Perfetto e Medio in Alcune Lingue Ie PDF
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GLOTTOLOGICO
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ITALIANO
Direttori
ISSN 0004-0207 ALBERTO NOCENTINI
PAOLO RAMAT
Rivista fondata
nel 1873
da Graziadio Isaia Ascoli
Volume XCIX
Fascicolo II
ISBN 978-88-00-88077-0
9 788800 880770
Abstract
The so-called “stative” endings do not belong to a voice other than the perfect and
the middle ones; rather, they are the archaic middle endings.
The contrast between middle and perfect is nothing but the contrast between
the representation of a state resulting from a process, on the one side, and a dynamic
representation of a process causing a resultant state, on the other side. Both the perfect
and the middle consist of unaccusative constructions whereby the subject, corresponding
to the object of the transitive counterparts, is represented as an inactive participant, and
the locus of the process itself (BECOME state, according to Dowty). At this stage, the
perfect and the middle were opposed to the active: [active] vs. [middle : perfect]. The
morphological coding of Tense first applied to the processes, and not to the states; hence,
it applied first to the active and middle, and later to the perfect. Therefore, the middle
passed from the perfect system to the present/aorist system: [active : middle] vs. [perfect].
The idea that the middle is ancient in the perfect system, but recent in the present/aorist
system, also accounts for the well-known fact that the ancient middle endings (the so-classed
“stative” ones) have been mixed with the active endings. Since the direction of the change must
have followed the markedness gradient put forward by H. Andersen, the ancient endings have
been kept in the injunctive, in the historical tenses and in the optative. Furthermore, it is
likely that media tantum do not instantiate the prototype of the category. They should rather
represent the prototypes of the values the perfect was charged with during its expansion as a
natural category, starting from a nucleus of unaccusative verbs.
golare prima che nel plurale e nel plurale prima che nel duale, nella terza e
prima persona prima che nella seconda, in frase principale prima che in fra-
se subordinata e, con riferimento alle situazioni extralinguistiche, in prosa
prima che in poesia, nel parlato prima che nello scritto, nei livelli informali
prima che in quelli formali e così via.
La vasta esemplificazione interlinguistica fornita da diversi autori in un
volume curato dallo stesso Andersen (2001) ha mostrato, più che l’esisten-
za di controesempi, la complessità della nozione di marcatezza (Andersen
2001: 47 ss.) (1) e soprattutto la sua dipendenza dal tipo di mutamento e
dal sistema che lo accoglie. Agli esempi allora citati si aggiunge qui la testi-
monianza vedica del progresso di una innovazione di età indoeuropea: la
codifica morfologica del tempo grammaticale.
Questa, iniziata con la formazione del presente «attuale» realizza-
ta mediante la grammaticalizzazione della particella -i, segno dell’hic et
nunc, conglutinata a una serie di desinenze dell’ingiuntivo (2) -m, -s- -t, -nt
(3a pl) che la tradizione impropriamente chiama «secondarie» (e altrettanto
impropriamente chiama «primarie» quelle demarcate con -i), nel RV è ge-
neralizzata nell’indicativo, parziale nel congiuntivo, assente nell’ottativo (3);
e la significazione morfologica del preterito attuata mediante la grammati-
calizzazione del prefisso *e- (> sscr. a-: il cosiddetto «aumento») nell’indi-
cativo, è successiva alla significazione morfologica del presente: la prima è
avvenuta in tutte le lingue indoeuropee, quest’ultima soltanto in un gruppo
di lingue contigue: sanscrito, iranico, greco e armeno (Lazzeroni 1997a).
(1) Qui basterà dire che con marcatezza si designa una serie di proprietà che,
come epifenomeno, hanno in comune la frequenza più bassa del termine marcato; cfr.
Haspelmath 2006.
(2) Ingiuntivo è l’impropria definizione di un indicativo metacronico, il cosiddet-
to «presente generale» di Renou (1928). La differenza fra la funzione dell’ingiuntivo
e quella del presente attuale è pressappoco la stessa che, occasionalmente in italiano,
regolarmente in inglese, corre fra le forme sintetiche e le forme perifrastiche del presen-
te: «gli alberi nell’autunno perdono le foglie (perché così vuole la natura)»: «gli alberi
stanno perdendo le foglie (ora, in questo momento)»; sul piano formale l’ingiuntivo è
identico a un presente o aoristo privi di aumento (su forme e funzioni dell’ingiuntivo
cfr. Hoffmann 1967).
