Arte Moderna-Manuale PDF

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Lezioni di Storia dell Arte Dall’Umanesimo alleta barocca gil acces @FAI FONDO PER AMBIENTE ITALIANO Il patrimonio storico-artistico italiano &, come tutti ben sappiamo, talmente smisurato da renderne obiettivamente difficile — con le forze attuali — una, seppur ipotetica, “integrale” conservazione. Lesperienza del FAl-Fondo per Ambiente Italiano, dopo 27 anni di concreto operare per la salvaguardia e la gestione di questo nostro incommensurabile Tesoro, ci induce a credere fortemente che vera tutela non pud esistere se non con una partecipazione corale del maggior numero.possibile di cittadint italiani: perché questo st verifichi & necessario pero che noi tutti siamo messi nella condizione di essere profondamente consapevoli di cid che ci circonda. Solo studiando e conoscendo a fondo la qualité delle Opere dell’ Uorno si potra davuero preservarne la bellezza: perché si difende cid che siama e si ara cid che si conosce. E a partire da queste considerazioni che il FAI, grazie alla generosa e lungimirante disponibilita di Pirelli, nonché alla fattiva collaborazione di Skira editore, ha pensato di dare un contributo concreto a questa idea organizzando un corso biennale di storia i dell'arte, svoltosi a Milano e a Roma, grazie alla prestigiosa collaborazione del Piccolo Teatro di Milano e del Teatro Eliseo di Roma; un corso rivolto a tutti i cittadini e pensato in termini di alta divulgazione e dungue fuori da ogni vizio nozionistico 0 puntiglio specialistico. Un invito a un’inedita e affascinante esplorazione dell'arte dentro di not - per essere tutti capact di riceverne il messaggio ~ e intorno a noi come sollecitazione a conoscerla, comprenderla e farla diventare parte del nostro personale bagaglio culturale e della nostra vita. A questo fine i tre professori curatori del corso, Carlo Bertelli, Fernando Mazzocca e Mauro Natale, hanno predisposto un programma che, a partire dagli Egizi, si é sviluppato fino ai giorni nostri, affidando i singoli interventi a relatori scelti tra i maggiort esperti nelle rispettive materie. A.ciascuno di loro é stato dato il compito di illustrare i passaggi da una fase all’altra dell esperienza umana nel campo dell’arte, tenendo conto di come questa non sta mai isolata dal contesto storico, sociale ed economico. I pubblico & stato guidato lungo i sentieri della riccbissima civilta ‘figurativa europea, nella consapevolezza di come non vi siano nella storia dell arte fasi veramente chiuse e di come Uarte costrutsca un proprio mondo fatto di segni e di conoscenze tecniche destinato a poter sempre essere ripercorso a ritroso 0 a offrire sempre nuove opportunita di lettura. Linteresse delle 60 lezioni é stato tale che, assieme ai vecchi Amici di Skira editore — che ancora una volta ringrazio per la convinta, partecipe e generosa adesione alla nostra missione sid pensato di raccogliere in quattro volunti — ab! il piacere di leggere parole scritte sulla carta! — queste lezioni. Ad essi affidiamo il compito di fornire chiavi che permettano di leggere e capire cid che in ogni periodo V Artista, utilizzando i mexzi di sintesi e di comunicazione in suo possesso, ha voluto dire agli uomini del suo tempo e dei tempi a venire. Contribuire alla comprensione del “linguaggio dell’Arte” & dunque il nostro scopo; per conoscere, per amare, per difendere. Giulia Maria Mozzoni Crespi Presidente FAI- Fondo per ! Ambiente Italiano Quando il FAI ha chiesto a Skira di collaborare all'organizzazione di un corso biennale di Storia dell’ Arte di alta divulgazione, la casa editrice ha risposto con un’adesione che definivei quasi ovvia, dato il legame di intensa condivisione e di profonda amicizia che ci lega al Fondo per l'Ambiente Italiano e alle sue decisive battaglie in difesa del nostro patrimonto artistico. A questa ormai stortca alleanza si aggiungevano un comitato scientifico di grande livello, composto di tradizionali autori e amici della casa editrice, uno sponsor particolarmente attento ai fatti culturalmente importanti quale Pirelli, con il quale pure Skira abitualmente collabora, e infine un’istituzione, il Piccolo Teatro, intimamente legata alla nostra storia personale e di editori. Un'adesione, dunque, del tutto naturale come naturale era Vimpegno di raccogliere in una pubblicazione t contributi di un gruppo di studiosi cost qualificato come quello chiamato 4 partecipare a questo progetto. Nessuno di noi, tuttavia, aveva colto inizialmente la reale portata dell’iniziativa, limpegno che questa formidabile squadra di storict dell’arte avrebbe messo in campo, la risposta di straordinario interesse che il pubblico milanese avrebbe dato alle lexioni del Piccolo e quello romano, un anno dopo, alla riproposta del ciclo al Teatro Eliseo. Anche il progetto editoriale, allora, é cresciuto strada facendo nelle sue dimensioni e nelle sue ambizioni. La spina dorsale, rappresentata dalle lezioni, costituiva, di per sé, una raccolta di saggi di altissimo livello, che coprivano tutto Varco della Storia dell'Arte dalla civilta egizia all’eta contemporanea. Ma ci siamo resi conto che, lavorando a connettere i singoli contributi con testi di collegamento, inserendo cronologie e tavole sinottiche, e ampliando Viconografia e gli apparati, si poteva dar vita a uno strumento di lettura e di consultazione di grande qualita, al servizio di tutto quel pubblico appasstonato, del quale gli spettatori delle Lezioni erano stati uno straordinario e quanto mai significativo campione. A questo dunque ci siamo dedicati e cosi é nato, nella sua struttura attuale, questo lavoro editoriale. Se questa Storia dell’ Arte in 60 lexioni rispondera all ansia di informazione qualificata che il pubblico ci ha dimostrato, e se costituira la base per ultertori e pitt affascinanti approfondimenti, lo potremo considerare un lavoro riuscito. Leditore Guida alla lettura delle “Lezioni di Storia dell’Arte” Lopera affronta, secondo una scansione cronologica consolidata e scelta per chiatezza espositiva e di percorso, una serie di problemi sia di carattere generale (storiografico, culturale, storico-artistico) sia di carattere particolare (singole personalita attistiche, specificita dei linguaggi espressivi e degli stili, opete emblematiche), suggerendo e proponendo nuove chiavi interpretative, nuovi terreni di indagine critica, diverse prospettive di lettura dei fenomeni artistici. Lobiettivo & quello di costituire, da un lato, un utile strumento di consultazione ¢ di riferimento per la storia dell’arte (specialmente con l’impiego degli indici analitici dei nomi ¢ dei luoghi), dall’altro un’affascinante proposta di lettura dei fenomeni stotico-artistici che hanno interessato il bacino del Mediterrano dall’antichita all’eta moderna. Non si tratta tuttavia di un tradizionale manuale di storia dell’arte, ma di un ricchissimo ventaglio di proposte, anche metodologicamente diverse tra di loro, costituito da lezioni di approfondimento su singoli temi. Le lezioni sono nate da due cicli di conferenze a Milano ¢ a Roma tenute da noti studiosi, ai quali si deve la stesura dei saggi che costituiscono lossatura dei volumi. Essi sono sostenuti da una griglia di informazioni costituita da testi brevi, collocati come raccordi tra un s Paltro, nei quali sono tracciate sinteticamente le peculiari storico-artistiche dei diversi momenti storici discussi, da atlanti fotografici di riferimento, in cui sono illustrate le opere emblematiche dei singoli periodi, e da tavole sinottiche nelle quali gli avvenimenti della storia si connettono alle invenzioni attistiche, In questo modo il lettore pud seguire, coadiuvato da tun ricco repertorio iconografico di riferimento, una traccia storiografica unitaria ¢ in progressione, desumendone dati essenziali e ptecisi, per poi affrontare i singoli approfondimenti attraverso gli articolati saggi proposti dagli studiosi. Con il secondo volume, Dall’ Umanesimo all’ eta barocca, il percorso segue le trasformazioni del linguaggio artistico a partire dalla cultura umanistica in Italia sino alla diffusione del linguaggio tinascimentale in Europa, dal recupero della cultura classica al consolidarsi dei temi e delle forme umanistiche fino al delinearsi della civilta barocca imperniata sull’opzione classicista, impersonata dai Carracci e da Bernini, ¢ sull’attenzione al vero e alle realta secondo i modelli del Caravaggio. Guida alla lettura LE LEZIONI [tpi propost net volume, ordinati secondo uno schema cronologico, riprendono le lezioni di un pool di specialist all’interno di un progetto di rilettura | critica dei percorsi della creativita artistica nella ' / cultura occidentale, phi saggio ® sempre corredato da un ampio repertorio di immagini di riferimento illustrate da didascalie tecniche che permettono al lettore di seguire visivamente le trasformazioni del periodo artistico o della personalita artistica presi in esamee di seguirne agilmente gli sviluppé Guida alla lettura GLI APPARATI testi di raccordo sono da considerarsi come introduzioni di carattere generale sui singoli period esaminati e approfonditamente indagati nelle leon. In essi si danno coordinate storico-artistiche essenziali per collegare i diversi temi discuss nelle lezioni 1 volume & corredato da una serie di tavole cronologiche che intendono mettere tn relazione i principali avvenimenti storici con importanti momenti artistici, dando cost al lettore wna panorantica il pit possibile chiara ed esaustiva delle singole epoche, Lata fotoaraico che ‘accompagna ogni testo di raccordo intende fornire al lettore una sintesi visiva delle creation’ artstiche divenute emblematiche per ogni singolo periodo storico esamtinato. o5 50, _ 78 85 106 113 148 155 184 _. Sommario Origini e sviluppo del Rinascimento: Puomo, lo spazio e il recupero dell’antico Brunelleschi ¢ Ghiberti, Donatello ¢ Luca della Robbia, Masaccio: le atti a confronto Giancarlo Gentilint Milano visconteo-sforzesca Rinascimento bifronte: la Citta ela Corte Giovanni Romano Urbino e VItalia centrale Maestri ¢ botteghe nell’Italia settentrionale: il caso di Ferrara Daniele Benati Lambiente veneto: Padova e Venezia Una lezione su Andrea Mantegna Giovanni Agosti Rinascimento a Mantova Verso la fabbrica del corpo: anatomia e ‘bellezza’ nell’ opera di Leonardo e Giorgione Alessandro Nova Gli sviluppi del Rinascimento: Parte nella seconda meta del Quattrocento Letteratura ¢ arte nel Rinascimento Cesare Segre 240 245 260 288 295 316 323 350 357 400 407 Incisioni e testi a stampa 424 Caratteti generali del Barocco nel Rinascimento 429 Learti a Roma nel 1600 ¢ il Giubileo La “perfezione dell'arte”: Marco Bona Castellotti Raffaello e Michelangelo Pierluigi De Vecchi Roma e Firenze. 1500-1520 444 I Carracci 449 Caravaggio a Roma e il primo caravaggismo IL ritratto nel Rinascimento Prancesco Frangi ee 480 La pittua olandese del Seicento: La scuola veneta da Giorgione Rembrandt, Vermeer, Rubens a Palma il Giovane e Van Dyck Raffaello e Giulio IL 486 Tavola cronologica Christoph L. Frommel Michelangelo maturo e tardo 189 Appendice 493 Bibliografie tematiche La scultura in piazza della Signoria a Firenze: 501 Indice dei nomi una gara fra scutorialPepoca 599 Indice dei Iuoghi della “maniera’ Detlef Heikamp Il Rinascimento in Europa Tl Manierismo ¢ Europa delle corti Alessandro Morandotti La cultura manierista in Italia Fonti e teorie artistiche del Cinquecento Nello Forti Grazzini Tavola cronologica Liideale classico nell’eta barocca Andrea Emiliani 16 Origini e sviluppo del Rinascimento: Yuomo, lo spazio e il recupero dell’antico Si intende, convenzionalmente, con il termine Rinascimento, il periodo storico culturale che va dalla fine del Trecento al'inizio del Cinquecento, essendo apprezzabile in esso una “rinascita” appunto, che informa di sé ogni campo del sapere, gia sentita dai contemporanei € poi storicizzata a meta del Cinquecento da Vasari nelle sue Vite (prima edizione 1550). lI termine stesso di Rinascimento indica in prima istanza contemporaneamente una frattura con il Medioevo, e una riscoperta, consapevole e duratura, del mondo antico attraverso gli strumenti della storia, della filologia e, in ambito artistico, di forme @ modi desunti dall'epoca classica E a Firenze, grazie al periodo di stabilita intema goduto fino all'egemonia di Cosimo il Vecchio, alla fioritura economia, ma soprattutto al consolidarsi del legame con le origini romane, che prende piede, grazie a tre personalita quali Filippo Brunelleschi (1377-1446), Donatello (1386-1466) e Masaccio (1401-1428), una reale alternativa allo stile internazionale diffusosi tra la fine del Trecento e inizio del secolo anche nel capoluogo toscano. A esemplificare l'alternenza tra gusto gotico € classico nella cultura fiorentina dell'epoca era del resto la stessa Porta della Mandoria, seconda del lato nord del duomo, condotta in piti tempi tra la fine del Trecento (1391) ¢ i! 1423 con la partecipazione di numerosi scultori di diversa provenienza. La decorazione, specie del lato sinistro (stipite, architrave, mensola con il putto che suona la cornamusa, i due busti di angeli nello squancio con interposta figura di Ercole, angelo in alto con il sottostante Apolo} va considerata antesignana dell'arte rinascimentale. 1l precoce inserimento di iiligvi classici e di figurazioni mitologiche adattate al contenuto cristiano conferma la maggiore facilita degli scultori nel confrontarsi con gli esempi antichi e la tendenza a ricercare connessioni con il passato classico. L’attribuzione dei rilievi & diattuta tra Giovanni a’ Ambrogio e i senese Jacopo della Quercia (1371/1374- 1438), forse allievo del d’Ambrogio durante uno dei suoi due soggiorni fiorentini, ma le cui opere successive, quali la Madonna Silvestri (terminata nel 1408) o la Tomba ai llaria del Carretto (1408 ca.) nel duomo di Lucca, la Fonte Gaia di Siena (1414-1419) 0 i Dodici apostoli per lo stesso duomo lucchese documentano, oltre ai riferimenti antiquariali e al rinato senso classico awertibile nei larghi volti sereni @ nell'affiorare dei corpi sotto le vesti, una cultura esperita ancora sotto le insegne del Gotico internazionale e della scultura toscana del Trecento. Anche !'Assunzione e la consegna della cintola a san Tommaso di Nanni di Banco (1414-1421), rilievo che, inserito nel timpano gotico, concludeva nel 1421 la porta, ripropone questo difficile equilibri. Al contrario, il concorso de! 1401 vinto da Lorenzo Ghiberti (1378-1455) per la porta settentrionale del battistero fiorentino, poi realizzata tra il 1403 e il 1424 ricalcando il modelo della prima porta di Andrea Pisano posta a meridione, sancisce ~ al di la delle diverse soluzioni presentate - un superamento dello stile internazionale. Confrontandosi sul tema del Sacrificio di Isacco in due formelie bronze di identiche dimensioni, Ghiborti fonde morbid’ linearismi pittorici e bellezze ellanistiche (i nudo di Isacco, le figure dei due servi) grazie @ una magistrale padronanza dei mezzi tecnici, con una visione serena e senza drammaticita, mentre Brunelleschi recupera gli scatti espressivi di Giovanni Pisano, arriechendali del naturalismo nordico & accostandovi specifiche citazioni dell’antico in un rilevo di maggiore impatto visivo, in cui sono evidenti citazioni colte (lo Spinario} ma privo dell'unita compositiva messa in mostra dal rivale. Ghiberti, dopo un breve soggiorno veneziano (1.424) riceve nal 1425 la commissione per la terza porta del battistero, terminata solo nel 1452 & definita da Michelangelo “porta del Paradiso” E tuttavia a Filippo Brunelleschi (1377- 1446) che si deve la vera “invenzione” del Rinascimento: la prospettiva. Dopo il concorso del 1401 ~ che conclude momentaneamente la sua esperienze di scultore, ripresa solo intorno al 1420 con il Crocifisso per Santa Maria Novella & proseguita con i rilievi degli Evangelist nei pennacchi della cappella dei Pazzi in Santa Croce a Firenze -, Brunelleschi si reca anno successive @ Roma in compagnia di Donatello, indirizzando ben presto i suci studi verso architettura. Pienamente responsabile della costruzione della cupola dal duome fiorentino dal 1423 iil concorso & del 1418, vinto ex aequo con Ghiberti), termina i lavori nel 1434 (la lanterna & posizionata nel 1436), ponendo le basi dell'architettura rinascimentale. Risolvendo tutti i problemi in fase progettuale, egli elabora una nuova tecnica che gli permette di elevare l'intera cupola senza bisogno di armature di sostegno. Grazie alla formulazione delle leggi della visione secondo il metodo prospettico - elaborata in due tavolette con vedute ai edifici fiorentini, perdute ma descritte dalle fonti -, Brunelleschi mete @ punto inoltre un metodo ai misurazione razionale dello spazio che verra attuato in un'architettura a misura d’uomo, in cui ogni parte proporzionata al tutto. Su questa razionalita si fonda la purezza del suo linguaggio, dal portico dello Spedale degli Innocenti (iniziato nel 1419) alla chiesa basilicale di San Lorenzo (iniziata nel 1429 circa), dalla sacrestia Vecchia di San Lorenzo (1419-1428), alla cappella dei Pazzi in Santa Croce (1430 ca.) E tuttavia alla scultura che, fra Trecento e Quattrocento, viene delegate il compito di esprimere i nuovi valori rinascimentali connessi alla virtus individuale Donatello (1386-1466), formatosi nella bottega di Ghiberti, dopo una serie di statue — alcune delle quali eseguite a fianco di Nanni di Banco per I'Opera del Duomo -, in cui é gia visible il tentativo di rinnovare il linguaggio gotico (il David in marmo del Bargello, 1409; il San Giovanni evangelista del Museo dell Opera del Duomo, 1413-1415}, dal 1416 lavora al San Giorgio per una nicchia di Orsanmichele, una sculture che sarebbe presto divenuta il simbolo della visione eroica dell'uomo propria del Quattrocento. In essa la tradizione gotica cede il passo a principi informatori diversi: apparentemente fissata in una posa statica, la figura del santo guerriero, per la torsione del busto rispetto alle gambe, che conferisce profondita alla nicchia, € I'espressione del volto, esprime una profonda tensione, In essa si esprime inoltre originale rapporto dell’autore con Vantico: Donatello non si basa su precisi modelli classici, 'antico & per lui piuttosto una lezione di metodo, un invito a tornare alla natura e a cercare caratterizzazioni individual, Per quanto attiene alla rappresentazione dello spazio, altre sue ‘opere, quali il San Giorgio che uccide il drago, bassorilievo collocato alla base della scultura maggiore, 0 la formella bronzea per il fonte battesimale di Siena con il Banchetto di Erode (1423-1427), possono essere lette come il punto di partenza di una linea evolutiva che passando da Masaccio giunge fino a Paolo Uccello. Nel rilievo di San Giorgio si precisano le innovazioni apportate in rapporto alle soluzioni spaziali dell'epoca: nonostante la falcatura gotica della principessa, la tecnica del bassorilievo, di modestissimo spessore nello sfondo paesaguistico (stiacciato di derivazione antica), determina 17 18 straordinari effetti di profondita, illusionismo e dilatazione spaziale, mettendo in luce intuizioni prospettiche che possono essere viste solo in parallelo con la prospettiva lineare centrica quale andava delineandosi nella mente di Brunelleschi all'incirca nella stessa epoca. Donatello é di nuovo a Roma nel 1432- 1433; al ritorno esegue i! Davie del Bargello, nudo bronzeo a tutto tondo che ripropone chiaramente modell della statuaria antica. Ma lispirazione donatelliana di questo periodo & quanto mai vatia: accanto alla liricit’ dell! Annunciazione per Santa Croce (1435) troviamno lo sfrenarsi della danza dei putti nella Cantoria del duomo fiorentino; Figuardo a quest’ ultima si consideri per un confronto quella, con rilievi articolati secondo morbidi passaggi chiaroscurali, messa in opera nello stesso periodo dallo scultore Luca della Robbia (1400 ca.-1482. Per quanto attiene l'ambito pittorico fondamentale il confronto tra opera di Masolino da Panicale (1383-1440 ca} € Masaccio (1401-1428). Spitito indipendente sin dalle prime opere — come nella dolcissima Madonna di Palazzo Vecchio (ante 1423) in cui proporzioni allungate, ricercate armonie cromatiche fluenza ritmica dei contorni si sposano a decisi accenti plastici - Masolino, con la prima sua tavola datata, la Madonna col Bambino di Brema (1423, Brema, Kunsthalle), testimonia un aggiornamento condotto su Gherardo Starnina, Gentile da Fabriano e Lorenzo Ghiberti. Nella sua opera, realizzata sovente a fianco di Masaccio, egli compie una rilettura di Giotto, sentito affine per sintesi volumetrica @ tempra morale dei personaggi. Nella tavola con Sant’Anna, la ‘Madonna e i! Bambino (1424, Firenze, Uffizi, | due pittori lavorano spalla a spalla. La Madonna col Bambino e I'angelo superiore destro sono di Masaccio, la cul attivité invece, brevissima, & circoscritta agli anni 1422-1428, e che dal 1417 era a Firenze; con tal figure egli dimostra di aver assimilato i nuovi codici rinascimentali: la Vergine e il Bambino sono concepiti come solidi blocchi che ‘occupano e vivono lo spazio, scolpiti dal chiaroscuro che ne squadra i volumi, mentre le immagini di Masolino (sant’Anne e gli altri angeli) sono senza peso e spessore. Forza costruttiva € spaziale si esplicheranno con ricchezza crescente nelle opere successive di Masaccio, in particolare negli affreschi della cappella Brancacci in Santa Maria del Carmine (commissionati nel 1424 Masolino e Masaccio da Felice Brancacci, ricco mercante di sete). Sulla volta {poi totalmente restaurata e ridecorata) erano collocati gli Evangelisti, mentre le pareti sono decorate con Storie di san Pietro disposte su due registri. Tra il 1426 e il 1427 Masolino si assenta per recarsi in Ungheria. Tomato in Italia viene chiamato al servizio del cardinale Branda Castiglioni a Roma, dove lo raggiunge nel 1428 anche Masaccio (che poi vi muore) per lavorare al politico della Madonna della Neve in Santa Maria Maggiore agit affreschi in San Clemente. La decorazione della cappella Brancacci verra completata solo nel 1481 da Filippino Lippi. II distacco tra i due pittori, nonostante l’omogeneit ricercata del ciclo, si dichiara con evidenza nel confronto, per esempio, tra il Peccato originale, in cui Masolino si sforza di dare alle figure una correttezza anatomica senza farle vivere in uno spazio preciso, @ la Cacciata dei progenitori, dipinta invece da Masaccio, dove i corpi poggiano saldamente sul terreno, soleato dalle loro ombre; i gesti sono essenziali ma carichi di espressivita, mentre riferimenti all'antico alla natura si intrecciano nel corpo camoso e dinamico di Eva, ispirata a una Venere pudica o alla Temperanza del pulpito di Giovanni Pisano. Analoghe considerazioni possono essere condotte nel confronto tra la Resurrezione ai Tabita [a guarigione det!'infermo e il Tributo, La consonanza di Masaccio con Donatello si esprime — oltre che nel Polittico di Pisa (1426, diviso tra Londra, Pisa, Vienna, Berlino e Napoli, in cui domina la ricerca di una forma plastica definita dall'illumninazione pill che dal disegno, come nel trono scorciato in prospettiva dello scomparto centrale (Londra, National Gallery) - nell'atiresco con la Trinita in Santa Maria Novella (1426-1428) dove preponderanti si fanno gli agganci con Brunelleschi, tanto che si é tentato di ricondurre a quest'ultimo la progettazione dell'architettura Una seconda ondata innovatrice, ma di natura diversa, sara poi quella portata da Gentile da Fabriano (1370 ca-1427), trasferitosi a Firenze dal 1421: la sua innovazione é pit: cosmopolita e lussuosa, esemplificata dall' Adorazione dei Magi eseguita nel 1423 per Palla Strozzi (Firenze, Uffizi). A sua volta Gentile sara influenzato da Brunelleschi, Ghiberti é Masolino: basti osservare il Polittico Quaratesi (1425, Londra, The Royal Collection), popolato da figure monumentali, costruite solidamente; il colore & qui pit: compatto, il disegno pil: sciolto, con minori svolazzi calligrafici Perduti i suoi affreschi in San Giovanni in Laterano (1426), il punto di arrivo della sensibilit8 maturata nel capoluogo toscano @ la Madonna di Orvieto (1425, Orvieto, duomo} in cui le decorazioni sono ridotte al minima, i corpi sotto i pani si fanno solidi, i volti, di contro alle prime espressioni cortesi, pits umani Con Paolo Uccello (1397-1475) infine, gia aiuto del Ghiberti nella prima porta del battistero fiorentino, si fa chiara un’ulteriore interpretazione della spazialta figurativa lungo una linea vicina ma non tangente alle idee. brunelleschiane & masaccesche. L'artista soggiomna a Venezia dal 1425 e rientra in patria nel 1431, rimanendo legato a un orizzonte culturale tardogotico, interpretato perd con spicata originalita. Se il suo impegno prospettico é dimostrato gia dal monumento equestre al condottiero Giovanni Acuto nel duomo di Firenze (1436), pur con risultati di raggelata astrazione volumetrica, la testimonianza maggiore della sua pittura, dopo i due dipinti con San Giorgio @ il drago (Parigi, Musée Jacquemart André; Londra, National Gallery) sono i tre grandi pannel (1456 ca.) che in una carnera di palazzo Medici celebravano la Battaglia di San Romano (Londra, National Gallery; Parigi, Louvre; Firenze, Uffizi): in essi le masse dei combattenti sono bloceate dalla prospettiva con effetti insieme geometrizzanti e visionari, in cui la scienza prospettica non segue le legai brunelleschiane, ma si rifa all‘ottica medioevale, come poi nelle Storie ai Noe (1447) nel chiostro verde di Santa Maria Novella, costruite su due punti di fuga incrociati a creare uno spazio smisurato, nel quale i personaggi sono scorciati con violenza. 19 Jacopo della Quercia, Donatello, Banchetto di Erode, Fonte Gaia, particolare con la articolare, bronzo dorato, Cacciata di Adamo ed Eva, 1427- 1430. Stena, battistero marmo, V6l4-1419. Siena, Palazzo pubblico (da piazza del Campo) Donatello, David, bre Firenze, Museo rs del Bargello (da pata Riccardi) 1443, Medici Masaccio, Trinita, affresco strappato, 1426. 8. Firenze, Santa Maria Novella Paolo Uccello, Battaglia (di palazzo Sacchetti) . EEE Giancarlo Gentilini lippo Brunelleschi, Cupola della cattedrale Santa Maria del Fiore, perticolare, 1424-1434. Firenze Brunelleschi e Ghiberti, Donatello e Luca della Robbia, Masaccio: le arti a confronto Finn 1436, Raramente nella storia dell’arte il giudizio dei po- steti coincide con quello dei contemporanei, sia pure degli os- servatori pitt accorti e competenti. Fa eccezione una pagina del 1436 che, posta in apertura alla redazione volgare del primo moderno trat- tato sulle arti, il De pictura di Leon Battista Alberti, delinea con pre- coce lucidita e con grande determinazione, quasi fosse un brano di ‘critica militante’, il quadro del profondo rinnovamento artistico in atto a Firenze, ticonoscendo in cinque “ingegni meravigliosi” l'ag- guertito drappello dei fautori e protagonisti della rinascita, Tl brano, forse a molti ben noto, @ talmente bello ed efficace che le sue righe pitt salienti sono degne di essere qui rilette per esteso Cosi infatti esordisce I’ Alberti, nell’epistola dedicatoria all’ amico Fi- lippo Brunelleschi: “Io solea meravigliarmi insieme e dolermi che tante ottime e divine arti e scienze, quali per loro opere e per le isto- rie veggiamo copiose erano in que’ vertuosissimi passati antiqui, ora cosi siano mancate ¢ quasi in tutto perdute: pittori, scultori, archi- tetti, musici, ieometri, retorici, auguri e simili nobilissimi e maravi- gliosi intelletti oggi si truovano rarissimi e poco da lodarli”. Alber- ticonstata dunque in apertura la grandezza delParte degli antichi a fronte di una profonda decadenza dell’arte dei suoi predecessori e dei tempi correnti, per poi osservare: “Ma poi che io dal lungo es silio in quale siamo noi Alberti invecchiati” —la famiglia dell architetto era stata esiliata da Firenze — “qui fui in questa nostra sopra Paltre omnatissima Patria ridutto, comprisi in molti ma prima in te, Fi po, cin quel nostro amicissimo Donato scultore ¢ in quegli altri Nen- cio e Luca e Masaccio, essere a ogni lodata cosa ingegno da non po- sporli a qual si sia stato antiquo e famoso in queste arti”. E, di fat- to, proprio questi.cingue artisti — Filippo Brunelleschi, Donatello, Lorenzo Ghiberti, Luca della Robbia e Masaccio — avevano ormai, nel 1436, emulato la grandezza degli antichi. “Ingegni meravigliosi”. Le parole usate dall’Alberti possono appatire iperbole alle quali Pattuale storia dell’arte & un po’ disa- bituata, ma davanti a un vero “miracolo” della scienza e dell’arte quale fu la grandiosa cupola di Santa Maria del Fiore edificata dal 2B Brunelleschi, che proprio in quel 1436 si andava chiudendo e ve- niva consacrata, appaiono del tutto legittime e giustificate. E, pro- segue l’Alberti, “ingegni” tali da aver trovato “senza esempio al- cuno arti e scienze non udite e mai vedute”, La stessa grandezza degli antichi veniva dunque superata, realizzando imprese mai vi- ste, enon ricordate neppure dalle fonti — Plinio, Vitruvio ~ quale appunto la costruzione senza armatura della cupola, che l’Alber- ti si sofferma a descrivere con toccante trasporto. “Chi mai si du- to 0 si invido non lodasse Pippo architetto vedendo qui struttura sigrande, erta sopra e’ cieli, ampla da coprire con sua ombra tut- tie’ popoli toscani, fatta sanza alcuno aiuto di travamenti o di c pia di legname” — ovvero una cupola autoportante ~ “quale arti ficio certo, se io ben iudico, come a questi tempi era incredibile potersi, cosi forse appresso gli antichi fu non saputo né conosciu- to2”. Tracciare un quadro della Firenze del 1436 attraverso le ope- re di questi cinque sttaordinari protagonisti della rinascita artisti- ca richiedera pertanto di non dimenticare che per gli artisti del tem- pola sapiena tecnica, ossia !“ingegno”, era inscindibile da cid che noi chiamiamo “arte”, cio® la ricerca formale. E Masaccio il pit giovane dei cinque artisti lodati dall’Alber- ti, Come piaceva a Roberto Longhi, lo ricordiamo soffermandoci sullo sfondo architettonico di una strada fiorentina, teatro di una sapida scenetta di vita borghese, che fa da fondale a un celebre af- fresco, La resurrezione di Tabita (Firenze, chiesa del Carmine, cap- pella Brancacci), in gran parte dipinto da Masolino, dove Masac- cio propone un brano di vedutismo urbano sino ad allora mai vi- sto, con una donna che conduce a messa un bambino recalcitrant. Luca della Robbis, Cantori, particolare del fregio, marmo, 1431-1438. Firenze, Museo dell Opera del Duomo (alla catedrale) Lorenzo Ghiberti, Porta del Paradiso, particolare con le Stotie di Giuseppe € i Beniamino, bronzo dorato, 1437-1439. Firenze, Museo dell Opera del Duosno (dal battistero, porta orientale) Brunelleschi e Ghiberti, Donatello e Luce dela Robbio, Masaecio: le arti a Accostata alla cupola del Brunelleschi, questa immagine consen- te di ambientarci nella Firenze degli anni trenta del Quattrocen- to, di cui in seguito tenteremo di analizzare in maniera pitt pun- tuale le componenti storico-artistiche. Le case hanno una pregnanza _ straordinaria, nel realismo immediato e quotidiano dei panni ste- sila gabbia del? uccellino appesa alla finestra, l'ombra di una por- ta attraverso la quale si inoltra una figura vista di spalle, i vasi sul davanzale di un edificio “a sporti”. Lorenzo Ghiberti proprio in quegli anni andava realizzando il suo massimo capolavoro, la Porta del Paradiso. Alberti non pote- va ancora avetla vista, poiché nel 1436 era nella prima fase di la- vorazione: se ne stavano modellando le cere per la fusione. Fu un lavoro di tale portata da impegnare una équipe numerosissima per ben venticinque anni, di cui una diecina spesi proprio nella mo- dellazione delle cere. Al momento della fusione, delicatissimo per il serio rischio che tutto il lavoro fatto andasse perduto, seguira la rinettatura, cio? la rifinitura delle fusioni, che richiese anch’essa un gran numero di lavoranti — orafi, provetti rinettatori, specialisti nel- Puso della lima e del bulino —, e infine la doratura a fuoco con amal- gama di mercurio, un momento alchemico e quasi magico. Nel 1436 anche il pitt giovane scultore ricordato dall’ Alberti, Luca della Robbia, stava lavorando all’opera che rimarra il suo ca- polavoro insuperato, la Cantoria di Santa Maria del Fiore: una son- tuosa balconata marmorea destinata a ospitare i] nuovo organo mag- giore realizzato per la cattedrale fiorentina, compiuta e consacra- ta in quello stesso 1436. La Cantoria, composta da dieci formelle istoriate, presenta cori, concerti ¢ danze di fanciulli che hanno la bellezza dei marmi classici pit: puri, la modulata armonia dei ri- lievi attici, inaugurando i] classicismo che sara poi di Raffaello, di_ 25 Perugino e di altri maestri del pieno rinascimento consapevoli del- la sublime lezione di Luca della Robbia. Ma sopra tutti gli scultori ricordati dall’Alberti spicca il grande Donatello, Donatello — possiamo affermare — é un artista senza il quale non si sarebbe fatto il rinascimento: per tutto il Quattrocen- to fu il pid apprezzato e il pit imitato, fondamentale non solo per Ja storia della scultura ma anche per quella della pittura. I rilievi a schiacciato di Donatello hanno una impaginazione architettonica, prospettica, una complessita narrativa che anticipa tutta la grande pittura del rinascimento a partire da Masaccio, Piero della France- sca, Mantegna, che com’é noto si nutre del soggiorno padovano di Donatello, fino ai protagonisti del Cinquecento. Lo straordinario Pro- feta Abacuc, una delle statue destinate al campanile di Santa Maria del Fiore, era l’opera che Donatello amava di pid ira le sue innu- merevoli sculture. Narra il Vasari che, mentre lavorava, Donatello si rivolgeva spesso a questa figura chiedendole: “favella, favella, che tivenga...”