Perfetto e Medio in Alcune Lingue Ie PDF

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ARCHIVIO GLOTTOLOGICO ITALIANO – Vol.

XCIX – 2014 Fascicolo II


Comitato di redazione: Giuliano Bernini, Tullio De Mauro
(SLI), Romano Lazzeroni, Luca Lorenzetti, Marco Mancini,
Alberto Nocentini, Paolo Ramat (SIG)

L’impostazione scientifica della rivista è definita nell’articolo Nel


solco dell’Ascoli (vol. LXXIV, 1989, fasc. I), che ha inaugurato la nuo-
va serie: in questa prospettiva l’«Archivio Glottologico Italiano» è
aperto a tutti gli studiosi di discipline linguistiche.
Ogni volume annuale (articolato in due fascicoli) sarà costituito da
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Sarà cura della Segreteria di Redazione informare tempestivamente
GLOTTOLOGICO
gli Autori sull’accettazione dei loro contributi.
ITALIANO
Direttori
ISSN 0004-0207 ALBERTO NOCENTINI
PAOLO RAMAT

Rivista fondata
nel 1873
da Graziadio Isaia Ascoli

Volume XCIX
Fascicolo II
ISBN 978-88-00-88077-0

9 788800 880770

Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in A.P. - D.L. 353/03


(conv. in L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 - DCB Firenze
2014
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fattori semantici e pragmatici nell’evoluzione del genere in neerlandese . . . . . . . . 187 (online version) on the website www.torrossa.it (Permalink: http://digital.casalini.it/2239740X).
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Discourse and Pragmatic Markers from Latin to the Romance Languages. Edited by
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Wolfgang Raible (Friburgo-Herden); Edward E. Tuttle (Los Angeles) più volte nel testo (come pure op. cit., ibid.) saranno indicati nel testo stesso, per non
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Dicembre 2015
PUBBLICAZIONE SEMESTRALE - FASCICOLO II – Luglio-Dicembre 2014

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L’ATTUAZIONE DI UN MUTAMENTO: PERFETTO
E MEDIO IN ALCUNE LINGUE INDOEUROPEE

Abstract

The so-called “stative” endings do not belong to a voice other than the perfect and
the middle ones; rather, they are the archaic middle endings.
The contrast between middle and perfect is nothing but the contrast between
the representation of a state resulting from a process, on the one side, and a dynamic
representation of a process causing a resultant state, on the other side. Both the perfect
and the middle consist of unaccusative constructions whereby the subject, corresponding
to the object of the transitive counterparts, is represented as an inactive participant, and
the locus of the process itself (BECOME state, according to Dowty). At this stage, the
perfect and the middle were opposed to the active: [active] vs. [middle : perfect]. The
morphological coding of Tense first applied to the processes, and not to the states; hence,
it applied first to the active and middle, and later to the perfect. Therefore, the middle
passed from the perfect system to the present/aorist system: [active : middle] vs. [perfect].
The idea that the middle is ancient in the perfect system, but recent in the present/aorist
system, also accounts for the well-known fact that the ancient middle endings (the so-classed
“stative” ones) have been mixed with the active endings. Since the direction of the change must
have followed the markedness gradient put forward by H. Andersen, the ancient endings have
been kept in the injunctive, in the historical tenses and in the optative. Furthermore, it is
likely that media tantum do not instantiate the prototype of the category. They should rather
represent the prototypes of the values the perfect was charged with during its expansion as a
natural category, starting from a nucleus of unaccusative verbs.

Forme marcate e forme non marcate

H. Andersen (1987) mostrò con esempi tratti dai mutamenti interve-


nuti nel sistema verbale polacco che la formazione di una nuova categoria
grammaticale segue un gradiente di marcatezza procedendo dalle categorie
non marcate verso le categorie marcate: nel verbo essa si manifesta nel pre-
sente prima che nel preterito, nell’indicativo prima che nei modi, nel sin-

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golare prima che nel plurale e nel plurale prima che nel duale, nella terza e
prima persona prima che nella seconda, in frase principale prima che in fra-
se subordinata e, con riferimento alle situazioni extralinguistiche, in prosa
prima che in poesia, nel parlato prima che nello scritto, nei livelli informali
prima che in quelli formali e così via.
La vasta esemplificazione interlinguistica fornita da diversi autori in un
volume curato dallo stesso Andersen (2001) ha mostrato, più che l’esisten-
za di controesempi, la complessità della nozione di marcatezza (Andersen
2001: 47 ss.)  (1) e soprattutto la sua dipendenza dal tipo di mutamento e
dal sistema che lo accoglie. Agli esempi allora citati si aggiunge qui la testi-
monianza vedica del progresso di una innovazione di età indoeuropea: la
codifica morfologica del tempo grammaticale.
Questa, iniziata con la formazione del presente «attuale» realizza-
ta mediante la grammaticalizzazione della particella -i, segno dell’hic et
nunc, conglutinata a una serie di desinenze dell’ingiuntivo (2) -m, -s- -t, -nt
(3a pl) che la tradizione impropriamente chiama «secondarie» (e altrettanto
impropriamente chiama «primarie» quelle demarcate con -i), nel RV è ge-
neralizzata nell’indicativo, parziale nel congiuntivo, assente nell’ottativo (3);
e la significazione morfologica del preterito attuata mediante la grammati-
calizzazione del prefisso *e- (> sscr. a-: il cosiddetto «aumento») nell’indi-
cativo, è successiva alla significazione morfologica del presente: la prima è
avvenuta in tutte le lingue indoeuropee, quest’ultima soltanto in un gruppo
di lingue contigue: sanscrito, iranico, greco e armeno (Lazzeroni 1997a).

(1) Qui basterà dire che con marcatezza si designa una serie di proprietà che,
come epifenomeno, hanno in comune la frequenza più bassa del termine marcato; cfr.
Haspelmath 2006.
(2) Ingiuntivo è l’impropria definizione di un indicativo metacronico, il cosiddet-
to «presente generale» di Renou (1928). La differenza fra la funzione dell’ingiuntivo
e quella del presente attuale è pressappoco la stessa che, occasionalmente in italiano,
regolarmente in inglese, corre fra le forme sintetiche e le forme perifrastiche del presen-
te: «gli alberi nell’autunno perdono le foglie (perché così vuole la natura)»: «gli alberi
stanno perdendo le foglie (ora, in questo momento)»; sul piano formale l’ingiuntivo è
identico a un presente o aoristo privi di aumento (su forme e funzioni dell’ingiuntivo
cfr. Hoffmann 1967).
(3) Lo stesso in greco. Nel congiuntivo le desinenze «primarie» sono generalizzate
ma le desinenze secondarie si conservano in alcuni relitti dialettali (Rix 1976: 260 ss.).
È per altro noto che in indoiranico e in greco i modi verbali, anche se presentano le
desinenze primarie, non hanno valore temporale. L’innovazione i.e. che ha prodotto
la codifica morfologica del tempo grammaticale si è attuata soltanto nell’indicativo; le
desinenze primarie del congiuntivo sono modellate sulle desinenze dell’indicativo per la
forma, non per la funzione di codifica temporale.

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l’attuazione di un mutamento 131

Le desinenze del congiuntivo vedico: un controesempio?

Ma una circostanza sembra contraddire questa tesi: nel Rigveda, la


conglutinazione di -i alle desinenze primitive è generalizzata nell’indi-
cativo attivo e medio, ma nel congiuntivo attivo è parziale, mentre nel
congiuntivo medio è generalizzata: le tre persone del singolare del con-
giuntivo di bharati «porta» sono, all’attivo, bharāni/bharā, bharāsi/bharās,
bharāti/ bharāt, ma, al medio, invariabilmente bharai, bharāse, bharāte
(con, rispettivamente, -ai < -ā + -i; -se < -sa + -i; -te < -ta +-i) . La gram-
maticalizzazione di -i è, invece, completamente assente nell’ottativo tanto
attivo quanto medio (4).
In schema (semplificato; fra parentesi quadre le forme recessive):

Persone Indicat. Ingiuntivo/ Ottativo Congiunt. Indicativo Ingiuntivo/ Ottativo Congiunt.


presente impf./aor. attivo attivo presente impf/aor. medio medio
attivo attivi medio medi
1ª sg. -mi -m -m -ā(ni) -e -i (< -a) -a -ai (-ā+i)
2ª sg. -si -s -s -s (-si) -se -thās -thās -se/ (-sai)
3ª sg. -ti -t -t -t (-ti) -te -ta -ta -te/ (-tai)
3ª pl. -nti -n (<-nt) -ur -nt/ (-nti -nte/ [-re] -nta/ -ran -nte/-nta
-ur avestico) [-ran/ram] (-ntai)

Tabella 1

L’innovazione, insomma, sembra aver seguito il gradiente di marcatezza


nel sistema modale ma non in quello delle diatesi poiché nel medio sembra
aver raggiunto il congiuntivo più compiutamente che nell’attivo sebbene il
medio sia più marcato dell’attivo come mostrano il suo uso meno esteso e la
sua semantica più specifica.