(3) Lo stesso in greco. Nel congiuntivo le desinenze «primarie» sono generalizzate
ma le desinenze secondarie si conservano in alcuni relitti dialettali (Rix 1976: 260 ss.).
È per altro noto che in indoiranico e in greco i modi verbali, anche se presentano le
desinenze primarie, non hanno valore temporale. L’innovazione i.e. che ha prodotto
la codifica morfologica del tempo grammaticale si è attuata soltanto nell’indicativo; le
desinenze primarie del congiuntivo sono modellate sulle desinenze dell’indicativo per la
forma, non per la funzione di codifica temporale.
Tabella 1
(4) Qui e altrove si citano soltanto le desinenze specificate da -i. L’esempio vale
anche per le altre: il congiuntivo attivo ha, come l’ottativo e l’ingiuntivo la desinenza
secondaria -ma nella prima persona plurale e duale, ma ha le desinenze primarie come
l’indicativo nella seconda persona plurale (-tha) e nella seconda e terza persona duale
(rispettivamente -athas e -atas). Il congiuntivo medio ha le desinenze primarie dell’in-
dicativo in tutte le persone (su -anta della terza persona plurale vd. in seguito). Contro
l’ipotesi che il congiuntivo derivi dalla modalizzazione di un antico paradigma di indi-
cativo (cfr., fra gli altri, Beekes 1981) cfr. Lazzeroni 1997c.
sanscrito sono in gran parte rifatte su quelle attive: su -ti si è fatto il sscr. -te,
- (poi - secondo - e - < *- + secondo - ); così, l’antica desinen-
za -thās e quelle in -r rispettivamente della 2a sg. e 3a pl. sono state sostituite
da -se secondo -si (lo stesso nel gr.: - secondo *-si, poi - secondo - )
e da -ante / -anta, gr. - ,- secondo *-e/onti.
Insomma, mentre l’indicativo attivo è formato sull’ingiuntivo, l’indica-
tivo medio è formato direttamente sull’indicativo attivo: le desinenze medie
sono quelle attive con -i sostituito, in sanscrito, da -e (< -ai), in greco da - /
- ; nella la 2a sg. e nella 3a pl. è sostituita l’intera desinenza.
(9) L’iran. *-sa sarà, ovviamente, la desinenza usuale del medio (gr. - ) rifatta sulla
corrispondente desinenza attiva -si e sostituita a -thās.
(10) La sola desinenza dell’ottativo rimodellata sulla desinenza attiva è -ta della 3a
sg.; la des. -ran della 3ª pl., conservata nell’ottativo, lo è solo parzialmente nell’ingiun-
tivo e nel preterito dove ha ceduto il passo a -anta (a sua volta modellata su -anti) : -ran
sopravvive in alcune forme dell’ingiuntivo e del preterito della classe radicale.
tem) occorre chiedersi se i valori di quella che appare una categoria residuale
non rappresentino semplicemente il prototipo intorno a cui si sono svilup-
pati i valori della categoria produttiva. Già si è detto che queste formazioni
appartengono alla classe radicale, a quella in nasale e agli intensivi e che, di
questo gruppo, le formazioni radicali sono le più antiche: le altre, originate da
processi connessionistici (Lazzeroni 1993; Kümmel 1996: 13) hanno valori
allineati pressoché completamente a quelli del medio. Ma le forme stative
derivate dalla classe radicale sono pochissime: se si eccettuano quelle formate
dalle basi śay- e duh- (ambedue oltre 20x nel RV), le altre sono tramandate
da un numero troppo scarso di attestazioni (alcune soltanto da una) per con-
sentire di trarre inferenze da argumenta ex silentio, specialmente se si considera
che alcune forme «stative» di duh- (non per caso una delle basi più attestate)
hanno anche valori tipici del medio (RV, I, 139, 7; RV, VII, 101, 1:«[für sich]
melken»: Kümmel 1996: 55 ss.), che duhé «emette latte» si oppone all’atti-
vo dógdhi «munge» in costrutti anticausativi (ted. melken : milchen) (11), che
śay- ammette anche l’imperativo śayām con la des. stativa -ām in luogo di
-tām (Kümmel 1996: 109 ss.: AV, V, 25, 9: gárbhas te yónim ā śayām «che un
embrione stia nel tuo ventre») il che è mal compatibile col valore di stativo
permanente e, infine, che in RV, IV, 2, 19: tám avasrann u áso vibhātī «the
radiant downs have clothed themselves in truth» (Insler, 1968: 319 n.; corsivo
mio; così anche Jamison-Brereton 2014, I: 560), avasran, se formato da vas-
«vestirsi» (medium tantum) è inteso come riflessivo.