. Taaene dere achiaea lines crete analogo, pitt popolare episodio della vita di Michelangelo, in cui lo scultore, ira- to chiede al suo Mose: “Perché non parli?”. Il forte parallelismo tra i due aneddoti sottolinea come in Donatello si vedesse un anticipatore del “genio” di Michelangelo, in molti aspetti formali e anche uma- ni, II carattere scontroso e irascibile, ¢ nelle sue opere il naturali- smo impressionante, spesso ai limiti dell’espressionismo, il realismo anatomico, la fierezza e la cruda intensita espressiva, sono aspetti che di fatto precorrono l’esperienza michelangiolesca. Una conver- genza che un distico di Vincenzo Borghini, erudito contemporaneo del Vasari, cost dichiarava: “o lo spirito di Donato opera nel Buo- narroto 0 quello del Buonatroto anticipd di operare in Donato” Invero accanto a Ghiberti, Brunelleschi, Donatello e Luca vi era- 26 no altri artisti valenti: collaboratori ¢ comprimari che con loro ave~ Masolino e Masaccio, Resurrezione di Tabita, particolare, afresco, circa 1424- 1425, Firenze, Santa Maria del Carmine, cappella Brancacct eM telo, Profeta Abacuc, o, 1427-1436. Firenze, VOpera del Duomo mpanile della cattedvale) 180 vano stipulato societa e “compagnie”. Primo tra questi Micheloz. zo di Bartolomeo, uno dei nomi forse a torto dimenticati dall’Al- berti, architetto prediletto dai Medici e scultore di straordinario talento, come si vede nelle figure allegoriche del monumento a Bar- tolomeo Aragazzi di Montepulciano. Mediocre umanista di pro- vincia, molto ridicolizzato dai grandi fiorentini come Leonardo Bru- ni e Poggio Bracciolini, !’Aragazzi richiese alla bottega pitt ap- prezzata della citta, quella appunto coordinata da Donatello e da Michelozzo, un grande monumento marmoreo che fu uno dei pri- mi sepolcri umanistici. Lopera oggi purtroppo smembrata, ma le statue che la componevano si trovano tuttora nel duomo di Mon- tepulciano; tra queste vi sono due figure virili di straordinaria bel- Jezza, che potrebbero entrare a buon diritto nei manuali, ¢ anch’esse giustappunto come anticipazioni michelangiolesche. Da quanto detto emerge dunque un sistema delle arti non an- cora segnato dalle dispute sul “primato” o dai monopoli genera- zionali che affliggeranno la storia dell’arte nel Cinquecento, ¢ un quadro tale da ribaltare certe gerarchie convenzionali, In genere si pensa infatti alla storia delarte, e soprattutto alla storia dell’ar- te rinascimentale, prevalentemente come a una storia della pittu- ra: cosi, per esempio, lo spazio che i manuali attribuiscono alla pit- tura é di molto superiore a quello concesso alla scultura e all’ar- chitettura. Si tratta di una prospettiva falsata proprio dal dibatti to cinquecentesco sul “paragone” fra le arti, che portd il giudizio in favore della pittura. Riesaminando il drappello di innovatori ri- cordato dall’ Alberti se ne trae invece un bilancio ben diverso: tre sono gli scultori, a sottolineare il protagonismo della loro arte nel primo rinascimento, ¢ uno solo il pittore, Masaccio, oltretutto gia morto a Roma nel 1428 senza lasciare eredi degni del suo magi: stero. E al di sopra di tutti un architetto, definizione peraltro piut- tosto restrittiva se applicata a Brunelleschi, che una fonte quat- trocentesca ricorda come “re del mondo”, vale a dire un artista che dominava ogni esperienza dello scibile, dottissimo, in grado di in- tervenire in qualunque campo delle arti - pittore, scultore, orafo, ingegnere, letterato — al quale non a caso é dedicato il proemio del De pictura di Leon Battista Alberti. Negli anni trenta del Quattrocento Firenze vive un irripetibile stato di grazia, di cui troviamo testimonianza nella nostalgica rie- vocazione dell’umanista Vespasiano da Bisticci, di poco posterio- re alla meta del secolo: era la citta di Firenze in un “felicissimo ista- to, copiosissima d’uomini singulari in ogni faculta” e “piena di sin- gularissimi cittadini; che ognuno s'ingegnava nelle virtii avanzare l'un Paltro”. La convergenza di ingegni diversi evocata dall’uma- nista, lo spirito di emulazione, la libera e fruttuosa concorrenza, Pabitudine al confronto sollecitata dalla committenza pubblica dei grandi cantieri cittadini, ma anche da una nuova committenza pri vata, dei facoltosi borghesi e dei nobili fiorentini, é il motore pri mo del rinascimento artistico. Enon é un caso che proprio all'in- segna di un confronto epico tra scultori si apra il secolo e si inau- guri il nuovo cammino dell’ arte: il concorso del 1401 per la seconda porta, quella centrale, del battistero (la prima era stata eseguita nel 28 1430-1436 da Andrea Pisano). | | Be Per realizzare la seconda porta, che sara in seguito collocata sul Jato nord (e pertanto comunemente indicata come Porta Nord), im- portantissima poiché fulcro del monumento principe della citta per ragioni devozionali, storiche ¢ topografiche, I’Arte dei Mercanti, che sovrintendeva alla sua realizzazione ¢ curava P'intero arredo del bat- tistero, aveva indetto un concorso, ricordato nei Comsmrentari dallo stesso Ghiberti con parole che suscitano ancora oggi emozione: “Per tutte le terre d'Italia moltissimi dotti maestri vennono per metter- i a questa prova e questo combattimento, Furono i combattitori que- sti: Filippo di ser Brunellesco, Simone da Colle, Niccold d’Arezzo, Jacopo della Quercia da Siena, Francesco di Valdambrino, Niccold Lamberti”, oltre il Ghiberti medesimo. “Fummo sei a fare deta pro- va, la quale prova era dimostrazione di gran parte dellarte statua- ria, Vollono gli operai il giuicio loro scritto da uomini molto pe- riti tra pittori e scultori d’oro e di argento e di marmo. I giudica tori furono 34 tra quelli della citta e delle altre terre circostanti”. Con questa suggestiva testimonianza si conferma il concetto di unita delle arti, che - come abbiamo detto — subir una profonda crisi con le teorizzazioni cinquecentesche. E invece un concetto fon- damentale pet il primo rinascimento, che vede allineati su un fron- te unico orafi, scultori, pittori, architetti: ovvero tutte le competenze che furono chiamate in causa per giudicare gli elaborati di prova. Dei sei realizzati ne rimangono purtroppo due soli: le celebri for- melle oggi al Batgello, ma un tempo nelle collezioni medicee, del | Ghiberti ¢ del Brunelleschi, La “palma della vittoria” fu assegnata al Ghiberti, che scrive: “mi fu conceduta da tutti i periti e da tutti quelli si provarono meco”, Dunque anche gli altri contendenti s espressero a favore della formella del Ghiberti, e con un giudizio assolutamente unanime: “universalmente mi fa conceduta la glo- ria senza eccezione”. E tuttavia possibile che le cose non fossero andate esattamente come il Ghiberti ce le volle tramandare, poiché nella biografia di Filippo Brunelleschi scritta intorno al 1485 da Antonio Manetti, si afferma che Brunelleschi ebbe un giudizio di parita, preferendo poi lasciare l'impresa al Ghiberti. Se cosi veramente @ stato bisogna ri- conoscere che tanto Brunelleschi quanto lo stesso comitato furo- ro lungimiranti, e in grado di capire a fondo quali fossero le com- petenze specifiche dei due artisti. Ghiberti, per la sua sua grande perizia nella fusione dei bronzi, era certo la persona pitt adatta per realizzare quell’opera spettacolare che sara la Porta Nord, Ti confronto tra le due formelle — un esercizio per cosi dire ‘sco- lastico’ — ci consente di capire come la concezione artistica del Bru- nelleschi fosse piti avanzata di quella del Ghiberti, la cui formella rivela peraltro una raffinatezza esecutiva di gran lunga superiore, sep- pur ancora legata a una cultura che iniziava a manifestare segni di ctisi, Nella formella del Brunelleschi compaiono numerose, complesse desunzioni dallarte antica: il Cavaspina a sinistra, I'Arrotino a de- stra, a fronte del solo torso classico citato dal Ghiberti nel nudo di Isacco, Inoltre nella formella del Brunelleschi esiste una contimuit’a natrativa che lega tutte le figure impegnate nella storia, e soprattutto Pangelo che ferma il braccio di Abramo proprio mentre @ sul pun- to di sferrare a Isacco il colpo mortale. In quella del Ghiberti al con- ello © Luca della Robbi Don Brunclleschi e Gbib 29 LY EM ED 30 trario, si nota una cesura tra le varie figure inserite nella scena, Ma, soprattutto, nella formella del Brunelleschi troviamo gia zr muce quel- la che sara una delle problematiche fondamentali per ’arte del ri- nascimento, ¢ in particolre per 'esperienza brunelleschiana, vale a dire la ricerca di una profondita spaziale, Nella narrazione del Ghi- berti la scena si svolge tutta su di un medesimo piano, solo generi- camente cadenzato da uno sperone di roccia; nella raffigurazione del Brunelleschi, invece, i servitori di Abramo e il somaro, colloca- tiin primo piano, consentono all’osservatore di compiere uno scat- to in profondita e di proiettare la scena del sacrificio in una sorta di spazio ulteriore, in secondo piano: un espediente che anticipa le ricerche brunelleschiane sulla spazialita e sulla prospettiva, Si deve anche rilevare che, mentre la formella del Ghiberti é una fusione unica, quella del Brunelleschi risulta fusa in tre pezzi, a di- mostrazione del fatto che egli non era un virtuoso della fusione, come il Ghiberti, rivelando una concezione tecnica ¢ un pensiero pitt pragmatico, da architetto: lo spirito pratico brunelleschiano si contrappone al virtuosismo dell’orafo. Il Manetti ricorda del resto che Brunelleschi realizz6 la sua formella rapidamente, mentre Ghi- berti impiegs molto tempo. I! suo lavoro fu rallentato anche dal fatto che, avendo sentito lodare la formella di Filippo, gid realiz zata, “fece pensiero di valersi con industria, con umiliarsi chiede- re consiglio a tutti quelli ch’egli stimava, che per uomini intendenti Pavessono a giudicare, com’erano orafi, dipintori ed altri scultori, accid che la sua non mancassi al paragone, E mentre che la faceva Lorenzo Ghibert, Sactificio i Isacco, bronzo dorato, 1401 Firenze, Museo naxionale del Bargello (dall’Arte di Calimeala, poi Guardaroba Mediceo) Filippo Brunelleschi, Sacrificio Firenz bronzo dorato, 1401. Museo nazionale del Buargello (dall’Arte di Calimala, laroba Mediceo) di cera, sempre conferi chiese consiglio, e tante volte ¢ tutto ¢ parte disfece e rifece”. Un tale atteggiamento del Ghiberti ribadi- sce ancora un volta il concetto di unita tra le arti ¢ la fede degli ar- tisti fiorentini nell’ opportunita del confronto: E probabilmente fu proprio il consiglio di alcuni amici che avevano potuto esaminare Ia formella di Brunelleschi a suggerire al Ghiberti l'inserimento di quel brano all’antica, che altrimenti non avrebbe fatto parte del re- pertorio ghibertiano. In effetti nella Porta Nord le citazioni dal- Parte classica saranno assai sporadiche, ma evidentemente Ghiberti aveva intuito che la rinascita dell’ antico e il gusto archeologico era- no nelParia e che potevano costituire qualcosa in base al quale si sarebbe esercitato il giudizio: ossia che alcuni degli artisti, dei pe- titi che dovevano stimare la formella avrebbero apprezzato la pre- senza di richiami alla scultura antica, greca o romana. Ma quali sono le componenti culturali che qualificano le due for- melle in concorrenza? La cultura prevalente, soprattutto nella for- mella del Ghiberti, & quella del gotico internazionale, che legava le esperienze fiorentine a quelle dell’arte d’oltralpe, caratterizzata da un’estrema eleganza formale, da una sensibilita naturalistica vivace ma ancota empitica ed episodica, e da un gusto suntuario esube- rante ¢ quasi fiabesco. F. Ja cultura ben esemplificata da una statuetta in bronzo raffigurante San Cristoforo, molto vicina al Ghiberti che sitrova al musco di Belle Arti di Boston: opera gia attribuita al Ghi- berti stesso ma anche ad un possibile maestro franco-tedesco, “ol- tremontano” come si diceva al tempo. Si potrebbe pensare al mi- ‘Brunelleschi e Gbibert, Donatello e Luca della Robbie, Masacio: le arti a 31 sterioso orafo di Colonia “maestro Gusmin” menzionato ¢ apprez- zato proprio dal Ghiberti nei Commentari come “molto perito nel- Parte statuaria, al pari degli statuari antichi e greci”, Cosi, per Ghi- berti il pit diretto confronto non era tanto con Pesperienza degli antichi ma con quella di chi gia al proprio tempo aveva cercato di emulare la grandezza degli antichi, come appunto maestro Gusmin. Questi, continua Ghiberti, “fece le teste meravigliosamente bene (in- tendendo forse la caratterizzazione espressiva dei volti) e ogni par- te ignuda”, Dunque, per quanto il nudo nell’arte fosse ancora agli albori siamo davanti a un maestro che si era gia cimentato con l’'a- natomia umana. “Non era altro manchamento in lui se non che le sue statue era- no un poco corte”, osserva inoltre il Ghiberti, ¢ non é un giudizio di poco conto: il fatto che queste statue apparissero “un poco cor- te” @infatti un punto cardine per le problematiche del rinascimento. Evidentemente Gusmin, o comungue il maestro di cui parla Ghi- berti, proprio come il grande scultore borgognone Claus Sluter, at- tivo alla fine del Trecento a Digione, era in grado di sviluppare un naturalismo epidermico straordinario, di caratterizzare fisionomie 32 e teste in maniera superba, ma non possedeva ancora la scienza del- Jacopo delle Quercia, ‘Madonna del Melograno, marmo, 1403-1408, Ferrara, Museo del Duomo (dalla cattedrale) Donatello, San Giorgio, marmo, 1416-1418, Firenze, Museo nazionale del Bargello (a Orsanmicbele) Donatello, David, marmo, 1416. Firenze, Museo nazionale del Bargello (da uno sprone del tamburo della cupola in eattedrale) le propotzioni, che sara uno dei fondamenti della ricerca rinasci- mentale. Cid che Ghiberti valuta come errore veniale, per Brunel- leschi sarebbe stato motivo sufficiente per negare l'apprezzamen- to di un artista. A Brunelleschi infatti interessano le sculture degli antichi in quanto oltre a una grande sapienza anatomica, rivelano soprattutto una scienza delle proporzioni che va recuperata e imi- tata, Figure ben proporzionate, come si diceva al tempo, secondo canoni matematici e geometrici molto precisi. Lo si capisce bene osservando la figura a destra nella formella del Brunelleschi, de- sunta da una delle statue antiche pitt note e piti replicate ai tempi del concorso del 1401, il Cavaspina. Si tratta di un modello greco conosciuto attraverso copie romane, di cui esistono molteplici re- dazioni in marmo e una versione in bronzo che si trovava sin dal XII secolo a Roma presso il palazzo del Laterano: visibile pertan- to a tutti, ¢ accessibile agli artisti gia agli albori del Rinascimento, prima cio che si sviluppassero il gusto per lo scavo e per Ia ticer- eco: le artia con 3B eee ca archeologica delle testimonianze dell’antichita. E proprio il Ca- vaspina sari uno dei prototipi antichi pitt frequentemente imitati ¢ ripetuti nel? arte rinascimentale, Come abbiamo visto, trai “combattitori” nel concorso del 1401, Ghiberti ricorda anche Jacopo della Quercia e Francesco di Val- dambrino, due senesi. Di questi non rimangono le formelle eseguite per il concorso, ma ci sono giunte diverse sculture di poco succes- sive che possono darci un’idea di come sarebbero state le loro pro- ve. La Madonna lignea che si trova nella chiesa di Sant’Andrea a Palaia, firmata da Francesco di Valdambrino, @ datata 1403, e fu dun- que realizzata all’indomani del concorso. Da quest’opera si com- prende come Francesco, per quanto scultore di grande calibro, non dovette essere in grado di contendere la palma della vittoria al Ghi- berti, legato ancora com’era ai modi gotici trecenteschi della tradi- zione pisana. Forse pitt competitivo possiamo immaginare Jacopo della Quercia, autore della celebre Madonna del Melograno in mar- mo realizzata per il duomo di Ferrara intorno al 1403-1408. Si trat- ta di un’opera che anticipa quel vigore plastico che sara tipico del- la scultura quercesca, sebbene essa pure legata a stilemi di un go- tico non ancora aggiomnato con quelle attenzioni all’arte d’oltralpe e allarte antica di cui invece Ghiberti era fautore. Enel cantiete di Santa Maria del Fiore, pit che in quello del bat- tistero, che si gioca la partita del primo rinascimento, ¢ proprio in- tomo all’impresa della cupola. Gia alla fine del Trecento si era ini- ziato a realizzare un complesso di grande interesse decorativo sul fianco nord della cattedrale fiorentina, frutto dell'impegno colletti- vo di numerosi maestri che lavorano insieme e si avvicendano: la Por- ta della Mandorla. Vi detteto il loro contributo Giovanni d’Ambrogio, Piero di Giovanni ‘Tedesco, Jacopo di Piero Guidi — i maestri pit arcaici che scolpirono gli stipiti -, Niccold di Pietro Lamberti, un altro dei maestri che parteciparono al concorso del 1401, Nanni di Banco, che sara uno dei pionieri del rinascimento e responsabile del bellissimo rilievo con la Madonna della Cintola, e il giovane Dona- tello. Nanni di Banco muore nel 1421 e Donatello, che gia vi ave va lavorato in precedenza realizzando il profetino posto a corona- mento della cuspide di sinistra e il Cristo i pieta nel sottarco, su- bentra a completare quest’opera, eseguendo due innovative teste a rilievo schiacciato. Intorno al 1420 vi collaborarono anche Luca del- la Robbia, probabile autore del profetino sulla cuspide di destra, ¢ Brunelleschi, che era al tempo capomaestro dell’ Opera del Duomo, responsabile del disegno di un bellissimo fregio a tarsie marmoree raffiguranti lampade appese, che richiama gli ingegni progettati da Brunelleschi stesso per la costruzione della cupola. Narrano infatti i biografi che la realizzazione della cupola — che occupd Brunelleschi a partire dal 1417, anno del relativo concor- so, al 1436, quando si chiuse la grande calotta -, impresa di altissi- ma ingegneria, vide Parchitetto impegnato anche nella progettazione di una serie di macchine e strutture accessorie, come speciali pal- chi atti a sostenere gli operai mentre lavoravano in modo che non soffrissero di vertigini, e lampade a bilico che potessero venire ap- pese ai ponteggi senza versare l’olio rimanendo sempre accese. Le 34. fonti testimoniano che Brunelleschi non trascurava il minimo det- Giovanni d’Ambrogio, Excole, particolare dello stipite destro della Porta della Mandorla, marmo, citea 1390. Firenze, tedrale, fianco nord taglio, spingendosi fino ad allestire delle locande sopra i ponteggi in modo che gli operai non dovessero scendere ai piedi della cu- pola per ristorarsi. Progettd inoltre piani inclinati per agevolare il traspotto dei marmi per i costoloni e per la lanterna, e mise a pun- to mattoni di forma e consistenza particolari: mattoni leggetissimi, tali da non gravare sulla statica della cupola. Un’altra caratteristica brunelleschiana sottolineata dalle fonti & la grande liberalita dell artista, incline, ove questo non gli recasse danno, a far partecipi tutti colleghi delle sue invenzioni, Cid non impedi, tuttavia, che quando gli venne affiancato il Ghiberti~ il qua- le oltre a essere orafo ¢ scultore vantava anche competenze di ar- chitetto — per lesecuzione delle catene in pietra della cupola, in quan- to non si credeva che Brunelleschi potesse realizzarla senza arma- ture portanti, quest’ultimo, irritato oltre ogni dire, si fingesse mala- to. Ghiberti progettd delle catene che si rivelarono inadatte, e i re- sponsabili dell’Opera dovettero pertanto recarsi da Brunelleschi per pregarlo di tornare al lavoro quale unico responsabile dell'impresa. La liberaliti di Brunelleschi rievocata dai biografi @ una con- suetudine di cui si nutrono anche i pittori, gli scultori e soprattut- to i “maestri di prospettiva”, ovvero i maestri di tarsia, che realiz~ zavano artedi lignei intarsiati con motivi geometrici e ilusionistici: nei primi decenni del Quattrocento con semplici elementi decora- tivi, poi, a partite dal terzo-quarto decennio del secolo, con raffi gurazioni pit complesse di oggetti o vedute di citt3. Laarte della tar- sia nasce proprio grazie ai suggerimenti di Brunelleschi, percid non & fuor di luogo che la tarsia marmorea della Porta della Mandorla possa essere frutto di un disegno brunelleschiano Negli stipiti della Porta della Mandorla compare uno dei pri- mi mudi all'antica, precoce avvisaglia dell'interesse archeologico che qualifichera gli artisti del rinascimento: si tratta di un piccolo Fr- cole, quasi perso nei fogliami dello sguancio di sinistra. E: un bra- no che pud sfuggire a un’osservazione superficiale, ma di ecce- zionale importanza anche perché probabilmente siamo ancora in- torno al 1390, Ltautore del concio — il pezzo di marmo dove com- pare questa immaginetta — @ infatti Giovanni d’ Ambrogio, che in- serisce una tale citazione dall’antico forse per suggerimento di qual- che collega pid aggiornato. Ritornando sul concetto di liberalita, della comunanza di espe- rienze di cui parecchie biografie di artisti del primo Quattrocento fiorentino fanno menzione, si deve aggiungere che lo stesso Ghi- berti vantava di aver dato “prowwedimenti”, cio modelli, a un’in- finita di artisti; arrivando a sostenere che quasi tutto quello che si era fatto a Firenze lo si doveva ai suoi suggerimenti, disegni, bo zetti forniti ai colleghi, ai compagni, agli amici. E questa stessa I beralita che Ghiberti apprezza nel citato maestro Gusmin, il qua- Ie ticeveva molto umilmente “i giovani che avevano volonta d’a- parare, dando loro docti amaestramenti e mostrando loro moltis sime misure e faccendo loro molti exempli”. Tali insegnamenti di maestro Gusmin, cosi come quelli di Ghiberti, dovevano tradursi in modelletti, bozzetti, calchi, taccuini di disegni che citcolavano di bottega in bottega. Ghiberti riferisce infatti di aver visto “mol- tissime figure formate dalle sue”, cioé riprodotte a calco. L'uso dei bia bert, Donatello e Luca della Ro 35 calchi come strumento per la circolazione dei modelli fu molto fre- quente nel primo rinascimento e viene gia illustrato in maniera do- viziosa nel diffuso trattatello di Cennino Cennini, destinato a for- nire precetti pratici sulla pittura. I! libro dell’arte si chiude proprio con alcuni paragrafi dedicati al modo di trarre calchi in gesso dal- la statuaria, e addirittura dalla natura, corpi e volti compresi. Que- sta vasta citcolazione di calchi dovette pertanto costituire uno de- gli strumenti che favorirono la conoscenza delle antichita ¢ anche di quanto si andava realizzando in botteghe e in citi lontane. Abbiamo detto che i cantiere di Santa Maria del Fiore é quel- Jo in cui maturano, emergono e si confrontano i protagonisti del p: mo rinascimento, e pienamente consapevole é gia il confronto fra il giovane Donatello ¢ il pitt maturo, autorevole Nanni di Banco. Nel 1408 i due sono chiamati a eseguire, ciascuno per proprio con- to, due profeti da porte sugli sproni, vale a dire sui contrafforti che sostenevano il tamburo della grande cupola, pensati come le prime di una serie di dodici statue. Il David di Donatello si trova oggi al 36 Bargello, I’Isaéa di Nanni di Banco all’interno del duomo. I con- Donatello, San Giovanni Evangelista, marmo, 1408-1415. Firenze, Museo dell’ Opera del Duomo (dalla facciata della cattedrale) ce fronto ci permette di constatare come, nonostante Nanni di Banco fosse uno scultore gia proiettato verso lo studio dell’antico, confe- rendo alla testa dell’Tsaia un piglio eroico ¢ una gestualita fiera de- rivata dalla statuaria classica, nella concezione d'insieme indugi an- : cora sui goticismi, come denota l'inarcarsi accentuato della figura. Questo inarcamento non é del tutto estraneo alla scultura di Do- natello, che tuttavia ruota nello spazio in una maniera davvero nuo va. Sebbene le due figure dovessero ergersi su degli sproni, quindi essere viste a tutto tondo, quella di Nanni @ pensata in maniera an- cora bidimensionale, come un’opera da collocare in una nicchia; e non a caso la sua destinazione finale sara proprio una nicchia al- Vinterno del duomo. La figura di Donatello, invece, tende gi alla rotazione, impostando il problema delle vedute molteplici e del mo- vimento spiraliforme che sara poi uno dei temi centrali nell’evolu- zione della statuaria cinquecentesca fino al Giambologna, con la tap- pa saliente del Bacco giovanile di Michelangelo. Le due sculture una volta issate sugli sproni risultarono troppo piccole in rapporto alla grande altezza dell’edificio; furono percid calate ¢ reimpiegate al- trove. La vicenda delle statue per gli sproni, come vedremo, avr tun esito di grande interesse poiché il David marmoreo verra sosti- tuito da un colossale profeta, di oltre cinque metti, realizzato da Do- | natello nel 1410 in terracotta: tecnica cara agli antichi ma comple- tamente perduta durante il medioevo. Un rinascimento, percid, che | rinascita non soltanto di forme, ma anche di tecniche. Ma non sono solo le statue degli sproni a mettere a confronto i nuovi talenti; accade altrettanto con le statue per la facciata di San- ta Maria del Fiore, purtroppo rimasta interrotta e sciaguratamen- { te demolita verso la fine del Cinquecento, quando verra sostituita | da una struttura posticcia: infatti, com’ noto, la cattedrale di Fi- renze ha oggi una facciata realizzata da Emilio de Fabris nella se- conda met dell’Ottocento. Per fortuna, di quella originaria, in viata da Amnolfo e proseguita dai maestri del primo Quattrocento, rimane un grande disegno di Bernardino Poccetti: una sorta di ri- lievo, che si trova nel Museo dell’ Opera del Duomo, eseguito po- co prima della demolizione, intorno al 1587. Questo disegno ci il- Tustra a che punto era atrivata la facciata, ¢ la collocazione di una grande quantita di statue che poi subiranno adattamenti, verran- no destinate ad altri impieghi, o addirittura migreranno nei giar- dini fiorentini. Infatti molte furono ritrovate nell’ Ottocento come ornamenti del giardino di Boboli, o nei giardini privati, talune gra- vemente deteriorate. Tra il 1408 e il 1415 vengono scolpite per la facciata del duo- mo quattro statue rafliguranti gli Bvangelisti, da collocare entro nic- chie ai lati della porta centrale, Gli autori sono Niccolé Lamber- ti, artista di cultura tardogotica attivo nella Porta della Mandorla e presente al concorso del 1401, Bernardo Ciuffagni, uno sculto- re gia incline al donatellismo, Donatello e Nanni di Banco, i veri protagonisti di questa impresa. Il San Giovanni evangelista di Do- natello potrebbe indurci a ribadire il discorso del? anticipazione mi- chelangiolesca, prefigurando il Mosé di Michelangelo per l'im- pressionante fierezza, 'intensita espressiva, il volto accigliato e qua- siirato, la lunga barba fluente. II San Luca di Nanni di Banco, espti-. 