(4) Qui e altrove si citano soltanto le desinenze specificate da -i. L’esempio vale
anche per le altre: il congiuntivo attivo ha, come l’ottativo e l’ingiuntivo la desinenza
secondaria -ma nella prima persona plurale e duale, ma ha le desinenze primarie come
l’indicativo nella seconda persona plurale (-tha) e nella seconda e terza persona duale
(rispettivamente -athas e -atas). Il congiuntivo medio ha le desinenze primarie dell’in-
dicativo in tutte le persone (su -anta della terza persona plurale vd. in seguito). Contro
l’ipotesi che il congiuntivo derivi dalla modalizzazione di un antico paradigma di indi-
cativo (cfr., fra gli altri, Beekes 1981) cfr. Lazzeroni 1997c.

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Le desinenze del medio

Una risposta può venire dalla storia delle desinenze medie.


Le categorie più resistenti all’innovazione sono, dunque, l’ottativo e il
preterito. Si noti, però, una singolarità (Tab. 1): nella diatesi attiva le desi-
nenze dell’ottativo e del preterito conservano quelle dell’ingiuntivo (meglio:
quelle primitive) che, demarcate da -i, ricompaiono identiche nell’indica-
tivo: sscr. ind. bharāmi, bharasi, bharati, ecc. ing. bharam, bharas, barat,
impf. abharam, abharas, abharat, ott. bhareyam, bhareyas, bhareyat  (5) ecc.
Invece nella diatesi media le desinenze dell’indicativo sono in parte diverse
perché – vedremo – sono modellate sulle desinenze attive: sscr. ind. bha-
re, bharase, bharate, bharante (3ª pl.), ma ing. bhare, bharathās, bharata,
bharanta (-anta è sostituto di -ran; vd. in seguito n. 5), impf. abhare  (6),
abharathās, abharata, abharanta (aor, radicale -ran: ad śran ecc.), ott. bhare-
ya, bharethās, bhareta, bhareran (3ª pl.): -a della prima persona, -thās e -ran
rispettivamente della seconda singolare e terza plurale saranno le desinenze
più antiche, quelle primitive conservate dall’ingiuntivo (7).
È noto che le desinenze primitive del medio sono strutturalmente simili
a quelle del perfetto (Kuryłowicz 1932; Stang 1932)  (8); strutturalmente
simili, ma, come mostra il greco, non identiche e perciò non derivabili le
une dalle altre (Rix 1988): la terza persona del perfetto presuppone *-e (gr.
, sscr. veda < *woide) e quella del medio *-o (gr. - , - ; Rix, 1976: 239
ss.; 253 ss.; itt. -at); la seconda persona del medio ha in sscr. la des. -thās
(< *thēs?) e quella del perfetto ha -tha, ecc.; la terza persona plurale del me-
dio (conservata in sanscrito nell’ottativo e residuale nell’impf./aor. radicali
e nell’ingiuntivo) risale probabilmente a *-ro (sscr. -ran < *ro+nt ; -re < *ro
+ -i) mentre -u < -ur del perfetto risale a *- s (discussione in Lazzeroni
1997b: 66 ss.). Le desinenze medie usuali dell’ indicativo presente greco e

(5) -ur nella 3 plurale è prodotto da innovazione: Leumann 1953: 20 ss.


(6) Da analizzare come a-bhar-a-i: -a- è la vocale tematica, -i la desinenza della
1 sing. media (cfr., nella flessione radicale, a-dvi -i «odiai» ecc.). -i non ha nulla a che
fare con -i del presente ma ha sostituito la des. -a originaria (cfr. l’ott. bhar-ey-a) per
analogia della 1 plur. secondo la proporzione: -mahe (des. «primaria»): -mahi (<*-mah ;
des.secondaria) = -e (des. prim. < -a + -i del presente): x , con x = -i (Insler 1968).
(7) Analoga è la situazione del greco, ma in greco l’adeguamento delle desinenze
medie, primarie e secondarie, a quelle attive riguarda anche le desinenze dell’ottativo e
quelle dei tempi storici. Dell’ingiuntivo sopravvivono in greco scarsissime tracce: la più
cospicua è la mancanza dell’aumento nell’imperfetto e nell’aoristo omerici.
(8) È superfluo avvertire che il perfetto veicola valori mediali. Il perfetto medio è
frutto di innovazione recente, conseguente all’espansione del medio oppositivo in tutti
i paradigmi tempo-aspettuali (Chantraine 1927; Kümmel 2000).

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l’attuazione di un mutamento 133

sanscrito sono in gran parte rifatte su quelle attive: su -ti si è fatto il sscr. -te,
- (poi - secondo - e - < *- + secondo - ); così, l’antica desinen-
za -thās e quelle in -r rispettivamente della 2a sg. e 3a pl. sono state sostituite
da -se secondo -si (lo stesso nel gr.: - secondo *-si, poi - secondo - )
e da -ante / -anta, gr. - ,- secondo *-e/onti.
Insomma, mentre l’indicativo attivo è formato sull’ingiuntivo, l’indica-
tivo medio è formato direttamente sull’indicativo attivo: le desinenze medie
sono quelle attive con -i sostituito, in sanscrito, da -e (< -ai), in greco da - /
- ; nella la 2a sg. e nella 3a pl. è sostituita l’intera desinenza.

Lo stativo: una terza diatesi?

In un gruppo di verbi indoiranici diligentemente raccolti da Kümmel


(1996) e nel cosiddetto «medio di tipo -a» dell’ittita (Watkins 1969: 84),
compaiono alcune desinenze particolari in cui si sono voluti riconoscere i resti
della codifica di una terza diatesi «stativa». Tali sono la des. -e (in luogo di -te
del presente medio) della 3a sg. e -re / -ran / -ram della 3a pl. (il medio ha -ante/
-anta); per quanto riguarda la seconda singolare «macht das Nebeneinander
von iran. *-sa und ved. -thās in der SE der 2. Sg. Medium es wahrscheinlich,
dass zumindest bei dieser Endung ebenfalls ein Unterschied vorhanden war»
(Kümmel 1996: 5) (9). In sostanza, fra le desinenze «stative» può annoverarsi
anche -thās (Rix 1988) la cui appartenenza all’indicativo è, tra l’altro, testimo-
niata dall’ittita (Kronasser 1956: 206). A questo punto si consideri la seguente
circostanza: le desinenze «stative» differiscono dalle desinenze medie soltanto
perché non sono modellate sulle desinenze attive: att. -ti, -si, -anti : med. -te,
-se, -ante (ing. e pret. -anta), ma stat. -e, -thās, -re (ing. e pret.-ran / -ram).
Se così è, allora annovereremo in questo gruppo anche la desinenza -e
(< -a + i) della 1a sg. del presente medio: in sanscrito non è stata modellata
sull’attivo, ma lo è stata in greco: - , si è detto, risale a *-a + i rifatta su -
(Ri, 1976: 253).
Ma a questo punto appare chiaro che le desinenze «stative» sono esat-
tamente quelle che (la prima persona non conglutinata con la particella
-i) ricompaiono nell’ottativo medio: bhareya e bharethās rispettivamente
alla 1a e 2a sg., bhareran alla 3a pl.: si ottiene ancora una volta l’immagine
di una innovazione (il conguaglio delle desinenze «stative» alle desinenze

(9) L’iran. *-sa sarà, ovviamente, la desinenza usuale del medio (gr. - ) rifatta sulla
corrispondente desinenza attiva -si e sostituita a -thās.