Medio e perfetto
(11) Cfr., da ultimo, Kulikov 2012: 112 ss. e specialmente: 118 ss.
(12) Non si considerano i valori del perfetto conseguenti al suo inserimento nel siste-
ma dei tempi: risultativo (tipicamente transitivo a differenza del perfetto «naktostatico»,
designa uno stato dell’oggetto coinvolto nel processo), di «presente allargato» (designa
un processo passato che continua nel presente; in RV, VIII, 67, 6 il perf. bubhujmáhe è
accompagnato da purā nūnám «prima e ora»: «abbiamo goduto prima e godiamo ora»),
«comprensivo» ecc. (Kümmel 2000: 71 ss.). Qui basterà dire che nessuno di questi
valori appartiene anche al medio. È superfluo ricordare che il perfetto designa lo stato
conseguente al processo anche coi verbi non idonei a fornire l’alternanza causativa, per
es. coi verbi di movimento ( , 156: «sono arriavto, giunto»). Vedremo, però,
che la promozione dell’oggetto a soggetto e la significazione dell’anticausativo (statico il
perfetto, dinamico il medio) è la sola funzione condivisa col medio.
(13) In forma semplificata: [xfare]-causa-[ydiventare stato] dove x e y indicano,
rispettivamente, il soggetto e l’oggetto.
(14) Haspelmath (1987) fa distinzione fra anticausativo e incoativo. Quest’ultimo
termine avrebbe un significato più esteso dell’altro includendo anche gli intransitivi ate-
lici (cfr. in it. «Tizio dondola [fa dondolare] l’altalena»: «l’altalena dondola»; cfr. Magni
2008: 175 n. 8). Ciò mostra che esiste una gerarchia fra i parametri che selezionano gli
anticausativi (Haspelmath 1987): la mancanza di specificazioni del soggetto prevale sul
parametro della telicità.
i versi» contro l’aor. del causativo ajīgar «ha svegliato» (RV, I, 113, 4:
ajīgar bhūvanāni víśvā «l’aurora ha svegliato tutte le creature»): «un tale per-
fetto […] non poteva formarsi da tutte le basi verbali. Il presupposto era che
l’azione designata dalla base potesse passare a designare uno stato del primo
attante. Con ‘stato’ si deve intendere che non interviene alcun mutamento,
che niente ‘accade’ (tratto caratteristico: non dinamico). Fondamentale è
che il significato del verbo di base sia dinamico; un tale perfetto non può
formarsi dai verbi stativi» (Kümmel 2000: 67). In questa opposizione jāgāra
«è sveglio», non «si sveglia» designa lo stato prodotto da un processo dinami-
co esattamente come «è distrutto», non «va in rovina».
Corrisponde al punto 2) il perfetto (tipo ) «caratterizzante»
(charakterisierend: Kümmel 2000: 153; Romagno 2005: 131), «qualificati-
vo» (beeigeschaftender Gebrauch): RV, II, 28, 4: ná śramāyanti ná ví mucanti
eté váyo ná paptū raghuyā párijman «questi (fiumi) non si stancano né si
fermano, come uccelli volano veloci nel loro giro» e anche, coi verbi biar-
gomentali, il perfetto cosiddetto subjektresultativ che caratterizza il soggetto
come autore di un’azione compiuta (o compiuta abitualmente) su un ogget-
to: RV, VII, 21, 6: svénā hi v trá śávasā jagantha «Indra, con la forza che
ti è propria hai ucciso V tra», ma, con lo stesso significato, RV, VII, 20, 2:
hántā v trám índra śūśuvāna «Indra, il forte, (è) uccisore di V tra», ove è
da notare il nome d’agente baritono (hántā) che, esattamente come il perfet-
to, configura una proprietà permanente (Tichy, 1995) e RV, VI, 20, 2: áhi
yád v trá apó vavrivā sa han «poiché uccise il (è l’uccisore del) serpente
V tra che imprigionava le acque», con hán «beeigenschaftende Injunktiv»
secondo la definizione di Hoffmann (1967: 167; Kümmel 2000: 596 ss.).