37 eartia confronto me invece una ‘ponderatio’ da antico oratore romano, dichiaran- do che in questi anni artista si era messo al passo con una pitt at- tenta, consapevole, approfondita riscoperta dell’arte classica. Nel: Ja statua di Donatello dobbiamo inoltre osservare un curioso arti ficio di grande interesse: la parte superiore & molto pid sviluppa- ta rispetto a quella inferiore, il che parrebbe negare tutto quello che abbiamo detto sullo studio delle proporzioni. Al contrario, Do- natello, consapevole che la scultura doveva essere vista dal basso, sviluppando la parte alta ¢ abbreviando quella bassa, fa in modo che Posservatore aggiusti otticamente le proporzioni in base al suo punto di vista. Osservata in modo corretto la statua riacquista in- fatti le sue giuste proporzioni. E. un artificio di grande intelligen- zae ingegno, che rivela un fecondo dialogo tra arte ¢ ottica, arte scienza delle proporzioni, arte e geometria. T primi anni del Quattrocento costituiscono davvero un momento di vitale unit tra arte ¢ scienza, che determina una rinascita delle 38 tecniche artistiche pid diverse, tra le quali si afferma in particolar Naan di Banco, San Laten Evangelista, marmo, circa 1411 1414. Firenze, Museo dell’Opera del Duomo (dalla facciata della cattedrale) Lorenzo Gbiberti San Giovanni Battista, bronzo, 1415. Firenze, Orsanmicbele modo quella della terracotta, Quest’arte, destinata a grandi splen- dori per tutto Parco del rinascimento, viene coltivata soprattutio da Donatello ¢ in seguito da Luca della Robbia, probabilmente soste- nuti da Brunelleschi che i documenti ricordano assai perito nella cottura delPargilla, E una tecnica che da luogo a grandi e piccoli capolavori, tra i quali le numerose immagini di devozione dome- stica raffiguranti la Madonna con Barabino che spesso rivelano una singolare sintonia tra Yesperienza del Ghiberti, di Jacopo della Quer- cia ¢ di Donatello. Le opere in terracotta, un materiale che si sa- rebbe portati a considerate ‘povero’, erano in realta molto apprez~ zate, Giovanni di Bicci de’ Medici, padre di Cosimo il Vecchio e uno degli uomini pit raffinati e colei della cittd, teneva nella sua ca- mera una piccola Madonna in terracotta, Cid significa che il mate- riale non era considerato adatto solo a una produzione minore, con costi piti contenuti, e che gli veniva conferita una notevole dignita. le Robi, Masaccio: le artia confronto ‘Brunelleschi e Gbiberti, Donatello e Luca de 39. Nanné di Banco, Quattro Santi Coronati, mrarmo, 1411-1414. Firenze, Orsanmichele I collaboratori di Donatello e di Ghiberti si fanno ovunque por- tavoce, interpreti e divulgatori di questa nuova arte della terracotta Michelozzo esegue un Battista per la chiesa della Santissima An- nunziata alto quasi due metri che tuttora vi si conserva, mentre il co- lossale profeta Giosw in terracotta realizzato da Donatello per il duo- mo purtroppo é andato distrutto nel Seicento. Gli agenti atmosfe- rici hanno avuto la meglio su questa stata, nonostante la terracot- | ta fosse un materiale piuttosto resistente, ¢ le intemperie specialmente sensibili sullo sprone rivolto a nord, ne danneggiarono rapidamen- | te la bianca cromia, cosa che indusse Donatello ¢ Brunelleschi a spe- | rimentare soluzioni pitt durevoli, quale sara la terracotta invetriata, | adottata da Luca della Robbia a partire dal 1440. Abbiamo inoltre alcuni piccoli maestri molto significativi per la scultura fittile, aleu- 40 ni dei quali attestati trai collaboratori del Ghiberti alla Porta Nord del battistero, come Michele da Firenze che esportera quest’arte in Veneto, in Emilia e per tutta la Toscana: un maestro dedito esclusi- vamente alla produzione di opere in terracotta, spesso di grandi di- mensioni ¢ importanza, come il monumentale polittico realizzato nel 1440 per il duomo di Modena, in origine collocato sull’altare mag- giore ¢ solo in seguito spostato in una cappella laterale. La rinascita della terracotta, stimolata dalla lettura di Plinio e dall’ammirazione per i reperti etruschi, non é che uno dei molte- plici frutti di quella pit ampia rinascita dell’arte, della scienza e del- | la civilta del mondo classico cui gia abbiamo alluso, e che vede co- |= me principali, strenui fautori Brunelleschi ¢ Donatello. Le fonti, per esempio, ricordano che Brunelleschi non esitava ad andarsene “di corsa a piedi” a Cortona per disegnare un sarcofago antico appe- na scoperto, I sarcofagi romani rappresentavano i testi figurativi pitt ricchi ¢ accessibili per la conoscenza dell’arte antica. Tl camposan- to di Pisa ne offriva un repertorio estremamente vasto, composto di sarcofagi romani reimpiegati durante il medioevo come sepol- ture, come del resto si potevano trovare in molti altri luoghi del ter- ritorio toscano, Intorno al 1402-1404 Brunelleschi si era recato a Roma con l’amico Donatello per studiare, misurare ¢ disegnare le testimonianze dell’architettura e della scultura antica: “pezzi di ca- pitelli, colonne, cornici e basamenti”. E da questo studio attento e indefesso che nasce l’architettura brunelleschiana, ¢ con essa il lin- guaggio architettonico rinascimentale: sia nelle sue tipologie, sia nel repertorio decorativo, come i capitelli cotinzi bellissimi del porti- co degli Innocenti, sia soprattutto nei suoi valori strutturali e nei suoi rapporti proporzionali, Brunelleschi e Donatello a Roma “s vano” perché fino a quel tempo i monumenti erano coperti, inter rati; e solo a partire dalla fine del Quattrocento si affronteranno per- lustrazioni archeologiche pitt sistematiche con la scoperta della Do- mus Aurea di Nerone e, all’inizio del Cinquecento, della pit gran- de testimonianza statuaria dell’antichita ellenistica, il Laocoonte. Ma gia Brunelleschi e Donatello “scavano” per riportare alla luce quan- to la storia e il tempo avevano sepolto, ingoiato in un profondo oblio, tanto che il popolino dell’Urbe li soprannomina “quelli del teso- 10”, senza comprendere che a loro gemme e monete non interes- sano per i materiali preziosi, bensi come documento formale e ico- nografico, I] pid: grande tesoro che stavano dissotterrando era in~ fatti la bellezza e la scienza dell’arte classica. Le ricerche comuni offrono ulteriori occasion per confrontar- si, ei due amici, Brunelleschi ¢ Donatello, ‘gareggiano’ nella rea lizzazione di due Crocifissi lignei. Il primo fu intagliato da Dona- tello per la chiesa di Santa Croce, intorno al 1410, Donatello, or- goglioso di questa sua scultura, chiama l'amico Brunelleschi e gli mostra opera. Al che Brunelleschi lo guarda ed esclama: tu hai “meso in croce un contadino et non il corpo di Christo”, Cosa avra voluto dire? Un contadino per l’aspetto un po’ rude? No, non cer- to per questo, come dimostra il Cristo eseguito poco pitt tardi da Brunelleschi. Donatello, punto sul vivo, aveva infatti apostrofato l'a- mico “togli del legno ¢ fanne uno tu”. Brunelleschi accetta la sfida e dopo qualche tempo, portata a compimento la scultura, la pre- senta a sorpresa a Donatello il quale, ammirato e stupefatto, lascia 41 cadere le ova che portava nel grembiule esclamando “a te & con- ceduto fare i Cristi, ed a me i contadini”. Questo ben note, diver- tente aneddoto vasariano, sara certo una ‘favola’, ma cela una so stanviale verita, in quanto nella tipologia del “Cristo contadino” di Donatello manca la scienza delle proporzioni, un’anatomia armo- nicamente concepita, mentre il Cristo di Brunelleschi pet la prima volta elabora una figura paradigmatica, al pari del celebre disegno di Leonardo con P'uomo iscritto nel cerchio e nel quadrato. La na- tura ‘perfetta’ del Cristo e la disposizione ‘scuadernata’ del corpo crocifisso gli avevano offerto lopportunita di dare dimostrazione delle sue ricerche anatomiche e sulle proporzioni umane, Nel suo Crocifisso Brunelieschi formula infatté un ‘canone’ proporzionale che sara seguito da molti artisti del rinascimento, e mostra un’anato- mia vera, descritta in ogni minima tensione muscolare, raffiguran- do per la prima volta un Crocifisso interamente nudo. Un altro cantiere che al pati di quello della cattedrale mete a paragone i protagonisti della scultura del primo rinascimento, in tun singolare rapporto tra statuaria e microarchitettura, @ il cantie- re di Orsanmichele dove, durante il secondo decennio, si con- frontano di nuovo Ghiberti, con il Battista ancora molto legato agli stilemi della Porta Nord, ¢ Brunelleschi che in base agli ultimi stu- di sembra essere 'autore del San Pietro ¢ delle tarsie marmoree del- la relativa nicchia che ne rivelano il gusto prospettico sfondando illusionisticamente il parato; e ancora Donatello, col Sar Marco, € Nanni di Banco, che realizza il primo gruppo statuario della storia della scultura moderna, i Quattro Santi Coronati. Sono figure che hanno la pregnanza fisiognomica della statuaria romana, e quindi una grande modemita, mentre nella predella con la scena narrati- va dei quattro santi al lavoro — erano scultori e architetti anch’es i— Nanni fa un passo indietro, risultando ancorato all’idea del- Palto tilievo di tradizione gotica, Nella figura al centro del grup- po reimpiega una scultura che probabilmente aveva inizialmente realizzato per gli sproni: se la si osserva ha infatti le stesse moven- ze dell'Isaia. Il Vasari ci racconta che Nanni ebbe non poche dif- ficolta a mettere insieme queste quattro statue all’interno della nic chia — evidentemente ricavate riutilizzando marmi precedentemente 42 abbowzati —e che fu proprio Donatello a risolvergli il problema Donatello, Crocifisso, legno policromo, 1410-1415. Firenze, Santa Croce Filippo Brunelleschi, Crocitisso, legno policromo, 1410-1415. Firenze, Santa Maria Novella Donatello, San Ludovico da Tolosa, bronzo dorato, ines 1423, Firenze, Museo dell’Opera di Santa Croce Quindi ancora una volta collaborazione, amicizia, aiuto reciproco. Ed @ per Orsanmichele che Donatello scolpisce il suo spettacola- re San Giorgio, nel 1418, oggi conservato al Bargello e sostituito in loco da una copia: una scultura che nella fierezza eroica prefigura il David di Michelangelo. Nel successive Sam Matfeo vediamo un Ghiberti in qualche modo rinnovato, piv incline allo studio della statuaria antica, anche nella nicchia non piti goticheggiante ma pro- porzionata secondo canoni parabrunelleschiani. Col San Ludovico per il tabernacolo di Parte Guelfa, anche Donatello affronta il bron- zo. E una fusione spettacolare realizzata in pid pezzi utilizzando delle stoffe imbevute nella cera: quindi con modalita assolutamente innovative rispetto alla tecnica tradizionale ghibertiana. Donatel- Jo @ infatti, al pari di Brunelleschi, un grande sperimentatore. ‘Abbiamo gia detto che mentre Ghiberti si impegna a conclu- dere la seconda porta del battistero, cio’ Ja prima da lui realizza- ta, la Porta Nord che trovera compimento nel 1425, Brunelleschi @ al lavoro in quella titanica impresa che & 'immensa cupola di San- ta Maria del Fiore. II suggestive camminamento nell’intercapedi- ne evidenzia come tale struttura sia costituita da due cupole con- nesse, legate una all’altra, e mostra mattoni di forma particolare, disposti con Vinedita tessitura a spina di pesce. E chiaro come la pittura, che Alberti chiama in causa solo con Masaccio, a questa data indugiasse ancora su posizioni inadegua- te ai nuovi passi e ai nuovi raggiungimenti della scultura, risultan- do semmai pid in sintonia con 'esperienza del Ghiberti. Una del- le formelle della Porta Nord infatti ben si presta al confronto con l’ Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano, dipinta nel 1420 per uno dei pitt facoltosi ¢ colti committenti della citta, Palla Strozzi, che evidentemente prediligeva ancora un linguaggio fiabesco, pre- zioso qual @ quello della pittura del gotico internazionale. Del re- sto intorno al 1420 il tardo gotico, nonostante i primi passi profon- damente innovativi in senso rinascimentale degli artisti che abbia- mo visto, @ ancora il linguaggio pit diffuso nella cultura fiorenti- na ¢ italiana, Frattanto Brunelleschi si dedica sempre pitt all’ar- chitettura ed é proprio ’impegno matematico-geomettico che gli consente di fomulare una nuova ‘invenzione’ che sara fondamen- tale per i pittori: Je regole della prospettiva, in seguito raccolte € teorizzate proprio nel De pictura dell’ Alberti, del 1436. La ricerca di moduli proporzionali nell’architettura, di spazi mi- surabili, porta infatti Brunelleschi a elaborare intorno al 1418 il pri- mo dipinto costruito secondo i principi della prospettiva lineare: vale a dire con una linea @’orizzonte rapportata all’altezza dell’os- servatore e con linee di fuga che convergono in un punto coinci- dente con il punto di vista. Questo dipinto fu una sorta di opera dimostrativa, di gioco ottico, che Brunelleschi realizz6 raffiguran- do il battistero di Firenze visto dall’interno della porta della cat- tedrale che gli sta di fronte, su di una tavoletta con un foro in cor- rispondenza del punto di fuga. La tavoletta non veniva osservata direttamente ma facendo uso di uno specchio: ovvero si guardava attraverso il foro Ia tavoletta riflessa nello specchio tenuto davan- ti aessa, Nella tavoletta il ciclo non era dipinto, ma realizzato in ar- gento in modo che visi riflettessero le nuvole. Brunelleschi, dunque, ‘Brunelleshi e Ghibers, Donatello ¢ Lace della Robi, Masaccio: le arti a confronto 4B individuata la persona alla quale voleva dimostrare che la regola prospettica consentiva di raffigurare il visibile secondo i principi della percezione ottica, la portava in duomo ¢ la metteva davanti al battistero facendogli osservare la tavoletta riflessa nello specchio, poi chiedeva di levare lo specchio e di osservare il battistero reale attraverso il foro. Si aveva a questo punto la riprova che il meto- do prospeitico consentiva al pittore di raffigurare Pedificio, ¢ un edificio complesso come un poliedro geometrico, in una maniera tale da ingannare la vista, ottenendo un’immagine affine a quella petcepita dall’occhio umano. Le nuove ricerche di Brunelleschi passarono prima negli scul- toti che nei pittori, accolte in modo magistrale dall’amico Dona- tello che gid nel 1418 inseriva un’architettura prospettica nel ri- lievo con San Giorgio e il drago per il tabernacolo dell’ Arte dei Co- tazzai in Orsanmichele: cosa ben diversa rispetto agli edifici rap- presentati nelle formelle del Ghiberti per la Porta Nord. Il con- fronto tra Ghiberti ¢ Donatello, ¢ tra di essi e due artisti senesi, Jacopo della Quercia e Giovanni di Turino, si concretizza nelle for: melle bronzee realizzate per il fonte battesimale del battistero di Siena intorno al 1425. Una data importante, da considerare come un punto di svolta in quanto é ora attivo il giovane Masaccio col quale si affaccia anche la nuova pittura. Ghiberti e Giovanni di Tu- rino, orafo senese al quale Ghiberti prestava i suoi disegni - co- me si deduce da una lettera del 1425, in cui richiede la restituzio- ne di certe “charte delli uccelli” — realizzarono formelle dove 'am- bientazione & ancora molto astratta, convenzionale, come in una pittura trecentesca. Mentre nella straordinaria formella di Dona: tello con il Banchetto di Erode sono applicate con virtuosismo nel rilievo ‘a schiacciato’ tutte le regole brunelleschiane della prospettiva lineare, in modo da configurare un sorprendente, veridico scena- tio di grande complessita spaziale e architettonica, articolato su mol- teplici piani, sfondato e attraversato da portici, e persino movi- mentato da un fantasioso gioco di conci smossi, alcuni aggettan- ti, altri caduti. La suggestione di un tale impaginato architettoni- co-prospettico fu immediatamente recepita da Jacopo della Quer- cia, che nella sua formella raffigurante Zaccaria cacciato dal tempio siadegua, pur con qualche impaccio, alle novita della scultura do- natelliana, fino a imitarne I’ Abacuc nella figura all’estrema destra, con la mano curiosamente inserita nella cintura. Ma la persistenza, almeno per tutto il terzo decennio del seco- Jo, di due concezioni figurative radicalmente opposte, emergera con maggior chiarezza ricordando, a fronte delle ardite sperimentazioni donatelliane, l’esperienza sostanzialmente tradizionalista del pit- tore fiorentino al tempo pit affermato, stimato e popolare, P’An- gelico. Per esempio, nel Giudizio Universale dipinto nei primi an- ni Trenta pet Santa Maria degli Angeli, oggi al museo di San Mar- co, PAngelico adotta una composizione convenzionale e astratta di origine medioevale, con figure disposte in modo paratattico e gerarchico, mentre Donatello nell’Assunta destinata al monumento Brancacci nella chiesa napoletana di Sant’ Angelo a Nilo, aveva re so l’evento miracoloso e il mondo celeste con toni assai realistici, 44 intagliando in un bassissimo rilievo, molto pit ‘pittorico’ di qual- Ee Anu aaa siasi dipinto del tempo, la vertiginosa immensita di un cielo at- mosferico e l’impalpabile consistenza delle nuvole, attraversate da vivaci figure angeliche in pose complesse e inattese. Tra i primi pit- tori che cercarono di adeguarsi ai nuovi modelli, si distinguono Ma- solino, che nella Madonna col Barabino ora a Brema riecheggia lo schema di una tetracotta donatelliana, e soprattutto il suo pitt gio- vane e geniale ‘compagno’, Masaccio, il quale - come sottolinea Vasari — “comincid Parte seguitando sempre quanto e’ poteva le vestigie di Filippo e di Donato” La frequentazione € la forte sintonia tra Donatello ¢ Masaccio sono ben attestate a Pisa nel 1425, proprio quando il primo scol- piva con Michelozzo i marmi del monumento Brancacci, ¢ il se- condo dipingeva il celebre politico, oggi smembrato, per la chie- sa pisana del Carmine, chiamando in causa come testimone e tra- mite di alcuni pagamenti l’amico scultore, nel quale evidentemente riponeva piena fiducia. Non stupisce, dunque, constatare che lim- ponente scomparto centrale del polittico del Carmine, ora alla Na- tional Gallery di Londra, siproponga in modo letterale la compo- sizione di un coevo, piccolo rilievo marmoreo di Donatello, rafli- gurante la Madonna tra angeli musicanti, oggi al Victoria and Al- bert Museum di Londra, Ma é soprattutto negli affreschi della cap- pella Brancacci al Carmine di Firenze, realizzati tra il 1424 e il 1428, che Masaccio restituisce in pittura la complessita spaziale e pla- stica, il vigore e l’intensita espressiva, ¢ la “similitudine del vero” della scultura donatelliana. I personaggi delle Storie di San Pietro hanno volti di borghesi fiorentini, di uomini del proprio tempo, quali Donatello li aveva effigiati nei Profeti della cattedrale e del campanile: non pid figure idealizzate, tipizzate secondo canoni ico- nografici tradizionali, ma “figure vivissime”, come ricorderanno i biografi tavvisandovi fattezze ¢ ritratti degli umanisti, dei cittadi- ni illustri e dei molti fiorentini familiari ai due artisti. Ancora, ne- gli affreschi del Carmine ritroviamo una singolare affinita fra la ce- lebre scena del Tributo ¢ un mirabile rilievo a schiacciato di Do- natello raffigurante la Consegna delle chiavi, oggi al Victoria and Albert Museum di Londra, databile sulla fine del decennio, ¢ quin- di probabilmente di poco successivo al dipinto. Se cosi fosse il rap- porto di ‘dare e avere’ tra i due amici risulterebbe ~ com’é plau- sibile — reciproco, ¢ in questo caso sarebbe stato Donatello a ri- proporre nel suo rilievo il vasto, profondo paesaggio, il respiro at- mosferico, ¢ la stessa disposizione cadenzata a esedra delle figure dipinte da Masaccio. La Consegna delle chiavi & unico episodio della vita di san Pietto che, seppure fondamentale, non compare negli affreschi del Carmine, e si @ pertanto ipotizzato che il rilie- vo di Donatello fosse destinato proprio all’altare della cappella Bran- cacci, il che avrebbe suggellato in modo davvero emblematico l’a- micizia e la comunanza d’intenti tra questi due protagonisti della nuova scena artistica fiorentina. La viva attenzione di Masaccio al- le esperienze prospettiche ¢ architettoniche del Brunelleschi é in- vece dichiarata dalla Triitd dipinta in Santa Maria Novella verso i1 1427: opera da considerare, in pittura, la prima applicazione ri- gorosa e paradigmatica della prospettiva lineare. Si trata di un gran- de affresco che simula una cappella con statue aperta in profon- Brunelleschi e Ghiberti, Donatello e Luca della Robbia, Mosacco: te arti a confronto we dita, ¢ la relativa mensa C’altare in aggetto, sulla quale sono ingi- nocchiati i committenti: dunque un magistrale dipinto prospetti- co che articola e sfonda illusionisticamente la parete, tenendo con- to, quale punto di fuga della costruzione, del punto di vista reale di un osservatore posto al centro della navata. ‘Ma é ancora una volta Donatello il pioniere ¢ il protagonista delle composizioni narrative pit articolate e varie - quelle che Al- berti avrebbe chiamato le “istorie” -, dove Pimpaginato spaziale e architettonico é percorso ¢ animato da una moltitudine di figu- re in “atti” e “moti” diversificati. Ne & esempio precoce ¢ folgo- rante un piccolo quadro marmoreo a schiacciato raffigurante, di nuovo, il Banchetto di Erode, scolpito intorno al 1430 probabilmente per casa Medici — dove lo ricorda l’inventario dei beni di Loren- zo il Magnifico — e oggi nel Museo Wicar a Lille. Un capolavoro insuperato, soprattutto per la spettacolare articolazione dello sce- nario architettonico, che presenta un’intricata veduta urbana, con portici, scalinate, vicoli, casamenti su pit livelli e di scorcio, stu- diato e imitato, nel vano tentativo di emularne il virtuosismo pro- spettico, dai pid grandi pittori e scultori, come Leonardo e Mi- chelangelo, sino al Rosso Fiorentino che dopo oltre un secolo ne riproporra alla lettera Pimpianto in uno degli affreschi della galle- tia di Francesco La Fontainebleau. Peraltro, intorno al 1430 anche il Ghiberti si adegua ai nuovi orientamenti, e un dichiarato gusto prospettico pervade ora la seconda, straordinaria porta bronzea da questi realizzata per il battistero, che Michelangelo battezzera la Por- ta del Paradiso, dove le ampie formelle accolgono edifici monu- mental ¢ complessi, in un rapporto proporzionale realistico con le innumerevoli figure che le popolano: “misi in alcuna istoria circa 46 di figure cento”, ricordera orgoglioso il Ghiberti. Anche la Porta Masaceto, San Pietto risana gli infermi con la propria ombra, affresco, circa 1427. Firenze, Santa Maria del Carmine, cappella Braneacci Masaccio, II Tributo, particolare, affresco, circa 1427. Firenze, Santa Maria del Carmine, cappella Brancacci col Bambino, tempera su tavola, E1423, Brema, Kunsthalle suc della Robbia, cui partecipano maestri specializzati nella lavorazione del bronzo, come Michelozzo, pittori, come Benozzo Gozzoli, orafi, come nel 1427, accanto allo stesso Donatello, il giovane Luca della Robbia, che satebbe presto divenuto lo scultore in grado di contenderne il primato, sia nel marmo che nel magistero della terracotta. Gli esordi di Luca della Robbia sono scarsamente documenta- ti, ma una piccola formella marmorea raffigurante la Madonna col Bambino tra due santi e un donatore, databile al 1428, lo mostra gia intento a seguire con decisione i passi di Brunelleschi nell’impian- to architettonico, di Donatello nella virtuosa lavorazione a schiac- 47 . Andrea Della Robbia e bottega, Nativita, terracotta énvetriata e policroma, seconda meta del XV secolo. San conunale -polere, Pinacoteca SAR CT RTA TO ciato, e di Masaccio nella saldezza plastica delle figure. E, alla mor- te di Masaccio in quello stesso 1428, sara proprio la scultura di Lu- ca a far da riferimento ai numerosi pittori che tentavano di racco- gliere Veredita del maestro prematuramente scomparso, con accenti pitt temperati rispetto alla lerione donatelliana: come Filippo Lip- pi, che gia verso il 1430 riecheggia questa stessa composizione nel- Panconetta della collezione Cini a Venezia, ¢ in seguito Domenico di Bartolo, Domenico Veneziano e il giovane Piero della Francesca. Ma affermazione di Luca scultore si avr nel decennio successivo, sulla prestigiosa ribalta della cattedrale fiorentina, per la quale ~ co. me si é detto — esegue dal 1431 al 1438 la monumentale Cantoria marmorea, opera che ne consacra il talento e ptobabilmente quel- la che gli vale la lusinghiera menzione nel proemio al De pictura al- bertiano. Luca era appena trentenne, ma lo si reputd gia degno di realizzare Yornamento lapideo pitt importante, costoso ¢ impegna- tivo della cattedrale, e soprattutto in grado di confrontarsi col gran- de Donatello, al quale due anni dopo venne affidata una simile bal- conata da collocare a tiscontro, 48 Ancora un confronto, dunque, e forse, dopo le due formelle Donatello, Cantoria, marno ¢ mosaico, 1433-1438. Firenze, Museo dell’ Opera del Duomo (dalle cattedrale) — del 1401, il pid diretto, epico e significativo nella storia della scul- tura quattrocentesca. Le due Cantorie, pur prendendo le mosse da una cultura comune, dichiarano infatti due concezioni formali or- mai decisamente divergenti. Sono comuni alle due opere lo stu- dio dell’antico, cosi come le aspirazioni naturalistiche, ma mentre Luca adotta una struttura scandita da dieci formelle, all’interno del- Je quali dispone gruppi armonici di delicati fanciulli musicanti, Do- natello si abbandona a un’unica composizione a fregio, percorsa da una danza angelica concitata, quasi dionisiaca. Inoltre, mentre Donatello scolpisce rapidamente, in maniera “bozzata”, senza trop- po rifinire le sue figure, in ragione della collocazione a grande al- tezza cui l’opera era destinata, Luca rifinisce i marmi all’estremo, curando dettagli che nessuno avrebbe potuto apprezzare. Nel- Tincorniciatura, poi, Donatello si profonde in un’esuberante, fan- tasiosa enfasi decorativa, adottando anche fondi a mosaico, men- tre Luca si attiene a una misurata architettura di stampo pretta- mente brunelleschiano. Sono del resto gli anni in cui tra i due vee- chi amici, Donatello ¢ Brunelleschi, nascono i primi, accesi dissa- pori, che i biografi riferiscono soprattutto agli interventi decora- tivi di Donatello nella brunelleschiana Sagrestia vecchia di San Lo- renzo. Cosi possiamo immaginare che l’architetto non avesse ap: prezzato la Cantoria donatelliana, troppo complessa, ornata, cari ca di un archeologismo eccenttico, bizarro, che non rispettava il rigore classico di cui Brunelleschi si era fatto interprete, compia- cendosi piuttosto di quella di Luca, che infatti di li a poco diven- tera lo scultore privilegiato nei cantieri brunelleschiani. Firenze 1436: le due Cantorie, dopo molti anni di faticoso la- voro, erano ormai sul punto di venir collocate, per riempire di lu- ce, di canti e di suoni l’ombra profonda della grande cupola, mi- raggio fattosi ora realta. Pu il coronamento degli anni ‘eroici’ del- Ja rinascita, e il punto di arrivo del cammino unitario, solidale, di alcuni “ingegni meravigliosi”, pronti ora ad avventurarsi su stra- de diverse, e forse pit solitarie. ‘Brunellescbie Ghibert, Donatella e Luca delle Robbie, Masaccio: le arta confronto Milano visconteo-sforzesca Anche Milano vive nella prima meta del XV secolo I'entusiasmo per la cultura gotica internazionale, grazie soprattutto alla committenza del duca Gian Galeazzo Visconti (dal 1374 al 1402), al quale si ‘deve un forte impulso al proseguimento di quella che va considerata Ja maggiore fucina artistica della capitale, vale a dire il Cantiere del duiome, iniziato nel 1386. In questo ambiente fervido di scambi culturali, dove dopo la crisi seguita alla morte di Gian Galeazzo (1402) riprende di gran passo l'opera di decorazione scultorea @ in cui lavorano architetti transalpini (francesi e tedeschif é altri boemi e renani, si formano 0 comunque lavorano anche artist lombardi, Tra esi, per esempio, Giovannino de’ Grassi, @ Michelino da Besozzo (1388-1446) Ladesione al quotidiano, tipica della cultura lombarda, la convivenza di attenzione al dato naturalistico e di decorativismo, sono elementi comuni anche all'ambito della miniatura (Offiziolo Boamer di Michelino, New York, The Pierpont Morgan Library, 1400 ¢a.), uno dei generi artistici regionali di maggiore prestigio a livello internazionale. Tra i miniatori pavesi emerge distinta la figura Gi Belbello da Pavia (attivo fino al 1470 a1), il quale fa propri i toni pit concitati e violenti del lessico interazionale, non disgiunti da un gusto spiceato per i patetico e per la formula espressionista, Alla corrente micheliniana appartengono invece i fratelli Zavattari, la cui opera {affreschi della cappella di Teodolinda nel duomo di Monza, 1444), spesso ispirata a quella di Pisanello, testimonia della vitaita del lessico intermazionale in questa regione ben oltre la meta del secolo. Anche l’interesse per le acquisizioni fiamminghe anima la pittura locale, come nel caso di Donato de’ Bardi, pittore di origine pavese attivo nella prima meta del XV secolo. L'innesto tra luminismo 30. fiammingo, appreso probabilmente a Genova dove si svolge la sua attivita, & stile lomberdo, & infatti alla base della Crocifissione di Savona (1448), eseguita su tela, in cui accanto alla composizione simmetrica ispirata ai Calvari fiamminghi, | semplice ma allo stesso tempo austera, la sintesi formale & tutta italiane La seconda met del Quattrocento, fino almeno all‘arrivo in Lombardia di Bramante {é documentato a Milano dal 1481} e di Leonardo (1482, commissions della Vergine delle rocee per San Francesco Grande}, presenta uno sviluppo delle finee indicate dalle generazioni precedenti, aggiomate di volta in volta sulle acquisizioni fiorentine, ferraresi, padovane. La stagione gotica, che ancora perdura sotto Francesco Sforza, si prolunga con Galeazzo Maria in opere quali la decorazione delia cappella Ducale nel castello di Milano, affidata a une équipe di pittori capeggiata da Bonifacio Bebo, che ancora propone, a date avanzate, soluzioni formaii tardogotiche. ‘Analogamente in architettura opera del Solari (Giovani, Guiniforte e Pietro Antonio}, i preferiti dei primi due duchi Sforza, pur adottando ritmi @ spazi rinascimentali rimangono fedeli ai madelli della tradizione lombarda, legandosi addirittura con il Romanico lombardo {Guiniforte in Santa Maria del!'Incoronata dal 1451, in Santa Maria delle Grazie dal 1463, in San Pietro in Gessate negli anni Settanta; Pietro Antonio in Santa Maria della Pace dal 1466, poi nella ricostruzione di Santa Maria del Carmine). Caso esemplare di compromesso tra il vvecchio € il nuovo & l'opera di Antonio Averlino detto Filarete (1400-1489 ca,), a Milano dal 1451 per raccomandazione di Piero de’ Medici. II suo linguaggio, ibrido per la convivenza di nitore formale e decorativismo, mescolanza di elementi classici e disorganicita costruttiva, si legge bene tanto nell’ospedale Maggiore quanto nel Trattato di architettura (1460-1464), che contiene il piano di Sforzinda, primo esempio di citta ideale. Al nome di Pigello Portinari, responsabile della filiale milanese del Banco Mediceo, si deve la penetrazione in citta di pit) mature formulazioni rinascimentali, come é il caso della cappella Portinari nella chiesa di Sant’ Eustorgio (1462-1468), che si ispira alla Sagrestia vecchia di Brunelleschi in San Lorenzo, in cui permangono tuttavia tratti spiccatamente lombardi come I'uso del cotto, il tiburio, le bifore archiacute, lesuberanza decorativa. La decorazione che all'interno svolge il tema delle Storie della Vergine e di san Pietro Martie, opera di Vincenzo Foppa (1427-ca. 1615), segne per il versante pittorico aggiornamento sulla prospettiva toscana. Nelle opere successive l'urgenza prospettica viene maneggiata in maniera pid duttile, come nella Pala Bottigella (Pavia, musei Civici) risalente agli anni Ottanta, in oui il nitore dell'architettura bramantesca 6 offuscato dall'affollamento delle figure nello spazio dipinto. La convivenza di moduli rinascimentali decorazione esuberante, evidente per esempio nella cappella Colleoni a Bergamo — edificata trail 1470 e il 1476 da Giovanni Antonio Amadeo (ca, 1447- 1822) -, rimarra anche in seguito, come testimonia la facciata della certosa di Pavia, eseguita a partire dal 1491 dallo stesso Amadeo e da Benedetto Briosco {attivo fino al 1517). Edificata quale chiesa privata a partire dal 1396 per volere di Gian Galeazzo Visconti, la certosa pavese, con la sua vicenda costruttiva, @ esempio paradigmatico del progressive aggiornamento sulle novita introdotte in area lombarda. La sua costruzione sara portata a termine solo nel secolo successivo per opera di Guiniforte (1429- 1481) e Giovanni Solari (1400-1480 ca.) Nel secondo Quattrocento linterasse si indirizza soprattutto alla decorazione pittorica di cui @ protagonista Ambrogio da Fossano detto Bergognone (notizie 1481- { 1522) che vi lavora dal 1488 al 1495, Le sue opere sono toceate tanto dal linquaggio di Foppa quanto da quella fiamminga (Madonna del certosino, Milano, Brera, 1488-1490); in opere pid tarde (Gian Galeazzo presenta alla Vergine if modellino della Certosa, 1490-1495, affresco nell’abside del transetto sinistro) risente invece maggiormente della lezione innescata a Milano da Bramante Leonardo, | modi bramanteschi, sfumati perd dalle suggestioni ferraresi, coinvolgono anche gli scultori attivi nella facciata, tra cui si ricordano Cristoforo Mantegazza {attivo dal 1464 al 1482) ¢ Giovani Antonio Amadeo. Il primo, in un riliavo come la Caceiata dei progenitori, utiliza composizioni ad angoli acuti, sbilanciete, caratterizzate da violenti chiaroscuti, figure scamite e allungate dai panneggi a pieghe metalliche. I! secondo invece, a partire dalle medesime premesse, sviluppa forme pit morbide sulla scorta delie nuove correnti entrate in Lombardia, come @ il caso della Resurrezione di Lazzaro (1474 ca.}, in cui le figure, pit. composte sebbene ugualmente incise nei profili, si dispongono all’interno di un‘architettura bramantesca. In pittura un analogo percorso @ seguito da Bernardino Butinone {notizie fino al 1507) e Bernardo Zenale (1450-1526 ca.). Se il primo tenta di adeguare l'espressionismo mantegazzesco e padovano aila monumentalité d'impianto di Bramante, i secondo invece si rivela meno incline a indurire le forme, pili attento alla definizione dei corpi e al rapporto spaziale tra le figure. Entrambi i pittori rimangono tuttavia estranei all'uso della prospettiva toscana, interpretata, semmai, in maniera | piu scenografica che scientifica anche in opere monumentali come la Pala ai San Martino (1481-1485, Treviglio, San Martino}, frutto della loro collaborazione. 