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dell’attivo) che, esattamente come il segno -i del presente nel paradigma


dell’attivo, muove dall’indicativo e raggiunge totalmente il congiuntivo,
parzialmente (nella 3a pl. e lasciando residui di -ran) l’ingiuntivo e il pre-
terito, ma non l’ottativo. È superfluo ripetere che -e della 1a e della 3a sg.
risalgono rispettivamente a *-a + -i e *-o + -i (10).
Allora è legittimo supporre che le desinenze «stative» non appartengano a
una terza diatesi distinta dal medio, ma altro non siano che le desinenze antiche
del medio, come si presentavano in una fase di transizione, dopo essere state demar-
cate con -i, ma prima di essere rifatte sul modello delle desinenze attive.
Di ciò dubita Kümmel (1996: 11) perché «dalla situazione del vedico e
dell’avestico si ricava per l’indoiranico l’immagine seguente: accanto al medio
normale, che poteva avere anche una funzione agentiva-riflessiva, esistevano
anche formazioni stative che non potevano essere usate in senso agentivo»,
formazioni in seguito sincretizzate col medio: «such a semantic situation» già
aveva scritto Rix (1988: 105) «points to a syncretism of two original different
categories». La funzione delle formazioni stative (più propriamente, osserva a
ragione Kümmel (1996: 11 ss.), di quelle appartenenti alla classe radicale: le
altre sarebbero secondarie) sarebbe infatti quella di significare lo stato (ved.
śáye «giace», śóbhe «è bello», cité «appare», «è riconoscibile» ecc.), l’evento me-
tacronico (duhé «emette latte») e il passivo (bruve «è detto», stave «è celebra-
to» ecc.), non il riflessivo e le altre funzioni agentive riservate al medio. C’è
per altro da aggiungere che i valori delle formazioni secondarie, derivate dalle
classi in nasale e dagli intensivi «bei denen die Stativendungen als Varianten
der Medialendungen gebraucht sind» (Kümmel 1996: 11) non si distinguono
da quelli del medio e che, fra le forme radicali, śé e (RV, VIII, 60, 15; X, 18,
8), provvisto di una desinenza di 2a sg. sicuramente mediale ha esattamente
lo stesso valore di śáye (3a sg.) provvisto di una desinenza «stativa». Inoltre,
in epoca postvedica, «Stativendungen überleben nur noch als Sonderfor-
men des Mediums bei einigen Wurzelstämmen und werden in der jüngeren
Brāhma aprosa durch gewöhnliche Medialformen ersetzt» (ibid.).
Giova intanto osservare che al medio appartengono anche i valori del nu-
cleo più antico dello stativo e che dalle differenze funzionali che distinguono
una categoria residuale da una vitale e in espansione non sembra legittimo
inferire in modo automatico l’esistenza di categorie morfosemantiche distinte
fin dall’origine. Prima di farlo (entia non sunt multiplicanda praeter necessita-

(10) La sola desinenza dell’ottativo rimodellata sulla desinenza attiva è -ta della 3a
sg.; la des. -ran della 3ª pl., conservata nell’ottativo, lo è solo parzialmente nell’ingiun-
tivo e nel preterito dove ha ceduto il passo a -anta (a sua volta modellata su -anti) : -ran
sopravvive in alcune forme dell’ingiuntivo e del preterito della classe radicale.

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l’attuazione di un mutamento 135

tem) occorre chiedersi se i valori di quella che appare una categoria residuale
non rappresentino semplicemente il prototipo intorno a cui si sono svilup-
pati i valori della categoria produttiva. Già si è detto che queste formazioni
appartengono alla classe radicale, a quella in nasale e agli intensivi e che, di
questo gruppo, le formazioni radicali sono le più antiche: le altre, originate da
processi connessionistici (Lazzeroni 1993; Kümmel 1996: 13) hanno valori
allineati pressoché completamente a quelli del medio. Ma le forme stative
derivate dalla classe radicale sono pochissime: se si eccettuano quelle formate
dalle basi śay- e duh- (ambedue oltre 20x nel RV), le altre sono tramandate
da un numero troppo scarso di attestazioni (alcune soltanto da una) per con-
sentire di trarre inferenze da argumenta ex silentio, specialmente se si considera
che alcune forme «stative» di duh- (non per caso una delle basi più attestate)
hanno anche valori tipici del medio (RV, I, 139, 7; RV, VII, 101, 1:«[für sich]
melken»: Kümmel 1996: 55 ss.), che duhé «emette latte» si oppone all’atti-
vo dógdhi «munge» in costrutti anticausativi (ted. melken : milchen) (11), che
śay- ammette anche l’imperativo śayām con la des. stativa -ām in luogo di
-tām (Kümmel 1996: 109 ss.: AV, V, 25, 9: gárbhas te yónim ā śayām «che un
embrione stia nel tuo ventre») il che è mal compatibile col valore di stativo
permanente e, infine, che in RV, IV, 2, 19: tám avasrann u áso vibhātī «the
radiant downs have clothed themselves in truth» (Insler, 1968: 319 n.; corsivo
mio; così anche Jamison-Brereton 2014, I: 560), avasran, se formato da vas-
«vestirsi» (medium tantum) è inteso come riflessivo.

Medio e perfetto

Le desinenze del medio – si è detto – sono strutturalmente simili a


quelle del perfetto. In realtà, a parte le differenze di quantità e di timbro
vocalico le sole simili sono le desinenze «stative» (Kuryłowicz 1932: 3; Di
Giovine 1996: 261).
Alla somiglianza formale corrisponde una affinità funzionale.
Consideriamo le funzioni del perfetto: nel greco di Omero (in questo
più conservatore del sanscrito) il perfetto ha due funzioni principali  (12),

(11) Cfr., da ultimo, Kulikov 2012: 112 ss. e specialmente: 118 ss.
(12) Non si considerano i valori del perfetto conseguenti al suo inserimento nel siste-
ma dei tempi: risultativo (tipicamente transitivo a differenza del perfetto «naktostatico»,
designa uno stato dell’oggetto coinvolto nel processo), di «presente allargato» (designa
un processo passato che continua nel presente; in RV, VIII, 67, 6 il perf. bubhujmáhe è
accompagnato da purā nūnám «prima e ora»: «abbiamo goduto prima e godiamo ora»),

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ambedue governate dalle proprietà semantiche dei predicati (Romagno


2005: 58 ss.):

1) con i predicati causativi ad alta transitività/telicità che, nella loro strut-


tura sottostante nel senso di Dowty (1979) (13), contengono la rappre-
sentazione di uno stato dell’oggetto, il perfetto designa lo stato dell’at-
tante che subisce gli effetti dell’evento: «distruggo
la città»: «la città è distrutta». In questo caso il perfet-
to occupa la stessa posizione del termine anticausativo nell’alternanza
causativa  (14) promuovendo a soggetto l’oggetto del costrutto transitivo
e così producendo un costrutto inaccusativo: la possibilità di formare
il termine anticausativo dell’alternanza causativa è considerato uno dei
principali test dell’inaccusatività (Levin & Rappaport Hovav 1995).
2) con i predicati monoargomentali o biargomentali a bassa transitività il
perfetto qualifica il soggetto designando uno stato metacronico che lo
caratterizza: «guardo»: «ho un determinato sguardo,
un certo modo di guardare».

Nell’indiano antico il perfetto, già in vedico, è largamente entrato nel


sistema dei tempi: «même dans les cas les plus favorables» scrisse Renou
(1925: 22), «le parfait, dès le Rgveda, est […] prêt à revêtir des emplois fort
éloignés de la valeur originelle». E tuttavia alcuni casi residuali mostrano
valori simili a quelli testimoniati dal greco.
Corrispondono a quelli di 1) i valori del perfetto «di stato raggiunto», ti-
picamente intransitivo, di azionalità telica, «naktostatica» nel senso di Gotō
1987 (Kümmel 2000: 66 ss.): jāgāra «è sveglio» (RV, V, 44, 15: agnír jāgāra
tám ŕcah kāmayante «Agni è sveglio (ist wach geblieben: Geldner) lo onorano

«comprensivo» ecc. (Kümmel 2000: 71 ss.). Qui basterà dire che nessuno di questi
valori appartiene anche al medio. È superfluo ricordare che il perfetto designa lo stato
conseguente al processo anche coi verbi non idonei a fornire l’alternanza causativa, per
es. coi verbi di movimento ( , 156: «sono arriavto, giunto»). Vedremo, però,
che la promozione dell’oggetto a soggetto e la significazione dell’anticausativo (statico il
perfetto, dinamico il medio) è la sola funzione condivisa col medio.
(13) In forma semplificata: [xfare]-causa-[ydiventare stato] dove x e y indicano,
rispettivamente, il soggetto e l’oggetto.
(14) Haspelmath (1987) fa distinzione fra anticausativo e incoativo. Quest’ultimo
termine avrebbe un significato più esteso dell’altro includendo anche gli intransitivi ate-
lici (cfr. in it. «Tizio dondola [fa dondolare] l’altalena»: «l’altalena dondola»; cfr. Magni
2008: 175 n. 8). Ciò mostra che esiste una gerarchia fra i parametri che selezionano gli
anticausativi (Haspelmath 1987): la mancanza di specificazioni del soggetto prevale sul
parametro della telicità.