Se è vero che la funzione originaria del perfetto era, sul piano sintatti-
co, quella di promuovere a soggetto l’oggetto del costrutto transitivo e, sul
piano semantico, quella di designare lo stato del soggetto prodotto da un
processo (15), il valore caratterizzante deriverà dall’espansione del valore se-
mantico della categoria di cui il perfetto di stato risultante sarà stato l’arche-
tipo diacronico e il prototipo sincronico: tratti comuni sono, nel prototipo,
la rappresentazione di uno stato permanente del soggetto, ovviamente me-
tacronico e, nel perfetto caratterizzante, la rappresentazione di un processo
inteso come qualità permanente (e perciò come stato) del soggetto (Roma-
gno 2005): allo sviluppo di questo valore del perfetto avrà contribuito anche
la crisi dell’ingiuntivo, residuale in vedico, sopravvissuto nel greco di Omero
soltanto come allomorfo dei tempi storici, il cui valore antico di indicativo
(15) Delbrück 1897: 177; Kümmel 2000: 66; Di Giovine 1996: 251.
Tabella 2
(16) Si è appena visto che nel sistema del presente un evento caratterizzante può
essere codificato dall’ingiuntivo (e, in seguito alla crisi dell’ingiuntivo, anche dall’in-
dicativo presente) senza riguardo alla diatesi e alla valenza. È inoltre appena il caso di
ricordare che il perfetto medio è recente (Chantraine 1927; Kümmel 2000: 92 ss.).
I valori che qui si considerano sono, ovviamente, quelli antichi, del perfetto «attivo».
(17) Il medio forma anche il passivo. Il passivo differisce dall’anticausativo solo per-
ché presuppone un agente: un verbo che non incorpori nel proprio significato restrizioni
semantiche tali da rendere impossibile la rappresentazione dell’evento come spontaneo
può produrre costrutti anticausativi e passivi; in presenza di tali restrizioni è possibile
soltanto la costruzione passiva (Haspelmath 1987: 1990; 1993), riflessiva ecc.
(18) Cfr. , 128: «sei perduto» (Romagno 2005: 51); , 128:
(imper.) «andate in rovina», «morite»; (Ω, 729) «sono morto, distrutto»:
«perisco, mi perdo»: «distruggo, abbatto» ecc. (Allen 2003: 60 ss.)
re» (RV, VI, 24, 7): jajāra «è vecchio» (AV, X. 8, 26; Kümmel 2000: 196 ss.):
jaranta «diventano vecchi» (RV, X, 31, 7); namanti «piegano»: namate «si
piega» (RV, VI, 24, 8): nānāma «sta inchinato, prono, sottomesso» («sich ge-
beugt halten»: Kümmel 2000: 278); pinvati «gonfia» (trans.: RV, IX, 74, 5)
/ pinvat «fa gonfiare, riempire» (ingiuntivo, RV, IX, 68, 3; Hoffmann 1967
«lässt schwellen»): pinvate «si gonfia» (RV, I, 8,7): pīpāya «è gonfio, pieno»
(Kümmel 2000: 298 ss.) ecc. (19).
Riassumendo: perfetto e medio codificano il termine intransitivo dell’al-
ternanza causativa: sul piano sintattico ambedue promuovono a soggetto l’og-
getto del causativo e, come epifenomeno sul piano semantico, convertono il
costrutto agentivo significato dall’attivo in un costrutto inagentivo, dinamico
il medio, statico il perfetto. ambedue segnalando la diatesi interna al soggetto.
(19) Altri esempi in Gonda 1979: 43 ss. In RV I, 181, 8 il medio precede il perfetto
nello stesso contesto: utā syā vā rú ato vápsaso gīs tribarhí i sádasi pinvate n n / v ā vām
meghó v a ā pīpāya gór ná séke mánu o da asyán «et pour vous s’enfle le chant de l’éclat
brillant au siège des hommes pourvu d’un triple barhis; pur vous taureaux, est enflé le
nuage taureau qui honore l’homme comme en (lui) deversant du lait» (Renou 1925: 145).
(21) Il processo potrebbe, ovviamente, essere iniziato anche prima: la diatesi interna al
soggetto appartiene anche al perfetto e al medio nell’alternanza causativa. Ma lo sviluppo
più significativo è sicuramente successivo al trasferimento del medio nel sistema del pre-
sente/aoristo: una quantità di verbi che conosce il medio non conosce o non usa il perfetto.