51 52. L'esperienza lombarda di Donato Bramante (1444-1514) @ fondamentale per architettura milanese, specie di ambito ecclesiastico. Forse fin dal 1478 egli dirige i levori per la costruzione di Santa Maria presso San Satiro, nei quali, raccogliendo Veredita di Brunelleschi e di Alberti, da vita a una straordinaria interpretazione dello spazio rinascimentale, frutto della fusione tra architettura reale ¢ architettura illusiva sostenuta dalla prospettiva, come é il caso, paradigmatico, del finto coro: in esso confluiscono tutte le precedenti esperienze dell'artista, dalla supposta formazione urbinate, sino all'illusionismo prospettico della Camera Picta di Mantegna a Mantova, dove ebbe modo di soggiornare nel corso degli anni Settanta. La tribuna di Santa Maria delle Grazie, sebbene non documentata, risale quasi sicuramente a un progetto bramantesco del 1492 circa. Nello stesso anno Bramante dava awio all’edificazione della canonica di Sant’Ambrogio (sul fianco sinistro della basilica) compiuta solo nel lato d'appoggio, distrutto nel 1943 e poi ricostruito, mentre al 1497-1498 risale l'nizio dei chiosti sul lato destro, completati nel Cinauecento & oggi sede dell'Universita Cattolica Attivo anche in qualita di pittore, dopo lesperienza bergamasce durante la quale, probabilmente dal 1477, affresca figure di Filosofi e prospettive architettoniche sulla facciata del palazzo del Podesta, Bramante lascia nella serie milanese degli Uomini illustri, staccati dall'interno della casa Panigarola di via Lanzone @ oggi a Brera, una delle sue opere pid significative, nella quale & evidente una penetrazione tematica e simbolica della cultura umanistica, L'unica opera su tavola a lui attribuita & lo splendido Cristo alla colonna di Brera, proveniente dall'abbazia di Chiaravalle & databile intorno al 1490. La caduta di Ludovico ii Moro nel 1499 & la sua definitiva sconfitta nel 1500 per mano dell'esercito di Luigi Xl apre per Milano un periodo drammatico e difficile. Bramante abbandona la capitate del ducato nello stesso 1499, diretto a Roma, dove lascera altre opere malto important tra le quali ricordiamo il chiostro di Santa Maria della Pace (dal 1500}, il tempietto di San Pietro in Montorio (dal 1502}, sino ai progetti, condotti sotto i! pontificato di Giulio Il per il cortile del Belvedere in Vaticano @ per la nuova basilica di San Pietro. EES MERA REECE Vincenzo Foppa, Storie di sas Pietro martire, uffreschi, 1464-1468. Milano, Sant Eastoreio, cappella Portinard 33 PrcessUeessRebestieesstaetstete teeta tsteesstiteeietesiriesettestatetse Ambrogio ¢ Gregorio Zavattari Vincenzo Foppa, Madonna col ¢ bottega, UW convito di nozze, particolare delle Storie della regina Teodolinda, affresco, Pavia, Musei 1444, Monza, Duomo, cappella civici da San Tomaso) di Teodolinda Donato Bramante e Bertardo Prevedari, Incisione “Prevedaci”, Donato Bramante, presbiterio 1481. Milano, Civica Raccolta prospettico, 1482-1486. Milano, Stampe “A, Bertarelli” Santa Maria presso San Satiro Donato Bramante, Ciclo degli uomini ilustti, particolar, affreschi strappati, 1487-1488. Milono, Pinacotece di Brera (da casa Panigarola) Leonardo da Vinci, La Vergine delle rocee, olio su tavola, trasportato su tela, 1483-1486, Pari, Musée du Lowwre (da Milano, Son Francesco Grande) Donato Bramante, Tribuna ¢ tiburio, 1492-1497, Milano, Santa Maria delle Grazie nihinont stun uaa ann muihficttoniie mis uration cé 2 efond : +. deco quante confelabens me ©. U1 Frets fin fare aecrips Giovanni Romano Michelino da Besozzo, Pagina iniate, dell’Blogio funebre di Gian Galeazzo Visconti, 1402-1403, Parigi, Bibliotheque Nationale (ms. lat. 5888, fol. 17) Rinascimento bifronte: la Citta e la Corte I presente contributo sara circoscritto al nostro Quattrocento € trattera di citté che ospitano una corte accentratrice a parago- ne di altre dove la corte formalmente non esiste; nel secondo ca- so vige di solito una struttura politica aperta, diciamo cosi demo- cratica, anche se, nel corso del Quattrocento, il concetto di de- mocrazia é molto diverso da quello che utilizziamo oggi. Un altro aspetto rilevante @ lo spettacolo variegato che I’Italia da di sé in quegli anni; saranno condotte delle piccole inchieste figurative su alcune citta italiane per vedere se, seguendo tale via, si riesce a cen- sire la serie di problemi che piti decisamente contano nel panora- ma figurativo del Quattrocento italiano. Manchera una citta, Ro- ma, che risulta un poco eccezionale: @ una cittd senza una corte stabile o una oligarchia ereditaria, ma per nostra fortuna Roma non & ancora, nel Quattrocento, quella superba protagonista che sara nel secolo successivo. Niente di pitt favolosamente cortigiano che la corte del papa, ma al papa non succede il figlio, succede un’al- tra persona che cambia le carte in tavola, rompe, frattura, distrugge cid che é stato creato, modifica in tempi brevi la realta politica e culturale. Partiamo da Milano, alla fine del Trecento, ¢ in particolare dal- la pagina dell’ Offiziolo di Gian Galeazzo Visconti (Firenze, Bi- blioteca Nazionale) nella quale si riconosce il ritratto di Gian Ga- Jeazzo, al centro di un panorama agreste con figure di animali. Do- mina, in questo lussuoso manoscritto per recitare le preghiere del- Ia giornata, una presenza molto generosa di elementi naturali, so- prattutto di animali e di vegetazione, che non sono ovvi, né ne- cessari in un libro di orazioni. Si evidenzia un modo di vivere la preghiera molto libero, cordiale, naturale, che possiamo credere apprezzato da Gian Galeazzo Visconti, duca di Milano dal 1378 al 1402, ¢ protagonista, per quasi un quarto di secolo, della storia politica italiana, E possibile istituire un confronto con un mano- sctitto di poco piti antico, Guiron le courtois, conservato alla Bi- blioth@que Nationale di Parigi, un codice di verosimile origine lom- barda, o meglio milanese. Non si trata perd din libro di devozione, 37 bensi di un poema di avventure ¢ d’amore. Il Guiron @ stato scrit- to in francese ed & copiato in quella lingua anche per i lettori del la valle Padana. Un lettore lombardo di fine Trecento leggeva tran- quillamente in francese o in italiano, a seconda del caso. Era di mo- da, per le corti settentrionali, mostrarsi internazionali, e Gian Ga- leazzo Visconti aveva sposato una principessa francese, Valentina di Valois. L Offiziolo di Gian Galeazzo Visconti si deve a Giovan- nino de’ Grassi, personaggio di livello figurative sovranazionale, attivo anche sul cantiere internazionale del duomo di Milano. E un duomo tardivo, che si comincia a costruire alla fine del Trecento, cresce con fatica e vede una continua presenza di architetti e di ingegneri stranieri: una presenza non sempre molto felice, ma per noi affascinante. Vengono da Colonia, da Praga, dai cantieri del- le ultime grandi cattedrali in corso di costruzione (quelle france- si sono quasi tutte interrotte), forniscono i loro pareri e vengono in breve cacciati perché non si sono trovati d’accordo con la strut- tura tecnico-amministativa che gestisce l’Opera del Duomo. I lo- ro suggerimenti non vengono mai seguiti ed & curioso, e un poco anche grottesco, assistere ai battibecchi registrati dagli Annali del duomo: le maestranze straniere si sentono con una grande tradi- dione costruttiva alle spalle e giurano che, se con l’edificazione del duomo di Milano si andra avanti come suggeriscono gli architet- ti milanesi, 'edificio crollera. Invece hanno avuto ragione i mila- nesi, perché il duomo non é crollato, anche se lo hanno messo in piedi con poca “scientia” (“ars sine scientia nibil est” affermava- no gli esperti del Nord). Dobbiamo sempre pensare a questa sin- golare fiducia nella concretezza della pratica operativa combina- ta con raffinati gusti internazionali quando evochiamo la Milano di quegli anni. E del resto lo sguardo oltre i limiti di casa non & cosi inconsueto nell’Italia gotica ¢ tardogotica. Pensiamo a un al- tro tipico codice milanese, in lingua francese, il Lancelot du lac, sem- pre della Bibliotheque Nationale di Parigi; & un codice miniato mol- to simile al Guiron e merita di essere ricordato in parallelo ai ver- si che Dante fa pronunciare a Francesca da Rimini, infelice signora della corte dei Malatesta: “noi leggevamo un giorno per diletto / di Lancillotto, come amor lo strinse / soli eravamo e senza alcun sospetto...”. Sulla costa adriatica, gia nel tardo Duecento, si leg- gevano gli stessi poemi, verosimilmente in francese, in voga nella nostra valle Padana. Il Tacuinune sanitatis della Biblioth&que Nationale di Parigi, & un manoscritto lombardo databile intorno al 1400 che pud appa- rire agli occhi moderni un poco particolare, ma in realta consue- to come dono di nozze in quegli anni. Quando una nobile fanciulla andava in sposa, tra i regali dalla famiglia comparivano codici mi- niati di questo genere, che avevano un uso interno alla famiglia stes- sa ¢ rappresentavano in forma riconoscibile varie specie vegetali, commestibili o medicinali. In poche righe, sotto la raffigurazione, se ne spiegavano i pregi, i diferti e le modalita d’uso eli si illustrava con diligenza, in modo che fossero riconoscibili e andando nell’orto non si prendesse la cicuta per linsalata. Tocchiamo qui un punto molto delicato della tradizione figurativa quattrocentesca nellTta- 58 lia padana, il punto del realismo figurativo e della conoscenza di- i retta della natura. B, chiaro che in una pagina come questa se le rape non si riconoscessero come tali, se cio? il disegno non fos fedele e non derivasse dalla natura, nessuno potrebbe ricorrervi per P'uso quotidiano. Qui artista é forzato a un estremo di verita e non é fenomeno da poco poiché apre molte strade nuove del Quattrocento settentrionale italiano e non solo italiano. Si verifica al tramonto del Trecento e all’inizio del Quattrocento, soprattutto nell’area lombarda, una grande e affascinata scoperta della natura e anche in un taccuino di disegni di modello, come il Taccuino di Giovannino de’ Grassi conservato nella Biblioteca di Bergamo, compaiono illustrazioni di incantevole naturalezza. I tac- cuini di disegno non sono in linea di principio legati a esperienze naturalistiche; sono di solito antologie di copie da realizzazioni al- trui, di altre esperienze considerate interessanti o di altri taccuini ancora che l’artista ha avuto tra le mani. In questo di Giovannino de’ Grassi, piccolo e bellissimo, tra le varie pagine di disegni a ri- calco o da modelli compaiono anche alcune pagine di ridente ve- rita, dove riconosciamo l’amore ¢ attenzione per la quotidianita che caratterizzano Ia cultura figurativa lombarda, tanto a Milano che a Pavia (a Pavia con un tocco forse pit internazionale anco- ra); di Pavia merita un ricordo il parco del castello, con una me- ravigliosa scelta di animali selvatici e domestici che fu leggenda- tia per Vintera Europa e che si disperdera nei boschi circostanti quando, al momento della sfortuna dei Visconti e degli Sforza, nes: suno pitt curera il recinto del parco e lo si lascera crollare. In un’al- tra pagina del Taccuéno compare una divisa araldica, probabilmente un disegno per un gioiello simbolico con il ghepardo domestico all’interno di un recinto, poi una scena usuale per chi attraver- sava a cavallo il grande parco di Pavia, con cani che azzannano e bloccano un cinghiale, Questo foglio & confrontabile con un’altra pagina miniata non molto lontana nel tempo, ma abbastanza lon- tana geograficamente, appartenente a uno dei codici pit famosi di tutta l’Europa, le cosiddette Trés Riches Heures del duca di Berry, Il duca di Berry, membro della famiglia reale francese in quanto figlio di Carlo V di Valois, fa iniziare la decorazione di questo co- dice preziosissimo, ora nel Musée Condé a Chantilly, dai fratelli Limbourg, ma non riesce a vederlo finito; piti tard interviene una mano diversa, molto pid corposa, tealistica, veridica (quella di Barthélémy d’Eyck), che nel caso della caccia al cinghiale proba- bilmente lavora sulla traccia di una pagina gia disegnata dai Lim- bourg; quello che per noi ora importa & che Partista pit tardo, ne- gli anni Quaranta del Quattrocento, apprezza e utiliza il disegno a noi noto attraverso il Taccuino di Giovannino de’ Grassi. I mo- delli di Lombardia travalicano dunque i confini e fanno scuola an- che in Francia, ma si danno casi analoghi di influenze di ritorno dalla Francia verso PItalia. Questo scambio di rapporti costituisce un tratto significativo di tutto il nostro Quattrocento figurativo. In questo senso va inteso il possibile confronto tra la redazio- ne lussuosamente miniata dell’ Elogio funebre per la morte di Gian Galeazzo Visconti di Pietro da Castelletto del 1402 (Parigi, Bi- bliothéque Nationale) con la carta raffigurante la Ruota della For- tuna appartenente a un mazzo di carte da gioco milanese o cre- 59 60 monese, realizzato da Bonifacio Bembo per la corte Sforzesca, che si conserva alla Pinacoteca di Brera . La morte di Gian Galeazzo €:il suo artivo in Paradiso sono celebrati da un grande protagoni sta del primo Quattrocento pittorico lombardo e italiano, Miche- lino da Besozzo, che raffigura il duca circondato dalle Virvit ¢ ac- colto cordialmente dalla Madonna c dal Bambino. La morte inat- tesa del duca mand® in crisi la corte viscontea, le cui fortune tra- montarono lentamente, fino al cambio di guardia sotto la mano si- cua di Francesco Sforza, intorno alla meta del secolo: si tratta dun- gue di un continuo girare della ruota della Fortuna avversa ai Vi- sconti, se si pensa che al momento della morte Gian Galeazzo fa- ceva paura a tutti, e molti vivevano nella convinzione che fosse in grado di conquistare gradualmente tutta l'Italia, Le sue imprese verso Oriente, verso Occidente e verso Sud furono guardate con sospetto e una delle citta pit terrorizzate fu Firenze, che fu in gra- do di virare questo terrore in un’inedita arma di identit’ morale e di compattamento politico, Il palazzo “Vecchio”, che i fiorentini preferivano chiamare pa- lazzo delle Arti, era un edificio simbolico della citta e sicordava la precedente struttura politico-amministrativa delle Arti maggiori e minori, nuclei di aggregazione tra il sindacale e il corporativo che accoglievano, a dite tutta la verita, una limitata quantita di fami- glie fiorentine in un simulacro di govemno repubblicano. Sulle pa- reti di uno dei saloni di Palazzo Vecchio erano state affrescate le due grandi battaglie di Cascina e di Anghiari, che avevano segna- to la storia e le fortune della repubblica fiorentina, commissiona- te a Leonardo ¢ a Michelangelo nei primissimi anni del Cinque: cento; niente di quelle battaglie restera quando i nuovi Medici de- cidono di rivestire con una decorazione autocelebrativa la propria sede temporanea; Vasari cancellera quei due capolavori, troppo se- gnati dal mito repubblicano che li aveva ispirati ¢ che sopravvi- veri nell’animo dei fiorentini almeno fino al 1527. Agli occhi dei auovi signori (il duca Cosimo I era figlio di Giovanni dalle Ban- de Nere, non pitt che un capitano di ventura) quella storia gloriosa era ormai chiusa e urgeva fornirsi di una sede che potesse stare a fronte del palazzo che noi oggi chiamiamo Medici Riccardi, in via Larga, che Michelozzo aveva costruito per il prestigioso mercan- te-finanziere Cosimo di Giovanni, nonno di Lorenzo il Magnifi- co. II fiorentino palazzo delle Arti sottolinea pertanto il passaggio dalla corte feudale di Milano a una citea retta da strutture di ispi- razione repubblicana. Firenze é forse la citta che pitt paventa, in Tralia, le fortune militari di Gian Galeazzo Visconti, temendo che le sue continue e minacciose scorrerie al di qua degli Appennini portino a una alluvione viscontea nella piana intorno a Firenze ¢ poi alla presa definitiva della citta. Nella difesa della “repubblica” guelfa contro un vassallo imperiale, Firenze riconosce una delle ba- si della propria identita; lo sforzo comune a tutti i cittadini per re- sistere all’aggressore lombardo fa perno su giustificazioni ideolo- giche che sono I’ eroica gioventi insofferente di ogni giogo, il pro- prio essere citta di origini romane, il modello antico della repub- blica degli ottimati, ¢ cosi via, I principi ideologici trovano age- volmente corpo in immagini figurative che avranno una parte im- eo F Giovannino de’ Grassi, Pagina miniata, dal Offziolo di Gian Galeazzo Visconti, 11390-1400. Firenze, Biblioteca wale (BR 397, fol. 154) portante nella storia della citta, non solo nella sfera artistica, Ba- sti pensare a quanti Davide vincitori su Golia popolano la storia dell'immaginatio fiorentino, scolpiti ¢ dipinti, spesso anche sugli scudi da parata: Davide @ un pastorello che non appartiene a nes- suna atistocrazia, ma che riesce ad abbattere il gigante Golia con un’arma semplice ¢ con la sua grande fede unita a una potente vo- lonti. In qualche misura i fiorentini si sentono tutti dei Davide. Le due formelle bronze modellate da Lorenzo Ghiberti e da Filippo Brunelleschi (Firenze, Museo del Bargello) furono pre- sentate al concorso bandito nel 1401 per le nuove porte del bat- tistero fiorentino. Vincera Ghiberti, e si assicurera la commissio- ne delle due porte mancanti al battistero, da confrontare con quel- la realizzata nel Trecento da Andrea Pisano. Nel battistero davanti a Santa Maria del Fiore si battezzavano tutti i fiorentini che, at traverso quel rito, diventavano cristiani ¢ formalmente cittadini. E significativo che per le porte del battistero si faccia un concor- so elo si faccia nel 1401 con la minaccia di Gian Galeazzo Visconti wo bifront Rinas 61 | sull’Appennino; 2 un concorso all’antica che celebra la nobilta del- Parte e degli artisti (non solo quelli fiorentini). Si pensi parallela- mente a cosa succedeva a Milano in casi analoghi. A Milano tutti sanno che Giovannino de’ Grassi @ il personaggio pitt qualificato e noto alla fine del ‘Trecento, ma, quando si vuole una scultura im- portante per il duomo, a lui si chiede soltanto un disegno-model- Jo. Avuto il disegno e soddisfatto in qualche modo un primo, au- rorale senso della qualita, si convocano gli scultori presenti sulla piazza e si sollecitano offerte al ribasso da chi vorra farsi carico del- la realizzazione in pietra o marmo, Succede cosi che disegni attri- buibili con certezza al de’ Grassi risultino spesso messi in opera in modo poco qualificato, imparagonabile alla realta stilistica che conosciamo in altre sue opere sicure, Questo non vale invece per Firenze e per le sue occasioni pubbliche. Qui, per motivi che sa- rebbe lungo elencare, ¢ che sono soprattuito d’ispirazione lette- raria, si ha Ja sensazione che la qualita personale non possa esse- re demandata ad altri, che debba essere assunta in prima persona dagli autor e chi stato gindicato il migliore dovra dirigere ed ese- guire in gran parte di persona la porta del concorso. Ghiberti rea- lizzeri le due porte lavorando per decenni, e vivendo nel frattempo una radicale cris stilistica che risponde molto bene al maturare del- la citta e della sua tradizione figurativa, Firenze, infatti, non avan- zera solo nella ditezione della prima porta ghibertiana, la cui cul- tura internazionale richiama alla mente il Nord, ’Oltralpe, men- tte la tradizione figurativa locale si riconosce forse meglio nel neo- giottismo della formella di Brunelleschi; Ghiberti appare pit sciol to, pid mobile, pitt acutamente abile nel trattare il metallo al con- fronto del pericoloso concorrente (nel 1401 Brunelleschi & certo un grande orafo, ma non un supremo scultore ¢ architetto mo- derno): nella formella risulta pitt inceppato, pitt schematico, for- se per pitt vigoroso di Ghiberti, con una forza, una tensione mag- giori, ma il Ghiberti del 1401, agli occhi dei fiorentini, come agli occhi nostri, ¢ indubbiamente piti degno di vincere il concorso. La crisi sopravverr’ dopo, quando i suoi mod falcati, di una oscil- lante eleganza, non appariranno piti adattiai tempi. Lo scontro du- rissimo e bruciante con Ja minacciosa Lombardia dei Visconti ren der’ la citta pitt conscia di sé e pit severa nei confronti della realta, anche quella culturale. Come testimonia il San Giorgio eseguito da Donatello per l’altare dei Corazzai a Orsanmichele, chiesa delle cor- porazioni fiorentine (sono documentati pagamenti per il marmo nel 1416-1417). Gli armaioli fiorentini scelgono immagine sim- bolica di un giovane eroe, san Giorgio, che abbattera il drago mi- naccioso per la citta di Silena, ulteriore trasparente allegoria del- Ja situazione in cui si era venuta a trovare Firenze, una quindici- na di anni prima, quando i milanesi stavano per invaderla. Bru- nelleschi progetta intorno al 1418, quindi quasi contemporanea- mente al San Giorgio di Donatello, la chiesa di San Lorenzo a Fi- renze. San Lorenzo non é una chiesa di corporazione; relativamente lontana dal duomo e dal battistero fiorentini, San Lorenzo é la chie- sa parrocchiale e familiare dei Medici. Ne @ stato promotore prin cipale Cosimo di Giovanni il Vecchio, che non ricopre nessun ru0- lo formale nel governo fiorentino, ma che viene considerato la . , persona pitt autorevole, importante ¢ potente della citta, indipen- dentemente dalla sua riechezza; il progetto della chiesa rappresenta bene il ruolo dominante della sua famiglia: un grande edificio pa- lesemente senza confronti con le chiese precedenti della citta (San- ta Maria del Fiore, Santa Croce, Santa Maria Novella); una chie- sa tutta moderna che opera una cesura dal passato gotico e che fa conoscere un nuovo spazio accortamente calibrato, una nuova realt di ispirazione classica, di un classicismo recuperato da Brunelle- schi attraverso il medioevo romanico toscano, Molto ancora sapra darci il Quattrocento a venire, ma questo progetto @ gia vicino al- le ulteriori grandi meditazioni brunelleschiane e di Donatello sul- lo spazio misurabile dalla prospettiva e sulla scoperta diretta del- Vantico. Sono passati circa dieci anni dal progetto di Brunelleschi per San Lorenzo e, con Masaccio, nel ciclo di affreschi per la chie- sa del Carmine, ormai trionfa nelle scelte artistiche cittadine la pie~ na apertura mentale verso la severa grandezza dell’antico e 'inte- grale dominio prospettico sullo spazio; un trionfo in qualche mi- sura contestato da prestigiose alternative presenti in altr chiese fiorentine: é noto infatti che, ancora nel 1423, il ricchissimo Palla Strozzi aveva fatto collocare sul proprio altare in Santa Trinita la lussuosissima e “retrospettiva” Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano. Solo a Firenze una innovazione tanto ardita era realizzabile, per- ché c’erano dei precedenti di autorita sovraregionale; piti ancora di Giotto, richiesto a Napoli come a Milano, valeva il canone let- teratio imposto al resto d'Italia dalla trionfale successione di Dan- te, Boccaccio, Petrarca; soprattutto l’energia verbale di Dante po- teva fare in qualche modo da sponda alla potente proposta stil stica che in Firenze cresceva con Brunelleschi, Donatello ¢ il Ma- saccio piti nobile e all’antica, quello, appunto, della cappella Bran- cacci al Carmine. Su questa traccia la sperimentazione donatellia- na sembra non conoscere limiti, e con lui la realta figurativa fio~ rentina diventa sorprendentemente contraddittoria; il Donatello presente alPinterno della Sagrestia di San Lorenzo (altro spazio lim- pidamente brunelleschiano, a lineari incastti geometrici) con gli stucchi integrati nell’architettura ¢ le due porte di bronzo (1434- 1443) secondo Manetti non piacque a Brunelleschi; forse la defi- nizione delle figure gli apparve troppo inquietante ¢ oltre le regole (specie nei tondi e nelle porte), quasi crudele nell’ analizzare a fon- do una realta fisicamente non gradevole, ma assolutamente veri- dica e aggressiva. Un Donatello di questo genere era come un pu- gno nello stomaco anche per i pitt disponibili, una autentica vio- Ienza psicologica, e nessuno sapra cogliere la sua proposta ol- tranzista per pid di una generazione; nessuno arrivera a capire che al dia dell'apparenza, al di la della forza prorompente del fisico, della torturata epidermide delle cose, vive dentro di noi qualcosa di temibile ¢ affascinante che riguarda le lacerazioni della nostra psiche. Nessuno osera avviarsi per la strada aperta da Donatello con opere come le porte della Sagrestia 0 con le tarde invenzioni per i pulpiti di San Lorenzo. La corrosivita del suo sguardo in et& tarda é ben leggibile nella Maddalena lignea ora in battistero, a rap- presentare, accanto alla strapotenza fisica di Masaccio al suo Rinascimento biftonte: la cite la corte 6 massimo livello, la difficile ¢ inquictante verita sotto epidermide intorno a cui impazzira pid tardi Leonardo. Leonardo anatomista € a modo suo letterato, spieghera con figure pid parlanti quanto & costretto nei capolavori donatelliani: il vibrare, anche minimo, dei muscoli sotto pelle per Peccitazione dei trasalimenti psicolo- gici o la difficile definizione dello sguardo come specchio dei pen- sieri pit segreti. Napoli, ¢ cost Milano, sono pidi Europa che Italia. La Madon- na dei consiglieri di Luis Dalmau, si conserva a Barcelona nel pa- lazzo del Governo; & un opera contrattata nel 1443 e sostanzial- mente finita nel 1445. Nel 1443 il contratto parla esplicitamente di un’opera a fondo oro, ma tale fondo non si riscontra nell’o- pera consegnata dal pittore. Nel 1445 rinunciare al fondo d’oro & tuna scelta estremamente all’avanguardia, e Luis Dalmau pud com- pierla perché sostenuto da Alfonso d’Aragona, noto in Europa co- me Alfonso il Magnanimo: fu Alfonso d’ Aragona in persona, nel 1431, a spedire Luis Dalmau in Fiandra ad aggiornare il suo mo- do di dipingere. Infatti, nell’Europa degli anni Quaranta, non con- ta tanto 'umanesimo fiorentino, che noi siamo abituati a privile- giare, quanto invece Pentusiasmante avventura del realismo fiam- mingo. E Jan Van Eyck il grande modello, ed @ indubbiamente va- neyckiano il quadro di Luis Dalmau. 1443-1445: gli stessi anni valgono per il Profeta Geremia con- servato al museo di Belle Arti di Bruxelles e dovuto a un pitrore di nome Barthélémy d’Eyck (lontana parentela con i fratelli Van Eyck) che lavora per la corte francese, in particolare per Renato d’Angid. Re Renato é appena stato cacciato da Napoli per mano di Alfonso d’Aragona quando Pierre Corpicy, un commetciante di Aix-en-Provence, commissiona a Barthélemy d’Eyck il trittico del- l'Annunciazione, di cui questa opera costituisce l’anta destra. An- che nel Geremia ora a Bruxelles riconosciamo una sfolgorante af. fermavione, in forma ancora pid inventiva e rinnovata che a Bar- cellona, della verita vaneyckiana dominante in tutta Europa. Ve- rosimilmente all’altezza degli anni 1444-1445 circa, il pittore na- poletano Colantonio (il maestro di Antonello da Messina), anche Ini vaneyckiano, si esercita nella colorata perspicuit’ delle nature morte di libri a destra ¢ a sinistra della figura di San Gerolamzo nel- 64. lo studio (Napoli, Museo di Capodimonte), Poniamo attenzione Masaccio ¢ Filippino Lippi, Resurrezione del figlio di Teofilo e san Pietro in cattedra, affresco, 1427-1428 e 1480, ze, Santa Maria del Carmine, cappella Brancacei Filippo Brunelleschi e Donatello, Sugrestia vecebia, interno, 1419. 1428. Firenze, San Lorenzo Colantonio, San Gerolamo nello studio, olfo sx tavola, circa 1445, Napoli, Galleria Nazionale di Capodimonte (ds San Lorenzo Maggiore) al fatto che Alfonso d’Aragona, re anche di Napoli dal 1442-1443, scelga per Barcellona un pittore vaneyckiano come Luis Dalmau; contemporaneamente il suo nemico dichiarato, re Renato d’Angid, mantiene a corte un altro pittore vaneyckiano come Barthélémy d’Eyck; infine a Napoli, una citta dominata prima da re Renato poi da Alfonso d’Aragona, un pittore come Colantonio produce intorno al 1444-1445 — quindi a ridosso del passaggio di potere tra i due sovrani — un capolavoro squisitamente ¢ limpidamente vaneyckiano, Tanta fortuna europea (Francia, Spagna, Italia) del- la tradizione fiamminga deve mettere in guardia noi italiani quan- do discutiamo del nostro Quattrocento artistico. E infatti un se- colo per tanta parte internazionale, che non privilegia in alcun mo- do quanto capita a Firenze, cosi precocemente, rispetto a capola- vori di Bruges, di Gand ¢ di quasi tutto il resto dell’Europa. Non possiamo parlare del nuovo umanesimo figurativo di ispirazione classica come di una partita vinta per IItalia: & una partita vinta per Firenze; il resto del territorio italiano guarda con sensibile in- telligenza, e senza complessi, anche ad altre possibilita. La verita naturale, la suggestiva scoperta fiamminga che percorre tutta l’Eu- ropa nel corso del secolo, é autorevole quanto la prospettiva to- scana e l’eroico confronto con il mondo antico, Alfonso d’Arago- na —e in questo la sua figura di mecenate rivela una speciale sug- gestione — & uomo di gusti disparati; per lui la vera grandezza di un committente é una costellazione variegata di artisti, ama tutto e il suo contrario, ¢ lo vediamo infatti dedicarsi, nei momenti in cui si trova a Napoli, a una continua comparazione tra esperien- ze che non sono di necessita convergenti. Si ha la sensazione che per il nuovo sovrano di Napoli perizia tecnica e qualita esecutiva si equivalgano in ogni loro declinazione, ¢ che la sua vera soddi- sfazione sia ottenere da un artista un’opera inimitabile, quale nes- sun altro sapra fare a quel modo. Rinascimento bifronte:k 11 Castelnuovo di Napoli, nuovo per Alfonso d’Aragona, vie- ne costruito a partire dagli anni Quaranta (si conclude nel 1452) alendosi di un architetto chiamato dalla Spagna, Guillermo Sa- grera, La formazione di quest’ ultimo @ ancora precedente l’onda- ta vaneyckiana di cui si é detto ¢ riconoscibile nella figura di Sars Pietro dal portale del Mirador nella cattedrale di Palma di Maior- ca (1422). AAl Sagrera si pud probabilmente attribuire anche il pri- mo progetto dell’arco che occupa lo spazio tra le due torri fron- tali del castello, con rilievi che raccontano la vita fortunosa ¢ i trion- fi di Alfonso d’Aragona. Queste sculture costituiscono quasi pro- ve figurate inconfutabili della vicenda personale del monarca. II loro stile perd non & pit quello tardogotico di Sagrera; a guarda: re nei dettagli si scopre che il tono del racconto é di impronta clas- sica, quasi a costituire una fonte ricalcata sugli storici dell’antica Roma, una prova sperimentata “a vista”, Si tenga presente che Alfonso d’Aragona é il protettore di Lorenzo Valla proprio negli 66 anni in cui questi lavora allo studio sulla falsa donazione di Co- e Guillerma Sagrerae collaborator, } Arco di Trionfo di Alfonso a'Aragona, marmo, 1450-1460, Napoli, Castelnuovo stantino (questo rinvio alle fonti come prove e agli autorevoli mo- delli storici romani si ritrova a Milano, a Venezia, a Firenze, ecc.: & un segno inconfondibilmente umanista). Si accennava ai gusti di- sparati di Alfonso d’Aragona, tanto che, quando gli arriva la no- tizia che ’@ su piazza un artista di straordinaria competenza, so- prattutto di speciale competenza tecnica, non esita a chiamarlo a corte nonostante i tischi. Si tratta di Pisanello, artista nei guai per- ché é stato esiliato da Venezia e gli alleati di Venezia non lo vo- gliono in casa: sulla meta del secolo, prima della pace di Lodi, ne: suno se la sente di inimicarsi Venezia. Solo Alfonso d’Atagona pud permettersi tanta disinvoltura: Venezia é lontana da Napoli, gestisce traffici in un altro mare, non certo in quello tra Napoli ¢ Barcel- lona. Non si sono conservati quadri aragonesi di Pisanello, men- tre esistono molte medaglie per la corte aragonese e i disegni per le nuove bombarde di Alfonso. Nel Quattrocento si apprezzava che tecnica e arte si incrociassero, ancora senza sopraffarsi; la fa- ma di Pisanello, che per noi un grande ritrattista nordicizzante, @ per Alfonso il Magnanimo quella del grande medaglista che fa rinascere la medaglia all’antica, e del competente di fusioni che gli disegna delle bombarde minacciose ed eleganti. Il mito della cor- te napoletana é ancora i] mito di una spettacolare immagine pub- blica che si dichiara immediatamente di élite; qualcosa di molto diverso dalla realta pith terragna che avevamo intravisto parlando della corte milanese. Lattuale palazzo del Mare o palazzo di San Giorgio a Genova € un edificio duecentesco molto alterato da un restauro di Alfre- do De Andrade, un’immagine medioevale un poco falsificata che & comunque segno del ritorno a una citta senza corte, retta da un governo oligarchico: poche famiglie di “vecchio albergo” posso- no accedete alla carica di doge. Lo sfarzo esibito di una corte non ha mai avuto gran fascino per i genovesi, fedeli a una leggendaria avarizia, Se si vanno a leggere gli scritti dei visitatori di Genova sei e settecenteschi la leggenda trova storiche conferme. Si visita- no palazzi stupendi per il loro sfarzo, ma di sala in sala non si ve- dono mai gli abitanti; quadri, mobili, parati dilusso... ma mai i pro- prietari; solo se finalmente si sale nei mezzanini, quelli che di so- lito sono usati per la servitit, in certe stanzette poco riscaldate, si incontrano