino le figlie del loro fratello più giovane. Un'altra ra-
gione di pensare che Abram fosse il più giovane dei figli di Tharè, è che Rebecca, che
sposò Isacco, figlio di Abramo, era nipote di Nachor, il secondo figlio di Tharè".
C'è del vero in ciò che dice Vigouroux, ma noi incliniamo a vedere le cose sotto un pun-
to di vista differente. Come con Cham, che pur essendo il maggiore non fu considerato
tale a causa del suo peccato e fu sostituito da Sem, così ha dovuto prodursi qualcosa di
analogo tra Aran e Abram. Giosuè, parlando alle tribù di Israele a Sichem, disse loro:
"Così parla l'Eterno, Dio di Israele: "I vostri antenati, fino a Tharè, padre di Abram e di Nachor, abitavano un tempo al di là
dell'Eufrate e servivano dèi stranieri. Io presi vostro padre Abram dalle rive del fiume, lo feci venire in Canaan, e gli diedi
una numerosa posterità"." Sembra dunque che Dio abbia favorito Abram perché gli era fedele
in mezzo alla sua parentela infedele. Questo sembra indicare l'onomastica, giacché,
= Hôran (letto erroneamente Aran) può scomporsi in ho ra n = Ho Ra N = Facies-Facere-
Qui = Immagine, Fare un sacrificio, Quello che = Quello che fa dei sacrifici alle imma-
gini; mentre = Haberôhôm (Abraham) significa: ha be rw ... = Ha Be Rô
Ham = Caput-Abominari-Os-Cham = Capo, Respingere come funeste parole (magiche
di) Cham. D'altra parte, prima di chiamarsi Abramo, il patriarca si chiamava Abram,
cioè = Haberôm, che si può tradurre: habe-rwme = Habe-Rôme = Parva-Homo
= Piccolo-Uomo, ossia il più giovane. Se dunque Abram era il più giovane, la questione
cambia faccia. Invece di supporre che lo scriba si è ingannato nell'indicazione della du-
rata della vita di Tharè scrivendo 205 anni, noi crederemo che questa cifra è vera e met-
teremo la morte di Tharè, nato nel 2075,5, 205 anni più tardi, ossia nel 1870,5. Siccome
Abram aveva allora 75 anni, era nato nel 1945,5, quando Tharè aveva 130 anni, e tutto
quadra.
Quando Abramo fu arrivato in Canaan, partendo da Haran, la Bibbia ci dice che egli an-
dò ancora più lontano, camminando sempre e avanzando verso il mezzogiorno. Ora,
(Gen XII,10) si era prodotta sulla terra una carestia. Abramo discese in Egitto per trascor-
rervi qualche tempo perché la carestia era grande sulla terra. "Quando fu vicino ad entrare in Egit-
to, disse a Sara sua moglie: " "Vedi, io so che tu sei donna di aspetto avvenente. Quando gli Egiziani ti vedranno, penseran-
no: Costei è sua moglie, e mi uccideranno, mentre lasceranno te in vita. Dì dunque che tu sei mia sorella, perché io sia trat-
tato bene per causa tua e io viva per riguardo a te". Appunto quando Abram arrivò in Egitto, gli Egiziani videro che la don-
na era molto avvenente. La osservarono gli ufficiali del faraone e ne fecero le lodi al faraone; così la donna fu presa e con-
dotta nella casa del faraone. Per riguardo a lei, egli trattò bene Abram, che ricevette greggi e armenti e asini, schiavi e
schiave, asine e cammelli. Ma il Signore colpì il faraone e la sua casa con grandi piaghe, per il fatto di Sarai, moglie di
Abram. Allora il faraone convocò Abram e gli disse: "Che mi hai fatto? Perché non mi hai dichiarato che era tua moglie? Per-
ché hai detto: È mia sorella, così che io me la sono presa in moglie? E ora eccoti tua moglie: prendila e vàttene!". Poi il fa-
raone lo affidò ad alcuni uomini che lo accompagnarono fuori della frontiera insieme con la moglie e tutti i suoi averi.
Dall'Egitto Abram ritornò nel Negheb con la moglie e tutti i suoi averi; Lot era con lui. Abram era molto ricco in bestiame,
argento e oro. Tornò per lo stesso cammino dal quale era venuto". E lo storico giudeo Giuseppe42 aggiun-
ge: "Dio arrestò l'ingiusta passione del faraone con la malattia e il dissesto dei suoi af-
fari; e siccome chiese ai sacerdoti come poteva liberarsi da questi mali, essi gli dissero
che erano un effetto della collera divina perché aveva voluto far oltraggio alla moglie
di uno straniero". È dunque dai suoi indovini che il faraone conobbe l'esatta situazione
di Sarai in rapporto ad Abramo.
Il faraone di cui si tratta era Mentouthes III, penultimo re della XIª dinastia egiziana,
che esercitò il potere dal 1878,5 al 1866,5. Sotto il suo regno, il livello del Nilo fu tal-
mente basso che il fiume poteva essere attraversato a piedi. Noi sappiamo del resto, dai
documenti egiziani stessi, che vi fu un momento in cui tutto andò di male in peggio in
Egitto. La Sacra Scrittura trova in essi una conferma, anche se non ne ha certo bisogno.
Ma vien da chiedersi come una persona che doveva avere 66 anni (Sara aveva 9 o 10
anni meno di suo marito) ha potuto passare agli occhi degli egiziani per una donna di
bellezza straordinaria. Senza trascurare il fatto che la grande longevità dei Patriarchi as-
sicurava loro una conservazione relativamente migliore della nostra, bisogna dire che,
per gli ebrei, la bellezza di una donna matura risiedeva nella sua corpulenza e nel suo
aspetto prosperoso; molte mogli di israeliti ne danno ancora l'esempio. Per gli egiziani,
abituati alle forme più snelle delle loro donne, il caso di Sara dovette sembrare tanto
straordinario quanto quello di quell'altra moglie reale riportata dal paese di Poun nel
corso di una spedizione marittima successiva, e di cui le tavole egiziane ci hanno con-
servato fedelmente il ritratto: le sue membra e il suo corpo sono così paffuti che vi si
vedono degli anelli di grasso sovrapposti, tanto che si può compararla al ben noto Bi-
bendum che reclamizza i pneumatici Michelin. Non foss'altro che per curiosità, Sara
doveva figurare nell'harem del faraone. Ma si sa dal libro di Ester43, che una donna non
entrava di punto in bianco nella camera reale: ci volevano 12 mesi per prepararsi e ren-
dersi gradevole, servendosi per ciò, durante i primi 6 mesi, di un'unzione di olio e di
mirra, e per gli altri 6 mesi, di profumi e di aromi.
Ora, noi abbiamo detto che Abramo lasciò Haran nel 1871. Camminando un po' al gior-
no, con le sue numerose greggi, gli furono necessari diversi mesi per coprire le migliaia
di chilometri che lo separavano dalla frontiera egiziana. Sara dovette dunque essere pre-
sentata al faraone che risedeva a Tebe, all'altra estremità dell'Egitto, nel corso del se-
condo semestre del 1871. L'anno seguente la carestia era terminata, e Abramo poteva
senza pericolo rientrare in Chanaan al momento del raccolto del 1870, ossia in primave-
ra. Dunque, il suo soggiorno in Egitto non era durato un anno, e Sara dovette venirgli
resa intatta... e profumata. E certo dovette sorridere, tra la sua barba patriarcale, della
burla giocata agli egiziani.
Poi la Bibbia racconta che Sara non aveva dato figli ad Abramo, ma che avendo una
schiava egiziana di nome Agar, disse a suo marito: "Prendi la mia schiava, forse almeno da lei avrò dei
figli". È così che Agar partorì Ismaele ad Abramo, che aveva allora 86 anni; si era dun-
que nel 1859,5. Ma siccome Dio aveva promesso ad Abramo una numerosa posterità le-
gittima, malgrado il suo scetticismo, Sara partorì Isacco quando Abramo aveva 100 an-
ni. cioè nel 1845,5. È quando Abramo aveva 99 anni che ebbe luogo il cataclisma che
distrusse Sodoma e Gomorra; si era dunque nel 1846,5, ossia 500 anni dopo il Diluvio
universale.
Isacco
Isacco aveva circa sessant'anni quando gli nacquero due gemelli, Esaù e Giacobbe; si
era verso il 1785. Non ci occuperemo qui di Esaù, non più che di tutte le genealogie col-
laterali menzionate dalla Bibbia. Ma seguiremo la genealogia di Nostro Signore Gesù
Cristo poiché, una volta che questa sarà ben stabilita, le altre vi si collegheranno natu-
ralmente. Per strada, esamineremo anche gli avvenimenti che interessano sia la storia
del popolo ebreo che quella delle nazioni vicine.
Giacobbe
Quando Giacobbe ebbe 77 anni, cioè nel 1708, temendo la vendetta di suo fratello, pri-
vato del suo diritto di primogenitura, fuggì in Mesopotamia di Siria, presso il fratello di
sua madre, Labano, di cui sposò due figlie; da queste e dalle loro serve, che gli erano
state date come mogli supplementari, gli nacquero dodici figli che furono i fondatori
delle dodici tribù di Israele: Ruben, Simeone, Levi, Giuda, Dan, Nephthali, Gad, Aser,
Issachar, Zabulon, Giuseppe e Beniamino. Giuda fu l'antenato di Nostro Signore Gesù
Cristo. Noteremo che Giuda, quarto figlio di Giacobbe, dovette nascere verso il 1703,
mentre Giuseppe, undicesimo figlio, verso il 1694.
Giuseppe
Il ruolo di Giuseppe nella storia del popolo ebreo e in quella dell'Egitto fu estremamente
importante; ecco perché noi stabiliremo la concordanza dei principali fatti della sua vita
con quelli dell'Egitto. Sappiamo dalla Bibbia che Giuseppe, a cui dei sogni predicevano
un brillante avvenire, era odiato dai suoi fratelli e che questi vollero approfittare del fat-
to che Giacobbe l'aveva inviato verso di loro per ucciderlo; ma Ruben, che voleva sal-
varlo, convinse i suoi fratelli a calarlo in una cisterna asciutta; Giuda propose in seguito
di vendere Giuseppe a dei mercanti madianiti piuttosto che lasciarlo morire di fame nel-
la cisterna, cosa che fecero: e Giuseppe fu venduto in Egitto come schiavo.
La Bibbia attribuisce a Giuseppe l'età di 16 anni quando era ancora presso suo padre;
poi cita vari incidenti che si produssero prima che fosse ridotto in schiavitù. In seguito,
gli dà 30 anni al momento della sua comparsa davanti al Faraone che ne fa il signore
dell'Egitto. Quest'ultimo avvenimento è databile al 1664, tanto per la durata delle dina-
stie egiziane che per l'epoca degli anni di abbondanza e di carestia che seguirono, il che
corrisponde con l'anno biblico della nascita di Giuseppe, circa 1694. L'arrivo di Giusep-
pe in Egitto sembrerebbe poter esser posto 13 anni prima, ossia verso il 1677. Nondi-
meno, se gli incidenti intermedi che hanno preceduto la sua schiavitù hanno preso meno
di un anno o, al contrario, due anni, questa data può oscillare tra il 1678 e il 1676. Noi
abbiamo un mezzo per fare una scelta tra queste due date. Quando Giuseppe ebbe, non
solo interpretato i sogni del Faraone, ma indicato un piano che doveva assicurare il ri-
fornimento dell'Egitto, il re lo soprannominò Saphenath Paenêach (Gen XLI, 45
).
Si è ben cercato il significato di questo nome; ne ha molti, ma il senso ovvio è dato dal
copto: cap nac = Sap Nas = Phoenicos, Fenicio, che si traduce: Vices-Antiquus-
Phœnicus = Ritorno-Antico-Fenicio = Il ritorno dell'antico Fenicio. La tradizione dice
che il primo Phénix era stato Thot-Ludim, figlio primogenito di Misraim che era raffi-
gurato in geroglifico con questo uccello. Thot aveva stabilito, nel 2176, i riti magici che,
nel suo pensiero, dovevano assicurare la fertilità all'Egitto; Giuseppe, venendo a garanti-
re, ma effettivamente, l'approvvigionamento dell'Egitto, era come un nuovo Phénix, e
500 anni dopo il 2176 ci portano al 1676. Noi pensiamo dunque che è quest'ultima data,
con esclusione delle altre due, che bisogna adottare per l'arrivo di Giuseppe in Egitto
all'età di 18 anni.
Fin dalla sua ascesa al potere, Giuseppe andò a visitare tutte le province dell'Egitto e fe-
ce costruire i granai che dovevano ricevere l'eccedenza dei raccolti dei sette anni di ab-
bondanza; il primo di questi fu il 1663, mentre il primo anno di carestia fu il 1656; è nel
secondo anno di siccità che Giuseppe fece venire in Egitto suo padre e i suoi fratelli,
dunque nel 1655. Giacobbe aveva allora 130 anni ed era dunque nato nel 1785. Visse
ancora 17 anni, ossia fino al 1638. Quanto a Giuseppe, egli governò l'Egitto per 80 anni,
cioè fino al 1584, anno in cui morì all'età di 110 anni.
47
Già da molto tempo non possediamo più l'originale della Bibbia, ma solo delle copie la
cui esattezza assoluta non è garantita. D'altra parte, i libri antichi erano dei rotoli di pa-
piro, e, nell'arrotolamento e srotolamento di questi documenti, la pellicola di inchiostro
che li ricopriva perdeva alla lunga più o meno delle sue parti; i copisti ristabilivano alla
meglio i testi alterati. Ma se è relativamente facile ricostruire un testo continuo, dove il
testo aiuta il ricercatore, in materia di cifre, non c'è appoggio da trovare nei segni vicini,
e una cifra mal fatta è sovente una cifra mal letta. Noi abbiamo potuto constatarlo nella
cronologia egiziana dove, da uno scoliaste all'altro, le durate dinastiche variano talvolta
di centinaia d'anni. È certamente successo lo stesso per la cifra biblica di 480. Rimar-
chiamo subito che questo numero è stato molto discusso, il che non sarebbe successo se
fosse stato sicuro. Weill45 menziona che Eusebio critica severamente l'Africano per aver
ammesso, in disaccordo coi Libri Santi, 740 anni, e anche Clemente d'Alessandria, che
ne iscriveva 574, e anche S. Paolo, le cui cifre parziali farebbero uscire, dice lui, 601
anni, ciò che noi non abbiamo affatto costatato, d'altronde, per quest'ultimo. I Settanta
hanno trascritto 440; ma questo numero passa per essere uno dei passaggi che essi han-
no interpolato. Ora, il fatto che i Settanta hanno, già allora, riportato una cifra inesatta,
sembra indicare che il documento di cui si servivano fosse poco leggibile.
Bisogna rimarcare che la traduzione dei Settanta è stata fatta su dei manoscritti ebraici
in caratteri detti fenici e non in caratteri quadrati46. In ebraico arcaico, 480 può scriversi
, cioè 400 e 80, "Daleth" puntato e "Phe". Il fenicio ha anche per il "Daleth" la for-
ma che è passata in greco arcaico a ed a . D'altra parte, il "Beth" antico, che
vale 2, si scriveva . Si vede di conseguenza che un "Beth" accorciato o malformato ri-
produrrà l'uno o l'altro "Daleth". Da parte sua, il "Phe" ha un tracciato che entra per
intero nella composizione del "Nun" e del "Mem" ; "Nun" = 50 e "Mem" = 40. Da-
vanti a un "Nun" deteriorato e incerto, una scuola di scribi ha accorciato il segno e ne ha
fatto un "Phe", l'altra, quella dei Settanta, l'ha allungato e convertito in "Mem". Se, in
luogo di un "Beth" puntato , l'ebraico primitivo aveva impiegato il "Resch" non pun-
tato per esprimere il numero 200, la spiegazione che noi diamo avrebbe lo stesso valore
a causa della rassomiglianza dei due segni. Si comprende, pertanto, come , 480, ha
potuto venire da , 250 per sparizione di due appendici .
Ora, Salomone fu consacrato re con suo padre ancora vivo e regnò al suo posto (III Re c.
47
I, 28 e s.) . Noi abbiamo potuto stabilire che questo fatto avvenne verso il 975,5 a.C.
D'altra parte, il primo versetto48 del capitolo V dello stesso libro ci informa che Hiram,
re di Tiro, appreso che Salomone era stato consacrato re al posto di suo padre, gli inviò i
suoi ministri. Di ritorno, Salomone mandò a dire a Hiram la sua intenzione di costruire
un tempio al Signore, e lo pregò di far tagliare per lui dei tronchi nelle sue foreste: "I miei
servitori, disse, saranno i vostri" (v. 6)49. Hiram vi acconsentì e il lavoro durò parecchi anni, e
ciascun anno Salomone inviava in pagamento a Hiram 20.000 misure di frumento e 20
misure di olio (v. 11)50. Nello stesso tempo, Salomone aveva 30.000 uomini che andava-
no a cercare i legni in Libano, 70.000 manovali e 80.000 operai che tagliavano delle
pietre nella montagna (v. 14 e 15)51. Così il legno e le pietre furono approntate (v. 18)52, ed
è solo allora che la costruzione propriamente detta iniziò, il quarto anno del regno di Sa-
lomone. Tuttavia, fin dal primo anno, cioè dalla metà del 976, tutto era previsto e intra-
preso. Se si aggiungono a monte di questa data 250 anni, si arriva, mese più mese meno,
alla data dell'Esodo: aprile 1226; 250 non è d'altronde che una cifra tonda. La corri-
spondenza sarebbe perfetta se il 4 finale della cifra di san Clemente corrispondesse a
una realtà giacché anche 972+254 è uguale a 1226.
Tuttavia un altro testo biblico (Giudici, cap. XI, 26) sembra ancora opporsi alla sostituzione
da 250 a 480 nel versetto 1 del capitolo VI del III libro dei Re53. Si racconta che Jephte
era stato scelto come Giudice per la tribù di Galaad o Gad perché era minacciata di
espropriazione dagli Ammoniti, i quali pretendevano di essere stati anteriormente i de-
tentori del territorio di questa tribù loro vicina. Ora, Jephte, prima di entrare in guerra,
fece loro osservare che il paese era anteriormente di proprietà degli Amorrei, che, aven-
do dichiarato guerra a Israele ed essendo stati vinti, avevano dovuto legittimamente ce-
dere il posto agli Ebrei; aggiunse anche che, da allora, loro avevano abitato la regione
per 300 anni senza essere disturbati nella loro occupazione né dai Moabiti, altra nazione
vicina, nè dagli Ammoniti stessi che non avevano mai cercato, in tutto questo tempo, di
rientrare nei loro pretesi diritti. La conquista del paese degli Amorrei era stata opera di
Mosè nell'ultimo anno della sua vita, cioè alla fine del 1187, ossia all'inizio dell'anno
1186 a.C.. Se sono trascorsi solo 250 anni tra l'Esodo e il regno di Salomone come,
dunque, sotto i Giudici, cioè ben prima di Salomone, gli Ebrei avrebbero potuto risiede-
re 300 anni nel paese degli Amorrei? Ma siccome non ci è possibile, cronologicamente,
risalire al di là del 1187-1186 per l'inizio della conquista della Palestina dagli Ebrei, bi-
sogna che la cifra di 300 anni sia errata.
Questo errore è stato graficamente possibile per confusione con "60". 300 e 60 sono de-
signati da due sibilanti: 300 = Sin e 60 = Samech. Ora, il primo si scrive in fenicio o
semitico w o o ; il secondo, o , che ha dato in greco arcaico (cfr. Papyrus
Prisse et inscription d'Eschmounezer) e 60 anni ci condurrebbero al 1126 circa per l'inizio del-
la giudicatura di Jephte. Una cattiva lettura è dunque del tutto verosimile. È possibile
che vi sia stato un semplice errore di lettura e lo scriba correttore abbia voluto mettere
d'accordo la cronologia basata su una successione di tutti i Giudici con la cifra di 480
del Libro dei Re, giacché si può, bene o male, ricostruire una lista di capi durante 175
anni a partire da Jephte: Jephte 6 anni, Abesam 7 anni, Ahialon 10 anni, Abdon 8 anni,
Samson 20 anni, Heli 40 anni, Samuele e Saul 40 anni, Davide 40 anni, Salomone 4 an-
ni; totale 175 secondo la conta di d'Allioli. Ma, oltre al fatto che questa conta è incom-
pleta (Saul ha regnato 40 anni da solo, Sansone ha giudicato 20 anni mentre Israele era oppresso dai Fili-
stei per 40 anni), essa non concorda con le cifre anteriori a Jephte che formano più di 300
anni, se li sommiamo (316 anni). Questo modo di computazione è dunque da eliminare.
Tuttavia, tutti quelli che hanno imboccato questa via hanno trascurato un dettaglio
importante che rivela il v. 2 del capitolo XXIII di Giosuè; è che questo conduttore del
popolo di Dio "fece riunire tutto Israele, gli anziani, i principi, i giudici e i magistrati". Questo suppone
almeno un anziano, un principe, un giudice e un magistrato per tribù. Noi siamo,
pertanto, autorizzati a pensare che la Bibbia ci dà, non una successione di giudici, ma i
nomi della maggior parte dei giudici che hanno diretto simultaneamente le dodici tribù
di Israele tra la morte di Giosuè, capo supremo al di sopra dei Giudici, e l'avvento di
Heli, gran sacerdote e giudice per tutte le tribù di Israele (I, Re, c. II, v. 28)54. È d'altronde
questo ciò che lascia intendere l'ultimo versetto del Libro dei Giudici: "In quel tempo non c'era
un re in Israele; ognuno faceva quel che gli pareva meglio".
Noi abbiamo avuto la netta impressione che non fu così quando abbiamo ripartito i giu-
dici secondo le loro tribù d'origine. Ma, innanzitutto, terremo conto del fatto che tra la
morte di Giosuè e l'apparizione dei giudici salvatori, vi fu un periodo di oblio graduale
della legge di Dio, così come narra il capitolo II del Libro dei Giudici, versetti da 8 a
16: "Poi Giosuè, figlio di Nun, servo del Signore, morì a centodieci anni... Anche tutta quella generazione fu riunita ai suoi
padri; dopo di essa ne sorse un'altra, che non conosceva il Signore, né le opere che aveva compiute in favore d'Israele. Gli
Israeliti fecero ciò che è male agli occhi del Signore e servirono i Baal… Allora si accese l'ira del Signore contro Israele e li
mise in mano a razziatori, che li depredarono; li vendette ai nemici che stavano loro intorno ed essi non potevano più tener
testa ai nemici… furono ridotti all'estremo. Allora il Signore fece sorgere dei giudici, che li liberavano dalle mani di quelli
che li opprimevano, ma non vollero affatto ascoltarli". Sembra dunque esservi stato, tra la morte di Gio-
suè e l'apparizione dei primi giudici, un periodo vuoto di durata indeterminata.
La durata del governo di Giosuè non è precisata ma noi possiamo determinarla appros-
simativamente dalle considerazioni seguenti: Giosuè e Caleb erano stati designati da
Mosè, nel 1226, per riconoscere la Palestina; Caleb aveva allora 40 anni. Quando il pae-
se di Chanaan fu stato conquistato, il che richiese 7 anni a partire dal 1186, ossia nel
1179, Giosuè, già molto vecchio, quasi centenario, ne intraprese la divisione, e Caleb,
presentandosi per ricevere la sua parte, disse: "Ho ora 85 anni". Si può dunque ammettere
che Giosuè era maggiore di Caleb di una buona dozzina d'anni, che aveva circa 53 anni
nel 1226, e che era nato verso il 1279. Siccome Giosuè morì all'età di 110 anni, la sua
fine sarebbe avvenuta verso il 1169; egli avrebbe dunque giudicato il popolo di Israele
dal 1186, data della scomparsa di Mosè, fino al 1169, ossia per circa 17 anni; è questo il
tempo che adottano anche Carrières e d'Allioli.
Nella tabella seguente di ripartizione dei giudici, noi raggrupperemo le due piccole tribù
di Issachar e di Zabulon, giacché Thola, uno dei loro giudici, era della tribù di Issachar e
abitava a Zabulon; nessun giudice è segnalato per la tribù di Simeone, di Ruben e di
Azer; Nephtali ha avuto Barac la cui durata di governo non ci è nota. Detto questo, la
tabella cronologica si presenta come segue:
Issacar
Giuda Dan Beniamino Efraïm Manasse Gad
Zabulon
Periodo di infedeltà ?
Oppressione Samgar giu- Oppressione Debora Oppressione Jaïr Thola
di Chusan: dice? di Moab giudice? di Nadian giudice giudice
8 anni 18 anni 7 anni 22 anni 23 anni
Oppressione Periodo di
Othoniel dei filistei Aod pace Gedeone Oppressione Abesan
giudice 20 anni giudice 40 anni giudice 18 anni giudice
40 anni 80 anni 40 anni 7 anni
Sansone Abdon Jephte
giudice giudice Abimelech 6 anni Ahialon
20 anni 8 anni 3 anni giudice
10 anni
Totali:
48 anni 40 + x 98 anni 48 + x 50 anni 46 anni 40 anni
All'esame anche superficiale di questa tabella colpisce subito una cosa, ed è la quasi
uguaglianza delle durate di giudicatura e di oppressione applicabili alle diverse tribù che
oscillano tra 40 e 50 anni. L'unica eccezione è per la tribù di Beniamino dove lo stesso
periodo avrebbe raggiunto 98 anni. Il fatto è tanto più anormale in quanto la tribù di Be-
niamino, per la sua stessa situazione, era la via naturale delle invasioni che venivano da
Ammon e da Moab in Palestina cisgiordanica e non v'era, pertanto, nessuna ragione
perché conservasse la pace due volte più a lungo delle altre tribù. Tanto più che, a se-
guito di un abominevole crimine commesso dai Beniaminiti, tutte le altre tribù di Israele
si riunirono contro di loro e li annientarono quasi completamente non lasciando che 600
uomini (Giudici XX). In queste condizioni, gli 80 anni di giudicatura attribuiti ad Aod ap-
paiono come un nuovo sbaglio di copista. Il Lamed, che vale 30 e che normalmente si
scriveva , aveva anche le forme , di cui una ha potuto essere confusa col Phè
(=80). Il periodo dei Giudici si presenta ora come avente durato in realtà circa 48
anni.
Noi sappiamo che in seguito Israele fu governato dal gran-sacerdote Heli per 40 anni;
poi Samuele fu il solo giudice per 21 anni, secondo Carrières e d'Allioli; vennero poi
Saul e Davide, ciascuno per 40 anni; si arriva allora all'anno 974,5 in cui Salomone re-
gnò da solo dopo la morte del padre che lo aveva associato al trono circa un anno prima.
Possiamo dunque stabilire la successione seguente:
A dire il vero, anche nel periodo di infedeltà, gli Ebrei ebbero un capo che fu Giuda, il
quale li condusse alla conquista dei paesi dei Cananei, dei Perizèi, prese Bezec, Hebron,
Dabir, Sefath, Gaza, Ascalon, Accaron, Betel, etc.. Tuttavia (e fu appunto questa la grande
infedeltà), gli Israeliti non annientarono affatto i popoli vinti, il che ebbe per effetto di
mantenere dei focolai di idolatria coi quali si contaminarono essi stessi (Giudici I, 2).
Forse qualcuno ci opporrà, alla simultaneità del governo dei Giudici, l'ordine di succes-
sione che il testo sacro sembra stabilire tra diverse giudicature (che noi abbiamo, però, messo
in parallelo) unendole con delle menzioni quali post, dopo, o altre equivalenti. Ma questa
traduzione della Volgata è corretta? Post si dice in ebraico Hachar, ma Alius, al-
tro, si dice Hacher, e le due parole hanno potuto benissimo confondersi all'epoca
in cui l'ebraico non scriveva le vocali. Con Alius, tutto cambia, e l'obiezione cade.
La durata del soggiorno degli Ebrei in Egitto solleva un'altra questione cronologica. Al
capitolo XV della Genesi, si scrive (v. 12, 13 e 14): " Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cad-
de su Abram, ed ecco un oscuro terrore lo assalì. Allora il Signore disse ad Abram: "Sappi che i tuoi discendenti saranno fo-
restieri in un paese non loro; saranno fatti schiavi e saranno oppressi per quattrocento anni. Ma la nazione che essi avranno
servito, la giudicherò io: dopo, essi usciranno con grandi ricchezze". Sapendo che nel Libro dell'Esodo (cap.
XII, v. 40) è detto che "Il tempo in cui i figli di Israele rimasero in Egitto fu di 430 anni", si è creduto, alla
leggera, di trarsi fuori dall'apparente contraddizione dicendo che 400 era un numero
tondo.
Non è tuttavia qui che sta l'errore, ma nell'affermazione che il popolo ebreo sarà oppres-
so da mali per 400 anni. Infatti, già, durante gli 80 anni di regno di Giuseppe, gli Israeli-
ti non dovettero subire nessuna persecuzione; non se ne fa menzione neanche sotto
Amosis e i faraoni della sua linea; e nemmeno sotto Thoutmosis III e i re che reagirono
contro l'impresa dei sacerdoti di Tebe, e ancor meno sotto Amenophis IV e i sovrani
"adonaisti" poiché questi si ispiravano alla dottrina ebraica. In queste condizioni si arri-
va, nella cronologia egiziana, all'anno 1324, ossia 98 o 99 anni prima dell'Esodo del
1226. È qui che la cifra tonda di 100, e non di 400 anni, potrebbe avere un significato.
Ora, gli esempi di confusione di questo tipo non mancano; è così che si trova, per la du-
rata della XIVª dinastia egiziana, 184 o 484 anni, e per quella della XIIIª, 153 o 453. La
rassomiglianza tra una A e un ) greco si prestava a tali errori. Senza dubbio ci si obiet-
terà che la cifra di 400 ha dovuto trovarsi nella Bibbia prima della traduzione greca dei
Settanta; siamo d'accordo, e aggiungiamo anche che lo sbaglio di copia non ha potuto
nascere nell'ebraico quadrato moderno dove il e il sono troppo dissimili. Ma l'Alef
arcaico si scriveva e il Dalet della stessa epoca , e qui la confusione era facile
come nel greco.
Dopo tutto, i fatti dimostrano chiaramente che ha dovuto essere così. Nessuno dubita
più che il faraone persecutore dell'epoca dell'Esodo fu quello che in egittologia si chia-
ma "Menephtàh"; si sa del resto che gli Ebrei furono particolarmente maltrattati durante
il lungo regno di Ramses II per conto del quale dovettero costruire la città di Ramesse.
Mosè aveva 80 anni quando si presentò davanti al faraone dell'Esodo, nel 1226, e alla
sua nascita le persecuzioni esistevano già poiché egli ha dovuto essere espo-
sto sul Nilo. Gli israeliti, prima di costruire Ramesse, avevano dovuto co-
struire Phitom, e il faraone Sethos I ha nel suo scudo (fig. a dx.) tutto ciò che
ci vuole per scrivere il nome di questa città Phåh Hi Tou Oueh Mehi. Prima di Sethos
I, c'era stato il regno effimero di Ramses I e quello di Armais "l'Horem-
heb" degli egittologi. Ora, il nome di questo re (fig. a sin) si scrive Horou-
Amau-Asai, e già l'elevatore oscillante è indicativo dei lavori, ma la tra-
scrizione è ben più espressiva:
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cioè: La moltitudine che ha condotto dei greggi diviene temibile; che essa soccomba al
lavoro, che sia battuta come grano.
È l'esatta conferma di ciò che dice la Bibbia55: "Frattanto si instaurò in Egitto un nuovo re a cui Giuseppe
era sconosciuto, e disse al suo popolo: "Voi vedete che il popolo dei figli di Israele è divenuto molto numeroso ed è più forte
di noi. Opprimiamolo dunque con astuzia perché non si moltiplichi ancor di più, così che, se noi fossimo sorpresi da qualche
guerra, non si unisca ai nostri nemici e, dopo averci vinti, non esca dall'Egitto. Egli stabilì dunque dei capimastri affinché li
opprimessero di lavoro".
E il commentatore aggiunge queste note molto giudiziose: "Secondo alcuni, questo nuo-
vo re era anche di una nuova dinastia che, dopo aver espulso quella che regnava prima,
si era impossessato della dignità regale. Il popolo di Israele gli divenne sospetto e odio-
so per la stessa ragione per cui i suoi predecessori gli erano stati favorevoli. Egli non
ignorava ciò che riguardava la persona di Giuseppe, ma non volle più ricordarsi dei
servigi da lui resi all'Egitto".
Armaïs era in effetti un re nuovo, che si sostituì con la forza ai suoi predecessori, i se-
guaci di Adonai, il Dio di Israele. Per compiacere il clero tebano di Amon, egli soppres-
se il nuovo culto e oppresse coloro che lo avevano suggerito e che lo praticavano: gli
Ebrei. La coincidenza tra l'inizio della persecuzione e la scomparsa della religione
"adonaista", mostra chiaramente che lo scopo dei maltrattamenti era d'ispirazione in-
nanzitutto cultuale: si perseguitavano quelli che praticavano la religione di Giuseppe, e
ciò fa comprendere l'omissione del suo nome dalle liste reali egiziane redatte dai sacer-
doti; più ancora degli Hyksos, essi lo hanno perseguitato col loro astio. La frase attribui-
ta dalla Bibbia al re d'Egitto per far accettare la persecuzione degli Ebrei al suo popolo:
"Per paura che, se ci trovassimo sorpresi da qualche guerra, essi si uniscano ai nostri nemici", si applica perfetta-
mente ad Armaïs, il quale, avendo soppresso il figlio di Shoubbilouliouma, inviato co-
me sposo all'ultima regina dell'antica dinastia, poteva attendersi un'invasione ittita.
L'Adonai ebraico non reclamava sacrifici umani come quelli che esigeva Amon. Vita
eterna ed Autore di ogni vita, Egli non aveva bisogno del sangue degli uomini per dar
loro l'abbondanza, e Giuseppe lo aveva dimostrato. Ora, Giuseppe è stato scelto da Dio
per stabilire in Egitto il popolo che doveva conservare il Suo culto. La logica divina esi-
geva che questo popolo fosse preservato dal contagio dell'idolatria, e il miglior mezzo di
ovviare alla penetrazione dell'errore tra gli Ebrei, era che la loro propria concezione dot-
trinale si diffondesse tra gli egiziani, in virtù del principio che la miglior difesa è l'attac-
co. "Dio è ammirabile nelle sue vie", la Sua strategia è perfetta: quando vorrà che il suo popolo si
moltiplichi, gli procurerà la protezione dei faraoni e l'abbondanza dei granai egiziani;
per proteggere la sua fede, Egli intaccherà la religione millenaria degli egiziani; quando
dovrà lasciare l'Egitto, Dio farà che vi sia dapprima perseguitato perché non provi di-
spiacere a distaccarsene allorché sarà giunto il momento di conquistare la Terra Pro-
messa; il Signore farà innanzitutto spianare il terreno dagli egiziani. La grande contesa
del culto di Adonai non è per noi che una tappa nella realizzazione del piano di Dio su
Israele. All'infuori di queste, tutte le altre ragioni che si potranno trovare sono speciose
o quantomeno secondarie.
55 - D'Allioli: Nouveau commentaire des Divines Ecritures, T.I; Vives, Paris, 1884, p. 268, v. 8-11.
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La Bibbia ci dice che al tempo in cui Giuseppe fu venduto ai Madianiti, cioè verso il
1676, Giuda, il quarto figlio di Giacobbe, lasciò i suoi fratelli e si recò nel sud della
Giudea a Odolla, dove sposò la figlia di un cananeo; ebbe tre figli: Her, Onan e Sela.
Quando Her fu grande, Giuda gli fece sposare una giovane di nome Tamar; ma, dice la
Genesi, Her era un uomo molto cattivo e fu colpito a morte da Dio. Secondo l'abitudine
ebraica, Giuda diede il suo secondo figlio, Onan, alla vedova, al fine di dare dei discen-
denti al defunto; ma Onan non voleva figli e fu così colpito a morte da Dio. Giuda non
adempì all'obbligo di dare il suo terzo figlio a Tamar accampando la scusa che doveva
aspettare che Sela fosse più grande. Ma trascorse un lunghissimo tempo senza che que-
sti adempisse al suo impegno; sua moglie morì quando Sela era largamente in età di
sposarsi, ma Giuda lo trattenne ancora presso di sé. È davanti a questa carenza che Ta-
mar, che voleva avere dei figli, simulò di essere una donna di malavita, e, velata, andò
ad attendere Giuda sulla sua strada; ella accolse le proposte che le fece suo suocero il
quale la credeva una cortigiana, e, da questo incesto, nacquero due gemelli, Perez e Ze-
rach. I Paralipomèni (cap. II) danno la successione seguente dei discendenti di Perez:
Hesron, Aram, Aminadab, Nahasson, Salomon, Booz, Obed, Isaï e David. Ora, Davide,
morto nel 975 a 70 anni, era nato nel 1045, e noi abbiamo visto che Giuda era nato ver-
so il 1703; in questo intervallo di 658 anni, ci sarebbero dunque stati solo dieci anelli?
Di questa inverosimiglianza si è generalmente concluso che: "L'autore sacro aveva vo-
luto indicare solamente i principali antenati di Davide e stabilire che egli discendeva
da Giuda, figlio di Giacobbe56".
È purtroppo su ipotesi del genere che ci si è appoggiati per sostenere che non esiste una
cronologia biblica o, almeno, che essa era stata accorciata poiché vi si trovavano delle
lacune. Soluzione affrettata e maldestra, che ha contribuito a mantenere errori e incer-
tezze ed a togliere credito ai Libri Sacri. È strano che, fra tanti esegeti, non si è trovato
nessuno capace di dare al problema la vera soluzione. Questa ci è data dal Deuterono-
mio, (c. XXIII, v. 2) : "Colui che è nato da una donna illegittima non entrerà nell'assemblea del Signore fino alla de-
cima generazione inclusa". Ora, siccome la nascita di Perez è stata illegittima, lui e i suoi 9
primi successori si trovavano esclusi dalle tavole genealogiche di Israele. Se noi pos-
siamo eccezionalmente iscrivervi il suo nome, è perché la cronologia racconta le condi-
zioni particolari della sua nascita per stabilire che Davide discende proprio da Giuda.
È chiaro che se il numero degli anelli raddoppia, l'intervallo di 658 anni diviene norma-
le, tanto più che alcune delle generazioni conosciute sono molto tardive. Il primo è il ca-
so di Perez. Giuda si sposa verso il 1675; ha tre figli, il terzo più tardivamente; se questi
è nato verso il 1666, poteva normalmente sposarsi verso il 1642. Ma, avendolo Giuda
trattenuto a lungo con sè, Tamara, persa la speranza di sposarlo, si dette a Giuda, e si
può ammettere che Perez sia nato verso il 1636; da questa data a quella della nascita di
Giuda (1703), si contano 67 anni.
D'altra parte, il Libro di Ruth ci dice che Noemi venne nel paese di Moab con i suoi due
figli che vi si sposarono e vi dimorarono 10 anni prima di morire. Noemi, che doveva in
quel momento avere circa 60 anni, ritornò allora a Betlemme con Ruth, sua nuora. Ri-
trovò là un parente di suo marito chiamato Booz, che doveva avere anche lui circa 60
anni, il quale sposò Ruth, felice che lo avesse preferito a uno più giovane. Si può dun-
que ammettere che Booz avesse circa 61 anni quando Ruth gli diede Obed.
Infine, sappiamo che, quando Samuele unse Davide, questi aveva circa 15 anni e che era
l'ottavo figlio di Isaï o Iesse, il quale, dice il Libro dei Re (I, c. XVII, v. 12), era uno dei
più vecchi del tempo di Saul. Non è dunque esagerato credere che Davide nacque quan-
do suo padre aveva circa 50 anni.
Se dunque noi deduciamo dall'intervallo di 658 anni, 67, 61 e 50 anni, ossia 178 anni,
restano 480 anni da ripartire in 16 parti, il che dà una media del tutto normale di 30 anni
per parte. Possiamo dunque stendere la tabella seguente:
Mosè
Un caso analogo si presenta nella genealogia di Mosè, la quale sarebbe, secondo il cap.
VI dell'Esodo: Levi - Caath - Amram - Mosè. Siccome Levi nacque verso il 1704, es-
sendo il terzo figlio di Giacobbe, e Mosè nel 1306, è inverosimile che vi siano solo tre
nomi in 398 anni. Ma, se si ammette l'introduzione di un mamzer (figlio illegittimo), il
numero dei nomi sale a 13, di 30 anni ciascuno; gli 8 anni di resto possono essere attri-
buiti a Amram che ebbe almeno due altri figli prima di Mosè: Aronne e sua sorella Ma-
ria che era già una ragazza quando lui nacque. Forse la scissione deve farsi su Caath
(ovvero Qehôth ) giacché in copto [/out = Çêout significa Agnatus, nato a fianco.
Le piaghe d'Egitto
Mosè aveva 80 anni quando comparì davanti al faraone Amenephtes per chiedergli la
liberazione degli israeliti. Lungi dall'ascoltare l'inviato divino, Amenephtes, accecato,
aggravò la sorte degli Ebrei ed allora Mosè fece accadere successivamente sull'Egitto
dieci piaghe che furono (riassumiamo la Bibbia):
1° L'acqua del fiume fu cambiata in sangue; i pesci morirono, e gli egiziani soffriro-
no molto bevendo le acque corrotte del Nilo; il sangue si estese anche all'acqua
conservata nei vasi.
2° Sette giorni dopo, un numero enorme di rane si diffuse in tutte le case d'Egitto; poi
le rane morirono e la terra ne fu infettata.
57 - Vedere variante p. 13 in Giuseppe, maestro del mondo e delle scienze - rif. 42.37.
55
5° Tutti gli animali domestici furono colpiti da una peste molto grave che li fece pe-
rire.
7° Una terribile grandine si abbatté sull'Egitto. Essa guastò il lino e l'orzo, poiché
l'orzo aveva già emesso le sue spighe e il lino cominciava a fare i grani; ma il gra-
no e il frumento non furono colpiti perché erano più tardivi.
10° Tutti i primogeniti degli Egiziani, compreso il figlio del faraone in carica, furono
colpiti da morte. Era la notte che precedeva la prima Pasqua (per gli Ebrei, celebrata il
14-15 Nisan, primo plenilunio di primavera).
Ma bisogna osservare che questi fenomeni non si succedono abitualmente nello stesso
ordine in cui si presentano sotto la bacchetta di Mosè; che non rivestono il carattere di
intensità che ne farebbe un vero flagello; che, per esempio, ogni anno, quando il Nilo
diventa rosso, la sua acqua resta sana, è anzi il momento in cui lo è di più. La colorazio-
ne dell'acqua di Mosè è dunque stata causata, non dal limo d'Etiopia, ma da animaletti
patogeni. Bisogna rimarcare, in effetti, che Mosè si è servito, nella maggior parte dei
casi, della moltiplicazione di piccoli animali per colpire gli egiziani: rane, zanzare, mo-
sche, microbi della peste e delle ulcere, cavallette. Altra osservazione: la grandine ha di-
strutto il raccolto d'orzo giunto a maturazione; ora, questo raccolto, si fa ordinariamente
verso la fine della prima quindicina di marzo; la settima piaga si produsse dunque nei
primi giorni di marzo. D'altro canto, la morte dei primogeniti, 10ª piaga, ebbe luogo alla
veglia di Pasqua; non vi furono dunque tre mesi, ma piuttosto tre settimane di intervallo
tra la 7ª e la 10ª piaga. Il che dimostra appunto che è trascorso ben poco tempo tra que-
ste due piaghe. E in Palestina, dove i raccolti sono un po' meno precoci che in Egitto,
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era il secondo giorno di Pasqua che si offriva al Signore il primo covone d'orzo, che era
la cerimonia d'apertura della mietitura. D'altronde, la Bibbia precisa che la seconda pia-
ga ebbe luogo 7 giorni dopo la prima. Tutto indica dunque che le piaghe si succedettero
di 7 in 7 giorni; una tale vicinanza accusava il loro carattere di avvertimento, mentre in-
tervalli di un mese avrebbero lasciato allentare l'attenzione.
É d'altronde facile, conoscendo l'anno dell'Esodo (1226 a.C.), determinare la data grego-
riana di questo avvenimento. Le tabelle indicano, per la luna nuova di primavera di
quell'anno, il 22 marzo giuliano, ossia l'11 marzo gregoriano; questa data è riportata al
12 per l'osservazione ad occhio nudo. Pertanto, il plenilunio di primavera del 1226 a.C.
che marca quello che fu il 14-15 Nisan giudaico, cadde il 25-26 marzo gregoriano. Pos-
siamo dunque stendere delle piaghe d'Egitto la seguente tabella cronologica:
Date Gregoriane
1 - Acqua cambiata in sangue 21 gennaio
2 - Rane 28 gennaio
3 - Zanzare 4 febbraio
4 - Mosche 11 febbraio
5 - Peste bovina 18 febbraio
6 - Ulcere 25 febbraio
7 - Grandine 4 marzo
8 - Cavallette 11 marzo
9 - Tenebre 18 marzo
10- Morte primogeniti sera del 25 marzo
Dal che si vede che le piaghe si produssero per la maggior parte in date inconsuete; ci è
dunque voluta una causa inconsueta.
Tutto questo mostra che Dio, l'Autore della vita, ha moltiplicato, quando l'ha voluto,
questa o quella specie animale. Lui, che ha saputo moltiplicare i pani al lago di Tiberia-
de, saprà anche moltiplicare la manna nel deserto; Lui, che ha comandato alla tempesta
sullo stesso lago, ha potuto dirigere i venti che portavano e poi allontanavano le caval-
lette; far soffiare il Samoum e far cadere le quaglie allorché gli Ebrei reclamavano della
carne. Colui che chiama alla vita e ne segna il termine, sà che ingranaggio della mac-
china umana bisogna toccare per questo. I miracoli, qui, sono caratterizzati dalla scelta
del luogo e del momento, dall'importanza straordinaria e immediata degli effetti; sono
dei veri miracoli, degli effetti soprannaturali, e lo sarebbero ancora, per via di queste
quattro particolarità simultanee, anche se si capisse il procedimento impiegato da Dio.
Ora, stando al racconto di Mosè, i maghi d'Egitto, anche se non erano capaci di ripro-
durre tutti i prodigi da lui compiuti e con la stessa intensità, ne conoscevano tuttavia il
modo perché seppero trasformare i loro bastoni in serpenti e moltiplicare rane e mosce-
rini, eppure sono proprio loro che affermano: "qui c'è il dito di Dio" (Es. VII, 8).
Dopo tutto, se i nostri moderni increduli contestano il carattere di questi fatti o la loro
realtà, gli egiziani, loro, contemporanei degli avvenimenti, non si sono ingannati. "L'in-
no al Nilo dei Papiri Sallier II° e Anastasi VII°, datato del figlio di Menephtah I°
(=Amenephthès), Seti II°, dà alcuni dettagli sui flagelli d'Egitto che erano in numero di
7; secondo un altro papiro58: "Se c'è un flagello venuto dal cielo, gli dèi cadono sulla faccia, gli
uomini periscono, la terra intera si fende per il bestiame, i grandi e i piccoli sono sul letto funebre"... Le
calamità di questo genere, avvenute sotto Menephtah I°, dovettero essere terribili, poi-
ché hanno lasciato un'eco riecheggiato nella memoria sia degli Egiziani che degli
Ebrei. Così tutta l'Antichità aveva conservato e raccolto i ricordi confusi e profondi dei
Weill dice da parte sua60: "Manèthon scrive: "Essendosi un tempo manifestata in Egitto
una malattia pestilenziale, il volgo attribuì la causa del flagello alla collera della divi-
nità. Il paese, in effetti, era pieno di numerosi stranieri di tutte le razze, che praticavano
in materia di religione e di sacrifici dei riti particolari in favore dei quali il culto nazio-
nale era stato trascurato. Gli indigeni si persuasero, di conseguenza, che, se non espel-
levano quegli stranieri, non si sarebbero mai liberati dai loro mali. Subito si procedette
all'espulsione... La massa della plebe emigrò nella contrada oggi chiamata Giudea...
Alla testa di questa colonna era un personaggio chiamato Mosè, distinto tanto per la
saggezza che per il coraggio. Egli prese possesso del paese e vi fondò varie città; tra
altre, quella che oggi è la più celebre e che si chiama Hièrosolyma".
Trogue Pompèe, racconta a proposito di Mosè (Reinach; testi a pag. 253-254): "Ma gli egi-
ziani, afflitti dalla scabbia e dalla lebbra, obbedendo all'ordine di un oracolo, lo cac-
ciarono fuori dalle frontiere dell'Egitto, con tutti i malati, per arrestare il progredire
del flagello".61
Così, l'ultimo flagello che decise Amenephthès a lasciar partire gli Ebrei fu la morte dei
primogeniti, tra cui il suo, che ebbe luogo nella notte tra il 25 e il 26 marzo 1226. "Farao-
ne, fatti chiamare la stessa notte Mosè ed Aronne, disse loro: "ritiratevi prontamente con il vostro popolo, voi e i figli di
Israele..." (Esodo XII). Mosè dovette dunque, in giornata, avvisare tutti gli Ebrei di portarsi a
Ramesse. Questa città si trovava sensibilmente al centro della terra di Goschen che la
circondava per un raggio di circa 40 Km. Tutti gli Ebrei poterono così essere avvisati
nello stesso giorno del 26 marzo. Erano quindi pronti a partire, essendo stati allertati fin
dal decimo giorno di Nisan. Gli Ebrei poterono dunque recarsi a Ramesse il 27, e le co-
lonne mettersi in marcia lo stesso giorno.
L'uscita dall'Egitto
In ragione del fatto che la maggior parte degli emigranti erano dei pedoni e che ve n'e-
rano di tutte le età, una tappa quotidiana media non poteva superare le 7 ore di cammino
a 4 Km/ora di velocità utile; la sua lunghezza era dunque di circa 28 km., il che rappre-
sentava 20 cammini del sabato. Si chiamava "cammino del sabato" la distanza che era
legalmente permesso percorrere senza violare la legge del riposo sabbatico; essa era di
2000 passi, circa 1392 metri62, il che dà, per 20 cammini del sabato, 27 km e 840 metri.
Le carovane fanno ordinariamente delle tappe più lunghe; è così che, secondo Erodo-
to63, la strada che andava dall'Egitto all'Atlante passava per le oasi degli Ammoniti, de-
gli Augìli, dei Garamanti, degli Atlanti, ecc., e ciascuna delle stazioni di questa strada
era separata dalle altre da 10 giornate di cammino; siccome esse distano mediamente di
500km, la tappa quotidiana era di circa 50km. Ma, all'Esodo, bisognava tener conto dell'e-
norme massa in movimento, uomini e greggi, e della necessità di regolarsi sui meno for-
ti e meno rapidi, che non si poteva lasciare indietro.
Poiché la carovana contava circa 600.000 uomini a piedi, si può stimarne il numero a
1.500.000 persone, a dir poco, al quale bisogna ancora aggiungere gli stranieri, forse in
numero di circa 100.000, stando a Giuseppe, il che richiedeva uno sviluppo di 28 km.
con un fronte di 60 persone, senza contare le mandrie che camminavano lateralmente o
in coda. Così, quando le teste di colonna arrivavano a destinazione dopo 7 ore di mar-
cia, la coda si metteva in strada, il che richiedeva altre 7 ore, per un totale di 14 ore. Al-
la tappa, questa folla doveva succedersi presso le sorgenti per approvvigionarsi d'acqua;
ma quando si sa con quale ordine ammirevole gli egiziani mettevano in movimento le
masse di lavoratori che costruivano le piramidi e altri monumenti colossali, si ammette
facilmente che questo problema non era insolubile per il genio di Mosè, formato alla lo-
ro scuola e per di più illuminato da Dio, né per gli Ebrei stessi, abituati a lavorare da ol-
tre 100 anni sotto la sferza di quei capi impietosi che imponevano loro una disciplina di
ferro.
Partiti il 27 mattina da Ramesse, gli Ebrei giunsero, alla sera dello stesso giorno, alla
prima tappa che fu Socoth (Es. XII, 37: ). Abbiamo già dimostrato in dettaglio che
il Socoth biblico altro non era che El Guisr (Libro dei Nomi dei Re d'Egitto, T. IX, p. 112 e
segg.). Ora, da Ramesse a El Guisr città, ci sono circa 25 chilometri per la strada, il che
conferma la nostra valutazione della lunghezza di una tappa, visto che, essendo El Guisr
anche regione, la stazione della colonna poté debordare la città di alcuni chilometri sen-
za cessare di essere a Socoth. El Guisr era la via normale per andare verso l'oriente par-
tendo da Ramesse; fu dunque questo il senso della marcia degli Ebrei.
La Bibbia prosegue: (Es. XIII:17) "Quando il faraone lasciò partire il popolo, Dio non lo condusse per la strada
del paese dei Filistei, benché fosse più corta, perché Dio pensava: "Altrimenti il popolo, vedendo imminente la guerra, po-
trebbe pentirsi e tornare in Egitto". Dio guidò il popolo per la strada del deserto verso il Mare Rosso…" Partirono da Succot
e si accamparono a Etam, che è all'estremità della solitudine … Il Signore disse a Mosè: "Comanda agli Israeliti che tornino
indietro e si accampino davanti a Pi-Achirot, tra Migdol e il mare, davanti a Baal-Zefon; di fronte ad esso vi accamperete
presso il mare".
Ecco dunque indicate la maggior parte delle tappe degli Ebrei prima del passaggio del
Mar Rosso; si tratta ora di situarle sulla carta. Da questo testo risulta che Etam era vici-
no al cammino del paese dei Filistei e che è a partire da questo punto che Dio fece ritor-
nare la colonna verso Migdol nella direzione del Mar Rosso. Dobbiamo dunque cercare
Etam a nord di El Guisr e Migdol a sud di Etam. Se noi portiamo 28 Km., lunghezza di
una tappa, a nord del campo di El Guisr, raggiungiamo la città di Es-Semout, molto
prossima alla strada carovaniera che andava in Palestina, cioè nel paese dei Filistei;
questa città risponde dunque alla localizzazione biblica di Etam; aggiungiamo che, là
vicino, cominciano le sabbie, dette anche "la solitudine". Ora, Etam si pronuncia Essam,
che non è altro che la radice di Es-Semout. L'identificazione è dunque completa. Si vo-
glia seguire il percorso degli Israeliti sulla carta di pagina seguente.
Gli Israeliti, giunti la sera del 28 marzo a Etam, ne ripartirono il 29 mattina, ma questa
volta verso sud. Ora, a 28km a sud, noi troviamo Bir-Migdal: "Forte del pozzo", è questo
il doppio significato di questo nome. Anche là, gli emigranti trovarono dell'acqua.
Daressy64, secondo un Papiro del Cairo cita: "quattro posti fortificati designati sotto il
nome semitico di Migdol. Il primo, dice, si chiama semplicemente Migdol e deve essere
quello menzionato nell'Esodo; l'ordine geografico osservato nella nostra lista tende a
porlo verso il Bir Abou Balah. Il secondo è il Migdol To-Sa, "il forte della diga" o della
penisola. Lo si può situare quasi certamente sul Gebel-Mariam, la striscia di terra che
attraversa il lago Timsah e sulla quale sono segnalate delle rovine. Il terzo è Migdol
Bâl Zephon, che il Libro dell'Esodo chiama semplicemente Bâl-Tsephont. Una tradizio-
ne araba vuole che questa fortezza si sia drizzata sulla roccia dove ora si vede il Koub-
beh del Cheikh Hanediq, e il cammino generale della nostra lista aderisce a questa
identificazione. Infine il n° 23 [?4?] è Migdol Pehari, "La torre dell'estremità della
guardia", ed è probabile che quest'ultima posta sul territorio egiziano corrisponda alle
vestigia antiche, segnalate a nord dei laghi Amari, ai quali le carte hanno assegnato il
nome di Sèrapèum, secondo un'indicazione dell'itinerario di Antonino".
Noi non siamo del parere di Daressy. Tanto per cominciare, egli omette il più
importante dei Migdols, quello che si chiama ancor oggi Bir-Magdal; poi, egli va a
mettere due altri forti a est e a ovest del lago Timsah che costituisce già una difesa
naturale; il forte dell'ovest, soprattutto, si rivela perfettamente superfluo. Il forte detto
Migdol To-Sa è forse quello di Touzoum e corrisponderebbe allora alla Koubbeh del
Cheikh Ennedek. Se il nome del terzo è Bâl-Zephon [?], esso potrebbe rappresentare il
Bâl-Tsephon biblico. Quanto al quarto, Migdol Peh-ari, poiché guarda l'estremità, è a
sud che bisogna cercarlo, e noi lo vediamo nel luogo chiamato attualmente Fort
Challouf. Forse è questo Migdol che è citato nella Bibbia, perché è detto "presso il
mare". Ora, se le acque del Mar Rosso all'alta marea risalivano fino a Ismailia, in bassa
marea esse non superavano Arsinoé o Koubri, dove si può vedere koh hou brai =
Koh Hou Brai = Vertex Aqua Ruber = L'estremità del Mar Rosso.
Noi abbiamo lasciato gli Ebrei, il 29 marzo sera, a Bir-Magdal. Ne ripartirono il 30 per
dirigersi verso il Mar Rosso. È, pertanto, probabile che si siano recati al Sèraphèum, che
è appunto distante 28 km. da Bir-Magdal, e da dove potevano, con la bassa marea,
passare sull'altra riva, tanto più che in quest'epoca dell'anno le acque del fiume tendono
verso il loro livello minimo. Il 31, una nuova tappa li condusse un po' al di là di Faidj.
Questa località non è ancora Phihahiroth, dove il Signore aveva detto loro di recarsi.
Essi proseguirono dunque il loro cammino e, dopo una nuova tappa di 28 km,
arrivarono, la sera del I aprile, di fronte a Kalaatel-Adjerûd, città che Brugsch ha
giudiziosamente identificato con Phi-Hahiroth. In effetti, Kalaat è certamente una
variante dell'arabo Qal'ah o del copto ,la = Chala, che significa Arx = Fortezza;
siccome questo punto comandava l'entrata della valle dove passa la strada di Memphis,
la presenza di un forte era molto indicata, e noi pensiamo che è appunto là che si
trovava il terzo dei Migdol citati da Daressy. Phi si può comprendere vai = Phai =
Hoc = In questo luogo. La radice della parola Phi-Hahiroth è dunque Hahiroth che
corrisponde visibilmente a Adjerûd. Ma ancora, qual'è il senso di questo nome? Adjer
si trasforma facilmente in Ather, Ater poiché il djandja ha i valori th e t. Ater è un
prefisso negativo che significa "che non è", da at = At, ay = Ath, negazione, e er =
Er = esse = essere. La finale Ûd indica dunque ciò che non è il soggetto; essa equivale
all'ebraico Oth (=Oz) che, anch'esso, non può che essere un'abbreviazione di Hazôn,
, visione; il copto ha, d'altronde hwt = Hôt per conspectus = visto. Adjerûd è
dunque: Quello che non è visto. Ugualmente Hahiroth si lascia scomporre in eiwrah
ay = Eiôrah Ath = Visio-Sine = Visione-Senza. Phi-Hahiroth è dunque: Il luogo di
quello che non si vede. Questo posto, situato all'estremità meridionale della terra di
Goschen, sarebbe dunque stato un luogo consacrato a Adonaï, il Dio invisibile che
adoravano gli Ebrei. Ma non è quello che il faraone aveva in mente quando diceva a
Mosè (Es. VIII, 25): "Andate a sacrificare al vostro Dio in questo paese". Può essere, tuttavia, (e questo è
verosimile) che la cittadella non fosse il punto stesso dell'adorazione di Adonai, ed aveva
preso il suo nome da un luogo di culto vicino.