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l’attuazione di un mutamento 137

i versi» contro l’aor. del causativo ajīgar «ha svegliato» (RV, I, 113, 4:
ajīgar bhūvanāni víśvā «l’aurora ha svegliato tutte le creature»): «un tale per-
fetto […] non poteva formarsi da tutte le basi verbali. Il presupposto era che
l’azione designata dalla base potesse passare a designare uno stato del primo
attante. Con ‘stato’ si deve intendere che non interviene alcun mutamento,
che niente ‘accade’ (tratto caratteristico: non dinamico). Fondamentale è
che il significato del verbo di base sia dinamico; un tale perfetto non può
formarsi dai verbi stativi» (Kümmel 2000: 67). In questa opposizione jāgāra
«è sveglio», non «si sveglia» designa lo stato prodotto da un processo dinami-
co esattamente come «è distrutto», non «va in rovina».
Corrisponde al punto 2) il perfetto (tipo ) «caratterizzante»
(charakterisierend: Kümmel 2000: 153; Romagno 2005: 131), «qualificati-
vo» (beeigeschaftender Gebrauch): RV, II, 28, 4: ná śramāyanti ná ví mucanti
eté váyo ná paptū raghuyā párijman «questi (fiumi) non si stancano né si
fermano, come uccelli volano veloci nel loro giro» e anche, coi verbi biar-
gomentali, il perfetto cosiddetto subjektresultativ che caratterizza il soggetto
come autore di un’azione compiuta (o compiuta abitualmente) su un ogget-
to: RV, VII, 21, 6: svénā hi v trá śávasā jagantha «Indra, con la forza che
ti è propria hai ucciso V tra», ma, con lo stesso significato, RV, VII, 20, 2:
hántā v trám índra śūśuvāna «Indra, il forte, (è) uccisore di V tra», ove è
da notare il nome d’agente baritono (hántā) che, esattamente come il perfet-
to, configura una proprietà permanente (Tichy, 1995) e RV, VI, 20, 2: áhi
yád v trá apó vavrivā sa han «poiché uccise il (è l’uccisore del) serpente
V tra che imprigionava le acque», con hán «beeigenschaftende Injunktiv»
secondo la definizione di Hoffmann (1967: 167; Kümmel 2000: 596 ss.).
Se è vero che la funzione originaria del perfetto era, sul piano sintatti-
co, quella di promuovere a soggetto l’oggetto del costrutto transitivo e, sul
piano semantico, quella di designare lo stato del soggetto prodotto da un
processo (15), il valore caratterizzante deriverà dall’espansione del valore se-
mantico della categoria di cui il perfetto di stato risultante sarà stato l’arche-
tipo diacronico e il prototipo sincronico: tratti comuni sono, nel prototipo,
la rappresentazione di uno stato permanente del soggetto, ovviamente me-
tacronico e, nel perfetto caratterizzante, la rappresentazione di un processo
inteso come qualità permanente (e perciò come stato) del soggetto (Roma-
gno 2005): allo sviluppo di questo valore del perfetto avrà contribuito anche
la crisi dell’ingiuntivo, residuale in vedico, sopravvissuto nel greco di Omero
soltanto come allomorfo dei tempi storici, il cui valore antico di indicativo

(15) Delbrück 1897: 177; Kümmel 2000: 66; Di Giovine 1996: 251.

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metacronico lo deputava, appunto (se ne è appena visto un esempio), a


significare un processo in senso caratterizzante: scomparso l’ingiuntivo il
perfetto avrà esercitato una funzione vicariante.
Si noterà, inoltre, che i significati riflessivo (diretto, indiretto, retroerente
nel senso di Rosen 1988), reciproco, passivo e cosiddetti «dinamico» e «di in-
teresse» appartengono al medio e non al perfetto e che la codifica di un evento
caratterizzante appartiene al perfetto e non al medio (16): in questa fase la sola
proprietà sintattica comune al perfetto e al medio è quella di convertire un
costrutto transitivo in un costrutto intransitivo di tipo anticausativo (e perciò
inaccusativo, con soggetto undergoer e verbo di solito telico) (17) promuoven-
do l’oggetto del primo a soggetto del secondo; in schema:

Costrutto Perfetto Medio


Anticausativo/Inaccusativo + +
Qualificativo + –
Passivo – +
Riflessivo, reciproco ecc. – +
Risultativo + –

Tabella 2

Il rapporto fra perfetto e medio, manifestato sul piano formale dalla


similitudine strutturale delle desinenze non può che riferirsi alla significa-
zione del termine inaccusativo dell’alternanza causativa che sarà stato rap-
presentato dal perfetto come stato non dinamico e dal medio come evento
dinamico produttore di uno stato: «distruggo la città»:
«la città è distrutta: «la città va in rovi-
na» ( ). Così in vedico, oltre agli esempi già citati: jaranti «fanno invecchia-
  18

(16) Si è appena visto che nel sistema del presente un evento caratterizzante può
essere codificato dall’ingiuntivo (e, in seguito alla crisi dell’ingiuntivo, anche dall’in-
dicativo presente) senza riguardo alla diatesi e alla valenza. È inoltre appena il caso di
ricordare che il perfetto medio è recente (Chantraine 1927; Kümmel 2000: 92 ss.).
I valori che qui si considerano sono, ovviamente, quelli antichi, del perfetto «attivo».
(17) Il medio forma anche il passivo. Il passivo differisce dall’anticausativo solo per-
ché presuppone un agente: un verbo che non incorpori nel proprio significato restrizioni
semantiche tali da rendere impossibile la rappresentazione dell’evento come spontaneo
può produrre costrutti anticausativi e passivi; in presenza di tali restrizioni è possibile
soltanto la costruzione passiva (Haspelmath 1987: 1990; 1993), riflessiva ecc.
(18) Cfr. , 128: «sei perduto» (Romagno 2005: 51); , 128:
(imper.) «andate in rovina», «morite»; (Ω, 729) «sono morto, distrutto»:
«perisco, mi perdo»: «distruggo, abbatto» ecc. (Allen 2003: 60 ss.)

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l’attuazione di un mutamento 139

re» (RV, VI, 24, 7): jajāra «è vecchio» (AV, X. 8, 26; Kümmel 2000: 196 ss.):
jaranta «diventano vecchi» (RV, X, 31, 7); namanti «piegano»: namate «si
piega» (RV, VI, 24, 8): nānāma «sta inchinato, prono, sottomesso» («sich ge-
beugt halten»: Kümmel 2000: 278); pinvati «gonfia» (trans.: RV, IX, 74, 5)
/ pinvat «fa gonfiare, riempire» (ingiuntivo, RV, IX, 68, 3; Hoffmann 1967
«lässt schwellen»): pinvate «si gonfia» (RV, I, 8,7): pīpāya «è gonfio, pieno»
(Kümmel 2000: 298 ss.) ecc. (19).
Riassumendo: perfetto e medio codificano il termine intransitivo dell’al-
ternanza causativa: sul piano sintattico ambedue promuovono a soggetto l’og-
getto del causativo e, come epifenomeno sul piano semantico, convertono il
costrutto agentivo significato dall’attivo in un costrutto inagentivo, dinamico
il medio, statico il perfetto. ambedue segnalando la diatesi interna al soggetto.

Processo VS. stato: una struttura arcaica

Si configura, dunque, una fase arcaica del sistema verbale greco-indoira-


nico (e, forse, indoeuropeo) fondata sull’opposizione fra processo, significa-
to dall’attivo, e stato, significato dal medio/perfetto; stato rappresentato nel
perfetto come risultato di un processo e nel medio come sottostante nel sen-
so di Dowty a un processo dinamico rappresentato come [diventare stato].
In questa fase tanto il medio quanto il perfetto generano costrutti inaccu-
sativi il cui soggetto, corrispondendo all’oggetto del costrutto transitivo, è
rappresentato per epifenomeno come inattivo e sede del processo. Nulla,
dunque, in questa fase, accosta il medio all’attivo: le desinenze antiche del
medio saranno state quelle dello «stativo», simili, ma non identiche, a quelle
del perfetto, non ancora contaminate con le desinenze attive.
Si obietterà che le forme radicali (come si è visto le più antiche) con le
desinenze «stative» hanno valore di stato o di passivo, ma non di anticausati-
vo e che alcune sono formate da basi verbali che non conoscono il perfetto?
A parte l’esiguità del dossier delle forme «stative» che non consente ar-
gomentazioni ex silentio, già si è detto che la base duh- (non casualmente
una delle due più attestate) compare in un costrutto di tipo anticausativo:
duhé «dà, emette latte» contro «munge» significato dall’attivo (e dal medio

(19) Altri esempi in Gonda 1979: 43 ss. In RV I, 181, 8 il medio precede il perfetto
nello stesso contesto: utā syā vā rú ato vápsaso gīs tribarhí i sádasi pinvate n n / v ā vām
meghó v a ā pīpāya gór ná séke mánu o da asyán «et pour vous s’enfle le chant de l’éclat
brillant au siège des hommes pourvu d’un triple barhis; pur vous taureaux, est enflé le
nuage taureau qui honore l’homme comme en (lui) deversant du lait» (Renou 1925: 145).