i proprietari, che vivono in modo molto parsimonio- .0. Anche nella produzione figurativa genovese incontriamo a vol te la stessa sottostima, quella specie di reticenza che caratterizza la vita quotidiana dei genovesi, insieme a un attaccamento feroce alla tradizione che impone il ricordo dei benefattori, di coloro che hanno ben metitato la riconoscenza della patria. Si giustifica in que sto modo il fatto che il salone del palazzo del Mare, noto anche come palazzo di San Giorgio (mezzo banca, mezzo ufficio di gabella), sia ornato dalle statue dei buoni amministratori e dei difensori del- la patria: non sono dei capolavori — Michele d’Aria, autore del ri- tratto del doge Vivaldi (1466-1468), non sa conquistare anima — ma & importante conoscere almeno un esempio della galleria dei benemeriti nel palazzo simbolo della gestione politica e finanzia- ria della citta. I Vivaldi sono una famiglia di vecchio albergo i cui membri pitt famosi sono degli ottimi amministratori e grandi sco- la corte Rinascimento bironte 67 pritori di nuove line di navigazione per allargare i mercati geno vesi; meritano pertanto di essere presenti nella galleria dei bene fattori per mano dello statuario semiufficiale della repubblica, un tranquillo campionese che trova facile lavoro in un’area, come quel- la ligure, cosi ricca di buone pietre da scolpire. Niente sfarzo dun- que, ma eventualmente particolari contatti con l’Umanesimo, per quanto in modo ancora una volta reticente. E bello leggere i testi genovesi del Quattrocento in cui si riversano in dialetto locale le nobili frasi attinte dalle grandi fonti classiche: i genovesi non com- pariranno mai vestiti in toga da umanisti, cosi come i loro ben: fattori sono vestiti in abiti normali di contemporaneita. La citté quattrocentesca ha un secondo carattere specifico, ve- ro anche adesso: ha dei rapporti molto speciali con la religione e 68 soprattutto con i santi protettori della citta. Per le reliquie di san Donato de’ Bardi, Crocifissione tempera su tela, circa 1450. Savona, Pinacotecs civica (dall’ospedate di San Paolo) Giovanni Battista che, insieme a san Lorenzo, @ uno dei grandi pa toni di Genova, i genovesi costruiscono una magnifica cappella allinterno del duomo di San Lorenzo, dovuta al giovane Dome- nico Gaggini, allievo del Brunelleschi. L'arco d’ingresso della cap- pella imita la facciata della cappella dei Pazzi a Firenze, ma é so- q prattutto un amatissimo paravento di pietra scolpita. Nel buio del duomo di Genova i visitatori stentano spesso a riconoscere il gran- de interesse di questa cappella fiorentinizzante in una citta che ama | £ Ia cultura figurativa nordica. Per le reliquie si predispone anche una imponente cassa in argento dorato, conservata ora nel Teso- ro del duomo di Genova, che @ sostanzialmente contemporanea alla cappella (siamo negli anni intorno al 1440 per la cassa, men- tre il contratto con Domenico Gaggini per la cappella é del 1448). A sottolineare la devozione dei genovesi per san Giovanni basti ri- cordare che di casse per le reliquie ne esistevano gia due prece- denti: una molto preziosa in argento, del tempo di Federico Bar- barossa, e un’altra in marmo, ancora piti bella, scolpita da uno dei pitt affascinanti scultori che all’inizio del Duecento lavorano in Ita lia, La cassa ultima, iniziata da ‘Teramo Piaggio e proseguita da Si- mone Caldera, presenta una situazione complessa, perché vi si ri- conoscono parti sicuramente eseguite su modelli ghibertiani (il Cal- dera, pur nato ad Andora, viene da una formazione toscana); vi sono poi parti pit: banalmente tradizionali e infine sono identifi- cabili anche alcune figure a tutto tondo di ispirazione fiammin- gheggiante. E difficile scoprire tutte queste variabili, bisognereb- be sostare su ogni dettaglio, ma cid che interessa ora é lo straor- | dinario investimento che i genovesi finalmente si sentono di af- frontare quando si tratta dei loro santi protettori. E nella religio- ne pitt che nel mito classico 0 nel mito repubblicano che si rico- noscono: nel loro vecchio duomo, nel patrimonio di grandi reli- quie, nel sentirsi un popolo di marinai, sempre esposto al rischio, sempre bisognoso di una protezione sicura. Tracce di questa par- ticolare e vissuta religiosita si riconoscono anche dalla Crocefissione, anteriore al 1451, forse persino precedente alla cassa di san Gio- vanni del Tesoro della cattedrale di Genova, Questa grande tela, dovuta a Donato de’ Bardi, ora alla pinacoteca di Savona, @ anco- ra una volta testimonianza degli orizzonti internazionali del nostro Quattrocento, Donato de’ Bardi é di origini pavesi, ma, a quanto risulta, agisce solo in Liguria nella prima met del Quattrocento; anche Ini é un esempio eccellente di come alcuni grandi pittoriita- Iiani (come nel caso di Colantonio) sappiano porsi arditamente a confronto con il mondo figurativo nordico e ricavarne una qua- lita personale inconfondibile. Il caso di Donato de’ Bardi @ molto clusivo ¢ verosimilmente non @ ispirato da esempi pittorici, ma piut- tosto da capolavori della scultura nordica del primissimo Quat- trocento, una scultura che si deve immaginare dipinta. Una via per accedere alla disadorna e nobile immaginazione del pittore viene dalla bellissima scritta che corte tutto intorno al quadro, utilizzando Io spazio della cornice dipinta, E una scritta di autentica commo- zione; & come se il devoto che sta di fronte alla terribile scena del Calvario non sapesse reggemne lo scandalo e sbottasse dicendo: *O bone Jesus quid fecisti, non es candor lucis aeternae, speculum sine 69 macula; cur me tantum dilexisti ut de coelo ad terram descende- res et carne mortalem assumeres”; “ma buon Dio ~ cosi si po- trebbe riassumere — cosa ti é venuto in mente, come puoi amarmi tanto da venire gitt dal ciclo ad assumere la carne umana, soffrire e morire per me”. Si avverte una specie di disperazione commos- sa, una sensazione di inadeguatezza verbalizzata con angoscia per la scoperta che Cristo, Re del mondo, muore umiliato sulla croce tra il pianto dei suoi cari. La scritta & molto pid lunga, ma basta tun breve campione del suo tono patetico e forte, che appare pre- cipuo della religiosita ligure. Chi conosce le vecchie processioni pasquali dei paesi liguri di montagna ha esperienza della tempe- ratuta emotiva documentata dalla partecipazione generale, Laffresco che sta in Santa Maria di Castello a Genova, @ anco- ra parente, nella sua nordicita, dell’esperienza di Donato de Bardi Laautore @ Giusto di Ravensburg, originario del lago di Costanza, ed é databile al 1451, Giusto, oltre che dipingere, conclude a Ge- nova dei buoni affari, tanto con i genovesi che con i fiamminghi di stanza in citta; sono curiosi e sorprendenti questi artisti che mer- cantegpiano in oreficeria, in tessuti di lusso 0 in qualche altra spe- cialita preziosa, Nel genere prezioso si pud includere anche un pic colo dipinto del 1437, esso pure di particolare intimita religiosa, posseduto nel Quattrocento da Michele Giustiniani, un personaggio in vista della societa genovese, Capolavoro di Jan van Eyck, ora conservato nella Galleria di Dresda, & un’altra pietra miliare del- la tradizione nordica a Genova che entrera in crisi solo con Parti- vo di un lombardo (per Pesattezza bresciano) di nome Vincenzo Foppa. La grande pala dipinta da Vincenzo Foppa pet Giuliano della Rovere, nel 1490, era destinata in origine alla cattedrale an- tica di Savona (ora si trova nell oratorio di Santa Maria di Castel- lo). Pitt tardi Giuliano della Rovere diventera papa Giulio II, il pa- pa di Raffaello e di Michelangelo; una storia di superbo mecena- tismo che comincia dunque molto presto, ¢ non solo in Italia: Giu- liano della Rovere & anche stato vescovo di Avignone e ha quindi educato i suoi occhi su formule figurative non solo italiane. La scel- ta di Vincenzo Foppa indica bene la sua volonta di toccare al ver- tice il livello qualitativo disponibile tra Lombardia e Liguria. Con un’opera cosi clamorosa per un committente privato, il della Ro- vere rompeva nei confronti della tradizione ligure del momento, ma aveva a sua giustificazione il precedente dello zio, papa Sisto IV (anch’egli un della Rovere). il papa cui si deve la decorazio- ne quattrocentesca della Cappella Sistina, quella sulle pareti bas se, con gli affreschi di Botticelli, di Perugino e di altri protagoni- sti della pittura tosco-romana intorno al 1480. La famiglia sapeva il fatto suo in quanto a committenze eclatanti, forse troppo se an- cora nel Vasari, in pieno Cinguecento, leggiamo riserve sui gusti tun poco plateali del primo della Rovere. Sostanzialmente, per Va- sari Sisto IV @ un frate francescano parvenu, privo di una raffina- ta cultura letteraria, che apprezzava pit il luccichio delle decora- zioni in oro che P’eleganza dello stile (dietro queste riserve c’era- no in verita anche vecchi odi che risalivano, per un filofiorentino come Vasari, fino agli intrighi della congiura dei Pazzi). Anche si- 70. mili pettegolezzi aiutano e rievocare la realta figurativa italiana nel corso del Quattrocento, le tensioni della societd e delle persone vive che scelgono, denigrano, esaltano, scartano, Non é un seco- lo statico i Quattrocento, é ultima stagione delle grandi avven- ture personali: un condottiero di bella fama e di bella forza, sem- pre perd ricattato dalla scarsita di denaro, pud diventare signore di Milano col nome di Francesco Sforza, Nel Cinquecento, av- venture e scalate cosi esaltanti saranno molto pitt rare. Sisto IV, e pit tardi Giuliano della Rovere, sono di quella tempra avventu- rosa e spregiudicata: ambedue hanno la faccia tosta necessaria a far credere in corte pontificia di essere parenti dei della Rovere di Torino, quelli si aristocratici, mentre loro appartengono al ramo ligure, tra Albenga e Savona, con pochi quarti di nobilta. Giulia no della Rovere, anche quando ancora non papa, non é perso- na che si possa trattare con disinvoltura. I bolognesi, che non lo amano, quando vengono a sapere che é diventato vescovo cardi- nale della loro citta lo preavvertono di non farsi vedere, di non pro. vare a entrare tra le mura della citta (dimostrando di conoscerlo bene). Lui in un primo momento sopporta, ma, diventato papa, entra ¢ forza la situazione politica bolognese estromettendo i Ba- glioni, tradizionali signori di Bologna, Il futuro papa Giulio II si pud identificare nel personaggio inginocchiato di fronte alla solenne e preziosa Madonna del Foppa, quasi una sovrana neo-bizantina, cauta nei gesti, quieta e meravigliosamente dolce; niente a che fa- re con il carattere del committente che sapra tener testa a Bramante, Raffaello, Michelangelo e a tanti altri protagonisti del Rinascimento italiano, ‘A Mantova aon esiste Universita e il potere ecclesiastico re- sta stabilmente nelle mani della famiglia Gonzaga. La consonan- za dei poteri risulta evidente visitando la Camera degli Sposi di An- drea Mantegna, nel castello di San Giorgio a Mantova, 1465-1474, con la sua ostentata e superba parata della famiglia Gonzaga al com- pleto: c’é la famiglia di Mantova ¢ ci sono i prelati romani, ci s0- noi signori attuali e i giovinerti che saranno signori nel futuro. “Noi non finiremo mai”, sembra voler dire la colorita presentazione per mano del Mantegna, In questa famiglia che doveva essere piutto- sto temibile, entra giovanissima Isabella d’Este, figlia di Ercole d’E- ste, sorella della moglie di Ludovico il Moto, Beatrice, cognata del la duchessa di Urbino, Elisabetta: tutto uti giro di corti settentrionali che si scambiano informazioni e vivono a specchio l'una dell’al- tra, Isabella, intelligente e volitiva, decide della sua vita con auto- nomia, tanto piti che i rapporti col marito, Francesco Gonzaga, non sono ottimali, Costruiri nel palazzo Ducale un piccolo mondo a sé, con un suo studiolo personale, una sua grotta, che arredera con delle tarsi a temi musicali, con porte bellissime circondate da raf- finati rilievi in marmo, con soffitti in legno scolpito su motivi scel- ti da lei. Purtroppo i suoi ambient non si sono conservati per in- tero: quando muore il marito sale sul trono di Mantova il figlio, Isabella dovra traslocare ¢ adattarsi in altri ambienti lontani dalla corte ufficiale. II figlio Federico é cresciuto a Roma, alla corte del papa, ha idee molto diverse da quelle della madre, @ un uomo di mondo, giovane, prepotente, affascinante. La madre, che ha sem pre trasognato in una specie di mondo incantato ¢ letterario, si tie la 1 rifugia lontano dagli appartamenti rumorosi e affollati del figlio, nella corte vecchia (riadatta ambienti non pit in uso): lei che ave- va dominato con la sua intelligenza e con la sua abilita politica la cotti italiane, quando il marito era ostaggio dei veneziani e papa Giulio II propalava nei suoi riguardi insulti feroci. Vedendo cosa Tsabella raccoglie nei suoi ambienti si scopre come la corte possa stringersi in uno specie di paradiso personale, con gli oggerti di collezione, levocazione della Roma antica, perd pitt bella e raffi nata di come non sia stata mai: @ l’Apollo del Belvedere, ma in bronzo dorato e in misura da appartamento, Anche gli oggetti ve- ramente antichi sono scelti con oculatezza, specie se possono van- tare un pedigree di qualita, Infatti un noto busto di eta classica, gia appartenente alla collezione di Andrea Mantegna, entra poi in quel- adi Isabella (la marchesa di Mantova si fece avanti in un momento in cui Mantegna era in difficolta finanziarie ¢ glielo comperd per poco), Lastuzia e il cinismo dei collezionisti avidi sono leggenda- rie Isabella non fa eccezione nella sua caccia a una corniola rara, tun vaso prezioso, un gioiello, un Cupido, qualcosa che le sembri assolutamente necessario, Appena sa che i cognati Montefeltro so- no stati brutalmente cacciati da Urbino per opera di Cesare Bor- gia, il feroce figlio di papa Alessandro VI, scrive di persona al nuo- vo signore per esplorare la possibilita di acquisire per la propria collezione certi pezzi rari rimasti nel palazzo, Curiosa ¢ stramba, affascinante e irritante, la vediamo impelagassi in una lunga vicenda di trattative con gli artisti per la sua maggiore impresa come com: mittente, la decorazione pittorica dello studiolo. Si deve ad An. 72. drea Mantegna, nel 1497, uno dei dipinti per lo studiolo: una com- Andrea Mantegna, Ludovico Gonzaga, Barbara di Brandeburgo ¢ la corte, particolare, pturs marale, 1465-1474, Mant San Giorgio, Camera deglt Sposi ‘Andrea Mantegna, Maste e Venere alle origint dell'armonia, tempera su tela, 1497. Parigi, Musée du Lowore (da Mantova, palazzo Ducal, Studiolo di Isabella d’Este) plessa allegoria che nasconde la filosofia di vita di Isabella d’Este. Venere e Amore in alto si congiungono: gid la questione un po- co delicata perché Venere @ sposata con Vulcano, ma per il mo- mento lasciamo perdere. Si fa allusione al fatto che Venere come sentimento d’amore ¢ Marte come potenza di guerra, quando si uniscono, in qualche modo si neutralizzano a vicenda e danno oti- gine all'armonia, che conosciamo attraverso la musica (Apollo suo- na ¢ sulle sue note danzano le muse), Accanto a Venere e Marte (che alludono a Isabella e al marito) ¢’@ un personaggio che ha tut- ta Paria di essere Amore, ma non & hendato e ci vede benissimo (infatti non & Fros ma Anteros, amore spirituale); questi con una cerbottana fa partire il colpo feroce che va a colpire proprio nei genitali Vulcano (@ il personaggio nella grotta a sinistra); come a dire che bisogna essere cedevoli all’amore spirituale, non all’amo- re carnale, perché Anteros ci porta verso F'alto, verso Dio, fino a sentire ’armoniosa musica celeste. Questa teoria appare oggi un po’ ridicola, e tuttavia ¢ uno dei punti forti della filosofia neopla- tonica di quegli anni, e su teorie del genere lintelligenza accanita di Isabella costruisce Parredo dello studiolo. Anche Isabella, co- me a suo tempo Alfonso d’Aragona, vorrebbe il meglio che ¢’é per gli ambienti che abita, ma Mantegna é un perfezionista, non con- segna mai i suoi dipinti. Si rivolge pertanto anche a Pietro Peru- gino che gode, in quegli anni, di una gran fama; gli chiede un qua- dro per lo studiolo, ma precisa subito che il soggetto sara come pa- rea lei e gli invia un riassunto per lettera: “La poetica nostra in- bifronte tact ela cor ventione, la quale grandemente desidero da voi esser dipinta, é una battaglia di Castita contro Lascivia, cio? Pallade e Diana combat- tere virilmente contro Venere ¢ Amore. E Pallade vol parere qua- si de ayere come vinto Amore, havendogli spezzato lo strale d’oro e Parco d’atgento posto sotto li piedi, tenendolo con luna mano per il velo che il cieco porta inanti li occhi, con Paltra alzando P'a- sta, stia posta in modo di ferirlo, Et Diana al contrasto di Venere devene mostrarsi eguale nella vittoria; et che solamente in la par- te exstrinsecha del corpo come ne la mitra e la ghirlanda, overo in qualche vellettino che abi intorno, sia da lei saettata Venere”. Non si pud ferire Venere brutalmente dopo averla messa sul monte Par- aso nel quadro accanto; daltra parte occorre far capire che la la- scivia amorosa ha partita persa, mentre Diana e Minerva, che so- no dee castissime, devono trionfare, Perugino da del suo meglio € del suo peggio: per realizzare il soggetto proposto dalla marchesa prende a modello l'incisione del Pollaiolo con i Nudi in battaglia, Ii traveste da signori all’antica, con gli attributi di Venere, Pallade ¢ Diana, ¢ invia opera ad Isabella. Nel quadro di Lorenzo Costa, sempre per lo studiolo (ora i dipinti sono tutti al Louvre), vedia- mo al centro Venere, Amore ¢ finalmente anche Isabella che, do- po il lungo pellegrinaggio filosofico testimoniato dai suoi dipinti, @ accolta nel regno di Armonia; Venere c il figlio le fanno mille moi- ne in mezzo a personaggi mitologici tutti identificabili Caduto Ludovico il Moro, sconfitto dai francesi, Leonardo cer- ca una nuova sistemazione; passando alla corte di Mantova rea- lizza il notissimo cartone con il ritratto in profilo della marchesa Isabella Gonzaga (Parigi, Louvre), sperando di trovare una buo- na occasione, non ne trovera né qui né a Venezia e approdera fi- nalmente a Roma, presso la corte papale, Isabella & un soggetto difficile, non vuole farsi ritrarre, non ha pazienza, dice di essere ormai troppo grassa, ma in sostanza ha capito benissimo che quel Leonardo che la vuole ritrarre va troppo al fondo, la guarda trop- po intensamente, ¢ lei sa di che affondi psicologici & capace co- stui, perché ricorda bene il ritratto che Leonardo ha fatto a sua sorella Beatrice, ora al Louvre. Non vuole essere cos! indagata, co- siconfessata dal ritrattista, non lo guarda nemmeno, preferisce un profilo come nelle medaglie. Leonardo pit di cosi non andra avan- ti, fard questo cartone in due redazioni, delle quali quella conser- vata @ adesso a Parigis il ritratto-confessione di Isabella non ci sara Il tema delicato di scrutare in fondo all’anima, che @ il grande pro: blema della fine del Quattrocento, intravisto con Donatello ¢ por- tato a soluzione da Leonardo, non tocchera Isabella, che piutto- sto ricorre a dei ripieghi, cede alla metafora, non ardisce confes sare le proprie debolezze, vuole restare la padrona della situazio- ne. Leonardo, per parte sua, non abbandona il ruolo di protago- nista, intende guardare in fondo all’anima altrui impietosamente, come un mago, i suoi ritratti rivelano quanto si vuole nasconde- re, Pensiamo anche solo alla serie sconvolgente di temperamenti individuati con gli Apostoli dell’ Ultima Cena nel Cenacolo di San- ta Maria delle Grazie di Milano: un capolavoro di sublime emo- zione, il punto pitt alto di tutto il nostro Quattrocento artistico, 74 Vinizio vero del grande Rinascimemto italiano, prima ancora di Raffaello, prima di Michelangelo. Non siamo pit al livello mon- dano della nostra Isabella: il suo perdersi dietto a un amore spiri- tuale che la porter nei cieli dell’armonia le impedira un dialogo coinvolgente ¢ inquietante con l’unico pittore che avrebbe sapu- to dare di lei un’immagine finalmente sincera Nel 1204 Venezia favorisce la quarta Crociata e partecipa al sac- cheggio di Costantinopoli, scegliendo per sé, di tutto il tesoro co- stantinopolitano, forse la reliquia pitt preziosa'del mondo antico che vi restasse: i quattro giganteschi cavalli, veri, frementi (oggi in San Marco); quando li si vede da vicino sembra che debbano da- re una spallata, enormi pur tenerissimi di pelle, adesso nuova- mente dorata. Non bisogna mai esagerare nello stringere Venezia in una co- razza bizantina, Nel mettere le mani su oggetti simili la citta mo- stra benissimo cosa intende quando si parla di natura. Non a ca- so, poco dopo la crociata, nell’arco centrale della facciata di San Marco compariranno delle sculture che sono tra i capolavori di na- turalezza nell’ Europa gotica. Seguendo questo percorso ci avvic niamo all’emozionante amore per la verit3 naturale e per lo spa- zio abitato dagli uomini e dagli animali pit domestici che Parte ve- neziana conosce sul finire del Quattrocento per opera di Giovanni Bellini, mago ed esploratore. Nella Trasfigurazione di Giovanni Bel- lini, datata al 1480, uno dei suoi capolavori, oggi conservata nel Museo di Capodimonte a Napoli, il luminoso mistero della Tra- sfigurazione di Cristo avviene in una natura pacata, di specchian- te e ridente lucentezza. Il pittore appare come un grande scien- ziato, un geologo, un botanico (non tanto un anatomista, come a Firenze); in base alla scoperta della nostra possibile consonanza con la natura, che é Daltro grande tema del Quattrocento al tra- monto (la scoperta della dimensione psicologica attraverso Leo- nardo, la consonanza con la natura attraverso Bellini), la Trasfi- gurazione di Napoli consente al mondo creato un ruolo da prota- gonista all’interno di una scena altissima e segreta della tradizio- ne religiosa. E chiaro che non sara l’affondo psicologico l’obietti- vo ultimo nei ritratti di Bellini, ma quanta luce carezzevole ¢ ri- velatrice si posa sull’epidermide dei suoi ritrattati: il Doge Leonardo Loredan, nel 1501 (Londra, National Gallery), non poteva desi- derare di pid per la sua nobile vecchiaia, celebrata da un pennel- lo amico. Limpegno verso la verita pittorica di Bellini non cono- sce cedimenti ¢ lo si constata attraverso un episodio, eccezionale per il secolo, di rapporto paritario tra committente e artista: dal- la corte di Mantova giunge a Giovanni Bellini la richiesta di una veduta della citta del Cairo, e Bellini scandalosamente si dichiara indisponibile perché non ha mai visto di persona quella citta. Venezia @ citta particolare ache dal punto di vista religioso; non una cittd senza fede, ma con un’idea politica dell’esperienza religiosa, almeno ai suoi bei tempi. Il palazzo del doge ¢ la chiesa di San Marco sono contigui e comunicanti e San Marco &, in pri- mo luogo, chiesa dogale che accoglie come ospite il vescovo di Ve- nezia, con cattedra ufficiale in un’altra chiesa. Lo stesso avviene, meno vistosamente, a Bologna, dove San Petronio, chiesa del Co- mune, non é, contrariamente a quanto si pensi spesso, sede della cattedra vescovile {la chiesa del vescovo é San Pietro). Venezia in qualche modo propone tra doge e patriarca lo stesso rapporto po- litico che c’é tra Pimperatore d’Oriente ¢ il patriarca di Costanti- nopoli: Pimperatore é anche il capo della chiesa, il patriarca di Co- stantinopoli é un suo impiegato, non @ il papa d’Oriente. Nel di- pinto realizzato da Gentile Bellini, fratello di Giovanni parte di una serie di tele eseguite da vari pittori veneziani, tra il 1495 e il 1500, per una delle istituzioni pid tipiche di Venezia, una scuola (qual- cosa come una confraternita), la scuola dei devoti di San Giovan- ni Evangelista, orgogliosi di una preziosa reliquia della Santa Cro- ce, che viene portata in processione (le tele si trovano ora alle Gal- lerie dell’Accademia di Venezia). Conosciamo con questa serie di dipinti un caso di committenza pubblica di base, come non si era ancora incontrato, tipico di una cittd senza corte, e anche senza universita (Venezia ha collocato la propria universita a Padova). Il governo oligarchico di Venezia agisce con qualche mistero e si esibisce nella sua imponente compattezza solo in occasione di gran- di cerimonie; la realta visibile del vivere cittadino, della citta co- me palcoscenico sociale, appartiene piuttosto alle scuole, istituzioni mezzo religiose e mezzo laiche, che tengono sotto controllo P’e- quilibrio della convivenza, mediano i conflitti fin dove & possibi- le. La serie delle tele ora all’Accademia rappresenta la processio- ne della reliquia della Santa Croce attraverso i quartieri della citta; un’altra tela, sempre di Gentile Bellini, mostra per esempio un in- cidente di percorso sul ponte di San Lorenzo, quando la teliquia cadde nel canale, ma fu immediatamente recuperata non senza so- spetto di miracoloso intervento divino. Sono protagonisti della sce- na tutti i notabili veneziani del momento, riconoscibili uno a uno, che assistono compunti all’evento. In un’altra tela della serie (di Giovanni Mansueti) siamo spettatori di una guarigione miracolo- sa in casa di Benvegnudo di San Polo al passaggio della proces sione; in un’altra ancora (di Vittore Carpaccio) ammiriamo la gua- rigione di un ossesso da parte del patriarca di Grado, Francesco Querini, presso l’antico ponte in legno di Rialto, 1494. Si pud co- si spiare curiosamente nelle case private, elegantemente ornate e densamente abitate (il letto, il camino, le presenze umane a vari livelli sociali) in un momento di incantato silenzio. La citt’ sem- bra offrirsi per una commovente foto di gruppo da cui risulta un felicissimo rapport tra la citta stessa, i suoi abitanti ¢ i riti della convivenza sociale, con tante persone che amano ritrovarsi insi me (chi a piedi ¢ chi in gondola, secondo le possibilita). Il Guer- riero con paggio di Giorgione, agli Uffizi di Firenze, rivela sulla so- glia del nuovo secolo, una realta veneziana completamente diver- sae ormai aperta a esperienze che saranno propriamente cinque- centesche (una realta privata, per committenti estremamente ri servati). Le scoperte di Leonardo e di Bellini, la naturalezza e l'ap- profondita analisi psicologica si confondono in modo stupefacen- te scoprendo, persino in un guerriero, sensibili cedimenti senti mentali, un modo di divagare in sogno altamente letterario, ma an- che una verita di epidermide e di carne che trionferanno qualche anno dopo in Tiziano e nella grande epopea del Cinquecento ve- 76 neto in pittura. Giovanni Bellini, Vrasigurazione Napoli, Galleria Nazionale di Capodimonte (da Vicenza, cattedrale, cappella Fioccardo) Vittore Carpaccio, Miracolo della Santa Croce al ponte di Rialto, olfo su tele, 1494-1500, Venezia, Gallerie dell’ Accademia (dalla Scuola i San Giovanni Evangelista) Giovanni Agosti Andrea Mantegna, Incontro tra Ludovico Gonzaga e i figlio cardinal Francesco, partcolare pittwra murale, 1465-1470. Mantoua, castello di San Giorgio, Camera degli Sposi Una lezione su Andrea Mantegna ee nel 1445, il 23 maggio, Andrea Mantegna é chiamato, nel primo documento che parla di lui, “Andrea pictore”. E il co- dicillo di un testamento stilato a Padova, vicino alla Basilica del Santo, in casa del notaio Alvise Torresan, la cui dimora é confi- nante con quella di Francesco Squarcione, che é il padre adottivo di Andrea. Il giovane artista @ un adolescente di quindici anni, ar- ivato’nella citta di sant’ Antonio da un paese della campagna, Iso- Ja di Carturo, vicino a Piazzola sul Brenta, al confine tra il conta- do di Padova e quello di Vicenza. Il suo padre vero faceva il fale- gname; il suo padre adottivo - Francesco Squarcione appunto — & sarto e ricamatore, ma anche maestro di pittura. Vivono insie- me dal 1442, tra sarti e pellicciai, pittori e ceramisti, con cui lo Squarcione é quotidianamente in rapporto. La Padova di quegli anni ruggenti é un po’ 'ombelico artistico d'Italia, il luogo dove si stanno sperimentando le soluzioni pitt avan- zate nelle arti figurative e che fa da richiamo per i giovani artisti provenienti da ogni parte, dalla Liguria alla Puglia, dalle Marche alla Lombardia. In breve tempo risultano liquidate posizioni che sembravano definitive: ci vuole poco perché un dipinto come il po- littico della Nativitd di Antonio Vivarini e Giovanni d’Alemagna, posto nel 1447 su un altare della chiesa di San Francesco (ora si trova alla Narodaf Galerie di Praga), risulti clamorosamente supe- rato. E una situazione di estrema vitalita che non dura molti anni, ma che ha un inizio ben preciso con Parrivo (1443) di Donatello in citta. Lo scultore fiorentino, all’apice della carriera, ma sempre imprevedibile nelle sue soluzioni espressive, @ stato chiamato per realizzare il monumento equestre del Gattamelata ¢ la decorazio- ne delPaltar maggiore della basilica di Sant’ Antonio; restera a Pa- dova quasi dieci anni, fino al 1453, prendendo impegni 0 fornen- do consulenze anche per altri centri padani, da Modena a Manto- va, da Cremona a Ferrara. In situazioni del genere i mesi contano come anni nello sviluppo figurativo: é un fatto che vale sempre nel- le zone alte della storia della cultura, quando si assiste a una acce: Jerazione dei pensieri e dei risultati espressivi. Dire “Roma 1507” 13 @ molto diverso che “Roma 1511”: sono solo quattro anni, eppure la storia dell’arte occidentale viene ribaltata nelle sue fondamenta. E pit facile capire questo concetto se si pensa a situazioni pitt vi- cine a noi: “Roma 1959” é diverso da “Roma 1963”: basta pensa- re alla citcolazione di idee, alla vitalita di rapport, alla conseguen- te produzione di libri o di quadri o di film o di spettacoli impor- tanti e subito stilare un elenco. Invece nei momenti di decadenza espressiva non si assiste a rincorse e intrecci e gli anni contano co- le soluzioni coesistono, gli artisti vivacchiano, i pochi gran- di se ne stanno isolati: e di opere importanti non se ne vedono tan- te in giro, Ancora un esercizio: il passaggio da “Roma 1994” a “Ro- ma 1999” mi pare che dica proprio poco, se ci si rimette a stilare gli elenchi in colonna degli spettacoli o delle mostre davvero di un cetto peso. Ma torniamo alla Padova di meta Quattrocento illu- minata dal corto citcuito espressivo che non ci mette molto a scat- tare tra chi frequenta la bottega di Donatello e i giovani allievi di Francesco Squarcione che @, in un modo 0 nell’altro, il principale pittore della citta. Donatello, che ha pid di cinquant’anni, si é por. tato degli aiuti dalla Toscana, ma altri ne ha raccattati sul posto; lo Squarcione, “gymnasiarcha pictorum”, attrae, come una sirena 0, meglio, come Mangiafuoco, chi vuole fare il pittore in un raggio abbastanza ampio, ed é in grado di esibire nel suo studio molte- plici novita, oltre che ricevere santi e cardinali e imperatori di pas- saggio per Padova. Collabora con lo stesso Donatello dipingendo, nel 1449, il paliotto per l’altare del Santo. E un nesso, questo, chia- rito una volta per tutte dal maggiore stotico dell’arte del Novecento, Roberto Longhi, quando scriveva nel 1926: “Per quanto cid possa sembrare fantastico, sento profondamente che tutto quanto avvenne tra Padova e Ferrara e Venezia tra il 1450 e il 1470 (...) ebbe la sua origine in quella brigata di disperati vagabondi, figli di sarti, di bar- bieti, di calzolai e di contadini, che passd in quei vent’anni nello studio dello Squarcione. Studio veramente indescrivibile: 0 da im- maginarsi soltanto per mano di qualche pittore sul genere del De Chirico; in un quadro serotino e minaccioso dove i busti classici decapitati si vedevan sorreggere le cornici tortili per i trittici da di- pingersi su misura per i vescovi del Polesine; le placchette fioren- tine far da vassoio alle oncie di azzurto di Allemagna; i tappetini cinesi inferocire di mostri vicino ai rotoli di pannina intignata but- tati la dallo Squarcione, sartor et recamator; ¢ qualche minutezza ‘ponentina’ in tavola stare come miracolo vicino a uno scorcio to- scano ‘per figura de isomatria’ o ad un’arma con cimiero dipinta pet qualche signorotto del contado. Qua e la, sparsamente, la pol- vere bionda sul latte dei calchi recenti e, tutto il giorno, le visite tu- multuose e ironiche dei lavoranti di Donatello”. Poco importa per- cid che le uniche due opere di pittura sicuramente realizzate da Fran- cesco Squarcione, il politico de Lazara al Musco civico di Padova e la Madonna di Berlino, non siano eccelse. La portata cruciale di Squarcione nella storia figurativa italiana & quella di essere riuscito a creare attomo a sé un ambiente estremamente vitale, dove si spe- rimentano le novita pitt progredite del momento. Certo ci saranno state da sopportare la sua prosopopea ¢ le sue attenzioni, fin eccessive, 114 nei riguardi dei ragazi, che regolarmente, dopo un po’ di preferenze e molto lavoro, gli si rivoltavano contro. Mantegna gia nel 1448 era passato alle vie legali e si era effettivamente emancipato. La Padova di quegli anni va immaginata avendo un occhio di ri- guardo per una specie di bohéme che si forma tra artisti e scritto- ti, tutti giovani e coetanei, La circolazione di energie investe artisti committenti, scatenando un gioco di squadra e un ricambio ge- nerazionale. Al’ombra della grande universita, i genitori commit- tenti di Squarcione o di Antonio Vivarini hanno i figli fanatici di Man. tegna o di Schiavone. E un momento in cui le esigenze di chi inve- stiga le testimonianze letterarie del passato, di chi indaga la storia pitt antica della citta, fondata dal mitico Antenore, incontrano le aspi razioni espressive di un pittore che vuole ricreare il mondo antico, senza essere mai stato a Roma, accontentandosi di cacce epigrafi- che in giro per il Veneto felice di molta fantasia individuale. Continua a non essermi chiaro se sono gli scrittori che ricono- scono in Mantegna ventenne chi incarna le loro aspirazioni espres- sive 0 se @ il pittore che si fa sotto per realizzare quanto desidera- no il Marcanova o il Feliciano o il Pannonio. Certo é che su Man- tegna cominciano a rovesciarsi lodi in versi-e in prosa, come fin ben pochi artisti italiani avevano conosciuto, ¢ mai cosi da giov: ni, E questo un altro fenomeno nuovo che caratterizza la Padova cruciale di quegli anni: il sucesso di un artista passa anche attra- verso le celebrazioni o le presentazioni dei letterati, che spesso ri- cevono in contraccambio un proprio ritratto. Non che fin li fos- sero mancati accrediti letterari a Giotto o, per stare in tempi pitt vicini, a Gentile da Fabriano o al Pisanello: quello che colpisce ora — a Padova ~é la coerenza anagrafica tra chi dipinge e chi scrive eil tempismo della celebrazione. Mantegna é esaltato dai suoi cos tanei anche prima dei grandi exploit padovani: cioé gli affreschi della cappella Ovetari nella chiesa degli Eremitani. Per rendersi conto della liberta di costumi di questo ambiente - dove le notti, “di trecento ore”, sembra non finiscano mai, dove ci si aspettano discussioni incrociate, tra i dadi e il vino, sul futuro della vita e i destini della pittura, come capita solo a vent’anni, dove gli artisti fanno a botte e qualcuno ci rimette la vita, dove gli amori si con- sumano con la rapidita di una canzone — pud bastare ricordare che & da qui che emerge il singolare canzoniere di Marco Businello: una manciata di poesie amorose, tutte per ragazzi diversi, che ven- gono apostrofati con soprannomi attinti dal mondo animale, trai Colli Euganei e Adige. Proprio in mezzo a una di queste dimen- ticate poesie, che lodano il ragazzo di turno, mi é capitato di tro- vare l'unica menzione quattrocentesca che accosta Donatello a Man- tegna: “Questi son quei begli ochi e quelle chiome / Che m’hano il cor con mille laci avinto, / Questo & quel vago e pelegrin hiacyn- to / Che lascié Apollo con eterno nome. / O Andrea Mantegna, o Donatello, come / Ne potrebe esser un pid bel depinto?”