65 - Egypt and the old testament; The University Press of Liverpool, 1922, p. 140.
66 - La Route de l'Exode, T. V; Bull. Inst. Egypt. 1911, p. 7.
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È in questo quadro, dove tutto evoca il Suo Santo Nome, che Adonai, respinto dagli
Egiziani, perseguitato nei suoi fedeli, eserciterà le sue vendette. Egli ha detto a Mosè
(Esodo XIV, 4): "Io renderò ostinato il cuore del faraone ed egli li inseguirà; io dimostrerò la mia gloria contro il farao-
ne e tutto il suo esercito, così gli Egiziani sapranno che io sono il Signore!". E ancora (Esodo XIV, 17): "Ecco io ren-
do ostinato il cuore degli Egiziani, così che entrino dietro di loro e io dimostri la mia gloria sul faraone e tutto il suo eserci-
to, sui suoi carri e sui suoi cavalieri. Gli Egiziani sapranno che io sono il Signore". Ecco dunque la ragione di
questo accecamento causato da Dio al faraone: è perché, in occasione dei castighi gran-
diosi e meritati inferti da Adonai, riconoscano infine la Sua onnipotenza e lo adorino di
preferenza ai loro falsi dèi. Così la bontà di Dio appare ancora nella Sua Giustizia. Ma,
ahimè, essa resterà incompresa, e dal faraone Amenephtes e dal suo popolo! Tuttavia il
loro accecamento volontario è allora inescusabile, giacché è di fronte al tempio consa-
crato al Dio nascosto, ai piedi della montagna dove soffia lo Spirito, sotto le mura della
città dell'Invisibile, tripla testimonianza della preferenza di Adonai venente a conferma-
re le parole di Mosè, che le forze dell'Egitto saranno annientate.
Lasciamo gli Israeliti passare la notte dal 1 al 2 aprile a Phihahiroth e riportiamoci in-
dietro. Quando gli Ebrei, venendo da Es-Semout, cominciarono ad affluire al Bir-
Magdal, dovettero sorprendere non poco la guarnigione di quel forte, che non era cer-
tamente stata avvisata dell'autorizzazione di evacuare accordata dal faraone agli Ebrei.
Il comandante, avendo anteriormente ricevuto la consegna severa di impedire l'uscita
degli Ebrei e vedendoli proseguire la loro strada verso il sud, il mattino del 30 marzo, si
credette in dovere di avvertire del fatto Amenephthès, e dichiarargli al contempo che era
attorniato da una folla immensa alla quale era incapace di resistere con le sue sole forze
e di reclamare dei rinforzi considerevoli. Percorrendo verosimilmente in carro o a caval-
lo i circa 40 o 45km. che lo separavano da Ramesse, dovette arrivare in questa città a me-
tà pomeriggio del 30 marzo. Non meno stupefatto, fu il comandante del forte Serapèum
vedendo gli Ebrei rientrare nella terra dalla quale erano appena usciti; egli notò tuttavia
la loro marcia verso il sud e dovette affrettarsi ad avvisare il re che lo seppe probabil-
mente la mattinata del 31 marzo al più tardi.
Riguardo a questi avvenimenti la Bibbia scrive (Esodo XIV, 5): "Quando fu riferito al re d'Egitto che
il popolo era fuggito, il cuore del faraone e dei suoi ministri si rivolse contro il popolo. Dissero: "Che abbiamo fatto, lascian-
do partire Israele, così che più non ci serva!". Attaccò allora il cocchio e prese con sé i suoi soldati. Prese poi seicento carri
scelti e tutti i carri di Egitto con i combattenti sopra ciascuno di essi. … Gli Egiziani li inseguirono e li raggiunsero, mentre
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essi stavano accampati presso il mare: tutti i cavalli e i carri del faraone, i suoi cavalieri e il suo esercito si trovarono presso
Pi-Achirot, davanti a Baal-Zefon."
Da parte loro, il mattino del 2 aprile, gli Ebrei si erano messi in marcia. Costeggiavano
ora i piedi del Djebel Ataka che dominava, a nord, la pianura dai suoi 840m, stringendo-
la a sud fino a non lasciare che uno stretto corridoio tra la sua base e il bordo del mare.
La marcia degli emigranti, costretti a restringere la testa della loro colonna, si trovò
ostacolata. Se i primi, dopo aver percorso circa 20km, arrivarono verso le 11 del mattino
in fondo alla gola, il resto della truppa si imbottigliò fino alle 6 di sera nel triangolo
Soueis (=Suez) - Djebel Ataka.
Ma allora: "Faraone era già prossimo. I figli di Israele, levando gli occhi, scorsero gli egiziani dietro di loro e furono
assaliti da grande timore; gridarono contro il Signore e dissero a Mosè: "forse perché non c'erano sepolcri in Egitto che tu ci
hai portato fin qui affinché moriamo soli? Per quale motivo ci hai fatto uscire dall'Egitto?... Mosè rispose al popolo: "Non
gridate, siate saldi e considerate le meraviglie che il Signore deve compiere oggi su questi egiziani che voi vedete di fronte a
voi, poiché non li vedrete più per l'avvenire. Il Signore combatterà per voi e dimorerete in pace. Il Signore disse poi a Mosè.
"Perché gridate verso di me? Dite ai figli di Israele che si mettano in marcia, e tu alza la tua verga e stendi la tua mano sul
mare e dividilo, affinché i figli di Israele camminino all'asciutto in mezzo al mare". (Gen. XIV, 10-16)
É dunque a questo punto che gli Ebrei dovettero attraversare il mar Rosso, tanto che,
giusto in faccia, sull'altra riva, si trovano le sorgenti di Mosè, Ain-Moussa. Ora, dal
Ras-el-Abadiyè, che è la punta estrema lanciata nel mare per il Djebel-Ataka alle sor-
genti di Mosè, esiste un alto-fondo che non scende al di sotto di 4 metri su una media di
un chilometro di larghezza; era sufficiente dunque un abbassamento di 5 metri del livel-
lo del mare per aprire agli Ebrei una larga via verso la penisola sinaitica lasciando loro,
a destra e a sinistra, delle fosse protettrici piene d'acqua. È ciò che dice la Bibbia e che è
stato male interpretato: "Ma i figli di Israele passarono all'asciutto in mezzo al mare, avendo le acque a destra e a
sinistra che facevano loro da muro", cioè costituivano per loro come una fortificazione. "E gli egiziani
che li inseguivano, entrarono dopo di loro in mezzo al mare con tutta la cavalleria di faraone, i suoi carri e i suoi cavalli.
Ma, arrivata la veglia del mattino, il Signore, avendo visto il campo degli egiziani dalla colonna di fuoco e di nube, fece peri-
re tutta la loro armata. Egli frenò le ruote dei carri ed essi furono trascinati verso il fondo. Allora gli egiziani si dissero: fug-
giamo gli israeliti, perché il Signore combatte per loro contro di noi. Ed il Signore disse a Mosè: "Stendi la tua mano sul ma-
re, affinché le acque ritornino sugli egiziani, sui loro carri e sulla loro cavalleria. Mosè stese dunque la mano sul mare e,
all'inizio del giorno, questo tornò al suo livello abituale. Così, mentre gli egiziani se ne fuggirono, le acque vennero davanti a
loro, li travolsero in mezzo ai flutti. Le acque, essendo tornate al loro livello, coprirono i carri e la cavalleria di tutta l'arma-
ta di faraone che era entrata nel mare per inseguirli, e non ne sfuggì neppure uno".
Il commentatore aggiunge: "Gli Ebrei dividevano la notte in tre veglie: la prima andava
dal calar del Sole fino alle 22 (secondo il nostro modo di contare); la seconda, dalle 22 alle 2
del mattino; la terza dalle 2 alle 6." Aggiungiamo che, all'inizio di aprile, il sole tra-
monta verso le 18,15 e sorge verso le 5,15.
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Esaminiamo questo testo dal solo punto di vista dell'impiego del tempo. Abbiamo porta-
to gli Ebrei sulla costa verso le 18, il 2 aprile. É allora che la nube passa dietro di loro
rischiarando la notte che inizia. Il mare si apre ed il vento soffia per seccarne il fondo: è
un vento bruciante venuto dal deserto arabico, il kadim. La distanza da percorrere dal
Ras-el-Abadijè al versante opposto è di circa 15 km. Si marciava sulla sabbia e sui sassi
e la progressione era difficile, tanto che, benché la paura metta le ali ai piedi, non pos-
siamo considerare una velocità superiore alla precedente, ossia 4 km/ora; di modo che la
testa della carovana, partita verso le 18,15, dovette arrivare all'altra sponda verso le 22.
La marcia dei deboli avrebbe potuto trovarsi rallentata per le irregolarità del percorso,
ma, per contro, il passaggio, di circa 1 km di larghezza, permetteva la formazione di un
maggior numero di colonne. L'arrivo degli ultimi emigranti, entrati nel letto del mare
verso l' 1,15 del mattino, poté dunque aver luogo verso le 5 del mattino, il 3 aprile,
all'andatura abituale. Quanto agli Egiziani, tenuti a rispettosa distanza dagli Ebrei dalla
colonna ardente, non poterono entrare nel letto del mare che un'ora dopo gli ultimi emi-
granti, ossia verso le 2,15 del mattino; era del resto il tempo che ci voleva affinché i
fuggitivi non fossero raggiunti prima d'aver conquistato l'altra riva. Certo, gli Egiziani,
con i loro carri e i loro cavalli, potevano andare molto più veloci degli Ebrei, ma quella
che era la loro forza sulla terra-ferma, divenne una causa di debolezza su un fondo sca-
broso: le ruote dei loro carri, insabbiate, si staccarono ritardando la marcia dell'armata
inseguitrice che, al levar del giorno, ossia verso le 5,15, non aveva ancora raggiunto la
riva orientale sulla quale avevano messo piede gli ultimi Israeliti. É allora che il mare
ritornò di tutta forza a riprendere il suo posto, cogliendo lateralmente l'armata egiziana e
inghiottendola tutta in un istante. Si era, dice Mosè, all'inizio del giorno, cioè appunto
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verso le 5,15, e il Signore aveva cominciato ad ostacolare il cammino degli Egiziani do-
po la veglia del mattino (ore 2). Ora, noi li abbiamo fatti entrare nel mare verso le 2,15.
La concordanza è dunque ottima.
E mentre gli Ebrei, liberati, potevano dissetarsi alle sorgenti di Mosè, videro galleggiare
i cadaveri dei loro nemici di cui non uno era scampato. Il capo Abadijè deve aver con-
servato il ricordo di quell'ecatombe, giacché il suo nome si può trascrivere:
hah basi h/
Hah Baschi Hê
Multitudo Cadaver Conspectus
"La moltitudine dei cadaveri visti".
Così Israele poté cantare di gioia. Non vi fu dunque nessun soldato per portare ad Ame-
nephthès la notizia del disastro. I rari abitanti del luogo furono senza dubbio più solleciti
a spogliare i morti che a subire il corruccio del re portandogli una penosa notizia. É pos-
sibile che, di vicino in vicino, per sentito dire, l'avviso sia giunto al faraone. Tuttavia
egli restava ancora nell'incertezza sulla reale estensione della catastrofe; ignorava se la
testa dell'armata era riuscita a salvarsi raggiungendo la penisola sinaitica, e se in parti-
colare suo figlio, che doveva trovarsi in testa alle truppe, era ancora vivo. Ma quale egi-
ziano avrebbe osato avventurarsi sulla riva orientale dov'era approdato il temibile popo-
lo di Dio? É là, tuttavia, che doveva esser ritrovato più tardi il corpo del faraone aggiun-
to.
Amenephthès era ancora sotto il colpo di questa irreparabile disgrazia quando fu avvisa-
to di un altro pericolo. Gauthier cita un tronco di colonna in granito rosa, originario di
Memphis, menzionante che l'anno 5, al mese di Paôni, il re fu avvisato dell'invasione
dei Libici alle frontiere egiziane. Il mese di Paôni si estendeva, nel 1698, anno della ri-
forma del calendario sotiaco, dal 19 luglio al 17 agosto giuliano inclusi. Nel 1226, 472
anni più tardi, esso cadeva 118 giorni prima (472:4) nell'anno giuliano, cioè dal 23 mar-
zo al 21 aprile giuliano inclusi, ossia dal 12 marzo al 10 aprile gregoriano incluso. Il
monumento non indica il giorno preciso del mese di Paôni in cui questa notizia giunse
ad Amenephthès, ma si può pensare che, se questo giorno non è indicato, è perché era
appunto l'ultimo del mese. In effetti, un altro monumento, quello di Karnak (la famosa ste-
le di vittoria, detta stele di Israele), proclama il trionfo che Amenephthès avrebbe riportato, il
3 Epêpi dell'anno V, sui Libici e i loro alleati. Questo 3 Epêpi corrispondeva al 13 apri-
le gregoriano. La battaglia avrebbe dunque avuto luogo 3 giorni dopo l'avviso ricevuto,
il che è normale.
Gaffarel67: "Mentre gli Ebrei fuggivano un suolo inospitale, un nuovo nemico si presen-
tava. Erano dei barbari dai capelli biondi, dalla pelle bianca.... Le incisioni egiziane li
designano sotto il nome di Tamahou, o Tahennou, oppure Libou o Maschouach, i Libici
e i Maxyes di Erodoto... Sostenuti da una potente retroguardia, composta da nazioni pe-
lasgiche, Tirscha o Tirreni, Scahrdana o Sardi, Skakalash o Siculi, Akaiosh o Achèi…
Sotto Meremptah, questi barbari formarono una temibile armata di invasione, coman-
data da Maourmiou, figlio di Batta, nome che porteranno più tardi i re greci della Ci-
renaica, e s'abbatterono sull'Egitto. Una delle iscrizioni di Karnak racconta le devasta-
zioni dei barbari. Si sarebbe detta una nuova invasione dei Pastori. Essi si impadroni-
rono di Memphis, e minacciavano già Tebe, ma persero una battaglia decisiva a Paari.
I resti delle loro bande erano ancora temibili poiché il faraone, dando un esempio che
seguirono poi gli imperatori romani della decadenza, non poté sbarazzarsi di loro che
acquartierandoli nel paese, a condizione che pagassero il tributo e fornissero dei con-
tingenti. Una nuova invasione segnalò l'ultimo anno di questo Louis-le-Debonnaire
dell'antico Egitto. I Chètas, chiamando in aiuto tutte le tribù nomadi dell'Asia, irruppe-
ro sulla valle del Nilo; essi non si accontentarono di saccheggiarla, ma assalirono i
templi e costrinsero i preti a immolare e a mangiare i loro animali sacri. Meremphtah
lasciò passare la furia devastatrice e si ritirò in Etiopia, da dove non uscì più".
C'è in questo passaggio un miscuglio di dati seri e di giudizi inesatti che denota un'as-
senza di coordinazione di fatti mal compresi. Gaffarel ha sì notato la concordanza tra la
fuga degli Ebrei e l'invasione libica, ma la relazione di causa-effetto tra i due avveni-
menti gli è sfuggita, come, del resto, a tutti gli storici in generale. Gli invasori erano
comandati, dice, da Maourmiou, figlio di Batta, ed egli nota che questo nome fu portato
più tardi dai re greci della Cirenaica. Vi fu, in effetti, un Battos che fu re di Cirene, ma,
per ora, non andremo certo così lontano a cercare il luogo d'origine dei nostri due capi
libici: essi hanno lasciato i loro nomi nel loro paese stesso. A 250 km. da Alessandria e
a 400 da Memphis, ecco sulla costa libica le due località sorelle e contigue di Marsa
Matruh e di Marsa Bereh, che ricordano il capo della spedizione, che altri autori chia-
mano Marmaiou o Meryeh (cfr. Mar[sa] Matruh e Bereh); poi, proprio a sud di queste città,
la località di Abou Batta. Quando gli invasori furono segnalati alle frontiere dell'Egitto,
avevano percorso circa 300km.
Poichè le carovane ordinarie fanno già 50km al giorno, si può credere che i guerrieri libi-
ci non avevano impiegato più di 5 o 6 giorni per coprire la distanza che li separava da
Et-Tarrane, luogo presso cui avvenne l'incontro. Ora, Amenephthès era stato avvisato
del loro arrivo nella giornata del 10 aprile, il che, essendo nota la distanza che intercorre
tra Et-Tarrane e Ramesse, fa supporre che il corriere sia partito il giorno otto. Pertanto, i
Libici avevano dovuto lasciare il loro paese nella mattina del 3 aprile, ossia appena do-
po che il mare aveva liberato il passaggio agli Ebrei. La conclusione logica di questa
coincidenza ci fa supporre che c'è tra i due fatti una relazione di causa-effetto, cioè che
il movimento delle acque in mar Rosso ebbe altre ripercussioni, sotto forma, per esem-
pio, di un considerevole maremoto che ha devastato le coste del Mediterraneo, e che i
sopravvissuti delle popolazioni interessate, presi dal panico, fuggirono verso la terra di
rifugio abituale: l'Egitto.
Non si mancherà di farci notare che vi furono nell'avventura anche dei Tirrenici, dei
Sardi, dei Siculi, degli Achèi, ecc.; e noi risponderemo, da una parte, che questi costi-
tuivano una "retroguardia", e dunque arrivarono solo più tardi; dall'altra, che la presenza
simultanea di tutti questi popoli venuti da estremità opposte del Mediterraneo, dimostra,
non c'è dubbio, che questo mare era stato oggetto di uno sconvolgimento formidabile
correlativo al passaggio del mar Rosso. Gaffarel afferma che gli assalitori avrebbero
perso a Prosopis una battaglia decisiva; ma lo era così poco, che Amenephthès dovette
ritirarsi frettolosamente in Etiopia davanti alla valanga degli invasori venuti da ogni par-
te del mondo. E non è nell'ultimo anno del suo regno che Amenephthès vide quest'inva-
sione generale, poiché visse ancora 13 anni in Etiopia prima di ritornare in Egitto col
suo ultimo figlio; e ciò consecutivamente alla sua precaria vittoria di Prosopis, riportata
su una debole avanguardia con l'aiuto di truppe di fortuna raccolte in fretta e furia.
dilungheremo sulle cause, il meccanismo e le conseguenze del fenomeno che fece ab-
bassare le acque del Mar Rosso al passaggio degli Israeliti. Diciamo solamente che que-
sto abbassamento fu la conseguenza dell'affondamento di Atlantide avvenuto il 1° aprile
1226 verso le ore 17,15, e che l'aumento del livello marino fu ottenuto con il brusco sol-
levamento dell' Himalaya che ebbe per effetto di svuotare di colpo l'Oceano Scitico che
copriva allora una gran parte dell'Asia. I lettori che desiderano avere dettagli circostan-
ziati su questo fenomeno, li rinviamo al nostro Saggio di Geografia Divina, (tomo IV B)
riguardante Atlantide, o all'altro nostro studio quasi esaustivo del Libro dei Nomi dei
Re d'Egitto (tomo IX), alle pagine da 255 a 488 (del manoscritto). Le ripercussioni del ca-
taclisma, a seguito del movimento generale dei popoli, su Creta e sul potente impero It-
tita di Boghaz-Keui, il quale crollò in questo momento, sono state esaminate dettaglia-
tamente nei nostri libri Luci su Creta e Il vero volto dei figli di Het.
Il miracolo di Giosuè
Un fenomeno analogo si produsse 40 anni più tardi quando gli Ebrei, dopo aver errato a
lungo nel deserto, penetrarono in Palestina sotto la guida di Giosuè nel 1186: fu il mira-
colo luni-solare di Gabaon-Ajalon. Questo miracolo ha incontrato, anche negli ambienti
cattolici, uno scetticismo assoluto o relativo e questo è stato per l'incredulità un grande
cavallo di battaglia. Tra le altre obiezioni si è fatto rimarcare che gli annali degli altri
popoli della terra sono muti su un avvenimento che avrebbe dovuto essere notato in tut-
to il mondo. Ora, il nostro metodo di traduzione dell'egiziano ci ha permesso di scoprire
due iscrizioni geroglifiche che vi sono relative. Rinviamo, per l'analisi e la traduzione di
questi testi, al tomo X del nostro Libro dei Nomi dei Re d'Egitto, (p. 157 e segg. del ma-
noscritto); ne daremo qui direttamente il testo coordinato.
della sua luce come all'alba. Contro i navigli, tanto quelli che erano sul posto come
quelli che erano usciti dai porti, le onde del mare, riunite, si sono innalzate in un lungo
muro d'acqua, sollevando con forza i pescatori usciti a osservare i flutti e inghiottendoli
nell'acqua. Inoltre, nella grande regione delle praterie, una marea considerevolmente
accresciuta si è avventata nei luoghi ove passavano le mandrie, ne ha strappato il be-
stiame e l'ha annegato; la perdita è di più della metà delle mandrie del Basso Egitto. I
resti di navigli abbandonati si trovano sul posto, rotti, sui bordi dei canali; le àncore
che dovevano mantenerli nell'acqua li hanno più schiacciati che protetti. I mari, alzan-
dosi oltre misura, sono entrati molto avanti nel Paese; l'espansione dell'acqua ha rag-
giunto i muri di cinta costruiti da Rampsès, il celeste capo genealogico; essa si è slan-
ciata dai due lati della regione posteriore spazzandola, sterilizzandovi i giardini, pene-
trando le dighe e producendovi delle aperture. Un grande Paese è stato reso povero e
deserto; ciò che era stato seminato è stato orribilmente distrutto e cumuli di steli di ce-
reali sono sul terreno".
Noi abbiamo qui, molto semplicemente, il racconto egiziano del miracolo di Giosuè,
con le sue conseguenze per i popoli rivieraschi del mare. Vi è una tale profusione di det-
tagli precisi sulle circostanze del fenomeno, che il fatto non può essere messo in dubbio.
Quelli che hanno dovuto patirne le conseguenze sapevano come regolarsi sulla realtà di
un avvenimento che, da Voltaire in poi, è stato considerato come una favola ridicola: sa-
rebbe stato meglio cercare di comprenderlo, ma era certo più facile deriderlo.
Innanzitutto, Rampsinitès ci dà la data del miracolo; era, dice, "un termine", cioè giusto
un anno prima della cerimonia di erezione di un monumento commemorativo del prodi-
gio divino, cerimonia che ebbe luogo il 15° giorno del terzo mese della 3ª stagione
dell'anno VI° (1185 a.C.). Questo 15 Epêpi cadeva nel 1698, anno della riforma calenda-
rica, il I° settembre giuliano; nel 1185, esso arrivava 128 giorni prima nell'anno giuliano
(1698-1185 = 513 = 4x128 circa); coincideva dunque allora col 26 aprile giuliano, equivalen-
te al 16 aprile gregoriano ma debordante sul mattino del 17. Siccome l'anno 1185 era
posteriore di un anno al miracolo, l'intervallo di questo con la riforma calendarica era
dunque di 512 anni, il che dava un anticipo di esattamente 128 giorni. Di questa data del
16/17 aprile ci è fornito un controllo: è che il raccolto del grano in Basso Egitto non si
effettuava prima del 20 aprile, secondo Brugsch, e durava anche fino all'inizio di mag-
gio, secondo d'Allioli. Queste circostanze spiegano perché il miracolo, avendo scatenato
un'inondazione il 16/17 aprile, ha distrutto i raccolti ancora per terra. Il disastro fu tanto
grande che Rampsinitès si vide costretto a dispensare i sinistrati dal pagamento dell'im-
posta. Questo è un dettaglio di ordine pratico la cui forza probante è lungi dall'essere
trascurabile.
Il re ci indica poi la durata del fenomeno lunisolare: essa fu della metà delle ore di luce
a quest'epoca dell'anno che sono di 13 ore e 3/4. Il giorno si trovò dunque accresciuto di
circa 7 ore, secondo le osservazioni degli astronomi egiziani, profondamente stupefatti e
spaventati da questo fatto assolutamente anormale.
Gli Egiziani, informati a cose fatte sulla causa di questi sconvolgimenti, non fecero fati-
ca ad ammettere, dopo averlo costatato anche all'Esodo, che bisognava attribuirli a un
profeta degli Ebrei. Con la loro logica pagana, lungi dal trovarvi un motivo di conver-
sione al vero Dio, ne hanno concluso che, per evitare il ritorno di una disgrazia simile,
bisognava maledire il popolo di Israele. Ecco perché l'iscrizione di Rampsinitès è per
buona parte una formula di imprecazione mirante ad annullare l'effetto delle parole pro-
fetiche; si riteneva infatti di poterlo fare con le parole magiche, accumulando così sugli
Ebrei i mali che essi avevano causato loro. É a una cerimonia del genere che Balac, re di
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Moab, inviò invano il mago Balaam per procedere contro gli Israeliti (Num. 22). In ogni
modo, abbiamo qui, e tratta da un nemico, il che ne aumenta il valore, la prova che è
proprio a Giosuè, allora capo e profeta degli Ebrei, che bisogna attribuire il cataclisma
che mise allora il mondo a soqquadro, giacché gli effetti si fecero sentire fino in Ameri-
ca, come pure nell'oceano Indiano e nel Mediterraneo.
Rampsinitès ci dà inoltre delle indicazioni preziose sulle posizioni rispettive del sole e
della luna al momento del miracolo. Il sole, dice, si era appena alzato e formava un pic-
colo angolo con l'orizzonte; dalla parte opposta, ugualmente molto vicina all'orizzonte,
la luna se ne andava. Ma, da osservatori precisi quali erano i sapienti d'Egitto, rimarca-
rono che, mentre l'astro del giorno restava assolutamente immobile, la luna continuava a
spostarsi, seppur molto lentamente e di poco.
Dal punto di vista marittimo, l'iscrizione distingue due tipi di effetti prodotti dall'arresto
dell'orologio celeste. Vi fu, da una parte, un lungo muro d'acqua in movimento che at-
traversò il mare spazzando le coste e, dall'altra, una marea di eccezionale importanza.
Possiamo persino dedurre quale fu l'altezza raggiunta dall'acqua dal fatto che essa arrivò
a battere i bastioni della città di Ramesse, accorrendo sia dal Mediterraneo che dal mar
Rosso. In effetti, per guadagnare questa città, doveva superare la soglia di El-Guisr che
è alla costa +16 metri. É dunque probabile che l'elevazione eccezionale della massa ac-
quosa sia stata di circa 20m superiore al suo livello normale di alta marea. Il soggiorno
dell'acqua salata sulle terre le rese per qualche tempo incoltivabili.
"Nel quarantesimo anno (dell'Esodo), il I° giorno dell'undicesimo mese di quest'anno, Mosè disse ai figli di Israele tutto
ciò che il Signore gli aveva ordinato di dire loro" (Deut. I, 3). Poi egli li lasciò". Giuseppe, antico storico giu-
deo, precisa che la "morte" di Mosè arrivò il I° giorno del 12° mese, ossia un mese dopo
la lettura dell'inizio della legge da parte del profeta. Il Deuteronomio aggiunge che gli
israeliti piansero Mosè per 30 giorni (Cap. XXXIV, 8), ossia fino alla fine del 40° anno. É
allora che Giosuè intraprese la conquista della Palestina; si era al I° Nisan del 41° anno,
determinato dalla luna nuova del marzo 1186, che cadde il 28 marzo giuliano, ossia il
17 marzo gregoriano 1186. Il 14 Nisan sera, ossia il 30 marzo gregoriano, la Pasqua fu
celebrata alle porte di Gerico (Giosuè V, 10). Nell'intervallo dal I° al 14 Nisan, Giosuè
aveva inviato degli esploratori a Gerico (Giosuè II, 1), il che aveva richiesto un giorno.
Queste spie erano rimaste nascoste tre giorni tra le montagne (Giosuè II, 22). Quindi erano
rientrate al campo di Setim, poco lontano. L'indomani, gli Ebrei lasciarono l'accampa-
mento per portarsi al Giordano dove rimasero tre giorni (Giosuè III, 1). Allora passarono
miracolosamente il fiume.
Totalizziamo così 1+3+1+3+6 giorni, ossia 14 giorni che, a partire dal I° Nisan, ci por-
tano alla sera del 14 Nisan (30 marzo gregoriano sera), giorno della Pasqua. Poi, ebbe luogo
69
la presa di Gerico, altro fatto miracoloso che gli scavi attuali hanno pienamente spiega-
to68 e che richiese 7 giorni (Gios. VI, 14 e segg). Siamo così giunti al 6 aprile gregoriano
incluso. In seguito Giosuè inviò contro Aj una truppa che fu sconfitta perché un israelita
aveva violato un comando del Signore. Giosuè pregò per un giorno, e l'indomani fece
ricercare il colpevole che fu lapidato (Gios. 7). Una nuova offensiva contro Aj fu allora
coronata da successo, e Giosuè, elevando un altare al Signore, rilesse al popolo le bene-
dizioni e le maledizioni scritte nella legge (Gios. VIII). Tutto ciò richiese normalmente 6
giorni, ossia fino al 12 aprile gregoriano incluso.
É allora che i gabaoniti vennero a sollecitare l'alleanza di Giosuè, alleanza che fu con-
clusa (Gios. IX). Questo trattato e la distruzione di Aj, venuti a conoscenza del re di Ge-
rusalemme, lo spinsero a cercare l'aiuto dei re di Ebron, di Jarmut, di Lachis e di Eglon,
affinché, tutti insieme, marciassero contro Gabaon (Gios. X). Frattanto, il terzo giorno
dalla conclusione dell'alleanza, Giosuè si era accorto che i gabaoniti lo avevano ingan-
nato circa la loro origine. Mantenne nondimeno la promessa di non ucciderli e li ridusse
solamente in servitù e, sollecitato dagli stessi di venire in loro aiuto contro i re alleati,
rispose al loro appello; si era senza dubbio alla sera del 16 aprile gregoriano.
"Giosuè salì da Galgala con l'intero suo esercito, tutti uomini prodi e valorosi. E il Signore gli disse: "Non temere questi ne-
mici, Io li darò in tuo potere senza che alcuno di essi possa resistere dinanzi a te". Giosuè si affrettò dunque a salire contro
di loro, e partito da Galgala camminò tutta la notte. Il Signore intanto diffuse tra quelli un tale terrore dinanzi agli israeliti,
che li poterono sbaragliare con grande strage presso Gabaon, poi li inseguirono verso la discesa di Bethoron e li batterono
fino ad Azèca e a Makkeda. Mentre quelli fuggivano dinanzi a Israele ed erano giunti alla discesa di Bethoron, il Signore fece
cadere su di loro dal cielo come grosse pietre fino ad Azèca, di modo che ne morirono assai più a causa delle pietre che non
per la spada di Israele. Fu allora che Giosuè si rivolse al Signore, in quel giorno in cui Dio diede l'Amorreo in potere di Israe-
le, e gridò al cospetto di tutto il popolo: "O sole, fermati su Gabaon, e tu o luna, sulla valle di Aialon!". E il sole si fermò e la
luna ristette, fino a che il popolo si fu vendicato dei suoi nemici. Questo non è forse scritto nel libro del Giusto? Il sole si
fermò in mezzo al Cielo, né volse al tramonto per quasi un giorno intero. Non ci fu mai più, né prima, né poi, un giorno co-
me quello, in cui il Signore ascoltò la voce di un uomo e combatté in favore di Israele. Giosuè con tutto il popolo fece quindi
ritorno all'accampamento di Galgala. Ma i cinque re, fuggiti, si nascosero in una caverna di Makkeda. La cosa venne riferita
a Giosuè con questo annunzio: "sono stati ritrovati i 5 re nascosti in una caverna di Makkeda". Giosuè ordinò allora ai suoi:
"fate rotolare grosse pietre all'imbocco della caverna e lasciatevi degli uomini a guardia. Ma voi non arrestatevi: inseguite i
vostri nemici, tagliate loro la ritirata e impedite che si rifugino nelle loro città, perché il Signore Dio vostro, li ha dati nelle
vostre mani". Giosuè e i figli di Israele inflissero ai loro nemici tale disfatta che li annientò, eccetto alcuni residui che, riusci-
ti a fuggire, si ritirarono nelle loro città fortificate. Allora tutto il popolo se ne tornò sano e salvo con Giosuè all'accampa-
mento di Makkeda, senza che nessuno ardisse neppure di aguzzar la lingua contro i figli di Israele...
Allora Giosuè disse: "Aprite l'ingresso della caverna e conducetemi fuori quei cinque re". Così fu fatto, e gli furono presentati
i cinque re, cioè il re di Gerusalemme, di Ebron di Jarmut, di Lachis e di Eglon. Avutili dinanzi a sé, Giosuè convocò tutti gli
uomini di Israele e disse ai capi dell'esercito che l'avevano seguito: "Venite a mettere i piedi sul collo di questi re.... Giosuè,
dopo averli uccisi, li fece sospendere su cinque pali, dove stettero penzoloni fino a sera. Al tramonto del sole, per ordine di
Giosuè, furono deposti dai pali e gettati nella caverna.... Anche Makkeda, in quello stesso giorno fu conquistata da Giosuè....
andò poi con tutto Israele contro Lebna e l'assediò. Il Signore diede in mano ad Israele anche questa città con il suo re.... Da
Lebna passò a Lachis... Il Signore consegnò pure Lachis in potere di Israele, che la poté occupare al secondo giorno. In quel
tempo Oram, re di Gazer, stava salendo a Lachis per venirle in aiuto, ma Giosuè lo sbaragliò con tutto il suo popolo senza
lasciarne scampare neppure uno. Da Lachis Giosuè con tutto Israele passò a Eglon, vi si accamparono e l'assaltarono. La
presero lo stesso giorno... Quindi Giosuè e tutti i suoi marciarono da Eglon contro Ebron, l'assalirono e la presero.... Poi si
rivolsero contro Dabir, e assalitala, si impadronirono del re e di tutti i suoi villaggi... Giosuè conquistò dunque tutta quella
regione, la montagna, il mezzogiorno, la pianura e le pendici con i loro re; condannò all'interdetto ogni vivente senza lascia-
re alcun superstite, secondo il comando del Signore, Dio di Israele. Giosuè li sbaragliò da Cades-Barne fino a Gaza, come
pure in tutto il paese di Gosen, fino a Gabaon. Egli prese in una sola volta quei re con le loro terre perché il Signore, Dio di
Israele, combatteva per il suo popolo. Infine Giosuè con tutto Israele, fece ritorno all'accampamento di Galgala".
Lo svolgimento
Noi li illustriamo nel disegno di Dufour69 (vedi figura). Ma seguiamo Giosuè. Il 16 aprile
sera, momento in cui l'abbiamo lasciato, il sole dovette tramontare verso le 18,38. Il ca-
po ebreo attende che l'ombra sia calata. Verso le 19,30, mette la sua armata in movi-
mento partendo dal campo di Galgala, e, dopo una marcia di circa 30km, che gli richiede
69 - Atlas pour l'histoire universelle de l'Eglise catholique, Gaume e Duprey, Parigi, 1861.
71
non più di 6 ore, abborda Gabaon da Nord/Est, avendo preso la strada che segue la valle
della Fara. É circa l' 1,30 del mattino, il 17 aprile gregoriano. I soldati nemici sono
piombati nel sonno più profondo e in un'oscurità non meno profonda. Giosuè ne fa una
grande strage senza danno per le sue truppe. Quale buon capo guerriero, Giosuè non ha
certo atteso che la notte fosse svanita per attaccare, ma, al contrario, ha voluto approfit-
tare della notte per seminare la confusione tra gli avversari disarmati e beneficiare pie-
namente dell'effetto sorpresa che l'oscurità poteva assicurargli. Quando dunque si tradu-
ce il latino della Volgata nel passaggio: "Irruit itaque Josue super eos repente, tota nocte
ascendens de Galgalis", con: "Giosuè, essendo dunque venuto tutta la notte da Galgala, si gettò su loro all'im-
provviso", si commette un errore di senso. Giacché, se Giosuè, avendo marciato tutta la
notte, fosse arrivato a Gabaon al levar del giorno, sarebbe stato scoperto e non ci sareb-
be stato l'effetto sorpresa (repente). D'altra parte, la notte durava più di 10 ore a quell'e-
poca dell'anno, e non necessitavano 10 ore all'armata israelita per percorrere 30km.. For-
se neanche S. Gerolamo ha colto il senso profondo dell'ebraico in questo passaggio. Noi
preferiamo tradurre questo testo nel modo seguente (Gios X, 9):
Halladjelôh
Hal La Djel Ô H
ha la jal w he
Ha La Djal Ô He
In Cessare Deponere Pignus Ita
Durante Riposarsi Deporre Sicurezza Dunque
oppure:
hala
Hala
Ad
Nel momento
nel momento in cui, essendo a riposo, avrebbe abbassato le sue sicurezze; ed egli attese
a Galgala l'arrivo della notte.
La carneficina, "la grande piaga", dice il testo, proseguì per 2 ore e mezzo fino all'auro-
ra, cioè fin verso le 4, poiché il sole si levava, il 17 aprile, verso le 4,46. Quando gli
Amorrei si resero conto, all'alba, della vera situazione e dei danni causati dalla temibile
armata degli Ebrei, cercarono la salvezza nella fuga (Conturbavit... a facie Israel) all'op-
posto della marcia degli Ebrei, cioè verso Ovest, nella direzione di Bethoron; senza
dubbio contavano di trovar rifugio in quel luogo situato su uno sperone roccioso domi-
nante la valle di Aialon. Ma Giosuè li inseguì nel loro cammino che saliva verso Betho-
ron.
É allora che Giosuè fa il suo insigne miracolo. Il redattore del Libro Santo non ne parla
tuttavia immediatamente, ma, come per marcare l'attività dell'inseguimento, aggiunge di
seguito che Giosuè li fece a pezzi fino ad Azeca e Maceda. Poi racconta che, nel corso
di questo inseguimento, Dio fece piovere sui nemici delle pietre che ne uccisero il mag-
gior numero e, stando ai traduttori, è solo allora che Giosuè avrebbe arrestato il sole e la
luna. Ma chi non vede che, se la maggior parte dei nemici era già uccisa, l'arresto dell'a-
stro del giorno non aveva quasi più ragione di prodursi! Bisogna comprendere che lo
scrivano, dopo aver sommariamente indicato, nel versetto 10, la fine del combattimento,
ritorna in dettaglio sugli incidenti che l'hanno preceduto: la caduta di pietre e il prolun-
gamento del giorno che permise a Israele di vendicarsi dei suoi nemici (v.13). Simili in-
versioni nel racconto degli avvenimenti sono correnti in ebraico, tanto che se ne consta-
tano ancora nel seguito dello stesso capitolo. Al versetto 15, si dice che Giosuè ritornò
al campo di Galgala, ma, subito dopo, si racconta l'incidente della scoperta dei re nasco-
sti a Maceda dove si dice che si trovava allora il campo e dove Giosuè mise a morte i re
nemici; poi la presa di Maceda, e tutto questo nello stesso giorno (v. 28). Come ammette-
re che Giosuè e la sua armata, che si erano spinti fino ad Azeca e Maceda, siano tornati
a Galgala, situata a più di 65km da là, siano ripartiti per Maceda, siano ritornati a Galga-
la, situata a più di 65km di distanza, e siano ripartiti in seguito per Maceda, il che avreb-
be fatto loro coprire nello stesso giorno circa 200 chilometri! I fanti non sono delle lo-
comotive. É evidente che Giosuè, dopo aver raggiunto Maceda e dato la caccia ai fug-
giaschi, immolò i re seduta stante, espugnò Maceda, e fece poi riposare la sua truppa al
campo provvisorio stabilito in quel luogo: ne aveva certo bisogno.
Non è neanche l'indomani che Giosuè rientrò a Galgala dove erano rimasti i vecchi, le
donne e i bambini, giacché il Libro Sacro prosegue che, il secondo giorno, Giosuè prese
Lachis dopo Lebna, poi, in successione, Eglon, Ebron, Dabir, il che gli assicurò il pos-
sesso (di fatto delle conquiste anteriori) del paese "del lato delle montagne e del mezzogiorno, della pia-
nura e di Asedoth; da Cadesbarne fino a Gaza e tutto il paese di Gesen fino a Gabaon"; e il versetto 42 aggiunge
"che egli prese tutto di seguito", cioè a dire in maniera continua, nel corso di una stessa spedizio-
ne che durò, evidentemente, numerosi giorni. É solo allora che "Giosuè ritornò con tutto Israele a
Galgala dove era il suo campo" (v. 43). Per di più, il versetto 15 è preceduto in margine dalla paro-
la Tou = tou che si traduce trasmutare, trasferire, il che confermerebbe lo sposta-
mento dell'incidente.
Ci si è chiesti cosa significava Asedoth. Alcuni vi hanno visto una città, Azoto o un'al-
tra città più o meno localizzata; altri, delle regioni situate sui fianchi delle montagne, o,
al contrario, dei luoghi bassi. A noi sembra che il testo suggerisca altro. L'autore circo-
scrive il paese conquistato, ossia, a est, le montagne, quelle di Giuda; poi il mezzogior-
73
no; in seguito, a ovest, la pianura, che è quella di Sephela. Resta dunque da delimitare il
territorio al nord; è ciò che deve significare Asedoth, giacché, con l'egiziano, questa pa-
rola si può esplicitare: haye h/t hwt = Hathe Hêt Hôt = Coram Septentrio Oc-
casus = Di fronte al settentrione e all'occidente: il nord-ovest. Le alture della regione di
Gabaon completano la chiusura. Ugualmente, il paese di Gosen non ha niente in comu-
ne con la terra di Goschen che gli Ebrei avevano un tempo occupato in Egitto. La parola
deve dunque interpretarsi: [w[n = Çôçn̄ = Discerpere = dividere: è il paese diviso in
un gran numero da piccoli reami; Giosuè ne enumera 31 al cap. XII.
Ciò che abbiamo detto prova, in ogni caso, che l'ordine cronologico non è stato rispetta-
to nel corso del racconto. Vi è anche incompatibilità formale tra le condizioni del mira-
colo e l'ipotesi che abbia potuto prodursi a partire da Maceda o da Azeca. Si supponga
Giosuè tra queste due città; per considerare Gabaon e Aialon, egli deve girare la schiena
al mezzogiorno e ha davanti a sé il nord, punto cardinale in cui non si vede mai il sole.
Al contrario, nella salita verso Bethoron, egli ha Gabaon e Aialon verso il sud, lato
dell'orizzonte in cui i due astri evolvono ai nostri occhi.
Da questa posizione di Giosuè tracciamo una linea nella direzione di Gabaon e un'altra
in quella di Aialon; esse determinano, in rapporto alla direzione est-ovest, degli angoli
di circa 4°. É adesso che bisogna interpretare bene il valore delle parole. Si è tradotto:
"Sol Contra Gabaon ne movearis et luna contra vallem Aialon", con: "Sole, fermati su Gabaon e
tu luna, sulla valle di Aialon". Ma qualunque soluzione si esamini, il sole non può avanzare su
Gabaon. All'aurora, verso le 4, Giosuè era ancora a Gabaon. Quando Giosuè ebbe per-
corso 5 o 6 km, cioè raggiunto la salita di Bethoron, il sole, levatosi alle 4,46, aveva cir-
ca 1/4 d'ora di corsa. Siccome l'astro percorre ai nostri occhi 180° dell'orizzonte in 12
ore, in 1/4 d'ora era avanzato di circa 4° in rapporto all'oriente, tenuto conto dell'inclina-
zione dell'astro all'epoca. Ecco perché Giosuè lo vedeva allora nella direzione di Ga-
baon: il suo raggio visuale verso questa città faceva anche lui un angolo di 4° con la di-
rezione est-ovest. Se dunque Giosuè aveva lasciato Gabaon alle prime luci dell'aurora,
verso le 4, erano circa le 5 quando egli ordinò al sole e alla luna di arrestarsi nelle loro
posizioni rispettive.
Il nostro satellite, da parte sua, doveva trovarsi anch'esso a 4° circa dalla direzione est-
ovest poiché era visto da Giosuè dietro la regione di Aialon, simmetrica a Gabaon. Gli
restava quindi 1/4 d'ora di percorso per tramontare. In effetti, il calcolo stabilisce che il
17 aprile gregoriano 1186, al mattino, la luna tramontava normalmente alle 5,13 (tempo
civile di Gerusalemme). Da notare che da questo lato Giosuè è meno preciso; egli non parla
di Aialon stessa, ma della vallata di Aialon.
Di colpo, l'opinione che ci si è in genere fatta circa l'ora del miracolo di Giosuè appare
erronea: non è la sera, per prolungare la giornata troppo corta, che Giosuè ha arrestato il
sole; è al mattino, quasi al levar del giorno. Come, d'altronde, data la posizione del
campo di battaglia, Giosuè avrebbe potuto vedere il sole coricarsi nella direzione di Ga-
baon? Questa località, per lui, era a est e il sole si corica a ovest. Giosuè era un orienta-
le, e sapeva che, durante la bella stagione, il calore del sole è presto soffocante; egli
aveva bisogno di conservare ai suoi uomini una certa freschezza per trarne il massimo
di attività; ecco la ragione prima e ovvia del suo miracolo: mantenere il sole al suo sor-
gere per conservare il più a lungo possibile la freschezza del mattino. La seconda ragio-
ne è che il prolungamento del giorno gli permetteva di trarre dalla sua vittoria il massi-
mo vantaggio. Ed aveva una ragione ancora più importante per questo prodigio inaudi-
to: aggiunto a quelli che avevano segnato il passaggio del Giordano e la presa di Gerico,
esso doveva terrificare le popolazioni che occupavano la Palestina e facilitarvi l'installa-
74
L'importanza dell'esatto valore dei termini appare anche da un altro punto di vista nello
stesso passaggio, giacché non è affatto indifferente, per la qualificazione del fenomeno,
che si dica: "Sole non avanzare su Gabaon", o "Sole non muoverti rispetto a Gabaon".
Nel primo caso, vi sarebbe arresto assoluto del movimento del sole; nel secondo, arresto
solo relativo in rapporto a un punto scelto sulla superficie della terra. É quest'ultima in-
terpretazione la sola buona perché la sola che si basa sul senso letterale: ciò che Giosuè
ha voluto, è che il sole e Gabaon conservassero le loro posizioni rispettive; non ha detto
altro che questo: "Che il sole non si muova rispetto a Gabaon". Quando gli si fa dire che
arrestò il sole, e basta, si tronca la sua frase, si storpia il suo pensiero. Giosuè ha mirato
a un risultato senza preoccuparsi del mezzo, che era affare di Dio, quello stesso Dio che
non aveva potuto ispirare una così stupefacente pensata al suo servitore se non perché
voleva realizzarla. Certo, l'Onnipotente avrebbe potuto operare il prodigio senza avvisa-
re, senza associarvi nessuno; ma nella sua infinita condiscendenza, e per la gloria del
nome di Gesù, si è degnato di volere la mediazione di una meschina creatura umana.
Meschina, sì, ma quale non era la robustezza della sua fede! Immaginiamo che è a noi
che Dio ispira di comandare alla terra di arrestarsi, e di dare quest'ordine, come lo fece
Giosuè, di fronte a tutto il popolo. Chi di noi sarà abbastanza semplice da farlo imme-
diatamente? Noi dubiteremmo, temeremmo di renderci ridicoli e resteremmo quindi
passivi. Come, il gesto di Giosuè, fa luce sul rimprovero che Gesù indirizzava ai suoi
apostoli: "Se aveste abbastanza fede, direste a questa montagna: "Spostati e gettati nel mare", ed essa lo farebbe".
Adesso, per una conoscenza insufficiente dei fatti e una cattiva interpretazione del testo
del Libro di Giosuè, noi cattolici abbiamo fatto sorgere delle difficoltà inesistenti che
sono venute ad aggiungersi alle obiezioni speciose che taluni credevano di poterci op-
porre. Per gli stessi motivi, quando, al seguito di Galileo (il quale è stato pertanto condannato
giustamente in merito a ciò), si dice che Giosuè ha parlato "secondo le apparenze", confor-
memente al "linguaggio volgare", nel mezzo del "fuoco della battaglia", senza perciò
ben pesare le sue parole, si nasconde molto maldestramente la difficoltà, seguendo un
procedimento troppo sovente impiegato dall'esegesi moderna... e modernista, vergogno-
sa del tesoro dei suoi Libri Santi di fronte all'arroganza di una scienza che espone il fal-
so oro della sua paccottiglia.
Haschschèmèsch Ouedjôréhaach
Ha Sch Schèm Esch Oue Djôr Eh Aach
ha s s/m es ouoh jwrh e as
Ha Sch Schêm Esch Ouoh Djôrh È Asch
Caput Posse Altus Suspendere Et Noctu In Ignita
Capo Potere Alto Sospendere E Di notte In Brillante
Ossia in testo coordinato: Ancora prima della distruzione dei nemici, Giosuè parlò a
Jehovah (giacché Jehovah è buono con i suoi adoratori), nella parte superiore dell'in-
seguimento degli Amorrei dalla moltitudine dei figli di Israele, e proferì questa parola
udita alla moltitudine dei viventi e che si realizzò a causa dei sacrifici di Israele: "Tu,
che sei sospeso in alto (sole) al di sopra di Gabaon, non cambiare di posto, e neanche
tu, che brilli nella notte (luna) al di sopra della regione inferiore che circonda Aialon".
A questa parola forte, proferita dal capo potente, quello che è sospeso in alto e quella
che brilla nella notte si riposarono senza avanzare, e ritardarono la loro circonferenza
fino alla distruzione dei nemici.
É ben ancor prima della distruzione dei nemici, sulla salita di Bethoron, designata come
la parte superiore dell'inseguimento degli Amorrei, che Giosuè fece il suo miracolo, e
non lo fece senza prima essersi rivolto a Dio. L'effetto della sua parola fu risentito nel
mondo intero, il che ci dimostra che il fenomeno non fu un semplice effetto ottico, una
sorta di miraggio locale, come a molti è piaciuto immaginare. E il testo non permette di
dubitare che si è trattato, non di un arresto assoluto del sole e della luna, ma di un arre-
sto relativo: Giosuè dice al sole, che è allora su Gabaon, e alla luna, sulla valle di Aia-
lon, di restarvi.
Ci si obietterà che il seguito del versetto 13 del capitolo X è più formale e che dice, se-
condo la Volgata, "che il sole si arrestò in mezzo al cielo" ? Ma il testo ebraico dice (Gios. X, 13):
Ouadjiâehamod
Oua Dji  E Ham Od
ouah ji a e hwmi ay
Oua Dji E Hômi Ath
Projicere Loqui Facere Quod Ambulare Sine
Proferire Parlare Fare Che Camminare Senza
Haschschèmèsch
Ha Sch Schèm Esch
ha s s/m es
Ha Sch Schêm Esch
Caput Posse Altus Suspendere
Capo Potere Alto Sospendere
77
Bâechaçihadj
Bâ E Cha Çi Hadj
pa e sa [i hajw
Pa È Scha Çi Hadjô
De Ab Ortus (solis) Dimidium Ad
Durante Dopo Levare Metà Fino a
Haschschômadjim
Hasch Schôm A Djim
as jwm a s/m
Asch Djôm A Schêm
Metiri Volumen Circiter Excelsus
Misurare Movimento circolare Intorno I cieli
Ossia in testo coordinato: La parola proferita dal capo potente fece sì che quello che è
sospeso in alto cessò di marciare per (un tempo che va) dal suo sorgere fino alla metà del-
la misura del suo movimento circolare intorno ai cieli.
Il "centro del cielo" di S. Gerolamo ha... ben imbrogliato gli esegeti. Il "centro del cie-
lo" è lo Zenit, e alcuni l'hanno pensato; per loro il miracolo sarebbe dunque avvenuto a
mezzogiorno, il che avrebbe però esposto i soldati al massimo ardore del sole. Quelli
che propendevano per un miracolo avvenuto al termine del giorno, hanno deformato il
testo della Volgata e tradotto "centro" con il termine vago "nel". La nostra traduzione
rimette le cose a punto, ma fa anche di più: ci indica la durata del fenomeno che fu
uguale al tempo che il sole impiega dal suo levare alla metà del suo percorso nel cielo,
ossia dalle 5 circa a mezzogiorno. Questo particolare concorda con quello che abbiamo
di Rampsinitès: "la giornata fu accresciuta della metà della durata delle ore di luce",
ossia di circa 7 ore.
Qualcuno potrebbe obiettarci che il seguito del testo biblico dice che "il sole non si af-
frettò a nascondersi per lo spazio di un giorno". In realtà, la parola che si è tradotta
"spazio" , Thômîdjm, si comprende con il copto:
yo m ejen
Tho M Edjen = (Edjem)
Orbis Universus Mittere Circa
Circolo universale Far andare Circa
il che indica che la durata del chiaro è stata di circa un giro completo dell'astro.
Su questo punto ci incontriamo con Vigouroux che, in luogo di "Non festinavit occum-
bere spatio unius diei", della Volgata, traduce: "Non festinavit (sol) occumbere diem
circiter integrum", cioè "Circa un giorno intero". Questa rettifica aggiunge alla tradu-
zione precedente una preziosa nota di semplice approssimazione. Il 17 aprile la durata
della luce del giorno, dal levare al calare, è di circa 14 ore; aggiungendovi circa 7 ore di
luce supplementare, si ottiene un totale di 21 ore, che corrisponde a "quasi un giorno in-
tero". Non solo la nostra interpretazione è più conforme delle altre allo spirito del ver-
setto 13, ma ha anche il merito di poggiare su dei dati precisi, nella fattispecie la durata
di 7 ore indicata da questo stesso versetto e confermata da un testo egiziano, e la lun-
ghezza del percorso che va da Bethoron a Maceda, nel corso del quale ebbe luogo l'in-
seguimento e l'annientamento dei nemici, ossia 36km o 7 ore di cammino medio.
Giosuè, avendo così determinato il tempo in cui l'azione si svolge e posto come testi-
78
moni della battaglia i due grandi luminari che presiedono al giorno e alla notte, riprende
l'inseguimento del nemico; lo obbliga dapprima ad uscire da Bethoron, e ai fuggiaschi
non resta più che cercare di riguadagnare le loro rispettive capitali, tutte situate al sud.
Essi discendono allora da Bethoron e seguono l'alta vallata di Aialon, poi quella di una
delle branche del Sorek, contando di raggiungere Azeca per dove potevano raggiungere
la strada da Lachis a Ebron. Il percorso da Bethoron ad Azeca è di una trentina di chi-
lometri, ossia l'equivalente di 5 ore di marcia accelerata. Normalmente, la testa di co-
lonna doveva dunque raggiungere Azeca verso le 10, e Maceda, circa 6 chilometri più
oltre, verso le 11. L'armata nemica, comprendente le truppe di cinque re, doveva essere
ancora molto numerosa malgrado le perdite subìte, poiché Giosuè aveva impiegato
30.000 uomini contro il solo re di Aj (Gios. VIII v.3). Pertanto, la coda della colonna non
poteva arrivare ad Azeca che verso le 11, e a Maceda verso le 12. L'inseguimento, a par-
tire dalle 5, ora d'inizio del miracolo, doveva dunque prendere circa 7 ore, il che con-
corda con le costatazioni fatte, da parte loro, dagli astronomi egiziani.
É durante questo tragitto che Dio compì spontaneamente un altro miracolo in favore de-
gli Ebrei; fece infatti piovere delle pietre sui fuggiaschi dalla discesa di Bethoron fino
ad Azeca. Ma, cosa strana, questi proiettili non colpirono gli israeliti inseguitori. Non ci
addentreremo qui nei dettagli su questo fenomeno che non interessa la cronologia; ab-
biamo trattato la questione alle pagine 284 e seguenti (del manoscritto) del tomo II del no-
stro libro Galileo aveva Torto o Ragione?, dal quale sono state estratte le pagine sul
miracolo di Giosuè.
D'altronde, così come abbiamo esposto nel tomo 2 del nostro libro Galileo aveva torto
o ragione?, la terra non gira effettivamente attorno al sole, ma è animata solo da un
movimento annuale di traslazione estremamente lento attorno al centro di gravità del si-
stema solare col quale essa coincide per un punto della sua superficie: non ha dovuto
quindi sospendere un movimento di traslazione praticamente trascurabile in rapporto
all'insieme del fenomeno. Nel caso contrario, questo arresto assoluto avrebbe provocato
la sua caduta sul sole. Restando dunque praticamente immobile, essa ha conservato il
suo equilibrio generale e non ha turbato l'equilibrio del sistema solare, giacché la più o
meno grande rapidità della sua rotazione su se stessa non cambia niente all'attrazione
degli astri tra loro poiché, questa, è in rapporto con le masse e le velocità di traslazione.
I corpi hanno pesato un po' di più sulla superficie della terra durante 7 ore, ecco tutto, da
questo punto di vista.
Perché la terra stessa non avesse a soffrire troppo per la sospensione del suo movimento
di rotazione, è bastato che l'arresto si producesse progressivamente. La velocità di rota-
79
zione all'equatore terrestre è di 1666 km/ora, ossia una quindicina di volte la velocità
normalmente raggiunta su strada dalle automobili. Ora, perché gli occupanti delle vettu-
re non abbiano a risentire troppo gli effetti di un arresto, basta effettuarlo su una sessan-
tina di metri, il che corrisponderebbe, per l'equatore terrestre, a un arresto su meno di
1km non richiedente che alcuni secondi. Si obietterà che l'automobile dispone di freni
perfezionati che graduano l'arresto? Ebbene! Prevediamo l'arresto della vettura su 600m,
ciò non corrisponde ancora a un mezzo minuto per la terra.
C'è di più: l'attrazione lunisolare causa due volte al giorno delle maree di altezza varia-
bile; l'acqua del mare, che è stata attirata al passaggio della luna e del sole, ricade in se-
guito; ne risulta una marea montante seguita da una marea discendente, e questo feno-
meno, in conseguenza della rotazione della terra, produce attorno ad essa una rotazione
continua delle acque. Se la terra si arresta, la luna e il sole concentrano le loro attrazioni,
ciascuno dalla sua parte, su una stessa zona marina la quale si troverà sollevata intensa-
mente, invadendo le terre vicine. Nel momento in cui l'attrazione si allenta, si produrrà
sulle spiagge che avevano subìto una marea eccezionalmente bassa il fenomeno inverso:
esse saranno a loro volta anormalmente allagate. Ora, l'intensità delle maree ha dovuto
essere tanto più grande in quanto si era a una data molto prossima all'equinozio di pri-
mavera, epoca delle grandi maree.