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cosiddetto «di interesse»; Kümmel 1996: 10; attestazioni a p. 52 ss.); inol-


tre in RV, 10, 22, 2 il passivo stáve , nell’unione con adyá «oggi» sembra
richiedere una interpretazione dinamica e contingente, non continuativa e
stativa: non «è oggetto di onori» in senso metacronico, ma «viene onorato»:
ihá śrutá índro asmé adyá / stáve «qui Indra è celebrato; oggi è onorato fra
noi» («among us today he is praised» Jamison-Brereton 2014).
Nemmeno costituisce una difficoltà il fatto che le basi verbali che in-
corporano la nozione di stato permanente nel loro significato lessicale (es.
tipico: sscr. śaye, gr. : Di Giovine, 1990-; Romagno, 2005) non cono-
scano il perfetto ma abbiano le desinenze stative o, meglio – diremo ora – le
desinenze antiche del medio: è evidente che la nozione di stato inerente al
prototipo del perfetto ha delegato il medio a significare anche lo stato ine-
rente al significato lessicale.
È ragionevole, a questo punto, supporre che le desinenze antiche del
medio siano state rimodellate su quelle dell’indicativo presente in seguito a
un mutamento strutturale intervenuto nel sistema verbale greco-indoirani-
co (e, forse, indoeuropeo).

Da attivo VS. medio/perfetto a attivo/medio VS. perfetto

Se in una fase arcaica del sistema verbale greco-indoiranico caratteriz-


zato dall’assenza della codifica morfologica del tempo grammaticale le desi-
nenze originarie del medio, non contaminate con quelle attive, erano simili
a quelle del perfetto, ciò significherà che il medio entrava in opposizione non
con l’attivo, ma col perfetto. In questa fase il sistema opponeva la rappresen-
tazione del processo esternamente causato (transitivo attivo) (20) sia a quella
di un processo dinamico produttore di uno stato (medio) sia a quella dello
stato configurato come risultato dal medesimo processo (perfetto).
L’attrazione del medio nel sistema del presente in un rapporto opposi-
tivo con la diatesi attiva è, con ogni probabilità, conseguente alla codifica
morfologica del tempo grammaticale.
Si è detto che, nell’opposizione col perfetto, il medio codifica un proces-
so dinamico rappresentato come produttore di uno stato. La codifica mor-
fologica del tempo grammaticale concerne il medio, non il perfetto che è
rimasto estraneo al sistema dei tempi fino al periodo storico, come mostrano

(20) Sull’opposizione fra causazione esterna e causazione interna (quest’ultima pro-


pria degli inergativi) cfr. Levin-Rappaport Hovav 1995: 88 ss.

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l’attuazione di un mutamento 141

le testimonianze dell’indoiranico e quelle più copiose del greco. La rappre-


sentazione di un processo dinamico è, infatti, più soggetta a determinazioni
temporali che la rappresentazione di uno stato: «anche nella rappresentazio-
ne degli stati» scrive Kümmel (2000: 66) «la distinzione fra presente e non
presente non è superflua ma, a differenza dei processi dinamici, gli stati sono
per lo più di maggior durata e perciò la loro esatta collocazione del tempo è
meno importante sul piano pragmatico».
La codifica morfologica del tempo grammaticale avrà dunque prodotto
nel sistema verbale tre mutamenti strutturali: 1) l’attrazione del medio nel si-
stema dei tempi e perciò il suo spostamento dal sistema del perfetto al sistema
del presente/aoristo; 2) la ristrutturazione sul modello delle desinenze attive
del presente delle antiche desinenze del medio fino ad allora modellate su
quelle del perfetto; 3) la tendenza, conseguente all’introduzione del medio nel
sistema del presente/aoristo (21), a fornire ogni verbo di un allomorfo medio
che, come nel prototipo, rappresentasse il soggetto come sede del processo.
Quando il significato inerente al lessema verbale non consente costrutti an-
ticausativi, la rappresentazione del soggetto come sede del processo si mani-
festa nei costrutti passivi o coreferenziali: nel costrutto riflessivo e reciproco
l’oggetto (o un oggetto) è coreferenziale al soggetto, nel costrutto cosiddetto
possessivo e «di interesse» il processo riguarda una sua pertinenza (22).
Le desinenze cosiddette «stative» sono, dunque, quelle del prototipo del me-
dio che ha resistito più a lungo alla ristrutturazione (23). Chiaramente residuali,
in epoca postrigvedica «überleben nur noch als Sonderformen des Mediums
bei einigen Wurzelstämmen […] und werden in der jüngeren Brāhma aprosa
durch gewöhnliche Medialformen ersetzt» (Kümmel 1996: 11).
Il medio, insomma, sarebbe antico nel sistema del perfetto, ma recente in
quello del presente/aoristo.

(21) Il processo potrebbe, ovviamente, essere iniziato anche prima: la diatesi interna al
soggetto appartiene anche al perfetto e al medio nell’alternanza causativa. Ma lo sviluppo
più significativo è sicuramente successivo al trasferimento del medio nel sistema del pre-
sente/aoristo: una quantità di verbi che conosce il medio non conosce o non usa il perfetto.
Berrettoni (1972: 65 n. 96) ricorda che su 177 forme verbali elencate sotto la lettera
nell’Index Homericus di Gehring, solo 12 sono attestate al perfetto (cfr. anche Wacker-
nagel 1953: 1000). Il sanscrito e il greco consentono di seguire il processo di espansione
del medio nel suo sviluppo, cfr. Delbrück 1897: 416 ss. e, per l’ittita, Neu 1968: 52 ss.
(22) Talvolta – specialmente in greco – attivo e medio sono solo sinonimi: Omero
ha e «risplendo» ecc., cfr. Delbrück 1897: 418 e in particolare Ro-
magno 2010: 430 ss.
(23) Che il prototipo sia più resistente al mutamento della periferia è noto: il loca-
tivo è stato cancellato in latino, ma nei toponimi è sopravvissuto fino ai giorni nostri
nelle lingue romanze.

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142 romano lazzeroni

Oltre la contraddizione: ancora sulle desinenze del congiuntivo

Una conferma viene dalle desinenze medie dell’indicativo e del con-


giuntivo. Una singolarità è subito evidente: già si è visto (Tabella 1) che
mentre le desinenze dell’indicativo attivo greco e sanscrito sono formate
su quelle dell’ingiuntivo (sscr.ing. bharam , bharas, bharat, bharan <*bha-
rant: ind. bharāmi, bharasi, bharati, bharanti) le desinenze dell’indicativo
medio sono formate su quelle dell’ indicativo attivo: in sscr. -thās della 2a
sg. e -ran della 3a pl. non producono rispettivamente *-thāsi e *-ranti, ma
sono sostituite da -se (gr. - < - ) e -nte (gr. - < - ) sul modello
delle desinenze attive -si e -nti (24). Insomma, il medio è diventato simmetri-
co all’attivo quando la codifica del tempo grammaticale nell’indicativo era
giunta a termine e l’ingiuntivo, passato a significare il preterito, occupava
nel presente una posizione residuale.
Indicazioni identiche vengono dal congiuntivo: nel congiuntivo attivo
le desinenze dell’indicativo presente compaiono nella 2a e 3a persona duale
e nella 2a pl. mentre nella 2a e 3a sg. cooccorrono con le desinenze dell’in-
giuntivo; la 1a persona duale e pl. e la 3a pl. presentano soltanto le desinenze
dell’ingiuntivo. Nell’iranico dell’Avesta la situazione non differisce da quella
del vedico se non perché nella 3a pl. la desinenza dell’ingiuntivo -n (<-nt)
cooccorre con quella del presente indicativo -nti.
Invece nel congiuntivo medio tanto nel vedico quanto nell’avestico tut-
te le persone presentano le desinenze dell’indicativo presente demarcate da
-i (Kellens 1984: 250 ss.; tabella a p. 260); -anta che nel vedico cooccorre
con -ante nella 3a pl. potrebbe essere la desinenza dell’ ingiuntivo con valore
modale (secondario) che avrebbe secondariamente «remplacé la forme am-
biguë -ante» (Renou 1952: 252): l’avestico conosce soltanto -ante; in greco
le desinenze dell’indicativo sono generalizzate tanto nell’attivo quanto nel
medio: le desinenze dell’ingiuntivo sono conservate in pochi relitti dialettali,
ma tutti appartenenti alla diatesi attiva (Rix 1976: 260 ss.). E si aggiunga che
la distribuzione vedica di -anta è largamente indipendente dalla diatesi (25).