Berrettoni (1972: 65 n. 96) ricorda che su 177 forme verbali elencate sotto la lettera
nell’Index Homericus di Gehring, solo 12 sono attestate al perfetto (cfr. anche Wacker-
nagel 1953: 1000). Il sanscrito e il greco consentono di seguire il processo di espansione
del medio nel suo sviluppo, cfr. Delbrück 1897: 416 ss. e, per l’ittita, Neu 1968: 52 ss.
(22) Talvolta – specialmente in greco – attivo e medio sono solo sinonimi: Omero
ha e «risplendo» ecc., cfr. Delbrück 1897: 418 e in particolare Ro-
magno 2010: 430 ss.
(23) Che il prototipo sia più resistente al mutamento della periferia è noto: il loca-
tivo è stato cancellato in latino, ma nei toponimi è sopravvissuto fino ai giorni nostri
nelle lingue romanze.
(24) Le des. -sai, -tai, -antai ecc. appartenenti in larga misura ad epoca postrigvedica
sono analogiche a -ai della I persona (Thumb-Hauschild 1959: 216); quest’ultima,
ovviamente < *-āi sarà da analizzare come -a- (vocale tematica caratteristica del congiun-
tivo) + -a (antica des. media di I sing.) + -i segno del presente. Come si è visto alla n. 4
la des. -i della I sing. dell’ingiuntivo e dei tempi storici è sostituto analogico di -a e nulla
ha a che fare col segno -i del presente.
(25) Jamison, 1979 parla di «medial -anta in active paradigms»; cfr. anche Lazzero-
ni 1996. Si aggiunga che, stando a Macdonell 1910, le forme di cong. in -anta nelle
coniugazione primarie sono tre nel sistema del presente e due in quello dell’aoristo. Te-
nendo conto che una di queste è hananta (RV, VII, 56, 22), di hanti che nella flessione
radicale è activum tantum e che due (k avanta e aśnavanta) appartengono alle classi in
-n- per il loro valore fattitivo poco inclini alla diatesi media (vd. oltre), c’è da chiedersi
se non si tratti di congiuntivi attivi classificati come medi nelle grammatiche solo per la
forma della desinenza. Nelle coniugazioni secondarie Macdonell cita cinque forme in
-anta di congiuntivo dell’intensivo. A nessuna di queste si può riconoscere valore me-
diale o appartenenza al paradigma del congiuntivo (Schaefer 1994). Ma di ciò altrove.
(26) Nell’indicativo e nell’ottativo la prima e la seconda persona si oppongono fun-
zionalmente alla terza, nel congiuntivo la prima si oppone alla seconda e alla terza: lo
statuto della prima persona specifico del congiuntivo è segnalato sul piano formale da
una desinenza personale specifica (Lazzeroni 2000).
(27) Altrove (Lazzeroni 1996) si è supposto che il medio non avesse il congiuntivo
perché il valore volontativo sarebbe stato incompatibile con la rappresentazione dello
stato. Questo è vero, ma in vedico il congiuntivo può significare il futuro e anche la
modalità epistemica non fattuale, quella che Gonda (1956: 68 ss.) chiamò visualization,
perfettamente compatibile con la nozione di stato; e si aggiunga che il medio designa
anche d un processo che produce uno stato, ben compatibile coi valori modali del con-
giuntivo. Insomma se è vero che una innovazione procede dall’indicativo verso i modi è
preferibile l’ipotesi che qui si presenta. Ovviamente i verbi caratterizzati dalle desinenze
«stative» conoscono i modi; cfr., per i verbi radicali, Kümmel 1996: 52; 109.
Le forme antiche, modellate sul perfetto, delle desinenze del medio posso-
no motivarsi, si è visto, soltanto come significanti del processo che si conclude
producendo uno stato del soggetto opposto allo stato prodotto significato dal
perfetto, in alternanze causative in cui l’oggetto dell’alternante transitivo è
promosso a soggetto dell’alternante intransitivo e si è anche visto che il perfet-
to ha questo valore solo con i verbi ad alta transitività e telicità. La promozione
dell’oggetto a soggetto che caratterizza queste alternanze spiega la diatesi del
perfetto e del medio «interna al soggetto» nel senso di Benveniste.
Dei presenti greci in - - a cui, pur se con qualche ragione, Chantraine
(1925: 94) attribuì azionalità telica («determiné» nella definizione dell’Au-
tore) è stato detto che «la notion de ‘determiné’ perd-elle de son importance
à côté du fait essentiel que ces présents sont tous intransitifs et de valeur
nettement moyenne» (Benveniste 1935: 194).