Ad ogni modo, è certo che vi furono, nella mattinata del 17 aprile gregoriano 1186 a.C.,
molti movimenti intensi delle acque, anche nei mari chiusi come il Mediterraneo dove il
flusso e il riflusso si fa generalmente sentire poco. Per la battaglia ingaggiata da Giosuè,
il fatto era senza importanza immediata, così la Bibbia non ne fa menzione. Non fu lo
stesso per i rivieraschi: Filistèi, Fenici, Siriani, Asiatici, Egèi, Tirrenici, Libici, Maxili,
ecc, che, di fronte a questo nuovo cataclisma che ricordava quello di 40 anni prima, fu-
rono terrorizzati; ci fu una fuga disperata verso l'Egitto, che pure non aveva sofferto di
meno.
Ciò detto, restano alcuni problemi secondari da risolvere. La luna gira intorno alla terra
80
in 27 giorni e 1/3. Se il fenomeno dell'arresto della terra è durato 7 ore, durante questo
°
indugio, la luna è avanzata di 360 x 7 = circa 4° . Riportati sulla carta, questi 4° mostrano
27,3 x 24
che la luna, malgrado il suo movimento di traslazione, è rimasta sopra la valle di Aia-
lon, anche se è potuto succedere che abbia lasciato la località suddetta. Ecco spiegata
l'espressione meno precisa di cui si è servito Giosuè riguardo alla luna e che dimostra
che, lungi dall'essere pronunciate erroneamente e sconsideratamente nel fuoco della bat-
taglia, le sue parole sono state dettate da una perfetta esattezza scientifica. Lì è la causa
del piccolo movimento della luna osservato dagli egiziani.
Dall'altra parte, durante le 7 ore di arresto della rotazione della terra su se stessa, il sole
ha percorso sulla sua orbita (giacché il sole gira praticamente attorno alla terra: gli espe-
rimenti e le nostre spiegazioni l'hanno mostrato), all'opposto delle lancette di un orolo-
gio, un angolo corrispondente a: (360°x7h)/(365,25giornix24) = 17'5 circa. Ma, nello stesso
tempo, la terra si è spostata di uno stesso angolo, attorno al centro di gravità del sistema
solare; le posizioni rispettive dei due astri, sole e terra, sono dunque rimaste invariate, e
il sole è sempre su Gabaon come aveva prescritto Giosuè.
Verso le 12, l'orologio astronomico si rimetteva in movimento a partire dalle 5 del mat-
tino e la giornata si svolse poi normalmente.
Pertanto questo testo, se non conferma la traduzione di Rougè, apporta, per la sua con-
formità con l'iscrizione dell'anno VI° di Rampsinites, una seconda testimonianza egizia-
na, solida ancorché indiretta, al racconto biblico del miracolo lunisolare di Giosuè.
I Re.
Abbiamo detto, a pagina 50, che Davide ha dovuto morire nel 974,5. Ed ecco la giustifi-
cazione di questa informazione. Il faraone Sesonkhôsis I, fondatore della XXIIª dinastia
egiziana, salì sul trono nel 940,5; nell'undicesimo anno del suo regno, ossia nel 929,5,
dichiarò guerra a Roboamo, re di Giuda, lo vinse, e riportò dalla sua campagna le im-
mense ricchezze accumulate da Salomone, padre di Roboamo; questi era allora nel suo
5° anno ed aveva dunque cominciato a regnare nel 934,5, alla morte di Salomone, il cui
regno era durato 40 anni; si giunge così, per la morte di Davide, al 974,5. Così si tronca
una questione che, anche tra gli storici moderni, non è mai stata ben chiarita. Abbiamo
così, nella data del 934,5, un punto di partenza fermo per lo studio comparato delle di-
nastie di Giuda e di Israele a partire dalla divisione del regno di Salomone, studio labo-
81
rioso e che non ha mai dato dei risultati definitivi, giacché non si è ancora arrivati a
conciliare dei dati disparati; da una parte, in effetti, i totali dei regni nelle due branche
parallele differiscono sensibilmente tra delle date estreme comuni, dall'altra, i regni
sembrano, a prima vista, essere stati arbitrariamente sia arrotondati alla cifra superiore,
sia riportati alle cifre inferiori senza ragione apparente.
Roboamo, di Giuda, e Geroboamo, di Israele, salirono dunque sul trono nel 934,5. Il
primo regnò 17 anni, ossia fino al 917,5. La Bibbia aggiunge che il suo successore,
Abiam, cominciò a regnare il 18° anno di Geroboamo. Questo anno correva dal 917,5 al
916,5; è dunque all'inizio di questo anno che Abiam salì sul trono. Ora, Abiam regnò 3
anni, ossia, se questa cifra è precisa, fino al 914,5. Ma il suo successore, Asa, è detto
aver preso il potere il 20° anno di Geroboamo che va dal 915,5 al 914,5; non è dunque
più l'inizio, ma la fine dell'anno che bisogna considerare qui se si vuole ottenere un in-
tervallo di tre anni a partire dal 917,5. Gli anni di riferimento alla dinastia vicina non
devono dunque essere considerati come un punto fisso preciso ma piuttosto come un pe-
riodo flessibile. È probabile che Abiam cominciò il suo regno poco dopo l'inizio del 18°
anno di Geroboamo e lo compì poco prima della fine del 20° anno di questo principe; il
suo regno sarebbe dunque durato un po' meno di tre anni.
Prima di proseguire, facciamo una osservazione pregiudiziale. Noi sappiamo, dal capi-
tolo XXII dei Paralipomeni, che Iéu fece morire sia il re di Giuda Acazìa che tutti i suoi
parenti, il re di Israele Joram e la sua casa. Le due dinastie precedenti di Giuda e di
Israele, cominciate insieme, si conclusero dunque nello stesso anno. Ora, se noi totaliz-
ziamo gli anni di regno di ciascuno dei due rami, troviamo per Giuda 92 anni e per
Israele 98 anni. Sembra dunque che, se gli anni di regno di Giuda sono stati esattamente
indicati, quelli di Israele siano stati maggiorati di 6 anni o 72 mesi; siccome ci furono in
questa linea 9 regni effettivi, ciascun regno vi è stato, in media, maggiorato di 8 mesi,
con un arrotondamento degli anni incompleti all'unità immediatamente superiore. Così,
è di 2/3 d'anno, poco più, poco meno, che dobbiamo aspettarci di dover amputare cia-
scuna delle durate di regno di Israele.
Geroboamo sarebbe morto dopo 22 anni di regno, ossia, se questa cifra fosse piena, nel
912,5, poiché era salito sul trono nel 934,5. Ma secondo quanto noi abbiamo esposto al-
trove, è piuttosto verso il 913,25 che dobbiamo porre l'avvento del suo successore, Na-
dab, nel 2° anno di Asa di Giuda, anno che va dal 913,5 al 912,5. Nadab avrebbe regna-
to due anni; se gli applichiamo l'abbattimento precedente, noi lo faremo regnare dal
913,25 al 911,25.
A Nabad succede Baasa, il terzo anno di Asa, andante dal 912,5 al 911,5; essendo il suo
avvento messo nel 912, cade bene in questo periodo. Avendo regnato 24 anni, avrebbe
dovuto morire nel 888, data che noi porteremo, in virtù dello stesso principio, a 888,75.
Poi viene Ela, nel 26° anno di Asa, che va dal 889,5 al 888,5. Ela regna teoricamente
due anni, ossia fino al 886,75 riportato all' 887,5. Zamri allora non regna che 7 giorni,
rimpiazzato da Amri e Tebni per 4 anni; Amri regna poi da solo per 8 anni; ma questi
sono anni arrotondati che praticamente devono essere riportati a 3,5 e a 7 anni. Si
avrebbe dunque Amri e Tebni dal 887,5 al 884 e Amri da solo dal 881 al 877. È allora
che, nel 38° anno di Asa (877,5-876,5), Acab sale sul trono nel 877; regna 22 anni che
si riducono a 21, ossia fino al 856.
D'altra parte, in Giuda, Asa muore dopo circa 41 anni di regno, ed è rimpiazzato da Gio-
safat, nel IV anno di Acab, ossia nel 873 (dal 874 al 873). Giosafat regna per 25 anni, il
che lo porta al 848. Nel 17° anno di Giosafat (dal 857 al 856) Acab di Israele è rimpiaz-
82
zato da Acazia, il cui regno è contato per due anni, praticamente dal 856 al 854,5. La li-
nea di Israele si completa su Ioram, re in teoria 12 anni, di fatto dal 854,5 al 842,5.
Qui si presenta una piccola difficoltà. È detto che Ioram di Giuda regnò 8 anni su Geru-
salemme a partire dal 5° anno di Ioram di Israele, e che ebbe come successore Acazia,
che regnò un anno, prima di morire nello stesso tempo di Ioram di Israele. Dando a que-
st'ultimo tutta l'ampiezza del suo regno di 12 anni, saremmo dunque di fronte a 4 o
5+8+1=13 o 14 anni, il che non è possibile; bisogna dunque che la cifra di 8 sia un nu-
mero arrotondato, per 7. D'altra parte, tutti gli interpreti sono d'accordo per comprende-
re in questo numero di 8 (riportato a 7) una viceregalità di almeno 2 o 3 anni con Giosafat;
il regno personale di Ioram di Giuda sarebbe dunque stato effettivamente di 4 o 5 anni.
La sua vice-regalità, cominciata l'anno 5 di Ioram di Israele, ossia nel 850,5, sarebbe
stata seguita da un regno di 4 o 5 anni andanti dal 848 al 843,5. Acazia sarebbe allora
salito sul trono l'undicesimo o dodicesimo anno di Ioram di Israele; la Bibbia ha le due
versioni, ma esse si spiegano per il fatto che l'anno 843,5 in cui Acazia salì al potere è al
limite dell'undicesimo e del 12° anno di Ioram (844,5-843,5-842,5). Acazia ha trovato la
morte nel 842,5. È da notare che fino a questa data, partendo dalla fondazione del regno
di Giuda nel 934,5, sono trascorsi esattamente 92 anni come li totalizzano i regni parti-
colari, così come noi l'avevamo presunto. Possiamo dunque stendere la tabella seguente:
ISRAELE GIUDA
regno da a regno da a
Geroboamo 934,5 913,25 Roboamo 934,5 917,5
Durante questo periodo, oltre alla spedizione di Sesonchosis I contro Roboamo, si pos-
sono notare degli avvenimenti internazionali. L'anno XV di Asa, un re di Kush che la
Bibbia chiama Zara, attaccò Giuda alla testa di un milione di Etiopici e di Libici nella
speranza di rinnovare il successo di Sesonchosis I. Asa lo sconfisse totalmente a Maresa
e riportò numeroso bottino di cui fece in parte un sacrificio al Signore. L'anno XV di
Asa andava dal 900,5 al 899,5, ossia una media di 900. Noi abbiamo mostrato (nel tomo
XI p. 196 e segg.) del nostro Libro dei Nomi dei Re d'Egitto, che il re Zara, il cui nome
ebraico si scrive più esattamente Êzarach, era in realtà Osorkon o Osorthon Isud, che re-
gnò a Napata (Etiopia) dal 908 al 900 e dovette morire a Maresa, e che l'incontro delle
due armate dovette aver luogo verso la fine dell'anno 901 e l'inizio dell'anno 900. La
coincidenza tra le cronologie biblica ed egiziana, anche qui, si stabilisce.
83
Ora, Ieu, che aveva ucciso gli ultimi re di Israele e di Giuda, essendo stato unto dal pro-
feta Eliseo, salì sul trono di Israele nel 842,5; regnò 28 anni, ossia fino al 814,5. Ma nel-
lo stesso tempo, su Giuda, la madre di Acazia, Atalia, vedendo suo figlio morto, uccise
ciò che restava della razza reale per regnare da sola. Il gran sacerdote Joïada riuscì tut-
tavia a sottrarre al massacro l'ultimo figlio di Acazia, Joas, che aveva un anno, e lo cu-
stodì per 6 anni in segreto nel tempio. Il settimo anno, Joïada lo presentò al popolo e lo
fece acclamare re mentre Atalia veniva uccisa dai soldati. Joas, re teorico dal 842,5, di-
venne dunque re effettivo nel 836,5; regnò in seguito 34 anni, ossia fino al 802,5, il che,
con i 6 anni di usurpazione di Atalia, gli ha costituito il regno totale di 40 anni che gli è
attribuito. A Joas successe il figlio Amasia che regnò su Giuda 29 anni, dal 802,5 al
773,5. La Bibbia precisa che egli regnò così 15 anni dopo la morte di Joas, figlio di Joa-
chaz, re di Israele. Joas di Israele avrebbe dunque cessato di regnare 15 anni prima del
773,5, ossia nel 788,5; siccome si dice che abbia regnato 16 anni, sarebbe salito sul tro-
no nel 804,5; ma, d'altra parte, quest'ultima data è detta il 37° anno (fittizio) di Joas di
Giuda che va dal 806,5 al 805,5 e, se noi risalissimo fino a uno di questi due termini, il
regno di Joas di Israele non sarebbe più di 16 anni ma di 17 o di 18. Bisogna dunque
leggere qui il 38° in luogo del 37° anno di Joas di Giuda. Se, tuttavia, Joas di Israele ha
regnato dal 37° anno (806), non può che essere come viceré di suo padre Joachaz per un
buon anno prima della sua morte, che si sarebbe così prodotta verso l'804,5. Ora, Joa-
chaz avrebbe regnato 17 anni a partire dal 23° (effettivo) di Joas di Giuda che va dal
814,5 al 813,5, o, al massimo, al 814,5, e 17 anni detratti a 814,5, ci conducono per la
fine del regno di Joachaz al 797,5, data troppo bassa di circa 7 anni. Siccome il padre di
Joachaz, Ieu, morì nel 814,5, bisogna necessariamente ammettere qui un co-regno di 7
anni. Sembrerebbe dunque che, in questa nuova dinastia di Israele pervenuta al potere
con la violenza, i re abbiano voluto assicurare la loro continuità dinastica associandosi
da vivi i loro eventuali successori al potere.
Joas di Israele avrebbe così regnato circa 1,5 anni come viceré, dal 806 al 804,5, ma è
sulla base del 804,5 che Amasia di Giuda è detto aver regnato il II anno di Joas di Israe-
le nel 802,5. Su Israele viene in seguito Geroboamo il 15° anno di Amasia, che va dal
788,5 al 787,5. Questa data del 788,5 è quella stessa della fine del regno di Joas, padre
di Geroboamo. Tutto si accorderebbe dunque se Geroboamo non fosse detto aver regna-
to 41 anni; giacché, se si detraesse questa durata dal 788,5, si finirebbe al 747,5, e non
resterebbero più che 25 anni e mezzo per raggiungere il 722, data classica della presa di
Samaria e della fine del regno di Israele, allorché restano ancora 41 anni e mezzo di re-
gno da coprire, da cui un'eccedenza di 16 anni. È curioso che 16 anni sono appunto la
durata del regno di Joas, padre di Geroboamo; si impone dunque la conclusione che
Joas, fin dal suo avvento nel 804,5, ha associato suo figlio al trono. E ciò era tanto più
normale in quanto, poco dopo, dovette partire in guerra. In ogni modo, egli restava nella
tradizione dinastica. Poiché così si è stabilita la concordanza tra l'inizio e la fine della
dinastia di Israele, possiamo, fin d'ora, stenderne la tabella definitiva.
Il re d'Assiria è qui Salmanassar V che regnò dal 726 al 721. Fin dal suo av-
vento, Osea gli fu dunque sottomesso. Ma pur fingendo di sottomettersi,
Osea inviò immediatamente degli ambasciatori al re d'Egitto, qui chiamato
Sua, cosa che Salmanassar venne presto a sapere dai suoi informatori nel
Delta. Vigouroux ha identificato, a torto, Sua con Sahabach o Sabakôn, della XXVª di-
nastia egiziana, ma questi, avendo regnato dal 720 al 706, non ha potuto essere visitato
da un'ambasciata nel 726. Diciamo subito che il nome ebraico (2 Re XVII, 4) del faraone,
scritto , deve leggersi Shaoouh. Ora, il primo re della XXIIIª dinastia tebana, che
regnò dal 745,5 al 725¾, si chiamava Saos IIIsud. Gli egittologi lo chiamano Aoupouti
ed hanno torto, giacché i suoi geroglifici (vedi fig.), devono leggersi Çahoï Hi Ouei, do-
ve si ritrova bene l'equivalente dell'ebraico Shaoouh. È poco prima della sua morte che
dovette ricevere gli inviati di Osea, e questa circostanza spiegherebbe da sola il suo non
intervento. Hanotaux70 dunque commette un doppio errore quando scrive: "Secondo la
Bibbia, un prìncipe del Delta, So o Sewa, aveva appoggiato la rivolta di Israele". Da un
lato, all'epoca, non c'erano nel Delta dei faraoni con questo nome; dall'altro, i re del
Basso Egitto erano già divisi, e alcuni di loro erano in collusione col re d'Assiria. Ecco
perché Osea si rivolse a un re di Tebe che, purtroppo per Israele, morì nel frattempo.
Da parte sua, Salmanassar V ebbe giusto il tempo, durante il suo breve regno, di attac-
care Osea, di farlo prigioniero, di conquistare tutto il paese e di assediare Samaria per 3
anni; egli morì poco dopo la sua vittoria; forse era stato assecondato dal suo successore
Sargon che se ne gloria anche lui.
Noi risaliremo ora ad Amasia di Giuda di cui abbiamo segnato la fine del regno nel
773,5. Questo re ebbe un regno molto agitato: dopo aver riportato una brillante vittoria
sugli Edomiti, fu completamente disfatto da Ioas di Israele a Bet-Semès, deposto, in se-
guito fuggitivo a Lachis e infine assassinato. La data della sua disfatta, che segna l'inizio
del suo declino, non è menzionata con precisione. Si sa tuttavia, dalle corrispondenze
indicate per cinque re di Israele alla tabella della pagina 84, che suo figlio Azaria o
Ozia, il cui regno totale fu di 52 anni, dovette cominciare a regnare nel 802,5. Ora, que-
sta data segna la fine del regno di Joas, predecessore di Amasia. È dunque che Amasia
associò suo figlio Azaria al trono non appena ebbe preso lui stesso il potere. D'altra par-
te, è detto (IV Re, XV, 1) che Azaria regno il 27° anno di Geroboamo, il quale va dal
778,5 al 777,5. La data iniziale del regno effettivo di Azaria sarebbe dunque il 778 cir-
ca. Questa data del 778, anteriore di 4 anni e mezzo alla morte di Amasia (773,5) sarebbe
dunque quella in cui Amasia, essendo fuggito da Gerusalemme e rifugiato a Lachis,
avrebbe lasciato definitivamente vacante il trono di Giuda. È detto anche che Azaria
aveva allora 16 anni, il che lo farebbe nascere nel 794, cosa impossibile poiché era già
associato al trono nel 802,5; ammettendo che si sia sposato a 16 anni, secondo un'usan-
za assai costante nelle famiglie reali dell'epoca, suo figlio non poteva avere che 8 anni a
questa data; egli avrebbe dunque avuto 16 anni verso il 794,5. Perché marcare questa
data se non perché è in questo momento che Amasia, vinto, fu praticamente deposto da
Joas pur restando a Gerusalemme, smantellata? Il regno di 52 anni di Azaria potrebbe
dunque scomporsi in tre periodi: uno di 8 anni, dal 802,5 al 794,5 in cui, benché asso-
ciato al trono, era troppo giovane per regnare; uno di 16 anni e mezzo dal 794,5 al 778,
in cui supplì suo padre, deposto, e uno di 28 anni, dal 778 al 750, in cui regnò per suo
conto: in totale, circa 52 anni.
Ad Azaria succede suo figlio Joatam che regna 16 anni a partire dal secondo anno di
Phacée (750), ossia fino al 734. Ma, d'altra parte, è detto che egli regnava 23 anni prima
di Osea (731+23=754); ebbe dunque un regno preliminare di 4 anni, dal 754 al 750, il
che si spiega per il fatto che suo padre, divenuto lebbroso verso la fine della sua vita,
abitava, dice la Bibbia, in una casa isolata, mentre Joatam, suo figlio, governava il
palazzo e giudicava il popolo (IV Re, XV, v. 5).
Il figlio di Joatam, Acaz, gli successe il 17° anno di Phacée, ossia nel 734 (751-17); egli
regnò 16 anni, ossia fino al 718. Ma siccome è detto altrove che Acaz regnò il 12° anno
prima di Osea, ossia nel 743 (731+12) vi è ragione per attribuirgli una sorta di vicerega-
lità di 9 anni, dal 743 al 734. D'altra parte, è precisato che egli aveva 20 anni quando
cominciò a regnare nel 734. Questa precisazione è inaccettabile, giacché il figlio di
Acaz è detto essergli succeduto all'età di 25 anni; se noi aggiungiamo 25 anni a 718
giungiamo, non al 734, primo anno del regno effettivo di Acaz, ma al 743, momento in
cui Acaz avrebbe avuto solo 11 anni e non poteva dunque essere padre. La data del 743
è piuttosto quella dell'associazione di Acaz al trono all'età di 16 anni, momento del suo
matrimonio, il che fa che nel 734 Acaz avrebbe avuto non 20 ma 25 anni. Si da il caso
che 25 anni è l'età alla quale la versione siriaca fa regnare Acaz; è certamente questa
versione che ha ragione contro l'ebraica e la Volgata.
Dopo la morte di Acaz, nel 718, suo figlio Ezechia regnò 29 anni, ossia fino al 689.
D'altro canto, è anche detto, che egli regnò nel 3° anno di Osea, ossia nel 728. Ezechia
ebbe pertanto una viceregalità di 10 anni, dal 728 al 718. Doveva avere 15 anni quando
fu associato al trono, giacché aveva 25 anni nel 718, all'inizio del suo regno personale.
Questo regno fu separato in due metà ben distinte da degli avvenimenti che si produsse-
ro nel 14° anno, ossia nel 704, dei quali ora ci occuperemo assiduamente in modo detta-
gliato.
Fin da adesso, noi possiamo stendere della seconda parte del regno di Giuda, parallelo a
quello di Israele, la tabella seguente. Rimarchiamo che, se essa spiega tutte le particola-
rità cronologiche che hanno fin qui arrestato gli storici, non abbiamo dovuto ricorrere a
dei chimerici inter-regni, come si è fatto un tempo, perché la sua data di base, appoggia-
ta su tutta una cronologia anteriore molto esatta, è un solido punto di partenza.
86
Il miracolo di Isaia
Nella Bibbia è riportato un altro miracolo astronomico non meno sorprendente di quello
di Giosuè anche se meno conosciuto: è quello che fece Isaia nell'anno 14 del re di Giu-
da, Ezechia. Anche qui abbiamo avuto la fortuna di ritrovare due testi egiziani che lo
confermano. Andiamo a studiarli parallelamente ai testi biblici corrispondenti.
Ecco subito una prima iscrizione che attribuiamo al faraone Takelothis IIIsud che ha re-
gnato a Tebe dall'inizio del 704 al 701,5 a.C., prima come viceré di suo padre Osorthon
IVsud, poi personalmente dal 701,5 al 670,5. L' iscrizione è stata portata per errore da
Gauthier, nel suo Libro dei re d'Egitto, sul conto di Takelot II°, della branca bubasto-
menfita della XXIIª dinastia, mentre essa indica, per il segno del nome di Apollon,
un re della città di Tebe di cui questo geroglifico è la caratteristica, e specificatamente
Takelothis IIIsud , della XXIIIª dinastia, per i segni che entrano nella composizione dei
nomi di Figlio del Sole.
Dopo i titoli del re il seguito del testo (che noi abbiamo analizzato in dettaglio alle pag. 435 e
segg. del tomo 11 del nostro Libro dei Nomi dei Re d'Egitto) si traduce: "Nei dintorni, è soprag-
giunto un prodigio notevole a causa del sole che, già venuto, ha retrogradato, riportan-
do l'oscurità; il cielo, tornato indietro, ha svelato la luna la cui faccia era scomparsa;
le stelle sono comparse nella zona che la circonda; la mattina si è attardata; i nemici
temibili, distrutti in strada, hanno riempito in moltitudine una lunga estensione della
regione inferiore".
bisogni della causa dei falsi dèi, di cui vivevano i sacerdoti, e che porta nella sua inve-
rosimiglianza il marchio della sua falsità, ma descrizione dettagliata di un insieme di fe-
nomeni astronomici e meteorologici che si presentano in concordanza logica e concomi-
tanti al disastro che raggiunse l'armata di Sennacherib, il quale è un fatto storico incon-
testabile anche se rimasto umanamente inspiegabile per la sua subitaneità come pure per
le sue cause. Questa iscrizione rivelatrice, non sospettata fino al presente in tutta la sua
portata dagli egittologi, trova ancora una conferma in un altro monumento che ha attira-
to la loro attenzione, benché abbiano pareri diversi circa il suo tenore. É a Brugsch che
va il merito della sua scoperta; egli l'ha tuttavia attribuito per errore a un Takelothis del-
la XXIIª dinastia; la traduzione da lui data, basata su cattivi princìpi di lettura, è, d'al-
tronde, delle più sommarie; vi ha comunque letto un fenomeno celeste anomalo mal de-
finito.
Brugsch71 ha letto: "L'anno XV, il 24° giorno del mese di Choiak, sotto il regno della
santità di suo padre, è successo in questo paese... una lacuna interrompe il testo. Segue
poi: "Pou Taah Nesen", "il cielo, la luna lottante", si riferisce indubitabilmente a un
fenomeno celeste la cui causa fu la luna. Più importante di questo è la data dell'anno
XV del regno di suo padre. Benché nessuno abbia segnalato questa data, essa mi sem-
bra nondimeno di grande valore, essendo impossibile rapportarla ad uno che non sia il
padre di Takelothis II°. Ma chi è questo padre? Lepsius pensa che è Sesonchis II°.
Quanto a me, io preferirei Osorkon II°... Un po' più oltre l'autore fa allusione a delle
vittorie riportate (da chi?) su dei nemici abitanti il sud e il nord. Seguono poi dei gruppi
che, a causa delle parole "navi" e "mare" ripetute, sembrano rapportarsi alla marina
egiziana".
Di Brugsch anche quest'altra interpretazione72: "Durante l'anno XV°, al 24° giorno del
mese di Mesori, sotto il regno del padre del re Horus il magnifico, il divino dominatore
di Tebe, il cielo non fu riconoscibile, la luna fu vista orribile e questo paese fu nell'an-
goscia".
Wiedemann73 dal canto suo dice: "un testo del 25 Mesori, dell'anno 15 di Takelot II°,
racconta che i figli dei ribelli avevano trasportato degli egiziani del sud e del nord, ma
che, dopo un anno di combattimenti, erano stati vinti ed erano caduti in dissensi interni.
Nel corso di questi testi si trova anche la menzione: "Il 25 Mesori dell'anno 15, il cielo
non era riconoscibile, la luna aveva un aspetto orribile". Brugsch riconosce in queste
parole l'indicazione di un'eclissi di luna."
Anche Goodwin74 si è occupato dell'iscrizione. Secondo lui, quando il testo è messo nel
suo ordine normale, non può trattarsi di un eclissi di luna. Le ultime parole significano
chiaramente: "Una grande calamità arrivò su questo paese", ma non può determinare il
significato di quello che precede. "La parola "Ama", mangiare, divorare, è notevole in
connessione col segno girato contrariamente al normale .... Prendendo le parole
così come sono, noi abbiamo: An Ama Pe T Aah; letteralmente: "Non devorante coelo
lunam". Pur trovando strano che sia detto che "il cielo non ha divorato la luna", egli
riconosce che il fenomeno è in relazione con la luna e che alcune calamità ne furono
presentate come la conseguenza. Tuttavia ci sono dei passaggi che indicherebbero
"oscurità" invece di "calamità", e in questo caso, aggiunge, bisognerebbe comprendere
che, senza che vi sia stata un'eclissi di luna, una grande oscurità cadde sul paese d'E-
gitto. Ma, tutto considerato, egli adotta l'idea di siccità e di calore".
Chabas75, che discute l'esposto di Goodwin, dichiara, con Edwin Smith, che si legge
molto certamente: "Il cielo non assorbì la luna (o: il cielo e la luna non si assorbirono),
una grande calamità ebbe luogo in questo paese". Egli pensa che la traduzione di
Goodwin: "Senza nessuna eclissi di luna, una grande oscurità cadde sulla terra d'Egit-
to", non sia sostenibile; e aggiunge che un avvenimento non poi così raro come un'eclis-
se di luna e la breve durata del fenomeno durante il periodo dell'occultazione completa,
non permettono di far intervenire nella valutazione del nostro monumento le idee di ter-
rore e di angoscia.
Chabas76 ha la sua tesi sulla questione: "Si tratta... di un eclisse che un'iscrizione di
Tiklat II°, della XXIIª dinastia, rapporterebbe al 24 Mesori del 15° anno del padre di
questo faraone. M. dr. Hincks non ha esitato a riconoscervi l'indicazione del giorno di
un'eclisse di luna. Egli afferma, di conseguenza, le due proposizioni seguenti: 1° - Il 24
Mesori dell'anno civile egiziano, che cominciò il 17 aprile 946 a.C., cioè il 4 aprile 945,
la luna fu totalmente eclissata. 2° - L'eclisse menzionata non può essersi prodotta in
nessun altro 24 Mesori che questo. Più tardi, e su una osservazione di S. Bursh, Hincks
riconobbe che doveva trattarsi, non di un'eclissi di luna, ma di sole, e la data del 24
sembra dover essere rimpiazzata da quella del 25 Mesori. Divennero necessari nuovi
calcoli e bisognò riportare il preteso fenomeno al 17 aprile 927; se così non fosse, dice
Hincks, la sola alternativa possibile sarebbe che l'iscrizione avrebbe riportato l'avve-
nimento di un fenomeno che non sarebbe affatto avvenuto.
Un altro erudito, Von Gumpach, ha anche lui speculato su questa eclisse che, secondo
lui, sarebbe arrivata l'11 marzo 841... L' iscrizione è scolpita su uno dei corsi del tem-
pio di Karnak... Si legge a sinistra: "Il primo profeta di Ammon-Ra, re degli dèi, il grande comandante mili-
tare, il capo Osorkon, detto giusto, figlio reale del signore dei due mondi, Amen-meri-si-Isi-Tiklat, viva per sempre. L'ha
partorito la nobile, la molto generosa, la reggente del mezzogiorno (e del nord), la figlia reale Mèri-Maut-
Keromama, detta giusta"; e a destra: "Il primo profeta di Ammon-Ra, re degli dèi, il grande comandante militare,
il capo Osorkon, detto giusto, ecc...". Il re Tiklat non figura in questo bassorilievo, e ci si accor-
ge facilmente che il personaggio importante della stele è il principe Osorkon, che morì
prima di suo padre e che quest'ultimo volle onorare per i suoi servizi meritori... ancora
giovane, egli doveva occupare la più alta funzione, quella di I° profeta di Ammon... [poi
comincia una frase nuova]: "Dopo che l'anno XV di Choiak, giorno 24, sotto il regno di suo padre, egli fu arrivato in
questo paese...", i gruppi che seguono indicano l'avvenimento..., l'espressione "suo padre" si-
gnifica ... il padre di Osorkon. La frase che segue è molto curiosa e significa:
respingere, impedire, far retrogradare.... Vogliamo assimilare gli antichi egiziani a
quelle tribù selvagge che si spaventano per le eclissi? Sarebbe aggiungere a un grosso
errore un errore ancor più grosso".
Per Budge77: "Il 25° giorno del IV° mese della stagione Shemu, il cielo non ha mangiato
la luna; di conseguenza una grande sventura è arrivata in questo paese".
Con Legrain78, è un'altra campana: "Il 25° giorno del quarto mese della IIª stagione,
nell'anno 15° di Takelot II°, "prima che il cielo divorasse la luna", una grande collera
piombò nel paese, e subito, le genti odiose e i ribelli, estesero la guerra al nord e al
sud, non cessando di battersi contro Osorkon e quelli del partito reale. Osorkon, sem-
bra, non desiderava che la pace ed esortava i suoi a non battersi, assicurando che solo
Amon aveva attirato questi disordini, e che bastava placarlo con delle offerte perché la
calma si ristabilisse... Osorkon riunì la sua armata, l'imbarcò sul Nilo, in una flotta ca-
rica di tutti i suoi beni. Egli portò con sé uomini e donne, i cortigiani di suo padre, i
soldati e il loro seguito innumerevole, e una quantità di barche cariche di offerte segui-
vano il convoglio... Tebe riconquistata, Amon saziato, restava da decidere della sorte
dei ribelli... Amon fu clemente e perdonò ai ribelli tebani".
Hilaire de Barenton79 dice semplicemente: "Successe in seguito, l'anno XV°, al IV° mese
dell'estate, il giorno 12-13, sotto la maestà del Padre Hor Sheps, il divino principe di
Tebe, che il cielo mancò di mangiare la luna".
Quanto a Gauthier80, egli cita: "L'anno 15, 25 Mèsorè (?) Annali del gran sacerdote
Osorkon a Karnak... la data è stata letta [anche] 24 Epiphi. É questa frase che è stata
interpretata a torto da Brugsch come facente menzione di un eclissi di luna; io non cre-
do necessario riprodurre qui tutta la letteratura a cui ha dato luogo questa ipotesi e le
sue confutazioni".
Abbiamo voluto, con queste citazioni, dare un saggio del modo in cui gli egittologi han-
no imbrogliato la questione, dell'incertezza delle loro letture, della divergenza delle loro
opinioni, ivi comprese quelle degli scettici (scuola Maspèro) che trovano più semplice
negare tutto senza apportare, peraltro, la minima luce sull'argomento.
nuto conto del fatto che la data era scritta , il che indica un accavallamento su 2
giorni, modo del tutto anormale di datare tra gli antichi egizi, e che non può che rappor-
tarsi a un avvenimento eccezionale.
L'impiego dei segni mostra che si era nella terza stagione, di cui il quarto mese è
quello di Mèsorè, e non Choiak o Epiphi.
Per quanto riguarda l'anno XV, stesso disaccordo. É quello di Sesonkhôsis II°, quello di
Osorthon II°, del padre di Takelot o del padre di Osorthon? Si tratta dell'anno 945, del
927 o dell' 841? Nessuno di questi: il re è un Takelothis tebano, figlio di un Osorthon
tebano e della regina Kyriamaiainis (=Karomama), cioè quello che gli egittologi chiamano
attualmente Takelot III-si-Isit, figlio di Osorkon III-si-Isit, entrambi regnanti nella 23ª
dinastia e non nella 22ª, e per qualche tempo co-reggenti, il che spiega il giro di parole:
"l'anno XV di suo padre", e questo ci riporta molto più bassi nella cronologia (nel 704).
La confusione, scusabile al tempo di Brugsch, lo è meno da parte di egittologi come Le-
grain, che ha fatto lui stesso la distinzione tra un Osorkon II° e un Osorkon che egli
chiama II° bis (Raccolta di lavori XXVIII, p. 153), e di Gauthier, che mette anche lui nella 23ª
dinastia Osorkon III-si-Isit e Takelot III-si-Isit.
La natura del fenomeno non è meno incerta: eclisse di luna, luna orribile, cielo che non
ha divorato la luna, oscurità senza eclisse di luna, aridità, calore, cielo e luna che non
Ecco ciò che ne dice la Volgata (II Re, cap.18-19-20): "L'anno quattordici del re Ezechia, Sennacherib, re
di Assiria, assalì e prese tutte le fortezze di Giuda. Ezechia re di Giuda, mandò a dire al re d'Assiria in Lachis: "ho peccato,
allontanati da me e io sopporterò quanto mi imporrai". Il re di Assiria impose a Ezechia, re di Giuda, trecento talenti d'ar-
gento e trenta talenti d'oro. In quel tempo Ezechia staccò dalle porte del Tempio del Signore e dagli stipiti l'oro, di cui egli
stesso, re di Giuda, li aveva rivestiti, e lo diede al re d'Assiria... Il re d'Assiria mandò Tartan, Rabsaris e Rabsacès da Lachis a
Gerusalemme verso il re Ezechia, con un grande esercito. Costoro salirono e giunsero a Gerusalemme; si fermarono al canale
della piscina superiore, sulla strada del campo del lavandaio.... E Rabsacès... disse: "riferite a Ezechia: "Dice il gran re, il re
d'Assiria: Che fiducia è quella su cui ti appoggi? Pensi forse che la semplice parola possa sostituire il consiglio e la forza nella
guerra? Ora, in chi confidi ribellandoti a me? Ecco, tu confidi su questo sostegno di canna rotta che è l'Egitto? che penetra
nella mano, forandola, a chi vi si appoggia. Se mi dite: "Noi confidiamo nel Signore nostro Dio", non è forse quello stesso del
quale Ezechia distrusse le alture e gli altari, ordinando alla gente di Giuda e Gerusalemme: Vi prostrerete soltanto davanti a
questo altare in Gerusalemme?.... Rabsacès allora si alzò e gridò ad alta voce in ebraico: "Udite la parola del gran re, il re
d'Assiria: Dice il re: Non vi inganni Ezechia, poiché non potrà liberarvi dalla mia mano, Ezechia non vi induca a confidare
nel Signore, dicendo: Certo, il Signore ci libererà, questa città non sarà messa nelle mani del re d'Assiria.... Quali mai, fra
tutti gli dèi di quelle nazioni, hanno liberato il loro paese dalla mia mano? Potrà forse il Signore liberare Gerusalemme dalla
mia mano?.... Quando udì, il re Ezechia, si lacerò le vesti, si coprì di sacco e andò nel tempio. Quindi mandò Eliakìm il mag-
giordomo, Sebna lo scriba, e gli anziani dei sacerdoti, coperti di sacco, dal profeta Isaia, figlio di Amoz.... Disse loro Isaia:
"riferite al vostro padrone: Dice il Signore: Non temere le cose che hai udite e con le quali i servitori del re di Assiria mi han-
no ingiuriato. Ecco, io manderò in lui uno spirito tale che egli, appena avrà udito una notizia, ritornerà nel suo paese e nel
suo paese io lo farò morire di spada". Rabsacès ritornò e trovò il re d'Assiria che assaliva Lebna, poiché aveva saputo che si
era allontanato da Lachis. Appena Sennacherib seppe che Taraca, re di Etiopia, era uscito per muovergli guerra, inviò di
nuovo messaggeri a Ezechia per dirgli: Direte a Ezechia re di Giuda: Non ti inganni il Dio in cui confidi, dicendoti: Gerusa-
lemme non sarà consegnata nelle mani del re d'Assiria. Ecco, tu sai ciò che hanno fatto i re d'Assiria in tutti i paesi che vota-
rono allo sterminio. Soltanto tu ti salveresti?.... Ezechia prese la lettera dalle mani dei messaggeri e la lesse, poi salì al tem-
pio e, svolgendo lo scritto davanti al Signore, pregò: "Signore, Dio di Israele, che siedi sui Cherubini, tu solo sei Dio per tutti
i regni della terra; tu hai fatto il cielo e la terra. Porgi Signore l'orecchio e ascolta.... tutte le parole che Sennacherib ha fatto
dire per insultare il Dio Vivente. É vero, o Signore che i re d'Assiria hanno devastato tutte le nazioni e i loro territori; hanno
gettato i loro dèi nel fuoco; quelli però, non erano dèi, ma solo opera delle mani dell'uomo, legno e pietra; perciò li hanno
distrutti. Ora, Signore nostro Dio, liberaci dalla sua mano, perché sappiano tutti i re della terra che tu sei il Signore, il solo
Dio".
Allora Isaia, figlio di Amoz, mandò a dire a Ezechia: "Dice il Signore, Dio di Israele: Ho udito quanto hai chiesto nella tua
preghiera riguardo a Sennacherib, re di Assiria. Questa è la parola che il Signore ha pronunciato contro di lui: Ti disprezza,
ti deride la vergine figlia di Sion, dietro a te scuote il capo la figlia di Gerusalemme. Chi hai insultato e schernito? Contro chi
hai alzato la voce e hai elevato, superbo, i tuoi occhi? Contro il Santo di Israele! .... Ti sieda, esca o rientri, io ti conosco. Sic-
come infuri contro di me e la tua arroganza è salita ai miei orecchi, ti porrò il mio anello alle narici, e il mio morso alle lab-
bra; ti farò tornare per la strada per la quale sei venuto.... Proteggerò questa città per salvarla per amore di me e di Davide
mio servo". Ora in quella notte l'angelo del Signore scese e percosse nell'accampamento degli assiri 185.000 uomini. Quando
Sennacherib si alzò al mattino vide tutti quei corpi morti. Allora levò le tende e fece subito ritorno e rimase a Ninive. Mentre
pregava nel tempio di Nisroch suo dio, Adram Mèlech e Sarèzer suoi figli, l'uccisero di spada, mettendosi quindi al sicuro nel
paese di Ararat. Al suo posto divenne re suo figlio Assarhàddon".
Nondimeno, già ammalato senza dubbio di un'ulcera e molto provato per le emozioni
troppo forti che gli avevano causato le minacce degli Assiri, "In quei giorni Ezechia si ammalò
mortalmente. Il profeta Isaia, figlio di Amoz, si recò da lui e gli parlò: "Dice il Signore: Dà disposizione per la tua casa, per-
ché morirai e non guarirai". Ezechia allora voltò la faccia verso la parete e pregò il Signore: "Su Signore, ricordati che ho
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camminato davanti a Te con fedeltà e con cuore integro e ho compiuto ciò che a te sembra bene". Ed Ezechia fece un gran
pianto. Prima che Isaia uscisse dal cortile centrale il Signore gli disse: "Torna indietro e riferisci a Ezechia, principe del mio
popolo: Dice il Signore, Dio di Davide tuo padre: ho udito la tua preghiera e visto le tue lacrime; ecco io ti guarirò; il terzo
giorno salirai al tempio. Aggiungerò 15 anni alla durata della tua vita. Libererò te e questa città dalla mano del re d'Assiria;
proteggerò questa città per amore di me e di Davide mio servo. Allora Isaia disse: "prendete un impasto di fichi". Lo presero
e lo posero sull'ulcera e il re guarì. Ma Ezechia disse a Isaia: "Qual è il segno che Dio mi guarirà e che al terzo giorno salirò
al tempio? Isaia rispose: "Da parte del Signore questo ti sia come segno che il Signore manterrà la promessa fatta a te: Vuoi
che l'ombra avanzi di 10 linee oppure che retroceda di 10 gradi? Ezechia disse: "É facile che l'ombra si allunghi di 10 linee,
non però che torni indietro di 10 gradi". Il profeta Isaia invocò il Signore e l'ombra tornò indietro per i 10 gradi che aveva
già sceso sulla meridiana di Acaz. In quel tempo Merodak-Baladan, figlio di Baladan, re di Babilonia, mandò lettere e doni a
Ezechia, perché aveva saputo che era stato malato. Ezechia gioì al loro arrivo.... e mostrò loro tutti i suoi tesori.... Allora
Isaia disse a Ezechia: "Ascolta la parola del Signore! Ecco giorni verranno in cui quanto si trova nella tua reggia e quanto
hanno accumulato i tuoi antenati fino ad oggi, verrà portato in Babilonia; non vi resterà nulla, dice il Signore".
Il libro di Isaia (cap. 36-37-38-39) dice quasi testualmente la stessa cosa del Libro dei Re.
Notiamo tuttavia qualche sfumatura che può essere interessante: "Ecco io manderò in lui uno spi-
rito tale che egli (Sennacherib), appena udrà una notizia, ritornerà nel suo paese e nel suo paese morirà di spada". Più
oltre, il traduttore ha più esattamente scritto: "Ti ha disprezzata, ti ha insultata, o vergine figlia di Sion. Si
è deriso di te scuotendo la testa, o figlia di Gerusalemme". La morte degli Assiri è così descritta: Ora, l'ange-
lo del Signore, scese e percosse 185.000 uomini nel campo degli assiri e, al mattino, ecco, erano tutti cadaveri".
Secondo l'Ecclesiastico (Siracide) (XLVIII, 24): "Egli colpì l'accampamento degli Assiri, e il suo angelo li
sterminò". Avremo l'occasione di ritornare su queste traduzioni.
lo giorno di cammino, l'armata assira doveva aver camminato 5 o 6 giorni ed essere ar-
rivata sulla lingua di terra che separa il lago Sirbon dal Mediterraneo, ossia un po' più in
là del monte Casius. L'armata di Sennacherib fu dunque annientata 4 o 5 giorni dopo
che Ezechia ebbe deposto la sua lettera davanti al Signore. É in questo intervallo che
Ezechia cadde malato; è alla fine di questo tempo che Isaia fece il suo miracolo che eb-
be per conseguenza l'inghiottimento degli assiri; e se Ezechia poté, tre giorni più tardi,
andare a ringraziare Dio al tempio, è senza dubbio perché un corriere, bruciando le tap-
pe, era riuscito ad arrivare a Gerusalemme ad annunciargli l'annientamento miracoloso
dei nemici.
Facciamo notare che lo scrivano sacro non sempre rispetta l'ordine dei fatti, ma che svi-
luppa talvolta incidentalmente un'idea, salvo riprendere in seguito il racconto dal punto
in cui l'aveva lasciato. É così che, nel passaggio del libro dei Re che ci occupa, il segui-
to logico richiederebbe che dopo il v. 33 del cap. 19 (annuncio della rovina degli Assiri a segui-
to della loro bestemmia), si passasse ai 6 primi vv. del cap. 20 fino alla parola "Assiri" (espo-
sizione della malattia di Ezechia); poi che si fondesse il v. 34 del cap.19 con la fine del v.6
del cap.20, nettamente identici, in cui Dio dichiara che è per Se stesso che farà il mira-
colo, quindi proseguire con i versetti da 7 a 11 del capitolo 20 che racconta il miracolo;
che si tornasse in seguito ai 3 ultimi versetti del capitolo 19, che riporta la ritirata e la
morte di Sennacherib, per terminare con i versetti 12 e seguenti del capitolo 20 relativi
all'ambasciata di Merodac-Baladan. Ciò che lo mostra, non è solo la pratica dell'ebraico
e il buon senso, ma anche il fatto che il testo egiziano che noi abbiamo tradotto sopra
presenta l'arretramento del sole e l'annientamento dell'armata assira come correlativi e
simultanei. La malattia di Ezechia e la disfatta di Sennacherib sono dunque state con-
comitanti.
Noi non mettiamo in discussione la possibilità per il Creatore di cambiare la marcia del-
la terra; sappiamo dal miracolo di Giosuè, dal passaggio del mar Rosso, dal Diluvio
universale, dalla formazione dei pianeti e dei loro satelliti, che Dio, quando ha voluto,
ha modificato la velocità degli astri, e possiamo anche affermare che, se non l'avesse
fatto, la terra non esisterebbe poiché essa è uscita dal sole grazie a un cambiamento di
velocità e ad uno spostamento assiale dell'astro centrale.
Ci occuperemo perciò dello studio della particolarità del fenomeno. In effetti, se già al
miracolo di Giosuè, per un semplice arresto della rotazione della terra, vi fu un formi-
dabile maremoto, a maggior ragione dovette essere lo stesso quando il nostro pianeta
non solo si arrestò, ma retrogradò. A quale velocità si fece il movimento inverso la Bib-
bia non lo dice direttamente, ma, dal fatto che l'ombra indietreggiò di "gradi" e che il
fenomeno si produsse sotto gli occhi stessi di Ezechia, si può dedurre che esso non do-
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vette prendere più tempo di quanto ne aveva preso la marcia in avanti dell'ombra. Giac-
ché, se l'arretramento fosse stato istantaneo, la velocità di rotazione della terra avrebbe
superato di botto la velocità critica oltre la quale gli oggetti che sono sulla sua superficie
perdono di peso e sono quindi lanciati nello spazio, il che non è avvenuto. Ma, anche
limitata alla velocità di rotazione diretta, la marcia retrograda del globo, aggiungendosi
alla forza d'inerzia sviluppata dal suo arresto, dovette dare alle onde del mare invadenti
le terre una potenza del tutto inusuale.
Isaia aveva d'altronde offerto a Ezechia la scelta tra due miracoli: "Vuoi che l'ombra avanzi di 10
linee o che torni indietro di 10° ?" Per ben comprendere la portata di questa alternativa è necessa-
rio rappresentarsi l'orologio di Acaz sul quale l'ombra retrocesse. Sono stati trovati, ap-
punto in Palestina, degli antichi gnomoni, del tipo detto Scapha, formati da una grossa
pietra scavata sfericamente, marcata da divisioni fusiformi e portante al suo centro un
ago verticale generalmente terminato da un piccolo sole d'oro per rendere più visibile
sul quadrante l'estremità dell'ombra dell'ago.
Poiché l'ombra del sole fa il giro della scapha in un giorno, i raggi marcano la divisione
del giorno in ore o frazioni di ora; quest'ombra è più o meno inclinata secondo la sta-
gione; le circonferenze sono dunque suscettibili di marcare i giorni; noi ne abbiamo fi-
gurato solo una parte per non ingombrare il disegno.
I traduttori della Bibbia hanno designato i raggi con la parola "gradi" e le circonferenze
con la parola "linee" benché in ebraico i "gradi" e le "linee" siano designati dalla stessa
parola Mâehaloouth . Noi scorgiamo piuttosto la differenza nelle parole
Hèhasèr e Hèser che sono state tradotte uniformemente "dieci", ma che col copto
si traducono:
h/ ha cer h/ cer
Hê Ha Se Hê Ser
Initium Caput Dividere Initium Dividere
Inizio Principale Dividere Inizio Dividere
"Inizio delle divisioni principali e Inizio delle divisioni; senza pregiudizio del senso di
dieci. Dieci si comprende dunque l'inizio delle divisioni, ma nel primo caso è precisato
che si tratta delle divisioni principali: dunque i giorni. La parola gradi rende molto bene
la definizione delle divisioni del giorno, giacché esse dividono le circonferenze come lo
fanno i gradi.
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Sembra che, secondo l'uso osservato a Babilonia81, il giorno intero sia stato diviso, sul
quadrante solare di Acaz, in 60 parti, di cui 30 di luce e 30 di oscurità. Siccome la dura-
ta della luce diurna varia con le stagioni, e va da circa 8 ore al solstizio d'inverno, a cir-
ca 16,30 al solstizio d'estate, restando la divisione dello gnomone invariata, le ore che
esso indicava secondo la luce del giorno erano necessariamente di durate diverse da un
giorno all'altro, andando da 16' per grado al minimum, a 33' per grado al massimum. Le
Bon82 dice che, secondo Erodoto (V° sec. a.C.), la divisione del giorno in 12 parti fu presa
dai Greci ai Caldei, ma questo può tutt'al più provare che il modo di computazione di
questi ha variato. Allorché Epimènide I°, re di Creta, inventò la scapha, la divise ini-
zialmente in 6 ore di luce. É possibile, in effetti, passare da 6 a 30 dividendo ciascuna
ora in 5 parti uguali; poi arrivare a 24 ore di giorno completo dividendo solamente in
due parti le 6 ore iniziali di luce. Tra l'epoca di Acaz (734-718 a.C.) e quella di Erodoto, vi
era spazio per una riforma oraria.
Comunque sia, c'è un elemento che tende a provare che il quadrante solare di Acaz era
diviso in 30 parti ed è il seguente: abbiamo visto che la data reale dell'iscrizione gerogli-
fica detta "dell'eclisse" era il 12-13 Mêsorê 704. Questa doppia data coincideva nel
1698, anno della riforma calendarica, con il 28-29 settembre giuliano; 994 anni più tar-
di, essa arrivava nell'anno giuliano 248 giorni e mezzo prima, ossia il 23 gennaio, corri-
spondente al 16 gennaio gregoriano. A quest'epoca dell'anno il sole si alza verso le 7,38;
a mezzogiorno, esso è dunque rimasto 262' sopra l'orizzonte, il che rappresentava 15 di-
visioni sul quadrante solare di Acaz; il valore di un grado era dunque allora di
(262'/15)=17'5 circa. Pertanto, 10° rappresentavano 175', ossia circa 3 ore; erano quindi
le 7h38 + 2h55 = 10h33 quando Isaia cominciò a far retrocedere l'ombra. All'andatura
abituale della rotazione terrestre, ci vollero, pertanto, circa 6 ore perché il sole sparisse e
ritornasse poi al posto dal quale era stato retrocesso.
Ma se le divisioni della mattinata fossero state, non diciamo dei sesti, ma anche dei do-
dicesimi invece di essere dei quindicesimi, il valore di una divisione sarebbe stato di
(262'/12)=23'5 per eccesso, e 10° sarebbero valsi 3h55. Il giorno, di conseguenza, sareb-
be stato allungato di circa 8 ore. Noi sappiamo, d'altra parte, che al miracolo di Giosuè il
giorno fu allungato di circa 7 ore, e la Bibbia ci dice che mai giorno, nè prima nè poi, fu
lungo quanto quello. La divisione dello gnomone in dodicesimi, che contraddirebbe
questo dato, è dunque da scartare. Si rimarcherà che, più l'ora è avanzata verso mezzo-
giorno, più l'ombra del piccolo sole discende verso il fondo della sfera cava; nel pome-
riggio, al contrario, essa risale. Di conseguenza, quando la Bibbia ci dice che Isaia fece
sì che l'ombra sull'orologio di Acaz tornasse indietro dei 10° che aveva già disceso, essa
ci indica che il miracolo avvenne di mattina e non di pomeriggio.
In rapporto a noi, il sole non si sposta solamente, nel corso del suo movimento diurno
apparente, in un piano orizzontale da est a ovest, ma sale altresì verso lo Zenit di una
quantità più o meno grande, secondo l'epoca dell'anno. Pertanto, l'ombra del sole su uno
stesso grado dello gnomone si proietta più o meno alta secondo la stagione. In condizio-
ni favorevoli, a mezzogiorno, al solstizio d'estate, essa potrebbe trovarsi esattamente al
fondo dello gnomone; al solstizio d'inverno, essa sarebbe al punto più alto dell'anno. Se
l'intervallo tra queste posizioni estreme è diviso da delle linee concentriche, si potrà, se-
condo la posizione che occupa su queste linee l'ombra del piccolo sole, determinare non
solo l'ora, ma anche il giorno in cui si è. L'ombra avanza verso il fondo della scapha da
dicembre a giugno, quindi retrocede fino al solstizio dell'inverno seguente. Quando
dunque Isaia dice a Ezechia: "Vuoi che l'ombra avanzi di 10 linee?" è come se gli dices-
81 - Couderc, Les étapes de l'astronomie, p. 35, Stamp. Univers. di Francia, Parigi, 1945.
82 - Les premières civilisations, p. 516.
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se: "Siamo attualmente tra il solstizio d'inverno e il solstizio d'estate: vuoi tu invecchia-
re di colpo di 10 giorni?" (supponendo che ciascuna linea rappresenti un giorno). Ezechia gli ri-
spose: "É facile per l'ombra avanzare di 10 linee; ciò che desidero, è che torni indietro di 10 gradi". In effetti, sem-
brava apparentemente più facile percorrere nel senso normale 10 linee molto vicine
piuttosto che 10° più spaziati in senso retrogrado.
Ma, a ben pensarci, una cosa non era più facile dell'altra e richiedeva un intervento divi-
no dello stesso ordine di grandezza. Nel caso dei gradi, la terra doveva girare su se stes-
sa di un certo angolo (circa 45°) nel senso inverso. In quello delle linee, ci voleva un mo-
vimento di rotazione che portasse Gerusalemme più vicina all'equatore.
Isaia riportò dunque l'ombra, "per le linee", dice lui, al punto in cui essa era al momento
del levar del giorno alla longitudine di Gerusalemme. Ma, per quanto riguarda l'Egitto,
situato in media a 400km a ovest di Gerusalemme e, di conseguenza, in ritardo di circa
1/4 d'ora sulla capitale giudea, il sole dovette francamente ricoricarsi, come dice il testo
che abbiamo studiato, e riportare la notte. Parimenti, se la luna era, all'epoca, normal-
mente sopra l'orizzonte durante il miracolo, dovette tornare visibile in seguito al ritorno
dell'oscurità, e "le stelle della zona", cioè gli astri dello Zodiaco o della Via Lattea, ri-
presero anch'essi la loro luce. É ciò che vide il re Takelothis III° sud e che appunto testi-
monia.
Ora, al tempo del miracolo (22-23 gennaio giuliano 704 a.C.) la luna si coricava, a Gerusa-
lemme, verso le 13,46 e, sull'Egitto, verso le 14. Così essa tramontava circa 6 ore dopo
il levar del sole in quel momento. Poiché il miracolo ebbe luogo circa 3 ore dopo il sor-
gere del sole, alla luna restavano circa 3 ore prima di coricarsi. D'altra parte, la luna era
nel suo ultimo quarto dal 19 gennaio giuliano, era dunque ancora visibile sotto forma di
"cornetto", ed è forse questo ciò che ha voluto marcare simbolicamente lo scriba con
l'impiego del segno . Il cielo, quando era divenuto luminoso, sembrava aver assorbito
l'astro della notte; ridiventando scuro, sembrò restituirlo. Ma lo restituì "a ritroso", giac-
ché anche la luna sembrò retrogradare.
Gli egiziani rimarcarono anche che la mattina si "attardò"; cioè che la prima parte del
giorno fu più lunga del solito.
Infine, essi notarono che gli Assiri furono distrutti mentre erano in marcia, e che i loro
cadaveri cosparsero in moltitudine una lunga estensione della regione inferiore, altri-
menti detta Basso Egitto. In effetti, gli Assiri avevano dovuto imboccare la via in cui si
trova il monte Casius. Hanotaux83 afferma che questa era la strada ordinaria e ricorda
che è da lì che, nel 217 a.C, transitò l'armata tolemaica forte di 80.000 uomini, con ca-
valleria ed elefanti. L'armata di Sennacherib, impegnata nel corso della mattinata in quel
lungo corridoio bordato d'acqua a nord e a sud, era particolarmente esposta al terribile
maremoto prodotto dal rovesciamento della rotazione terrestre; essa dovette essere inte-
ramente sommersa, e il mare restituì in seguito sulla costa i cadaveri dei suoi soldati. Se
Sennacherib non vi trovò egli stesso la morte, è perché seguiva l'armata a una certa di-
stanza, o perché si trovava sul monte Casius per veder sfilare le sue truppe.
Daressy84 menziona dei fatti analoghi avvenuti nella stessa regione: "Un sisma... si pro-
dusse mentre Strabone era ad Alessandria (nell'anno 24)... che egli ha descritto così: "Il
mare, vicino a Peluse e al monte Casius, si alzò così tanto da inondare i terreni attorno
alla montagna, che divenne un'isola"... Un fenomeno analogo (un terremoto) ebbe luogo
verso il Casius, vicino all'Egitto; in una scossa improvvisa e non ripetuta, che il suolo
risentì, le parti basse si sollevarono e le parti alte si abbassarono d'un tratto. Le prime,
alzandosi, respinsero le acque del mare, e le parti abbassate le ricevettero. Una nuova
scossa, tutta contraria, rese il suolo al suo primo stato, salvo qualche cambiamento po-
co considerevole". Sozomène riporta che "il 21 luglio 365, il mare abbandonò le sue ri-
ve, si ritrasse su se stesso, per ritornare poi con furia a inondare a lungo la terraferma,
tanto che, quando le acque si ritirarono, sulla collina di Tessons, si trovarono delle
barche che vi erano state trasportate dal mare".