. C’& anche chi, tra gli scrittori, riesce a trovare il verso che caratteriz~ za le scelte stilistiche di Mantegna: & Ulisse Aleotti che, nel de- scrivere nel 1447 0 1448 un ritratto del giovane artista, dice che lo “scolpi in pictura, propria, viva e vera”. E un’affermazione che descrive bene il carattere fortemente scultoreo della pittura di Man- tegna, sorta accanto alle officine dove venivano fusi il Gattamela- 15 tae le statue e i rilievi per laltare bronzeo del Santo. D’altra par- tenon va dimenticato che in questo ambiente sono abbastanza fre- quenti i pittori-scultori e gli scultori-pittori, come se il passaggio da una pratica all’altra fosse comune nelle botteghe del tempo. Laffermazione di Mantegna si segue bene osservando i filo del- le sue commissioni padovane: la pala con la Madonna che ave eseguito nel 1448 per altar maggiore della chiesa di Santa Sofia, e che é perduta, era stata real su richiesta di un ricco fornaio, ma gia nel 1452 lavorava per la Basilica del Santo, per cui esegui- va una lunetta con i santi Antonio ¢ Bernardino che sorreggono un medaglione metallico con il monogramma di Cristo, eseguito dal orafo Niccold del Papa, che due anni dopo prendera parte al montaggio dell’altare di Donatello. D’altronde gia nel 1449 era chia. mato a Ferrara, alla corte degli Estensi, dove dipingeva un doppio ritratto, perduto, del marchese Lionello e del suo favorito Folco da Villafora. Deve essere arrivata presto anche la commissione per la decorazione della casa del Gattamelata, voluta dalla famiglia del condottiero, morto nel 1443 ¢ immortalato nel monumento eque: stre di Donatello: purtroppo questi affreschi sono andati perduti in un incendio nel 1760. Nel 1453 Mantegna si impegnava a ese- guire un polittico per i potenti benedettini di Santa Giustina, de- stinato all’altare della cappella di San Luca. E un’opera che si con- serva, dal 1811, alla Pinacoteca di Brera, dove é facile apprezzar- ne dal vero gli accordi dei rosa e dei rossi sull’oro. Rosa e rossi che 116_ si inseguono, come le palline di un flipper, da un personaggio al- Andrea Mantegna, Politico disan -mpera su tav0la, 1453-1494, Milano, Pinacoteca di Brera Paltro, mentre gli scuri col tempo si sono fatti omogenei; eppure erano blu, neti, verdi. I] politico é stato terminato al principio del 1455; la firma & nascosta fra le venature del pilastro di marmo che sorregge il leggio di san Luca. Fin da qui é chiara la passione per i materiali lapidei che pervade Mantegna e che percorrera tutta la sua opeta, anche in questo in singolare sintonia con altri compa- gni nello studio dello Squarcione. Ma fin da qui é evidente anche il gusto di Mantegna per le iscrizioni: una specie di poesia visiva, con cui sperimenta soluzioni grafiche altamente idiosincratiche. La pala di san Luca non ha pid la comice originale, intagliata e dipinta d’oro e d’azzurro, che era stata eseguita da un certo “mae- stro Guglielmo’, e si presenta con una forma ancora, in un certo senso, arcaica: quella del politico, che per di pit doveva avere, co- me era abitudine a Venezia, un baldacchino sporgente, in alto, do- ve stavano le figure del Cristo, della Madonna e di san Giovanni. Inoltre, dietro a tutti i personaggi si staglia un fondale oro, as- solutamente non atmosferico. Assomiglia per queste caratteristi- che esterne al dipinto di Antonio Vivarini e Giovanni d’Alemagna, che, come si visto, dal 1447 si trovava su uno degli altari della chiesa di San Francesco. Eppure c’@ una coordinazione dello spa- zio attraverso lo strumento della prospettiva che pid moderna non si potrebbe immaginare; sotto le vesti i personaggi sacri hanno un corpo tridimensionale, pensato a ridosso delle creature di bronzo che Donatello aveva appena montato, con somma sicurezza, sul- Paltare del Santo. Ci sono poi dettagli incantevoli, di flagrante na- turalismo, come i segnalibri rossi dentro il volume rilegato in ver- de, con i bordi delle pagine dorati, o gli schizzi di inchiostro ne- ro € rosso sotto il banco di san Luca, che ha voluto provare le pen- ne prima di mettersi a scrivere il suo Vangelo, come in una scuo- laelementare di una volta. In certe figure, in particolare nella san- ta Giustina, nello scomparto in basso all’estrema destra, si sente una tenerezza, che pid tardi Mantegna decidera programmatica mente di negarsi, scegliendo come propria divisa, chi sa in segui to a quali dispiaceri, una specie di “ne cherchez plus mon coeur”’ Invece nella giovane santa, che deve essere stata una discreta le trice, pronta a scambiarsi le novit’ librarie con san Luca, di cuo- rece n’é molto ec’ una singolare sintonia con le primissime ope- re di Giovanni Bellini, solo un poco pit trepide e piene di aflet- to. E; qui uno dei nodi cruciali dell’intera storia dell’arte italiana: il rapporto tra Mantegna e Bellini, che dal 1453 diventano cogna- ti, Infatti Mantegna sposa in quell’anno Nicolosia Bellini, sorella di Giovanni e di Gentile e figlia di Jacopo, venendo cosi a impa- rentarsi con la pitt importante bottega di pittura di Venezia. E sul- lo sfondo di questo matrimonio che va considerata la brusca rea- zione dell’ex maestro ed ex padre adottivo Francesco Squarcione, quando vengono scoperti~ gli anni sono immediatamente successivi a quelli del polittico di Santa Giustina — gli affreschi di Mantegna nella cappella Ovetari nella chiesa agostiniana degli Eremitani. Fino alla seconda guerra mondiale, durante la quale una bom- ba alleata li distrusse quasi interamente, questi affreschi erano il pun- to di vista privilegiato da cui si guardava Mantegna: erano stati ap- prezzati ¢ copiati nei secoli. Altre opere, oggi molto famose, dalla Una lesions ss A 17 118 Camera degli Sposi ai Trionfi di Cesare, erano infatti molto pit dif- ficilmente accessibili. Gli affreschi della cappella nel transetto de- stro della chiesa degli Eremitani, con le storie dei santi Giacomo Cristoforo, erano stati commissionati, a partire dal 1448, dagli cutori testamentari di Antonio Ovetari ¢ dalla vedova Imperatrice Forzate a un gruppo di pittori, di generazioni diverse, di cui face- va parte anche il giovane Mantegna. II complicato decorso dei la- vori, durati quasi un decennio, con litigi e morti di parte degli ar- tisti, fa di Mantegna, “sollemnis magister” a poco pitt di vent’anni nei giudizi dei colleghi, il protagonista dell’impresa. Questi affre- schi si possono apprezzare attraverso una bella campagna fotogra- fica in bianco e nero realizzata da Alinati agli inizi del secolo; ma ci sono anche alcune rarissime fotografie a colori, scattate nel mar- 20 1944, proprio pochi giorni prima del bombardamento. A vent’ an ni, a meta del Quattrocento, Mantegna, che ha deciso di essere un pittore di storia, ha elaborato un mondo nuovo, che aspira a quel- lo antico, praticando iniezioni di fierezza ¢ terribilita alle fragili co- struzioni di suo suocero, Jacopo Bellini, immerse in prospettive cre- dibili e spericolate, come quelle di Donatello. C’é da discutere se abbia gia letto 0 meno il De pictura di Leon Battista Alberti, una novita latina del 1435, di cui autore stesso aveva realizzato Panno dopo una versione in italiano e dove si cercava di dare una giusti- ficazione intellettuale all'attivita del pittore. Scendendo dalle sto- rie pid in alto sulla parete di sinistra, quelle con la Vocazione di Gia como e Giovanni ¢ San Giacomo che disputa con i demoni, ai tegi- siti inferiori con il seguito della vicenda, si assiste a un progressi vo atticchimento degli elementi di gusto antiquario, a un aggravarsi del misticismo archeologico. Compaiono edifici all’antica, costru- zioni severe, archi con rilievi ed epigrafi. Viene fuori la passione per le rupi ele rocce, le cave ¢ gli anfratt, le citta arroccate in cima ai colli. Ma anche in questo mondo di pietra, in questa natura di fos- sili, dove P'umanita @ fatta solo di uomini senza donne, Mantegna non rinuncia a dettagli che le interpretazioni pitt stereotipate del suo lavoro tendono a cancellare dal ricordo. Penso ai due fratelli, di etd diversa, che assistono al battesimo del mago Ermogene o al bambino che nell'interrogatorio di san Giacomo davanti a Erode Agrippa indossa un elmo e uno scudo troppo grandi pet lui: pez~ zi di un’attrezzeria di bottega che deve essere stata patrimonio del- Ja famiglia, tanto che pitt di vent’anni dopo lo stesso scudo lo si've- dra riadoperato da Giovanni Bellini nella sua meravigliosa Resur- rezione dipinta per San Michele in Isola e adesso a Berlino. Ma fuo- ri dai cliché preconcetti sono anche gli angioletti arrampicati, co- me Tarzan, sulle ghirlande-liane, che percorrono le membrature del- le storie: uno di loro scappa per la paura di fronte ai diavoli con- vocati da san Giacomo, due giocano con un gufo ¢ un altro si met- te addirittura a pisciare, senza un filo di rispetto, davanti alla sce- na del Battesimo di Ermogene. Anche da dettagli cosi emerge be- ne la riflessione di Mantegna sui liveli di illusione della pittura. L'an- gioletto si spaventa per immagine dipinta 0, non diversamente, nel- la scena con il Martirio di san Giacomo, la balaustra di legno, da cui si sporge un soldato elegante, fora le membrature della parete. Fin da queste storie é chiara un’altra predilezione dell’attista: ns Tinserzione nelle scene di “famuli”, di attendenti cio®, che “modo accumbunt, modo dominorum imperia deoscitantes expectant, mo- do inertes, stupidique manent”. Questa frase latina, che si tradu- ce cosi: “attendenti, che ora si sdraiano, ora aspettano, indolenti, ali ordini dei padroni, ora rimangono inoperosie istupiditi”, é trat- ta dal primo libro a stampa dedicato alle arti figurative, il De sculp- tura di Pomponio Gaurico, pubblicato nel 1504, Lumanista me- tidionale coglie bene un tratto caratterizzante delle creazioni di Man- tegna: basta pensare al militare sul fondo della scena di Sar Gia- como condotto al martirio oa quelli che assistono al Martirio di san Giacomo, ma anche ai giovani in divisa della Camera degli Sposi. Scatta immediatamente il ricordo di un passo famoso della Ricer- ca del tempo perduto, quando Swann va a un ticevimento in casa della marchesa di Saint-Euverte e osserva i camerieri nell’atrio del palazzo. Tra loro, cito dalla traduzione di Giovanni Raboni, “un giovanottone in livrea sognava, immobile, scultoreo, inutile, come quel guerriero puramente decorativo che, nei quadri pitt tumultuosi del Mantegna, vediamo meditare appoggiato al proprio scudo, men- tre accanto a lui ci si abbatte e ci si sgozza; staccato dal gruppo dei colleghi che si davano da fare attorno a Swann, sembrava risoluto a disinteressarsi di quella scena, seguita vagamente dai suoi occhi glauchi e crudeli, non meno che se si fosse trattato della Strage de- gli Innocenti o del Martirio di san Giacomo, Sembtava per 'appunto appartenere a quella raza estinta — 0 non mai esistita, forse, se non nella pala di San Zeno o negli affreschi degli Eremitani dove Swann Taveva incontrato e dove sta ancora sognando - nata dalla fecon- dazione di una statua antica da parte di qualche modello padova- no del Maestro o di qualche sassone di Albrecht Diirer”. Mantegna interviene anche sulla parete opposta della cappel- Ja, quella dedicata alle storie di san Cristoforo, realizzando la sce- na del registro inferiore raffigurante il martirio e il trasporto del corpo del santo, con cui si concludono, intorno al 1457, i lavori Ovetari. E un’opera, per quanto malandata, che fortunatamente & ancora conservata, perché era stata staccata, come l’Assurta del: Labside, per ragioni di conservazione nell’Ottocento. E un'imma- gine davvero gtandiosa questa piazza padana, dove sembra di av- vertire all’orizzonte un fremito di aria di mare, che viene dalla la- guna. E un periodo in cui Mantegna “fa su e git” da Venezia, do- ve, se si cerca bene, almeno una sua opera si trova ancora ai Fra- 1i, lasciando da parte il San Giorgio dell’ Accademia ¢ il San Seba- stiano della Ca’ d’Oro, che sono arrivati in quelle sedi attraverso peripli di collezionismo. I comignoli veneziani e le altane con la bian- cheria stesa stanno accanto agli edifici all’antica, grandiosi o mez~ zi in rovina, con le travi dei pergolati che forano i rilievi marmo- rei, decorati a motivi vegetali. Si sprecano i dettagli di realta, co- me le corde che legano i rami o le tracce della malta tra i mattoni dell’edificio rosso a sinistra. C’é persino una bandiera rossa, tutta sbrindellata, a mezz’asta. Nella piazza dove avviene il misfatto si affollano i ritratti degli amici e dei nemici, camuffati da guardie 0 da killer: e per noi purtroppo irriconoscibili, a eccezione del ve- rosimile ritratto dello Squarcione che @ il personaggio che si volta bruscamente a destra a guardare il gigante Cristoforo legato alla 3 19 120 comice del boccascena, illeggibile nell’originale ma ricostruibile at- traverso le copie di questa scena famosa, come quella allo Jacque- mart André di Parigi o quella della Galleria nazionale di Parma. Di fronte agli affreschi Ovetari il vecchio Squarcione andava di cendo secondo quanto riferisce nel 1568 Giorgio Vasari, fondandosi su attendibili testimonianze locali ‘che non erano cosa buona, per- ché [Andrea Mantegnal aveva nel farle imitato le cose di marmo antiche, dalle quali non si pud imparare la pittura perfettamente percié che i sassi hanno sempre la durezza con esso loro, e non mai quella tenera dolcezza che hanno le carni e le cose naturali, che si piegano e fanno diversi movimenti; aggiugnendo che Andrea areb- be fatto molto meglio quelle figure e sarebbono state pit perfette se avesse fattole di color di marmo, e non di que’ tanti coloti, per- cid che non avevano quelle pitture somiglianza di vivi, ma di statue antiche di marmo o d’altre cose simili”, Da un’affermazione del ge- nere, sembra di capire che Squarcione era rimasto legato a un’idea tardogotica di naturalismo, che avrebbe preferito una grisaille un po’ cavalleresca, con un’interpretazione cortese dell’antico. Mantegna ancora a Padova, quando nel 1456 riceve da un com- mittente importante, il protonotario Gregorio Correr, l’incarico di realizzare la pala per I’altar maggiore della chiesa benedettina di San Zeno a Verona, di cui il Correr, dal 1443, era abate e di cui stava patrocinando una sorta di ristrutturazione. I lavori durano tre an- ni, mentre, nel frattempo, @ gia scattata da parte del marchese di Mantova, Ludovico Gonzaga, amico del Correr, la volonta di ave- Andrea Mantegna, Trittico di San Zeno, particolare, tempera su tavola, 1457-1459, Verona, San Zeno eS Giovanni Bellini, Cristo morto tea la Madonna e san Giovanni, empera stave, 1455-1460. Milano, Pinacoteca di Brera rea corte il Mantegna. La pala di San Zeno & un trittico prowvisto ancora della cornice originaria, realizzata sull’onda dell’emozione causata dall’altare padovano di Donatello. Fortunatamente la si pud vedere ancora nella chiesa, posta su un altare costruito nel 1935, in una posizione corrispondente a quella dell’altare originale. Man- tegna aveva attentamente fatto in modo che la luce reale che pe- netra dalle finestre nel coro della chiesa corrispondesse a quella rea- lizzata illusivamente nel dipinto: questo a dimostrare un’attenzio- ne profonda per il gioco delle ombre ¢ le regole dell’illusione, stu- diate evidentemente durante pitt sopralluoghi sul posto ¢ rinforzate nel gioco sottile tra le colonne scolpite della cornice ¢ i pilastri ese guiti in pittura. Si aggiunge inoltre la coesistenza di figure realiz- zate con il colore della carne e di abbondanti decorazioni in color del marmo, cosi da esibire un repertorio all’antica, non diverso da quello squadernato sulle pareti dell’Ovetari. Sono temi, questo del- Villusione € quello dell’antico, che percorrono tutta la carriera del- Lartista. Il Tritico di San Zeno ® una delle innumerevoli opere che lasciarono P'Italia dopo il trattato di Campoformio del 1797 per es- sere trasferite a Parigi, al Louvre che nel 1803 sarebbe diventato il Musée Napoléon. La pala di San Zeno fu restituita alla sua sede, in seguito al Congresso di Vienna, nel 1815, ma la predella, costi tuita da tre scene: l’Orazione nell’orto, la Crocifissione, la Resurre- zione, & rimasta in Francia, divisa tra il Louvre, che conserva lele- mento centrale con la Crocifissione, e il museo di Tours, dove si tro- vano, dal 1806, gli altri due pezzi, in cui é ancora forte, per gli ef- fetti trepidi di luce all’orizzonte, il dialogo con Giovanni Bellini in una fase che non ctedo sia troppo distante dalla Pietd di Brera. La predella che si vede oggi in chiesa, nella cornice originaria, & co- stituita da copie eseguite prima del 1797 dal pittore veronese Pao- lo Caliari (1736-1835). Trovandosi al Louvre, la Crocifissione di Man- tegna non fa fatica a diventare uno dei dipinti preferiti dal maggiore degli appassionati dell’artista, Edgar Degas, che da giovane, a meta degli anni Cinquanta dell’Ottocento, studia in pitt di un disegno i Una le particolari della scena ¢ nel 1861 la riproduce per intero a colori in un dipinto, delle dimensioni dell originale, che si trova al museo di Tours. Vintento era quello di ritrovare “esprit et amour de Man- tegna” pasando attraverso “la verve ct la coloration de Veronese” Uno dei disegni di Degas dalla Crocifissione di Mantegna, con il cat- tivo ladrone, fa da poco parte delle collezioni della Pinacoteca di Brera per la generosita di Lamberto Vitali. Degas non limita il pro- prio interesse per Mantegna alla Crocifissione: ma seguire le ragio- ni il bilancio di questo rapporto richiederebbe almeno una lezione. Ho fornito qui questo accenno, e qualche altro non manchers pit avanti, perché non si dimentichi la lunga fortuna storica di Man- tegna, dal diagramma ben diverso da quella, poniamo, di un Pie- ro della Francesca, Mantegna non conobbe sostanzialmente mai eclissi della sua fama, come invece & sucesso a Piero, il cui recu pero critico é uno dei tanti grandi meriti di Roberto Longhi. Ogni epoca ha semplicemente cercato un Mantegna diverso, ¢ spesso P'ar- tista si é trovato a fare da propulsore ad altre avventure della sto- ria delle immagini. L’artista che interessava a Degas, cioé il pittore di idee colorate, poco spontanco e molto riflessivo, non & quello che nella mirabile Orazione nell’orto di Tours dipinge, a gara con i fiamminghi, i funghi ai piedi di un albero o gli spruzzi dell’acqua che, precipitando, canta sulla roccia o il leprotto che ferma la sua corsa perché sente i soldati che artivano, Il Trittico di San Zeno dipinto a Padova, ma Mantegna si reca personalmente a Verona nell’estate del 1459 per montarlo. Di lia qualche mese, tra aprile e giugno del 1460, avviene il passaggio de- finitivo a Mantova, dopo la consegna di un”“operetta” al condot- tiero Jacopo Antonio Marcello, che per me, almeno per cronolo- gia, potrebbe essere il Sart Giorgio dell Accademia di Venezia, Il mar- chese Ludovico Gonzaga si sta spazientendo di fronte al tergiver- sare di Mantegna, che forse ha paura, scegliendo Mantova, di an- dare a seppellirsi in mezzo alle paludi. La Mantova de! 1460, infatti, non é la Ferrara del 1460; non ci sono passati né Piero della Fran- cesca né Rogier van der Weyden; ¢ le difficolta di comunicazione con gli altti centri padani, che ci sono ancora adesso, non poteva- no che essere maggiori, Ludovico Gonzaga, di fronte al rischio che Mantegna non arrivi, ha gia preso contatti, nel 1458, con Michele Pannonio, il pittore ungherese impegnato a Ferrara per lo Studio- lo dei duchi a Belfiore, L'unica opera firmata del Pannonio é la splen- dida Musa Talia, conservata al museo di Budapest. Rappresentata come una divinitd dei campi, un po’ barbara, ostenta un’acconcia tura di spighe, seduta su un trono tempestato di pietre preziose, re- se con effetti fiamminghi di illusione — gli stessi che fanno sembra- reveri i due gigli, ai lati del trono, Ma é del Pannonio anche la Cro- cifissione espressionista, di collezione privata, che Roberto Longhi attribuiva a Liberale da Verona e che glié stata assegnata da Miklos Boskovits. Per un attimo proviamo a pensare che cosa sarebbe suc- cesso se allla corte dei Gonzaga fosse andato il Pannonio e non il ‘Mantegna: Mantova avrebbe tischiato di essere un’altra citta, da un punto di vista figurativo almeno. Che esagerazioni espressioniste, che bocche deformate, che riti strani, al posto del riserbo ¢ della 122. dignitd etica e politica di Mantegna, che ammette la critica e lo sde- gno, ma non Puro, Altri ungheresi magari sarebbero artivati, in grop- pa ai cavalli della puszta, sulle rive del Mincio... Il marchese in ogni modo accoglie Mantegna a braccia aperte. Gli procura la casa e la donna di servizio e, prima ancora che arrivi, gli ha concesso di far ricamare sulle lenzuola il suo motto personale “par un désir”. Ma da allora e fino alla morte &, in ogni modo, un cortigiano. Intanto a Padova si smonta tutto. Quando nel 1459 il Mante- gna lascia Ja citta per non tornarci sostanzialmente pid, il pento- Jone comincia a sbollire. La stagione dei vent’anni & andata. I pit- tori migliori pigliano ciascuno la propria strada, Tornano nelle lo- ro terre d'origine: Marco Zoppo in Emilia o Schiavone in Dalma- zia, Paolo da Caylina a Brescia 0 Cosmé Tura a Ferrara... mentre Boccati e Girolamo di Giovanni sono gia da un pezzo nelle Mar- che, dove li raggiunge Nicola di Maestro Antonio. Quello pit bra- vo, Giovanni Bellini, lavora per conto suo a Venezia ¢ sari segna- to da altri incontri, Donatello é gia via da qualche anno, & tomato in Toscana, se ne sa qualcosa tra Siena e Firenze, ¢ chi dei suoi & rimasto a Padova non é il pid in gamba, Si disfano le amicizie con ali sctittori, e Giano Pannonio riprende la strada dell’ Ungheria, do- ve nel 1459 diventerA vescovo di Pécs, portando con sé il ritratto che gli ha fatto Mantegna e su cui ha scritto una lunga poesia: raf- figura lui ¢ i] suo amico del cuore, Galeotto Marzio da Narni. IL Feliciano mantiene rapporti per lettera con i compagni di una vol- ta, ma non ci mette troppo tempo a perdersi nella ricerca della pie- tra filosofale, chissa se vestito d’arancione, nei boschi del Lazio. Qualcuno ci ha rimesso la vita, ed @ il caso di Niccold Pizolo che non c’@ gia pitt dal 1453: era morto a trentadue anni, lasciando il campo libero a Mantegna nel portare a termine Pimpresa Oveta- 1, Squarcione invece é rimasto a Padova a timpiangere il tempo perduto, passato accanto a quei ragazzi feroci, che Pavevano tra- scinato pit di una volta in tribunale. Ha ancora qualche allievo, ma sono figure da poco, in un onesto tran tran, reso difficile dai problemi alla vista, che gli lasciano perd il tempo persino per scri- vere un’autobiografia, come tra gli artisti a quella data aveva fat- to, per quanto se ne sa, solo Lorenzo Ghiberti. Non si fatica a im- maginare che le ultime lezioni saranno state continuamente inter- rotte da ricordi del passato glorioso e da affermazioni come que- sta, documentata al 1465; “io ho facto uno homo Andrea Mante- gna, el quale stete con mi, ¢ cussi fard ancora ti”, Gli anni dell’u- niversita diventano, come per tutti, un nido di ricordi, di cui resta qualche memoria tangibile. A Padova, viste le sue buone facolta, siva a studiare da tutta Italia e da fuori: e poi si riporta a casa ma- gari qualche quadro o qualche statua, come fa Roberto de Ama- bilibus, che sistema, tra Paltro, nella chiesa del suo paese natale, Montepeloso, Pattuale Irsina, in Basilicata, la Santa Eufersia di Man- tegna, ora a Capodimonte, che porta la data del 1454. Intanto Mantegna, in uno dei primi anni di residenza a Man- tova, quando ancora si @ in grado di tenere i contatti con gli ami- ci di gioventi,, perché il distacco € appena avvenuto e ci si ricor- da ancora come si é fatti, prende parte, nel settembre del 1464, a una gita, di un paio di giorni, sul lago di Garda: ci sono Felice Fe- liciano, un Giovanni da Padova, che é forse il Marcanova, ¢ Samuele Une lexione su Andrea Mantegna 124 da Tradate, il figlio di Jacopino, il grande scultore del duomo di Milano, che si é trasferito alla corte dei Gonzaga. Si sono trave- stiti tutti da antichi romani, con le teste cinte di edera ¢ mirto, € vanno in barca, tra le rive ventilate coperte di limoni, leggendo poe- sie ad alta voce ¢ cantando al suono della cetra, in fuga dalla Bas- sa, infuocata e stantia: si fermano per vedere, commossi, un’epi- grafe corrosa o un’urna sbocconcellata, e magari le rovine di Si mione, Confondono volontariamente Dio padre e il padre Zeus. Ma non trascurano nemmeno il mitabile, ¢ gigantesco, Crocifisso in legno di melo che nel 1449 uno scultore tedesco, di nome Gio- vanni, aveva destinato alla chiesa principale di Salo. Gia nel 1460, appena arrivato a Mantova, Mantegna era esem- plare per i cortigiani gonzagheschi: basta ricordare una lettera, di guella primavera, alla marchesa Barbara di Brandeburgo, scritta da Zaccaria Sagi, che aveva accompagnato il marchese Iudovi- co a passare le acque a Petriolo, vicino a Siena, un luogo di va- canze dove si incontravano i personaggi importanti dell Ttalia di met’ Quattrocento; i due erano passati da Firenze, dove le vie del- la citta erano piene di donne bellissime, “che patevano veramen- te uscite di le mani di Andrea Mantegna, che é cosi buon maestro”. Alfindomani del suo atrivo a Mantova, nel 1461, Mantegna fa li- cenziare il vecchio miniatore Belbello da Pavia, reduce da un’ac- cusa di sodomia, e fa assumere Girolamo da Cremona, “zovene di questa terra el quale minia molto bene”, e per di pitt suo amico, per decorare il messale della marchesa, oggi conservato al Museo diocesano di Mantova, Non ci doveva essere pitt spazio per quel- le fantasie stregate, libere da ogni ragione rinascimentale. La prima grande impresa di cui Mantegna é responsabile a Man- Andrea Mantegna, Adorazione dei Magi, tempera su tavoly 1460-1465. Firenze, Galleria degli Uffizi Andrea Mantegr | Gireoncisione, tempera su tavola, 1460-1465, | Firenze, Galleria degli Uffici i 4 | tova— quasi la ragione del suo trasferimento ~é la decorazione del- Ja cappella del castello di San Giorgio, eretto alla fine del Trecen- to e dove dal 1458 il marchese Ludovico aveva trasferito la pro- pria residenza, La cappella era un ambiente di piccole dimensio ni, situato al piano nobile, oggi irriconoscibile per le radicali mo- difiche apportatevi nel Cinquecento. Mantegna aveva previsto tut- to: dalla cubatura spaziale del vano alle carpenterie lignee dorate allinterno delle quali si andavano a collocare le tavole dipinte; non dovevano mancare inserti in pietre dure, porfido e serpentino. E nel 1466 lacquasanticra diventerd un vaso antico d’alabastro do- nato dal Platina al marchese Ludovico. Resti di questa decoraz ne, intrapresa al principio degli anni Sessanta e conclusa nel 1464, sono, molto verosimilmente, le tre tavole conservate agli Uffizi, al- interno di una cornice ottocentesca che fa si che vengano impro- priamente definite un trittico, e una tavola conservata al Prado, da completarsi ~ come si rese conto Roberto Longhi - con un fram- mento oggi alla Pinacoteca nazionale di Ferrara, I tre pezzi di Fi- renze raffigurano !Adorazione dei Magi, la Circoncisione e TA- scensione. La Morte della Vergine di Madrid va integrata con Lia- nima della Madonna in grembo a Cristo di Ferrara, U’Adorazione dei Magi & Punica tavola italiana del Rinascimento che io conosca di- pinta su un supporto curvo ~ e merita di essere osservata, dal re- tro, la sua complicata carpenteria — evidentemente per essere in- castrata in una nicchia della parete; a un certo punto della storia, dopo Parrivo a Firenze alla fine del Cinquecento, questa tavola, che era alta come le sue compagne, é stata decurtata di una decina di centimetri. Ci si pud figurare ’ambiente entro cui queste opere do- vevano essere sistemate pensando alla cappella del Perdono nel pa- lazzo Ducale d’Urbino, che non dovrebbe essere molto distante per cronologia. Bisogna sforzarsi di considerare l'arte italiana del Ri- nascimento all interno del sistema delle corti, tenendo conto delle parentele e delle rivalita e della voglia di avere quel che gli altri han- no. Una buona