(24) Le des. -sai, -tai, -antai ecc. appartenenti in larga misura ad epoca postrigvedica
sono analogiche a -ai della I persona (Thumb-Hauschild 1959: 216); quest’ultima,
ovviamente < *-āi sarà da analizzare come -a- (vocale tematica caratteristica del congiun-
tivo) + -a (antica des. media di I sing.) + -i segno del presente. Come si è visto alla n. 4
la des. -i della I sing. dell’ingiuntivo e dei tempi storici è sostituto analogico di -a e nulla
ha a che fare col segno -i del presente.
(25) Jamison, 1979 parla di «medial -anta in active paradigms»; cfr. anche Lazzero-
ni 1996. Si aggiunga che, stando a Macdonell 1910, le forme di cong. in -anta nelle
coniugazione primarie sono tre nel sistema del presente e due in quello dell’aoristo. Te-

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l’attuazione di un mutamento 143

Dunque, le desinenze vediche del congiuntivo attivo (a parte quella della


1ª persona attiva che nel congiuntivo ha uno statuto particolare)  (26) sono
modellate su quelle dell’ingiuntivo e, come è da attendere in una categoria
più marcata, partecipano solo parzialmente al processo di grammaticalizza-
zione della particella -i che ha prodotto le desinenze dell’indicativo presente,
mentre quelle del congiuntivo medio hanno preso forma successivamente, a
processo di grammaticalizzazione compiuto (27), quando non potevano esse-
re modellate altrimenti che sull’indicativo presente. Tra l’altro la priorità delle
desinenze del presente indicativo è garantita dal fatto che il modo indicativo
è il solo che, in greco e in sanscrito, significhi il tempo. Estraneo al processo
è rimasto l’ottativo attivo e medio, più marcato del congiuntivo. Nessuna
contraddizione, dunque, col gradiente di marcatezza che procede dall’indica-
tivo verso l’ottativo di cui si parlava all’inizio: la differenza dipende dai tempi
differenti che hanno accompagnato la medesima innovazione: questa muove
dall’ingiuntivo nell’attivo, dall’indicativo nel medio perché il medio è stato
integrato tardi nel sistema del presente/aoristo.

Altre forme con valore mediale: una conferma

Un’altra conferma può venire da due suffissi derivativi di presente: - -


del greco e -ya dell’indoiranico.

nendo conto che una di queste è hananta (RV, VII, 56, 22), di hanti che nella flessione
radicale è activum tantum e che due (k avanta e aśnavanta) appartengono alle classi in
-n- per il loro valore fattitivo poco inclini alla diatesi media (vd. oltre), c’è da chiedersi
se non si tratti di congiuntivi attivi classificati come medi nelle grammatiche solo per la
forma della desinenza. Nelle coniugazioni secondarie Macdonell cita cinque forme in
-anta di congiuntivo dell’intensivo. A nessuna di queste si può riconoscere valore me-
diale o appartenenza al paradigma del congiuntivo (Schaefer 1994). Ma di ciò altrove.
(26) Nell’indicativo e nell’ottativo la prima e la seconda persona si oppongono fun-
zionalmente alla terza, nel congiuntivo la prima si oppone alla seconda e alla terza: lo
statuto della prima persona specifico del congiuntivo è segnalato sul piano formale da
una desinenza personale specifica (Lazzeroni 2000).
(27) Altrove (Lazzeroni 1996) si è supposto che il medio non avesse il congiuntivo
perché il valore volontativo sarebbe stato incompatibile con la rappresentazione dello
stato. Questo è vero, ma in vedico il congiuntivo può significare il futuro e anche la
modalità epistemica non fattuale, quella che Gonda (1956: 68 ss.) chiamò visualization,
perfettamente compatibile con la nozione di stato; e si aggiunga che il medio designa
anche d un processo che produce uno stato, ben compatibile coi valori modali del con-
giuntivo. Insomma se è vero che una innovazione procede dall’indicativo verso i modi è
preferibile l’ipotesi che qui si presenta. Ovviamente i verbi caratterizzati dalle desinenze
«stative» conoscono i modi; cfr., per i verbi radicali, Kümmel 1996: 52; 109.

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144 romano lazzeroni

Le forme antiche, modellate sul perfetto, delle desinenze del medio posso-
no motivarsi, si è visto, soltanto come significanti del processo che si conclude
producendo uno stato del soggetto opposto allo stato prodotto significato dal
perfetto, in alternanze causative in cui l’oggetto dell’alternante transitivo è
promosso a soggetto dell’alternante intransitivo e si è anche visto che il perfet-
to ha questo valore solo con i verbi ad alta transitività e telicità. La promozione
dell’oggetto a soggetto che caratterizza queste alternanze spiega la diatesi del
perfetto e del medio «interna al soggetto» nel senso di Benveniste.
Dei presenti greci in - - a cui, pur se con qualche ragione, Chantraine
(1925: 94) attribuì azionalità telica («determiné» nella definizione dell’Au-
tore) è stato detto che «la notion de ‘determiné’ perd-elle de son importance
à côté du fait essentiel que ces présents sont tous intransitifs et de valeur
nettement moyenne» (Benveniste 1935: 194).
Una serie di studi di E. Magni (2004; 2008; 2010) ha mostrato che il
medio descrive «mutamenti di tipo telico, che corrispondono pienamente
all’intransivizzazione di predicati a causazione esterna […], mentre il si-
gnificato veicolato dalle forme in - -, alternanti e non, sembra piuttosto
riferirsi a processi a causazione interna di tipo atelico, cioè a un divenire
che si approssima, senza necessariamente raggiungerla, a una meta ideale»
(Magni 2008: 196; García Ramón 2014). La selezione fra la diatesi media
e la derivazione con - - sarebbe, perciò, governata dall’azionalità verbale: il
medio insomma sarebbe proprio, come il perfetto nell’alternanza causativa,
dei verbi inaccusativi ad alta telicità e affectedness dell’oggetto, mentre il
suffisso derivativo sarebbe proprio dei verbi inergativi o incrementativi: dei
verbi, insomma, atelici o a bassa telicità.
Ciò corrisponde perfettamente al valore primitivo del medio quale
sembra indicare la storia delle desinenze (il medio è una categoria morfo-
semantica sviluppata intorno al nucleo prototipico dei verbi inaccusativi)
ed è confermato dal fatto che larga parte dei presenti omerici in - - (Risch
1974: 278) appartiene, si è detto, agli inergativi, agli incrementativi e agli
stativi; quanto al senso ingressivo che le forme in - - di solito assumono, è
appena il caso di ricordare che «il senso ingressivo compare solo con verbi
di azione durativa non-risultativa, cioè solo con i continuativi e gli stativi
(beninteso, quelli non permanenti)» (Bertinetto 1986: 228; cfr. Magni
2008: 207). C’è, infine, da notare, che la stragrande maggioranza dei verbi
in - - conosce soltanto la flessione attiva (28): la significazione della diatesi

(28) García Ramón 2014; nei pochi casi in cui è attestata la flessione media «il
medio sembra marcare in modo ridondante, quasi rideterminante, la valenza incoativa

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è devoluta non alle desinenze, ma al suffisso: un altro indizio, questo, che


il medio inteso come forma flessa specificata dalle desinenze apparteneva
in origine al sistema del perfetto.
Il suffisso -ya- del presente in sanscrito ed in iranico manifesta valori
intransitivi e mediali. Lasciando da parte il problema della sua possibile
origine eterogenea (Kulikov 2012: 761ss.) e premettendo che l’alternanza
dell’accento è probabilmente secondaria (Kulikov 2012: 759 ss.), qui baste-
rà osservare che, in unione con le desinenze del medio, codifica l’anticausa-
tivo se l’accento cade sulla radice e, oltre l’anticausativo, anche il passivo se
l’accento cade sul suffisso.
Kulikov (2012: 729) ha supposto, con buone ragioni, che all’origine i
presenti in -ya- potessero derivarsi soltanto da basi verbali «aoristiche» e che
specialmente con i verbi di «crescita di entropia» fosse conservata l’opposi-
zione fra anticausativo in -ya- e causativo con l’infisso nasale.
L’Autore chiama «aoristiche» le basi di azionalità telica e «presenti di cre-
scita di entropia» i presenti che significano un cambiamento di stato dell’og-
getto altamente telici e, nella variante causativa, altamente transitivi nel sen-
so di Hopper e Thompson (1980) quali sono, per es., i verbi di distruzione:
questi si distinguono dagli altri anche perché ammettono l’accento tanto sul
suffisso quanto sulla radice e ciò perché il loro particolare valore semantico
li colloca fra gli anticausativi e i passivi e favorisce la loro interpretazione ora
come anticausativi, ora come passivi (Kulikov 2012: 720 ss.). Si conoscono
lingue in cui il passivo può farsi solo dai verbi altamente transitivi e telici; da
quelli, appunto «di crescita di entropia» nel senso di Kulikov.
Il sanscrito dunque sembra dare indicazioni opposte a quelle del greco:
contrariamente al greco - -, -ya- converte in anticausativi (e passivi) i verbi
ad alta transitività/telicità e, ancora una volta a differenza del suffisso greco,
prende le desinenze medie.
Ma le desinenze medie sono probabilmente secondarie: l’iranico del-
l’Avesta conosce, nel passivo/anticausativo anche le desinenze attive (Kel-
lens 1984: 129 ss.), il persiano antico soltanto le desinenze attive, né man-
cano casi di alternanza nel sanscrito epico e classico  (29): «le témoignage

già indicata dal suffisso» (Magni 2008: 191); il suffisso è improduttivo, esposto alla
pressione del medio «che in greco si espande inglobando rapidamente anche le funzioni
dell’elemento - -» (Magni 2008: 194).
(29) È noto che il sanscrito classico è, per alcuni tratti, più arcaico del vedico perché,
fondato sui dialetti dell’India centrale, è meno aperto verso le innovazioni provenienti
dai dialetti occidentali su cui è fondato il vedico: per es. nei temi in -a il sscr. classico
oppone il nom. pl. -ās e lo strumentale -ais a -āsas e -ebhis del vedico; nella flessione ver-