Tutti questi racconti di fatti storici mostrano che i dintorni del monte Casius erano parti-
colarmente esposti all'invasione delle acque marine quando si produceva un fenomeno
sismico o analogo, e fanno comprendere che si siano trovati i corpi degli assiri come pu-
re delle barche sulle colline di Tessons.
Forse ci si obbietterà che la Bibbia non sembra prestarsi a una tale spiegazione, che essa
vede un flagello sopravvenuto durante la notte per l'intervento di un angelo, e che è
all'inizio del giorno che Sennacherib vide i corpi dei suoi soldati morti. Ora, il miracolo
sarebbe avvenuto nel corso della mattinata, quando il sole era già alzato.
Tuttavia Hanotaux dice giustamente che fu una grande tempesta a provocare la ritirata
nemica. Questa tempesta trova la sua conferma nella Volgata stessa poiché, a un certo
punto, essa fa dire al Signore, per bocca del suo profeta: "Io invierò un soffio", cioè un
vento, una tempesta (traduzione d'Allioli), dell'ebraico Rouach, Spiritus, Ventus, Pro-
cella = spirito, vento, tempesta. Quelli che hanno tradotto "spirito", hanno fatto un con-
trosenso, giacché nulla nel seguito del testo indica che Sennacherib sia stato preso da
vertigine. Le parole "L'angelo del Signore", devono ugualmente essere il risultato di una
confusione. Quanto alla frase: "Et surrexerunt mane et ecce omnes cadaver mortuorum"
= "E quando essi si levarono al mattino, ecco erano tutti dei cadaveri di morti", è evi-
dentemente inaccettabile: dei cadaveri infatti non si alzano, soprattutto quando sono ca-
daveri di morti per ridondanza. Rivediamo dunque il testo ebraico, di traduzione appa-
rentemente difficile (Is. XXXVII, 36)::
100 80 5 1.000
97
Ouadjiaschekihadjmou Baboqèr
Oua Dji A Scheki Hadj Mou Ba Boq Er
auw je a ,aki as mou pa bwk eierh
Auô Dje A Chaki Asch Mou Pa Bôk Eierh
Et Ultra Facere Tenebrae Quantus Aqua De Ire Vidére
E Dopo Fare Tenebre Molto grande Acqua Nel momento Tornare Vedere
Méthîdjm
Mé Thî Djm
b/ Ti [n
Bê Ti Çn
Monumentum Tradere Habére
Monumento funebre Abbandonare Avere
Ossia in chiaro: "E spandendo la sua grande potenza, Iehovah inviò prontamente una
grande liberazione verso quelli che, zelanti per Lui, avevano proferito una parola; le
acque, fortemente gonfiate, si scagliarono sui 185.000 assiri, ed in seguito si fecero del-
le tenebre e delle molto grandi acque; nel momento in cui tornò la visibilità, si videro i
loro corpi rigettati; trascinati dalle onde, essi putrescirono sulla sabbia, essendo ab-
bandonati senza avere monumenti funebri".
Il senso è adesso tutt'altro; si accorda con l'egiziano, il greco, l'ebraico... e la logica. Non
è un angelo durante la notte che ha uccisi gli Assiri, ma un maremoto durante il giorno;
si fece quindi la breve notte provocata dal miracolo di Isaia, che causò anche il maremo-
to, poi, al ritorno del chiaro, furono visti i cadaveri dei nemici. Giacché è nell'apparizio-
ne, la sparizione anormale e il ritorno della luce, che si trova la spiegazione della doppia
data del testo geroglifico, poiché, per gli egiziani, la notte marcava l'inizio di una gior-
nata. Parimenti, è nel miracolo di Isaia che si trova la spiegazione del maremoto provo-
cato dalla rotazione retrograda della terra. Tutti questi fatti si reggono e formano un tut-
to indivisibile. E l'errore degli antichi esegeti è stato quello di non vedere il loro legame.
85 - La Sainte Bible polyglotte, vol. II°, p. 869 rinvio c., Roger e Chernoviz, pag. 1901.
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nando sul posto i bagagli che ne avrebbero fatalmente attirato l'attenzione. Ecco perché
la Bibbia dice che egli rientrò a Ninive con ignominia. Ed è ciò che fa comprendere per-
ché Ezechia poteva essere più ricco dopo la disfatta degli Assiri di quanto non lo fosse
prima.
Il secondo argomento non ha più valore del primo: esso è basato su una falsa concezio-
ne della cronologia. Da questo punto di vista, ci si chiederà fors'anche se la Bibbia ha
rispettato l'ordine dei fatti. Ci è detto che Merodac-Baladan inviò un'ambasciata a Eze-
chia a causa della malattia da cui era guarito (Is. XXXIX, v.1) ed anche per informarsi sul
prodigio che si era verificato sulla terra (II Cron. v.31). Ora, alcuni attribuiscono a Mero-
dac-Baladan 12 anni di regno, dal 722 al 710 a.C. Essendo la spedizione di Sennacherib
in Giudea avvenuta in seguito, degli esegeti ne hanno concluso che il Libro dei Re ave-
va invertito l'ordine dei fatti. Questi autori non hanno però visto che, in questo caso,
l'ambasciata di Merodac-Baladan perdeva la sua ragion d'essere. In realtà, Merodac-
Baladan, re di Babilonia, fu a lungo in lotta contro l'Assiria e, dopo esser stato vinto e
detronizzato, riuscì a tratti a riprendere la sua corona; fu appunto il caso dopo lo scacco
di Sennacherib in Giudea. Questo spiega perché la dinastia di Babilonia presenta un
bizzarro miscuglio di re babilonesi e assiri, che si sono succeduti (secondo Maspero)
così86:
I fatti furono i seguenti: Merodac-Baladan era re di Babilonia quando Sargon II°, di As-
sur, lo vinse. "Di tutti i sovrani asiatici, dice De Morgan87, Sargon è forse il primo che
comprese il pericolo di stabilire un impero feudale unicamente basato sull'antica ari-
stocrazia sottomessa. Ovunque gli fu possibile, rimpiazzò le dinastie indigene con dei
governatori assiri, cercando di trasformare in provincie quelle che prima di lui non
erano che principati tributari". Sargon detronizzò dunque Merodac-Baladan. "Verso la
fine del suo regno, Sargon aveva affidato a Sennacherib (sic) il compito di reprimere le
rivolte, essendosi egli ritirato a Dour-Charroukin, quando morì assassinato (705) [in
verità all'inizio del 704] da un soldato di origine straniera". É in virtù di questa dispo-
sizione presa da Sargon che Sennacherib era venuto a far campagna in Giudea; fu però
vinto dalla tempesta, come aveva predetto Isaia. Dopo aver detto che Dio avrebbe invia-
to contro di lui "un soffio", il profeta aveva aggiunto: "e apprenderà una certa notizia e ritornerà nella
sua terra". Questa notizia, De Morgan ce la indica: è l'assassinio di suo padre, di cui cono-
sciamo quindi esattamente l'epoca, d'accordo con l'indicazione di Maspero. Questo av-
venimento lo faceva re di pieno esercizio, e doveva rientrare a Ninive; ma vi rientrò
senza la sua armata, e non poté impedire a Merodac-Baladan di ritornare a Babilonia.
Questi, avendo come tutto il mondo costatato il miracolo della retrocessione del sole e
appreso che era stato prodotto da un profeta giudeo che aveva al contempo guarito Eze-
chia e annegato gli Assiri, inviò un'ambasciata per assicurarsi di questi fatti meraviglio-
si. L'esistenza di questa ambasciata conferma dunque la realtà del miracolo, ma abbia-
mo ora una testimonianza ancor più probante sui monumenti egiziani che non si può so-
spettare di essere stata scritta dagli Ebrei.
Si noti che Isaia non dice a Ezechia: "Vuoi che il sole retroceda?", ma: "Vuoi che l'ombra torni
indietro?". Come aveva fatto Giosuè, egli non indica la causa e il mezzo, ma l'effetto. E al-
trove (Isaia XXXVIII v. 8) è scritto: "Ecco che io faccio tornare indietro l'ombra dell'ago di 10 linee per le quali
essa è discesa sotto il sole nell'orologio di Acaz, e il sole risalirà per gradi le 10 linee che ha già disceso". L'idea è la
stessa, "Il sole risalirà", significa chiaramente, dal contesto, l'ombra proiettata dal sole.
Del resto, c'era veramente un'immagine del sole che saliva o scendeva, era l'immagine
del piccolo sole d'oro posto alla sommità dell'ago.
Va bene, diranno gli scettici; ma che bisogno aveva Dio di fare un tale miracolo, scon-
volgendo le leggi della natura in modo assolutamente sproporzionato al doppio risultato
da ottenere: la guarigione di Ezechia e la disfatta di Sennacherib? Lasciamo parlare
Plaisant88 illuminato in merito dalla sua fede profonda: "In opposizione al lato umano di
questo avvenimento, io vorrei, dal punto di vista teologico, richiamare solamente l'at-
tenzione sull'importanza eccezionale di questo miracolo di Isaia per tutta l'umanità, e,
in particolare, per noi cattolici che lo conosciamo così poco. Rileggete più sopra il v.6
del Libro dei Re (2 Re XX, 6); ecco Dio che dichiara: "Io farò questo miracolo per me e per il mio ser-
vitore Davide: Propter me et propter David servum meum". Dio che fa un miracolo per sè, quale miste-
ro! E tuttavia la soluzione è semplice. Il re Ezechia è un antenato di Gesù Cristo: "Acaz
autem genuit Ezechiam. Ezechias autem genuit Manassen" (Matt.I, 9/10). Suo figlio Manasse aveva 12 an-
ni quando cominciò a regnare (IV Re. XXI, 1) alla morte del padre, sopravvenuta 15 anni
dopo la guarigione miracolosa. Dunque Manasse nacque 2 o 3 anni dopo il miracolo.
Ciò spiega perché il miracolo è fatto per Davide, cioè per mantenere la promessa che il
Salvatore sarebbe nato dalla razza di Davide, ma spiega anche perché Dio parla così
nel v. 6. É la seconda Persona della SS. Trinità che fa questo miracolo per se stessa,
giacché è essa stessa che sarà fatta uomo in Gesù Cristo. E noi sappiamo che è per
amore di tutti gli uomini, e per noi, cattolici, in particolare, che Dio si è incarnato nel
seno della Vergine Maria. Rallegriamoci dunque: è per noi e per la nostra salvezza che
il sole ha retrocesso nel miracolo di Isaia; per noi, che speriamo di poter condividere la
divinità di Nostro Signore Gesù Cristo, in Lui, con Lui, per Lui, nella gloria eterna.
O Parola della seconda Persona Divina, propter me, Parola divenuta Parola umana,
propter nos et propter nostram salutem, parola umana della Chiesa divina quando la
Persona divina fatta Uomo fu morta sulla Croce, e voi tutte, frasi, parole e sillabe della
Bibbia, parole o pezzetti di parole dello Spirito Santo, qui locutus est per prophetas, di-
ventate e rimanete tutte e sempre per me, come lo siete state per il mio grande patrono
S. Agostino, così preziose e così venerate "come le particole della SS. Eucarestia, poi-
ché voi siete come degli involucri, delle scorze e dei sacramenti che contengono lo Spi-
rito Santo, che racchiudono un abisso inconcepibile di misteri, che portano un fondo
intangibile di grazie e di luci, e che sono uno strumento ordinario, ma tutto divino, sotto
Aggiungiamo che gli sconvolgimenti cosmici che hanno marcato la prima Pasqua, pre-
figurazione dell'Eucarestia, le vittorie e i prodigi di Giosuè, figura di Gesù, il Salvatore,
infine il miracolo che ha prolungato la vita di Ezechia per farne l'antenato di Cristo, so-
no testimonianze dell'onnipotenza accordata al figlio di Dio fatto Uomo, l'ìndice della
riforma morale che Egli apporterà all'umanità decaduta, la prova del ristabilimento futu-
ro di tutte le cose nella natura stessa che saranno realizzate alla fine dei tempi. Giacché,
se la guarigione di Ezechia era poca cosa rispetto alla retrogradazione della terra, questa
stessa retrogradazione non è che una ben debole immagine di ciò che avverrà alla fine
dei tempi quando Dio pronuncerà le Parole: "Ecco, Io faccio nuove tutte le cose", e si vedrà "un cielo
nuovo e una terra nuova, poiché il primo cielo e la prima terra sono scomparsi e il mare non sarà più" (Ap. XXI, 1 e 5).
Ci si potrà obiettare ancora: "Voi vedete le cose in grande. Ma perché Isaia ha usato
questo mezzo piuttosto volgare di applicare un impasto di fichi sul male di Ezechia per
guarirlo?" Si è detto: "per modestia", o "perché dei mezzi naturali erano necessari".
MODESTIA, quando la terra intera era messa in movimento? MEZZI NATURALI
NECESSARI, quando la sola parola di Isaia, la sola indicazione del suo dito, sconvol-
geva il Globo? Non lo sappiamo, ma rimarchiamo che in egiziano "massa di fichi",
"massa ficuum aridarum compressa", si dice Kanouôm = kanouwm, e che questo si
può trascrivere:
La prima di queste parole significa, esattamente come il copto Kanouôm, massa ficuum
aridarum compressa; ma il suo senso ovvio sembra essere dato dal copto: ] bees
hal/t = Ti-Beesch-Halêt = Dare-Ficus immatura-Gallina = i fichi immaturi che si
danno ai polli. La parola Thehènidjm, che non è evidentemente che una trascrizione di
Kauouôm, ha naturalmente lo stesso senso. Questa ridondanza è voluta, tutte le sue sil-
labe lo provano, come dimostreremo con una traduzione dal copto:
Ossia, in testo coordinato: Dare (il potere) di generare a un capo debole, affinché si
realizzi la parola pronunciata. Questa traduzione suggerisce che il re Ezechia era dive-
nuto impotente e che la sua virilità gli fu restituita miracolosamente affinché divenisse,
secondo la promessa divina, l'antenato del Cristo.
La massa di fichi, mezzo materiale? Più di questo. Immagine? Più ancora: Parola, Paro-
la divina dai multipli effetti e, come dice Olivier, "Sacramento contenente il S. Spirito e
un abisso insondabile di misteri". Cos'è un Sacramento? É un segno sensibile istituito
da N. S. Gesù Cristo per darci le sue grazie o per aumentarle in noi.
Ora che siamo illuminati sugli avvenimenti straordinari svoltisi il 16 gennaio 704 a.C.,
possiamo con maggior frutto studiare a nostra volta la famosa iscrizione detta "dell'e-
clisse". Il passaggio che ha fatto scorrere tanto inchiostro e che noi abbiamo analizzato
in dettaglio alle pagine 465 e 466 (del manoscritto) del tomo XI del nostro Libro dei Nomi
dei Re d'Egitto è il seguente: "Mai, nell'antichità, le moltitudini avevano contemplato
nella vallata simile sconvolgimento; i profeti stessi sono stati gettati in un grande
scompiglio; il sole, dopo essersi elevato in alto, è andato sotto terra, privando di luce le
moltitudini; il cielo, che si era prima ingrandito, mangiando la luna, l'ha rilasciata,
contro l'abitudine, facendola tornare; il mare, potente, si è precipitato fuori dei suoi li-
miti, elevandosi al di sopra delle case, gettando i pescatori in fondo all'acqua; una mol-
titudine di abitanti è stata colpita per la grande rapidità dello sconvolgimento; i grani
sono stati seminati senza profitto; il grande re della località più numerosa delle altre
(perifrasi di Tebe) ha deciso di esentare dal pagamento dell'imposta fino a quando avrà
luogo la mietitura che deve arrivare" (si tratta delle imposte dovute da tutti gli abitanti, anche
quelli del Basso Egitto, ai templi di Tebe).
Davanti a una testimonianza tanto formale, noi moderni razionalisti, negatori dei mira-
coli biblici, facciamo la figura di omuncoli dall'impotenza perfettamente ridicola. Noi
abbiamo qui una nuova prova della realtà del miracolo di Isaia con, inoltre, l'indicazione
delle sue conseguenze spiacevoli per l'Egitto, punto di vista che la favola raccontata a
Erodoto90 dai sacerdoti di Efesto lasciava accuratamente nell'ombra. Ecco questo rac-
conto in cui si parla di un re Sethos, chiamato anche Zet, che regnò a Memphis dal
711,5 al 701,5, e a Bubaste dal 701,5 al 670,5, e che era quindi sul trono di Memphis al
momento della campagna di Sennacherib in Giudea, nel 704:
"Dopo.... regnò il sacerdote di Hèphaistos che si chiamava Sethos. Egli non aveva,
sembra, alcun riguardo bensì dell'indifferenza per gli egiziani della classe guerriera,
nella convinzione che non avrebbe mai avuto bisogno di loro... Così quando, in seguito,
il re Sennacherib portò contro l'Egitto una grande armata di arabi e di assiri, gli egi-
ziani della classe guerriera si rifiutarono di venirgli in aiuto. Trovatosi in grande diffi-
coltà, il prete entrò nel tempio, e là, indirizzandosi alla statua del dio, piangeva sulla
sorte che rischiava di subire. Mentre così si lamentava, lo prese il sonno, e gli sembrò,
nella visione che ebbe, che il dio gli stesse vicino, lo incoraggiasse e l'assicurasse che
non gli sarebbe capitato nulla di male se fosse andato contro l'armata degli arabi,
giacché egli stesso lo avrebbe soccorso. Confidando in ciò che aveva visto e inteso nel
sogno, Sethos prese con sé gli egiziani che volevano accompagnarlo e si accampò a
Pèluse (giacché è da là che si penetra in Egitto); non aveva con sè nessun uomo della classe
guerriera, ma solo bottegai, artigiani e mercanti. Arrivati in quel luogo gli avversari...,
un'orda di topi campagnoli si sparse tra loro durante la notte, rodendo le faretre, gli
archi e anche le cinghie degli scudi; tanto che l'indomani, essendo rimasti senza difesa,
fuggirono e perirono in gran numero. E oggi si erge nel santuario di Ephaisthos una
statua in pietra di questo re; essa tiene nella mano un topo, e un'iscrizione gli fa dire:
"Guardatemi, e imparate ad essere pietosi".
diretto contro l'Egitto, nel 704, da Sennacherib. Taraca, che comandava le forze del sud,
si era messo in marcia contro Sennacherib; ma mentre ne era ancora lontano, Sennache-
rib, che aveva delle spie in Egitto, aveva avuto notizie della sua avanzata e, senza atten-
derlo, si era diretto verso il Delta. É in questo momento che il re di Memphis, sentendo-
si minacciato, avrebbe chiesto l'appoggio dei confederati del nord. Ma gli avvenimenti
successivi hanno mostrato che la politica dei re di Saïs era diretta verso una vassallità
nei confronti dei sovrani assiri i quali avevano dovuto promettere loro soccorso in vista
di stabilire la monarchia egiziana a solo profitto della dinastia saìta. Sotto il vago prete-
sto di offesa d'amor proprio da parte di Zet, essi tradirono la causa egiziana e rifiutarono
il loro concorso. Zet fu ridotto a costituire una truppa di fortuna per tentare di rallentare
il cammino degli Assiri in attesa dell'arrivo degli Etìopi. Ma non ebbe a servirsene. Ha-
notaux91 ci dice che "dal rapporto di Giuseppe, Sennacherib aveva spinto un'armata di
Assiri e di Arabi fino a Pèluse, ma che dovette battere in ritirata, essendo l'Egitto stato
salvato come per miracolo. Un testo geroglifico parla solamente di una grande tempe-
sta che fece retrocedere l'armata nemica".
Ora, una "grande tempesta" si dice in copto: vonh naa = Phonh-Naa o vonh noj =
Phonh-Nodj = Tempestas-Magnus. Per via di trascrizione mitologica, i preti egiziani,
per attribuire alle loro false divinità ciò che essi sapevano bene non essere dovuto che
alla potenza del solo vero Dio, ne hanno fatto vin noh = Phin-Noh o vin noj =
Phin-Nodj = gerboa, il topo saltatore dell'Egitto; da Phin = Mus = topo, e Noh = Salta-
re, o Nodj = Projicere = lanciare in avanti. Inoltre, essi hanno deformato il nome reale
completo per fargli dire: "Le corde degli archi, le cinghie, gli scudi divorati, hanno im-
pedito all'armata di resistere; gli abitanti sono stati liberati alla domanda di Zet", al-
lorché il senso reale è: "L'armata degli avversari è stata inghiottita da un'inondazione, i
morti sono stati rigettati dalle onde, gli abitanti, inquieti, sono stati liberati, ma le se-
menti sono perdute"; qui siamo più vicini ai fatti.
Aggiungiamo che Tarakos, essendo viceré dal 710 e avendo regnato fino al 663,5, era
certamente in funzione nel 704 durante l'invasione di Sennacherib, come dice la Bibbia.
I re (seguito)
A Ezechia successe, nel 689, suo figlio Manasse. La prima parte del regno di questo
principe fu deplorevole dal punto di vista religioso; ecco perché, dice la Bibbia, "Dio fece
venire su di loro i prìncipi dell'armata del re degli Assiri che, dopo aver preso Manasse, gli misero i ferri ai piedi e alle mani
e lo condussero a Babilonia". Questi dettagli ci mostrano che all'epoca Babilonia era ricaduta
sotto la dominazione dell'Assiria. Secondo Hanotaux e Glotz, il fatto si sarebbe prodotto
verso il 671. E in effetti, a questa data, Babilonia era retta da Asarhaddon (680-667).
Ma, essendosi Manasse pentito, il Signore lo riportò a Gerusalemme; la sua schiavitù
era stata corta; è possibile che il successore di Asarhaddon, Samassumukin, vi abbia po-
sto lui fine dopo essere salito sul trono nel 667. Il regno di Manasse fu di circa 50 anni;
noi lo porremo verso la fine del 639,5. Manasse ebbe per successore suo figlio Amon
che regnò solo 2 anni, dal 639,5 al 637,5.
Viene poi, nel 637,5, Giosia, che ebbe un regno di circa 31 anni. Giosia, il cui governo
era stato molto saggio, ebbe il torto di non voler ascoltare i profeti dell'Altissimo quan-
do gli consigliarono di restare neutro nella guerra che Necào II, re d'Egitto, intraprese
nella regione dell'Eufrate; egli volle opporsi al passaggio di questo faraone, ma fu battu-
to e ucciso a Mageddo verso il 607. Per inciso diciamo che Necào II, dopo una campa-
gna vittoriosa di più di 2 anni, fu finalmente vinto a Carchémis, verso il 604. Nell'attesa,
il popolo giudeo aveva messo sul trono Joachaz, figlio di Giosia, ma questo prìncipe re-
gnò solo 3 mesi, nel 607; Necào ritornò a Gerusalemme, lo depose, lo fece prigioniero,
e stabilì al suo posto suo fratello Joachim. Questi regnò 11 anni circa, ossia dal 607 al
596,5. La disfatta di Necào II a Carchémis, nel 604, fece sì che Joachim passasse allora
sotto il giogo di Nabucodonosor, re di Babilonia, salito sul trono in quel momento. Do-
po circa 3 anni, ossia nel 601, Joachim si rivoltò contro Nabucodonosor; mal gliene in-
colse, giacché il suo paese fu allora consegnato alle devastazioni dei Caldei e dei suoi
alleati; finalmente, nel 596,5, Nabucodonosor lo condusse incatenato a Babilonia con
altri prìncipi.
Joachin, che rimpiazzò Joachim, non regnò che 3 mesi e 10 giorni, ma Nabucodonosor,
allora nel suo 8° anno di regno (596,5), lo attaccò e lo deportò a Babilonia con numerosi
prìncipi, notabili, artigiani e operai. Il re di Caldea stabilì al posto di Joachin suo zio
Mathania che soprannominò Sedecìa. Tuttavia questi, dopo aver accettato la domina-
zione babilonese per 8 anni, nel 588, si rivoltò, e mise Gerusalemme in stato di difesa.
Nabucodonosor assediò la città fino al 585,5. Presa la città, Sedecìa, che era fuggito, fu
riacciuffato; Nabucodonosor uccise i suoi figli, gli cavò gli occhi, e lo portò schiavo a
Babilonia con il resto della popolazione di Gerusalemme che era sfuggita al massacro.
Dopo la morte di Nabucodonosor, il suo successore, Avilmarduk, salito sul trono nel
561, tolse Sedecìa dalla sua prigione e lo trattò con riguardo; era l'anno 37° della schia-
vitù contato a partire dal 596,5, data dell'avvento di Sedecìa.
Noi possiamo stendere, della fine del regno di Giuda, la cronologia seguente.
Re
Regni Inizio Fine Osservazioni
Manasse 50 a 689 639,5 a Babilonia verso il 671-667
Amon 2a 639,5 637,5
Giosia 31 a 637,5 607
Joachaz 3m 607 607 in cattività in Egitto
Joakim 11 a 607 596,5 1ª deportazione à Babilonia
Joachin 3 m 10 g. 596,5 596,5
Sedecia 11 a 596,5 585,5 2ª deportazione à Babilonia
Godolia 5a? 585,5 580,5 ? 3ª deportazione à Babilonia
governatore
La Bibbia ci informa, del resto, che nel suo primo anno Ciro emise un editto che libera-
va i Giudei schiavi che volevano ritornare in Giudea per ricostruirvi il tempio di Geru-
salemme. Questo anno è quello della presa di Babilonia da parte di Ciro che taluni pon-
gono nell'anno 536, altri nel 538 a.C.. Quest'ultima data sembra la più probabile; met-
tendo l'editto di Ciro nel corso del 538, ossia verso il 537,5, si dev'essere vicini al vero.
I preparativi della partenza, il viaggio e la reinstallazione, richiesero certamente molti
mesi, ed è solo all'inizio del 537 che gli Israeliti furono effettivamente rientrati in Giu-
104
dea. Erano allora, dice la Scrittura (Geremia XXV, 12 - XXIX, 11), trascorsi 70 anni da
quando gli Israeliti erano stati fatti schiavi. Ora, se risaliamo 70 anni prima del 537,
giungiamo al 607, che non è l'inizio della schiavitù di Babilonia, ma l'epoca della disfat-
ta di Giosia a Megiddo e della schiavitù di Joachaz, suo figlio. È certo che Joachaz non
fu portato in Egitto da solo. Necào II aveva intrapreso di riscavare la branca del Nilo
che si immetteva un tempo nel Mar Rosso e che si era prosciugata all'epoca dell'Esodo,
ed aveva dunque bisogno di una notevole manodopera; la disfatta di Giosia gli procurò
numerosi prigionieri giudei che persero la vita in questi lavori pesanti e insalubri. Dopo
avervi sacrificato invano 120.000 uomini, Necào II dovette abbandonare l'impresa, ed è
allora che organizzò, per supplirvi, il suo celebre periplo marittimo attorno all'Africa.
Siamo ora in grado di stabilire il seguito della genealogia di Gesù, da Salomone alla
schiavitù di Babilonia:
In questa tabella, le età di paternità sono normali, giacché non scendono al di sotto dei
16 anni, età corrente di matrimonio nelle famiglie reali; fanno eccezione Giosia e Joa-
chim, dove l'intervallo scenderebbe a 13,5 anni, il che è inverosimile. Qui c'è certamen-
te un errore dello scriba. In effetti, se Giosia fu re all'età di 8 anni nel 637,5, dovette
sposarsi al più tardi verso il 630,5; il suo primo figlio non poté nascergli che verso il
629,5 e non nel 632. Dal 629,5 al 607, data dell'avvento di Joachim, ci sono 22,5 anni,
che doveva essere la sua età, e non 25 anni, quando salì al trono. Pertanto, tra Giosia e
Joachim ci sarebbero 16 anni e non 13,5. Per contro, non ci sarebbero che 15 anni tra
Joachim e Joachin; ma, oltre al fatto che questa cifra sarebbe a rigore accettabile, l'età
che Joachin aveva all'inizio del suo regno è incerta92.
La genealogia di Cristo così tratta dalle Cronache presenta delle differenze con quella
data da S. Matteo, che è:
generò:
David Salomone
Salomone Roboamo
Roboamo Abias
Abias Asa
Asa Giosafat
Giosafat Joram
Joram Ozia (ou Azaria)
Ozia Joatham
Joatham Achaz
Achaz Ezechia
Ezechia Manasse
Manasse Amon
Amon Giosia
Giosia Jéconia e i suoi fratelli verso la transmigrazione di Babilonia
Innanzitutto, i tre nomi di Ozia (o Acazia), di Joas e di Amazia sono omessi. Questa
omissione è voluta; essa si basa sul primo comandamento di Dio inserito al cap. 20
dell'Esodo e così concepito: " Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condi-
zione di schiavitù: non avrai altri dèi di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di
ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Per-
ché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta genera-
zione, per coloro che mi odiano." Ora, Acazia, Joas e Amazia, erano rispettivamente il figlio, il
nipote e il pronipote di Joaram e di sua moglie, la perversa Atalia, figlia di Acab, che
trascinò suo marito nell'empietà di Israele. Di conseguenza, e qualunque sia stata la loro
condotta personale, questi tre discendenti dell'empia Atalia sono stati deliberatamente
omessi dall'evangelista nella genealogia di Nostro Signore.
Di fronte alla genealogia di Nostro Signore secondo S. Matteo, quella di S. Luca enu-
mera gli ascendenti del Cristo a partire da Natan. Questi è dato dalla Bibbia come terzo
figlio nato a Davide dopo che si fu stabilito a Gerusalemme; anteriormente, egli ne ave-
va avuti altri. Essendo Davide arrivato a Gerusalemme verso il 1007, il suo terzogenito,
a partire da questa data, dovette nascergli verso il 1000. Non essendo Natan stato chia-
mato a regnare, i suoi discendenti, pur essendo di razza reale, non furono re. Da Natan
escluso fino a Salatiel escluso, S. Luca enumera 19 discendenti; essendo dato l'interval-
lo disponibile, le nascite si distanziano in media di 21 anni. Possiamo dunque stendere
la seguente tabella di questa sezione genealogica:
Cronologicamente, noi dobbiamo qui esaminare una difficoltà messa contro il Libro
Santo. A qualcuno è parso che la cronologia della 36ª dinastia egiziana, contrasti con la
Bibbia93. "Gli autori pagani, Erodoto in particolare, fanno regnare Amasis in Egitto
molto felicemente per 40 anni e su 20.000 città, tutte abitate, mentre la Scrittura ci dice
positivamente che l'Egitto ha dovuto essere desolato da Nabucodonosor, re di Babilo-
nia, e restare per 40 anni deserto. Questo è un punto che ha imbarazzato molto gli stu-
diosi per conciliare la storia dell'Egitto con quella sacra… É il re Sennesertée che Pli-
nio fa regnare in Egitto contemporaneamente ad Amasis. Sennesertée è il secondo Ne-
tser o Netsar, cioè il grande Nebuchednetsar o Nabuchodonosor, secondo re di Babilo-
nia".
Le profezie di Ezechiele.
La Bibbia non può aver torto, ma bisogna comprenderla bene. Si tratta delle profezie di
Ezechiele. La prima di queste comincia nel "30° anno". Secondo un'antica interpreta-
zione, questo anno sarebbe il 30° del profeta, che sarebbe nato l'anno 624 a. C.. Oggi, i
più suppongono che si trattava del 30° anno dell'era di Nabopolassar, padre di Nabuco-
donosor, che sarebbe cominciato l'anno 625 a.C.. Questo 30° anno sarebbe dunque sia il
93 - Guérin du Rocher: Histoire véritable des temps fabuleux, T.I; Gauthier, Paris, 1834, p. 118.
107
595 sia il 596 a.C.. Ma secondo la parafrasi caldèa e S. Gerolamo, si tratterebbe del 30°
anno dalla scoperta dell'esemplare originale del Deuteronomio da parte di Helcias94.
Esaminiamo bene il testo di Ezechiele. Nel suo capitolo I, versetti 1 e 2, il profeta dice:
"Nell'anno trentesimo, nel quinto giorno del quarto mese, che essendo io sopra il fiume Chebar, fra quelli ch'erano stati me-
nati in cattività, i cieli furono aperti, ed io vidi delle visioni di Dio. Nel quinto giorno di quel mese di quell'anno, ch'era il
quinto della cattività del re Gioiachin in Babilonia". Questo trasferimento ebbe luogo 11 anni prima
della caduta di Gerusalemme, poiché, secondo IV Re v.17/18, Joachin fu sostituito da
Sedecìa che regnò 11 anni prima della presa della Città santa. Siccome quest'ultimo av-
venimento si produsse nel corso dell'anno 586, ne consegue che Joachin dovette essere
portato a Babilonia verso la fine dell'anno 597. Pertanto, il quinto anno a partire da que-
st'ultimo corrisponde al 592. Nel 592, la luna nuova di marzo osservata ad occhio nudo,
marcante l'inizio dell'anno giudaico, si produsse verso il 20 marzo giuliano, poiché il
592 ha il rango 18 nel ciclo di Metòne, il che corrisponde al 16 marzo giuliano (astrono-
mico) nell'anno 3 a.C., e, con un giorno di differenza per 307 anni, al 18 marzo giuliano
astronomico, nel 592; il ritardo nell'osservazione a occhio nudo e la maniera di contare i
giorni e le notti, abbassano questa data al 20 marzo giuliano circa.
Con l'alternanza dei mesi di 29 e 30 giorni tra i Giudei, il quarto mese cominciava dun-
que verso il 16 giugno giuliano e il quinto giorno di questo mese era il 20 giugno giulia-
no, ossia il 13/14 giugno gregoriano. Pertanto, se questo anno era anche il 30° di un al-
tro ciclo, era cominciato alla fine del 622 o all'inizio del 621 a.C.. Quest'ultimo anno
non è quello di Nabopalassar. Per contro, esso è il 18° del regno di Giosia, salito sul
trono nel 638. Ora, secondo IV Re, XXII, v. 3,10, è in questo stesso anno che il Libro
della Legge scritto dalla mano di Mosè fu trovato nel tempio e che Giosia ha solenne-
mente rinnovato l'Alleanza del popolo Giudeo con Dio. È facile vedere perché questo
avvenimento, già memorabile per se stesso, poiché erano circa 600 anni che il Libro era
stato scritto, è messo da Ezechiele in rapporto con la sua serie profetica. La Bibbia rap-
porta che la profetessa Holda aveva dichiarato, alla scoperta del Libro sacro: "Ecco ciò che
dice il Signore: "Io sto per far piombare su questo luogo e sui suoi abitanti tutti i mali che il re di Giuda ha letto nel Libro
della Legge perché essi mi hanno abbandonato, hanno sacrificato a dèi stranieri e mi hanno irritato grandemente per tutte
le loro opere. E la mia indignazione si accenderà talmente contro questo luogo che non vi sarà nulla che la potrà spegnere".
Nel momento in cui questa maledizione aveva avuto un inizio di esecuzione con la
schiavitù di Joachin e dei suoi notabili, secondo quella di Daniele e di Joakin, il ricordo
ne era molto appropriato come preludio ai nuovi castighi che Ezechiele andava a profe-
tizzare contro la nazione colpevole. È dunque l'opinione di S. Gerolamo e della parafrasi
caldea che deve prevalere su quella dei moderni al riguardo.
Questa prima profezia è un annuncio generale e simbolico dei mali che piomberanno sul
popolo giudeo; essa occupa i capitoli da 1 a 7 incluso. Il profeta ne dà una seconda che è
datata del 5° giorno del 6° mese del 6° anno, dunque dell'anno che segue quello della
prima profezia, o 591, esattamente del 7 agosto giuliano 591, corrispondente al 31 lu-
glio/1 agosto gregoriano. Questa serie profetica occupa i capitoli dall'ottavo al 19° in-
cluso; tra i fatti che essa annuncia, si trova il dettaglio che il faraone non verrà affatto
con una grande armata e un grande popolo a combattere contro il re di Babilonia (XVII,
17). Deve trattarsi di Apries, che tentò vanamente, nel 588, di liberare Gerusalemme as-
sediata. Siccome è normale che la profezia preceda l'avvenimento che annuncia, essa è
dunque datata del 591.
94 - Vigouroux - Manuel biblique, T. II; Roger et Chernoviz, Paris, 1886, p. 577, r.1.
108
Il capitolo XX inizia con l'annuncio di una nuova serie di profezie che si estendono fino
al capitolo 23 incluso. La data iniziale è quella del 10° giorno del 5° mese del 7° anno,
ossia il primo agosto giuliano = 25/26 luglio gregoriano 590.
Al capitolo XXIV (v. 1 e 2), il profeta, sempre in schiavitù, annuncia a distanza che il de-
cimo giorno del decimo mese del nono anno, cioè del 588, quel giorno stesso il re di
Babilonia ha riunito le sue truppe davanti a Gerusalemme. Abbiamo con ciò il mezzo
per determinare l'inizio dell'assedio. La luna di primavera, del numero d'oro 3 di Metò-
ne, dovette essere osservata a occhio nudo nel 588 il 5 marzo o il 3 aprile giuliano, cioè
il 26/27 febbraio gregoriano o il 29/30 marzo gregoriano. Sulla base della prima data,
l'assedio di Gerusalemme sarebbe cominciato il 27/28 novembre gregoriano 588, il
26/27 dicembre nell'altro caso. Re IV, cap. 2595 indica lo stesso giorno del mese nell'an-
no 9 di Sedecia. Essendo questo re salito sul trono nel 597, possiamo stabilire che l'anno
dell'assedio è il 588. La profezia prosegue con l'annuncio della distruzione del tempio
che ebbe luogo nel 586.
Poi viene un capitolo XXV consacrato a delle maledizioni, non datate ma apparente-
mente dello stesso anno del precedente (588) o dell'anno seguente (587) contro gli Am-
moniti, i Moabiti, gli Idumei e i Palestinesi. Si sa in effetti che, immediatamente dopo la
caduta di Gerusalemme, dopo il nòno giorno del 4° mese del 586, ossia il 17 giugno
giuliano o il 10/11 giugno gregoriano 586, Nabucodonosor intraprese la conquista del
resto della Palestina e dei paesi vicini, il che non richiese un lungo lasso di tempo. In
seguito, si accinse alla conquista di Tiro, il cui assedio durò circa 13 anni, ossia dal 585
al 573.
È contro Tiro che Ezechiele profetizza nei capitoli XXVI, XXVII, XXVIII. L'uomo di
Dio segue dunque qui l'ordine reale di successione degli avvenimenti che annuncia. E
dà, al v. 2 del cap. XXVI, la ragione del castigo che colpirà la grande città marittima; è:
"perché Tiro ha detto di Gerusalemme: Ah, Ah! eccola infranta la porta delle nazioni; verso di me essa si volge, la sua ric-
chezza è devastata". La profezia è dunque di poco posteriore alla caduta di Gerusalemme. Es-
sa è purtroppo datata incompletamente a seguito dell'omissione del mese commessa da
un copista successivo; essa è del primo giorno del ... mese dell'undicesimo anno; sottin-
teso "della schiavitù di Joachin" come le precedenti. Questo undicesimo anno è dunque il 586 e
di uno dei mesi posteriori al quarto, poiché è il quarto quello della presa della capitale
giudea, quasi certamente il I° giorno del quinto mese poiché il 7° giorno del 5° mese
Nabuzardan, generale di Nabucodonosor, bruciò la città di Gerusalemme annullando
così la speranza che Tiro aveva di annettersela (IV Re, c. XXV, v. 8 e 9). Il primo giorno del
5° mese del 586 corrisponderebbe al 2/3 luglio gregoriano. Qualche mese più tardi Na-
bucodonosor metteva l'assedio davanti a Tiro.
al 27/28 dicembre gregoriano 577. Questa profezia fu dunque pronunciata circa 8 anni
prima dei fatti che annuncia poiché Nabucodonosor andò a invadere l'Egitto nel 569.
Essa predice che la guerra colpirà il faraone perché è stato per la casa di Israele un ap-
poggio debole come una canna, e questo passaggio non può che applicarsi ad Apries.
Ma questa profezia prevede ben oltre Apries, si estende fino alla fine dell'Egitto. Pas-
sando sotto silenzio il regno prospero di Amasis, essa prevede che l'Egitto sarà devasta-
to fino ai confini dell'Etiopia e che non sarà più abitato per 40 anni, essendo gli Egiziani
dispersi in vari paesi; che dopo questo tempo gli Egiziani dispersi e schiavi saranno ri-
portati e stabiliti nella terra di Phaturès, nella terra della loro nascita, e diverranno un
regno basso e umiliato, il più debole di tutti i regni, e non domineranno più sui popoli.
La devastazione annunciata fu il fatto di Cambise verso la fine del 526; fu lui che depor-
tò gli egiziani mentre altri fuggirono in Etiopia e in Libia; solo un piccolo numero rima-
se in Egitto sotto la dominazione dei satrapi persiani di Cambise e poi di Dario I. Dal
momento in cui Cambise conquistò l'Egitto fino alla fine del regno di Dario I si contano,
in effetti, 40 anni. Il disastro subìto da Dario I a Maratona nel 490, provocò dei tentativi
di sollevamento in Egitto (487-486)96; si preparava a reprimerli, quando morì (verso il
486). Avendo Dario portato a termine il canale dei due mari, dovette necessariamente
farvi lavorare gli Egiziani, presi sia tra quelli che erano rimasti nel paese, sia tra gli
schiavi. Serse I, nell'anno 2 del suo regno, successore di Dario, schiacciò i ribelli e affi-
dò la satrapia d'Egitto a suo fratello Achemène. La disfatta dei Persiani a Platèa, nel
479, portò una nuova rivolta in Egitto. Erodoto ci dice che essa era dovuta all'iniziativa
di un capo libico, Inhor, che i Greci chiamano Inaros, figlio di un Psammètico. Siccome
Inaros era ancora vivente nel 456, epoca in cui fu ferito, è lecito pensare che nel 479 i
Persiani, indeboliti, gli avevano accordato di regnare almeno come loro vassallo. Sareb-
be qui l'inizio del regno basso e umiliato di cui parla il profeta e che proseguì fino al
341, anno in cui Nectanèbos II, che si era rivoltato contro Artaserse III, fu definitiva-
mente vinto e obbligato a rifugiarsi alla corte del re d'Etiopia, faraone del paese di
Phaturès. Nel 332,5, l'Egitto sfuggì alla dominazione dei Persiani ma solo per cadere
sotto quella dei Greci e poi dei Romani. Esso non ebbe mai più dei re nazionali.
Tutti gli esegeti che hanno voluto mettere i 40 anni di desolazione dell'Egitto in conto a
Nabucodonosor hanno trascurato di considerare il carattere ricapitolativo incontestabile
della prima profezia di Ezechiele relativa a questo paese. Si sono così forgiati una diffi-
coltà cronologica inesistente.
D'altronde, dopo questa prima esposizione generale, Ezechiele cita un'altra data e ri-
prende, ma questa volta su un punto preciso: "Il primo giorno del primo mese del 27° anno, il Signore mi
disse ancora queste parole: Figlio dell'uomo, Nabucodonosor, re di Babilonia, mi ha reso con la sua armata un grande servi-
zio all'assedio di Tiro… Ecco perché… sto per dare a Nabucodonosor il paese d'Egitto… La sua armata riceverà così la
sua ricompensa". Tiro è caduta nel 573, Nabucodonosor morì verso il 562/561. Ora, se il 27°
anno era calcolato, come nella precedente profezia, sulla base della schiavitù del 586,
essa avrebbe avuto luogo nel 560 e sarebbe doppiamente senza scopo; da un lato, perché
avrebbe avuto luogo dopo l'avvenimento annunciato; dall'altro, perché Nabucodonosor
era morto. Il 27° anno deve dunque essere contato, come anteriormente, a partire dal
597, il che lo pone nel 571, cioè 2 anni dopo la caduta di Tiro e 2 anni prima dell'inva-
sione dell'Egitto da Nabucodonosor. La profezia è così l'annuncio del compimento im-
minente dell'inizio della profezia generale, ed è perché ha questo carattere particolare
che è datata in modo speciale. Il primo giorno del primo mese giudaico dell'anno 571
era il 27 marzo giuliano, ossia il 20/21 marzo gregoriano. Da notare che questa profezia
96 - Hanotaux: Histoire de la nation égyptienne; T. II; Plon, Parigi, 1931; p. 580 e seg.
110
annunciante la disfatta dell'Egitto è fatta in piena vittoria di Apries, il che le dà tanto più
merito.
Immediatamente dopo, e senza data, nel capitolo 30, il profeta riprende, con una nuova
visione, ma con più dettagli che in precedenza, la profezia generale annunciante il se-
guito e la fine della storia della nazione egiziana.
Vi è tuttavia, in questa profezia, un passaggio che potrebbe lasciar credere che Ezechie-
le contava su Nabucodonosor per annientare l'Egitto, il che non avvenne poiché Nabu-
codonosor istituì re d'Egitto Amasis il cui regno fu generalmente prospero. Si son tra-
dotti i versetti 9, 10 e 11 del cap. XXX come segue:
Haec dicit Dominus Deus; Cessare Così dice il Signore Dio: Farò cessare il tumul-
faciam multitudinem Ægypti in ma- tuare dell'Egitto per mezzo di Nabucodònosor
nu Nabuchodonosor regis Babylo- re di Babilonia.
nis.
Ipse et populus ejus cum eo, fortis- Io farò venire lui e il suo popolo, e con loro i
simi gentium adducentur ad più potenti delle nazioni, per perdere l'Egitto e
disperdendam terram et evaginabunt riempiranno il terreno di cadaveri.
gladios suos super Ægyptum, et im-
plebunt terram interfectis.
Il meno che si possa dire della traduzione, è che non ha niente di letterale. Perché tra-
durre "trieribus" con "vascelli" e non con "vascello da guerra a 3 ranghi di remi"? I
Greci avevano tali navi, e i Persiani mettevano il loro orgoglio nella potenza delle loro
flotte. Ma queste navi erano incapaci di raggiungere le cateratte del Nilo per andare a
distruggere la fierezza dell'Etiopia; mentre potevano arrivare nei porti egiziani per di-
struggere l'Egitto in cui l'Etiopia poneva la sua fiducia (confidentiam). Inoltre, se Nabu-
codonosor non minacciò la Nubia, i soldati persiani di Cambise la fecero per un po' tre-
mare.
D'altra parte, si è detto che "in manu Nabuchodonosor" era un ebraismo per "per Nabu-
chodonosor". Ma, nella profezia di Giacobbe (Gen. XLIX, v. 24) il giro di parole per dire
"dalla mano dell'Onnipotente" è "per manus potentis" e non "in". Tanto che noi ci do-
mandiamo se non si debba comprendere: "Questa moltitudine di Egiziani che è nella
mano di Nabucodonosor", il quale ne divenne il capo poiché era il sovrano di Amasis,
suo re.
Poi, si è reso "Ipse et populus ejus cum eo fortissimi gentium adducentur ad disperdan-
dam terram", con: "Io farò venire lui e il suo popolo, e con loro i più potenti delle nazioni, per perdere l'Egitto".
Perché non potrebbe essere: "Io farò cessare questa moltitudine di Egiziani che è nelle
mani di Nabucodonosor, lui e il suo popolo con lui. Io condurrò le nazioni più potenti
per distruggere la terra ed esse lanceranno la loro spada sull'Egitto e riempiranno la
terra di corpi morti"? In effetti, Nabucodonosor, che era stato per l'Egitto un sovrano
benevolo e più nominale che reale, è appena morto che appare Ciro, il quale, non con-
tento di scrollarsi il giogo di Babilonia, la conquista, così come gran parte della terra, e
111
il cui figlio, Cambise, invade e devasta l'Egitto. Se la nostra traduzione è esatta, tutto si
spiega. Si tratta ancora, nel seguito del testo, del "re di Babilonia", ma senza più men-
zionare Nabucodonosor, e questo qualificativo può applicarsi ai re di Persia che aveva-
no conquistato Babilonia.
Per il calcolo di questi anni, noi rientriamo nel ciclo determinato dalla grande schiavitù
di Babilonia, 586. L'undicesimo anno è dunque il 576; numero d'oro 5; luna nuova di
primavera, 23 marzo giuliano; settimo giorno del primo mese, 29 marzo giuliano equi-
valente al 22/23 marzo gregoriano. Il primo giorno del 3° mese dello stesso anno è dun-
que il 21 maggio giuliano o il 14/15 maggio gregoriano. Il 12° anno, o 575, ha il nume-
ro d'oro 16; luna nuova di primavera 12 marzo giuliano; primo giorno del 12° mese, 31
gennaio giuliano 574 o 24/25 gennaio gregoriano 574. Il 15° giorno del 12° mese è
dunque il 14 febbraio giuliano o 7/8 febbraio gregoriano 574. Queste diverse date pre-
cedevano dunque di poco la caduta di Tiro.
Risulta, da questo rilievo, che la profezia datata del 1° giorno del 1° mese del 27°anno
(20/21 marzo gregoriano 571) è spostata e deve essere normalmente collocata dopo tutte
le precedenti dal punto di vista cronologico. Ciò che ci fa credere che essa ha dovuto es-
sere spostata da uno scriba, è che dopo aver annunciato che Nabucodonosor sarebbe
compensato per la presa dell'Egitto dal lungo assedio di Tiro, questa profezia termina
sul capoverso seguente: "In quel giorno io farò rifiorire il corno della casa di Israele e vi aprirò la bocca in mezzo
ad essi". E, in effetti, 10 anni dopo, nel 561, l'anno 37 della schiavitù di Joachin, "Evil-
Merodach, figlio di Nabucodonosor, nell'anno in cui divenne re, fece grazia a Ioiachìn re di Giuda e lo fece uscire dalla pri-
gione. Gli parlò con benevolenza, gli assegnò un seggio superiore ai seggi dei re che si trovavano con lui in Babilonia e gli
fece cambiare le vesti che aveva portato nella prigione. Ioiachìn mangiò sempre dalla tavola del re per tutto il resto della
sua vita (IV Re 25, 27 e segg.). Questo passaggio farebbe la transizione con le profezie suc-
cessive che concernono Israele.
112
Daniele
Il profeta Daniele fu portato a Babilonia col primo convoglio di schiavi, nel 3° anno di
Joakim, ossia nel 604,5. "Storicamente, dice Daniel Rops97, il libro di Daniele solleva
delle difficoltà serie: Balthasar non è succeduto a Nabucodonosor, il quale, d'altronde,
non è mai stato pazzo, ma uno dei suoi successori, Nabonide, lo fu 7 anni; Dario il Me-
do, vincitore di Babilonia, è sconosciuto e non potrebbe essere il grande Dario che era
persiano e regnò dal 522 al 485 (allorché Babilonia cadde nel 539). Dei critici non cattolici
hanno sostenuto che Daniele era un personaggio mitico del 3° o 2° secolo; S. Gerolamo
qualifica come favolosi certi episodi della sua vita; gli esegeti cattolici ammettono per
lo più che si tratti di fatti aventi una grande parte di verità, ma sui quali l'immaginazio-
ne avrebbe più o meno ricamato a detrimento dell'esattezza storica".
"La menzione di questo prìncipe dall'autore del Libro di Daniele ha creato in ogni tem-
po grandi difficoltà. Secondo i vv. 2, 11, 13, 18 e 22, egli sarebbe stato figlio di Nabu-
codonosor; secondo VII, 1 e VIII, 1, egli regnò circa 3 anni a Babilonia; secondo il v.
31 del presente capitolo, l'impero caldèo si oscurò la notte stessa della sua morte e pas-
sò nelle mani di Dario il Mèdo. Ora, gli altri documenti classici sia sacri che profani,
che concernono quest'epoca, sembrano contraddire in ogni punto questi dati. Geremia,
LII, 31, e l'autore del 4° Libro dei Re, XXV, 27, suppongono formalmente che Nabuco-
donosor ebbe per successore suo figlio Evilmerodach e questo fatto è attestato ancor
più chiaramente dai frammenti che ci restano di Beroso e di Abidène e dal cànone di
Tolomeo… Nel momento in cui Ciro si impadronì di Babilonia, egli fu fatto prigioniero
in una città del nord della Caldea, dove si trovava, e fu costretto ad accettare dal suo
vincitore il titolo di satrapo di Carmania. Niente di Baltassar in tutto questo. Senza
dubbio Baruc I, 11-12, segnala come figlio ed erede presunto di Nabucodonosor un
prìncipe di questo nome; ma non si saprebbe identificare questi due Baltassar poichè il
passaggio di Baruc è datato dell'anno 583, mentre qui siamo nel 538. Si capisce che i
razionalisti abbiano provato a trar partito da questa difficoltà negando puramente e
semplicemente l'esistenza del re Baltassar, attaccandone la veridicità e l'autenticità del-
le pagine che parlano di lui in un modo in apparenza contrario alla storia.
"I commentatori antichi e moderni, non potendo fare di lui un personaggio a parte,
hanno provato a identificarlo con qualche re babilonese di questo periodo (lo si è
chiamato di volta in volta Laborosoarchod, Evilmérodach, Nabonide, etc.); tuttavia
nessuno di questi sistemi è stato soddisfacente. Ma ecco che dei testi cuneiformi recen-
temente scoperti, hanno, se non gettato una luce piena, almeno grandemente illuminato
questa questione e giustificato Daniele. Grazie a un'iscrizione dedicatoria di Naboni-
de… e a una lettera di Ciro contenente un sommario del regno (di Nabonide), … noi
sappiamo che il figlio maggiore di questi si chiamava precisamente Baltassar (Bel-Sar-
ussur); che questo prìncipe, mentre suo padre stava perpetuamente rinchiuso nel suo
palazzo di Tema, proteggeva il paese alla testa dei grandi e dell'armata… Per contro, il
17° anno, Nabonide prende lui stesso il comando dell'armata, lascia Babilonia, e battu-
to da Ciro è fatto prigioniero. Siccome il testo non dice più niente del figlio del re, è
credibile che fosse rientrato a Babilonia e vi comandasse al posto di suo padre. Il ruolo
"A più riprese, è vero, Baltassar è chiamato figlio di Nabucodonosor, ma… le parole
padre, figlio, hanno qui il senso largo, frequente in babilonese, in assiro e in tutte le
lingue semitiche, di antenato o predecessore, discendente o successore. Niente si oppo-
ne del resto a che Nabonide abbia veramente sposato una figlia di Nabucodonosor, an-
che prima di salire sul trono, giacché egli era allora grande dignitario religioso
dell'impero".
Precisiamo che in ebraico (poiché si tratta di un testo ebraico) la parola Hôb, ha non
solo il senso di padre, ma quello di avo, bisavolo, trisavolo, antenato in generale, e la
parola Ben, il senso di figlio, nipote, rampollo a un grado qualunque.
che si trascrive:
Laborosoarchod sarebbe dunque identico a Nabonide che fu demente per 7 anni, e sa-
rebbe stato chiamato così perché questa follia avrebbe messo fine alla prima parte del
suo regno, cioè circa 9 mesi dopo il suo avvento; Daniele dice: "Alla fine del 12° mese". Perché
in seguito porta il nome di Labinit o Nabonide? È perché il potere gli fu in seguito resti-
tuito, giacché Nit o Nide si trascrive in copto: nis] = Nischti = Magnus = grande.
Quanto a Dario il Mèdo che, secondo Daniele, sarebbe succeduto a Balthasar dopo la
caduta di Babilonia, ma di cui le liste reali non fanno menzione, ci sembra possibile
identificarlo a Gobryas o Ugbaru, il Mèdo che si rese capo di Babilonia per conto di Ci-
ro, che governò la città fino all'arrivo di questi, 3 mesi più tardi, e che amministrò in se-
guito la contrada come viceré di Ciro. Quel che ci inclina a questa identificazione, è che
le forme grecizzanti di Dareios e di Gobryas hanno una parte comune; da una parte
Reios, dall'altra Ryas, e che le prime sillabe, Da e Gub, si scrivono quasi identicamente
in cuneiforme assiro: Da , Gub ; Gub è come l'abbreviazione di Da.
Pertanto Daniele, di cui si è fatto troppo presto un personaggio mitico, al quale i razio-
nalisti opponevano i dati della storia, che gli esegeti cattolici scusavano più o meno be-
ne, appare tal quale poteva esserlo il terzo personaggio della corte di Babilonia, perfet-
tamente al corrente di ciò che vi succedeva, è non è il suo testo che deve deformarsi per
adattarsi alla storia, ma è piuttosto la storia che deve correggersi ispirandosi al testo di
Daniele.
Alcuni traduttori hanno visto in Hassir un personaggio, altri la parola "schiavo" rappor-
tandosi a Ieconìa. Ma si comprende generalmente che Ieconìa ebbe 7 figli, da Sealtièl a
Nedabia. Pertanto, cosa ci fa la parola "figlio" dopo Sealtièl quando già l'annuncio ne è
fatto prima di Ieconìa? E perché Zorobabele, che gli evangelisti presentano tutti e due
come figlio di Sealtièl, è detto qui figlio di Pedaià? Perché ancora Zorobabele non
avrebbe avuto che 5 figli allorchè i traduttori citano 7 nomi di ragazzi oltre ad uno di ra-
gazza benchè queste siano ordinariamente omesse nelle genealogie?
es hal/ yi jel
Esch Halê Thi Djel
Posse Malus Dejicere Abnegare
Essere potente Malvagio Privare Rinnegare
Ossia in chiaro: Avendolo dei malvagi privato dalla sua potenza, è stato rinnegato.
Sealtièl, nato normale, e inizialmente contato come figlio primogenito di Ieconìa, sareb-
be stato castrato tardivamente da dei malvagi, forse per scartarlo dalla successione even-
tuale di Ieconìa, e, a causa di ciò, in applicazione del primo versetto del cap. XXIII del
Deuteronomio, escluso dalla comunità giudaica. Pertanto, si intravede una spiegazione
alla discendenza di Sealtièl da Neri; basterebbe che Sealtièl avesse sposato, prima della
castrazione, la figlia di Neri, perché questi, per compassione, abbia considerato come
suo figlio quello che era suo genero. Contemporaneamente Pedaià, per estensione della
legge del levirato, avrebbe ripreso come moglie la donna di Sealtièl per dare dei figli a
suo fratello divenuto incapace di averne. È così che Zorobabele, figlio naturale di Pe-
daià, poteva essere detto figlio legale di Sealtièl.
Siamo ora davanti al caso di Zorobabele; se egli non ha avuto che 5 figli, siccome ci
vengono dati 7 nomi, ve ne sono 2 di troppo. Ma sono tutti nomi di persone? Le ultime
due parole (1 Cron. III, 20) sono, in effetti, sospette: ciò che si è tradotto Casadia e che si
scrive: , ossia Echasadedjôh ha come radice ebraica: Echasadedjôh che signifi-
ca incesto; la parola ha dunque il senso di: e quello che è nato dall'incesto. Il nome di
questo, che viene dopo, Iusabhèsed, si scrive Echasôdidjm Djouoschabchèsèd.