informazione storica ¢ dinastica non pud che esse re utile a capire il senso di certe scelte figurative ¢ le opportunita ~ offerte cosi agli artisti - di lavorare e, nel caso dei pitt consape- voli, di sviluppare le proprie ricerche espressive (anche se certo, al- Yepoca, nessuno si sarebbe espresso cost). Impressiona nei dipinti per la cappella la precisione miniaturistica del dettaglio, con figu- re dalle dimensioni poco superiori a quelle di uno spillo. E un’a- bilita che apre, a sitroso, la verosimiglianza di un Mantegna miniatore e dimostra, sul momento, il carattere di scusa dell’affermazione di non essere “assueto pingere figure picole” con cui, nel 1480, Man- tegna si sottrae al compito di realizzare un certo lavoro per la du- chessa di Milano Bona di Savoia. Lo sfarzo raggiunge il culmine nel- lascena della Circoncisione; ma bisogna sapere andare al di la del- lo sfoggio delle cruste marmoree colorate, quasi un campionatio per un marmista, o delPeleganza Impero dei bassorilievi dipinti con Y’o- ro macinato su un fondo in serpentino: cogliere anche la nitida ve- rita di dettagli come le forbici in prospettiva sul piatto che riluc come in un fiammingo, Conta awvertire “la dolcezza ch’é sperdu- ta fra le montagne della forza”: ¢ allora basta guardare, nella s0- 126 lenne aula marmorea, i! bambino stranito, dai sandali rossi, che si ‘Andrea Mantegna, Morte della Madonna, tempera sui tavols, 1461. Madrid, Maseo ‘del Prado (da Mantova, palazzo Ducele) Una lezione su Ands scena che impressiona certo di pit @ la Morte della Madonna del Prado, che registra con fedele poesia Pimpatto con Mantova, citta allora completamente circondata dalle paludi e dai laghi creati dal fiume Mincio, La veglia funebre si svolge, di giorno e a lume di can- dela, in una sala del castello di San Giorgio: non soffia un filo d’a- ciuccia il dito e tiene in mano un biscotto mangiato a meta. Ma la ria e non si 1 sclude che Maria, gii anziana, sia morta di caldo. E come una made vecchia, con tanti figli adulti che non si sono spo- sati, Dalla finestra si vedono le acque, con i riflessi degli edifici, il ponte coperto, le barche, le case, le chiese e i campi lontani a per- | dita Pocchio. Di fronte a una immagine cosi corrispondente al ve- ro, persino a quello di adesso, vacilla nel ricordo anche il lago di | Ginevra riprodotto da Konrad Witz nella sua Pesca miracolosa. | 1116 giugno del 1465, come risulta da un’iscrizione sullo sguin- cio di una delle finestre, cominciano i lavori di pittura per quella che diventera la Camera degli Sposi. II virtuosismo di Mantegna si ritrova anche nella finzione che questa scritta sia un graffito, inciso nello spessore dell’intonaco fresco da un muratore letterato, che po- trebbe averlo eseguito, per scherz0 0 per ingannare il tempo, usan- do al rovescio asta del pennello: ¢ invece segna l'avvio di una del- le grandi realizzazioni della storia della pittura italiana del Rinasci- 127 mento, la cui conclusione, nel 1474, é sancita, in maniera molto pitt ufficiale, da una targa dorata, dove, in latino e in lettere capitali, Man- tegna definisce il suo hungo lavoro, con un’esibizione di modestia, “opus hoc tenue”, cio’ minuzioso, ¢ lo dedica, “ad eorum decus”, ai marchesi Barbara e Ludovico, Oltre al gusto per le seritte che nel Ja Camera ha altre occorrenze, qui Mantegna spetimenta al massi- mo le capacita illusionistiche della pittura, un tema che gli era caro fin dal pieno dei vent’anni. Ci sono dei momenti del giorno, quan- do le ombre che entrano dalle finestre si trovano a coincidere con quelle dipinte, in cui i lacunari del soffitto, dove stanno su fondo dorato i putti le ghirlande ¢ le teste degli imperatori, sembrano dav- vero tridimensionali, e non sorprende percid, pit: di tanto, che ci sia stato qualche studioso frettoloso che li ha considerati degli stuc- chi. La decorazione della Camera, la cui configurazione architetto nica originaria @ stata modificata in funzione della piteura, si rivela allo spettatore che si guarda intorno ¢ in alto, Le immagini lo cir- condano ¢ lo prevedono: una parte delle figurazioni del soffitto, per esempio, entra in funzione solo se qualcuno é nella stanza. Le sce- ne sulle pareti avvengono come su dei palcoscenici, su cui sono ri costruiti gli esterni, dal cielo sempre azzurto e dal clima, ci si au- gura, clemente. Le luci, sia quelle dipinte sia quelle reali, sono piaz- zate in maniera mirabile per ottenere il massimo dell’illusione. Lef- fetto & molto teatrale, per quanto un po’ cerebrale e non poco so: fisticato. Le pitture, purtroppo diminuite da molte cadute ¢ anti- che mancanze, sono state pulite ¢ reintegrate a rigatino in un inter- vento realizzato a meta degli anni Ortanta dall'Istituto Centrale del 128 Restauro, che da forse un senso di eccessiva chiusura alle figurazioni, Andrea Mantegna, Ludovico Gonzaga, Barbara di Brandeburgo e la corte, pittura rurale, 1465-1470, Man eastello di San Giorgio, Camera degli Sposi ‘Andrea Mantegna, pennacchio, partcolare dell mposta del sofftto, pittura murale, 1465- 1474. Mantova, castello di San Giorgio, Camera degli Spost rese come irrigidite, 0 soffocate, dall’insistente frequenza dei trat- teggi inventati da Cesare Brandi ma che spesso vengono messi in atto da ragazzine con il walkman, che magari, mentre fanno le aste, ascoltano il rock o il rap: e neanche dieci anni dopo i colori del re- stauro si sono alterati, con effetti non troppo belli, mentre i contrasti delle lucie delle ombre appaiono qua ¢ Ia eccessivamente crudi. Que- sto vuol dire che sono rari i tratti della superficie dipinta ben con- servati, che possano dare un’idea dello strepitoso livello di finitura a cui Mantegna aveva portato la sua creazione: bisogna mentalmente ricondurre i dipinti della Camera degli Sposi a una situazione co- me quella delle tavole degli Uffizi ricordate in precedenza, Solo alcuni dei dodici sipari, alcuni chiari, con il risvolto az~ zurro, e altri dorati, con il risvolto rosso o verde, sono stati tirati. Cosa ci sia dietro gli altri, sotto la striscia di cielo: un giardino? un. cortile? un pezzo di campagna? é lasciato all’immaginazione di chi guarda, Si possono vedere, dove le tende sono state scostate, due tableaux vivants: il primo a essere dipinto ~ a secco — é quello sul- la parete con il camino. La scena, rappresentata da sotto in su, & gia finita nel 1470 e raffigura una specie di conversation piece del- la corte di Mantova, quale era in quegli anni, C’é tutta la famiglia del marchese, che riceve in vestaglia come su una terrazza o in un cortile, chiuso da un muro decorato con un motivo ad anelli in- trecciati, lo stesso della zoccolatura di tutte e quattro le pareti, un motivo che a Mantegna é sempre stato molto caro ¢ che “vien git diretto” dai rilievi dell’altare di Donatello a Padova. Ul bianco del marmo, il rosso del porfido ¢ il verde del serpentino alludono for- se ai colori dell’araldica gonzaghesca. Ci sono la moglie, i figli ¢ i parent, di tutte le eta, dalla bella Barbarina alla brutta Paola, i con- siglieri umanisti, la nana, il cane e i domestici. Un’intera campata 8 occupata da un gruppo di giovani, tutti in berretta rossa, tran- ne il pit piccolo, che scendono e salgono dai gradini di una scala che conduce all’esterno. II segretario che ha portato la lettera al marchese conosce tutti per nome; negli studi sono invece un tor- mento le discussioni sull’identificazione dei singoli personaggi. Sul- Paltra parete, dipinta tra 1470 ¢ 1474 ad affresco, pur con molti interventi a secco oggi in gran parte caduti, la scena si svolge al- Yesterno, senza vestaglie e pantofole ¢ senza donne. I] marchese ha da incontrare suo figlio Francesco, che é stato nominato car- dinale, il primo di casa Gonzaga. Fanno parte del corteo un ca- vallo e parecchi cani, di varie razze. Si sono “imbucati”, all’ultimo, momento, i due personaggi pit importanti, in vesti da viaggio: i re Cristiano I di Danimarea, cognato del marchese, sulla cui iden- tificazione non si discute, e ’imperatore Federico III, a cui i Gon- zaga devono il titolo di marchesi, che, sulla base del confronto con un ritratto della Landesbildergalerie di Graz, potrebbe essere la figura vestita di nero alle spalle del cardinale Francesco, Tutti iGon- zaga titratti in questa scena, commissionata dal marchese Ludo- vico, avranno, subito o di li a poco 0 quando diventeranno adul- ti, rapporti con il Mantegna. II cardinal Francesco, che di solito viene considerato il religioso adolescente effigiato nel ritrattino ora a Capodimonte (ma é un’identificazione non del tutto convincen- te), nell’estate del 1472 voleva il pittore alle terme di Porretta per Una lecione su Andreu Mantegna 129 130 mostrargli cammei, bronzetti “et altre belle cose antique” appena comprate ed é il principale committente, al principio degli anni Ottanta, del monumento funerario a sua madre Barbara da etigersi nel duomo di Mantova, su progetto di Andrea, che tuttavia non verti realizzato. Suo fratello maggiore, il fututo marchese Federi- co, nel 1478 chiedeva a Mantegna dei disegni non meglio specifi- cati, nel 1481 lo coinvolgeva nella progettazione di elementi ar- chitettonici, nel 1483 si faceva fare da lui i modelli per alcuni re- cipienti all’antica e nel 1484 gli affidava la decorazione di una ca- mera; da lui inoltre, in un dipinto perduto, si era fatto ritrarre fron- talmente per nascondere la gobba che lo affliggeva. L’altro suo fra- tello, il pitt piccolo, Ludovico, futuro vescovo eletto di Mantova, si trovera a possedere pid di un'opera di Mantegna, come risulta dall’inventario dei suoi beni del 1511: una Madorna, un misterio so “Agnus Dei” ¢ degli ancor pitt misteriosi “octo capituli de com- messo”; inoltre a lui Mantegna intendeva destinare il San Sebastiano, ora alla Ca’ d’Oro, che invece fini nella raccolta di Pietro Bembo. ILfiglio primogenito di Federico, il futuro marchese Francesco, sara il committente, con ogni probabilita, dei Trionfi di Cesare ¢, nel 1495, della Madonna della Vittoria, ora al Louvre. Tl figlio secon- dogenito di Federico, il futuro cardinale Sigismondo, cerchera di acquistare nel 1506, dai figli del Mantegna appena scomparso, un Cristo morto eV Introduzione del culto di Cibele, ora alla National Gallery di Londra, Con nessuno di questi personaggi per Man- tegna avr un rapporto cosi intenso come con il marchese Ludo- vico, che nelle Vite del Vasari diventeri una specie di personifica- zione del mecenatismo gonzaghesco. ‘Tutta la scena si svolge di fronte a uno spettacolare paesaggio, Andrea Mar egna, Camera deg Sposi,pittura ms 1465-1474, Marstova, castello ai San Giorgio piteura murale, 1465-1474. Manttova, castello di San Giorgio, Camera degli Sposi BI che occupa e unifica l’intera parete, al di la dei pilastri. Su uno di essi Mantegna ha deciso di autoritrarsi, con il volto ridotto.a un mascherone, nascosto nel folto della decorazione vegetale a mo- nocromo. Al di la di una siepe di agrumi, che visti i gusti del pit- tore non potranno essere che amari, @ una natura piena di cave, di archi, di crepacci, di rupi e di canyon. Le architetture in rovi- na si mescolano a quelle in costruzione; le citta in lontananza, die- tro le mura, con gli intonaci che cascano a pezzi, sono piene di mo- numenti antichi. Nei dettagli pid impressionanti, che reggono l’in- grandimento, non manca il lavoro degli uomini, che coltivano i cam- pi, curano le bestie o spaccano le pietre. Non si finirebbe mai di guardare cosa succede in queste controscene, pitt avvincenti del- Ia parata dei grandi al proscenio. Sopra la porta, dei bambini nu- di con le ali da farfalla o da uccello sorreggono la targa pesante, dove c’é l’iscrizione gia ricordata con I’“opus hoc tenue” e la da- ta 1474, Due di loro non hanno proprio voglia di affaticarsi e stan- no seduti sull’'architrave di pietra, scolpito e dorato. Ma la Camera degli Sposi - il nome compare per la prima vol- ta nelle Meraviglie dell'arte di Carlo Ridolfi, pubblicate a Venezia nel 1648 — é soprattutto famosa per il soffitto ad affresco, che, vi- sta la prassi operativa dell’epoca, deve essere stato eseguito per pri mo, cioé prima del 1470, ed @ certo ’elemento con pitt futuro. E pesantemente bardato all’antica, viste le passioni del suo autore e del suo committente, non diverso in questo da chiunque in Italia, in quegli anni, era colto o potente o ricco. Ci sono, in monocro- mo su un fondo oro che finge il mosaico, le storie di Ercole, Or- feo e Arione; ci sono otto busti di imperatori romani, da Giulio Cesare a Ottone: sono inseriti in ghirlande sorrette da putti, se- condo uno schema gia messo in atto in uno degli scudi dei solda ti della Resurrezione di Tours. Altrettanto il motivo a treccia dei costoloni riprende quello adoperato sullo schienale del trono del- Ja Madonna nel Trtttico di San Zeno. Mantegna continua infatti a lavorare sulle stesse idee e secondo le stesse predilezioni. I festo- ni dipinti a grisaille competono con quelli dipinti con i coloti del- la realta: ma questo soffitto non sarebbe tanto famoso se in mez- Zo a esso non si aprisse un’apertura circolare, che lascia vedere — dipinto — il cielo sovrastante. Le nuvole sono si atmosferiche, ma in mezzo a esse si nasconde un profilo umano. Si affacciano ai bor- di dell’oculo, che sfonda la muratura, un pavone, dei bambini nu- di con le ali, un po’ esibizionisti, e un gruppo di ragazze, che se la spasseranno in quella specie di superattico con la servitti di colo- re, Non tutto quel che si vede risale, probabilmente, ad Andrea Mantegna: il gruppo di tre donne, una accanto all’altra, potrebbe essere frutto di un restauro documentato, eseguito nell’ ottabre 1506, dopo la morte-di Mantegna, da uno- dei suoi figli, Francesco, in previsione di un arrivo a Mantova di papa Giulio I, che poi nei fatti non avvenne. I documenti relativi al restauro della Camera non specificano quali parti siano state interessate dall’intervento, che cosa sia stato effettivamente “reconciato”; ma certo queste figure hanno un sapore espressivo non mantegnesco, e sembra gia di av. vertire un sentore alla Lorenzo Costa, un’inctinatura della seve- 12 rit e del rigore di linguaggio, che contraddistinguono sempre Popera di Mantegna, Mi sembrano davvero un po’ sciocche que- ste tre ragazze, dagli incarnati alterati, che esibiscono il pettinino per strappare un sorriso a chi sta giti nella sala. La Camera degli Sposi, dove il marchese poteva sia dormire che ricevere, non ci mette molto a diventare la “pid bella camera del mondo”: gia chiamata cosi in una lettera (1475) dell’ambascia- tore gonzaghesco a Milano, Zaccaria Sagi. Nel 1480 un venten- ne fiorentino, curioso un po’ di tutto, Giovanni Ridolfi, arriva a Mantova, che gli pare una “Vinegia picholina” immersa nella neb- bia: nel suo diario ricorda che il marchese “nel suo castello ha una chamera con molte buone et perfecte picture facte per mano d'un mantovano chiamato messer Andrea Minteni”: si é persa comple- tamente origine padovana o vicentina dell’artista, che ormai iden- tifica i suoi destini con quelli della citta dove si é trasferito e, so- prattutto, con quelli dei signori che la governano. Non si teme l’i- perbole in questo genere di apprezzamenti, ¢ cosi nel 1486 Anto- nio da Crema, nel suo Itinerario al Santo Sepolero, ricorda la Ca- mera degli Sposi come “la archetipata camera dil castello, picta per meser Andrea Mantinea, primo homo de li designi over picture se ritrova in tuta la machina mondiale”. E al termine dei lavori della Camera, nel 1476, che viene posta la prima pietra della monumentale dimora che Mantegna si co- struisce fuori dal centro di Mantova, nei pressi del cantiere della chiesa di San Sebastiano, Nell’arco di parecchi anni si costruira una casa come nessun altro artista italiano del Quattrocento si trovera a possedere, con spazi dove disporre la propria collezione di og- getti antichi, una raccolta tale da costituire una meta di visita per Lorenzo il Magnifico nel suo brevissimo soggiomo mantovano del febbraio 1483, Forse Mantegna aveva fatto il passo pitt lungo del- la gamba, tanto che nel 1502 si troverd a dover vendere al marchese Francesco quella costruzione, ancora non finita, dove si doveva es- sere trasferito da non molto. Lo attendeva infatti una vecchiaia tutt’altro che agiata, nonostante i titoli di cavaliere € conte palati- no. Perd, ancora al principio degli anni Venti del Cinquecento, il poeta Giovanni Benevoli ricordava quell’edificio, con il cortile “a forma di piccolo anfiteatro”, come dimora del “pictor rarissimus”. Se si deve scegliere della pittura da cavalletto che affianca il lun- go lavoro della Camera — quasi dieci anni per dipingere pareti soffitto di una stanza quadrata di otto metri per lato — mi pare che, durante quell'impegno, interrotto mille volte, persino per un viag- gio in Toscana, a Pisa ¢ a Firenze nell’estate del 1466, si potreb- bero collocare, tra Paltro, il Sar Sebastiano di Vienna, verso il prin- cipio, e il Cristo morto di Brera, verso la fine. Nella tavoletta del Kunsthistorisches Museum, Mantegna da fondo alle proprie pre- dilezioni antiquarie, aggiungendo al solito repertorio l’espediente di una firma in greco, con le lettere in colonna che scivolano lun- go il fianco del bellissimo martire. Non si deve trascurare la tro- vata, di cui gid si @ vista un’occottenza nel soffitto della Camera degli Sposi, della nuvola figurata, in alto a sinistra, dentro cui si nasconde ’immagine di un cavaliere. E una soluzione che ha dei precedenti, almeno letterari, dei paralleli figurativi, per esempio in Cosmé Tura, compagno degli anni padovani, e un futuro, sia pur Mantegna Une lexione su Andes 133 su tutt’altre basi, nelle riflessioni di Leonardo. Di fronte a questo San Sebastiano si avverte bene come Mantegna possa essere di- ventato, alla fine dell’Ottocento, uno dei beniamini del decaden- tismo internazionale. Verso la fine dei lavori della Camera, alla meta degli anni Setanta, credo che vada collocato il Cristo morto di Bre- ra, che trova un possibile termine cronologico ante gue nella gran- de tavola con San Giuliano che uccide i genitori del cremonese An- tonio della Corna, datata 1478. II padre del santo, disteso in scor- cio sul letto, con i! corpo sotto le lenzuola, mi pare che un artista tanto modesto potrebbe essere stato in grado di realizzarlo solo a partire dal quadxo di Brera. Non si deve trascurare, tra l’altro, che nella vistosa iscrizione di questo dipinto, conservato in una colle- zione privata alle porte di Firenze, il suo autore si dichiara a chia- re lettere, ¢ in un distico elegiaco, allievo di Mantegna: “Hoc quod Mantenaee didicit sub dogmate clari, / Antonii Corneae dextera pinxit opus”. Inoltre Antonio della Corna, anche altrove, effettua prestiti letterali da opere di Mantegna, come si potrebbe verifica- re, a Milano, osservando il trittico del museo Bagatti Valsecchi del 1494, nella cui cuspide il Cristo risorto risale a un’invenzione di Mantegna. Tornando al Cristo morto di Brera, non posso dimen- ticare che Alessandro Conti supponeva che il supporto su cui é di- pinta questa memorabile immagine, dal lungo futuro, fosse seta, un supporto molto raro € prezioso, il cui impiego nel Rinascimento €attestato, se non altro, da un verso del Trattato di pittura di Fran- cesco Lancilotti, pubblicato a Roma nel 1509. Mantegna nel periodo della Camera degli Sposi, 1465-1474, non si dedica solo alla pittura: basta ricordare che nel 1469 & impegnato 134 nella realizzazione di un cartone per un arazzo che va probabilmente Andrea Mantegna, San Sebastiano, tempera su tavola, circa 1465-1470. Vienna, Kunsthistorisches Museurn Andrea Mantegna, San Sebastiano, tempera su tela, circa 1480, Parigi, Musée du Louvre Andres Mantegna, Cristo morto, tempera su tela, circa 1475. Milano, Pinacoteca di Brera identificato con un’Annunciazione all Art Institute di Chicago, con- traddistinta da stemmi Gonzaga, di fronte alla quale non si fatica- no a immaginare le bestemmie tirate da Andrea contro il tappez~ ziere fiammingo che é stato incapace di rendere i rapporti tra la siepe, il vaso coi garofani che tremano nell’afa e la citta lontana. Se si va al di la della trascrizione dell’ arazziere si ritrovano una me trica di spazio, un registro di ossessioni ¢ un accumulo di oggetti daffezione che sono sempre gli stessi della Camera degli Sposi. Ba- sta guardare la tenda mezza tirata e il muro coi dischi intrecciati che, a questo punto, vale come una firma. Mentre la riflessione sul- Je regole dell’illusione si concentra sulla cornice prospettica € mat: morizzata, un espediente che attraversa l’intera cartiera di Mante gna, da opere giovanili come il San Marco di Francoforte o la Pre- sentazione al Tempio di Berlino fino a quelle degli anni Novanta, come il Cristo di Correggio 0 il San Sebastiano della Ca’ d'Oro, pas- sando per il Sax Giorgio dell’ Accademia di Venezia, che, come ho gia detto, non starebbe male ancorato alla data 1459. | E ugualmente negli anni della Camera degli Sposi che Mante- gna ha cominciato a praticare la nuovissima arte dell’incisione su ame; pud avere avuto notizia di quanto si produceva a Firenze nel- Tambiente di Maso Finiguerra ¢ Pollaiolo, magari direttamente nel corso del soggiorno in Toscana dell’estate del 1466 0 tramite fo- ali, in grado di attraversare facilmente l’Appennino, ‘Tanto pit che Una lexione se Androa Mantegna 135 Cristoforo Landino ricorda che Leon Battista Alberti si era ci- mentato con il bulino, e @’altronde gia nel 1465 la Battaglia dei nu- di di Pollaiolo si trovava nella bottega dello Squarcione. Ma non @ da scartare che i sia anche la conoscenza di qualche precoce esem- plare tedesco o fiammingo, giunto di Ia dalle Alpi. La stampa, pur ricorrendo a qualcun altro specializzato, un orafo magari, per la traduzione dei disegni sulla lastra, é uno strumento straordinario per divulgare e importe le proprie scelte espressive. Mantegna trat- ta soggetti sacri, dal Seppellimento di Cristo alla Madonna con il Bambino, i due estremi cronologici della sua attivita di incisore, che é certamente gia in corso nel 1475 e che deve avere occupato per un buon tratto gli anni Settanta e Ottanta. Inoltre, con quel nuovo mezzo, da libero sfogo alle sue fantasie, creando delle sce- ne all’antica che mettono a dura prova i piti competenti in icono- grafia. Sembra che tutto si svolga in un mondo di fantascienza, in mezzo a una palude, dove si agitano gli esseri pitt strani e mutan- ti, giovani aitanti, vecchi grassoni, donne dal seno vizzo... Bacca- nali di una mitologia inventata, tra statue di dei che mostrano la schiena su isole di fortuna: chissa che strage farebbe, li in mezzo, tra tutta quella promiscuita, il virus di oggi. E poi le rare scritte presenti aiutano anon capire, depistando continuamente chi guar- da. Ci sara in ogni modo, per quanto si fatichi a coglierlo, un fon- do morale, educativo. Queste formidabili invenzioni saranno sac- cheggiate e, intere 0 scomposte, riprodotte in bronzi e terrecotte, dipinti e cristalli, e mai fino in fondo comprese e cantate e censi- te. Due esempi soltanto di questi utilizzi, entrambi ancora da ri- conoscere: una delle figure pid fortunate del Baccanale con il tino @il giovane nudo, che alza un braccio per accogliere la corona che gli sta calando dalPalto; lo ritroviamo, sganciato dal suo contesto, scolpito in un rilievo tra le guglie del duomo di Como, che @ un vero emporio di motivi all’antica e, accanto a un Laocoonte sui ge- neris, sulla facciata del palazzo di Pilato dipinto da Gaudenzio Fer- rari in uno dei tabelloni sulla grande parete di Santa Maria delle Grazie a Varallo, finita nel 1513, dove non mancano altre testi- monianze di impiego di stampe. 5, insomma, attraverso le incisioni che le invenzioni di Mantegna girano Italia ¢ oltrepassano i con: fini, prima e dopo l’affermazione della “maniera moderna”; pos sederne dei dipinti, invece, era davvero difficilissimo. Secondo quan- to risultera da un verso di Antonio Tebaldeo, a Mantegna non era concesco vendere le proprie opere: poteva solo regalarle, come nel- Vi antichita faceva il pittore greco Zeusi. Questo é il travestimento, umanistico ¢ benevolo, del vincolo che lega l’artista ai suoi com- mittenti. D’altra parte 'ambasciatore gonzaghesco a Milano scri- veva, gia nel 1470, al marchese Ludovico che “Andrea non era ho- mo che aceptasse pagamento da persona perché lavorava solamente a Vostra Signoria”. Si poteva cercare di avere opere di Mantegna solo passando attraverso i marchesi di Mantova, che non si peri- tavano a rifiutare le richieste anche di personaggi important, co- meé capitato, tra gli altri, con il signore di Pesaro, Alessandro Sfor- za, fratello del duca di Milano, o con Giovanni della Rovere, pre- fetto di Roma e capitano generale della Chiesa. Nel bilancio dei 136 rapporti tra gli artisti e i committenti, rispettive liberta e recipro- ‘Andrea Mantegna, Baccanale con il tino, incisione a bulin, circa 1475. Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe che interferenze, non si dovra dimenticare l’affermazione, che pe- sa parecchio, del marchese Federico Gonzaga, in una lettera alla corte di Milano del 1480, dove scrive, a proposito di Mantegna: “communemente questi magistri excelenti hanno del fantasticho e da loro conviene tuore quello che se po’ havere”. Viceversa i mar- chesi non esitavano a utilizzare le opere di Mantegna, soprattutto quelle di piccole dimensioni (ma non mancano le eccézioni), come regali utili a ingraziarsi chi stava loro caro 0 chi poteva essere d’ap- poggio nei complessi destini politic del piccolo stato gonzaghesco. In un verosimile momento di difficolta con i committenti, poco tem: po dopo la morte, avvenuta nel 1478, del marchese Ludovico, a cui era particolarmente legato, Mantegna si permetteva, spontanea mente, di regalare nel 1481 un suo dipinto a Lorenzo il Magnifi- co, che va identificato con la preziosa tavoletta di Washington taf- figurante Giuditta che sta per infilare la testa di Oloferne in una botsa che la serva Abra le tiene aperta. E una delle prime occor- renze di un tema su cui Mantegna ritornera tante volte, in tecni- che anche diverse: ed era un regalo scelto bene, vista la predilezione fiorentina per il tema di Giuditta; basta pensare al bronzo di Do- patello, che dal 1464 si trovava proprio nel giardino di palazzo Me- dici, Forse la ragione del dono é il desiderio di aprirsi nuove pos- sibilita di lavoro, per scappare magari dai laghi di Mantova; resta che il contatto esiste e, dopo la visita mantovana di Lorenzo del febbraio 1483, i 26 agosto 1484, all’indomani della morte del mar- chese Federico, Mantegna scriveva a Lorenzo il Magnifico per chie- detgli un aiuto per la costruzione della sua importante dimora. 1126 febbraio del 1481 Chiara Gonzaga, figlia del marchese Fe- detico, si sposa a Mantova con Gilbert de Bourbon, conte di Mon- tepensier e delfino d’ Auvergne, che diverra un appassionato di pit- tura italiana, E per quell’occasione, con ogni probabilita, che Man- tegna esegue il grande San Sebastiano su tela — un supporto quin- di che permetteva facilmente il trasporto ~ che vera ritrovato alla fine dell’ Ottocento nella chiesa di Notre-Dame di Aigueperse, in Auvergne, e dal 1911 verra esposto al Louvre, dove tuttora si tro- va, La data di questo capolavoto trova un puntello significativo in un documento che rivela come, tra coloto che accompagnarono Gil- 7 BS i bert de Bourbon nel suo ritorno in Auvergne dopo il matrimonio, era il pittore emiliano Antonio di Bartolomeo Maineri, che nel suo San Sebastiano del 1492, conservato alla pinacoteca di Bologna, di- mostra di conoscere bene il superbo e doloroso capolavoro di Man- tegna, che gia prima di lasciare Mantova, nel 1481, aveva impres- sionato Bernardino da Parenzo, come si vede in una tavoletta del- le collezioni reali inglesi. Nella grande tela del Louvre i colori si s no spenti e il corpo del santo si distingue a fatica dai frammenti mar- morei che lo citcondano. Si capisce bene che l’amore del pittore per il piede di marmo é piii forte di quello per il piede di carne. Mantegna & uscito dalla fase della Camera degli Sposi, dalla rap- presentazione sociale della realta e sta per buttarsi nella grande im- presa, a cui pensa sari legato il suo nome nel futuro: i Trionfi di Cesare, gia in lavorazione nel 1486. F. un ciclo di tele, delle stesse dimensioni, quasi quadrate: misurano circa 270 centimetri per | to. Sono il pitt grande tentativo quattrocentesco di ricreare un epi- sodio del mondo antico, € a lunge sono state considerate testimo- nianze esemplari. Su di esse, comprese non so fino a che punto, si fondava, pid che su ogni altra opera, P’endiadi tra Mantova e Man- tegna, un nesso anche fonico che viene sancito dall’epiteto “man- tovano” che accompagna il profilo di Mantegna tra le Vite del Va- sari, Dopo la svendita della collezione Gonzaga nel 1626-1627, i ‘Trionfi sono diventati uno dei vanti delle raccolte artistiche della casa_reale inglese e sono conservati nella residenza di Hampton Court. Spesso copiate e incise, queste nove tele, oggi molto mal con- Andrea Mantegna, Teombettieri, to 1486-1500. Hampton Court, ©2002 Her Majesty Queen Elizabeth IL (da Mantovs, palazzo Ducate) lefanti Andrea Mantegna, Cristo sorretto dagli angeli, tempera su tavola, circa 1490, Copenhagen, Statens Museum for Kunst servate, sono state tra gli strumenti visivi con cui la societa euro- pea colta, dal Cinque all’Ottocento, ha immaginato cerimonie e co- stumi dell’antica Roma. Si potrebbero fare moltissimi esempi: ba- sti pensare al giovane Goethe intento a studiare le xilografie che alla fine del Cinquecento Andrea Andreani aveva tratto dalle com- posizioni di Mantegna; si ricordera di quelle antiche emozioni, da vecchio, in un saggio del 1820. La processione scorre sulle nove tele, di cui si ignora la desti- nazione originaria, ma che a partite almeno dal 1512 erano espo- ste in un salone del fastoso palazzo di San Sebastiano, che il mar- chese Francesco si era fatto costruire, tra il 1506 e il 1508, nei pres- si della chiesa di San Scbastiano e della casa troppo importante, a cui ho accennato poco fa, che il Mantegna aveva progettato per sé ¢ poi era stato costretto a vendere, II palazzo di San Sebastia- no esiste ancora, in un degrado proverbiale e secolare, a cui da qual- che tempo I’Amministrazione Comunale di Mantova intende por- re rimedio, Per quanto tramezzato ed alterato, si pud riconosce re, al primo piano, ambiente, lungo oltre trenta metti ¢ largo pitt di sette, che, sotto un soffitto intagliato e dorato con l’impresa gon- zaghesca del crogiolo, ospitava sulle pareti, “da la spalera in su”, Ie tele di Mantegna, Erano separate le une dalle altre da pilastrini di legno intagliato ¢ dorato, realizzati a Venezia nel 1506, che mi & capitato di rintracciare a Mantova, reimpiegati, tra gli arredi del palazzo Ducale. II completamento della serie dei dipinti, con ul- teriori due pezzi, venne affidato al ferrarese Lorenzo Costa, che dal 1506, quando muore Mantegna, diventa il pittore di corte dei Gonzaga. Una delle due tele di Costa, unica conservata, firmata e datata 1522, si trova nella Narodni Galerie di Praga, rappresen- ta investitura di Federico Gonzaga, il figlio del marchese Fran- cesco, a capitano della chiesa e rivela chiaramente la lettura riduttiva del ciclo compiuta dal committente. Chiudere i Trionfi di Mante- gna con un dipinto del genere significa interpretate inevitabilmente le tele pitt antiche solo come una apoteosi delle glorie di casa Gon- zaga, Gli intenti di Mantegna — esperiti attraverso soluzioni otti- che, nella vista del corteo da sotto in su, che vennero molto ap- prezzate da chi si interessava di prospettiva, da Sebastiano Serlio a Daniele Barbaro — devono essere stati perd anche degli altri, ¢ ben pitt complicati. E qui il banco di prova su cui piii si é scon- trata Pinterpretazione novecentesca di Mantegna, visto che i Trion- fi, con le loro esibizioni romane di labari e trofei, sembravano la- sciare aperte