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de l’avestique permet donc de révoquer en doute l’avis de Whitney […]


qui voit dans l’usage tardif des désinences actives en indien un signe de
l’assimilation du présent passif par les présents primaires en -iia-» (Kellens,
1984: 130); né, per l’oggetto di questo saggio, è trascurabile l’osservazione
di Gonda (1951: 99) che «l’aoristo passivo greco può insegnarci che esisto-
no passivi (e anticausativi a cui il passivo è funzionalmente correlato. R.L.)
privi di desinenze medie». La soluzione sarà quella fornita da Barton (1989:
143): la flessione media predomina nei presenti in -ya- che conoscono allo-
morfi attivi di altre classi, mentre in quelli privi di allomorfi predominano
le desinenze attive. In sostanza l’ipercaratterizzazione del suffisso -ya- con
le desinenze medie muoverebbe dalle situazioni opposizionali (maggiori
particolari in Lazzeroni 2004: 141 ss.). Insomma, il suffisso -ya- dell’in-
doiranico avrebbe selezionato originariamente le desinenze attive come il
suffisso - - del greco.
Ma, si è detto, sono in parte diverse le funzioni: in greco il suffisso
- - codifica il costituente intransitivo/incoativo delle alternanze prodotte da
verbi atelici o di bassa telicità, in vedico accade il contrario. La funzione di
-ya- è nettamente anticausativa: «one might assume that, at the beginning,
only the aoristic roots could form middle -ya- presents […]. The prevalence
of the nasal presents among transitive counterparts of the intransitive midd-
le -ya- presents is still preserved (and, perhaps, even somewhat strengthened
by paradigmatic attraction) for non passive -yá presents of entropy increase»
(Kulikov 2012: 729; corsivo mio).
Ma una singolarità differenzia il vedico dal greco: in vedico (meno nel
sanscrito classico) compare una classe di presenti transitivi-causativi caratte-
rizzati da un infisso nasale il cui prototipo è costituto, appunto, dai verbi di
«crescita di entropia». Ebbene, l’infisso nasale che codifica l’alta transitività e
telicità di questi verbi è incompatibile con la significazione dell’intransitività
codificata dal medio: «dans les formations à nasale où le caractère transitif
était plus prononcé qu’ ailleurs, le moyen indiquait une participation du
sujet à l’intérêt de l’action, la valeure intransitive […] étant plus apparente
dans les autres formations» (Renou 1925: 106ss.; vd. anche Kuiper 1937: 215
n. 1; corsivo mio) (30).

bale la desinenza della 1a pl. attiva è -mas (gr. , lat. -mus < *-mos) e non -masi, forma
analogica frequente in vedico ecc. (Lazzeroni 1997a, 103 ss.).
(30) Il motivo sarà quello indicato da Kazenin (2001: 924): se le manifestazioni del
medio hanno in comune la bassa distinguibilità dei partecipanti a un evento (Kemmer
1993), questo non può verificarsi coi verbi ad alta transitività semantica nel senso di
Hopper-Thompson 1980 in cui agente e paziente sono chiaramente distinti.

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La significazione dell’anticausativo col medio è, dunque, vietata alle


classi in nasale, anzi, e più precisamente, è vietata al loro nucleo prototipico
(Lazzeroni, in stampa). Questa restrizione può agevolmente spiegare la sele-
zione di -ya- nella significazione dell’anticausativo con queste classi.
Se così è concluderemo che il greco e il sanscrito hanno reagito in
modo differente, in dipendenza dalla (parziale) diversità dei rispettivi si-
stemi  (31), alla concorrenza fra la diatesi media e le forme suffissate con
valore mediale. Il fatto, poi, che il suffisso greco - - e, originariamente,
forse anche il sscr. -ya- selezionino le desinenze attive (32), conferma la tesi
che le desinenze medie originariamente non appartenevano al sistema del
presente/aoristo (33).

Ancora sul percorso del medio. Conclusioni

Si è detto che il medio, antico nel perfetto, è relativamente recente nel


sistema del presente/aoristo.
Se così è, e se l’innovazione ha seguito il gradiente che procede dall’indi-
cativo verso l’ottativo è prevedibile che il rapporto fra forme di indicativo e
forme modali sia più alto nella diatesi attiva che nella diatesi media.
I dati vedici raccolti da Avery (1880) sono ancora utili per un’ indagine
quantitativa.
Nel Rigveda Avery, sommando tutte le classi verbali della grammatica
indiana, conta nella flessione attiva 3903 forme personali di indicativo pre-
sente (token frequency: indipendente dal numero delle basi individuali da
cui sono tratte) contro 1101 forme di congiuntivo e 504 di ottativo; nella
flessione media 2177 forme personali di indicativo contro 314 di congiun-

(31) La restrizione che vieta il medio ai verbi suffissati in nasale non opera in greco:
in Omero le forme medie superano largamente le attive: Risch 1974: 256 ss.
(32) E desinenze attive ha il cosiddetto «aoristo passivo» del greco, che muove dalla
funzione incoativa/anticausativa del suffisso - - (Magni 2008).
(33) Dal trasferimento del medio nel sistema del presente/aoristo che ha alimentato
la tendenza a flettere virtualmente nelle due diatesi ogni lessema verbale dipenderà – si
è detto – il suo uso come codifica del riflessivo: la nozione di stato sottostante al nu-
cleo prototipico, inaccusativo, del medio implicava anche la nozione di inagentività
del soggetto e di «diatesi interna» nel senso che il soggetto è rappresentato come sede
del processo, interno al processo nel senso di Benveniste (1966: 168 ss.): nei costrutti
inaccusativi in cui l’oggetto è promosso a soggetto, soggetto e oggetto sono la stessa
entità. Sul medio riflessivo cfr. Lazzeroni 1997b. Conviene ricordare che in più di una
lingua la codifica del medio è identica a quella del riflessivo: Kemmer 1993: 24; inutile
(e oracolare) La Fauci 2012: 113 ss.

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tivo e 89 di ottativo: nella flessione attiva le attestazioni del congiuntivo cor-


rispondono, dunque al 28% e quelle dell’ottativo al 13% delle attestazioni
dell’indicativo; nella flessione media, rispettivamente, al 14% e al 4%.
I dati si riferiscono alle forme personali (rubricate sotto A nella tabel-
la riassuntiva di Avery) contate indipendentemente dalla frequenza delle
rispettive basi verbali; inoltre quelli relativi al congiuntivo sono meno pre-
cisi di quelli relativi all’indicativo e all’ottativo perché comprendono an-
che le forme personali di «congiuntivo 3» nella definizione di Avery (1880:
227 ss.) cioè di ingiuntivo con valore modale (483 attestazioni nell’attivo e
127 nel medio). Sottraendo queste restano 618 attestazioni del congiuntivo
attivo e 187 del congiuntivo medio: rispettivamente il 16% e il 9% delle
attestazioni dell’indicativo.
Il risultato non cambia se si corregge il metodo di conto. Dagli elenchi
di Macdonell (1910) delle forme rigvediche dei verbi tematici rizotonici
del tipo bhárati «porta» (quelli della 1ª classe indiana: la più numerosa
e produttiva) elaborati tenendo conto soltanto della frequenza delle basi
verbali individuali (type frequency) e non considerando le forme di ingiun-
tivo, gli activa tantum e i media tantum elencati in Gotō (1987: 48-50) e
altre forme di collocazione incerta (su cui si veda Gotō 1987, passim; Nar-
ten 1968) risulta che, nel presente attivo, le basi che formano l’indicativo
sono 77 e quelle che formano il congiuntivo 34 a cui corrispondono, nel
presente medio, rispettivamente 54 basi che formano l’indicativo e 8 che
formano il congiuntivo: dunque le attestazioni del congiuntivo rispon-
dono al 44 % di quelle dell’indicativo nella flessione attiva, al 15% nella
flessione media (34).