La prima parte di questo nome conferma il senso della parola precedente giacché, in
copto, joout = Djoout (=djouosch) significa Spurius, illegittimo. Il nome reale dell'in-
fante è dunque Abchèsèd, che è certamente quello che S. Matteo ha tradotto Abiud, figlio di
Zorobabele.
Secondo la lista di S. Luca, noi troviamo come figlio legittimo di Zorobabele, Resa;
questi dev'essere Barachia il cui nome (1 Cr. III, 20) Ouobèrèkedjôh può com-
prendersi col copto:
ouw ba
Ouô Ba Rèkedjôh
Finire Ramus [palmae] Resa
La fine della branca Resa
Possiamo ora proseguire le liste genealogiche di N.S. Gesù Cristo a partire dalla schia-
vitù. Visto che Ieconìa alla deportazione del 596,5 aveva forse solo 8 anni, noi non pos-
siamo che porre la nascita di Sealtièl verso il 585 e quella di Zorobabele verso il 564.
Da questo alla nascita di Gesù nel -4 sarebbero trascorsi 560 anni da ripartire su 20 sca-
glioni, il che metterebbe la paternità media a 28 anni, tempo normale per degli uomini
che, non essendo più re, non si sposerebbero più prematuramente a 16 anni ma a un'età
117
più avanzata. Ma prima resta ancora da risolvere un ultimo problema. Sappiamo che
Gesù Cristo, nato dalla Vergine Maria per opera dello Spirito Santo, non ebbe un uomo
come padre naturale: S. Giovanni, nel suo prologo, ci dice che Egli "non è nato da sangue, né
da volere di carne, né da volere d'uomo, ma da Dio stesso". Giuseppe, lo sposo di Maria, fu suo padre ma
solo secondo la legge; è dunque normale che troviamo Giuseppe su una lista, e noi lo
vediamo bene in quella di S. Matteo come figlio di Giacobbe, giacché questa lista è,
senza dubbio, una riedizione della generazione del profeta Giuseppe dal patriarca Gia-
cobbe, essendo questa la prefigurazione di quella. Si comprende meno la presenza di
Giuseppe come figlio di Eli sulla lista di S. Luca; non può trovarvisi che come genero di
Eli di cui aveva sposato la figlia, Maria. Ora, siccome le donne non figurano abitual-
mente nelle genealogie giudee, e S. Luca aveva omesso Maria, sarebbe mancato un
anello alla sua genealogia. Ciò che viene in appoggio a questa tesi, è quel che dicono
Vacant e Mangenot nel loro dizionario di teologia cattolica, tomo 13, p.321: "È notevole
che nel Talmud, chaqiga 77.4, Maria è chiamata figlia di Hèli". Notiamo che Hèli è uno
dei nomi di Dio; è quello che Gesù lanciò al Padre prima di morire sulla croce. L'Hèli
della lista di Luca è certamente un uomo in carne ed ossa; ma forse è stato scelto come
un'immagine della filiazione spirituale di Maria di cui la Chiesa dice, nella sua liturgia
(8 settembre): "Il Signore mi ha formata fin dall'inizio delle sue vie". Le due liste degli Evangelisti pos-
sono dunque terminare come segue:
S. Luca S. Matteo
Résa nato verso il 536 Abiud nato verso il 536
Joanna 508 2E escluso 508
Giuda 480 3E escluso 480
Giuseppe 452 4E escluso 452
Séméi 424 5E escluso 424
Mathathias 396 6E escluso 396
Mahath 368 7E escluso 368
Naggé 340 8E escluso 340
Hesli 312 9E escluso 312
Nahum 284 10E escluso 284
Amos 256 Eliacim 256
Mathathias 228 Azor 228
Giuseppe 200 Sadoc 200
Janné 172 Achim 172
Melchi 144 Eliud 144
Lévi 116 Eléazar 116
Mathat 88 Mathan 88
Héli 60 Jacob 60
Giuseppe 32 Giuseppe 32
Gesù Cristo nato nel 4 Gesù Cristo nato nel 4
Si è detto e ripetuto che S. Matteo, enumerando gli antenati di Gesù, aveva, secondo un
costume mnemotecnico degli Orientali, deliberatamente sacrificato un certo numero di
anelli della catena genealogica per ottenere dei multipli di 7 (3 volte 14). Il presente
studio mostra che non è stato questo il suo scopo: ogni tipo di eliminazione ha la sua
causa propria, e questa è di origine legale. Anche S. Luca aveva trovato un numero
d'anni multiplo di 7 (77), senza, del resto, curarsi di specificarlo, e anche la sua genea-
logia era incompleta per una ragione di legalità. Tuttavia, dopo la restituzione dei man-
canti, si constata che, senza averlo cercato, la genealogia secondo S. Matteo comprende
ancora un numero d'anni multiplo di 7 (7x9=63). Quella di S. Luca si trova aumentata di
3 volte 3, la cifra della SS. Trinità. Non si tratta più di sapienti combinazioni: qui c'è più
che delle coincidenze. Non è senza ragione che i Giudei consideravano la cifra 7 come
118
sacra. Dio, che ha fatto tutto con numero, peso e misura, ha avuto le sue ragioni per fare
la scelta del numero 7.
La disposizione settenaria si ritrova ancora in altre genealogie che non sono state fatte
per i bisogni della causa e che ognuno può controllare. Così, la prima razza dei re di
Francia, a partire da Clovis, conta 28 re, se si sommano quelli delle diverse branche, e
14, se si eliminano i sincronismi; la seconda 14; la terza, 14, e si chiude con 3 fratelli; la
quarta (ivi compreso il re della Lega) 14, e si chiude ugualmente con 3 fratelli; la quinta
è di 7 re di cui i 3 ultimi sono fratelli. Delle note non meno caratteristiche sono state fat-
te per i Papi e gli imperatori dal Rev. P. Placet99. Un misticismo ben compreso dei nu-
meri, lungi dal deviare le ricerche, serve piuttosto a illuminarle. Ciò è detto per quelli
che hanno la fobia della mistica dei numeri.
Noi non ci attarderemo a datare gli avvenimenti di interesse biblico che hanno seguito la
caduta di Gerusalemme; essi sono conosciuti e generalmente ben datati (a un anno cir-
ca); si possono trovare nei manuali. Abbiamo ugualmente lasciato da parte dei disaccor-
di secondari tra diverse parti della Bibbia dovuti in maggior parte a un errore nella copia
delle cifre.
Molto numerose furono le guerre tra i Giudei e i loro vicini, quali i Siriani, e di cui la
Bibbia non indica le date. Può darsi che sui monumenti stranieri, come la stele di Mesa,
si ritrovino presto o tardi delle indicazioni molto precise per datare questi avvenimenti.
Siamo certi che la cronologia biblica, così come noi l'abbiamo stabilita, permetterebbe
di introdurvi queste indicazioni nuove senza sconvolgere niente del resto, a condizione
naturalmente che i fatti nuovi siano anch'essi ben datati e non secondo delle cronologie
gonfiate come lo sono state fin qui tutte quelle dei popoli antichi. Noi abbiamo del resto
rettificato queste ultime in molte parti delle nostre opere alle quali chi vuole potrà rife-
rirsi: Cronologia dell'Egitto faraonico, il Libro dei Nomi dei Re d'Egitto, Sintesi
Preistorica e schizzo Assiriologico, Il vero Volto dei Figli di Heth, e Luci su Cre-
ta100.
Ecco, per esempio, il caso della battaglia ingaggiata da Abramo contro Amrafel, Arioc,
Codorlaomer e Tideal (Gen. XIV). Vigouroux ha già fornito su questo argomento interes-
santi chiarimenti nella sua Bibbia Poliglotta (Tomo 1, p. 69, nota). Noi ne abbiamo aggiunti
altri nel nostro Tomo 2 de Sintesi Preistorica e schizzo Assiriologico, pag. 533, 537,
da 544 a 547 (del manoscritto), e mostrato con quale facilità si incastrano i racconti biblico
e sumerico quando le rispettive cronologie sono esattamente messe a punto.
Conclusione
La cronologia biblica dunque esiste; essa è in perfetto accordo con i fatti e con quelle
delle altre nazioni, se ben interpretate, giacché queste ultime hanno bisogno di esserlo;
troppo facilmente si sono letti anni per giorni. Essa dà al Libro Santo un carattere stori-
co rigoroso; autentifica la S. Scrittura, ed è già per se stessa una prova della verità della
Rivelazione: se i fatti sono esattamente datati, vi sono grandi possibilità che siano esat-
tamente riportati anche se sono di ordine soprannaturale. Passiamo dunque allo studio
del testo biblico.
LA GENESI
120
LA CREAZIONE
c i scusiamo innanzitutto di riprendere qui gran parte di quello che abbiamo scritto
all'inizio del tomo 2 del nostro lavoro intitolato Galileo aveva torto o ragione?
Trattando allora delle concezioni cosmogoniche esposte nella Bibbia per compararle ai
dati astronomici puramente scientifici, abbiamo dovuto necessariamente riesaminare a
fondo i testi biblici relativi.
Adesso, noi ci situiamo a un punto di vista più generale di ritraduzione corretta dell'e-
braico, e se tocchiamo le questioni astronomiche, esse non si trovano meno comprese in
questo nuovo studio. Ma l'infatuazione che i racconti della S. Scrittura hanno sempre
sollevato nel pubblico, ci permette di pensare che è qui il caso di ripetere con Horace:
"Bis repetita placent".
La Genesi
I Giudei designano la prima parte del libro di Mosè con la sua prima parola "Berésith",
che si è tradotta generalmente "In principio". La Volgata prosegue101:
Genesi 1
Nel principio Iddio creò il cielo e la terra. E la terra era una cosa deserta e vacua; e tenebre erano sopra la faccia dell'abisso.
E lo Spirito di Dio si moveva sopra la faccia delle acque. E Iddio disse: Sia la luce. E la luce fu. E Iddio vide che la luce era
buona. E Iddio separò la luce dalle tenebre. E Iddio nominò la luce Giorno, e le tenebre Notte. Così fu sera, e poi fu mattina,
che fu il primo giorno.
Poi Iddio disse: Siavi una distesa tra le acque, la quale separi le acque dalle acque. E Iddio fece quella distesa: e separò le
acque che son disotto alla distesa, da quelle che son disopra d'essa. E così fu. E Iddio nominò la distesa Cielo. Così fu sera, e
poi fu mattina, che fu il secondo giorno.
Poi Iddio disse: Sieno tutte le acque, che son sotto al cielo, raccolte in un luogo, ed apparisca l'asciutto. E così fu. E Iddio
nominò l'asciutto Terra, e la raccolta delle acque Mari. E Iddio vide che ciò era buono. Poi Iddio disse: Produca la terra erba
minuta, erbe che facciano seme, ed alberi fruttiferi che portino frutto, secondo le loro specie; il cui seme sia in esso, sopra la
terra. E così fu. La terra adunque produsse erba minuta, erbe che fanno seme, secondo le loro specie, ed alberi che portano
frutto, il cui seme è in esso, secondo le loro specie. E Iddio vide che ciò era buono. Così fu sera, e poi fu mattina, che fu il
terzo giorno.
Poi Iddio disse: Sienvi de' luminari nella distesa del cielo, per far distinzione tra il giorno e la notte: e quelli sieno per segni,
e per distinguer le stagioni e i giorni e gli anni. E sieno per luminari nella distesa del cielo, per recar la luce in su la terra. E
così fu. Iddio adunque fece i due gran luminari (il maggiore per avere il reggimento del giorno, e il minore per avere il reg-
gimento della notte), e le stelle. E Iddio li mise nella distesa del cielo, per recar la luce sopra la terra, e per avere il reggi-
mento del giorno e della notte, e per separar la luce dalle tenebre. E Iddio vide che ciò era buono. Così fu sera, e poi fu mat-
tina, che fu il quarto giorno.
Poi Iddio disse: Producano le acque copiosamente rettili, che sieno animali viventi; e volino gli uccelli sopra la terra, e per la
distesa del cielo. Iddio adunque creò le grandi balene, ed ogni animal vivente che va serpendo; i quali animali le acque pro-
dussero copiosamente, secondo le loro specie; ed ogni sorta di uccelli che hanno ale, secondo le loro specie. E Iddio vide che
ciò era buono. E Iddio li benedisse, dicendo: Figliate, moltiplicate, ed empiete le acque ne' mari; moltiplichino parimente gli
uccelli sulla terra. Così fu sera, e poi fu mattina, che fu il quinto giorno.
Poi Iddio disse: Produca la terra animali viventi, secondo le loro specie; bestie domestiche, rettili e fiere della terra, secondo
le loro specie. E così fu. Iddio adunque fece le fiere della terra, secondo le loro specie; e gli animali domestici, secondo le
loro specie; ed ogni sorta di rettili della terra, secondo le loro specie. E Iddio vide che ciò era buono.
Poi Iddio disse: Facciamo l'uomo alla nostra immagine, secondo la nostra somiglianza; ed abbia la signoria sopra i pesci del
mare, e sopra gli uccelli del cielo, e sopra le bestie, e sopra tutta la terra, e sopra ogni rettile che serpe sopra la terra. Iddio
adunque creò l'uomo alla sua immagine; egli lo creò all'immagine di Dio; egli li creò maschio e femmina. E Iddio li benedis-
se, e disse loro: Fruttate e moltiplicate, ed empiete la terra, e rendetevela soggetta, e signoreggiate sopra i pesci del mare, e
sopra gli uccelli del cielo, e sopra ogni bestia che cammina sopra la terra.
Oltre a ciò, Iddio disse: Ecco, io vi do tutte l'erbe che producono seme, che son sopra tutta la terra; e tutti gli alberi fruttiferi
che fanno seme. Queste cose vi saranno per cibo. Ma a tutte le bestie della terra, ed a tutti gli uccelli del cielo, ed a tutti gli
animali che serpono sopra la terra, ne' quali è anima vivente, io do ogni erba verde per mangiarla. E così fu. E Iddio vide
tutto quello ch'egli avea fatto; ed ecco, era molto buono. Così fu sera, e poi fu mattina, che fu il sesto giorno.
Genesi 2
Così furono compiuti i cieli e la terra, e tutto l'esercito di quelli. Ora, avendo Iddio compiuta nel settimo giorno l'opera sua,
la quale egli avea fatta, si riposò nel settimo giorno da ogni sua opera, che egli avea fatta. E Iddio benedisse il settimo gior-
no, e lo santificò; perciocché in esso egli s'era riposato da ogni sua opera ch'egli avea creata, per farla.
Tali furono le origini del cielo e della terra, quando quelle cose furono create, nel giorno che il Signore Iddio fece la terra e il
cielo; e ogni albero ed arboscello della campagna, avanti che ne fosse alcuno in su la terra; ed ogni erba della campagna,
avanti che ne fosse germogliata alcuna; perciocché il Signore Iddio non avea ancora fatto piovere in su la terra, e non v'era
alcun uomo per lavorar la terra. Or un vapore saliva dalla terra, che adacquava tutta la faccia della terra. E il Signore Iddio
formò l'uomo del la polvere della terra, e gli alitò nelle nari un fiato vitale; e l'uomo fu fatto anima vivente. Or il Signore
Iddio piantò un giardino in Eden, dall'Oriente, e pose quivi l'uomo ch'egli avea formato. E il Signore Iddio fece germogliar
dalla terra ogni sorta d'alberi piacevoli a riguardare, e buoni a mangiare; e l'albero della vita, in mezzo del giardino; e l'al-
bero della conoscenza del bene e del male. Ed un fiume usciva di Eden, per adacquare il giardino; e di là si spartiva in quat-
tro capi. Il nome del primo è Pison; questo è quello che circonda tutto il paese di Havila, ove è dell'oro. E l'oro di quel paese
è buono; quivi ancora si trovano le perle e la pietra onichina. E il nome del secondo fiume è Ghihon; questo è quello che cir-
conda tutto il paese di Cus. E il nome del terzo fiume è Hiddechel; questo è quello che corre di rincontro all'Assiria. E il
quarto fiume è l'Eufrate.
Il Signore Iddio adunque prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, per lavorarlo, e per guardarlo. E il Signore Iddio co-
mandò all'uomo, dicendo: Mangia pur d'ogni albero del giardino. Ma non mangiar dell'albero della conoscenza del bene e del
male; perciocchè, nel giorno che tu ne mangerai per certo tu morrai.
Il Signore Iddio disse ancora: È non è bene che l'uomo sia solo; io gli farò un aiuto conveniente a lui. Or il Signore Iddio,
avendo formate della terra tutte le bestie della campagna, e tutti gli uccelli del cielo, li menò ad Adamo, acciocché vedesse
qual nome porrebbe a ciascuno di essi; e che qualunque nome Adamo ponesse a ciascuno animale, esso fosse il suo nome. E
Adamo pose nome ad ogni animal domestico, ed agli uccelli del cielo, e ad ogni fiera della campagna; ma non si trovava per
Adamo aiuto conveniente a lui. E il Signore Iddio fece cadere un profondo sonno sopra Adamo, onde egli si addormentò; e
Iddio prese una delle coste di esso, e saldò la carne nel luogo di quella. E il Signore Iddio fabbricò una donna della costa che
egli avea tolta ad Adamo, e la menò ad Adamo. E Adamo disse: A questa volta pure ecco osso delle mie ossa, e carne della
mia carne; costei sarà chiamata femmina d'uomo, conciossiaché costei sia stata tolta dall'uomo. Perciò l'uomo lascerà suo
padre e sua madre, e si atterrà alla sua moglie, ed essi diverranno una stessa carne. Or amendue, Adamo e la sua moglie,
erano ignudi, e non se ne vergognavano.
122
Genesi I, 1
Riprendiamo questo testo in caratteri ebraici e traduciamolo con il copto seguendo il
metodo che abbiamo esposto sopra. Il primo versetto si scrive (Gen I, 1):
Ehèlohidjm
E He L O Hî Djm
E h/ el o hi jem
E Hê El O Hi Djem
Qui Initium Facere Res Super Invenire
Quello che Inizio Fare Cosa Dell'alto Immaginare
o: Hi
Sub
Del basso
Héth Haschschômadjim
H Eth H Asch Schôm A Djim
he ey h/ as jwm a s/m
He Eth Hê Asch Djôm A Schêm
Ratio Qui Poni Suspendere Volumen Circiter Excelsus
Sistema Che Disposto Sospendere Movimento circolare Intorno a I cieli
Ouehéth Hôharèç
Oue H Eth Hô Ha Rèç
oueh he ey hw ha r/ci
Oueh He Eth Hô Ha Rêsi
Sequi Ratio Qui Consistere Sub Terra
Che segue Sistema Che Mantenersi Sotto Terra
o: Ha Rè Ç
Ha r/ [i
Ha Rê Çi
Ex Sol Auferre
Fuori da Sole Togliere
Il testo, coordinato, diviene: Avendo in primo luogo posto la Forma Esemplare, Colui
che, all'inizio, ideò di fare le cose dell'alto e quelle del basso, fece, per mezzo della Pa-
rola, il sistema che è disposto sospeso in moto circolare intorno ai cieli, poi il sistema
che si mantiene sotto, la terra, tratta dal sole.
Il primo versetto della Genesi, così restaurato, appare di una fecondità notevole. La pa-
rola iniziale della Bibbia, Beréhschidjth, debitamente analizzata, non ha solo il senso
comune di "inizio", senso già compreso nelle due prime sillabe, ma ci indica la maniera
123
in cui Dio ha proceduto alla creazione: Egli ha inizialmente posto la forma esemplare,
cioè l'archetipo.
102
É ciò che afferma San Giovanni nel prologo del suo Vangelo: "In principio era il Verbo… per
mezzo di Lui tutte le cose sono state fatte". E San Paolo lo conferma dicendo (Epistola ai Colossesi, I, 15
e s): "Egli è l'immagine dell'invisibile Dio, il primogenito di ogni creatura, poiché in lui sono state create tutte le cose,
quelle che sono nei cieli e quelle che sono sulla terra, le cose visibili e quelle invisibili: troni, signorie, principati e potestà;
tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui, Egli è prima di ogni cosa e tutte le cose sussistono in lui. Egli
stesso è il capo del corpo, cioè della chiesa; egli è il principio, il primogenito dai morti, affinché abbia il primato in ogni co-
sa... ".
Fin dalle prime parole della Bibbia, la questione dell'ateismo si trova posta. L'ipotesi di
un caos primitivo da cui sarebbe nato spontaneamente un mondo ordinato, è tanto con-
traddittoria quanto quella che farebbe nascere l'essere dal niente. L'ordine delle cose
suppone un'ordinanza preliminare e una forza realizzatrice ordinata. Il funzionamento
regolare dell'universo implica delle leggi, e dunque un legislatore. Supporre l'esistenza
di queste forze e di queste leggi nella natura stessa sarebbe attribuire alla natura non so-
lo il principio dell'ordine, dell'armonia, della finalità, ma anche un'infinità di princìpi, di
ordini, di armonie, di finalità. Giacché, perché una stessa materia iniziale, per esempio,
dovrebbe ripartirsi spontaneamente in una moltitudine di oggetti aventi forme, sviluppi,
destinazioni diverse? Ciò che esiste suppone delle forze ordinate e non cieche.
Per di più, non essendo mai stato costatato il passaggio spontaneo da una specie all'altra,
e non avendo mai potuto realizzare fin qui la transizione da una vera specie a un'altra
con le esperienze di laboratorio (che suppongono già un'intelligenza umana direttrice, e non il ca-
so), bisogna ricorrere ad una forza intelligente preesistente avente realizzato per tappe
ciò che esiste, cioè Dio.
D'altra parte, malgrado l'ordine incontestabile che vi regna, la natura non si presenta
senza tracce di scompigli profondi contrari al cammino abituale dei fenomeni ordinari,
come, per esempio, la divisione della terra in continenti, isole e banchi dispersi, allorché
tutto indica che un tempo essi sono stati uniti. Ora, chi ha potuto turbare così l'ordine
della natura, se non Quello stesso che era stato tanto potente da stabilirlo? Non ha certo
potuto essere la natura stessa che, spontaneamente, non poteva che seguire l'impulso
primo di cui era stata animata. Esistono dunque nella natura delle manifestazioni di una
volontà indipendente da lei e che la domina, dunque la prova dell'esistenza di un Dio
La terza parola della Genesi è il Nome di Dio considerato come creatore: Ehèlohîdjm:
Quello che, all'inizio, ha immaginato di fare le cose dell'alto e quelle del basso. Così la
finale Djm, considerata come un singolare e non un plurale, conferma ciò che noi ab-
biamo detto circa il ruolo dell'intelligenza di Dio nella creazione poiché jem = Djem
significa immaginare. Quanto alle cose dell'alto e a quelle del basso che Dio ha fatto, si
penserà immediatamente al cielo e alla terra, citati in seguito, ma queste cose sono in-
nanzitutto, in maniera più generale, le spirituali e le materiali, in altri termini, lo spirito
e la materia.
Tuttavia, all'origine, la materia della Via Lattea non era ancora luminosa. Ma, cosa
estremamente importante, Mosè ci dice come la galassia poteva restare sospesa nello
spazio superiore (i cieli): perché era animata da un movimento circolare. Non è tanto,
notiamolo bene, girando su se stessi che gli astri, che forse non erano ancora individua-
lizzati, si mantenevano nello spazio, ma girando in blocco attorno ai cieli.
Ci si obietterà senza dubbio che le stelle sono dette fisse e che, pertanto, non devono es-
sere animate dal movimento di rivoluzione che noi indichiamo. Ne abbiamo parlato det-
tagliatamente nel primo volume di Galileo aveva torto o ragione?103; qui menzioniamo
soltanto ciò che dice Pierre Rousseau104: "Si può immaginare per un attimo, si sono det-
ti gli astronomi, che un tale insieme (la Galassia) sia immobile? Supponiamo che i pia-
neti cessino di girare attorno al sole: si precipiteranno subito su di lui. La rivoluzione
dei pianeti è la condizione obbligatoria della stabilità del sistema solare". Ciò che è ve-
ro per i pianeti lo è anche per le stelle. La conclusione che si impone dal punto di vista
meccanico è che la Via Lattea gira in blocco per non cadere. Gli astronomi se ne sono
oggi più o meno resi conto, senza d'altronde aver determinato con sicurezza il senso e la
velocità di questa rotazione di cui essi non tengono direttamente conto nei loro calcoli.
È così che Kapteyn, di Groningue, ha determinato nella Via Lattea un doppio movimen-
to generale delle sue stelle ripartite in due gruppi che si dirigono verso due punti oppo-
sti105, il che, notiamolo bene, si spiegherebbe semplicemente con un movimento rotante
della galassia. Ora, è ciò che Mosè diceva già più di 3000 anni fa, e che non si è com-
preso: la Galassia è un sistema girante.
In seguito, Dio fece, sotto la Via Lattea, il sistema della terra tolta dal sole. Mentre La-
place (che non aveva bisogno dell'ipotesi Dio) faceva uscire il mondo da una nebulosa genera-
le primitiva (venuta non si sa da dove) che sarebbe andata condensandosi sempre più (non si
sa perché) abbandonando successivamente (si ignora come) degli anelli di materia che si sa-
rebbero in seguito (per quale processo?) riuniti in bolle costituenti i pianeti, il cui residuo
finale della condensazione sarebbe il sole, Mosè ci dice esattamente il contrario: la terra
è uscita dal sole.
Ora, gli astronomi, dopo avere per lungo tempo (e talvolta anche fino ad oggi quando
non hanno trovato di meglio) insegnato l'ipotesi di Laplace, sono generalmente del pare-
re che essa è insostenibile. Wolf106 scrive: "L'ipotesi cosmogonica nebulare che le opere
di volgarizzazione scientifica hanno il torto di presentare troppo sovente come un dato
acquisito e fondamentale dell'astronomia, si riduce in definitiva a delle congetture alle
quali noi non possiamo dare oggi nessuna base assolutamente seria". Riassumendo uno
studio di un altro astronomo, Wolf prosegue: "Pertanto, aggiunge M. Faye, l'ipotesi co-
smogonica di Laplace, fondata su un errore di teoria, messo in piena evidenza dai fatti,
è inaccettabile". Ma, rimarca Wolf: "bisogna riconoscere che le supposizioni con le
quali si è cercato di rimpiazzare gli anelli di Laplace non sono molto felici". Benché se
ne cerchi ancora il come, la tendenza attuale in astronomia è del tutto opposta e mira a
far uscire i pianeti, e di conseguenza la terra, dal sole. Questo, Mosè, non aveva atteso
noi moderni per dirlo!
Nel tomo 1 del nostro libro Galileo aveva torto o ragione? noi abbiamo mostrato in
dettaglio come Dio ha dovuto procedere per far uscire i pianeti dal sole; dunque qui non
faremo che riassumere quelle spiegazioni. Dio ha portato l'astro centrale alla sua veloci-
tà critica, cioè a quella in cui la forza centrifuga, nata dalla rotazione dell'astro su se
stesso, fa equilibrio alla forza centripeta emanante dalla sua massa e da dove, per con-
seguenza, un punto esterno del sole, non essendovi più trattenuto, è suscettibile di di-
staccarsene. Questa velocità è di circa 437,5km/sec; siccome attualmente è di 1,996km, si
vede che il sole ha dovuto girare su se stesso circa 220 volte più veloce di oggi. Arrivato
a questo punto, Dio ha bruscamente inclinato di un piccolo angolo l'asse del sole; una
parte della superficie, trovandosi così scentrata, ha girato più veloce, e una particella si è
staccata dall'astro per formare un pianeta. Questo pianeta, animato alla partenza in rota-
zione della velocità critica del sole, ossia 437,5km/sec circa, si è messo in seguito a ruota-
re attorno all'astro centrale con un movimento elicoidale fino a raggiungere l'orbita che
la sua forza ascensionale particolare gli assicurava; ma più si allontanava, più la sua ve-
locità di traslazione diminuiva. Noi abbiamo determinato la legge di decrescita di questa
velocità; essa è data dalla formula K=V D , dove K è la velocità critica del sole, V la
velocità di traslazione del pianeta sulla sua orbita attuale, D la sua distanza dal sole de-
terminata prendendo il raggio del sole come unità di misura. Le velocità dei pianeti
hanno un valore tale che se noi le supponessimo riportate alla superficie del sole, essi
pianeti vi girerebbero tutti alla sua velocità critica: 437,5km/sec; è dunque evidente che i
pianeti sono usciti dal sole girante a questa velocità, e siccome l'astro del giorno non ha
potuto da se stesso (è un principio di meccanica) portarsi a questa velocità e poi renderla
220 volte meno forte, bisogna pur che sia stato Dio, autore di ogni movimento, a inter-
venire in queste circostanze.
Ma Mosè precisa che la terra si mantiene al disotto del sistema galattico. Questa espres-
sione sembra indicare che la terra era stabile nella posizione che andò ad occupare fin
dalla sua uscita dal sole. Di colpo eccoci, fin dalle prime parole della Bibbia, al nodo
della questione capitale dell'astronomia: la terra, gira attorno al sole fisso, come soste-
neva Galileo, o è stabile al centro di tutto il sistema del mondo? L'ateo Laplace107 ha
ben marcato l'importanza di questa questione: "Galileo... pubblicando le sue scoperte...
106 - Les hypothèses cosmogoniques pag. VIII, 46, 43, Gauthier-Villars, Parigi, 1886.
107 - Exposition du système du monde, p. 317, 318, Volume II, Bachelier, Parigi, 1824.
126
fece vedere che esse dimostravano il movimento della terra; ma il pensiero di questo
movimento fu dichiarato contrario ai dogmi religiosi da una congregazione di cardina-
li; e Galileo, suo più celebre difensore in Italia, fu citato al tribunale dell'Inquisizione e
costretto a ritrattare per sfuggire a una prigione rigorosa... Si trattava di una verità
che, per noi, è del massimo interesse, per il rango che essa assegna al globo che abi-
tiamo. Se esso è, in effetti, immobile al centro dell'universo, l'uomo ha il diritto di rite-
nersi come il principale oggetto delle cure della natura; tutte le opinioni fondate su
questa prerogativa meritano il suo esame: egli può ragionevolmente cercare di scoprire
i rapporti che gli astri hanno col suo destino. Ma se la terra non è che uno dei pianeti
che circolano attorno al sole, questa terra, già tanto piccola nel sistema solare, spari-
sce interamente nell'immensità dei cieli, di cui questo sistema, per quanto vasto ci sem-
bri, non è che una parte insensibile".
Bisogna, d'altronde, diffidare dalle vedute dello spirito, giacché esse troppo spesso non
sono che superficiali. Il centro di una circonferenza non è un punto? A partire da questo
punto, non si può tracciare una circonferenza grande quanto si vuole? Il tracciato di
questa circonferenza non è tanto più preciso quanto più il punto centrale è piccolo? Per-
ché dunque Dio non avrebbe potuto mettere la piccola terra al centro di un universo
immenso? Forse che tutte le stelle che brillano sono suscettibili, malgrado il loro volu-
me, di ricevere la vita? La vita non è superiore alla materia inerte? Un piccolo pianeta
che porta la vita è dunque più importante dei miliardi di astri inabitabili. Viste dello spi-
rito per viste dello spirito, noi preferiamo le nostre, che sono di buon senso, a quelle di
un illustre matematico che avrebbe voluto al centro del mondo un astro proporzionato
alle dimensioni dell'universo.
Un'obiezione più seria, e che non ci sembra sia stata fatta, sarebbe questa: se la terra non
si sposta, perché non cade sul sole per l'effetto della gravitazione? Questa difficoltà, noi
l'abbiamo risolta pienamente nell'ultima parte del I° volume di Galileo aveva torto o
ragione?. Ne riassumeremo qui la soluzione. I pianeti presentano, nel cammino sulle
loro orbite, delle irregolarità dovute alle loro attrazioni reciproche e che si chiamano
perturbazioni. Gli astronomi le calcolano, ma esse non sono del tutto spiegate. Come ha
riconosciuto un direttore di osservatorio specializzato nelle questioni planetarie, manca,
per completarne la giustificazione, un pianeta molto grosso trans-plutoniano, difficile da
localizzare con gli strumenti ordinari degli osservatòri, a causa del debole irradiamento
della sua luce riflessa da così lunga distanza: è l'astro nero; astro ancor più necessario
del pianeta Nettuno previsto da Leverrier. Questo pianeta, come gli altri, è uscito dal so-
le; ha anzi dovuto uscirne per primo, come indica la sua oscurità, giacché, se fosse usci-
to quando l'astro centrale era alla sua temperatura massima e in piena espansione, sa-
rebbe gassoso e senza dubbio luminoso. Quando esso era ancora unito al sole, ne au-
mentava sensibilmente la massa. Ora, quando una massa rotante si divide, le sue due
parti, una volta separate, non conservano il posto occupato dal centro di gravità del
blocco unico, ma sono cacciate dalla forza repulsiva a delle distanze inversamente pro-
porzionali alle loro masse rispettive, in quanto l'elemento più leggero andrà più lontano
mentre il più pesante si allontana di meno dall'antico centro di gravità comune attorno al
quale le due masse parziali si mettono a girare.
Ora, secondo la legge di Bode come noi l'abbiamo completata, l'astro nero si troverebbe
lontano dal sole 58 volte la distanza sole-terra. L'orbita dell'astro nero si troverebbe
dunque alla distanza 57 dell'orbita della terra.
Ammettiamo ora che la massa dell'astro nero rappresenti la 57ma parte della massa del
sole. Questa cifra è molto verosimile, cifra dello stesso ordine di grandezza di quella
della massa di molti compagni oscuri di stelle doppie. In questa ipotesi perfettamente
ammissibile, giacché la maggior parte delle stelle sono doppie e sarebbe strano che il
sole fosse l'unico a non esserlo, in questa ipotesi dunque, in virtù della legge summen-
zionata, il sole si troverebbe alla distanza 1 dal centro di gravità comune, cioè a dire la
distanza sole-terra, presa da Bode per unità; la terra passerà dunque nella sua rivoluzio-
ne al centro stesso di gravità del sistema solare, e si avrà la figura seguente (dove le pro-
porzioni non sono osservate per mancanza di spazio).
l'arco T-T1 è di curvatura opposta a T1-T; in realtà, la progressione del sole e quella
della terra non sono avvenute a sbalzi, ma in maniera continua e di conseguenza insen-
sibile, infinitesimale. Facciamo dunque l'angolo T1-ST infinitamente piccolo; la figura
è teoricamente analoga, ma non c'è più alcuna distanza tra i due archi; la loro freccia è
nulla: essi si confondono sulla loro corda comune infinitamente piccola e T1 si confon-
de con T; il tempo, anch'esso, essendo infinitamente piccolo, si richiama a questa istan-
taneità; l'arco T-T1 non si forma; il punto T resta un punto; l'arco è interamente virtuale
e non reale. Ecco perché gli studiosi americani Michelson e Morley, e tutti gli studiosi
sinceri, non hanno mai potuto svelare e misurare il movimento di traslazione della terra
attorno al sole. Il problema davanti al quale gli astronomi si strappano i capelli e si per-
dono in ipotesi sragionevoli è virtualmente risolto. E quando Mosè scriveva che la terra,
uscita dal sole, si mantiene al di sotto del sistema rotante (ora anche il sistema solare binario),
era meglio istruito dei nostri più grandi astronomi. Infatti, come hanno sostenuto i giu-
dici di Galileo, è ben il sole che descrive la sua orbita nello spazio attorno a noi.
Gen. I, 2
Il secondo versetto della Genesi si scrive in ebraico:
che leggeremo:
129
Thohouo Ouôbohouo
H Thoh Ouo Ouô Boh Ouo
he yws ouw ouw bws ouw
He Thôsch Ouô Ouô Bôsch Ouô
Modus Limes Cessare Res quod attinet Denudatio Cessare
Forma Limite Mancare Attinenti Stato di spogliamento Mancare
Thehooum Oueharouoach
Theho Oum o ancora: Theh O Oum Oue Ha Rouo Ach
y/ou iom yeq w iom oueh ha rouw as
Thêou Iom Thekh Ô Iom Oueh Ha Rouô Asch
Ventus Mare Miscére Magna Mare Sequi Contra Loqui Quantus
Venti Mare Riunire Grande Mare In seguito Verso Parlare Molto numerosi
Penédj Hammadjim
Pe Né Dj Hamma Djim
p/ ne ji amaiou jin
Pe Ne Dji Amaiou Djin
Ille Sunt Occupare Aquae Adhuc
Questi Sono Occupare Acque Per ora
ossia, in testo coordinato: "(Questa), proveniente dal suo distacco dal sole, era in segui-
to costituita in forma generica di globo; mancava di limiti, mancava delle cose che le
stanno sopra, era in uno stato di spogliamento. Delle tenebre erano imposte all'inizio
sul grande mare unito, molto fortemente agitato in tutti i sensi dai venti. Ehèlohidjm
emise in seguito delle parole molto numerose verso questo luogo per farvi diffondere
una moltitudine di esseri, affinché questi fossero per il momento gli occupanti delle ac-
que".
Questo testo ci mostra un Mosè molto al corrente delle leggi della meccanica; egli sa
130
che la terra, all'uscita dal sole, doveva prendere la sua posizione di equilibrio in forma di
sfera regolare e che, di conseguenza, era nuda, senza che le montagne vi siano ancora
venute a segnare dei rilievi e mettere dei limiti tra le acque e la terra asciutta, senza che
essa possa supportare tutte quelle cose che si son viste in seguito. Lungi che l'espressio-
ne Thohouo Ouôbohouo, di cui noi abbiamo fatto tohu-bohu, abbia marcato il caos,
una confusione generale o un disordine universale, come si crede generalmente, è al
contrario l'indicazione della regolarità geometrica che aveva primitivamente il nostro
globo.
D'altra parte, il raffreddamento dei materiali costituenti questo globo ebbe per effetto la
condensa dei vapori in acqua che, per la stessa ragione di equilibrio, ricoprirono tutta la
superficie della terra; era l'oceano universale, la panthalassa dei geografi, il grande
mare riunito di Mosè. Non essendo ancora apparsa la luce, le acque erano tenebrose.
D'altra parte, le differenze di temperatura esistenti tra le diverse regioni del globo a cau-
sa del loro raffreddamento differenziale, conseguenza della forma sferica della massa
girante, creavano in superficie le correnti atmosferiche violente che ha annotato Mosè.
Tutto ciò è in perfetto accordo con i dati della ragione e le induzioni della scienza.
Mosè dice che quei venti non erano altro che dei movimenti violenti dell'atmosfera e
che non sono i venti che hanno fecondato le acque, bensì le molte parole creatrici di
Ehèlohidjm che vi fecero diffondere una moltitudine di esseri, primi occupanti delle ac-
que e di conseguenza del globo. Ora, questo dato è ancora in accordo con le costatazioni
della geologia che ha scoperto nei terreni primari, e fin dal precambriano, le tracce "di
numerosi fossili che testimoniano che la vita era diffusa a profusione nelle acque mari-
ne che li hanno deposti"109. Anteriormente, le osservazioni sono più difficili a causa del-
le fusioni estese e dei rimaneggiamenti profondi che ha subìto la scorza primitiva, ma
doveva essere lo stesso. Agassiz scriveva: "É ora dimostrato che tutte le classi di ani-
mali invertebrati sono apparse nello stesso tempo sulla superficie del globo, e che esse
risalgono alle epoche geologiche più antiche110".
Gen. I, 3
:
Ebraico: Ouadjihomèr Ehèlohidjm Djehihadj
Ebraico: Ouadji Ho Mèr Ehèlohidjm Dje Hih Adj
Copto: ouaji ho m/r je ahe ej
Copto: Ouadji Ho Mêr Ehèlohidjm Dje Ahe Edj
Latino: Sanus Visio Ultra Ehelohidjm Dicere Etiam Sermo
Italiano: Saggio Vedere Più lontano Ehèlohidjm Dire Di nuovo Parola
109 - Cours élémentaire de géologie, Velain, p. 247, Masson e Cie, Parigi, 1899.
110 - La durée des temps géologiques, Gagnebin, p. 13, Bin Universale, Losanna, n° 52.
131
Ossia in testo coordinato: Vedendo saggiamente più lontano, Elohidjm disse di nuovo
questa parola: Si faccia giorno! Dal tempo in cui la Parola fu emessa, si è fatto giorno.
Se questo testo non appare molto esplicativo, non lo si deve a Mosè ma alla successiva
divisione in versetti e che non sempre è molto felice. I due versetti seguenti ci apportano
i chiarimenti utili. Di questo, riteniamo solo che Dio non dice: "Che la luce sia!" o, co-
me si dice talvolta: "Che si abbia la luce!", ma semplicemente: "Che faccia giorno!".
Ora, si fa giorno fin dall'alba; si tratta dunque di una luminosità tenue, e non di piena lu-
ce. É ciò che rivela la geologia riguardo ai tempi primitivi della terra: essa non riceveva
allora che una luce diffusa. Forse ci si obietterà che il sole è necessario alle piante, che
appaiono fin dalle prime epoche geologiche. Ecco ciò che risponde l'abate Brevet111:
"Una forte luce solare non è assolutamente necessaria alle parti verdi dei vegetali; una
mezza luce produce sovente più effetto che dei raggi più brillanti... É unicamente per la
produzione delle parti colorate in blu, giallo, rosso, violetto, come avviene nei fiori, che
la luce è assolutamente indispensabile, e può essere fornita anche da una sorgente di-
versa dal sole. Ma siccome non conosciamo... nel passato, altra sorgente di luce, pos-
siamo concludere che, il giorno in cui i fiori si mostrarono, il sole aveva già la luce at-
tuale, il che ebbe luogo, secondo i dati della paleontologia, verso la metà delle forma-
zioni cretacee, cioè nel periodo cenomaniano".
Gen. I, 4
Passiamo al versetto 4, che è scritto:
Coordinando il testo, viene: Ehèlohidim osservò saggiamente che il sistema che faceva
un giorno sufficiente era una cosa pura. Saggiamente, Egli assemblò queste luci in
mansioni. In questo modo, Ehèlohidjm mise a parte ciò che costituiva un giorno suffi-
ciente da ciò che restava nelle tenebre.
La documentazione sulla natura della luce si precisa. Mosè ci dice ora che questa non
era ancora la grande luce del sole, ma un sistema che produceva un giorno sufficiente;
era ciò che il poeta chiama: "Quell' oscura luminosità che scende dalle stelle" e che, in
Oriente, raggiunge tutta la sua limpidezza. Come, la Via Lattea, fino ad allora anello di
materia oscura, è diventata ciò che conosciamo ora? É evidentemente producendo al suo
interno dei centri di rotazione agglomerativa, come ci mostrano ancora le nebulose a di-
versi stadi della loro concentrazione, che Dio vi formò le miriadi di stelle che vi si tro-
vano.
Queste particelle sarebbero in qualche modo una specie di "fulmini in bottiglia", dell'e-
nergia in rotazione sferoidale, ed è questo stato di rotazione su se stessa che darebbe alla
materia la sua inerzia, la sua massa; massa che sarebbe proporzionale a questa velocità
interna le cui variazioni avrebbero prodotto le differenze di densità che si constatano tra
i corpi. Sarebbe così bastato che Dio facesse girare più veloci su se stesse le particelle
che dovevano costituire il nucleo di ciascun astro per dar loro una massa più grande e,
di conseguenza, formarne dei centri d'attrazione in un certo campo riunente il campo
d'attrazione delle stelle vicine. W. Thomson114 è, anche lui, arrivato alla conclusione
della necessità di una "rotazione inerente e preesistente nelle molecole di materia".
Ora, già per il solo fatto dell'agglomerazione delle particelle materiali in seno a una stel-
la, doveva prodursi un accrescimento della temperatura, così come, in misura molto in-
feriore, l'ha costatato Weyher115 nei suoi vortici. Ma, inoltre, la rotazione globale della
stella una volta formata si produce, come si vede nel sole, con delle velocità differenzia-
li tra i poli e l'equatore; ne conseguono dei movimenti di convezione, degli attriti interni
la cui intensità è proporzionale alla velocità di rotazione dell'astro e può facilmente por-
tarlo all'incandescenza se la velocità è abbastanza elevata. É verosimilmente così che la
Via Lattea è divenuta luminosa. "Halley, dice Wolf116, era stato colpito dai fenomeni
(delle nebulose) che egli credeva propri a spiegare una cosa che sembra difficile da ca-
pire nel libro della Genesi, cioè che la luce fu creata prima del sole".
Tuttavia, la parte dell'energia preesistente che non fu messa da Dio in rotazione sferoi-
dale ha dovuto restare in un certo stato di indifferenza, di non agglomerazione e, di con-
seguenza, di non riscaldamento: essa restò tenebrosa. Il nome stesso di tenebre: Schèkè
o Chaki = ,aki, lo lascia chiaramente intendere se tradotto con il copto:
,/ k/ o ancora: ka
Chê Kê Ka
Poni Languidum esse, Relinqui, Remissus Sinere, Dimittere
Posto Essere inattivo, Lasciato in riposo, Disteso Lasciar libero di; Inviare da parte.
Questa situazione della parte dell'energia non materializzata sarebbe, pertanto, quella
dell'etere che, teoricamente, deve realizzare la condizione di un fluido perfetto, cioè di
una mobilità assoluta, senza alcun sfregamento perché senza nessuna attrazione, di
un'indifferenza perfetta che lascia libero gioco ai corpi che vi si spostano.
Potrebbe esser considerato che questo stato di instabilità era all'origine quello di tutta
l'energia di cui è costituito l'universo, e che è procedendo a dei prelevamenti su questa
energia di attesa che Dio ne avrebbe messo una parte in rotazione: la parte materiale. La
scienza presagisce ora che "l'etere è nello stesso tempo il substrato della materia117".
W. Thomson, Wickert e Larmor, pensano che la materia non è che dell'etere in movi-
mento vorticoso. Non essendo il volume totale dell'energia modificato dai prelevamenti
di materia operati su di essa, questa materia non avrebbe da farsi posto nell'etere e po-
trebbe muovervisi senza resistenza a condizione che le sia impresso un movimento di
spostamento, giacché da se stessa, essendo stabile per il fatto della sua costituzione, non
potrebbe spostarsi al di fuori di una agglomerazione, peraltro provocata. Qualsiasi mo-
vimento iniziale della materia nello spazio, come degli astri su se stessi, ogni loro cam-
biamento di direzione e di velocità, suppone dunque necessariamente un intervento del
Creatore.
Mosè ci dà ancora il dettaglio che Dio assemblò le stelle in mansioni. Quando dunque i
primi astronomi hanno raggruppato le stelle in figure alle quali diedero dei nomi, anche
se questi raggruppamenti furono più o meno fantasiosi, essi erano tuttavia in una certa
logica. Anche Giobbe dice, secondo la Volgata (cap. XXXVIII, vv 6 e 7): "(Dimmi) su cosa le basi
(della terra) sono state fissate o chi ha posto la sua pietra angolare quando gli astri del mattino mi lodavano tutti insieme e
tutti i figli di Dio erano trasportati di gioia?"
117 - Temps, espace, relativité, Metz, pag. 24, Beauchesne, Parigi, 1928.
134
Djachad Hakkooukebêdj
Djac Had Hak Koou Ke Bédj
jac hat hwc ciou ke ab/t
Djas Hat Hôs Siou Ke Abêt
Exaltare Argentum Torques Astrum Varius Mansio
Elevare Argento Collare Astro Diverso Mansione
Boqèr Ouadjiôridjhouo
Boq Èr Ouadji Ô R Idj Houo
pwsc er ouaji o r ej houo
Pôschs Er Ouadji O R Edj Houo
Admiratio Facere Sanus Res Facere Sermo Copiose
Ammirazione Fare Saggio Cose Produrre Parole Largamente
ossia in testo continuo: Comprendi tu in virtù di che cosa il globo terrestre gira rego-
larmente sospeso sulle sue estremità; il caldo e il freddo si spandono successivamente,
e la pioggia; di quale natura sono le forze che regolano la caduta del filo a piombo [il
filo conduttore], che governano il cambiamento delle stagioni, che producono le tempe-
ste, che hanno elevato il collare d'argento degli astri in diverse mansioni?118 Queste co-
se, prodotte saggiamente dalla Parola, hanno fatto l'ammirazione dei rampolli (angeli)
emessi dalla parola di Ehèlohidjm che vi hanno applaudito largamente.
Questo testo differisce sensibilmente da quello della Volgata che è evidentemente ine-
satto: la terra non è fissata su delle basi e, essendo sferica, non ha una pietra angolare:
non è una casa. Il vero senso è ben più ricco: Giobbe sa che la terra è un globo, che è
sospesa nello spazio e che gira sui suoi poli. Molti secoli prima di Newton egli si chiede
quali sono le leggi di caduta dei pesi e qual è la natura della gravitazione che manifesta
la direzione del filo a piombo. Egli va ben oltre, e pone la questione delle forze che
hanno innalzato non solo gli astri del mattino (giacché al mattino gli astri svaniscono e non si
percepisce più che per poco Venere), ma il collare d'argento degli astri nelle loro diverse man-
sioni. Giobbe non crede, come i popoli dell'antichità pagana, che la Via Lattea è fatta
del latte uscito dal seno di una dea, ma sa che, malgrado la sua apparenza continua che
la fa assomigliare ad un collare d'argento, essa è formata delle stesse stelle che si distin-
guono nei suoi dintorni, e che queste stelle sono raggruppate in figure. Ora, è appunto
quello che comincia solo ora a intravedere l'astronomia moderna.
Il versetto 7 di Giobbe termina con la constatazione che queste cose hanno suscitato
l'ammirazione dei figli emessi dalla Parola di Ehèlohidjm, che vi hanno applaudito lar-
gamente. Questi figli della Parola di Ehèlohidjm che esistevano già prima della creazio-
ne della Via Lattea non potevano essere gli uomini, i quali furono gli ultimi esseri creati
da Dio; erano dunque gli angeli, gli spiriti celesti. E la loro creazione ci mette in presen-
za di un terzo modo dell'energia. Oltre all'energia in rotazione, la materia, Dio aveva
prelevato, senza dubbio sull'energia di attesa, l'etere, un'energia organizzata in forze spi-
rituali che Egli ha dotato di attività propria andante dal semplice movimento di crescita
alla libertà di azione, e che possiamo riassumere in una parola: le forme. É questo tipo
di energia che fa sì che, malgrado la potenza attrattiva della massa terrestre, i pianeti
escano dal sole e si elevino ciascuno all'altezza propria alla sua specie; che fa che l'uo-
mo non strisci sul ventre appiattito dalla gravitazione, ma stia in piedi nella sua statura
normale; e, più ancora, spiega perché egli può tenere il filo a piombo sospeso malgrado
l'attrazione del globo; che permette a questo misero abitante del pianeta di trasportare
istantaneamente il suo pensiero negli spazi immensi; che fa infine che gli angeli, mini-
stri di Dio, possano manifestare immediatamente la loro azione a qualsiasi distanza.
Queste forze spirituali, che la scienza astronomica ignora, pongono nel mondo dei pro-
blemi trascendenti rimasti praticamente non abbordati dagli scienziati che già non vedo-
no molto chiaro nella materia. W. Thomson l'ha riconosciuto dicendo: "C'è un mistero
ancor più grande (dell'elettromagnetismo). Un atto di libera volontà è un mistero ben più
profondo di tutto ciò che si è mai potuto immaginare o sognare nella dinamica dell'ete-
re"120. Ma Giobbe sapeva che gli angeli assistevano alla creazione delle stelle e che, da-
vanti alle innumerevoli armonie che Dio aveva realizzato, fecero esplodere la loro am-
mirazione.
"Con quale scopo, scrive sir John Herschel121, con quale scopo dobbiamo supporre che
le stelle siano state create, e che dei corpi così magnifici siano stati dispersi nell'im-
mensità dello spazio? Non certo per rischiarare le nostre notti, obiettivo che potrebbe
ottenere meglio una luna anche mille volte inferiore alla nostra, nè per brillare come
uno spettacolo vuoto di senso e di realtà, e farci smarrire in vane congetture. Questi
astri sono, è vero, utili all'uomo come dei punti permanenti ai quali egli può tutto rap-
portare con esattezza; ma bisognerebbe aver tratto ben poco frutto dallo studio dell'a-
stronomia per poter supporre che l'uomo sia il solo oggetto delle cure del suo Creatore,
e per non vedere, nel vasto e stupefacente apparato che ci circonda, delle dimore desti-
nate ad altre razze di esseri viventi".
É certo Herschel che si sbaglia sulle intenzioni del Creatore nel formare le stelle. Mosè
ci ha detto che Dio ne traeva la luce attenuata dei primi tempi, e Giobbe ci dice che, se
l'uomo ancora non c'era, vi erano, non degli esseri viventi sulle stelle in fuoco, ma puri
spiriti che a miriadi negli spazi intersiderali ne erano gli spettatori, e univano alle armo-
nie luminose degli astri i loro concerti di lodi al Creatore; il che non esclude affatto che
le stelle abbiano altri rapporti con l'umanità.
Gen. I, 5
Arriviamo così al quinto versetto della Genesi:
Ebraico: Ouadjdjiqerôh
Ebraico: Ouadj Dji Qerôh o: Q Erôh
Copto: ouaji ji keroc ke Oureh
Copto: Ouadji Dji Keros Ke Oureh
Latino: Sanus Dicere Spatium Varius Spatium
Italiano: Saggio Chiamare Spazio Differente Spazio
Ouelachschèke Ôqharôh
Oue L A Ch Schèke Ô Qharôh
ouoh le a ,/ ,aki w qarwou oppure: [wrah
Ouoh Le A Chê Chaki Ô Kharôou Çorah
Et Pars Circiter Manére Tenebrae Magna Inanis Nox
E Parte Intorno Dimorare Tenebre Grande Inoccupato Notte
Saggiamente, Ehelohidjm chiamò questi spazi diversi, la grande parte dove faceva
giorno: l'inno di gloria innalzato dagli angeli (o il giorno solenne), e la parte circostan-
te rimasta nelle tenebre: la grande inoccupata (o la grande notte) che ha fine nel siste-
ma consistente122. Ciò che, prima della Parola, era nascosto all'inizio, fu, dopo la Paro-
la, ciò che era visto alla fine. La generazione così prodotta era la prima.
Diciamo subito che la parola che si è generalmente letta Lom o Yom e tradotta
"giorno", si legge effettivamente Djooum. Ora, già in ebraico, il vero senso di questa
parola è "giorno di festa". Noi siamo dunque del tutto in tono quando traduciamo
Djooum "l'inno di gloria elevato dagli angeli"; è il giorno di festa per la venuta delle
stelle. L'ultima lettera di questa parola, M, si traduce Mittere, e Mittere è inviare dei
Missi, dei messaggeri, e la parola Angelo, in greco !((,8@H, significa appunto mes-
saggero.
Anche tradotta con la parola epoca, la parola Djooum non avrebbe un senso accettabile,
giacché non indicherebbe apparentemente delle durate uguali. Serve evidentemente me-
no tempo per separare le acque del basso da quelle dell'alto (secondo giorno) che per fare il
cielo, le stelle, il sole, la terra e le acque (primo giorno). No, quello che Mosè ha voluto
raggruppare nella prima generazione è tutto ciò che è stato fatto fino all'apparizione del-
la luce. Da notare che il copto fa comprendere il senso della parola ebraica Hèchad =
uno, che è: l'inizio delle divisioni.
Ciò che è stato tradotto tenebre, è, in realtà (l'abbiamo mostrato in precedenza), la parte che è
stata lasciata distesa, in riposo, è l'etere. Ora, Mosè precisa adesso che questa parte cir-
conda la parte luminosa; essa si estende dunque al di là delle stelle: è il mezzo dove tut-
to evolve e che è largamente rimasto inoccupato.
A questa specie di quadratura del cerchio, insolubile per gli studiosi, Mosè apporta la
soluzione: l'etere è di una mobilità, di un'indifferenza totale: esso funziona dunque come
un fluido perfetto, ma è racchiuso in un involucro rigido e ne acquisisce per contraccol-
po la rigidità. É ciò che avverrebbe racchiudendo un liquido estremamente mobile in un
vaso chiuso molto resistente e completamente pieno; un oggetto posto in un tale mezzo
potrà muovervisi senza difficoltà, ma se questo oggetto è luogo di scuotimento, esso, ri-
trovando in ultima istanza una parete resistente, la trasmissione dello scuotimento si
opererà come se il mezzo fosse rigido. Possiamo anche concepire che questa trasmissio-
ne sarà istantanea se il mezzo è assolutamente privo di inerzia.
Quanto diciamo trova la sua conferma nella Grande Enciclopedia (articolo Attrazione): "Si
è indotti a chiedersi se lo spazio non sia riempito da un fluido continuo e incompressibi-
le realizzante il tipo dei liquidi perfetti in mezzo al quale fluttuerebbero le molecole ma-
teriali. I liquidi perfetti godono della proprietà di non opporre alcuna resistenza al mo-
vimento uniforme di una sfera. Per di più, in virtù del principio di Pascal, ogni pressio-
ne esercitata in un punto di tale liquido si trasmette integralmente a tutti gli altri punti,
quale che sia la forma e la lunghezza del tragitto da percorrere, e l'incompressibilità
assoluta esige che questa trasmissione sia istantanea".
Così Mosè ci conduce ad una concezione dell'universo che è stata, più o meno coscien-
temente, quella dell'alta antichità: il cosmo è un uovo. Come l'uovo ha un guscio, il co-
smo ha un involucro quasi-sferico rigido; come l'uovo, esso ha un mezzo sostentatore, là
l'albume, qui l'etere; come l'uovo, possiede una massa interna in sospensione, la materia,
equivalente al tuorlo; così come il tuorlo ha al suo centro una vescicola germinativa, il
centro del mondo è occupato dalla terra, portatrice di vita; e non è detto che la camera
d'aria non possa figurare gli spiriti.
123 - La questione preliminare contro la teoria di Einstein, p. 11, Blanchard, Parigi, 1923.
139
comprensiva, che non possiamo neanche intravedere il minimo cartello che ci porti ver-
so una spiegazione. No, non esagero affatto; affermo solamente che noi non possiamo
attualmente immaginarla. Ma tra un anno, tra dieci, tra cento, non ci saranno proba-
bilmente più difficoltà di quante ne abbiamo ora per capire questo bicchiere d'acqua,
che sembra adesso così chiaro e così semplice. Non ho alcun dubbio che queste cose,
che ci sembrano tanto misteriose, non lo saranno più, che le scaglie ci cadranno dagli
occhi; che imparereremo a vedere diversamente le cose; che allora tutto ciò che è at-
tualmente difficoltà sarà molto semplicemente il buon senso e la maniera intelligibile di
affrontare il soggetto".
Il cartello richiesto esiste da più di 3000 anni: è Mosè che l'ha tracciato; ma l'ha fatto in
una lingua che è stata letta di traverso, quando non le si passava davanti deridendola.
Così, conseguentemente al loro malvolere e ai loro smarrimenti, gli Ebrei hanno vagato
per 40 anni nel deserto quando avrebbero potuto entrare subito nel vicino paese dove
scorreva il latte, il miele e il vino.