Una serie di studi di E. Magni (2004; 2008; 2010) ha mostrato che il
medio descrive «mutamenti di tipo telico, che corrispondono pienamente
all’intransivizzazione di predicati a causazione esterna […], mentre il si-
gnificato veicolato dalle forme in - -, alternanti e non, sembra piuttosto
riferirsi a processi a causazione interna di tipo atelico, cioè a un divenire
che si approssima, senza necessariamente raggiungerla, a una meta ideale»
(Magni 2008: 196; García Ramón 2014). La selezione fra la diatesi media
e la derivazione con - - sarebbe, perciò, governata dall’azionalità verbale: il
medio insomma sarebbe proprio, come il perfetto nell’alternanza causativa,
dei verbi inaccusativi ad alta telicità e affectedness dell’oggetto, mentre il
suffisso derivativo sarebbe proprio dei verbi inergativi o incrementativi: dei
verbi, insomma, atelici o a bassa telicità.
Ciò corrisponde perfettamente al valore primitivo del medio quale
sembra indicare la storia delle desinenze (il medio è una categoria morfo-
semantica sviluppata intorno al nucleo prototipico dei verbi inaccusativi)
ed è confermato dal fatto che larga parte dei presenti omerici in - - (Risch
1974: 278) appartiene, si è detto, agli inergativi, agli incrementativi e agli
stativi; quanto al senso ingressivo che le forme in - - di solito assumono, è
appena il caso di ricordare che «il senso ingressivo compare solo con verbi
di azione durativa non-risultativa, cioè solo con i continuativi e gli stativi
(beninteso, quelli non permanenti)» (Bertinetto 1986: 228; cfr. Magni
2008: 207). C’è, infine, da notare, che la stragrande maggioranza dei verbi
in - - conosce soltanto la flessione attiva (28): la significazione della diatesi
(28) García Ramón 2014; nei pochi casi in cui è attestata la flessione media «il
medio sembra marcare in modo ridondante, quasi rideterminante, la valenza incoativa
già indicata dal suffisso» (Magni 2008: 191); il suffisso è improduttivo, esposto alla
pressione del medio «che in greco si espande inglobando rapidamente anche le funzioni
dell’elemento - -» (Magni 2008: 194).
(29) È noto che il sanscrito classico è, per alcuni tratti, più arcaico del vedico perché,
fondato sui dialetti dell’India centrale, è meno aperto verso le innovazioni provenienti
dai dialetti occidentali su cui è fondato il vedico: per es. nei temi in -a il sscr. classico
oppone il nom. pl. -ās e lo strumentale -ais a -āsas e -ebhis del vedico; nella flessione ver-
bale la desinenza della 1a pl. attiva è -mas (gr. , lat. -mus < *-mos) e non -masi, forma
analogica frequente in vedico ecc. (Lazzeroni 1997a, 103 ss.).
(30) Il motivo sarà quello indicato da Kazenin (2001: 924): se le manifestazioni del
medio hanno in comune la bassa distinguibilità dei partecipanti a un evento (Kemmer
1993), questo non può verificarsi coi verbi ad alta transitività semantica nel senso di
Hopper-Thompson 1980 in cui agente e paziente sono chiaramente distinti.
(31) La restrizione che vieta il medio ai verbi suffissati in nasale non opera in greco:
in Omero le forme medie superano largamente le attive: Risch 1974: 256 ss.
(32) E desinenze attive ha il cosiddetto «aoristo passivo» del greco, che muove dalla
funzione incoativa/anticausativa del suffisso - - (Magni 2008).
(33) Dal trasferimento del medio nel sistema del presente/aoristo che ha alimentato
la tendenza a flettere virtualmente nelle due diatesi ogni lessema verbale dipenderà – si
è detto – il suo uso come codifica del riflessivo: la nozione di stato sottostante al nu-
cleo prototipico, inaccusativo, del medio implicava anche la nozione di inagentività
del soggetto e di «diatesi interna» nel senso che il soggetto è rappresentato come sede
del processo, interno al processo nel senso di Benveniste (1966: 168 ss.): nei costrutti
inaccusativi in cui l’oggetto è promosso a soggetto, soggetto e oggetto sono la stessa
entità. Sul medio riflessivo cfr. Lazzeroni 1997b. Conviene ricordare che in più di una
lingua la codifica del medio è identica a quella del riflessivo: Kemmer 1993: 24; inutile
(e oracolare) La Fauci 2012: 113 ss.