(34) Le percentuali sono arrotondate all’unità. Poche, persistenti, incertezze di at-


tribuzione (per es. fra indicativo e congiuntivo o fra congiuntivo e ingiuntivo; alcuni
esempi in Hoffmann 1967: 236 ss.; 1976: 358 ss.) non alterano il quadro qui presen-
tato. Questo non cambia nemmeno considerando il rapporto fra medio e attivo nelle
singole categorie modali. Dai dati di Avery: indicativo medio/indicativo attivo: 56%;
congiuntivo medio/congiuntivo attivo: 28% (20% sottraendo il «congiuntivo 3»); otta-
tivo medio/ottativo attivo 17%. Dai dati di Macdonell (1910) relativi ai verbi della 1ª
classe: indicativo medio/indicativo attivo: 70%; congiuntivo medio/congiuntivo attivo:
23%. Hoffmann 1975: 249 n. 10 osserva che in alcuni verbi a un presente medio cor-
risponde un aoristo medio nell’indicativo e nell’ingiuntivo ma attivo nel congiuntivo.
Una scorsa al repertorio di Macdonell (1916) mostra che nel Rigveda i casi in cui a un
presente medio (o flesso in ambedue le diatesi) corrisponde un congiuntivo attivo sono
più di venti: ajati/-te: cong. ajāti; kirati/-te : kirāsi; grbhnāti/-e, -te : grbhnās; ghosati/
ghosate : ghosat; tirati/-te : tirāti; nayati/-te : nayāti; paśyati/-te : paśyāt; pibati/-te : pibāt/-ti
ecc.; Insler (1968: 317 n. 7) parla di «not unusual active inflection of subjunctive forms
to exclusively medial indicatives».

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Le conclusioni si riassumono nei seguenti punti:


1) Non vi è motivo per separare una diatesi stativa dalla diatesi media.
La differenza fra l’una e l’altra è cronologica (Watkins 1969: 50; 84): le de-
sinenze «stative» sono quelle antiche del medio.
2) Esse residuano da un sistema verbale privo della codifica del tempo
grammaticale fondato sulla rappresentazione dell’opposizione fra processo
e stato, quest’ultimo focalizzato sia nell’atto del suo prodursi (medio) sia
in quello in cui risulta prodotto (perfetto); sul piano formale l’opposizione
si manifesta come una sorta di alternanza fra costrutto transitivo (attivo)
costrutto incoativo/anticausativo (medio) e costrutto stativo (perfetto); il
medio e il perfetto nei rispettivi prototipi sono caratterizzati da desinenze
strutturalmente simili e, ambedue, dalla promozione a soggetto dell’oggetto
del verbo transitivo: ambedue, dunque, formano costrutti inaccusativi e ina-
gentivi. In questa fase l’opposizione era [attivo vs. medio/perfetto].
3) Poiché la rappresentazione del processo più che la rappresentazione
dello stato è soggetta a determinazioni temporali, la codifica formale del
tempo grammaticale ha operato sull’attivo e poi sul medio prima che sul
perfetto, rimastone per lungo tempo estraneo. Di conseguenza il medio è
stato attratto nel sistema del presente/aoristo e l’opposizione [attivo: medio/
perfetto] è stata convertita in [attivo/medio: perfetto]. Nel sistema di oppo-
sizioni così formato le desinenze medie sono state demarcate da -i (quelle
«stative» del vedico sono residui di questa fase) e quindi sono state modellate
su quelle attive.
4) Le desinenze attive selezionate dai suffissi che nel sistema del presen-
te rappresentano valori mediali (gr.- -; sscr. -ya-) testimoniano l’originaria
estraneità delle desinenze del medio al sistema del presente/aoristo.
5) Il medio è, perciò, antico nel sistema del perfetto, ma recente nel
sistema del presente/aoristo.
6) La codifica morfologica del tempo grammaticale in greco e in san-
scrito si è attuata, come è noto, soltanto nell’indicativo, nel presente prima
che nel preterito e nell’attivo prima che nel medio. I modi restano estranei
alla significazione del tempo: la determinazione con -i delle desinenze del
congiuntivo (ma non all’ottativo) non può altrimenti configurarsi che come
successiva estensione al congiuntivo delle desinenze dell’indicativo. La for-
mazione dell’opposizione [medio: attivo] nel sistema del presente/aoristo
con conseguente rifacimento delle desinenze medie sul modello delle desi-
nenze attive è ancora successiva e anch’ essa ha mosso dalle categorie meno
marcate. Nell’attivo, infatti, le desinenze dell’ingiuntivo, conservate anche
nei tempi storici e nell’ottativo del sanscrito e del greco, ricompaiono iden-

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tiche, demarcate con -i, nell’indicativo presente e sono accolte dal congiun-
tivo solo parzialmente e non senza residui; anche nel medio le desinenze
dell’ingiuntivo (cioè le desinenze cosiddette «stative») sono conservate nei
tempi storici e nell’ottativo del sanscrito, ma nell’indicativo sono rifatte o
sostituite sul modello dell’indicativo attivo e queste, a loro volta. sono accol-
te interamente e senza residui dal congiuntivo. Insomma, nella diatesi attiva
le desinenze dell’indicativo sono fondate su quelle dell’ingiuntivo, nella dia-
tesi media su quelle dell’indicativo attivo: le desinenze del medio si ricavano
da quelle attive mediante l’applicazione della regola [ des.-iatt. > des. -ai/-oimed.
(> sscr. -e)]. Si tratta, dunque, di due mutamenti diversi e avvenuti in tempi
diversi: l’indicativo succede all’ingiuntivo in diacronia.
7) La categoria del perfetto e quella del medio si sono sviluppate come
categorie «naturali» nel senso di Rosch (1973), l’una intorno a un prototi-
po inaccusativo designante lo stato raggiunto, l’altro intorno a un identi-
co prototipo designante il sottoevento configurato da Dowty (1979) come
[diventare stato]. Comuni ad ambedue sono la diatesi interna al soggetto
e la struttura sintattica dei costrutti incoativi/anticausativi, ma diversa è la
focalizzazione dei sottoeventi: dello stato prodotto dal processo nel perfetto,
dello stato nel suo prodursi nel medio. La diversità spiega come, nel corso
del loro sviluppo, le due categorie abbiano assunto valori nuovi ma diversi:
dinamici e «interni al soggetto» quelli (riflessivi, di interesse», reciproco,
intensivo, passivo) del medio, statico quello del perfetto qualificativo.
8) Resta aperto (ed esula dagli obiettivi di questo saggio) il controverso
problema se la presenza dei media tantum sia indizio di una sintassi protoin-
doeuropea di tipo attivo-inattivo. Qui basterà dire che gli argomenti finora
tratti dal sistema verbale ricostruito sono largamente fondati sul presupposto
di una tipologia olistica, privo di valore risolutivo (Ramat 1986) e che non
può trascurarsi l’eventualità che anche le categorie semantiche in cui i media
tantum si articolano (vd. da ultimo Meiser 2009) non appartengano al me-
desimo livello sincronico, ma si siano formate progressivamente, attraendo
nella diatesi media i costituenti il cui significato lessicale «prototipico» (per es.
quello dei verbi «naturalmente reciproci») li rendeva meno idonei alla diatesi
attiva  (35). Se così è, dovremo riconsiderare l’ipotesi vulgata che la distribu-

(35) È, probabilmente, vana fatica discettare se la funzione originaria del medio fos-
se quella di significare l’anticausativo o il passivo; già si è detto che la differenza fra i due
costrutti è sottile, consistendo soltanto nella presupposizione di un agente. Ripeteremo,
piuttosto che ciò che il medio condivide col perfetto è la proprietà sintattica di promuo-
vere a soggetto l’oggetto del verbo transitivo e che perciò è, come il perfetto, caratteriz-
zato sul piano semantico dalla diatesi interna al soggetto nel senso di Benveniste e come

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zione originaria del medio fosse lessicale e che i media tantum costituiscano
il prototipo intorno a cui si è sviluppata la categoria. Questi potrebbero rap-
presentare non tanto il prototipo quanto i prototipi dei valori che il medio ha
assunto nel corso dell’espansione dello spazio concettuale di cui è espressione.
9) Di Giovine (1996: 235 ss. a cui si rimanda per la amplissima bi-
bliografia) ha mostrato che l’ipotesi che il perfetto e il medio derivino da
un’unica diatesi si scontra con ostacoli non sormontabili. La proposta che
qui si presenta cerca di dar ragione delle similitudini e delle differenze fra
le due categorie, supponendole distinte fin dall’origine sul piano formale e
funzionale, ma originariamente strutturate in un medesimo sistema. Questa
tesi che tiene conto della diacronia del sistema, incontra, forse, meno osta-
coli dell’altra o, almeno, ne incontra di più superabili.

inviato: 22/9/2014 Romano Lazzeroni


valutato: 18/10/2014 Università di Pisa
ricevuto corretto: 26/10/2014 [email protected]
approvato: 1/11/2014

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progressivo formarsi intorno al prototipo di una categoria naturale nel senso di Rosch
(1973; per il percorso dell’espansione della categoria cfr. Lazzeroni 1997b).

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