Ci resta da dire una parola sul versetto 5 della Genesi. L'abate Glaire, secondo San Ge-
rolamo, l'ha terminato con le parole: "e di una sera e di una mattina si fece un giorno unico". Si traduce
anche più semplicemente l'ebraico: "e fu sera, e fu mattino; un giorno". Questo ha l'aria coerente:
in ciascuno dei nostri giorni vi è una sera e una mattina, un tempo di oscurità e uno di
luce. Se il primo periodo della creazione è durato un giorno, è logico che questo giorno
abbia avuto una sera ed un mattino; questo dovette essere anche un argomento per quelli
che pretendevano che i giorni della creazione erano di 24 ore. Sì, ma, l'abbiamo mostra-
to, questi pretesi giorni non esistono come tali. Essi suppongono d'altronde un sole bril-
lante che apparirà solo alla quarta generazione; in mancanza, essi implicano una spari-
zione delle stelle che non hanno alcuna ragione di spegnersi e di riaccendersi. Molte
brave persone hanno preteso che la parola giorno doveva essere intesa come la giornata
di lavoro di un operaio; evidentemente, in questo caso, il divino Operaio, affaticato dal
suo lavoro, ha dovuto andare a dormire la sera per potersi rimettere al lavoro l'indomani
mattina. Era facile agli increduli volgere in ridicolo tali interpretazioni. Il vero senso è
tutt'altro: non si tratta né di sera né di mattina, ma: "Ciò che, prima della Parola, era
nascosto all'inizio fu, dopo la Parola, ciò che era visto alla fine". E questo si spiega da
sé: ciò che era all'inizio nascosto nel pensiero di Dio fu realizzato quando Egli ebbe
espresso questo pensiero.
Gen. I, 6
Il sesto versetto concerne una nuova operazione; è scritto in lettere ebraiche:
Rôqidjga
Hidj Rô o: o ancora: Qidj Ga oppure:
hit ro lwou laou k/t qa bi
Hit Rô Lôou Laou Kêt Kha Bi Ha Ouah
Injicere Filum Annulus Velum Convertere Super Intumescere Ad Movere
Emettere Scia Anello Velo Far girare In alto Sollevare come pasta Fino Muovere
Mabeddidjl Bédjn
Ma Beddi Djl Bédj N
ma v/tte (vi]) j/r pes n
Ma Phêtte (Phiti) Djêr Pesch N’
Da Arcus caelestis Varius Dividere Qui
Da Arcobaleno Di diversi colori Separare Che
Madjim Lômadjim
Ma Djim Lô Ma Djim
mau s/m lo mau s/m
Mau Schêm Lo Mau Schêm
Aqua Per partes Cessare Aqua Per partes
Acqua Parte Cessare di agire Acqua Parte
Mosè qui ci parla un linguaggio ben diverso da quello che gli hanno fatto dire; non si
tratta più di un firmamento chiamato cielo separante le acque del basso dalle acque
dell'alto, e queste acque dell'alto non sono né le nubi che viaggiano nell'atmosfera, né
delle acque ipotetiche che si estenderebbero al di là delle stelle, come si è creduto; il le-
gislatore ebraico entra qui in precisazioni tecniche notevoli che noi ora esporremo.
Tutti conoscono l'esperimento del fisico belga Plateau. Questo studioso mise una picco-
la sfera d'olio in sospensione in un vaso pieno d'acqua addizionata ad alcool; attraversò
questa sfera con un ago verticale al quale impresse un movimento di rotazione; girando,
l'ago trascina la sfera che si appiattisce ai poli; il che, nel pensiero di Plateau, dimostra-
va che doveva essere lo stesso per la terra. Ma se si attivava la rotazione dell'ago, si
formava un rigonfiamento all'equatore e, a partire da una certa velocità, questo si stac-
cava dalla sfera sotto forma di un anello rotante.
Plateau ha fatto, senza saperlo, ciò che Dio aveva fatto per la terra, benché senza l'aiuto
di un meccanismo. La terra era allora interamente avviluppata dalle "acque profonde"
della pantalassa. Dio fece girare rapidamente la terra e le acque si accumularono in ri-
141
gonfiamento all'equatore, "sollevandosi come della pasta", dice Mosè. Le acque "si ele-
varono salendo finchè il movimento le ebbe allargate e liberate proiettandole". La mec-
canica ci dice che esse si staccarono dalla terra dopo che questa ebbe superato la sua ve-
locità critica, cioè quando la forza centrifuga dovuta alla rotazione fu superiore alla for-
za centripeta dovuta alla gravitazione, il che richiese una rotazione del nostro globo 17
volte più rapida dell'attuale. Quando Dio ebbe constatato che la metà delle acque era
passata nell'anello (giacché il copto p/s = Pesch ha dato p/se = Pèsche, che si traduce dimidium,
metà), riportò progressivamente la terra alla sua velocità di rotazione normale e le acque
restanti si ripartirono sul globo; l'oceano universale aveva così perso metà della sua pro-
fondità.
Il profeta ci dà alcune ragioni d'essere dell'anello acqueo formato da Dio attorno alla ter-
ra; esso doveva più tardi, quando il sole sarebbe divenuto brillante e l'uomo avrebbe oc-
cupato la terra, formare una cortina protettrice dal calore eccessivo dell'astro del giorno
e, nello stesso tempo, in seguito alla rifrazione dei raggi solari attraverso la nuvola, or-
nare in permanenza la volta celeste del più brillante degli arcobaleni.
Perché le acque si siano formate in anello sfuggendo alla terra, bisogna che, durante la
sua rotazione, il suo asse di rotazione sia stato verticale, altrimenti le acque non si sa-
rebbero distribuite simmetricamente. É dunque probabile che in quel momento l'asse
della terra non fosse inclinato sull'eclittica, quantunque questa condizione non sia rigo-
rosamente indispensabile. Darwin vorrebbe che l'inclinazione attuale di 23° dell'asse
terrestre sia stata originale, ma Wolf124 risponde molto assennatamente: "Se l'obliquità
dell'equatore era già di 23° all'epoca in cui si è formata la luna, perché l'orbita di que-
st'ultima è inclinata di soli 5° sull'eclittica?" Ora, se era così quando il sole cominciò a
brillare sulla terra, la temperatura doveva esservi regolarmente ripartita, cioè le varia-
zioni stagionali non esistevano; la temperatura era evidentemente più elevata all'equato-
re che ai poli, ma era costante; era, secondo i luoghi, un'estate o una primavera perpetue.
Non diciamo un inverno, benché avesse fatto relativamente freddo ai poli, ed ecco per-
ché.
Al versetto 26 del capitolo XXX di Isaia è scritto, secondo la Volgata: "E la luce della luna
sarà come la luce del sole, e la luce del sole sarà settuplicata, uguale alla luce dei sette giorni". Si tratta qui del rin-
novamento del mondo. Secondo la nostra abitudine risaliamo all'ebraico; è scritto:
Kehahoour Hâchammôh
Keh A Hoou R Hâ Cha M Môh
k/h a hoou r ha sa hm mah
Kèh A Hoou R Ha Scha Hm Mah
Zelari Esse Dies Facere Facies Ortus (solis) Ab Habitaculum
Emulare Essere Giorno Fare Faccia Levare del sole Fuori da Dimora
Ouehoour Hâchammôh
Oue Hoou R Hâ Cha M Môh
ouw hoou r ha sa hm moh
Ouô Hoou R Ha Scha Hm Moh
Jam Dies Facere Facies Splendére In Plenus
Allora Giorno Fare Faccia Risplendere (del sole) In Pieno
Djîhedjèhah Schibehôthadjim
Djî Hedj È Hah Schibe Hô Thadji M
ji hej he hah casbe hw tase hm
Dji Hedj He Hah Saschbe Hô Tasche Hm
Accipere Acuere Ita Multus Septem Etiam Multiplicare In
Ricevere Aumentare Talmente Considerevole Sette Molte volte Moltiplicare Per
Kehoour Schibehahath
Ke Hoou R Schibe Ha Hath
k/e hoou r sibe ha haht/
Kêe Hoou R Schibe Ha Hahtê
Manére Dies Facere Excellens Ex Ante
Restare Giorno Fare Eccellente Di Prima
Hadjiômidjm Bedjooum
H A Djiômidjm Be Djoou M
he a sjemjom bebe jwou hm
He A Schdjemdjom Be[be] Djôou Hm
Etiam Facere Aequalem esse Emittere Generatio In
Di nuovo Fare Essere uguale Emettere Generazione In
In testo coordinato: Allora, di nuovo, il chiaro (fare giorno) di quella che viene a dissi-
pare l'oscurità sarà l'emulo del chiaro della faccia del sole quando esce dalla sua di-
mora; allora la luminosità della faccia del sole risplendente nel suo pieno riceverà un
aumento talmente considerevole che la luce restante (attuale) sarà moltiplicata sette
volte e sarà di nuovo fatta uguale a quella eccellente di prima emessa nelle generazioni.
Risulta, da questo testo, che quando il sole e la luna furono messi in piena luminosità,
alla quarta generazione, la loro luce era sette volte maggiore che oggi. Significa che an-
che il calore emanato dal sole era sette volte di più? Assolutamente no; una fiamma
143
oscura può essere molto calda mentre una fiamma di temperatura moderata può essere
molto illuminante se vi si bruciano, per esempio, dei sali metallici: il manicotto a gas
Auer ne è la prova. Anche l'acetilene dà una fiamma molto illuminante. Basterebbe
dunque un rimescolamento del sole, ottenuto con un aumento moderato della sua veloci-
tà di rotazione, per far arrivare alla sua superficie dei corpi aventi un grande potere ri-
schiarante. Ne risulterebbe evidentemente un certo aumento del calore, ma sopportabile.
Ora, Dio aveva detto ai nostri progenitori: "Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra". Se dunque
Adamo ed Eva non avessero peccato, tutta la terra sarebbe stata abitabile in condizioni
ideali. Per essere così, bastava che la temperatura media nella regione circumpolare fos-
se all'incirca come quella dell'Algeria (circa 20°) poiché gli uomini non dovevano essere
vestiti. Ciò suppone un aumento di circa 30° in rapporto alla media attuale (-10°). É lo-
gico che la zona mediana avrebbe visto ugualmente la sua temperatura aumentata e che
il calore vi sarebbe stato rapidamente intollerabile. Ed ecco la ragione della separazione
delle acque dell'alto e di quelle del basso: Dio ne fece una cortina contro l'eccesso del
calore solare; è quanto ci ha detto Mosè. Siccome questa cortina aveva la sezione di un
anello, aveva il suo massimo di spessore, e quindi di effetto protettore, sopra l'equatore,
là dov'era più necessario, e il suo spessore diminuiva a misura che ci si avvicinava alle
zone sub-polari che non avevano bisogno di schermo.
Una cosa potrebbe tuttavia sembrare strana in questa organizzazione, peraltro molto ra-
zionale: perché Dio credette giusto fare, nella seconda generazione, uno schermo contro
il calore di un sole che doveva brillare in tutta la sua luminosità solo alla quarta? Ancora
Mosè ci dà la risposta nelle stesse parole (Gen I, 6): = Ouidjhihadj, = Ma-
beddidjl, che ci hanno già rivelato il segreto dello schermo protettore, giacché esse si
possono anche tradurre:
in chiaro: "(Le acque superiori di cui abbiamo già descritto l'innalzamento) andranno bene per tri-
turare la terra e fare la gleba che riempirà gli scavi".
Ecco cosa getta una luce inattesa sulle operazioni divine che riguardano la terza genera-
zione: il ritiro del mare e l'apparizione dell'asciutto. Quando al Diluvio le acque dell'a-
nello si abbatterono sulla terra per 40 giorni e 40 notti, le montagne ne furono profon-
damente erose; si formò allora il grande diluvium, il grande loess che si è voluto ridi-
colmente mettere sul conto del vento per non dover credere alla grande catastrofe (gli
studiosi increduli hanno la vita dura: non sono uccisi dal ridicolo!). Lo spessore di questo deposito,
molto variabile con le regioni, a seconda che si trovassero più o meno direttamente sotto
la cintura acquosa, che fossero più o meno sensibili all'erosione o più o meno formate in
vasche, supera a tratti i 150 metri. Ora, la scorza terrestre presenta degli accidenti oro-
grafici perché delle forze tangenziali si sono esercitate su di essa per corrugarla; questo,
oggi, lo sanno tutti i geologi. Ma ciò che queste forze hanno corrugato, sono gli strati
sedimentari precedentemente deposti sulle pianure o nei sinclinali. I sedimenti hanno
talvolta degli spessori considerevoli e valutabili anche in chilometri. Sulla base della ve-
locità di deposito delle alluvioni o dei fondi marini moderni, dei geologi hanno valutato
il tempo necessario alla formazione dei depositi stratigrafici e delle montagne delle di-
verse epoche in milioni e anche in miliardi di anni. In fatto di matematica, è quanto c'è
di più facile: la regola del 3 semplice si insegna alla scuola elementare; ma i fenomeni
naturali sono di un'altra complessità. La sola esistenza dei corrugamenti, con gli acci-
144
denti tettonici bruschi che manifestano, avrebbe dovuto mostrare a degli spiriti non pre-
venuti che l'orogenìa era passata successivamente per dei periodi di attività e di riposo, e
che poteva, pertanto, essere stato lo stesso per le formazioni sedimentarie. Ora, nei se-
dimenti, si scoprono frequentemente in cumuli dei fossili contemporanei che sembrano
essere stati deposti come da una brusca catastrofe. Inoltre, ad ogni epoca geologica, cor-
rispondono degli animali che non si ritrovano più alle epoche seguenti, il che differenzia
nettamente la maggior parte dei terreni e dà un'idea dell'estensione del cataclisma che li
ha annientati. Siccome questi animali si sono depositati nei sedimenti, bisogna pur che
questi sedimenti siano passati anch'essi per alternative di deposito lento e rapido, di
tempo normale e di sconvolgimenti. In ogni modo resta che, per fare dei corrugamenti,
così come li vediamo sovrapposti nelle montagne, bisognava avere dei sedimenti da cor-
rugare.
Emile Belot125 ha presentito, anche se non sbrogliato, questo processo quando ha scritto:
"L'acqua degli oceani si è dunque evaporata almeno trenta volte. É un'altezza media di
90Km d'acqua che, precipitando in questo primo diluvio, ha scolpito il nucleo della ter-
ra".
Nella parte geografica del nostro lavoro126, noi mostriamo "l'asciutto" ricostruito in un
solo blocco sotto forma di una calotta sferica regolare; i continenti, le isole e i banchi si
raccordano esattamente, ma queste concordanze non sono state possibili che effettuan-
dole sulla costa sottomarina a -2000m. Siccome alla terza generazione il mare e l'asciutto
sono stati nettamente separati, è necessario che l'oceano abbia allora avuto 2000 metri
d'acqua in meno che oggi altrimenti avrebbe sconfinato sulle terre come fa ora, e anche
questa è una delle ragioni della separazione delle acque dell'alto da quelle del basso. Si
sa che la profondità media dei mari è attualmente di circa 4000m; se un tempo era 2000m
di meno, si vede che le acque iniziali erano state divise da Dio in 2 frazioni strettamente
uguali, e, siccome noi conosciamo approssimativamente il volume delle acque marine
che è di km3 1.500.000.000, sappiamo che l'anello conteneva 750.000.000 di km3 d'acqua.
Così, noi comprendiamo come, a partire dalla seconda generazione e nel corso dei tempi
geologici, Dio si servì delle acque superiori "per triturare la terra e fare la gleba che ha
riempito le cavità". Una tale massa liquida, cadendo in poche settimane, doveva fabbri-
care sedimenti in gran quantità. L'importanza dei lavori che furono affidati all'anello ac-
queo, giustifica Mosè di aver fatto della sua formazione l'oggetto della seconda genera-
zione.
Per la verità, le "cavità" sono tutte le parti basse della scorza, e i sedimenti che vi si de-
positarono non furono tutti corrugati in montagne. Per una terra che doveva essere abi-
tata, rimboschita e coltivata, importava soprattutto che le rocce plutoniane della scorza
primitiva fossero rivestite da un mantello di terre arabili o quantomeno adatte alla vege-
tazione nelle pianure e sugli altopiani. Ci si può fare un'idea della struttura di questo ri-
vestimento, considerando il taglio notevole che è presente nella faglia in cui scorre il
Rio Colorado in America del Nord. Diciamo "faglia" giacché una delle rive è più alta
125 - L'origine cosmogonique des formes de la terre, p. 328, Revue scientifique, 1916.
126 - Essai de Géographie... divine - Cahiers du Ceshe, rif. 2.28.
145
dell'altra di 300 metri, ed abbiamo buone ragioni per credere che questa faglia si sia
prodotta durante la dislocazione del Diluvio universale, e che non è certo il fiume che
avrebbe potuto scavare (quantunque lo si pensi) un avvallamento quasi verticale di 1400
metri di profondità. In questo grande avvallamento del Colorado si vedono, secondo
Pierre Termier127, gli strati seguenti:
150 di calcare
100 di quarzite Permiano
100 di arenaria
25 di calcare Devoniano
Cosa curiosa, i diversi strati hanno degli spessori che sono generalmente dello stesso
ordine di grandezza dei grandi loess di Cina (150 metri). Là dove lo spessore dello stra-
to è più grande, esso si suddivide in banchi diversi in cui si alternano i gres, le marne, le
argille, i conglomerati; sotto questi 1400 metri proseguono i terreni cristallini. I geologi
americani pretendono anche che il Precambriano raggiunge a tratti 3000 metri; ma allo-
ra si mescola alle quarziti, alle argille e ai conglomerati di potenti nastri di lave che de-
vono corrispondere ai restringimenti della scorza terrestre destinati a portarla al di sopra
del livello marino.
Altra nota importante: nello spessore dei 1400 metri si vede chiaramente la base di uno
strato erodere lo strato superiore del piano soggiacente. Questa particolarità, sottolineata
da Pierre Termier, è tale da mostrare che l'inizio di ciascun strato è stato torrenziale,
come doveva esserlo durante una caduta d'acqua molto violenta, e che solo in seguito le
acque hanno abbandonato più lentamente la loro carica di fanghi. Non sarebbe così se i
depositi si fossero, come si crede, effettuati in mare poco o tanto profondo. Così, con
l'anello che circondava la terra, l'astronomia raggiunge la geologia, e questa sintesi im-
prevista è Mosè che la realizza.
semplicemente di tutti i fatti, ciò che la teoria della discendenza è incapace di fare. I
pigmei che sono succeduti a questi grandi antenati hanno screditato questa ipotesi, non
in nome della scienza, ma della loro filosofia atea che non voleva ammettere gli inter-
venti divini. Le loro teorie trasformiste e attualiste avrebbero dovuto già da tempo esse-
re accantonate se i seguaci di Satana non organizzassero attorno ad esse un concerto as-
sordante di menzogne al quale, ahimè! prendono parte anche troppi membri del clero
cattolico, e non dei minori.
Ci sono fortunatamente degli studiosi che non si sono lasciati accecare dal partito preso;
ma quanto rari! Nel caso specifico, non ne conosciamo che uno la cui grande intelligen-
za e fede nella S. Scrittura avevano singolarmente ispirato: Kant. Egli ha scritto128:
"Non potremmo immaginarci che la terra abbia un tempo posseduto un anello come Sa-
turno?... Quale magnifico spettacolo per gli esseri creati in vista di abitare la terra co-
me un paradiso!... Ma non è ancora niente rispetto alla conferma che una tale ipotesi
può dare alla testimonianza della storia della creazione, conferma che non può essere
di poco peso per rapire il suffragio degli spiriti che non credono di degradare la Rive-
lazione, bensì di renderle omaggio, quando la fanno servire a dare una forma alle di-
vagazioni della loro propria immaginazione. L'acqua del firmamento, di cui parla il
racconto di Mosè, ha imbarazzato non poco i commentatori. Non si potrebbe far servire
l'esistenza dell'anello della terra per eliminare questa difficoltà? Questo anello era sen-
za dubbio formato da vapori acquei; cosa impediva, dopo averlo impiegato ad orna-
mento dei primi tempi della creazione, di romperlo in un determinato momento, per ca-
stigare con un diluvio il mondo che si era reso indegno di un sì bello spettacolo?
Che una cometa, con la sua attrazione, abbia portato turbamento alla regolarità dei
movimenti delle sue parti, o che il raffreddamento dello spazio abbia condensato le sue
particelle vaporose e le abbia, per il più spaventoso dei cataclismi, precipitate sulla ter-
ra, si vedono facilmente le conseguenze della rottura dell'anello. Il mondo intero si tro-
vò sotto l'acqua, e, nei vapori strani e sottili di questa pioggia soprannaturale, assimilò
quel lento veleno che accorciò da allora la vita di tutte le creature. Nello stesso tempo,
la figura di quell'anello luminoso e pallido era sparita dall'orizzonte, e il mondo nuovo,
che non poteva richiamare il ricordo della sua apparizione senza risentire lo spavento
del terribile strumento della vendetta celeste, vide forse con minor terrore nella prima
pioggia quell'arco colorato che, per la sua forma, sembrava riprodurre il primo, e che,
tuttavia, secondo la promessa del cielo riconciliato, doveva essere un segno di perdono
e un monumento di certezza di conservazione per la terra rinnovata. La somiglianza di
forma di questo segno commemorativo con l'avvenimento che esso richiama, potrebbe
raccomandare una simile ipotesi per quelli che sono invincibilmente portati a legare in
un sistema le meraviglie della Rivelazione e le leggi ordinarie della natura".
128 - Les hypothèses cosmogoniques, Wolf, 2 ediz, p. 189, Gauthier-Villars, Parigi, 1886.
147
No, ci è voluto ben altro che dei fatti inerenti alle "leggi ordinarie della natura", come
crede Kant. Dio ha dovuto, al contrario, sospendere l'azione di certe forze ordinarie, e
liberarle per provocare il diluvio. E questa liberazione non è stata brutale, come sotto
l'azione di un impatto, di una rottura, ma è stata condotta intelligentemente e progressi-
vamente dal saggio Autore di tutte le cose. L'acqua non è caduta di colpo, ma in 40
giorni e 40 notti. Essendo la superficie terrestre allagata dall'anello di circa
400.000.000Km2 e la quantità d'acqua caduta di 750.000.000Km3, è facile vedere che sono
caduti su questa superficie circa 1900m d'acqua, ossia circa 2m l'ora, un po' più di un
mezzo millimetro al secondo: questa non è una caduta brutale. La velocità dell'anello è
dunque stata gradualmente ridotta ed esso si è pertanto avvicinato alla terra; quando la
velocità delle parti inferiori della zona fu resa nulla, queste sono cadute sul suolo. Le
velocità hanno dovuto essere differenziali attraverso la massa vaporosa, essendo quelle
della periferia mantenute più veloci di quelle dell'interno per tutta la durata della caduta.
Gen. I, 7 - 8
E arriviamo adesso ai versetti 7 e 8 del primo capitolo della Genesi.
Harôqidjga Ouadjiabeddél
Ha Rô Qidj Ga Ouadjia A Bed Dél
ka lwou k/t qa ouaji a bit teltel
Ka Lôou Kêt Kha Ouadj A Bit Tel[tel]
Constituere Annulus Convertere Super Sanus Facere Elevari Stillare
Costituire Anello Fare girare In alto Saggio Fare Elevare Cadere a gocce
Miththahachath Larôqidjga
Mith Tha Ha Chath La Rô Qidj Ga
m/] yo ha cwt hra loou k/t qa
Mêti Tho Ha Sôt Hra Loou Kêt Kha
Medium Orbis universus Sub Extendere Facies Velum Convertere Super
Spazio intermedio Circolo universale Sotto Estendere Di fronte Velo Fare girare In alto
Ouobéhadjn Hammadjim
Ouo Bé Hadj N Hamma Djim
ouoh pes haeiat n amaiou s/m
Ouoh Pesch Haeiat N’ Amaiou Schêm
Et Dividere Coram Qui Aquae Per partes
E Separare Di fronte Che Acque Parzialmente
Ouâdjehidj
Ouadje Hidj
ouaji /it
Ouadji Eit
Sanus Facere
Conveniente Fare
Gen. I, 8:
Kên Ouadjdjiqerôh
Kên Ouadj Dji Qerôh oppure: Q Erôh
k/n ouaji ji keroc ke oureh
Ken Ouadji Dji Keros Ke Oureh
Satis Sanus Dicere Spatium Alius Spatium
Molto Saggio Chiamare Spazio Altro Spazio
149
Dopo ciò che abbiamo spiegato precedentemente, questi due versetti si comprendono
senza difficoltà. Segnaliamo solamente che, per dire "due", gli Ebrei dicevano "i gemel-
li".
Così il testo biblico, studiato rigorosamente alla lettera, apporta all'ipotesi kantiana una
forza che il suo autore non ha mai sospettato, giacché egli non ha mai conosciuto il sen-
so vero, preciso e profondo, dei versetti 6, 7 e 8 del primo capitolo della Genesi; crede-
va solo di far opera di immaginazione. Ma quando noi vediamo dei professori di univer-
sità cattolica disprezzare tutto il racconto della Genesi e concludere disinvoltamente che
"le verità religiose e storiche, raccontate simbolicamente nella Bibbia e imposte alla fe-
de del credente toccanti l'origine dell'universo, si riducono a questo: "Dio ha creato
tutto", noi ci chiediamo, attoniti, perché e per chi Mosè si è dato la pena di dare questi
"dettagli". Perché non ha aspettato i nostri teologi moderni... e modernisti per ridurre la
Scrittura Sacra alla sua espressione più semplice?
Gen. I, 9
Il versetto 9 del primo capitolo della Genesi si scrive:
150
Djiqqôououo Hammadjim
Djiq Qô Ou Ouo Hamma Djim
jic [w hou ouoh amaiou s/m
Djis Ço Hou Ouoh Amaiou Schêm
Dicere Manére Aqua Quiescere Aquae Per partes
Dire Dimorare Acqua Riposarsi Acque Parzialmente
Miththachath
Mith Tha Chath
m/] yo cwt
Mêti Tho Sôt
Medium Orbis universus Extendere
Spazio intermedio Cerchio universale Estendere
Haschschômadjim
H Asch Schôm A Djim
h/ as jwm a s/m
Hê Asch Djôm A Schêm
Poni Suspendere Volumen Circiter Excelsus
Posto Sospendere Movimento circolare All'intorno I cieli
Hèl Môhaqooum
Hèl M Ô Ha Qoou M
hala me o ha coouh m
Hala Me O Ha Soouh M
Sub Locus Magnus In Convenire Mittere
Sotto Luogo Grande In Riunirsi Allentare
Hèchod Ouethêrôhèh
Hè Chôd Oueth Ê R Ôhe H
h/ jot au/t e r ohi h/
Hê Djot Auêt È R Ohi Hê
Inferior regio Confodere Gradus Per Facere Acervus Facies
Regione inferiore Scavare Grado Per Fare Accumulo Supeficie
Hadjiabbôschah
Hadj Ia B Bô Scha H
hej ia bebe vo ,au he
Hedj Ia Be[be] Pho Chau He
Premere Convallis Effundere Facies Revelare Ratio
Far uscire (serrando) Pianura racchiusa fra montagne Lasciar libero Superficie Scoprire Sistema
151
Ouâdjehidj Kên
Ouâdje Hidj Kên
ouaji /it k/n
Ouadji Eit Ken
Sanus Facere Satis
Conveniente Fare Molto
Ossia, in testo coordinato: Oltre alle parole proferite anteriormente, Ehélohidjm conce-
pì nuovamente di dire che le acque rimaste a riposo sotto le acque parziali estese nello
spazio intermedio del cerchio universale poste sospese in movimento circolare intorno
ai cieli, si riuniscano in un grande luogo, calate nella regione inferiore scavata per de-
gli ammonticchiamenti fatti per gradi alla superficie per farla uscire serrandola siste-
maticamente, il che scoprirà la superficie lasciando libera una pianura chiusa su tutti i
lati da delle montagne; ciò fu fatto molto convenientemente.
L'ultima parte di questo testo ebraico è anche suscettibile della traduzione seguente:
Hèchod Ouethêrôhèh
Hè Chôd Oueth Ê R Ôhe H
h/ jotjet au/t e r ohi h/
Hê Djot[djet] Auêt È R Ohi Hê
Inferior regio Cavitas Gradus Circa Facere Acervus Facies
Regione inferiore Cavità Grado Attorno a Formare Ammonticchiamenti Sperficie
Sarebbe stato strano che Mosè non ci dicesse niente dell'origine della luna; noi sappia-
mo adesso che essa è uscita dalla terra, lasciando al suo posto un embrione di oceano.
Ritorniamo alla prima traduzione; essa aggiunge a quella della Volgata delle informa-
zioni del massimo interesse. Essa ci mostra che il letto del mare fu formato dal restrin-
gimento graduale della superficie del globo, il che ebbe per effetto di ispessirne la scor-
za, di accumularla, di formarvi delle montagne periferiche, mentre il magma interno,
scoperto dal restringimento, ricostruiva al mare un nuovo fondo. La geologia, che ha
cercato a lungo l'origine delle montagne, ha definitivamente riconosciuto che esse si so-
no generalmente formate per delle spinte tangenziali esercitate sulla scorza che vi hanno
formato quei corrugamenti che si possono constatare nelle scissure sia naturali che pra-
ticate dalla mano dell'uomo; il lago dei Quattro Cantoni, in Svizzera, ne offre un esem-
pio del tutto notevole. Ed è appunto il procedimento che Mosè ci dice abbia impiegato
Dio per far emergere l'asciutto dalle acque. La geologia, dopo lunghe e laboriose ricer-
che, finisce dunque per ritrovare ciò che già sapeva Mosè. Ma i geologi si interrogano
ancora per conoscere l'origine di queste spinte tangenziali, ed emettono in merito ogni
152
sorta di teorie fisiche di cui nessuna è stata riconosciuta soddisfacente; non percepisco-
no infine nessuna forza naturale capace di aver prodotto le masse considerevoli delle
montagne per corrugamento o per carreggiamento. Mosè, che conosceva ben prima di
loro il fenomeno, ne ha tuttavia dato l'unica ragione possibile: l'azione diretta di Dio.
Dio non vi mise evidentemente le mani; si servì di forze naturali per ottenere il risultato,
ma queste forze le diresse intelligentemente e intenzionalmente, allorché gli odierni sa-
pienti vorrebbero che esse abbiano agito fortuitamente e spontaneamente, il che è im-
possibile, giacché c'è stato visibilmente ordine, piano operativo e scopo.
É ciò che ha dovuto costatare Suess130: "La forza corrugante ha un tempo agito su tutta
l'estensione del globo... Gettiamo gli occhi su una carta dell'Asia. Vi sono visibili degli
archi... manifestamente armonici, cioè disposti secondo un piano d'insieme… Nell'edifi-
cio asiatico... i grandi archi successivi sono venuti ad aggiungersi gli uni agli altri con
una grande regolarità, dai tempi precambriani, e il piano primitivo si è così completato
fino a un'epoca recente; forse l'Australia e le Oceànidi ci presentano una ripetizione
dello stesso disegno".
I geologi hanno ugualmente costatato che tra le montagne esistevano delle zone terrestri
rimaste piatte alle quali essi hanno dato il nome di scudi e che hanno resistito ai corru-
gamenti; è il caso appunto del nord America, dell'Europa e dell'Asia. La descrizione di
Mosè, limitata a dei tratti generali, è dunque perfettamente esatta.
Gen. I, 10
Il versetto 10 del capitolo 1 della Genesi si scrive in ebraico:
Ladjiabbôschoh
Ladj Ia B Bô Schô H
lajlej ia bebe vo ,au He o: sou
Ladj[ledj] Ia Be[be] Pho Chau He Schou
Constrictio Convallis Effundere Facies Revelare Ratio Siccus
Restringimento Pianura chiusa Lasciar libero Superficie Scoprire Sistema Secco
130 - La face de la terre, volume III, p. 7, 10, 11, 16, 22 Armand Colin, Parigi, 1900.
153
Hèrèç Ouolemiqeouèh
Hè Rè Ç Ouo Le M I Qeou Èh
h/ hr/re [e ouoh le m hi ceouh h/
Hê Hre[re] Çe Ouoh Le M Hi Seouh Hê
Facies Flos Colere Et Pars Mittere In Congregare Inferior regio
Bellezza Fiore Parare E Regione Mettere In Riunire Regione inferiore
Ossia, in testo coordinato: Per questo, saggiamente, Ehèlohidjm chiamò questi diversi
spazi, il sistema dell'asciutto (secco) scoperto da dei restringimenti lascianti libera alla
superficie una pianura racchiusa su tutti i lati da montagne: Parata della bellezza del
fiore sbocciato; e la regione del sistema delle acque parziali messe unite silenziose nel-
la parte inferiore spaziosa: il grande mare Placido (l'Oceano Pacifico). Ehèlohidjm osser-
vò saggiamente che queste cose erano pure".
Quanto al mare iniziale, è Dio stesso che gli ha dato il nome che gli è rimasto, quello di
154
Oceano Pacifico, e i geografi sono d'accordo nel riconoscere che in esso sussistono dei
caratteri di permanenza e di antichità non riscontrabili in altri mari e che non permetto-
no di dubitare che sia il recipiente primitivo delle acque oceaniche.
Nostradamus, che pur essendo cristiano aveva degli ascendenti giudei, quando vedeva
ritornare il Giudice Sovrano al centro della terra, conosceva certamente la tradizione che
faceva di Gerusalemme il centro del mondo, tradizione basata sul v. 12 del Salmo
LXXIII, così concepito, secondo la Volgata: "Ma Dio, nostro Re dall'inizio dei secoli, ha operato la sal-
vezza al centro della terra". Ora, tale è esattamente la posizione di Gerusalemme sulla terra ri-
costruita qual era prima del Diluvio. I Greci indicano come centro del mondo un punto
situato tra il Calvario e il S. Sepolcro. È da molto tempo che gli esegeti hanno respinto
questa credenza che considerano puerile e vana in presenza dello stato di dispersione at-
tuale delle terre; sarebbe tempo che si ricredessero.
Pohél Djeschouohoouth
Po Hé L Djesch Ouo Hoout H
bo h/ el soij hwb hoout he
Bo Hê El Schoidj Hôb Hoout He
Vox Initium Facere Salvare Operari Homo Ratio
Parola Inizio Creare Salvare Operare Uomo Specie
Beqèharèb Hôharèç
Be Qè H Arèb Hô Ha Rèç
bi se ha ar/b koh ha r/ci
Bi Sche Ha Arêb Koh Ha Rêsi
Elevari Crux In Pignus Vertex Facies Terra
Elevare Croce In Ostaggio Asse Superficie Terra
In testo coordinato: Colui che Ehèlohidjm ha costituito per reggere le estremità della
terra, che Egli ha generato prima di crearlo con la Parola all'inizio, ha operato la sal-
vezza della specie umana, elevato in croce in ostaggio nell'asse della superficie della
terra.
Ora, noi abbiamo visto che la terra è al centro di gravità del sistema solare; d'altra parte
la generalità degli astronomi è del parere che il sistema solare è praticamente al fuoco
della galassia. Pertanto, essendo il punto in cui N.S. Gesù Cristo è stato crocifisso per
noi al centro della terra, del sistema solare, del mondo stellare, esso è veramente il pun-
to centrale dell'universo, il centro di tutto il sistema astronomico. Gli atei si coprano pu-
re la faccia e si strappino i capelli, la vera astronomia non è solo geocentrica, antropo-
centrica, ma cristocentrica! E non è forse logico, visto che il Cristo, Verbo di Dio, è il
Creatore del mondo?
155
Gen. I, da 11 a 13
Con i versetti 11, 12 e 13 del primo capitolo della Genesi, noi passiamo alla creazione
delle piante; in ebraico si scrivono:
Mazerihadjah Zèrah
Ma Zeri Ha Dja H Zèr A H
ma jwri hah jo he j/r a he
Ma Djôri Hah Djo He Djêr A He
Da Potens Multus Semen Similis Dispergere Circiter Etiam
Dare Potenza Numerosi Semi Simile Diffondere Intorno a Sempre più
Peridj Lemidjnoou
Pe Ri Dj Le Midj Noou
fei eri je le mice nau
Fei Eri Dje Le Mise Nau
Portare Fructus Germen Pars Parere Species
Portare Frutto Germe Parte Produrre Specie
Gen I, 12:
Hehasèb Mazeridjah
Hé Ha Sèb Ma Zeri Dja H
he hah cmeh ma jwri jo he
He Hah Smeh Ma Djôri Djô He
Ratio Multus Herba Da Potens Semen Similis
Specie Numerosi Erba Dare Potente Semenza Simile
Gen I, 13:
Hèrèb Ouadjehidj
Hè Rèb Ou A Dje Hidj
h/ reb ou a je ej
Hê Rebê Ou A Dje Edj
Initium Obscurari Quid Esse Ultra Sermo
Inizio Nascosto Ciò che Essere Dopo Parola
Rimarchiamo subito che, per dire tre, gli Ebrei dicono: "simile a una forca", giacché la
forca, primitivamente, aveva tre denti. Notiamo in seguito che Mosè insiste a più riprese
sul fatto che ciascuna specie d'erba o pianta riproduce la sua propria specie e non un'al-
tra, il che si oppone alla teoria del trasformismo di cui anche i suoi partigiani più dotti
sono obbligati a confessare l'irrealtà. Mosè, pur essendo un veggente, non era nelle nu-
vole, ma restava, lui, nel reale; sono gli evoluzionisti che divagano.
Gen. I, 14 - 15
158
Mehoroth Bireqihadjag
Me Ho Roth Bi Re Q Iha Djag
me hw rokh bi r/ ke iah ja[/
Me Hô Rokh Bi Rê Ke Iah Djaçê
Locus Accedere Ustio Portare Sol Et Luna Debilis
Tempo opportuno Arrivare Infiammazione Portare Sole E Luna Deficiente
Haschschômadjim Elhabeididjl
H Asch Schôm Adjim Elhab Ei Didj L
h/ as jwm wjn elhob ei ]k l
Hê Asch Djôm Ôdjn Elhob Ei Tik L
Poni Suspendere Volumen Deficere Vapor Facere Scintilla Facere
Disporre Sospendere Mov. circ. Mancare di luce Gas Fare Scintilla Fare
Ouolemhaoouehadidjm
Ouo Lem Haoou Eha Djidj M
ouoh lem haou ehi ]si me
Ouoh Lem Haou Ehi Tischi Me
Et Homo Dies Vita Mensurare Verus
E Uomo Giorno Vita Misurare Esatto
Ouoledjômidjm Oueschônidjm
Ouo Le Djôm Idjm Ouesch Ôn Idjm
ouoh le jwm hijm ouoeis wnh ejm
Ouoh Le Djôm Hidjm Oueisch Onh Edjm
Et Pars Generatio Ad Tempus Vivere Super
E Parte Generazione Fino a Tempo Vivere Superiore
159
Gen I, 15:
Ouehôdjouo Limehoouroth
Oueh O Djouo L I Meh Oou Roth
ou/h o jwou el i meh oou rokh
Ouêh O Djôou El I Meh Oou Rokh
Manére Esse Generatio Facere Venire Plenus Gloria Ustio
Perseverare Esistere Generazione Fare Venire Piena Gloria Infiammazione
Bireqihadjag
Bi Re Q Iha Djag
bi r/ ke iah ja[/
Bi Rê Ke Iah Djaçê
Portare Sol Et Luna Debilis
Portare Sole E Luna Deficienti
Haschschômadjim
H Asch Schôm Adjim
h/ as jwm wjn
Hê Asch Djôm Ôdjn
Poni Suspendere Volumen Deficere
Disporre Sospendere Movim. circ. Mancare di luce
Lehôhidjr Hal
Leh Ô Hi Djr Hal
lehlwh w hi jer hala
Leh[loh] Ô Hi Djer Hala
Splendére Esse In Accelerare Pro
Splendere Essere dotato di In Attivare il movimento Per
Ossia, in testo coordinato: Oltre alle parole da Lui proferite anteriormente, Ehèlohidjm
concepì di nuovo di lanciare questa parola: "É giunto il momento di portare all'in-
fiammazione il sole e la luna deficienti che si muovono circolarmente, posti sospesi,
privi di luce; di renderli gassosi per farli risplendere affinché separino i tempi della
notte e del giorno, e separino ciò che è vecchio da ciò che è nuovo, e dividano in tempi
convenienti la lunga durata delle generazioni, e misurino esattamente i giorni della vita
degli uomini e il posto delle generazioni fino al tempo della vita superiore (in cui) le
generazioni esisteranno in permanenza". Per far giungere alla loro piena gloria il sole
e la luna deficienti che si muovevano circolarmente disposti sospesi privi di luce, Egli li
portò all'infiammazione accelerando il moto interno di cui erano dotati, affinché ri-
splendendo facessero vedere la faccia della terra. Ciò fu fatto molto convenientemente.
nari nel firmamento del cielo", essendo questi luminari il sole e la luna. Ora, è contraddittorio
che il sole sia stato fatto alla quarta generazione allorché la terra, uscita dal sole, è stata
creata alla prima. D'altra parte, è inverosimile che il sole e la luna circolino in questo
"firmamento" che la Volgata ha detto esser stato fatto per sostenere le acque dell'alto; è
evidente che questi astri si trovano ben al di là. Il rabbinato francese ha creduto di eli-
minare le obiezioni traducendo: "Che dei corpi luminosi appaiano nello spazio"; ma prosegue, come
S. Gerolamo: "Dio fece i due grandi luminari e li pose nello spazio celeste". Questo è uno dei tanti fatti
che provano quanto Mosè sia stato mal compreso da quelli che l'hanno tradotto secondo
i procedimenti precedentemente in vigore.
Mosè parla un linguaggio quanto mai sensato: egli non dice che il sole e la luna sono
stati fatti e piazzati alla quarta generazione, ma che questi astri, che fino ad allora erano
scuri o non avevano ancora che una luminosità deficiente, furono portati in quel mo-
mento all'infiammazione. E il grande profeta precisa come questa incandescenza fu ot-
tenuta: è facendo girare più rapidamente questi globi sul loro asse finchè fossero, in se-
guito all'aumento della temperatura causato dagli sfregamenti correlativi ai movimenti
di convezione, portati allo stato gassoso. Quale vero sapiente parlerebbe diversamente?
Notiamo ancora che Mosè fa girare sia il sole che la luna attorno alla terra; è dunque
certamente geocentrista.
Per quanto riguarda la luna, la nostra traduzione del testo mosaico apporta sulla storia
del nostro satellite una luce definitiva che riduce a niente una contraddizione che sem-
brava apparire in questo passaggio della Bibbia. Laplace132 si era creduto senza dubbio
molto spirituale scrivendo: "Alcuni partigiani delle cause finali hanno immaginato che
la luna era stata data alla terra per rischiararla durante le notti. In questo caso, la na-
tura non avrebbe raggiunto lo scopo che si sarebbe proposta, poiché, sovente, noi sia-
mo privati sia della luce del sole che di quella della luna. Per pervenirvi, sarebbe ba-
stato mettere, all'origine, la luna in opposizione al sole, nel piano stesso dell'eclittica, a
una distanza dalla terra pari alla centesima parte della distanza della terra dal sole, e
dare alla luna e alla terra delle velocità parallele proporzionali alle loro distanze da
questo astro. Allora la luna, costantemente in opposizione al sole, avrebbe descritto at-
torno a lui un'ellisse simile a quella della terra; questi due astri si sarebbero succeduti
uno all'altro sull'orizzonte, e siccome, a questa distanza, la luna non avrebbe potuto es-
sere eclissata, la sua luce avrebbe costantemente rimpiazzato quella del sole".
Ma, "le vie di Dio non sono le nostre"; il Creatore non ha dovuto consultare il cittadino Laplace,
che pretendeva di volerlo ignorare, per organizzare il mondo. Mosè aveva risposto in
anticipo, se si fosse saputo leggerlo, alle obiezioni dell'astronomo: la luna era luminosa
da sè all'origine, ed è così che, secondo quanto dice Isaia, la luna ha potuto possedere
allora un chiarore simile a quello dell'aurora. Inoltre, il suo stato di incandescenza ri-
scaldava l'aria e manteneva la notte a una temperatura mite. Padre Placet47 non si è dun-
que ingannato quando ha scritto: "Che la luna è stata creata piena, e di conseguenza
"Luna nuova" è la Luna piena prima del peccato". Questa costanza della luminosità del-
la luna non era dovuta, come potrebbe supporre Laplace, unicamente a delle posizioni
particolari del sole, della terra e della luna, ma innanzitutto al fatto che Dio aveva porta-
to la luna, già creata anteriormente ma ancora relativamente fredda, all'incandescenza
attivandone la rotazione come fece per il sole.
La luna non aveva dunque, propriamente parlando, delle fasi, o piuttosto, siccome essa
rifletteva in più la luce del sole, presentava delle differenze di luce secondo i quarti, ma
Padre Placet133 risponde a un'obiezione: "Voi opponete, dice, che se la luna fosse stata
brillante come il sole oggi, non vi sarebbe stata notte nello stato di innocenza, il che
contraddice le Scritture. Io rispondo che, come oggi, anche quando la luna è piena noi
diciamo che è notte, così pure agli inizi, quando essa presiedeva, sarebbe stata chiama-
ta notte (benché questo tempo chiamato notte fosse brillante e luminoso) in comparazione alla lu-
ce del sole, che sarebbe stato allora sette volte più luminoso di oggi". Aggiungiamo che
l'anello acqueo che circondava la terra doveva anche filtrare la luce della luna.
Al peccato originale, che sconvolse la natura, Dio, per castigare l'uomo, arrestò quasi
completamente la rotazione della luna su se stessa che cominciò così a raffreddarsi. La
dispersione del calore che essa aveva accumulato poté evidentemente richiedere un cer-
to numero di secoli, ma F. Sacco134 stima che "la solidificazione esterna del globo luna-
re deve essersi verificata piuttosto rapidamente, almeno rispetto a quella del globo ter-
restre, giacché il suo volume è di appena 1/49 del nostro, essendo di conseguenza la
massa lunare molto meno ricca di calorie e anche, forse, a causa della costituzione un
po' differente".
Per spiegare la formazione degli accidenti della superficie lunare sono state fatte diverse
ipotesi, di cui alcune funambolesche. La più seria è quella delle intumescenze avanzata
da Suess, Loewy e Puisieux; essa fa appello all'azione di gas che avrebbero formato del-
le bolle alla superficie della luna quando la sua scorza era ancora pastosa: la foratura di
bolle di ogni tipo e dimensione sarebbe stata all'origine dei crateri e dei circhi. Tuttavia
l'astronomo Land136, dell'osservatorio di Uccle, menziona che "delle obiezioni sono
formulate contro la verosimiglianza di un meccanismo di questo genere.... In particola-
re, dice, questa ipotesi non spiega i circhi a irraggiamento, nè i circhi situati nei terra-
pieni di quelli grandi, ecc. La formazione di bolle colossali aventi dato luogo ai circhi
di grande estensione è difficile da concepire".
133 - La corruption du grand et petit monde, Vve Gervais Alliot, Parigi 1668, c. III
134 - Essai de sélénologie, p. 44, Clausen, Torino, 1906.
135 - Traité de géologie, p.511, Masson e Cle, Parigi, 1906.
136 - La genèse lunaire, Libre Belgique, Bruxelles.
162
É facile rispondere a queste obiezioni. Il diametro del più grande dei "mari" lunari è di
1200km, ossia circa il terzo del diametro della luna, ma è anche circa il quarto del diame-
tro della terra da cui la luna è uscita; i due rigonfiamenti sono dunque dello stesso ordi-
ne di grandezza relativa. La teoria delle intumescenze non deve necessariamente spiega-
re le raggiere bianche che presentano alcuni "circhi" e che possono provenire da una
causa secondaria. Amédèe Guillemin137 riassume perfettamente la questione:
"Da tempo, tutti gli astronomi sono concordi nel considerare le formazioni del suolo
lunare come dovute a una reazione delle forze interne contro la scorza esterna del glo-
bo... All'origine, la scorza solida della luna, meno spessa, era, per ciò stesso, meno re-
sistente... La forza espansiva dei gas, agente allora perpendicolarmente agli strati su-
perficiali e seguendo le linee di minor resistenza, dovette rompere l'involucro e produr-
re dei sollevamenti di forma circolare. É senza dubbio a questo periodo che bisogna ri-
portare la formazione delle immense circonvallazioni il cui interno è oggi occupato dal-
le pianure chiamate mari... Vennero poi nuovi sollevamenti, ma che, sopravvenuti in
un'epoca in cui la crosta del globo lunare aveva acquisito uno spessore maggiore, o
anche provenienti da forze elastiche meno considerevoli, diedero luogo ai grandi circhi,
ben inferiori in dimensioni alle formazioni primitive... Apparvero successivamente mol-
tissimi circhi di dimensioni medie, i cui recinti coprirono l'intero suolo della luna e an-
che l'interno delle circonvallazioni primitive. Si comprende facilmente la ragione della
diminuzione successiva delle dimensioni delle montagne anulari, crateri e circhi: ogni
circo è dovuto, come abbiamo già detto, a un sollevamento in bolla, in vescica, il cui af-
flosciamento ha prodotto all'interno una cavità di forma ellittica e sui bordi una o più
recinzioni sotto forma di terrapieni. Ora, le dimensioni di questi rigonfiamenti dovette-
ro essere in rapporto e con l'intensità della forza interna che le produceva, e con la re-
sistenza della crosta solida, o piuttosto pastosa, del globo lunare. É probabile che que-
ste due cause abbiano concorso per produrre gli effetti suddetti, di modo che, in gene-
rale, furono le circonvallazioni più grandi e i circhi o crateri più grandi ad essere for-
mati per primi. É possibile anche che la differenza di struttura che si nota tra il suolo
lunare e il suolo continentale del nostro globo derivi dal fatto che nessuna formazione
veramente sedimentaria è venuta a distruggere o a cancellare le tracce delle formazioni
plutoniane".
Per quanto riguarda le bande raggianti bianche, Chacornac ha scritto: "Ad ogni libera-
zione dei gas lanciati dall'eruzione, questi gas, liberandosi nel vuoto, dovevano span-
dersi su tutta la superficie del globo lunare con delle velocità enormi, trascinando tutto
al loro passaggio. É così che le ceneri dei coni di crateri, formate senza dubbio, come
quelle dei coni vulcanici terrestri, di materie polverulente e di pietre, si sparsero in tut-
te le direzioni attorno al cratere centrale".
Tutte queste constatazioni degli studiosi suppongono una luna preliminarmente portata
all'incandescenza. Ora, è appunto ciò che dice Mosè, che ci ha detto anche che le mon-
tagne terrestri erano state formate per corrugamenti a mezzo di sedimenti depositati
dall'acqua, il che spiega perché, secondo l'espressione di Sacco, la selenologia sia es-
senzialmente plutonica, mentre la geologia è particolarmente nettunica.
Il fatto che la luna finì per divenire scura in seguito al peccato originale, sarebbe tale da
spiegare la tradizione dei "Boscimani dell'Africa australe la quale afferma che molto
tempo fa la terra era rischiarata da due lune138". In effetti, se si considera che il nostro
satellite non ci rischiara veramente che per la metà del tempo, questi indigeni hanno po-
tuto credere che vi era una seconda luna quando tutte le notti erano rischiarate.
É vero che è possibile anche un'altra ipotesi, e cioè che la terra abbia avuto un secondo
satellite. Darwin, citato da Wolf139, formulando delle ipotesi (peraltro contestabili) circa
l'emissione della luna dalla terra, si pose la seguente domanda: "La forma primitiva del
satellite, è stata un anello continuo, uno sciame di meteoriti, oppure l'ellissoide primiti-
vo ha dato immediatamente nascita a due globi? É un problema che lo stato delle no-
stre conoscenze sulle condizioni di stabilità e di rottura di una massa fluida in rotazione
non permette di risolvere".
Questo problema noi l'abbiamo esaminato nella parte astronomica della nostra opera,
ma, da ora, sappiamo che la terra ha posseduto un anello e che ha, nella luna, un satellite
globulare. Di conseguenza, perché non avrebbe anche il suo sciame di meteoriti sotto
forma di una parte almeno di quelle stelle filanti che attraversano ogni anno la sua alta
atmosfera e la cui costituzione, quando cadono al suolo, è riconosciuta analoga a quella
delle rocce originarie delle regioni profonde del nostro globo, e non del granito e dei
terreni sedimentari140? Questa doppia constatazione non è forse tale da avvalorare la
supposizione che, anteriormente al lavoro delle acque sulla superficie della terra, questa
ha emesso, non solo la luna, ma anche un satellite più piccolo che, in un dato momento,
è esploso, e i cui detriti hanno costituito quelle meteoriti che, di tempo in tempo, rica-
dono su di essa? o anche direttamente un anello di planetoidi? In ogni modo, Fabre141
stima che: "la terra è in prossimità di un anello di asteroidi".
perché Noè, che nacque 600 anni prima del Diluvio, contava già in mesi lunari prima di
entrare nell'Arca. Se non temessimo di retrocedere troppo, potremmo far ricorso all'ana-
lisi onomastica per cercare di essere più precisi. In effetti, il patriarca Enoc (quello che
fu portato in cielo), ha un nome che si scrive (1 Cron I, 3) e si legge effettivamente
Echanoouke. Ora, sotto questa forma, questo nome si può tradurre col copto:
e sa hn oou k/
E Scha Hn Oou Kê
Qui Nasci In Luna Languidum esse [o Remissum]
Quello che Essere nato In Luna Essere debole Perdere la sua attività
In chiaro: Quello che è nato nel momento in cui la luna aveva perso la sua attività.
Siccome Enoc nacque nel 3382 e il peccato Originale, causa dell'estinzione della luna, è
stato commesso nel 3904, si potrebbe dedurne che la faccia del nostro satellite sarebbe
divenuta oscura circa 522 anni dopo l'arresto della sua rotazione su se stessa. È solo do-
po questo tempo che sarebbero iniziati i fenomeni eruttivi la cui durata è moto difficile
da apprezzare, ed è ancora molto più tardi che l'astro si sarebbe completamente raffred-
dato. È vero che, prima della sua totale estinzione, una forte diminuzione dell'illumina-
zione della luna aveva potuto farvi apparire le fasi della sua luce riflessa. Fino ad allora
non sembra che i mesi siano stati indicati con la luna. Mosè d'altronde non lo menziona.
All'origine, il sole e la luna dovevano separare la notte dal giorno e permettere, con la
loro successione, di contare i giorni della vita degli uomini e, con dei raggruppamenti
convenientemente scelti di questi giorni, formare delle divisioni del tempo costituenti
dei punti di riferimento nella sua lunga continuità; per esempio: settimane di sette gior-
ni, mesi di quattro settimane, ossia 28 giorni, anni di tredici mesi di 28 giorni pari a 365
giorni (364+1), secoli di cento anni, millenni di dieci secoli. É qui l'origine del calenda-
rio, che dovette essere, inizialmente, solare.
Ma dovrà venire un'epoca in cui non ci sarà più il tempo, in cui gli eletti, vivendo eter-
namente, raggiunto il loro numero, la riproduzione della specie non sarà più necessaria e
il conto dei giorni superfluo; è quello che Mosè indica con la frase: "Fino al tempo della
vita superiore in cui le generazioni esisteranno in permanenza".
Gen I, da 16 a 19
I versetti, 16, 17, 18 e 19 del primo capitolo della Genesi completano la documentazio-
ne astronomica; in ebraico si scrivono:
165
Hammehoroth Haggedolidjm
Ham Me Ho Roth Hag Ged Ol Idjm
hama me hw rokh hay kot ol ejm
Ham Me Ho Rokh Hath Kot Ol Edjm
Locus Verus Accedere Ustio Crassus Orbis Adscendere Super
Tempo Opportuno Arrivare Infiammazione Grosso Disco Elevarsi In alto
Lemèmeschèhalèth Hadjiooum
Lemèmeschè Ha Lèth Hadji Oou M
lemese ha r/te ha] hoou m
Lemesche Ha Rête Hati Hoou M
Dux Magister Ratio Fluxus Dies Mittere
Conduttore Maestro Cammino regolare Corso Giorno Emettere
Ouehèth Hammôhoour
Oue Hèth Ham Moh Oou R
oueh /it hem moh oou r
Oue Eit Hem Moh Oou R
Sequi Facere Ardére Plenitudo Gloria Esse
Venire in seguito Fare Brillare Pienezza Gloria Essere
Haqqôton Lemèmeschèhalèth
Haq Qôt On Lemèmeschè Ha Lèth
hay kot on lemese ha r/te
Hath Kot On Lemesche Ha Rête
Crassus Orbis Praeterea Dux Magister Ratio
Grosso Disco In secondo luogo Conduttore Maestro Cammino regolare
Halladjelôh Ouehèth
Hal Ladj E Lôh Oueh Eth
hwl lajlej e lohi oueh et
Hôl Ladj[ledj] È Lohi Oueh Et
Adscendere Conjunctio Ad Vesper Adjungere Cum
Levarsi Congiunzione Con Sera Aggiungere Con
166
Hakooukôbîdjm
Ha Koou K Ôb Î Djm
ou ciou ke hob i jem
Ou Siou Ke Hob I Djem
Astrum Alius Serpens Ire Invenire
Gli Astri Altro Serpente Camminare Vedere
Gen I, 17:
Bireqihadjag
Bi Re Q Iha Djag
bi r/ ke iah ja[/
Bi Rê Ke Iah Djaçê
Portare Sol Et Luna Debilis
Portare Sole E Luna Deficiente
Haschschômadjim
H Asch Schôm Adjim
h/ as jwm wjn
Hê Asch Djôm Ôdjn
Poni Suspendere Volumen Deficere
Disposto Sospendere Movimento circolare Mancare di luce
Lehôhidjr Hal
Leh Ô Hi Djr Hal
lehlwh w hi jer hala
Leh[lôh] Ô Hi Djer Hala
Splendére Esse In Accelerare Pro
Splendere Essere dotato Dentro Attivare il movimento Per
Gen I, 18:
Hôharèç Ouelimeschol
Hô Ha Rèç Oue Limesch Ol
ho ha r/ci ou/h lemese ol
Ho Ha Rêsi Ouêh Lemesche Ol
Visio Facies Terra Positum esse Potens Ducere
Vedere Faccia Terra Essere posto Potente Condurre
Badjihaooum
B Adji Haoou M
v ha] hoou m
Ph Hati Hoou M
art.déf Fluxus Dies Mittere
Uno Corso Giorno Emettere
167
Ouoballadjelôh
Ouo B Al Ladj È Lôh
ouoh v hwl lajlej e lohi
Ouoh Ph Hôl Ladj[ledj] È Lohi
Et art.déf Adscendere Conjunctio Ad Vesper
E L'altro Levarsi Congiunzione Con Sera
Ouôlehabeddidjl Bédjn
Ouo Leh Ab Ed Di Djl Bedj N
ouoh lehlwh hob et ye jel bes n
Ouoh Leh[lôh] Hob Et The Djel Besch N’
Et Adparére Serpens Qui Similis Accendere Laxare Per
E Apparire Serpente Che Simile Far brillare Lasciare andare Per
Hôhoour Ouobéhadjn
Hôh Oou R Ouo Béh Adjn
koh oou r ouoh beh ejen
Kôh Oou R Ouoh Beh Èdjn
Vertex Gloria Facere Sectator Incurvare Circa
Primo Ornamento Formare Che segue Curvare Intorno
Gen I, 19
Ouâdjehidj Hèrèb
Ou  Dje H Idj Hè Rèb
ou a je he ej h/ reb/
Ou A Dje He Edj Hê Rebê
Quid Esse Ultra Casus Sermo Initium Obscurari
Ciò che Essere Prima Uscire Parola Inizio Nascondere
Ouâdjehidj Boqèr
Ou  Dje H Idj Boq Èr
ou a je he ej bwk eierh
Ou A Dje He Edj Bôk Eierh
Quid Esse Ultra Casus Sermo Exire Vidére
Ciò che Essere Dopo Caduto Parola Finire Vedere
Djooum Rebidjhîdj
Djoou M Re Bidj Hîdj
jwou m re bij hi]
Djoou M Re Bidj Hiti
Generatio Mittere Pars Tessera Circumagere
Generazione Produrre Lato Cubo Circondare
168
Ehèlohidjm, avendo portato all'infiammazione la faccia del sole e della luna deficienti
che si muovevano circolarmente, disposti sospesi mancanti di luce, ed avendoli dotati di
luminosità attivando il moto interno di cui erano dotati affinché si vedesse la faccia del-
la terra, e avendoli posti quali potenti conduttori, l'uno del corso dei giorni che produ-
ce, e l'altra delle congiunzioni della sera con lo spuntare del giorno, ed avendo fatto
apparire i brillanti che sono simili a dei serpenti, lanciati dal primo per formare il suo
ornamento e che seguono la loro curva intorno a lui, sospesi nelle tenebre, Ehèlohidjm
osservò saggiamente che queste cose erano pure. Ciò che, prima che la Parola fosse
caduta, era nascosto all'inizio, fu, dopo che la parola fu caduta, visto alla fine. La ge-
nerazione così prodotta fu la quarta" [come i lati che circondano il dado (cubo)]".