tiche, demarcate con -i, nell’indicativo presente e sono accolte dal congiun-
tivo solo parzialmente e non senza residui; anche nel medio le desinenze
dell’ingiuntivo (cioè le desinenze cosiddette «stative») sono conservate nei
tempi storici e nell’ottativo del sanscrito, ma nell’indicativo sono rifatte o
sostituite sul modello dell’indicativo attivo e queste, a loro volta. sono accol-
te interamente e senza residui dal congiuntivo. Insomma, nella diatesi attiva
le desinenze dell’indicativo sono fondate su quelle dell’ingiuntivo, nella dia-
tesi media su quelle dell’indicativo attivo: le desinenze del medio si ricavano
da quelle attive mediante l’applicazione della regola [ des.-iatt. > des. -ai/-oimed.
(> sscr. -e)]. Si tratta, dunque, di due mutamenti diversi e avvenuti in tempi
diversi: l’indicativo succede all’ingiuntivo in diacronia.
7) La categoria del perfetto e quella del medio si sono sviluppate come
categorie «naturali» nel senso di Rosch (1973), l’una intorno a un prototi-
po inaccusativo designante lo stato raggiunto, l’altro intorno a un identi-
co prototipo designante il sottoevento configurato da Dowty (1979) come
[diventare stato]. Comuni ad ambedue sono la diatesi interna al soggetto
e la struttura sintattica dei costrutti incoativi/anticausativi, ma diversa è la
focalizzazione dei sottoeventi: dello stato prodotto dal processo nel perfetto,
dello stato nel suo prodursi nel medio. La diversità spiega come, nel corso
del loro sviluppo, le due categorie abbiano assunto valori nuovi ma diversi:
dinamici e «interni al soggetto» quelli (riflessivi, di interesse», reciproco,
intensivo, passivo) del medio, statico quello del perfetto qualificativo.
8) Resta aperto (ed esula dagli obiettivi di questo saggio) il controverso
problema se la presenza dei media tantum sia indizio di una sintassi protoin-
doeuropea di tipo attivo-inattivo. Qui basterà dire che gli argomenti finora
tratti dal sistema verbale ricostruito sono largamente fondati sul presupposto
di una tipologia olistica, privo di valore risolutivo (Ramat 1986) e che non
può trascurarsi l’eventualità che anche le categorie semantiche in cui i media
tantum si articolano (vd. da ultimo Meiser 2009) non appartengano al me-
desimo livello sincronico, ma si siano formate progressivamente, attraendo
nella diatesi media i costituenti il cui significato lessicale «prototipico» (per es.
quello dei verbi «naturalmente reciproci») li rendeva meno idonei alla diatesi
attiva (35). Se così è, dovremo riconsiderare l’ipotesi vulgata che la distribu-
(35) È, probabilmente, vana fatica discettare se la funzione originaria del medio fos-
se quella di significare l’anticausativo o il passivo; già si è detto che la differenza fra i due
costrutti è sottile, consistendo soltanto nella presupposizione di un agente. Ripeteremo,
piuttosto che ciò che il medio condivide col perfetto è la proprietà sintattica di promuo-
vere a soggetto l’oggetto del verbo transitivo e che perciò è, come il perfetto, caratteriz-
zato sul piano semantico dalla diatesi interna al soggetto nel senso di Benveniste e come
zione originaria del medio fosse lessicale e che i media tantum costituiscano
il prototipo intorno a cui si è sviluppata la categoria. Questi potrebbero rap-
presentare non tanto il prototipo quanto i prototipi dei valori che il medio ha
assunto nel corso dell’espansione dello spazio concettuale di cui è espressione.
9) Di Giovine (1996: 235 ss. a cui si rimanda per la amplissima bi-
bliografia) ha mostrato che l’ipotesi che il perfetto e il medio derivino da
un’unica diatesi si scontra con ostacoli non sormontabili. La proposta che
qui si presenta cerca di dar ragione delle similitudini e delle differenze fra
le due categorie, supponendole distinte fin dall’origine sul piano formale e
funzionale, ma originariamente strutturate in un medesimo sistema. Questa
tesi che tiene conto della diacronia del sistema, incontra, forse, meno osta-
coli dell’altra o, almeno, ne incontra di più superabili.
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