145 - La science mystérieuse des Pharaons; Doin, Paris, 1938, p. 83, 84 et 85.
169
L'abate Moreux aggiunge questi dettagli: "I Caldei predicevano esattamente, sembra, il
cammino di questi astri ed i loro meandri capricciosi. "Marte, alla sua massima poten-
za, diviene splendido e resta così per molte settimane, poi, per altrettante settimane, di-
viene retrogrado per riprendere il suo corso abituale e percorre così 2 o 3 volte la stes-
sa strada. L'ampiezza della retrogradazione così percorsa tre volte (due in un senso e
una nell'altro) fu di 20 Kasbu (20 gradi)"... Queste righe sono state scritte da un astro-
nomo vissuto ben prima della caduta di Ninive ... ma ciò che è straordinario, è che que-
sto racconto dà la traduzione molto esatta dei fatti". Ciò che sapeva questo astronomo
caldeo, Mosè, istruito in tutta la scienza degli Egiziani, come, se non più, dei caldei, lo
sapeva certo anche lui. Abbiamo appena visto, d'altronde, che è proprio questo che ha
scritto; ma i suoi interpreti non l'hanno compreso; e noi abbiamo qui un esempio patente
e tipico degli errori scientifici che sono stati attribuiti al grande legislatore e che egli
non ha commesso.
Lo scrivano sacro ci dice così che i pianeti sono stati emessi dal sole, il che è certo, co-
me abbiamo matematicamente mostrato nel tomo 1 di Galileo aveva torto o ragione?,
allorchè si insegna ancora la teoria fantasiosa di Laplace che fa uscire i pianeti da una
nebulosa primitiva il cui residuo sarebbe il sole. Noi abbiamo fatto anche vedere che
questa uscita dei pianeti dal sole non è stata fortuita, ma che ha richiesto delle manovre
dirette dell'Autore di tutte le cose, come dice Mosè.
Notiamo ancora che la maggior parte dei pianeti sono molto meno densi della terra e
che essi suppongono un sole di densità decrescente, il che è evidentemente il caso di un
sole che, da oscuro e in parte solido, è divenuto incandescente e infine gassoso. Que-
st'ultimo dettaglio suppone che è nel periodo del cambiamento di stato del sole che i
pianeti sono successivamente usciti nell'ordine decrescente della loro densità, e questo
ancora giustifica l'ordine descrittivo seguito da Mosè.
Noi abbiamo tradotto Hachschèke con "sospeso nelle tenebre"; a dire il vero,
questa espressione può sembrare anormale poiché il sole è diventato luminoso. Ma
avremmo potuto anche tradurre così: ha as ,aki = Ha-Asch-Chaki = In-Focus-
Obscuritas = Tra-Fuoco-Oscurità: "All'interno del Fuoco oscuro", e questa versione di-
viene singolarmente espressiva di una situazione astronomica rimasta insospettata fino
al presente. Questo fuoco oscuro, al di qua del quale girano i pianeti, è apparentemente
l'astro nero, il compagno oscuro del sole, come ne hanno le stelle, che delimita così il
sistema solare e spiega le perturbazioni. Se dunque diciamo che Mosè ne sapeva molto
più di tutti i nostri astronomi, abbiamo forse torto?
170
Gen. I, da 20 a 23
Arriviamo ai versetti da 20 a 23 del capitolo I della Genesi che formano un tutto relativo
alla quinta generazione:
Djischereçhaouo Hammadjim
Dji Sch E Reç Haouo Ham (=Han) Ma Djim
ji s e r/ci houo han mai/ kim
Dji Sch È Rèsi Houo Ham Maiê Kim
Dicere Ab Terra Multiplicare art. Substantia Movére
Dire A partire da Terra Moltiplicare Da Essere Muoversi
Ouehouoph Djehoouphehaph
Oue Houo Ph Dje Hoou P He Ha Ph
oua houo ve ke houo pe h/ ha ve
Oua Houo Phe Ke Houo Pe Hê Ha Ph
Unus Copiose Caelum Alius Copiose Super Facies Sub Caelum
Uno Copiose Cielo Altro Copiose Sopra Superficie Sotto Cielo
Reqidjag Haschschômadjim
Reqi Djag Hasch 146 Ô M A Dji M
p/ci jak as o m e ji m
Rèsi Djak Asch O M È Dji M
Terra Perficere Quantus Res Mittere Per Loqui Mittere
Terra Fare completamente Molto numerose Cose Ordinare Per Parlare Emettere
Gen I, 21:
Hathanidjnim Hagedolidjm
Ha Tha Nidj Nim Ha Ge Dol Idjm
ha ya nej nim e ,/ jol ejm
Ha Tha Nedj Nim E Chê Djol Edjm
Prae Pertinens ad Efferre Omnis Qui Manére Fluctus In
In virtù di Arrivante a Produrre Ogni specie Chi Dimorare Flutti In
Gen I, 22:
Ouehôhoouph Djirèb
Oueh Ô Hoou Ph Dji Rèb
oueh w houo ve ji rbe
Oueh Ô Houo Phe Dji Rbe
Habitare Magna Amplius Caelum Habere Habitatio
Abitare Grande Esteso Cielo Avere Abitazione
Gen I, 23:
Bôharèç Ouadjehidj
Bô Ha Rèç Ou A Dje H Idj
voth ha r/ci ou a je he ej
Photh Ha Rèsi Ou A Dje He Edj
Excavare In Terra Quid Esse Ultra Casus Sermo
Scavare In Terra Ciò che Essere In alto Emessa Parola
Hèrèb Ouadjehidj
Hè Rèb Ou A Dje H Idj
h/ reb/ ou a je he ej
Hê Rebê Ou A Dje He Edj
Initium Obscurari Quid Esse Ultra Casus Sermo
Inizio Nascosto Ciò che Essere Dopo Emessa Parola
173
Coordiniamo questo testo: Una seconda volta, oltre alla prima, Ehèlohidjm disse: "Fa-
rò in modo che l'argilla si moltiplichi". Egli disse: "Possano moltiplicarsi a partire dal-
la terra esseri che si muovono; possano camminare sulla terra, possano nuotare; ab-
biano la possibilità di stare in aria; gli uni che abbondano nel cielo, gli altri che ab-
bondano sulla superficie che è sotto il cielo". Per effetto della Parola, la terra inviò da
una parte e dall'altra creature all'acqua, alla terra e fino alle regioni del cielo; essa fe-
ce completamente le numerosissime cose ordinate dalla Parola emessa. Allora,
Ehèlohidjm emise numerose parole in virtù delle quali arrivò a produrre tutte le specie
che abitano nei fiumi e che possono nuotarvi da una parte e dall'altra; quelli che sono
correnti e striscianti, numerosissimi secondo le loro diverse specie, riuniti in massa sul-
la terra per vivervi ed abitarla; esseri capaci di muoversi e di andare camminando; e
quelli che salgono nel cielo e di cui si contano numerosi tipi diversi, che sono capaci di
andare più in alto degli altri. Ehèlohidjm notò giudiziosamente che queste cose erano
convenienti. Saggiamente Egli li riunì per coppie allo scopo della generazione.
Ehèlohidjm fece le loro parti genitali ardenti, aventi la forza di produrre e di aggiunge-
re molti rampolli che inseminano le acque (marine) ed inseminano le ramificazioni del-
le sorgenti (corsi d'acqua); che abitano la grande distesa del cielo; che hanno la loro
abitazione scavata nella terra. Ciò che, prima che la Parola fosse pronunciata, era na-
scosto al principio, fu, dopo che la Parola fu pronunciata, ciò che fu visto alla fine. La
generazione così prodotta fu la quinta.
Notiamo che, per dire "cinque" gli Ebrei utilizzavano l'immagine delle dita: quelle che
sono associate nella mano.
Risulta da questo testo che gli esseri della quinta generazione furono formati, come gli
altri, partendo dalle sostanze minerali della terra e non da quelle dell'acqua; tali esseri
compresero i pesci, i rettili e gli uccelli secondo quanto si constata in geologia. E se la
geologia trova già al Primario degli esseri di questo tipo, essa non contraddice Mosè che
prende la precauzione di dire: "Una seconda volta oltre alla prima", indicando con ciò
che vi erano stati anteriormente degli animali provvisori. Questo è almeno il senso che
si può trarre dalle lettere e di cui si era fatta una nota marginale di separazione non
tradotta.
cie che creava, secondo la tesi di de Fabre, oppure ha agito sul feto ancora malleabile di
un primo essere inferiore per farne nascere una nuova specie? Le due opinioni ci sem-
brano sostenibili. Esse rischiano molto, del resto, di restare delle opinioni, giacché non
sembra che gli uomini possano creare delle nuove specie vere nell'una o nell'altra ma-
niera. Le differenze fondamentali delle specie sono in favore della prima opinione; la
plasticità degli esseri nei limiti della specie è una presunzione a vantaggio della secon-
da. Bisogna nondimeno ritornare alla formazione diretta a partire dalla terra per i grandi
tipi di organizzazione e, pertanto, logicamente nulla si opporrebbe a che le specie stesse
partano direttamente dalla terra. In ogni modo, "la chimica ha rivelato che non c'erano
differenze essenziali tra composti organici e inorganici, tanto che gli esseri animati sono
appunto della "terra" organizzata, animata da un principio di vita trascendente.
Gen. I, 24 - 25
Arriviamo così alla sesta generazione; in ebraico (Gen. I, 24-25):
Ouechadjethoou Hèrèç
Mès Oue Cha Dje Tho Ou Hè Rèç
m/s oueh qa se yo ou h/ r/ci
Mêsch Oueh Kha Sche Tho Ou Hê Rêsi
Multitudo Habitare In Silva Multitudo Quid Facies Terra
Gran n.ro Abitare In Foresta Moltitudine Quello Superficie Terra
175
Gen I, 25:
Haehadômôh Lemidjnéhouo
Ha E Had Môh Lemidj Néh Ouo
hah e hat w mou lemese n/h houo
Hah È Hat Ô Mou Lemesche Nêh Houo
Multus In Alvi profluvium Magna Aqua Potens Ejectus Multiplicari
Numerosi In Valle di fiume Grande Mare Potente Rampollo Moltiplicato
Questo testo, coordinato, diviene: Ehélohidjm disse: "Oltre alle prime, Io farò in modo
che l'argilla moltiplichi le numerose specie di ciò che ha le mammelle, allo stesso tempo
nell'acqua e sulla terra, quelli che possono nuotare nei corsi dei fiumi e nel mare, atti a
montare; quelli che sono simili ai gatti; quelli che ruminano il loro cibo molte volte;
quelli che abitano nelle foreste; la moltitudine di quelli che sulla superficie della terra
sono atti a montare". Ciò fu fatto molto convenientemente. Pertanto, oltre alle prime,
Ehélohidjm disse numerose parole creatrici e fece le specie che sono nelle acque e sulla
terra, atte a montare, sia quelle la cui figura è simile a quella dei gatti, atte a montare,
176
sia quelle che fanno rigurgitare molte volte il loro cibo, e quelle che sono numerose
nelle valli dei fiumi e nel grande mare, atte a moltiplicare i loro rampolli. Ehélohidjm
osservò saggiamente che queste cose erano convenienti.
Questa traduzione ci sbarazza degli animali domestici, alquanto puerili, e degli inoppor-
tuni rettili. Essa riporta la creazione della sesta generazione a tutte le specie di mammi-
feri ed è così d'accordo con la geologia che ci dice che "tra gli esempi di apparizione
brusca e di rapida espansione di tutto un insieme di esseri, ciò che più impressiona è la
comparsa dei mammiferi placentari all'inizio dell'Eocène, per la quale i paleontologi
hanno creato la parola significativa di esplosione. Questi mammiferi non si mostrano al
Cretaceo; non sono annunciati da nessuna forma di passaggio; essi appaiono, in gran
numero e quasi simultaneamente, in tre regioni separate da vasti spazi: gli Stati Uniti,
la Patagonia, la Francia; e già sono differenziati in ordini perfettamente distinti, e vi si
riconoscono degli ungulati, dei carnivori, dei primati... I documenti geologici del Cre-
taceo superiore non ci mancano: nessuno ci permette di prevedere l'esplosione che so-
praggiungerà147".
Mosè sà che anteriormente i mammiferi avevano avuto dei rappresentanti poco impor-
tanti, giacché ci dice che questi ultimi sono venuti oltre ai primi. Egli non cita tutti gli
ordini di mammiferi; ne indica tre principali: i carnivori (i felini, simili a dei gatti), i rumi-
nanti (che rimuovono molte volte il loro nutrimento, come il bue), i primati (quelli che abitano le
foreste), giacché Ouechadje può trascriversi: oueh sau se = Oueh-Schau-
Schê = Inniti-Ramus-Silva = Appoggiato su-Ramo-Foresta = Quelli che si appoggiano
sui rami della foresta (le scimmie, che si arrampicano sugli alberi, i pipistrelli). Mosè sà
anche che ci sono dei mammiferi nei fiumi, come i rinoceronti e l'ippopotamo; non
ignora che ce ne sono nel mare, come i cetacei e i pinnipedi, anche se gli han fatto dire
che aveva confuso la balena con un grosso pesce. Tutti gli altri, egli li comprende sotto
una forma più generale: la moltitudine di quelli che, sulla superficie della terra, sono po-
tenti per accoppiarsi. E Mosè ripete che, per formare i mammiferi, Dio disse numerose
parole creatrici, il che mostra chiaramente che Dio non li fece tutti in una volta, ma suc-
cesivamente, per tutta la durata della sesta generazione.
Così adesso siamo un po' meglio informati sulla Creazione e sull'origine delle specie ri-
spetto alle ipotesi degli scienziati e alle deformazioni dei traduttori, che non hanno sa-
puto rispettare neanche il Nome divino poiché l'hanno letto Elohim in luogo
di Ehèlohidjm, trascurando = Hè, e = Dj. Ora, tutto conta in questo nome, e allora
il copto ce ne rivela un senso ben caratteristico:
ehi lo hi jem
Ehi Lo Hi Djem
Vita Proficisci Germinare Invenire
Vita Provenire Germinare Causare
Quello da cui proviene la vita, che causa la germinazione. Sotto questo nome, Dio ap-
pare dunque come il promotore della vita e della riproduzione: è il Creatore. Ecco l'ori-
gine della vita; non ve ne sono altre.
147 - Termier - Les grandes énigmes de la Terre; Flammarion, Paris, 1935, p. 33, 34.
177
Hôdôm Beçaleménouo
Sèh Hô Dôm Be Ça Le Mén Ouo
cai ho jwm bebe [a le mn oua
Sai Ho Djôm Be[be] Ça Le Men Ou[a]
Species Forma Generatio Effundere Forma Pars In Quidam
Specie Forma Generazione Diffondersi Forma Parte In Un'altra
Kidemouothenouo
Ki De M Ouo The N Ouo
ke y/ m ou ye n ou
Ke Thê M Ou The N’ Ou
Et Modus genit. Hoc Similis praef.dat. Illud
E allora Forma Di Questa Fatta simile A Quella
Ouobehahoouph
Ouo Be Ha Hoou Ph
ouoh pe hah houo ve
Ouoh Pe Hah Houo Phe
Et Super Quantus Amplius Caelum
E Sopra Molto grande Esteso Cielo
178
Haschschômadjim
Hasch Sch Ôma Djim
as s amaiou jme
Asch Sch Amaiou Djime
Quantus Posse Aqua Satio
Molto numerosi Avere il potere Acqua Inseminazione
Ouobabehémôh Ouobekôl
Ouo Ba Be H Emôh Ouo Be Kôl
ouoh pe pe he emou ouoh pe [oile
Ouoh Pe Pe He Emou Ouoh Pe Çoile
Et Super Esse Similis Felis Et Super Habitare
E Sopra Essere Simile Gatto E Sopra Abitare
Gen I, 27:
Hahôdôm Beçalemoou
Ha Hô Dôm Be Ça Lem Oou
ha hw jwm etbe [a lem oou
Ha Hô Djôm [Et]be Ça Lem Oou
Caput Accedere Generatio De Species Homo Splendor
Capo Divenire Generazione Secondo Immagine Uomo Luce
Hotoou Zôkôr
Hot O Ou Zôk Ô R
hote o ou cwk w r
Hote O Ou Sôk O R
Momentum Res Hoc Saccus Esse Facere
Piccolo lasso di tempo Possedesse Questi Borsa Vivere Produrre
Ouoneqébôh
Ouo N E Qéb Ô H
ouoh n e k/bi w he
Ouoh N’ È Kêbi Ô He
Et Ad In Ampulla Concipere Procedere
E Inoltre All'interno Piccolo vaso Concepire Aver luogo
o: yebi
Thebi
Caverna
Cavità
Bôrôh Hotham
Bô R Ô H Hotham
bo r w he hahtm
Bo R Ô He Haht
Vox Facere Pignus Similis Ad
Parola Fare Innesto Simile Fino al momento
Gen I, 28:
Pheroou Ouorébooui
Pher Oou Ouo R Ébooui
vori ouw ouoh r efhwoui
Phori Ouô Ouoh R Efhôoui
Germinare Jam Et Facere Ejectus
Germinare Da allora E Produrre Rampollo
'
Ouekibeschuhô Ouoredouo
Oue Ki Besch U Hô Ouo Re Douo
ouoh [i oues o hw ouoh re touo
Ouoh Çi Ouesch O Hô Ouoh Re Touo
Et Metiri Eligere Esse Sufficere Et Esse Splendére
E Misurare Eleggere Essere Essere sufficiente E Essere Essere splendido
Haschschômadjim Ouobekôl
Ph Hasch Sch Ôma Djim Ouo Be Kôl
ve as s amaiou jme ouoh pe [oile
Phe Asch Sch Amaiou Djme Ouoh Pe Çoile
Caelum Quantus Posse Aquae Satio Et Super Habitare
Cielo Molto numerosi Avere il potere Acque Inseminare E Su Abitare
Il copto ci dice che Ehelohidjm intraprese di fare una specie nuova: la specie umana,
specie, di conseguenza, ben distinta dalle precedenti, essendo qui la parola specie presa
nella sua accezione più rigorosa. Questa specie fu fatta, non a partire dalla forma modi-
ficata, spontaneamente o no, di una scimmia, come vorrebbero il Padre Teilhard de
Chardin e quelli della sua scuola, ma a partire dalla forma generatrice sdoppiata in un
altra fatta a sua somiglianza. Se l'uomo fosse uscito dalla scimmia, bisognava che la
forma fetale della scimmia ricevesse profonde modificazioni e, pertanto, la forma
dell'uomo non sarebbe più stata simile a quella da cui avrebbe tratto la sua origine; sa-
rebbe stata una creazione ascendente; un uomo "ascendente" dalla scimmia, secondo la
formula che il Padre Teilhard de Chardin ha giudicato molto abile per far accettare la
tesi trasformista. Non è affatto così: la forma dell'uomo è simile alla sua forma genera-
trice. Ora, la forma umana è nettamente superiore alle forme animali; la forma genera-
trice di quella dell'uomo è dunque quella di un essere superiore a tutta la creazione.
Chi è questo Essere superiore di cui l'uomo è la copia? Se non Quello di cui l'Apostolo
san Giovanni ha detto: "Prima di tutto era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Per Lui tutte le
cose sono state fatte e senza di Lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In Lui era la vita e la vita era la luce che illumina ogni
uomo che viene sulla terra. " Il Verbo era la luce degli uomini perché questa luce, dice S. Gio-
vanni, è la vita che era in Lui e che Egli trasmette ad ogni uomo che viene in questo
mondo.
San Giovanni sa benissimo che il Cristo ha illuminato gli uomini con la sua dottrina, ma
non è di questa luce morale che qui parla, giacché egli sa pure che Cristo ha detto: "Io
sono la Via, la Verità e la Vita". Cioè: "Io sono la Via; seguite dunque la mia strada. Io sono la
Verità; ascoltate dunque il mio insegnamento. Io sono la Vita, è da Me che voi avete la
vostra e sono Io che posso rendervela quando l'avete perduta".
Così l'uomo è l'essere definitivo della creazione e Adamo è l'unico capo genealogico
dell'umanità. La sua forma è l'immagine di Dio, il Verbo, che è al contempo il Figlio
unico di Dio e che ci ha fatto conoscere Dio, perché Lui, in quanto Uomo-Dio, è visibi-
le.
Per questo Mosè dice ancora che Adamo era un essere splendido, elevato, per l'intelli-
genza, al di sopra di tutti gli altri esseri della creazione, e che egli doveva dominare su
tutta la terra fino a quando fosse riempita di eletti nella misura fissata da Dio: disegno
ammirabile della divina Provvidenza che il peccato ha scompigliato ma che è stato re-
staurato dalla Redenzionde del Cristo stesso. Rimarchiamo, di sfuggita, che la terra è
detta ancora incolta, il che spiega che l'uomo doveva coltivarla.
Il Padre Ceuppens148 scrive al riguardo: "Dio creò l'uomo (a sua immagine), a immagine di
Dio lo creò, uomo e donna li creò. I dottori giudei dell'epoca talmudica e del Medio-
Evo insegnavano che il primo uomo era stato creato androgino (maschio e femmina insie-
me); egli aveva due volti rivolti su lati opposti... Dio aveva diviso questa unità per for-
marne l'uomo e la donna, due esseri distinti. Questa teoria, già vivamente combattuta
da S. Agostino, ha ritrovato in questi ultimi anni ardenti difensori tra i non cattolici, e
per giustificare la loro interpretazione essi leggono, in luogo di "li creò" "lo creò", cor-
rezione che trova conferma solo in certi racconti grotteschi delle cosmogonie pagane.
Uomo e donna li creò. L'espressione "Zakar uneqebah = " (Gen I, 27), che
noi traduciamo "uomo e donna", designa la differenza del sesso; questi termini non so-
no degli aggettivi ma dei sostantivi indicanti degli individui, il suffisso plurale in ebrai-
co "li creò" lo mostra incontestabilmente".
L'opinione del Padre Ceuppens non ci sembra fondata. Innanzitutto, i dottori giudei
hanno sì pensato che Adamo era stato creato androgino, ma non hanno generalmente
aggiunto il complemento che aveva due volti opposti; altri dicevano che Adamo aveva
due corpi uniti dorso con dorso, altri ancora che erano uniti fianco a fianco, etc.; ma il
carattere di ermafrodismo era nondimeno mantenuto. Che Sant'Agostino abbia combat-
tuto simili opinioni, di cui alcune erano evidentemente stravaganti, non prova affatto
che egli abbia avuto ragione sul fondo; i casi di ermafrodismo sono debitamente stabiliti
e Adamo poteva essere ermafrodita senza essere un mostro a due teste. Se degli scrittori
non cattolici hanno ripreso l'opinione degli antichi rabbini, il Padre Ceuppens omette di
dire che anche uno studioso cattolico eminente, François Lenormant, l'ha sostenuta. Il
Dizionario della Bibbia, di Vigouroux, pur enumerando sia gli autori antichi che mo-
derni che hanno adottato la tesi di Adamo creato androgino, non indica affatto che que-
sta tesi sia stata condannata.
Può darsi benissimo che in ebraico sia il singolare "lo creò" e , il plurale "li
creò", ancorchè significhi "cum eo", "contemporaneamente a lui", e , "cum
eis", "contemporaneamente ad essi", ma, ancora, a cosa si rapporta "li"? Per Padre
Ceuppens, a "uomo e donna", mentre san Gerolamo ha tradotto "masculum et femi-
nam", che sono chiaramente: maschio, mascolino, di sesso maschile, e femmina, fem-
minile, di sesso femminile. Anche Zadoc Kahn ha tradotto "Maschio e femmina" che
sono degli aggettivi. Ora "li creò maschio e femmina" è grammaticalmente scorretto
poiché finora non si è parlato che al singolare di Adamo solo. Ad ogni modo, "li" si
rapporta alle parole "Zakar uneqebah", più esattamente "Zôkôr Ouoneqebôh", ed è il
significato di queste parole che è in questione. Ora, il radicale di Neqebôh è ,
Nôqib, bucare, che dà , Qobôh, foramen genitale, vulva, pars genitales mulieris; e
il radicale Zôkôr o Zakar sembra essere , Saq, saccus, borsa. Pertanto, ciò che è in
ballo qui non è l'uomo e la donna, e nemmeno la qualità di maschio o di femmina, ma
gli organi sessuali, lo scroto e l'utero. Ora, se "li" si rapporta a questi organi, aggiungere
che essi sono stati creati insieme quando si parla della creazione di Adamo e di lui solo,
è evidentemente dire che Adamo è stato creato androgino, e il senso diviene in ebraico:
"Egli creò insieme il sacco e il foro: le borse e l'utero".
Questo senso, così discusso con l'ebraico, emerge chiaramente dalla traduzione col cop-
to, che afferma così la sua superiorità. Ma il copto aggiunge (cosa che non dice la tradu-
zione con l'ebraico) che questo stato ermafrodita di Adamo era transitorio e doveva fini-
re il giorno in cui la Parola di Dio gli avrebbe fatto una simile per innesto. In effetti, Eva
proviene proprio da un innesto di Adamo, tuttavia questo innesto da un essere maschile
ha potuto dare una femmina perché ad Adamo non è stata tolta soltanto della carne, ma
anche il sesso femminile. E il racconto copto mostra appunto che Eva non fu creata con-
temporaneamente ad Adamo, come si vuol dire, ma più tardi, da una Parola distinta, e
ciò, d'altronde, si accorda col seguito del racconto biblico senza che sia necessario tortu-
rare i testi per fargli dire ciò che non dicono.149
La nostra traduzione col copto prosegue che Dio impose ad Adamo di astenersi dall'uti-
lizzare le sue parti genitali fino al momento in cui sarebbe venuto Lui a dirgli di man-
giare qualcosa di particolare producente lo stato passionale e che solo allora Adamo
avrebbe prodotto dei rampolli che si sarebbero sommati fino a quando la specie, diffon-
dendosi sulla superficie della terra, avrebbe raggiunto il grande mare. Questo testo è an-
cora molto diverso da quelli della Volgata e del rabbinato francese. Dio non benedisse
allora Adamo ed Eva poiché Eva non esisteva ancora. Non gli disse di crescere e molti-
plicarsi senza condizioni poiché è solo dopo la loro caduta che Adamo ed Eva si uniro-
no e ciò, delittuosamente. Quel che è così contraddittorio nella traduzione ebraica divie-
ne luminoso col copto: questo frutto di cui era loro vietato mangiarne prematuramente
era un afrodisiaco al quale non dovevano ricorrere che dopo l'ordine ricevuto da Dio.
Vediamo adesso i versetti seguenti:
149 - Nota dell'Editore: ci teniamo ad avvertire i nostri lettori che queste pagine di Crombette non devono
niente agli scritti gnostici e che il nostro autore contesta tutte le interpretazioni pseudo-mistiche contrarie
all'insegnamento della Chiesa che sono talvolta proposte in merito da certi autori. Il rev. Padre Renè
Mandra (+), in una lettera al CESHE scrive: "F. Crombette ha senza dubbio avuto torto a mettere la pa-
rola "androgino" nelle sue note, ma il suo pensiero vi è mal'espresso, visto che non c'è altra parola che
possa darne l'esattezza. "Adamo, creato da Dio come capo di tutta la razza umana, portava in sè tutta la
potenza della procreazione, e anche ciò che il Creatore doveva "utilizzare" per formare Eva, sua moglie.
NO! egli non era "bisessuato", era l'uomo maschio perfetto, e solamente maschio, ma Dio aveva posto
nelle sue viscere, osiamo dire, il "modulo" di sua moglie". Ora, cos'è l'essenza di una donna, se non quel
"tabernacolo" vivo e caldo nel quale è concepito e si sviluppa il bambino? Ma Adamo non aveva certo
nessuna possibilità di usarne in un modo o in un altro. Ed è questo che il Padre Eterno tolse durante il
sonno di Adamo per formare sua moglie, la bellissima Eva."
184
Gen. I, da 29 a 31
Gli ultimi versetti del capitolo della Genesi si rapportano all'alimentazione degli anima-
li; essi si scrivono in ebraico:
Gen I, 30:
Gen I, 31:
Ehaschèrha Hôsôh
E Ha Schèr Ha Hôs Ôh
e ha s/r hah hoce o
E Ha Scher Hah Hose O
Qui In Coacervatus Multus Labore confectus Res
Che In Riunire in quantità Numerosi Accuratamente fatto Cosa
In testo coordinato: Ed Ehélohidjm disse alla moltitudine da Lui fatta dall'argilla: "Ec-
co la norma che vi do per il nutrimento: A quelli che fanno rigurgitare il cibo molte vol-
te, le varie erbe diffuse intorno sempre più; a (quelli) che sono riuniti in massa, inviati
da una parte e dall'altra nei confini del cielo; a quelli che vivono dentro la superficie
della terra o che fanno la loro abitazione dentro le grotte; a quelli che sono nei grandi
alberi riuniti in massa e che portano frutti o germi, gli alberi di varie specie dei prati
diffusi intorno sempre più ed i legumi che producono.. Avendo vita da cose diverse, par-
ticolari a ciascuna specie, essi si sostenteranno senza carneficina in una terra sufficien-
te. Ciascuno avrà la sua specie particolare di quelli che salgono nel cielo enormemente
187
sottili; (ciascuno avrà) la sua specie particolare di quelli, numerosi, che vivono nelle
canne, di quelli che sono inviati da una parte e dall'altra sulla superficie della terra, di
quelli che sono nei grandi alberi riuniti in massa e di quelli che hanno il potere di nuo-
tare: essi si sostenteranno senza carneficina". Passando in rassegna le piante e i vari
frutti e le numerose erbe, Ehélohidjm osservò saggiamente che queste cose diverse le
une dalle altre erano fatte molto convenientemente. Compiute saggiamente queste cose,
Egli mandò da una parte e dall'altra quelli che erano riuniti in massa: "Andate, ecco il
vostro cibo, sano, sostanzioso ed abbondante". Ciò che prima che la Parola fosse pro-
nunciata, era nascosto al principio, fu, dopo che la Parola fu pronunciata, ciò che fu
visto alla fine. La generazione così prodotta fu la sesta ( = 6ª).
Gen. II, da 1 a 3
Dei versetti 1, 2 e 3 del capitolo II della Genesi, vediamo il testo ebraico:
Ebraico: Ph Ouadjekulliouo
Ebraico: Ph Oua Djek Ul Il Ouo
Copto: ve ouah jek hala leh ouwh
Copto: Phe Ouah Djek Hala Leh Ouôh
Latino: Et Sequi Perficere Ad Cura Ponere
Italiano: E Venire in seguito Completare Con Cura Porre
Haschschômadjim
Hasch Schôm A Djim
as jwm a s/m
Asch Djôm A Schêm
Suspendere Volumen Circiter Excelsus
Sospendere Movimento circolare All'intorno I cieli
Ouehôhôrèç Ouekôl
Oue Hô Hô Rèç Oue Kôl
oueh hw ha r/ci oueh kwl
Oueh Hô Ha Rêsi Oueh Kôl[?]
Sequi Consistere Sub Terra Habitare Totus
Venir dopo Mantenersi Sotto Terra Abitare Tutti
Gen II, 2:
Haschschebidjkidj
Hasch Sche Bidj Kidj
as se bij [i/
Asch Sche Bidj Çiê
Quantus Mensura Tessera Extremus
Molto Misura Dado Estrema
189
Melahkeththoou
Me Lakhe Th Thoou
hmme lese ye jwou
Hmme Lesche The Djoou
Fovére Potens Sicut Generatio
Trattenere Potenza In questo stato Generazione
Ehaschèrha Hôsah
E Ha Schèr Ha Hô Sa H
e a s/r hah hw ca he
E A Schèr Hah Hô Sa He
Qui Esse Coacervatus Multus Contentem esse Pars Victus
Che Essere Riuniti in molti Numerosi Essere soddisfatto Parte Nutrimento
Ouadjdjischebboth Badjhadjooum
Ouadj Dji Scheb Both Badj Ha Djoou M
ouah sai hwb bws peje ha jwou m
Ouah Schai Hôb Bôsch Pedje Ha Djoou M
Addere Novus Res Desistere Dixit In Generatio Mittere
Aggiungere Nuova Cosa Cessare Dire In Generazione Emessa
Haschschebidjkidj Mikkol
Hasch Sche Bidj Kidj Mik Kol
as se bij [i/ mici kwl
Asch Sche Bidj Çiê Misi Kôl[?]
Quantus Mensura Tessera Extremus Generatio Perficere
Molto Misura Dado Estrema Riproduzione Compiuta
Melahkeththoou Ehaschèr
Me Lakhe Th Thoou E Ha Schèr
hmme lese ye jwou e a s/r
Hmme Lesche The Djoou E A Schèr
Fovére Potens Sicut Generatio Qui Esse Coacervatus
Trattenere Potenza In questo stato Generazione Che Essere Riuniti in gran numero
Hôsah
Hô Sa H
Hw ca he
Hô Sa He
Contentem esse Pars Victus
Essere soddisfatto Parte Nutrimento
Gen II, 3:
Hadjooum Haschschebidjkidj
Ha Djoou M Hasch Sche Bidj Kidj
ha jwou m as se bij [i/
Ha Djoou M Asch Sche Bidj Çiê
In Generatio Mittere Quantus Mensura Tessera Extremus
In Generazione Emettere Molto Misura Dado Estremo
Ehaschèr Bôrah
E Ha Schèr Bô Ra H
e a s/r bo ra ha
E A Schèr Bo Ra Ha
Qui Esse Coacervatus Vox Facere Ex
Che Essere Riuniti numerosi Parola Fare Per mezzo di
Ehèlohidjm Lâekasoouth
Ehèlohidjm Lâeka Soouth
loi[e coouhc
Ehèlohidjm Loiçe Soouhs
Ehelohidjm Caussa Congregatio
Ehèlohidjm Motivo Assemblea
Ossia, in testo chiaro: E dopo, avendo ultimato di porre con cura ciò che è sospeso in
moto circolare intorno ai cieli e poi la terra che stà sotto con tutti i suoi abitanti, i suoi
luoghi convenientemente ornati, Ehélohidjm disse: "Nella settima generazione prodotta
Io manterrò potentemente in questo stato le generazioni che sono riunite in masse nu-
merose e che sono soddisfatte da parte loro di cibo. Io cesserò di aggiungere cose nuo-
ve". Egli disse: "Nella settima generazione emessa Io compirò la riproduzione delle ge-
nerazioni potentemente mantenute in questo stato e che sono riunite in massa, soddi-
sfatte da parte loro di cibo". Saggiamente Ehélohidjm, operando magnificamente, stabi-
lì che nella settima generazione emessa era conveniente consacrare un giorno fissato
per il sacrificio, e stabilì che questo giorno sarebbe stato il settimo; il motivo di questa
assemblea era ciò che Ehélohidjm aveva fatto per mezzo della Parola: compiere la ri-
produzione e mantenere potentemente in questo stato le generazioni che sono riunite in
massa.
Così, come abbiamo già detto, Dio non è rimasto inattivo il settimo "giorno", come si è
creduto: Egli ha semplicemente cessato di produrre delle cose nuove; ma la Sua azione
191
Gen II, da 4 a 6
I versetti 4, 5 e 6 del capitolo II costituiscono sia una ricapitolazione che un testo di
transizione con ciò che seguirà; in ebraico essi si scrivono:
Ph Héhallèh Thooueldoouth
Ph Hé Hal Lèh Thoou El Doouth
v/ h/ hala l/c jwou el toot
Phê Hê Hala Lês Djoou El Toot
Ille Initium Ad Extremitas Generatio Facere Manus
Tali Inizio Fino a Fine Generazione Fare Mano
Haschschômadjim Ouehôharèç
Hasch Schôm A Djim Oue Hô Ha Rèç
as jwm a s/m oueh hw ha r/ci
Asch Djôm A Schêm Oueh Hô Ha Rêsi
Suspendere Volumen Circiter Excelsus Sequi Consistere Sub Terra
Sospendere Movim. circolare All'intorno I cieli In seguito Mantenersi Sotto Terra
Behibareham
Be Hi Ba Re Ha M
v/ hi bo re ha m
Phê Hi Bo Re Ha M
Qui Super Vox Facere Ex Mittere
Ciò che Oltre Parola Fare Per mezzo di Produrre
192
Bedjooum Ehasioouth
Be Djoou M Eha Si Oou Th
pa jwou m ehe [e ouoh ye
Pa Djoou M Ehe Çe Ouoh The
Qui pertinet ad Generatio Mittere Ita Planta Habitare Modus
Fino a Generazione Emettere Molte Pianta Abitare Modo
H Oueschômadjim
H Oue Schôm A Djim
he ou/h jwm a s/m
He Ouêh Djôm A Schêm
Etiam Positum esse Volumen Circiter Excelsus
Anche Essere posto Movimento circolare Intorno I Cieli
Gen II, 5:
Lâerabod Hèth
Lae Rabod Hèth
laau rab/out ket
Laau Rabêout Ket
Res Subjectio Alius
Cose Sottomissione Altro
Gen II, 6:
Penédj Haehadômah
Pe N Edj Ha E Had Ô Mah
pe n ej ha h/ hoout w ma
Pe N’ Edj Ha Hê Hoout Ô Ma
Caelum Ab Sermo Prae Poni Homo Esse Locus
Cielo Per effetto della Parola Prima di Disposto Uomo Essere In questo luogo
In testo coordinato: Tali (sono state) dall'inizio sino alla fine le generazioni create, (da)
ciò che è sospeso in moto circolare intorno ai cieli e ciò che viene dopo, la terra, che
stà sotto e ciò che è stato prodotto in più, fatto per mezzo della Parola, fino alle genera-
zioni che hanno emesso molte piante ed abitanti d'ogni specie. É Djehoouôh-
Ehélohidjm che ha posto la terra e ha posto anche ciò che è in moto circolare intorno ai
cieli, i numerosi abitanti, tutti sfamati senza lotta, e le loro numerose filiazioni, quelli
che l'uomo ha sotto la sua potenza, gli (animali) domestici e tutti gli esseri che abitano
la terra, quelli che si nutrono d'erba e le loro numerose filiazioni, quelli che hanno ac-
194
cesso nella casa dell'uomo; queste cose abbondanti sono state disposte con amore e mi-
sura da Djehoouôh-Ehélohidjm. Per abitare la terra da padrone, Egli ha posto l'uomo
in questo luogo, essere intelligente al quale sono sottomesse le altre cose, l'essere più
recente in questo luogo, che supera da solo la moltitudine delle specie che sono sulla
terra, da quelle che vivono nelle buche fino a quelle delle regioni del cielo. É per effetto
della Parola, che (così) aveva disposto in anticipo, che l'uomo è in questo luogo.
Adesso il senso è tutt'altro: Mosè ricorda che è Dio che ha fatto tutta la creazione, che
ha disposto tutto con amore e che lo ha fatto per porvi l'uomo come signore. Questo per
dire con quale culto e riconoscenza l'uomo deve votarsi a Dio. Ora, è notevole che Mo-
sè, dopo aver detto che la Creazione era stata compiuta, non chiama più Dio solo con
Ehèlohidjm, il Fabbricatore sovrano, poiché Egli ha cessato di fare del nuovo e non fa-
rà più che mantenerlo, ma anche l'Essere sostanziale per eccellenza: Djehoouôh, Quello
che merita ogni adorazione per il solo fatto che esiste.
Questo nome divino è stato letto Jéhova, Yaweh, o differentemente con il senso genera-
le di Dio. Ma secondo l'analisi che ne abbiamo fatto noi, significa: Io sono per natura
Quello che è certamente o in principio:
Abbiamo così, non solo la pronuncia vera del tetragramma divino, ma inoltre la sua
etimologia che non è altro che la definizione stessa di Dio.
Da notare che è dall'abbreviazione Dje-O, Io sono, che i Greci hanno fatto Theos, giac-
ché essi non avevano la consonate sibilante Dj, e i latini, Deus, giacché a loro mancava
il Th greco.
Gen II, 7
Poi, nel versetto 7 del capitolo II, Mosè, che da questo capitolo ritorna in dettaglio su
ciò che concerne particolarmente Adamo, indica in quale maniera egli fu creato. In
ebraico:
Hôhaehadômôh Ouadjdjipach
Hô Ha E Ad Ômôh Ouadjdji Pach
hw ha e oye omi ouaji vas
Hô Ha È Ôthe Omi Ouadji Phasch
Ille Ex In Scaturigo Lutum Sanus Dividere
Quello che Proveniente da In Acqua di sorgente Terra grassa Conveniente Dividere
Ouâdjehidj Hahôdôm
Ouâ Dje H Idj Ha Hô D Ôm
ouoh je hi ej ha ho et ome
Ouoh Dje Hi Edj Ha Ho Et Ome
Et Dicere Per Sermo Ex Forma Cum Lutum
E Nominare Con Parola Proveniente da Forma Con Terra grassa
Elnèphèsch Chadjdjah
El Nèph Èsch Cha Djdjah
el nef is ,a oujai
El Nef Isch Cha Oudjai
Facere Spirare Homo151 Habére Vita
Fare Respirare Uomo Avere Vita
Lo chiamò, non "terra rossa", non "il rosso", come si dice comunemente, benché Ada-
mo abbia potuto benissimo avere i capelli di un biondo veneziano, come quelli che la
tradizione attribuisce a N. S. Gesù Cristo, suo modello, ma secondo la sua origine:
"Proveniente da una forma con della terra grassa".
E Mosè, sempre scientificamente così ben informato, ci dice come fu ottenuta quest'ar-
gilla colloidale: con la triturazione nell'acqua di sorgente di terra grassa conveniente-
mente divisa. Questa sorgente era apparentemente quella di cui si parla al versetto 10
seguente, che bagnava tutta la terra e di cui un braccio attraversava il Paradiso terrestre.
Questo braccio era quello chiamato Gheon il cui nome più esatto sembra essere
Gidjchooun, da cui è venuto l'attuale Djihoun, che si getta nella baia di Alessandretta.
Primitivamente, esso continuava il suo corso per la valle del Giordano dove attraversava
il Paradiso terrestre. Ora, il suo nome si può trascrivere: ket is houn = Kêt-Isch-
Houn = Ædificare-Homo-Intus = Edificare-Uomo-Dentro = L'uomo è stato edificato
dentro. Si comprenderebbe, pertanto, l'importanza del Giordano nelle cui acque sarebbe
stato formato Adamo, e si coglierebbe perché il Cristo, che restaurava in Sé tutte le co-
se, abbia voluto bagnarvisi ed esservi battezzato come a riparare la colpa del primo uo-
mo; si concepirebbe che lo Spirito, avendo lavorato il corpo dell'uomo nell'acqua, l'ac-
qua sia il veicolo dello Spirito nell'amministrazione del battesimo restauratore delle
anime. Le rive del Giordano sono, d'altronde, costituite da masse enormi d'argilla. Così
ritorniamo alla questione della possibilità della formazione del corpo di Adamo a partire
dall'argilla colloidale, convenientemente divisa e triturata nell'acqua.
Ecco ciò che dice al riguardo Paul Chauchard152: "Non formano delle vere soluzioni che
i corpi divisi in piccole particelle; i protidi, essendo ripartiti in frammenti che vanno
dal decimillesimo al milionesimo di millimetro, possono assorbire molta acqua, for-
mando masse vischiose che sono delle false soluzioni o soluzioni colloidali. Esistono in
natura numerosi esempi di tali soluzioni; questo non è dunque il proprio della vita, ma
la vita non può manifestarsi che in questo stato ed è l'utilizzazione delle proprietà dei
colloidi che serve da base al dinamismo vitale."
E Boutaric153: "I tessuti degli esseri viventi, sia nel regno animale che vegetale, sono
quasi interamente formati da colloidi liquidi o coagulati... È, in effetti, per la loro pla-
sticità, la loro flessibilità e la loro facilità di evoluzione, che contrastano singolarmente
con la rigidità, la fragilità e la permanenza dei cristalloidi, che le materie colloidali...
appaiono come particolarmente adattate al compimento delle funzioni vitali... Tra le
materie minerali, la silice, che si trova in natura così abbondantemente, è tra quelle a
partire dalla quale si può preparare il maggior numero di derivati colloidali... Sotto il
nome di argilla, si designano i sedimenti costituiti essenzialmente da materiali di origi-
ne colloidale tra i quali dominano la silice e l'allumina allo stato di silicati d'allumina
rispondenti a formule diverse, che sono suscettibili di dare con l'acqua degli impasti
dotati di una certa plasticità. Sottomettendo a decantazioni successive la sospensione
che fornisce l'argilla naturale diluita con una forte proporzione d'acqua, si ottiene una
serie di depositi sempre più fini, privi di coesione e di plasticità. Dopo molti mesi, il li-
quore residuo non dà più alcun deposito ma resta leggermente torbido. Trattato con un
sale di calcio, esso fornisce un precipitato designato col nome di argilla colloidale...
Sotto l'influenza dell'acqua i colloidi del suolo sono trasformati in gelatine... Si può
d'altronde sovente passare... da una soluzione colloidale a una gelatina e inversamen-
te... I colloidi sembrano giocare il ruolo di intermediari tra i corpi inanimati e gli esseri
viventi... In una data soluzione colloidale, essendo tutte le particelle caricate di elettri-
cità dello stesso segno, si respingono mutualmente, il che permette di comprendere che
non possano agglomerarsi per costituire delle particelle via via più grosse che finireb-
bero per sedimentare... L'addizione di elettroliti i cui ioni sono di segno opposto a quel-
lo delle particelle [provoca la flocculazione]... Dopo flocculazione o coagulazione, la
soluzione colloidale fornisce una sorta di gelatina più o meno rigida alla quale si da il
nome di gel... Si è stati portati a distinguere due classi principali di soluzioni colloidali:
1ª- quella le cui particelle sono formate da un assemblaggio di molecole semplici della
sostanza disciolta... le cui diverse particelle costituiscono dei frammenti abbastanza ir-
regolari ai quali si è dato il nome di micelle... 2ª- quelle per le quali le particelle di-
sciolte sono vere molecole chimiche aventi una formula e una massa ben determinate,
che non differiscono dalle molecole ordinarie se non perché racchiudono un numero
considerevole di atomi e sono di struttura estremamente complessa... I colloidi del se-
condo tipo... costituiscono il gruppo dei colloidi veri".
Ora, il corpo umano è composto da un'infinità di cellule. "Al dire di Henneguy servireb-
bero cento quadrilioni di cellule per fare un uomo. Le cellule risultanti dalle prime divi-
sioni dell'uovo sono tutte simili tra loro; ma, passato un certo stadio dello sviluppo em-
brionale, esse acquisiscono delle disparità di taglia e di struttura, si differenziano: al-
cune divengono ameboidi (globuli bianchi del sangue); altre discoidali (globuli rossi);
altre cubiche, o prismatiche, o cilindriche (cellule ghiandolari); altre poliedriche (epi-
teliali); altre fusiformi (muscolari); altre stellate o ramificate (ossee, nervose), etc... La
cellula [prima della sua differenziazione] si presenta come una massa più o meno ovoi-
dale, di una sostanza detta protoplasma, incolore, viscosa, più densa e più rifrangente
dell'acqua. All'interno di questa massa... si trova, sempre verso il centro, un corpuscolo
di forma grossolanamente ovoidale fatto di un protoplasma particolare, più spesso di
quello che lo circonda, è il nucleo. Il protoplasma non si saprebbe definirlo se non per
la sua attitudine a vivere. É la sostanza capace di vita, la "base fisica della vita"
(Huxley)154".
"Il destino della cellula è, innanzitutto, di accrescersi, poi, quando la massa protopla-
smatica è divenuta troppo grande in rapporto al nucleo, allora interviene il brusco fe-
nomeno della divisione nucleare che porta alla divisione cellulare... Questo fenomeno,
ora si sa che può proseguire senza interruzione. Woodruff ha potuto realizzare così
13.000 generazioni di infusori; in sette anni ce ne sarebbero stati 10.000 volte il volume
della terra. Le cellule degli esseri superiori, in ambiente di cultura conveniente, posso-
no, anch'esse, dividersi in modo indefinito... Vernadsky ha calcolato che in meno di due
giorni i discendenti di un unico batterio potrebbero coprire la faccia della terra se tutti
sopravvivessero; un infusore impiegherebbe 42 giorni; una mosca un anno; un merluz-
zo 4 anni; un ratto 8 anni; il trifoglio, 11 anni; ma l'elefante, più di un secolo".156
colloidi divengano dei protoplasmi, questi delle cellule, che queste cellule si moltipli-
chino, si differenzino, si raggruppino, si organizzino, si limitino a certe dimensioni e di-
sposizioni? Chi, se non la forma? Verrà questa da un essere anteriore modificato, come
si sostiene? Ma chi ha fatto la forma anteriore, e chi l'ha modificata? Non è altrettanto
semplice, anzi più semplice, concepire questa forma creata apposta per la specie? Giac-
ché il substrato di tutti gli esseri terrestri è sempre quello: la massa protoplasmatica,
pronta a tutti gli usi; e quanto alla forma che deve metterla in movimento, siccome è una
forma immateriale, è più agevole concepirla come tanti pensieri diversi per quante sono
le specie, che come un pensiero unico variabile. Come, del resto, se non c'è stato che un
pensiero unico che sarebbe andato modificandosi con le specie successive, comprendere
che le specie più antiche si siano mantenute quando il pensiero creatore si modificava?
Non ci sarebbero necessariamente voluti tanti pensieri diversi quante specie coesistenti?
Allora, perché non venire direttamente alla concezione di forme create particolarmente
per ciascuna specie, ben più razionale di una pretesa evoluzione irrealizzabile.
Certo, gli studiosi sono pervenuti a moltiplicare le cellule, ancorché siano incapaci di
mettervi il principio di vita che vi si trova; ma, nella natura, le cellule non si moltiplica-
no alla cieca e come a caso. Chi le guida se non la forma che è loro associata, come ha
detto Mosè? E Delage157 ha scritto: "Non sono le cellule che fanno gli organismi, ma
piuttosto gli organismi che fanno le loro cellule".
Ecco perché uno studioso come Cuénot158, malgrado le idee trasformiste che penetrano
il suo spirito, è arrivato a concludere: "La grande obiezione al monismo è che l'insieme
della vita è così particolare che è separato dal non vivente da un fossato invalicabile,
non sono i materiali che differiscono, ma il modo in cui sono organizzati e come diret-
ti... La vita è trascendente alla materia inerte. E se essa ne deriva in quanto substrato
materiale, non ne può provenire in quanto vita; è in se stessa un principio diverso dalla
materia". E altrove: "L'Uomo, nella Natura, è un dominio nuovo, un'invenzione che è
sorta, o, se non temete un linguaggio metafisico, la realizzazione di un'Idea trascenden-
te".159
Così la Rivelazione, da una parte, i fatti e la ragione dall'altra, ci mostrano che l'uomo è
una creazione speciale e non un prodotto evolutivo, e che Dio, per realizzarlo, ha preso
dell'argilla resa colloidale; dopodiché ha fatto agire su questo mezzo materiale una for-
ma-forza immateriale che Egli ha strettamente unite per formare l'uomo, unione, di con-
seguenza, di spirito e di materia, di anima e di corpo. Nel testo della Volgata, Dio
forma un corpo di uomo dal fango della terra, poi vi soffia sul volto un soffio di vita, il
che mostra che vi sono stati due elementi distinti (ancorché mal distinti) per formare un vi-
vente. Significa che la materia non ha una realtà propria? E che il soffio di Dio non ha
anch'esso la sua realtà propria? Che questi elementi siano successivamente uniti
nell'uomo, la nostra traduzione del testo mosaico lo dice formalmente. Questa tradu-
zione si trova anche d'accordo con la decisione del Concilio di Vienna, del 1312, la qua-
le afferma che l'anima razionale o intellettiva è la forma del corpo umano per se stessa e
essenzialmente, e con la decisione di Pio IX che ha dichiarato "che agli studiosi cristia-
ni restava la massima libertà di adottare il sistema filosofico preferito (quanto alla natura
dell'uomo a patto che) l'unità sostanziale della natura umana che è composta di due so-
stanze parziali, il corpo e l'anima ragionevole, (fosse preservata)".
Ciò che prova che l'anima può perfettamente esistere senza il corpo è che la morte è, se-
condo la definizione stessa del catechismo, la separazione dell'anima dal corpo, ed infat-
ti i corpi dei santi sono in cielo solo con l'anima, non essendo, il loro corpo, risuscitato.
La Chiesa farebbe forse pregare per le anime del purgatorio se non fossero reali? Come
avrebbe potuto dire Gesù: "Padre, rimetto la mia anima nelle tue mani", se la Sua anima non si fos-
se allora separata dal Suo corpo? E avrebbero gli Evangelisti unanimemente scritto: "Ge-
sù rese lo spirito" (greco Pneuma)? E Gesù avrebbe forse detto: "È lo spirito che dà la vita; la carne non
conta nulla"? E altrove: "Io dò la mia vita per le mie pecore; nessuno me la toglie; io la depongo da Me stesso; io ho il
potere di lasciarla e il potere di riprenderla: è questa la missione che ho ricevuto dal Padre mio".
"Se aveste una fede grande come un granello di senape, direste a questa montagna: spostati e gettati in mare, e ciò avver-
rebbe". Non serve dunque nessuna forza meccanica per spostare una montagna? Questo
non è affatto ciò che dice Mosè, secondo il quale è la forma che ha animato l'argilla col-
loidale per darle la morfologia dell'uomo. Ora, secondo il Concilio di Vienna, l'anima è
la forma del corpo umano per se stessa ed essenzialmente. E se l'anima è la forma, è
dunque questo elemento-forza di cui parla Claude Bernard160: "Vi è come un disegno vi-
tale che traccia il piano di ciascun essere e di ciascun organo, di modo che, se, consi-
derato isolatamente, ciascun fenomeno è tributario delle forze generali della natura,
presi nella loro successione e nel loro insieme, essi sembrano rivelare un legame spe-
ciale, sembrano diretti da qualche condizione invisibile nell'ordine che li concatena.
Così le azioni chimiche sintetiche dell'organizzazione e della nutrizione si manifestano
come se fossero dominate da una forza impulsiva che domina la materia, che fa della
chimica appropriata a un fine, e mette in atto i reattivi ciechi dei laboratori alla manie-
ra del chimico stesso". E ancora: "Ciò che è essenzialmente del dominio della Vita, che
non appartiene né alla fisica, né alla chimica, né a nient'altro, è l'idea direttrice di que-
sta evoluzione vitale... In ogni germe vivente vi è un'idea creatrice che si sviluppa e si
manifesta con l'organizzazione. Per tutta la sua durata, l'essere vivente resta sotto l'in-
fluenza di questa stessa forza vitale creatrice e la morte arriva quando questa non può
più realizzarsi... É sempre questa stessa idea vitale che conserva l'essere ricostituendo-
ne le parti viventi disorganizzate dall'esercizio o distrutte dagli accidenti o dalle malat-
tie161". Ecco ciò che scriveva quello di cui si è potuto dire che "è stato il più illustre
rappresentante della scienza sperimentale alla fine del 19° secolo".
E come sostenere ancora che l'anima non è localizzabile? Se si intende con ciò un punto
d'applicazione determinato dell'essere, come lo sarebbe il nodo vitale, per esempio, allo-
ra evidentemente no, l'anima non è localizzabile; ma siccome l'anima è la forma ed è
questa forma che ordina gli elementi materiali e i limiti alle dimensioni dell'uomo, è
dunque che la forma ha essa stessa queste dimensioni spaziali. Non è perché l'anima è
spirito che dev'essere illimitata come lo è Dio.
Ci teniamo a far osservare che è in una sola forma, unita sostanzialmente all'argilla col-
loidale, che si trovano riunite la forza che organizza il corpo animale dell'uomo, il suo
influsso vitale con tutto ciò che esso comporta di attitudini, il suo soffio. E questo pro-
cesso fa ugualmente comprendere quello della morte, giacché, se ci è voluto un ultimo
atto per mettere la macchina in strada, si capisce che se un qualunque ostacolo intralcia
il funzionamento della macchina (accidente, usura), questa si arresta. Ora, la conserva-
zione della vita suppone il funzionamento della macchina, dove tutto è legato. Quando
la forma, che è vita, non ha assolutamente più la possibilità di esercitare la sua attività,
lascia il corpo. Ma l'edificio materiale che aveva realizzato la forma non scompare
160 - Citato dall'abate Thomas. Les temps primitifs, etc.; Bloud et Barral, Paris, p. 97.
161 - Claude Bernard, "Introduction à la médecine experimentale", Levé, Paris.
200
Gen II, 8 - 9
Nei versetti 8 e 9 del capitolo II, Mosè ci dà alcuni dettagli sul Paradiso terrestre; in
ebraico:
Gen II, 9:
Nèchèmôd Lemarehèh
Nèche M Ô D Lem Areh È H
ness/ m o ya lem areh e he
Neschschê M O Tha Lem Areh È He
Oportebat Mittere Res Pertinens ad Homo Custodire In Ratio
Ciò che occorre Mettere Cose Relativo a Uomo Conservare In Marcia regolare
ra, che stabiliva una vita gioiosa, ed anche una pianta che scopriva al disubbidiente la
conoscenza di ciò che è puro e di ciò che è contro la purezza.
Questo testo è più preciso di quelli della Volgata e del Rabbinato francese: se esso non
ci dice, come quelli, che Dio aveva piantato un giardino "all'inizio, in Eden, verso oriente", ci di-
ce però che questo vasto giardino si trovava intorno al centro della terra, centro che,
l'abbiamo visto, è sul sito di Gerusalemme. Non è molto più logico? È là che Adamo era
stato formato nel Giordano, e siccome questo fiume passa a circa 50km da Gerusalemme,
possiamo dedurne che il giardino aveva almeno 100km di diametro. In questo giardino si
trovavano i frutti particolarmente destinati all'alimentazione dell'uomo e, in particolare,
l'albero "di vita" di cui noi ora conosciamo le virtù come pure intravediamo qual era l'a-
zione del frutto dell'albero "della scienza del bene e del male".
Gen. II, da 10 a 14
Nei cinque versetti seguenti, Mosè ci dà delle istruzioni di ordine geografico; noi vi leg-
giamo:
Djipôred Ouehôdjôh
Dji Pôred Oue Hô Djôh
ji porj oue hw josjes
Dji Pordj Oue Hô Djosch[djesch]
Tangere Separare Distantia Accedere Effusio o: Radix montis
Toccare Separare Distanza Arrivare Uscita dello scolamento Piede della montagna
203
Leharebbôgôh
Le Ha Reb Bôg Ôh
le a hrb bij ho
Le A Hrb Bidj Ho
Pars Esse Similitudo Tessera Facies
Parte Essere Somiglianza Dado Faccia
Hèharèç Hâechaouidjlôh
Hè Ha Rèç Hâe Chaouidjlôh
he ha r/ci hae sauesjol
He Ha Rêsi Hae Schaueschdjol
Similis Facies Terra Finis Colchis
Simile Superficie Terra Paese Colchide
Coordiniamo questo testo: Partendo da una fossa scavata al centro della moltitudine
delle alture sgorgava un potente corso d'acqua che scorreva verso il giardino e rag-
giungeva il mare avvolgente. Giunto a una certa distanza dall'uscita dello scolo (dal
piede della montagna), esso si separava e si divideva in quattro bocche principali. La
prima testa si chiamava Pidjschooun; questa testa, che è distrutta, attraversava intorno,
avviluppandola come un laccio, la superficie della terra del paese di Colchide, nel qua-
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le si raccoglie in abbondanza ciò che vale più della moneta d'argento (l'oro), e gli or-
namenti provenienti da quello della stessa terra sono preziosi e puri; in abbondanza
(anche) le croste di gomma (bdellium) e le pietre (preziose) sfaccettate, in numerose
tinte diverse (onyx). La seconda testa del fiume molto grande si chiamava Gidjchooun;
questa testa, che è distrutta, attraversava intorno, avvolgendola come un laccio, la su-
perficie della terra d'Etiopia. La terza testa tratta dal fiume molto grande si chiamava
Ghiddéqéll; questa, che è distrutta, giunta presso Ausar (in Assiria), virava a nord. E la
quarta testa tratta dal fiume, testa magnifica, che è distrutta, era il Pherath.
Da questo esposto possiamo dedurre che, oltre alle catene esterne di cui si è parlato alla
pagina 151, c'erano delle catene di montagne interne dal centro delle quali usciva un
fiume potente che bagnava tutta la terra con quattro bracci principali (senza contare gli
affluenti) e, sul passaggio di uno di questi bracci, il Paradiso terrestre dov'era piantato
l'albero della vita. Questi bracci andavano fino al mare che circondava la terra, cioè l'O-
ceano Pacifico, giacché, siccome non c'erano allora dei mari interni, i quattro fiumi si
gettavano necessariamente nell'unico oceano e attraversavano tutta la calotta sferica
continentale nella direzione generale di quattro raggi; la loro lunghezza era così appros-
simativamente doppia di quella del Nilo. Perché la pendenza fosse sufficiente, il loro
punto di partenza doveva essere molto elevato; per questo la terra aveva ricevuto una
disposizione piriforme la cui prominenza si trovava sotto l'Ararat; questa si trova oggi
sotto l'Himalaya che è stata sollevata di oltre 5000 metri. Le catene di cui ci parla qui
Mosè hanno potuto divenire bordiere dopo che, al Diluvio, la terra si è dislocata in con-
tinenti diversi; ma è facile vedere, sul disegno della terra da noi ricostruita, che all'inizio
esse erano interne.
Lo stesso Huet, vede il Paradiso terrestre sul Chatt-el-Arab, al di sopra del punto in cui
esso si divide per immettersi nel golfo Persico; è minimizzare singolarmente la questio-
ne. Lenormant lo estende alla Persia e all'Afghanistan. Tutte queste identificazioni sono
false per due ragioni principali: la prima è che si situa la sorgente del fiume nel Paradiso
terrestre o giardino di Eden allorché Mosè non ci parla di questo, la seconda è che non
si è tratto dai nomi geografici ciò che essi erano in grado di dare. La nostra nuova tradu-
zione dei versetti biblici riporta la questione sul suo vero terreno: il Paradiso terrestre è
una cosa, ed era situato attorno alla terra marcata da Gerusalemme: ma la sorgente del
fiume iniziale si trovava al centro delle più alte montagne di allora, ossia sull'Ararat; il
fiume non si divideva dopo la sua uscita dal Paradiso terrestre, ma a una certa distanza
dalla sorgente e ai piedi della montagna. La carta seguente rischiara definitivamente una
questione che Vigouroux164 dichiarava insolubile a causa degli sconvolgimenti terrestri,
giacché, da un lato, da questi sconvolgimenti la geologia può aiutarci a decifrare la sto-
ria, dall'altro, nell'Antico Oriente, così conservatore, vi è qualcosa che cambia poco
malgrado tutte le vicissitudini: i nomi geografici; saranno appunto questi che tronche-
ranno il dibattito.
La sorgente del fiume, dice Mosè, usciva da una fossa scavata nella grande montagna;
ora, al fianco dell'Ararat, una delle sue diramazioni si chiama il Chori-Dagh; e cosa si-
gnifica kori = Kori in copto? Cavus165 = efckerkwr = fossa (il Parthey dà solamente
cavus). É appunto al Chori-Dagh che il Mourad ha la sua sorgente. Cosa significa Mou-
rad in copto? mou rat = Mou-Rat = Aqua-Pes: "La radice delle acque". Il Mourad,
dopo aver corso ai piedi di tutta la catena dell'Ararat, contorna un piccolo massiccio
montagnoso che si chiama Mouscher-Dag. E che significa Mouscher in copto? mou
cer = Mou-Ser = Aqua-Dividere: "La divisione delle acque". É, in effetti, in questo
punto che il Mourad riceve il Kara-Su. Cosa significa Kara-Su in copto? kara-youc =
Kara-Thous = Caput-Vertex: "La prima delle teste". Qualcuno obietterà: "Il Kara-Su
non esce dal Mourad; vi si getta!" Sì, oggigiorno, poiché l'Ararat si è affondato e tutta
l'Asia Minore ne è stata sconvolta, tanto che certe parti si sono affossate e altre sono sta-
te sollevate per delle uscite di lave che hanno formato le rocce vulcaniche di cui è co-
sparso questo paese, divenuto poi una delle principali regioni sismiche del mondo.
All'origine, il Kara-Su scorreva in senso inverso, nella stessa valle, e raggiungeva per
essa quella del Tschorok o Phase, il Phidjschooun o Phidjosooun di Mosè, parola che
si scompone in vaji-couen = Phadji-Souen = Frustum-Pretiosus = Pezzi-Preziosi, o
Pagliuzze d'oro, dal latino Pretium, oro. Il nome di questo fiume gli è venuto dal luogo
che attraversava: la Colchide, paese celebre per il suo oro di cui si raccoglievano le pa-
gliuzze nel fiume a mezzo di vèlli, da cui la leggenda del Vello d'oro. Mosè aggiunge
che questo fiume tagliava, circondandolo come un laccio, il paese di Chaouidjlôh, che
è la Colchide, celebre nell'antichità per la qualità del suo oro.
164 - La Sainte Bible polyglotte, T. I, fasc. III; Roger et Chernoviz, Parigi, 1900, p. 1024.
165 - Nota dell'editore: kori = cataracta = cateratta, chiusa. Il senso cavo non esiste
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sausau es Jol
Schau[schau] Esch Djol
Fragmina Suspendere Fluctus
Pezzetti Sospendere Flutti
I pezzetti sospesi nei flutti.
Si trovava nello stesso paese, aggiunge il profeta ebreo, il Bdellium, che è una sorta di
gomma-resina, il che rende la parola Habbedolah, che si traduce col copto: hbbc
kollan = Hb-bs Kollan = Squamæ Gummi = Croste di gomma. C'era anche, dice la
Volgata, la pietra di onice, che corrisponde, nel testo ebraico, a Hèbèn Haschschoham;
in copto:
aban os josjes hm
Aban Osch Djosch[djesch] Hm
Varietas Multus Lapis excisus In
Diverse sfumature Numerose Pietra tagliata In
La pietra preziosa tagliata in numerose sfumature diverse
L'onice è descritto, in effetti, come un'agata fine a righe parallele concentriche e di di-
verse sfumature con cui si son fatti dei bellissimi cammèi. Aggiungiamo, per giustifica-
re l'antico legame del Kara-Sou col Tschorok, che esiste effettivamente, tra le sorgenti
di questi due corsi d'acqua, una massa di rocce eruttive che vi hanno creato, col loro sol-
levamento, una soluzione di continuità.
Poco dopo il Kara-Su, il Mourad riceve il Tachmou. Cosa significa Tachmou in copto?
yas mou = Thasch-Mou = Separatio-Aqua = "La separazione delle acque". Era qui il
punto di partenza del Gidjchooun, giacché la sua sorgente si congiunge a quella dell'at-
tuale Djihoun che si getta nella baia di Alessandretta; il punto di giunzione dei due fiu-
mi è ugualmente marcato da una punta vulcanica indicante che il suolo in questo punto
è stato sollevato. Il Gidjchooun o Gdjichooun si chiamava così, come abbiamo detto
sopra, perché l'uomo vi è stato edificato dentro. La parola uomo è qui rappresentata da
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Questa analisi onomastica mostra, senza dubbio, che siamo di fronte a dei corsi d'acqua
visti da Mosè, tanto che essi si presentano naturalmente nell'ordine da lui indicato. Gli
sconvolgimenti portati dopo il peccato originale e il Diluvio universale alla scorza terre-
stre, hanno interrotto il corso di questi fiumi di cui non abbiamo qui che l'inizio. Ma sic-
come l'uomo è apparso solo al quaternario e questi fiumi esistevano già prima, è possi-
bile ritrovare nel terziario delle vestigia del loro passaggio primitivo; è in particolare il
caso dell'Eufrate, la cui vallata era costituita dallo stretto filetto terziario ove scorre at-
tualmente il Tigri medio e inferiore, che prosegue lungo la costa settentrionale del golfo
Persico, contorna il Belucistan e l'Afghanistan, tutta la base dell'Himalaya, si spande
nella Birmania e attraversa Sumatra in tutta la sua lunghezza. Questo fiume era il brac-
cio orientale, come indica il suo nome di Pherath, che si può tradurre: veh-rwt =
Phet-Rot = Pertingere-Oriri = Raggiungere-Levarsi = "Che raggiunge il Levante"; esso
arrivava all'Oceano tra l'Asia e l'Australia.
Il Tigri, che abbiamo visto essere il fiume del settentrione, allo sbocco dell'Araxe, tro-
vava il suo letto terziario nelle pianure dell'Ust-Urt, del Kirghiz e della Siberia occiden-
tale; da là, costeggiava la riva nord del continente asiatico, giacché si è trovato del ter-
ziario nelle isole della Nuova Siberia, e si gettava nell'Oceano tra l'Asia e l'America do-
ve c'è ugualmente del terziario in Alaska.
Il Phison occupava il mar Nero, che è stato riconosciuto essere un'antica vallata fluviale,
attraversava gli Stretti, contornava Creta, e non essendo allora formato il Mediterraneo,
arrivava in Cirenaica dove c'è del terziario, attraversava il Sahara, dove la sua valle è
ancora nettamente marcata dalle depressioni di Schotts El-Djerid, del Touat, del Djouf,
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raggiungeva il Senegal, dove vi è pure del terziario, e sboccava nel mare per l'America
Centrale allora unita all'Africa tramite l'Atlantide. Il suo nome lo designa come il fiume
dell'Occidente: la regione del declino; Phidjschooun = behjw-oune = Behdjô-
Oune = Inclinare-Pars = Declinare-Regione.
Dopo aver seguito le vallate dell'Oronte e del Giordano, il Gheon scendeva senza dub-
bio in Egitto e all'inizio scorreva, non nella valle attuale del Nilo, ma in quella delle oa-
si, laterale al Nilo, e dove gli studiosi della spedizione francese di Bonaparte avevano
giustamente visto l'antico letto di un fiume. Il terreno di questa valle, in gran parte ter-
ziario, passa poi ai gres di Nubia che si suppone cretacei, ma che potrebbero benissimo
essere nummulitici in questo punto; esso ritrova allora del terziario lungo la vallata del
Nilo Bianco e, per quello della valle del Sobat, ha potuto raggiungere la costa orientale
dell'Africa dove un nastro terziario appare nei territori dei somali, di Zanzibar, del Ma-
dagascar; da lì, sboccava nell'Oceano tra l'Africa, l'America del Sud e l'Antartide. Que-
sto era il fiume del Mezzogiorno, giacché Gidjchooun può trascriversi: ke-jice-hoou-
n = Ke-Djise-Hoou-Ń = Proficisci-Altus-Dies-Ad = Avanzare-Grande-Giorno-Verso =
"Quello che avanza verso la grande luce del giorno". Questa situazione è fugurata sulla
carta già riprodotta e che noi riprendiamo in grande qui sotto. Risulta evidente che Mosè
sapeva ben meglio dei nostri geografi attuali più istruiti le linee fondamentali della to-
pografia del globo.
Gen. II, da 15 a 17
Mosè ci parla in seguito di una obbligazione imposta da Dio ad Adamo, nei versetti 15,
16 e 17 del capitolo II che si scrive in ebraico:
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Ouadjdjannichéhahouo Began
Ouadjdj Anni Ché Ha Houo Be Ga N
oujai ine s/ a houo basi kah n
Oudjai Ine Schê A Houo Baschi Kah N
Vita Ducere Lignum Facere Abundans Dimidium Terra Producere
Vita Condurre Albero Fare Abbondante Mezzo Terra Produrre
Bedjiooum Ehakôelôk
Be Dji Ooum E Hak Ô E Lôk
bi je ouwm e hak w e lwkh
Bi Dje Ouôm E Hak Ô È Lôkh
Portare Si Manducare Quod Scientia Esse In Ardére
Portare Se succede che Mangiare Ciò che Sapere Essere Per Essere ardente
Ossia, in testo coordinato: Per completare saggiamente ciò che aveva fatto, Djehoouôh-
Ehélohidjm condusse Adamo verso l'albero che faceva la vita abbondante, in mezzo alla
terra produttrice, e gli diede questa parola: "Mangia molto di questo frutto che ti darà
giorni numerosi, sani e buoni". Djehoouôh-Ehélohidjm raccomandò ad Adamo di stare
attento a non avvicinarsi all'albero che faceva compiersi la generazione e di non co-
glierne prima che fosse giunto il tempo. "Mangiare ciò che è dell'albero accende la
passione di unirsi prima del tempo adatto al commercio intimo, è un'azione proibita che
è permessa solo nel tempo stabilito. Se per caso tu allunghi la mano per mangiare ciò
che sai essere per mettere in stato d'ardore fuori dal tempo fissato. La morte sarà il
frutto prodotto da questo mangiare".
Pertanto Dio, avendo formato Adamo al Giordano, lo condusse al centro del Paradiso
terrestre, dove si trovava l'albero della vita e gli ingiunse di mangiarne i frutti; ma nello
stesso tempo gli impedì, sotto minaccia di morte, di toccare, prima di averne ricevuto
l'ordine, dell'altro albero che provocava la generazione. Così come abbiamo detto in
precedenza, Dio impose ad Adamo di astenersi dall'utilizzare le sue parti genitali fino al
momento in cui Egli stesso gli avrebbe intimato di mangiare un frutto particolare che
provocava lo stato passionale. Questo frutto, che gli era vietato mangiare prematura-
mente, era un afrodisiaco al quale doveva ricorrere solo dopo un ordine ricevuto da Dio.
Se le cose sono così, si dirà, perché Dio avrebbe dato ad Adamo e ad Eva (creati adulti,
bisogna rimarcarlo, poiché non avevano una madre per allevarli) l'attitudine a generare, e gli
avrebbe intimato questo ordine strano e contro natura, di imporsi cioè l'astinenza per un
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tempo determinato? Non era crudele lasciare insieme due esseri fatti l'uno per l'altra im-
pedendo loro di darsi l'uno all'altra? Un tale supplizio di Tantalo non eccedeva forse i
limiti delle forze umane? Come, Adamo ed Eva, avrebbero potuto restare padroni dei
loro desideri malgrado la minaccia di morte?
Diamo una spiegazione chiara di queste apparenti anomalie. Adamo non doveva morire.
Vuol dire che era stato creato immortale? Ecco, al riguardo, l'opinione di S. Agostino:
"Secondo una doppia causa che si può intuire, si deve dire che l'uomo prima del pecca-
to era mortale e immortale; mortale, perché poteva morire; immortale, perché poteva
non morire. Una cosa è non poter morire (prerogativa delle nature che Dio ha fatto
immortali), altra cosa è poter non morire. È in quest'ultimo modo che il primo uomo è
stato creato immortale".
Come dunque Adamo poteva essere al contempo mortale e non morire? Esattamente al-
lo stesso modo degli ultimi uomini giusti che saranno ancora viventi sulla terra alla fine
dei tempi, secondo ciò che dice san Paolo nella Iª ai Corinti, versetti 52 e 53; se i morti
dovranno allora risuscitare in un corpo spirituale e immortale, quelli che vivranno anco-
ra in quel momento, saranno trasformati, spiritualizzati così, ma senza morire. Se dun-
que Adamo non avesse peccato, la durata normale della sua vita avrebbe potuto essere
tale che raggiungesse il Giudizio generale e fosse spiritualizzato ed effettivamente im-
mortalato allora senza morire. L'ampiezza di vita di Adamo sarebbe dunque stata tanto
grande da andare dal 4004 a.C. fino alla fine del mondo? Se già, avendo commesso il
peccato, Adamo visse comunque circa 1000 anni, quale non sarebbe stata la durata della
sua vita se avesse conservato l'integrità del corpo in un mondo che né i periodi glaciali,
né il Diluvio universale, né tutte le intemperie e le malattie di cui noi soffriamo avreb-
bero sconvolto e se avesse potuto continuare a consumare regolarmente il frutto dell'al-
bero della vita! Noi ci limiteremo a ricordare ciò che ha detto in merito Kant e che ab-
biamo citato sopra. San Pietro ci dice, in una delle sue Epistole, che agli occhi del Si-
gnore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno.
Cosa vuol dire? È che di mille anni Dio fa un giorno, e siccome ne sono trascorsi circa
seimila dalla creazione di Adamo, restano da percorrere un po' più di mille anni perché
la settimana di sette giorni sia completa. Se dunque Adamo avesse potuto vivere 7000
anni, avrebbe raggiunto la fine di questo mondo e non sarebbe morto, ma sarebbe passa-
to senza morire dal tempo all'eternità non essendo più il suo corpo, spiritualizzato, sot-
tomesso a tutte le necessità di quaggiù. Cosa doveva fare per questo? Secondo una legge
che Buffon trae dalle sue osservazioni, l'età nubile è approssimativamente al settimo di
vita degli esseri. Così noi, che siamo nubili verso i 15 anni, superiamo raramente i 100
anni. Quindi, se Adamo avesse generato all'età di 1000 anni, poteva normalmente vivere
7000 anni; ecco perché, avendo generato verso i 100 anni, non visse neanche 1000 anni.
Ecco la ragione del divieto di Dio ad Adamo di non servirsi delle sue parti genitali fin-
chè non ne avesse ricevuto l'ordine. Forse si troverà inaccettabile una tale durata di vita.
Ci si ricordi dunque con quale facilità si avvallano i miliardi di anni per l'età della terra
e i milioni di anni per quella dell'umanità, anni, questi, certamente immaginari!
Che il frutto dell'albero proibito fosse un afrodisiaco, è appunto ciò che mostra il nome
Allôki = alloki dato dai Copti all' Arbor Adami. Questo nome è, in effetti, la contra-
zione di alou = Alou = Juvenis = Giovane uomo; lwkh = Lôkh = Ardere = Bruciare
di passione; i = I = Venire = Venire a; cioè: Ciò che fa che il giovane uomo divenga
bruciante di passione; più semplicemente ancora: plurale rovinato di halkou = Hal-
kou, stimulus, afrodisiaco.
213
Qui non è più questione di un albero che avrebbe dato ad Adamo la conoscenza del be-
ne e del male ed il cui frutto, di conseguenza, non avrebbe mai dovuto essere mangiato.
No, Adamo sapeva perfettamente come comportarsi sul divieto divino, Adamo ed Eva
non avevano lo stato di innocenza dei bambini, ma, illuminati da Dio, la loro castità era
perfettamente cosciente e sapevano anche a cosa si esponevano in caso d'infrazione; non
a morire di morte, come si dice commettendo una superfetazione in più, ma semplice-
mente a morire. La ripetizione apparente M'oou'th, Tôm'ouo'th (notare la sfumatura
"oou" "ouo") nasconde un gioco di parole sulla morte, conseguenza della manducazione
del frutto. Questa morte risultava, in effetti, automaticamente dal fatto che Adamo ed
Eva avrebbero anticipato l'ora dei loro rapporti, e di conseguenza accorciato la loro vita
per applicazione di una legge naturale e niente affatto per la pretesa perdita di un dono
preternaturale. Da notare che, se i nostri progenitori avessero osservato gli ordini divini,
i concepimenti di Eva sarebbero stati convenientemente spaziati in vista di ottenere il
numero di eletti che Dio aveva previsto e non di più: la procreazione era diretta e un
perfetto eugenismo realizzato.
Resta il fatto, si dirà, che Adamo ed Eva avrebbero dovuto resistere 1000 anni alla ten-
tazione di unirsi, il che era praticamente impossibile. Assolutamente no: Adamo ed Eva,
benchè adulti, non sentivano il pungiglione della concupiscenza e potevano benissimo
vivere come fratello e sorella. Come poteva avvenire? Per mezzo dell'albero che si è
chiamato "l'albero di vita". Quest'albero si dice in ebraico (Gen. II, 9):
Grèç Hâchaidjidjm
Grèç Hâ Chaidji Djm
[rw[ hah [whijw ejm
Çrôç Hah Çôhidjô166 Edjm
Fructus Multus Coïtum adpetere Contra
Frutto Numerosi Avere voglia di accoppiarsi Contro
Bethhaoouke Haggôn
B Ethhaoou Ke Hag Gôn
bi ethwou ke hak konh
167
Bi Ethôou Ke Hak Konh
Attollere Deterior Ponere Promptus Vivere
Esonerare Usato Stabilire Facile e sicuro Vivere
Così, l'albero detto di vita era innanzitutto un anafrodisiaco; consumando il suo frutto
quotidianamente, Adamo ed Eva annullavano gli slanci della carne; ignorando dunque
la passione, erano degli esseri di ragione. Insieme alla sua azione sedativa, questo frutto
aveva un effetto riparatore dell'usura che i rapporti sessuali avrebbero fatto subire all'or-
ganismo quando sarebbe venuto il momento. Infine, senza dubbio per un'alta selezione
di vitamine, esso manteneva il corpo, nonostante l'età, in un reale stato di giovinezza, di
agilità e di forza; Adamo ed Eva, fedeli, avrebbero ignorato la caducità e la senescenza.
Era questo il piano armonioso del Creatore sui nostri progenitori.
166 - N.d.e.: questa parola non è nel dizionario Parthey. Ma: [whijnjo = desiderare seminare. Per
contrazione si ottiene la parola utilizzata da Crombette = Coitum adpetere = [isswou]
167 - Nota dell'editore: ethwou = malus, B@<0D`H = difettoso, viziato.
214
Gen. II, 18
Evidentemente, la precisione di questi dettagli prima ancora della creazione di Eva, im-
plica che Dio aveva avvertito Adamo che gli avrebbe dato una compagna; ed è senza
dubbio per questa ragione che immediatamente dopo, nel versetto 18, Mosè parla
dell'intenzione di Dio di creare la donna.
L Lo Ou Hézèr Kenègeddoou
L Lo Ou Hé Zè R Ke Nèg Eddoou
el lo ou he y/ r k/ nece eyoueh
El Lo Ou He Thê R Hê Nese Ethoueh
Facere Cessare Hoc Similis Illa Facere Esse Pulcher Comes
Fare Cessare Questo Simile Quella là Fare Essere Bella Compagna
Adesso, noi sappiamo perché non era bene per Adamo restare solo; egli vedeva tutti gli
animali a coppie e non era normale che solo l'uomo fosse isolato; d'altronde, con quegli
animali non poteva parlare e un silenzio troppo lungo avrebbe avuto una ripercussione
negativa sulle sue facoltà mentali. Dio dunque gli diede, non un aiuto, ma una sposa alla
quale accordò in appannaggio la bellezza fisica. Adamo era la forza (w-jom = Ô-Djom =
Esse-Vis), Eva fu la bellezza (mine-a = Mine-A = Species-Esse).
215
Prima di dare una compagna ad Adamo, Dio volle manifestare al nostro primo padre la
sua superiorità nella e sulla creazione e, a tal fine, gli fece comparire davanti tutti gli
animali perché li nominasse, giacché, nell'antichità, il diritto di nominare apparteneva al
possessore dell'oggetto, ed è per questo che noi vediamo che gli schiavi prendevano il
nuovo nome che gli imponeva il loro vincitore.
Gen. II, 19 - 20
Questo è ciò che fa l'oggetto dei versetti 19 e 20 del capitolo II così concepito:
Haschèr Djdjiqerôh
Ha Schèr Dj Dji Qe Rô H
hah s/r je ji ke rw he
Hah Schêr Dje Dji Ke Rô He
Multitudo Coacervatus Ut Dicere Habére Os Modus
Moltitudine Riunire in massa Perché Dire Avere Parola Modo
Lekôl Habbehémôh
Le Kôl Ha Bbe H Emôh
le celcwl ha pe he emou
Le [Sel]sôl Ha Pe He Emou
Pars Varietas Facies Esse Similis Felis
Specie Varietà Figura Essere Simile Gatto
217
Ouolehhaoouph
Ouole H Ha Oou Ph
ouwle ha hah houo ve
Ouôle Ha Hah Houo Phe
Abundare Sub Quantus Amplius Caelum
Abbondare Sotto Molto grande Esteso Cielo
Haschschômadjim Ouolekol
Hasch Sch Ôma Djim Ouole Kol
as s amaiou jme ouwle [oile
Asch Sch Amaiou Djme Ouôle Çoile
Quantus Posse Aquae Satio Abundare Habitare
Molto numerosi Aver il potere Acqua Inseminare Abbondare Abitare
Chadjdjahath Hassôdèh
Chadjdja Hath Has Sôd Èh
,apso hat as sot h/
Chapscho Hat Asch Schot Hê
Terra inculta Alvi profluvium Quantus Quantitas Facies
Terra incolta Valle di fiume Molto grande Quantità Aspetto
Kenègeddoou
K En È Ged Do Ou
ke en e ket to ouoh
Ke En È Ket To Ouoh
Varius Venire Ab Convertere Pars Habitare
Diverso Venire Da Ritornare Regione Abitare
Questo testo coordinato diviene: Per completare saggiamente ciò che aveva fatto, Dje-
hoouôh-Ehélohidjm radunò in presenza di Adamo, specie estrema, le altre specie in
enorme assortimento di sembianze, quelle che abitano sotto la vastissima distesa del
cielo, che hanno, molto numerose, il potere di inseminare le acque; era conveniente che
venissero ad inchinarsi alla presenza di colui che era il loro capo, Adamo, affinché
questi, secondo il loro modo di vivere, il loro volto, il loro aspetto esteriore, proferisse
le specie di parole (nomi) da applicare a quegli esseri. Quindi, alla moltitudine degli
esseri riuniti in massa di fronte ad Adamo, questi pronunciò le specie di nomi che
avrebbero avuto. Tutto ciò che respira ebbe allora un nome appropriato; anche quelli
che erano ad una grande distanza furono chiamati e raggiunsero Adamo in un conve-
niente lasso di tempo; essi ebbero nomi distinti secondo le varietà della loro specie:
(quelli) il cui volto è simile a quello di un gatto, (quelli) molto numerosi, che hanno il
potere d'inseminare le acque, (quelli) che abbondano abitando le terre non coltivate e
le valli dei fiumi, in molteplici quantità di aspetti, si prostrarono davanti ad Adamo, non
essendo alcuno di essi migliore di lui, e poi si dispersero, ritornando nelle diverse re-
gioni che abitavano e dalle quali erano venuti.
Qui non è più questione che Adamo si cerchi una compagna tra gli animali, ma al con-
218
trario che gli animali vengano a sottomettersi a lui e ricevano da lui un nome appropria-
to secondo il loro comportamento o il loro aspetto. Il copto ha conservato delle tracce di
questa maniera di designare gli esseri. Abbiamo già citato il nome [ese = Çesche =
Anser, dato all'oca, secondo le radici [e = Çe = Igitur = In seguito e se = Sche = Ire =
Andare, perché le oche quando si spostano camminano in fila indiana. La cicogna si
chiama cit jwoun = Sit Djôoun = Serpens Pellere, perché caccia i serpenti. La gru =
Grus, beni = Beni, per via dell'ornamento di piume che porta sulla testa: bi = Bi = Por-
tare = Portare e eini = Eini = Species = Ornamento. L'airone = Ardea è chiamato el-
kwb = Elkôb, da h/l kwb = Hêl Kôb = Pennata-Duplicare = perché sfoggia due piu-
me a punta. La volpe = Vulpes si dice boisi = Boischi, che si traduce bw = Bô = Capil-
lus = Pelo e isi = Ischi = Suspendere = Sospendere, che significa la pelliccia lunga. Il
cinocéfalo, honouhoor = Honouhoor, è la scimmia dalla testa di cane: ho = Ho = Fa-
cies = Faccia, nw = Nô = Typus = Immagine, hoor = Hoor = Canis = Cane, etc.
A questo racconto di Mosè si potrebbero tuttavia fare due obiezioni; in primo luogo,
quella della distanza; ma il testo tiene appunto conto del tempo necessario a percorrerla
sia dagli animali che da Adamo. Che Dio abbia potuto riunire gli animali, non è possibi-
le metterlo in dubbio: il fatto ebbe luogo ancora una volta al Diluvio universale; del re-
sto, gli uccelli migratori mostrano una potenza di volo e di orientamento rimarchevoli.
Infine, su una scala più modesta, sono molti i santi, come Francesco d'Assisi, che riuni-
vano gli uccelli per lodare il Creatore e che attiravano i pesci ai bordi dell'acqua, ed è
ciò che ha potuto fare anche Adamo portandosi in riva al mare. Ma (ed è una seconda
obiezione) come ha potuto Adamo dare un nome ai pesci degli abissi marini, fatti per
resistere a enormi pressioni dell'acqua e che muoiono se portati in superficie? Ebbene!
Dio ha potuto fare, con una scossa marina o altro, che questi pesci risalissero anche
morti in superficie per essere visti da Adamo. Dio poteva anche far vedere ad Adamo,
attraverso lo spessore delle acque, i loro abitanti inferiori così come gli indù, con mezzi
psichici, sanno vedere a distanza anche attraverso dei muri.
Gen. II, da 21 a 25
È allora che, come coronamento della sua opera, Dio creò Eva, che è oggetto
dell’ultimo versetto del capitolo II così concepito:
Ouadjdjiseggor Bôsôr
Eho Ôth Djou Ouadjdj Ise Ggor Bô Sôr
ehou wt joou ouais hice koor yo cwr
Ehou Ôt Djoou Ouaisch Hise Koor Pho Sôr
Pars posterior Adeps Mittere Tempus Laborare Evellere Facies Amplificare
Parte posteriore Escrescenza Mettere Tempo Lavorare Separare Forma Aumentare
Thachethênnôh
Tha Che Thên Nôh
ya qe y/ni nw
Tha Khe Thêni Nô
Pertinens ad Abortus Germinare Typus
Arrivare fino a Aborto Riprodurre Tipo
Ouadjebihèhô Hèl
Oua Dje Bi Hè Hô Hèl
ou/i je bi h/ ho h/l
Ouêi Dje Bi Hê Ho Hêl
Quia Germen Intumescere Initium Forma Egredi
Perché Germe Gonfiare Inizio Forma Uscito da
168 - Nota dell'editore: is = uomo; isa = donna; queste traduzioni non esistono nel dizionario Parthey.
Esse vengono dall'ebraico e .
221
Behischethoou
Be Hi Sch E Thoou
v/ hi s e touho
Phê Hi Sch E Touho
Idem Germinare Posse Qui Adjicere
La stessa Produrre germogli Aver il potere Colei che (la donna) Aggiungere
Ouehôdjouo Kh Lebôsôr
Oueh Ô Djouo Kh Lebô Sôr
oueh w sau qa libe saar
Oueh Ô Schau Kha Libe Schaar
Adjungere Esse Par In Sitis Pellis
Attaccare Essere Coppia Per Ardente desiderio Pelle
Ekarouommidjm Hahôdôm
Ekar Ouom M Idjm Ha Hôdôm
ckour ouom m ejen ha
Skour Ouom M Edjen Ha Hôdôm
Eunuchus Manducare Mittere Circa Ex Adam
Eunuco Mangiare Mettere Circa In seguito Adamo
169 - Nota dell'editore: is = uomo; isa = donna; queste traduzioni non esistono nel dizionario Parthey.
Esse vengono dall'ebraico e .
222
Questa traduzione è ben più esplicita di quelle avute finora. Innanzitutto, Eva fu creata,
dice Mosè, passato il primo tempo; tempo ha qui il senso di anno; tenuto conto della du-
rata del sonno di Adamo e del tempo necessario alla formazione del corpo di Eva, que-
sta operazione, cominciata in Tisri 4003, dovette esser compiuta alla fine del 4003 o
all'inizio del 4002.
Per formare Eva, Dio doveva praticare su Adamo una vera operazione chirurgica; Egli
lo addormentò, come fanno i nostri medici, ma senza anestetico suscettibile di apportare
turbamento nell'organismo.
Apprendiamo qui che Dio fece proliferare della carne da una coscia di Adamo e che,
quando l'escrescenza fu a punto, la tolse senza dover mettere niente al suo posto. Con-
temporaneamente, Dio tolse ad Adamo il suo sesso femminile, vicino al posto dal quale
aveva estratto la carne, e, con lo stesso modo di proliferazione, ne otturò il vuoto.
170 - Les phénomènes mystérieux du psychisme; Poodt, Algo, Bruxelles, 1927, p. 214.
223
172
Il testo della creazione di Eva non ha esaurito le sue ricchezze. Viene in seguito il
delizioso racconto, totalmente omesso nelle traduzioni anteriori, del matrimonio bianco
di Adamo ed Eva; del primo matrimonio sacramentale con dichiarazione d'amore, stret-
ta di mani e promessa di inviolabile fedeltà. È sugli impegni presi in questa cerimonia
che si basa la legge fondamentale del matrimonio ricordata da Gesù Cristo stesso e rac-
contata quasi nella stessa maniera da S. Matteo e S. Marco, più in breve da S. Luca:
"L'uomo lascerà suo padre e sua madre per unirsi a sua moglie per formare una sola carne", e Mosè precisa: "Fi-
no alla fine, alla stessa donna, senza nessun'altra". I Giudei hanno dunque torto a prati-
care il divorzio e sono colpevoli di averlo fatto ammettere da altre nazioni.
Dio è uno e trino. Le tre Persone divine, uguali in tutto, hanno tuttavia una proprietà: il
Padre è padre e non può non essere padre; Egli ha dunque, per ciò stesso, una priorità
nella Trinità, il che ha fatto dire a Nostro Signore quelle cose che solo apparentemente
sono contraddittorie: "Chi vede il Figlio vede il Padre - Io sono nel Padre e il Padre è in Me", e "Il Padre è più
grande di Me". Ugualmente, vi è priorità, in rapporto allo Spirito Santo, del Padre e del Fi-
glio che Lo producono. Ora, Dio, come suo Figlio che gli somiglia, è mite ed umile di
cuore. Il santo curato d'Ars diceva: "C'è chi attribuisce al Padre un cuore duro. Oh!
come si inganna! L'Eterno Padre, per disarmare la sua propria giustizia, ha dato al Fi-
glio un cuore eccessivamente buono: non si dà ciò che non si ha". In virtù delle sue
qualità di bontà e di umiltà, il Padre vorrà poter comunicare la priorità di cui dispone al
Figlio ed allo Spirito Santo, e, siccome non lo può ad intra, in essere, lo farà ad extra, in
atto. Da qui la creazione, dove il Padre (1) invierà lo Spirito (2) per l'Incarnazione del
Figlio (3); dove il Figlio (1) invierà dal Padre (2) lo Spirito (3) dopo la sua Ascensione;
dove lo Spirito (1) formerà, con i sacramenti dov'è il Figlio (2), degli eletti per il Padre
(3). Ciascuna delle tre Persone Divine occupa così successivamente, grazie alla Crea-
zione, il primo, il secondo e il terzo rango; è in questo modo che Dio crea per Se Stesso
Questa tripla azione era già stata presentita da uno di quei Padri della Chiesa la cui sco-
lastica medievale non era molto apprezzata, san Ireneo, che però qui si rivela molto pro-
fonda: "Le opere della Trinità ad extra e le missioni divine: Dio, inclinandosi verso la
creatura, ha questo cammino: dal Padre al Figlio e dal Figlio allo Spirito Santo. Ecco
l'ordine delle missioni divine: il Padre invia il Figlio e il Figlio invia lo Spirito Santo,
dono del Padre. Inversamente, per risalire da noi a Dio, per appropriarci della salvez-
za, noi andiamo dallo Spirito al Figlio e dal Figlio al Padre: Spiritu quidam præparan-
te hominem in Filio Dei, Filio autem adducente ad Patrem, Patre autem incorruptetam
donante in æternam Vitam173". S. Ireneo lo ripete nella Dimostrazione della predicazio-
ne apostolica (7) e in Adversus hæreses (I,V). Non vi è espresso con rigore, ma la verità
è almeno presentita, questa verità che la sola ragione era incapace di intravedere ma che
si trova in sostanza nella Rivelazione, da cui, con la Luce divina, può trarla la Rivela-
zione della Rivelazione.
ANNESSI
226
PROVERBI VIII, da 22 a 26
"Il Signore mi ha posseduta all'inizio delle sue vie, prima di ogni sua opera, fin d'allora. Dall'eternità sono stata costituita,
fin dal principio, dagli inizi della terra. Quando non esistevano gli abissi, io fui generata; quando ancora non vi erano le
sorgenti cariche d'acqua; prima che fossero fissate le basi dei monti, prima delle colline, io sono stata generata. Quando an-
cora non aveva fatto la terra e i campi, né le prime zolle del mondo; quando egli fissava i cieli, io ero là; quando tracciava
un cerchio sull'abisso; quando condensava le nubi in alto, quando fissava le sorgenti dell'abisso; quando stabiliva al mare i
suoi limiti, sicché le acque non ne oltrepassassero la spiaggia; quando disponeva le fondamenta della terra, allora io ero con
lui come architetto ed ero la sua delizia ogni giorno, dilettandomi davanti a lui in ogni istante; dilettandomi sul globo terre-
stre, ponendo le mie delizie tra i figli dell'uomo. Ora, figli, ascoltatemi: beati quelli che seguono le mie vie! Ascoltate l'esor-
tazione e siate saggi, non trascuratela! Beato l'uomo che mi ascolta, vegliando ogni giorno alle mie porte, per custodire at-
tentamente la soglia. Infatti, chi trova me trova la vita, e ottiene favore dal Signore; ma chi pecca contro di me, danneggia
se stesso; quanti mi odiano amano la morte".
Djehoouôh Qônônidj
Djehoouôh Qô Nô Nidj
kw nw nite
Djehoouôh Kô Nô Nite
Djehoouôh Ponere Typus Os
Djehoouôh Stabilire Modello ideale Viso
o: nau nece
Nau Nese
Forma Pulcher
Forma Bella
227
Rhéschidjhath Darekkoou
R Hé Schidj Hath Dar Ek Koou
r h/ ,et hay/ tar ek koou
R Hê Chet Hathe Tar Ek Koou
Facere Initium Alius Ante Vertex Dedicatio Alii
Fare Inizio Altro Prima Primissimo Consacrazione Altri
Qèdèm Miphehôlôhadjou
Qè Dèm Mi Phe Hôl Ô Hadjou
ke jemjwm me ve hol w hajw
Ke Djem[djom] Me Phe Hol Ô Hadjô
Alius Praevalére Locus Caelum Venire Concipere Ante
Altri Prevalere Luogo Cielo Venire Concepire Inizialmente
Behêdjn Tehomhaoouth
Be Hêdjn Te Hom Haoouth
bebe hejn te eiom qayouw
Be[be] Hedjn Te Eiom Khathouô
Effundere Constringere art. Mare Sinus
Diffondere Racchiudere Il Mare Concavità
Chooulaleththidj Kh Behédjn
Cho Ou Lal Eth Thidj Kh Be Hédjn
so ou lale /it [ij ke bebe hejn
Scho Ou Lale Eit Çidj Ke Be[be] Hedjn
Arena Quid Obducere Facere Manus Et Effundere Constringere
Sabbia Ciò che Chiudere Creare E Diffondere Racchiudere
Mahedjônoouth
Ma He Djô N Oouth
mau h/ jw n ouot
Mau Hê Djô N Ouot
Aqua Regio inferior Facies Producere Viridis
Acqua Regione inferiore Superficie Produrre Verdura
Hôrihadjm Hotebbahouo
Hô R Iha Dj M Ho Tebba Houo
ho r ehi je me ho tbbo houo
Ho R Ehi Dje Me Ho Tb-bo Houo
Forma Esse Vita Germen Verus Forma Purus Multum
Forma Essere Vita Germe Vero Forma Puro Molto
Liphenèdj Gebôhoouhath
Il Phe Nèdj Geb Ô Hoou Hath
le ve nej ,ep w hoou hay/
Le Phe Nedj Chep Ô Hoou Hathê
Pars Caelum Efferre Celare Esse Dies Ante
Regione Cielo Apportare Nascondere Essere Tempo Prima
Djehoouôh ha stabilito in modello ideale la mia forma con un bel viso, all'inizio, prima
di fare gli altri; Egli mi ha consacrata la primissima degli altri; dominante sugli altri.
Io sono venuta dai luoghi celesti, concepita in primo luogo, avente la pienezza dell'anti-
chità. Io sono stata emessa dai tempi antichi; le altre cose create sono venute dopo. Io
sono stata progettata dalla Parola prima della terra, prima che si riversasse il mare
rinchiuso nella sua concavità cinta di sabbia dal creatore, e si riversasse sulla superfi-
cie l'acqua racchiusa nelle regioni inferiori per produrre la verdura, Io ero il frutto del-
lo sdoppiamento dell'essenza della Parola, vivente accanto alla Sapienza, forma che è
vero germe di vita, forma purissima, portata dalla regione celeste dov'era nascosta
prima del tempo, che ha creato e ordinato la molteplicità delle cose, conoscente una
moltitudine di cose di cui nessuno ha avuto cognizione, il modo con cui la terra è stata
fatta, e i corpi e le piante vi si sono moltiplicati, e il modo con cui le teste vi si sono
moltiplicate. Nel cielo, Io ero sola con Lei,…
Proverbi VIII, da 27 a 31
Bâehakidjhanoou Schômadjim
Bâeh A Kidj Han Oou Schô Madj Im
biha a [ij hanne oou sw mojh hm
Bi ha A Çidj Han [ne] Oou Schô Modjh Hm
Sustinére Facere Manus Erant Gloria Multus Zona In
Approvare Creare Essendo Gloria Numerosi Cintura In
Behammehaçoou Schechôqidjham
Beha M Meh A Çoou Sche Chô Qidj Ham
biha m meh a ciou se ,w [ij hama
Biha M Meh A Siou Sche Chô Çidj Hama
Sustinére Mittere Plenus Circiter Stella Mensura Facere Manus Locus
Approvare Mettere Pieno All'intorno Stella Misura Creare Luogo
Mimmôhal
M Im Môh Al
m hm moh alak
M Hm Moh Al[ak]
Mittere In Combustio Circulus
Mettere In Combustione Circolo celeste
Bâehazoouz Kédjnoouth
Bâeh A Zoouz Ké Djno Outh
bi ha a ywoutc ket jnah ay
Bi ha A Thôouts Ket Djnah Ath
Sustinére Facere Congregatio Reliquus Violentia Sine
Approvare Fare Riunione Resto Violenza Senza
Djâhaberouo Phidjou L
Djâ Ha Be Rouo Phi Djou L
je ha p/ roua fi joou el
Dje Ha Pê Roua Fi Djoou El
Ego175 Ad Ille Unicum esse Ferre Edicere Facere
Io Con Lui Essere solo Portare Decretare Fare
Bechouoqoou Hamoousedédj
Be Chouo Qoou Ha Moouse Dédj
pe sou [wou hah moose taj
Pe Schou Çôou Hah Moosche Tadj
Super Siccus Coarctari Multitudo Regio Gleba
Sopra Arido Racchiudere Moltitudine Regione Suolo arabile
Hômooun Ouôhêhedjèhha
Hômo Oun Ouô Hê He Djèh Ha
hama ouon ouw h/ he je hae
Hama Ouon Ouô Hê He Dje Hae
Locus Multitudo Quod attinet Facies Etiam Quando Finis
Luogo Moltitudine Che è vicino Faccia Anche Quando Fine
Schaekaschouohidjm Hadjooum
Schae Ka Schouo Hidjm Ha Djooum
sae qa souw hijm ha jwm
Schae Kha Schouô Hidjm Ha Djôm
Multiplicari Gens Effundere Super Facies Generatio
Moltiplicare Specie Diffondere Su Superficie Generazione
Djooum Mesachèqèth
Djooum Mes Achè Qè Th
jwm mec ase ke ye
Djôm Mes Asche Ke The
Generatio Gignere Multitudo Varius Modus
Generazione Produrre Moltitudine Diverse Specie
Lephônôhadjou Bekôl
Le Phôn Ô Hadjou Be K Ôl
le pon w hajw p/ qe ol
Le Pon Ô Hadjô Pê Khe Ol
Pars Effundere Esse Supra Ille Modus Ducere
Parte Diffondere Vivere Di più Lui Misura Condurre
Benèdj Hodam
Be N Edj Hodam
ba n ejn
Ba N Edjn Adam
Ramus Producere Per Adam
Ramo Produrre Da Adamo
… approvandola quando Essa creava e metteva in gloria, numerose come la sabbia nel-
la cintura lanciata in sospensione nel cielo, le stelle radunate, e quando Essa lanciava
in una parte del cielo, in sospensione, il fluido estratto dal seno del mare mantenuto. Io
l'approvavo quando Essa metteva il pieno alle stelle circostanti, quando Essa creava
con misura il loro posto e metteva in combustione i cerchi celesti. Io l'approvavo quan-
do Essa faceva la raccolta senza violenza del resto delle acque nel seno del mare e rac-
coglieva le acque superiori come una cinghia in moto circolare, e riuniva la moltitudine
delle stelle in una cintura e moltiplicava le cose. Io ero sola con Lei quando portava i
suoi editti, facendo che il disopra dell'arido si restringesse e vi fosse una moltitudine di
regioni di suolo abitabile sulla terra. Io ero anche vicino alla sua faccia quando Essa
deponeva i germi della piante in una moltitudine di luoghi. Io ero anche vicino alla sua
faccia quando, alla fine, Essa moltiplicava le specie diffuse sulla superficie, di genera-
zione in generazione, producendo moltitudini di diverse specie; ero accanto a Lei
quando diffondeva sempre più la vita, condotta in misura intelligente, per produrre
moltitudini di diverse specie, e per togliere l'oscurità facendo la luna, il sole e le stelle.
Il mio desiderio è passare la mia vita nella dignità e nella gioia con i rami generati da
Adamo, …
Proverbi VIII, da 32 a 36
Ouehaththôhah Bônedjm
Oueh A Th Thô Hah Bô Nedj M
ouoh a th/ ywi hah ba nej m
Ouoh A Thê Thôi Hah Ba Nedj M
Et Esse Tanquam Meus Quantus Ramus Efferre genit
E Essere Così come Mio Tanto quanto Ramo Generare Con
Derôkadj Djischemorouo
De Rô Ka Dj Djischem O Ro Uo
ye rw ka je jis/m w rw ouw
The Rô Ka Dje Djischêm Ô Rô Ouô
Modus Os Ejicere Ego Leniter tangere Magna Os Jam
Forma Parola Fare uscire Me Trattare con indulgenza Grande Parola Allora
Ouehal Tipherahouo
Mouo Oue Hal Ti Pherahouo
mououi oue hal ] veriwou
Mououi Oue Hal Ti Pheriôou
Renovatio Remotum esse Error Prodere Splendidus
Riparazione Essere sottratto Errore Creare Puro
Mezouozoth Lh
Me Zouoz Oth Lh
me joouce yo lehlwh
Me Djoouse Tho Leh[lôh]
Considerare Mittere Multitudo Adparére
Considerare Emettere Moltitudine Apparire
234
Hamôçôhodj Chaidjdjdjm
Ha Môç Ô Hodj Chaidj Dj Djm
ha moci w hwt soij jo jeme
Ha Mosi Ô Hôt Schoidj Djo Djeme
Contra Puerpera Magna Deferre Salvare Dicere Velle
In opposizione Madre Grande Apportare Salvare Dire Esser vero
Ouadjdjôphèq
Ouadj Djô Phèq
ouas jo ves
Ouasch Djo Phesch
Dicere Veredicum esse Extendere
Volere Dire Estendere
Rôçooun Médjehoouah
Rô Ço Oun Médje Ho Ouah
rw [o oun maht he ouat
Rô Ço Oun Maht He Ouat
Os Seminare Esse Viscera Ita Solus
Parola Generare Essere Seno In questa maniera Solo
Ouechotehidj Chomesha
Ouecho Te Hidj Chom Mes Ha
ouese te is [om mec qa
Ouesch Te Isch Çom Mes Kha
Sine Essentia Homo177 Virtus Gignere Super
Senza Natura Uomo Virtù Generare Più alto
177 - Nota dell'editore: is = uomo; isa = donna; queste traduzioni non esistono nel dizionario Parthey.
Esse vengono dall'ebraico e .
235
Hôhaehabouo Madjèth
Hô Hae Ha Bou O Ma Djèth
ho hae ha boubou w ma jet
Ho Hae Ha Bou[bou] Ô Ma Djet
Visio Finis In Splendor Magna Locus Pertransire
Visione Fine In Splendore Grande Rango Andare al di là
Testo coordinato: … e che sono lo stesso i miei quanto i rami generati dalla prima don-
na colpevole, perché essa è mia figlia, avendo la Parola fatto uscire da Me la sua for-
ma178. La Parola trattò allora con grande indulgenza la prima donna proposta alla
morte e alla disgrazia; Essa le fu propizia, avendole acquistata una riparatrice sottratta
all'errore, creata, creata pura, testa delle figlie, prima. La donna del capo Adamo, la-
vata dalla sua colpa, rimessasi dal suo errore, sarà consolata dall'ammucchiamento
che sarà emesso di generazione in generazione; essa proverà gioia considerando le
moltitudini emesse, apparenti sul globo ed aventi la parola. Ascoltate: in opposizione
alla madre umiliata, la Madre grande porterà la salvezza. Ciò che Io dico è vero, e vo-
glio che ciò che dico si diffonda; la Parola sarà generata in questo modo: attraverso il
solo seno, senza natura d'uomo; la virtù dell'Altissimo La genererà, la sua misericordia
stenderà la gloria che avvolgerà questa Madre superiore alle altre; alla fine, Essa sarà
vista in un grande splendore, al di là di ogni rango.
Ringraziamenti
Siamo debitori della registrazione del testo di base alla famiglia THÉRY
per la preparazione dell'edizione di questa opera con un lavoro minuzioso, lungo e in-
grato e inserendo le parole in ebraico e in copto. Queste aiuteranno gli specialisti a con-
trollare i lavori di Fernand CROMBETTE, e, a loro volta, continuare le ricerche giac-
ché, come si è detto molte volte, l'autore confessa di non aver trovato tutte le ricchezze
che la lingua copta potrebbe ancora nascondere in questi testi.
Sarebbe auspicabile che nell'edizione di altre opere di Crombette lo stesso sistema fosse
applicato. Questo al fne di rendere più facile la traduzione dei testi ebraico e copto che,
nei manoscritti originali sono stati traslitterati nella lingua francese. Con le lettere ebrai-
che e copte si eviteranno così degli errori della traduzione delle opere in altre lingue evi-
tando la traslitterazione in suoni francesi.
178 - Nota dell'editore: poiché la traduzione je = Ego non si trova nel dizionario PARTHEY, bensì je =
dicere, igitur, vero, ..., è importante vedere che si può anche tradurre Ouehascheredj Derôkadj con: Et
Esse Filia Vero Modus Os Ejicere Vero, ossia: "Giacché essa è mia figlia in verità, veramente forma
uscita dalla Parola".
236
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- Chronologie de l’Égypte pharaonique ; ISBN 2-9600093-7-1
Ceshe asbl, Tournai, réf. 2.17 - 1998
- Véridique Histoire de l’Égypte antique ; 3 tomes ; ISBN 2-9600093-2-0
Ceshe asbl, Tournai, réf. 2.18 à 2.20 - 1997
- Clartés sur la Crète ; 1 tome disponibile
Ceshe asbl, Tournai, réf. 2.21 - 1998
- Essai de Géographie...divine ; 5 tomes
di cui disponibili: tome I, réf. 2.28 avec carte a colori.
tome IV A, réf.
2.31 : l’Ïle de Pâques.
tome IV B, réf.
2.32 : l’Atlantide
Ceshe asbl, Tournai, diverses années
- Dictionnaire Copte-Latin et Latin-Copte ; ISBN 2-96000246-4-8
Ceshe asbl, Tournai, réf. 2.15 - 2000
- Galilée avait-il tort ou raison ? ; 2 tomes
Ceshe asbl, Tournai, réf. 2.33 et 2.34 - diverses années
- Joseph, Maître du Monde et Maître ès sciences ; ISBN 2-9600093-1-2
Ceshe asbl, Tournai, réf. 2.37 - 1996
- Petit Dictionnaire systématique des Hiéroglyphes égyptiens
Ceshe asbl, Tournai, réf. 2.16 - 1981
- Synthèse préhistorique et Esquisse assyriologique
tome I ; ISBN 2.96000246-2-1, 2000
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SUESS
- La face de la terre
Armand Colin, Paris, 1900.
TERMIER
- La joie de connaître
Valois, Paris, 1928.
- Les grandes énigmes de la Terre
Flammarion, Paris, 1935.
THOMSON W.
- Allocution du 10 jannvier 1889 : Constitution de la matière
Gauthier, Paris, 1893.
VÉLAIN
- Cours élémentaire de géologie
Masson, Paris, 1899.
VIALLETON
- L’origine des êtres vivants
Plon, Paris, 1930.
VIGOUROUX
- Manuel biblique
Roger et Chernoviz, Paris, 1886.
- Dictionnaire de la Bible
242
WEILL
- La Phénicie et l’Asie occidentale
Arm. Colin, Paris, 1939.
- La fin du Moyen Empire égyptien
Imprimerie Nationale, Picard, Paris, 1918.
WEYHER
- Sur les tourbillons... et sphères tournantes
Gauthier, Paris, 1889.
- Toujours les tourbillons
Gauthier-Villars, Paris, 1910.
WIEDEMANN
- Ägyptische Geschichte
Perthes, Gotha, 1884.
WOLF
- Les hypothèses cosmogoniques
Gauthier-Villars, Paris, 1886.
Opere connesse :
DEROSE Noël
- Si le Monde savait... ISBN 2-9600093-0-4
Ceshe asbl, Tournai, réf. 1.02 - 1995
HERTSENS Rodolphe
- L’Énigme de la Pierre de Palerme; suo contenuto e sua lettura secondo l'opera di Fer-
nand Crombette ISBN 2.9600093-6-3
Ceshe asbl, Tournai, réf. 4.11 - 1998
243
SOMMARIO
Pagina
Il Titolo 6
Avvertenze 7
Il metodo 15
Un esempio: La Storia di Giuseppe 18
Ritorno al metodo 22
Da dove viene l'ebraico 25
Cronologia Biblica 31
Le differenti cronologie bibliche 33
Il Diluvio 36
Le Glaciazioni 36
Punti principali
Discendenza di Caino 40
I figli di Noè 40
Abramo 43
Isacco 45
Giacobbe 45
Giuseppe 46
Durata del soggiorno in Egitto - problemi 47
Mosè 54
Le Piaghe d'Egitto 54
L'uscita dall'Egitto 57
Il passaggio del Mar Rosso 63
Il miracolo di Giosuè 66
suo svolgimento 70
I Rè 80
Il miracolo di Isaia 86
i Rè (seguito) 102
le profezie di Ezechiele 106
Daniele 113
Genealogie di Nostro Signore Gesù Cristo 115
Conclusione 118
... / ...
La Genesi 119
La Creazione 120
Genesi I, 1 122
Creazione della Via Lattea, dei pianeti e della 124
Terra
Gen I, 2 128
Gen I, 3 130
Gen I, 4 131
Giobbe XXXVIII, 6-7 133
Gen I, 5 136
Gen I, 6 139
Isaia XXX, 26 141
Gen I, 7-8 147
Gen I, 9 149
Gen I, 10 152
Salmo LXXIII, 12 (Volgata LXXIV, 12) 154
Gen I, 11 a 13 155
Gen I, 14-15 157
Gen I, 16 à 19 164
Gen I, 20 a 23 170
Gen I, 24-25 174
Gen I, 26 a 28 : la creazione dell'uomo 177
Gen I, 29 à 31 184
Gen II, 1 a 3 188
Gen II, 4 a 6 191
Gen II, 7 194
244
... /
Annessi
In onore di Nostra Signora
Proverbi VIII, 22 a 26 (Volgata) 226
Ritraduzioni
Proverbi VIII, 22 a 26 226
Proverbi VIII, 27 a 31 229
Proverbi VIII, 32 a 36 232
Ringraziamenti 235
Sommario 243