delle falle per una lettura, in un certo senso, fascista dell’intera produzione dell’artista. Per esempio, nel 1961, il gran- de archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli scriveva che Mantegna siera messo “sulla strada sbagliata... la strada che ha portato a fa- re di un concetto vivo e vitale quale era inizialmente 'umanesimo, una larva imbalsamata che ci viene posta innanzi come cosa ve- neranda e intangibile ogni volta che si richieda un rinnovamento vitale della nostra cultura”. E invece a rivederli i Trionfi..., maga- ri fuori dal loro contesto, come & capitato alla mostra del 1992, a Londra, alla Royal Academy, in un salone con le pareti parate di viola, magari il giorno dell'inaugurazione, con i politici e i regnanti e gli sponsor schierati davanti... che senso della vecchiaia ¢ dello idrea Mantegna 139 sfacelo sta dietro a questi supremi dipinti, realizzati nel corso di tanti anni: una catena di morti di coetanei e amici e famigliari (tra i Gonzaga: il marchese Ludovico, la marchesa Barbara, il marche- se Federico, il cardinal Francesco, ¢ poi i suoi figli piccoli Federi- co ¢ Girolamo...) e Pincertezza del futuro, anche per chi era con- siderato il pit: grande pittore vivente: ¢ su tutto l’oro ¢ la pompa del grande spettacolo, quasi del cinema epico, E-un crepuscolo sen- za fine, senza notte, senza buio, ma dove perd non mancano, in mez- zo al rumore, le fiaccole. II cielo é nuvoloso e ancora una volta Man- tegna non rinuncia a nascondere un volto in una nuvola, Sulle no- ve tele di questo ciclo sublime passa, in un’aria affocata e strug- gente, una folla di comparse, con i prigionieri barbuti¢ unt, i ne- gti con gli orecchini, i senatori, i nani, Pimperatore, le statue degli och i cavalli col toupet e gli elefanti su cui majorettes mai viste si danno a esibizioni spericolate; sul fondo scortono, come su un “pa- hnorama” o in un “trasparente”, integri i monumenti di Roma: a trat- ti perd sorgono i ruderi tra le rogge e allora i pastori, con le peco- re, i cani e i buoi, sgranano gli occhi per vedere da lontano passa- re una specie di sfilata da circo nei campi della Bassa padana. In mezzo al lavoro dei Trionfi, Mantegna é chiamato a Roma dal papa Innocenzo VIII per dipingere una cappella nella villa del Bel- vedere in Vaticano e il marchese Francesco Gonzaga, che dal 1484 ha preso il posto del padre Federico, non pud rifiutare di conce- dere il suo pittore di corte. E una sosta di oltre un anno ¢ mezzo, tra il 1488 ed il 1490, dentro un mondo di cui lui, un lombardo sessantenne, non conosce i ritmi e i tempi: in una delle lettere da Roma, che non dovrebbero mancare in una buona antologia degli scritti Partista, commenta “’e una grande diferencia dali modi di quae queli di la”. II risultato principale di quella permanenza alla corte papale é la decorazione di un ambiente di piccole dimensio- ni, pitt piccolo della Camera degli Sposi: “una belissima et devo- tissima capelleta et benissimo adornata, dove sta il Pontefice ad ora- re et celebrare”, come la definiscono gli ambasciatori veneziani a Roma nel 1523. La cappella vaticana, sul cui altare stava un Batte- simo di Cristo ¢ sul cui soffitto era visibile il cielo dipinto con, al centro, lo stemma del papa, é stata distrutta verso la fine del Set- tecento, dal papa Pio VI, per lasciare posto a quello che sarebbe diventato il Museo Pio Clementino: non sono note sicure testimo- nianze visive, che pur dovettero esistere, né frammenti della deco- razione che ticopriva completamente Pambiente, ma non manca- no lunghe, minuziose descrizioni, che rivelano come li fosse esibi- to un campionario di soluzioni mantegnesche, sul genere della Ca- mera degli Sposi, che apparvero a Raffaele Maffei, qualche anno dopo, intorno al 1506, opere “mirae tenuitatis”, cio? di una preci- sione quasi miniaturistica. armamentario narrativo ¢ allegorico di- spiegato sulle pareti era perd pervaso da un senso di morte e dal- la consapevolezza della vanita delle certezze degli iconografi, se si deve stare a quanto racconta Battista Fiera, un mantovano che co- nosceva direttamente Mantegna, nel suo De Iusticia pingenda, pub- blicato nel 1515. In quei lunghi mesi romani del 1488-1490, con inverni in mezzo, Mantegna non avra lavorato solo su muro, ad af- 140. fresco 0 a seco: Vasari ambienta in questo periodo la Madonna del- le cave degli Uffizi, e non mi sembra ci siano delle ragioni per non credergli. Per quanto un poco pitt intenerita, la situazione espres- siva ricorda ancora molto quella della Camera degli Sposi. Ho avu- to la possibilita di smontare dalla cornice questa tavoletta e pote ne cosi osservare il retro, fin qui mai considerato. Al di la delle scrit- te, che si riferiscono appunto alla menzione dell’ opera fatta da Gior- gio Vasari nelle sue Vite degli artisti pubblicate nel 1568, si é di fron- te a un'ulteriore testimonianza della passione di Mantegna per le pietre. II retro della tavola dipinto a finto marmo va d’accordo con quanto é rappresentato nel dipinto, sul fondo: la stupenda scena degli scalpellini al lavoro, sulla destra, a cui tispondono, sulla sini- sira, i contadini che raccolgono il fieno e i pastori che conducono il gregge. Anche il retro della Gruditta di Washington, nominata po: co fa, € marmotizzato. E una pratica questa che risale fino al Tre- cento e che ha delle ragioni anche di tipo conservativo: infatti una tavola dipinta sui due lati € pit stabile, ma Mantegna rende fun- zionale quell’espediente alle proprie predilezioni espressive. Non é da escludere che a questo periodo romano risalga anche il Cristo sostenuto dagli angelt, un cherubino e un serafino, a Copenhagen, una delle tavole meglio conservate di Mantegna, che ha tanti pun- ti di contatto con la Madonna delle cave. E. anche qui, ancora una volta, i cavapietre sono al lavoro: ma stavolta c’é anche chi sta scol- pendo una statua. Nel periodo romano, dove doveva fronteggiare la tirchieria del papa committente, non si ha l’impressione che Man- tegna si sia dato a una scrupolosa ricognizione dei resti antichi di cui la citté era piena: le sue conoscenze antiquarie non progredi- scono vistosamente. Qualcosa rifluisce nell’impresa dei Trionfi ma non basta a cambiare l’approccio, romantico ¢ non professionale, messo a punto a vent’anni, al tempo dei lavori agli Eremitani: Mentre Mantegna é a Roma si svolge, nel gennaio del 1490, il matrimonio del marchese Francesco Gonzaga con la figlia del du- ca di Ferrara, Ercole I. Mantegna si pud sottrarre cosi alla prepa- razione delle nozze, ma da subito i suoi rapporti con la nuova mar- chesa, la sedicenne Isabella, non saranno proprio semplici, Isabella d’Este non vive nel culto dell’artista della famiglia del marito, ben- ché in una lettera al marchese Francesco del 1492 ricordi di aver incontrato “due filiole tanto belle che meglio non le saperia di- pingere messer Andrea Mantegna”; non ha intenzione di limitare a Mantegna le sue richieste figurative. Nel 1493 non ha vergogna di lamentarsi con la contessa di Acerra, Isabella del Balzo, perché Mantegna, che in un documento mantovano del 1492 é stato de- finito “omnium antiquitatis et temporum nostrorum pictorum ex- cellentissimus et princeps”, ’ha “tanto mal facta” in un ritratto. Non é un problema solo caratteriale: non sono le bizze di una don- na di vent’anni con un uomo di sessanta: @ che sta mutando il de- corso della cultura italiana ¢ Isabella vuole essere alla moda. Il ri- tratto alla fine del secolo ha da essere sentimentale, compromes- so con l’espressione di un’interiorita, magari sdolcinata e affetta- ta: eallora un Giovanni Santi qualunque pud andare meglio di Man- tegna, che proprio facendo ritratti ai suoi amici umanisti di Padova aveva ottenuto le prime celebrazioni letterarie del suo valore, ma che adesso rischiava di sembrare un vecchio brontolone moralista. 141 ‘Andrea Mantegna, della Vittoria, temp: 1496. Parigi, Musée du Lowore (da Mantove) Poco importa che Giovanni Santi, che é il padre di Raffaello San- zio, abbia espressamente affermato, nei brutti versi della sua Cro- naca rimata, che Mantegna, imperatore della pittura, @ superiore a tutti gli artisti del suo tempo ¢ persino a quelli dell’antichita, Chi di il la alla muova situazione espressiva, con il moderatismo ne- cessario in Italia per avere sucesso, Pietro Perugino, le cui ope- re negli anni Novanta sono tichieste da ogni paste dell’Italia che conta. Mantegna quindi tende un po’ a ritirarsi, anche perché de- 142. ve portare avanti limpresa dei Trionfi. Poi, al di la di quadretti come Andrea Mantegna, Minerva caccia i Vizi dal giardino delle Virti, tempera su tela 1499-1502. Parigi, Musée du Lowore (da Marstova, palazzo Ducale, Studiolo dt Isabella Este) il Cristo al Limbo Johnson, che rivisita, alla luce della Madonna del- Je cave, una vecchia invenvione della fine degli anni Sessanta, ven- gono due grandi pale su tela. La Madonna della Vittoria, chiama- ta cosi per Ja vittoria di Fornovo del 1494 e destinata all’altar mag- giore della chiesa omonima di Mantova, un dipinto del 1496 con un’odiosa preistoria antisemita, oggi conservato al Louvre; la Ma- donna Trivulzio, detta cosi per la lunga permanenza nell'llustre col- Tezione milanese ¢ ora al Castello Sforzesco, viene realizzata nel 1497 per altar maggiore della chiesa di Santa Maria in Organo a Ve rona, dove era conservata in una cornice dell’intagliatore verone- se Gregorio Mazzola: @ un’opera un po’ fiacca, una riproposta un po’ triste del dipinto precedente, dove forse Mantegna si 2 fatto aiutare. A quell’altezza cronologica é gia scattato il progetto de!- la marchesa Isabella di decorare una piccola stanza, tutta per sé, nel castello di San Giorgio, dove raccogliere oggetti preziosi, mo- demi e soprattutto antichi, ¢ ritirarsi a legpere o ad ascoltare mu- sica 0 a conversare con le persone pitt care: uno studiolo cio’ co- me nello stesso edificio, prima di lei, avevano avuto suo suocero Federico e il padre di lui, il marchese Ludovico, che, fin dal 1460 almeno, possedeva “una cameretta secretta... in castello”. Isabel- a vuole, oltre a un pavimento maiolicato ¢ a una boiserie dorata, una serie di dipinti di soggetto profano, e li vuole di mano di ar- tisti diversi. Mantegna @ un comprimario in quell’impresa, che cer- ca di traghettare la situazione mantovana verso Pesperienza del pro: toclassicismo e una spiegazione della realta che tenga conto di guei fattori sentimentali che Mantegna aveva sigillato dentro di sé. Una spiegazione bellissima di questa situazione, che non riguarda so- lo il campo figurativo, @ fornita in un saggio di Gianni Romano di una ventina d’anni fa, compreso nella Storia dell'arte italiana di Fi- naudi, Per il progetto figurativo dello studiolo di Isabella, i cui ele- menti superstiti si conservano tutti al Louvre, Mantegna realizza prima, nel 1497, il Parnaso e poi, nel 1502, Minerva che caccia i vi- xi dal giardino delle virtit, Sono dipinti che prima di essere ammirati Una lexione su Andt da Degas dovettero essere apprezzati dal Poussin della maturit’, che avra trovato in Mantegna un precedente ineludibile per la sua pittura di testa. Il Parnaso — che @ stato in parte modificato in un restauro di aggiornamento intorno al 1520, che intenerisce qua e lal tono sentimentale — si spiega ancora con il ricorso a una mi- tologia tradizionale, che comprende, facilmente riconoscibili, Ve- nere, Marte, Vulcano, Apollo, Mercurio, Pegaso ¢ le Muse (im- bambolate dal restauratore...). I dizionari di mitologia non bastano pid per spiegate Paltra tela, dove Mantegna elabora invenzioni estre- mamente personali, accompagnate da scritte trilingui ¢ con il ri- corso di esseri mostruosi creati dalla propria fantasia e non attin- tial repertotio dell’antichita classica, Ha bisogno di scrivere i no- mi perché chi guarda si possa orientare: Ozio, Ignoranza, Avari- zia, Inerzia.., Queste creature, che sembrano anticipare la fanta- scienza, derivano direttamente da quelle dei Baccanali e della Zuf- fa degli dei marini degli anni Setanta e vengono impicgate nell’ laborazione di immagini a cui Mantegna affida le proprie rifles- sioni, ossessionato dall incalzare dell’ignoranza, nemica della virti. Lconcetti astratti, in questa specie di personale Dialettica dell'il- Iuminismo, diventano personaggi, ma non sono allegorie tradizio- nali, Mantegna non guarda pitt fuori dalla finestra per dipingere il lago sotto le mura del castello di San Giorgio, come aveva fatto ap- pena atrivato a Mantova, ma adesso inventa uno specchio d’acqua molto privato, circondato dagli archi in verzura di un giardino, per rappresentare sogni e ossessioni ¢ idee fisse, magari anche politi- che, che ruotano intorno alla vanita degli esseri umani. Sullo sta- gno con i fiori d’acqua incombe un cielo grigio, attraversato da nu- vole figurate, come ne abbiamo gia viste. Tre Virti viaggiano su un convoglio da Guerre stellari, ma Pattenzione é rapita dalla meravi- gliosa cupe arancione che sembra che stia per precipitare, come in un Friedrich anzitempo: riviene subito in mente, visto che Mante- gna, come molti degli artisti pid grandi, ritorna sempre sulle stes- se ossessioni, la montagna rosa al fondo della Crocfissione del Lou- vre, dipinta a trent’anni. I] carattere visionario del?’ immagine sara anche aumentato per via di quarant’anni di Mantova, dove, nel fon- do della pianura pit piatta, tra afa e zanzare, le montagne sono mi- raggi, che rischiano di non appatire nemmeno nei giorni pit tersi d'inverno. Ma un effetto del periodo passato @ anche, volente o no- lente, un aumento dell’atmosfericita dell’immagine, con tutti i ri- schi, in direzione leonardesca, che questa parola comporta. Biso- gna essere in grado perd di osservare come accanto alle soluzioni pit visionarie stiano, nella Minerva del Louvre, particolari accura- tamente realistici, tra cui basta far cenno al nido di cicogne che, aguz- zando la vista, si pud riconoscere in cima a un albero nella pianu- ra, oltre ’arcata di destra del giardino incantato. Per gli esseri mo- struosi dipinti in questa tela non mancano altre aventure: si ritro- verano, per esempio, in un disegno molto finito e colorato del Bri tish Museum o in un’incisione di Giovanni Antonio da Brescia. La ricerca di Mantegna si svolge, con ogni probabilita, in solitudine, senza ricorrere troppo ai poligrafi cortigiani, tanto pid che ora, gra- zie a una brillante scoperta di Rodolfo Signorini, conosciamo 'in- 144 ventario della biblioteca di suo figlio Ludovico, in cui dovevano ‘Andrea Mantegna, Ginditta ¢ la fantesca Abra con la testa mozzata di Olofeme, penna, acquerellature marron (parzialmente non autografe) 2 biacca, 1491. Firenze, Galleria degli Uffisi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe essere, parzialmente almeno, confluiti i libri del padre e ci sono il Biondo e il Fonzio, il Lullo ¢ il Perotti, Ceeco d’Ascoli e Pio HL, Ci- cerone, Columella, Giovenale, Marziale, Ovidio, Sallustio, Stazio, Terenzio, Valerio Massimo, Virgilio eccetera. Non @ da trascurare perd che il mantovano Battista Spagnoli, nel suo De calamitatibus temporum, pubblicato nel 1489, veniva a parlare di esseri alati o mo- nocoli o con unghie di arpie 0 con zane d’elefante. Ma su Man- tegna e Battista Spagnoli — il Virgilio cristiano per i suoi colleghi umanisti — ’é ancora parecchio da lavorare. Come un classico moderno, Mantegna lavora per temi ¢ varia- zioni, elaborando lo stesso soggetto in disegni molto finiti o in te- lette ¢ tavolette che fingono rilievi su sfondi di pietre colorate o in incisioni realizzate da chi gli passa accanto: arrivano cos) i San Gio- vanni Battista 0 gli Ercole e Anteo (un soggetto che gli era caro fin dall’inizio degli anni Sessanta) o le Ginditte, tra cui spicca il magnifico cesemplare, per quanto non ben conservato, firmato e datato febbraio 1491, un aricum nella grafica del Quattrocento, giunto agli Uffizi, con ogni probabilita, dalla raccolta di Giorgio Vasari. Non ci sono perd solo composizioni di piccolo formato: continuano ad arrivare tichieste per dipinti di grandi dimensioni come la pala “del primo pictore del mondo” che nel 1499 Georges d’Amboise, arcivescovo, di Rouen e primo ministro del re di Francia Luigi XI, richiede al marchese Francesco Gonzaga: deve raffigurare san Giovanni, a cui L’arcivescovo era particolarmente devoto, accompagnato da un’ef- figie del committente. A questo progetto si pud connettere un fo- glio giunto da qualche anno al museo di Liverpool, che contiene de- ali studi per un San Giovanni Battista accompagnato da un dona- tore, in basso, rappresentato a mezzo busto. E un tipo di disegno a penna, ancora molto sommario, preparatorio, ben diverso dalle com- posizioni fini a se stesse - come la Giuditta degli Uffizi e l’Allegoria della virtit di Londra appena nominate — pronte per essere utilizza- te come regali importanti da parte dei marchesi. A Mantegna tocca ancora di vedere Leonardo che arriva a Man- tova, per pochi giorni, nell’autunno del 1499, dopo che a Milano & crollato il regime di Ludovico il Moro. E difficile che Pincontro non sia avvenuto, auspice magari la marchesa Isabella. Il reciproco non capirsi con Iei di mezzo, che vuole a tutti i costi che Leonardo le faccia il ritratto, il prevedibile biasimo di Mantegna per chi si pre- senta li col codazzo dei ragazzi e con gia intorno alone della dissi- pazione. Tra non molto Baldassarre Castiglione scrivera che Leonardo “sprezza quell’arte dove é rarissimo, ed éssi posto ad imparar filo- sofia...”. Mantegna non poteva né voleva capire la “grazia” ela “dol- cezza” che Leonardo ritrovava, sul fare della sera, col cielo nuvolo, nei volti dei ragazzi; gli erano incomprensibili i motti di spirito con cui cercava di andare in fondo al senso della vita: e poi tutta quel- Tacqua, tutta quella umidita, verso il ventre caldo e appiccicoso del- laterra... Per lui, altro che montagne azzurrine: tutto é nitido a per- dita d’occhio; la nebbia, che a Mantova ti invade persino le ossa, si pud anche fare come se non esista e in ogni modo non va dipinta, se si @ uomini sul serio. E un’idea cosi diversa del lavoro tra i due: ‘Mantegna che sta sempre da solo, Leonardo che ha sempre tra i pie- diil ragazzo di taro. La costanza, per quanto colletica, negli impegni Une lezione sw Andrea Mantegna 145 aveva poco da dire a chi aveva fatto del proprio corpo un sismo- grafo, persino dei sentimenti. Cadrebbe bene qui, tra le conseguenze di questa occasione, ’Eece homo del museo Jacquemart André. La tela di Parigi, che conservata straordinatiamente bene, sembral'e- strema testimonianza da parte del vecchio pittore di restare fedele, agli ideali di severita e discrezione su cui aveva costruito tutta la sua attivita: a maggior ragione gli sembrava che fossero da difendere ades- so che premevano da tutte le parti le nuove istanze sentimentali, sia che fossero quelle, per lui facilmente esorcizzabili, del Perugino e degli altri lassicisti prematuri, su cui avrebbe dovuto dire Ia sua giu- dicando gli affreschi. di Boccaccino, Lorenzo Costa, Niccold Pisa- no, Lazzaro Grimaldi e compagni nel coro del duomo di Ferrara, sia che fossero quelle, assai pitt minacciose, di Leonardo, al quale invece, tutta quella pittura sdegnosa ed eroica di Mantegna non & difficile immaginare che sia apparsa di “Jegnosa resolutione”, con ombre e contrasti troppo neti e ideologici ‘A partire dal 1504, proprio alla fine della vita, Mantegna stava Iavorando alla propria cappella funeraria in Sant’ Andrea, intitola- ta.a San Giovanni Battista, subito entrando a sinistra nella gran n vata della basilica: @ forse la testimonianza pid vistosa del rango so: Giale da lui acquisito: ci sono il ritratto bronzeo, che un tempo ave- va gli occhi di brillanti, posto davanti a un disco di porfido, gli stem- mi di famiglia ¢ una specie di antologia, autografa e non, dei mo- tivi figurativi su cui aveva lavorato nell'ultimo squarcio della sua Junga carriera. Gli scorci, i rreillages, le arance e i limoni, i mono- ctomi, i David, le Giuditte, i Giudiai di Salomone, gli scudi coi na- stti, le scritte in ebraico... Sullaltare le due Sacre Famiglie, quella di Ges ¢ quella del Battista, si incontrano davanti a una spalliera diagrumi, Appartiene a Mantegna anche il malandatissimo Batte- simo di Cristo, percorso dal vento e popolato di personaggi miste- riosi. Fuori dalla finestra della cappella aveva voluto un piccolo pez- zo di tetreno recintato, in modo che nessun edificio togliesse luce al Juogo dove sarebbe stato sepolto: li si trovava, tra qualche pian- ta, una baracca che il vecchio artista aveva voluto per stare un po” in pace a pensare e dove poter magari accendere il fuoco nei gior- ni di freddo, che a Mantova sono parecchi. Le opere di Andrea Mantegna, le stampe in particolare, ave- vano gi interessato Albrecht Diirer, a pattire dal 1494 almeno, quando si mette a copiare, nei fogli conservati a Vienna, il Bacca- nale con il Sileno ela parte destra della grande Zuffa degli dei ma- rin, Ma si deve atrivare alla scena del mancato incontro manto- vano del 1506 tra i due artisti, che adeguatamente sceneggiato, po- trebbe stare tra Hofmannsthal e Strauss. I titolo: Albrech¢ und An- drea, © qualcosa del genere. Un tormentato trentenne di Norim- berga, aifascinato dall'Italia, gira per la valle del Po, in un'estate che non finisce mai, dopo una lunga sosta veneziana tra notti alle osterie ¢ visite ai mostti sacri e sacra diffidenza per il lavoro dei pid giovani. Finalmente un giomo il signore della pittura italiana, che vive isolato da tutti nella corte persa tra le lagune ¢ le paludi, fa sapere di essere disposto a ricevere 'oltramontano, che in pa- tria copiava ammirato le sue creazioni pit folli in grandezza 1:1. 146 Sta crollando un mondo, fatto di severita e rigore ¢ assoluta a ‘Andres Mantegna, Bece homo, tempera su tela, circa 1500 Pavigt, Musée Jacquemart-André disctezione di sentimenti; frusciano dappertutto grazia e delicatezza e le dame della marchesa Isabella, alla piccola corte, si racconta- no tutto il giorno: “mi piace quello...”, o “mi ha guardata...”, op- pure “questa musica mi intenerisce il cuore...”, oppure ancora “fat- tiritrarre con la canina...”, e il vecchio Mantegna, che si sente mo- rire, confonde quelle conversazioni cretine sulla natura dell’amo- re con i “moti dell’animo” che Leonardo ha scoperto: ¢ nel fare di tutt’erba un fascio per una battaglia perduta cerca un giovane alleato. Ma lincontro non avviene, perché i] 13 settembre 1506 Mantegna muore. I suoi ultimi istanti sono narrati nei versi di An- tonio Tebaldeo, il precettore di Isabella d’Este, che tra non mol- to verra ritratto da Raffaello: il vecchio pittore, “maxima picturae gloria”, @ a letto, sente la vita che gli scappa e ha gia perso la vi- sta; gli portano a far vedere una statuetta antica con un nume ala- to e lui, per un attimo, riprende un po’ di forza e brancola a ta- stoni sul matmo. Nel libretto del melodramma, che poi corrisponde proprio alla storia, Albrecht Diirer viene al proscenio a dire che quell’appuntamento mancato con Andrea Mantegna é stato “il pity grande dolore della sua vita”. Scrive al suo amico Willibald Pirckhei: mer a Norimberga: “Quanto freddo avrd dopo tutto questo sole...”, e riparte verso Nord. Una lesione su Andrea Mantepna 147 Pierluigi De Vecchi Michelangelo Buonarroti, La sibilla Libica, affresco, 1508-1512, Cittd del Vaticano, Cappella Sistina, volta La “perfezione dell’arte”: Raffaello e Michelangelo “perfezione dell’'arte” parla il Vasari a proposito della “ma- niera moderna” elaborata, tra gli ultimi decenni del Quat- trocento e i primi del Cinquecento, dagli artisti di cui egli traccia le biografie nella “terza eta” delle Vite, in particolare, da un grup- po di maestri “eccellenti”, tra i quali assumono parte di protago- nisti Leonardo, Raffaello ¢ Michelangelo. Come & noto, nell’ope- ra del Vasari le singole vite degli artisti sono concepite all’interno di un grandioso e unitario disegno storico di sviluppo ascensionale, scandito in tre “eta” ¢ culminante appunto nel raggiungimento del- la “perfezione dell’arte”. La struttura dell’opera appare pertanto fondata sulla concezione del “progresso delle arti”, di cui Ernst Gombrich ha rintracciato una prima, ancor sommaria, ma espli- cita affermazione in una epistola dedicatoria scritta nel 1473 dal- Tumanista Alemanno Rinuccini che, del resto, si limitd a conferi- re forma piti chiara e organica a idee ricorrenti negli ambienti de- eli umanisti. Le fonti di tali idee possono essere facilmente rin- tracciate sia in Plinio, sia nel Brutus di Cicerone o nella Institutio oratoria di Quintiliano, che descrivono il progredire delle arti nel- Vantichita, da rozzi e incerti inizi fino alla pit assoluta perfezione. Lo schema appariva immediatamente applicabile all’eta “moder- na” — in particolare in ambito fiorentino ~ sulla scorta di celebri affermazioni, come quella di Dante a proposito del superamento del maestro (Cimabue) da parte dell’allievo (Giotto), ma soprat- tutto trovava riscontro nella possibilita di riconoscere una effetti- va linea di sviluppo delle tecniche ¢ delle convenzioni di rappre- sentazione artistica in direzione della “mimesi”, di una sempre pit efficace “imitazione della natura” da parte degli artisti. Nel Proemsio alla terza parte delle Vite, il Vasari scrive: “Vera- mente grande augumento fecero alle arti della architettura, pittu- rae scultura, quelli eccellenti maestri che noi abbiamo descritti sin qui nella seconda parte di queste Vite, aggiugnendo alle cose dei primi regola, ordine, misura disegno e maniera, se non in tutto per- fettamente almeno almanco vicino al vero, che i terzi /.../ potero- no mediante quel lume sollevarsi ¢ condursi alla somma pertezione, 219 dove abbiamo le cose moderne di maggior pregio e pitt celebra- te”. Nel disegno storico delle Vite gli artisti della seconda “eta”, che si apre con l’attivita dei grandi novatori fiorentini dei primi de- cenni del XV secolo - Brunelleschi, Donatello, Masaccio — diede- ro un contributo decisivo allo sviluppo delle atti, che tuttavia non erano ancora “tanto perfette che elle finissero di aggiugnere alPintero della perfezione, mancandoci ancora nella regola una licenzia che, non essendo di regola, fusse ordinata nella regola, e potesse stare senza fare confusione o guastare Pordine; il quale aveva bisogno d'una invenzione copiosa di tutte le cose, e d’una certa bellezza con- tinuata in ogni minima cosa, che mostrasse tutto quell’ordine con pitt ornamento, Nelle misure mancava un retto giudizio, che sen- za che le figure fussero misurate avessero in quelle grandezze ch’el- le eran fatte una grazia che eccedesse la misura. Nel disegno non v'eran gli estremi del fine suo, perché sebbene ei facevano un brac: cio tondo ed una gamba diritta, non era ricerca con muscoli, con quella facilita graziosa e dolce che appatisce fra ’l vedi e non vedi, come fanno la carne ¢ le cose vive; ma elle erano crude ¢ scortica- te, che faceva difficolta agli occhi e durezza alla maniera...”. La “perfezione dell’arte”, nel senso della “mimesi”, richiede- va pertanto ancora, secondo il Vasari, “I’invenzione copiosa di tut- te le cose” — che poco oltre viene specificata come “la copia de’ belli abiti, la varieta di tante bizzarrie, la vaghezza de’ colori, la uni- versita ne’ casamenti e la lontananza e variet’ ne’ paesi” — ma s prattutto un decisivo adeguamento in direzione degli ideali della “grazia” e della “facilita” o “sprezzatura” nell’esecuzione. Solo cid avrebbe infatti, da un lato, consentito di evitare lo “stento della diligenza” che conduce a “insecchire” la maniera — “massime ne- ali scorti ¢ nelle vedute spiacevoli: che siccome erano a loro dure a condutle, cosi erano aspre a vederle” — e di conseguire, dall’al- tro, la “gagliardezza del disegno”, pervenendo a una espressione della bellezza tale da trascendere persino i principi dell’ordine, del- la “misura” e della “simmetria”. Appare abbastanza curioso che la definizione della perfetta “ma- niera moderna” nel Proemso della “terza eta” risulti soprattutto in consonanza con la caratterizzazione fornita in seguito dallo stes- so Vasari dell’opera di Raffaello, mentre altri “valori” essenziali, come la capacita di manifestare, attraverso le “attitudini”, i senti- menti ¢ le passioni dell’animo, la rappresentazione “perfetta” del corpo umano e dei suoi movimenti, e una intonazione espressiva condotta al livello di “terribilita” — attributi degli altri due prota- gonisti delle Vite, Leonardo e Michelangelo — vengono individua- tied esaltati altrove, in particolare nelle biografie dei due attisti, ma anche in un passo inserito nella Vita di Raffaello nell’edizione del 1568 con il proposito di meglio precisare ed esaltare il valore e il significato della sua opera, ma anche di indicarne i limiti nel confronto con gli altri due sommi maestri. La pagina del biografo aretino, al pari delle fondamentali ag- giunte e precisazioni apportate alla Vita del Buonarroti, va consi- derata alla luce del dibattito che si apri, fra la prima e la seconda edizione delle Vite, soprattutto a proposito del Giudizio finale di 220 Michelangelo, i cui detrattori — in particolare in ambiente veneto, affeelto Sanzio, Madonna con il Bambino e san Giovannino (Madonna del Prato, o del Belvedere), olio sw tavola, 1506 Vienna, Kunsthistorisches Museau dall’Aretino al Dolce e al Pino — contrapponevano alla “terribili delle sue opere, ctiticata come mancanza di “certa temperata mi- sura € certa considerata convenevolezza, senza la quale niuna co- sa pud aver grazia né istar bene” (L. Dolce, 1557), e al suo “dise- gno”, condannato come eccessivo e monotono virtuosismo ana- tomico, la “leggiadria”, la “misura”, la “variet’” e la “copia” del- le invenzioni di Raffaello, la cui opera veniva accostata significa- tivamente agli esempi letterari di Virgilio e Cicerone, Petrarca e Ariosto proprio in nome della “facilita”: “e si come Michel Agno- lo ha ricerco sempre in tutte le sue opere la difficulta, cost Raf- faello, all'incontro, la facilita, parte, com’io dissi, difficile a con- seguire et halla ottenuta in modo che pare che le cose sue siano fate senza pensarvi, ¢ non affaticate né istentate. Il che & segno di grandissima perfezione, come anche negli scrittori, che i migliori sono i pitt facili” (L. Dolce, 1557). Alle accuse rivolte all’ opera di Michelangelo il Vasari tispose, nella seconda redazione delle Vite, insistendo sui “grandi e terri- bili concetti” della sua “immaginativa”, ribadendo il valore della “scienza degli ignudi” come vertice dell’attivita artistica ¢ soste- 221 Sees rere cree Eee AR SLEEESCeLEEECEEC CREO ERS 222 nendo ~ come ha indicato la Barocchi ~ che la pretesa unilatera- lita del linguaggio del Buonarroti non implicava un limite o una incapacita, ma piuttosto “una scelta e un impegno creativo asso- luti” e che il Gizdizio non era solo “dilficolta e copia di attitudi- ni”, ma attuava “una ineonfondibile gamma stilistica, perfettamente intonata al tormento del Maestro” La posizione di “antagonista” di Michelangelo, ormai atcribuita a Raffaello, costrinse tuttavia il Vasari a rivedere anche la sua vi sione critica nei confronti dell’opera del Sanzio. In un lungo pas: so, inserito quasi a conclusione della biografia dell’artista, egli svi luppd pertanto due linee di considerazioni, ribadendo e accen- tuando, da un lato, la sua posizione in qualche modo “subalter: na” nei confronti di Leonardo ¢ Michelangelo — da hui assunti co- me “modelli” nel proceso di “imitazione” da cui trasse origine la sua “maniera” ~ ma definendo dall’altro, in modo pit approfon- dito, i caratteri specifici della sua “eccellenza” e della sua “perfe- zione”, Ecco quindi che, per quanto tiguarda Leonardo, il Vasari afferma che Raffaello “...per diligenza o studio che facesse, in al- cune difficult non poté mai passare Lionardo; e se bene pate a molti che egli lo passasse nella dolcezza e in una certa facili na- turale, egli non di meno non gli fu punto superiore in un certo fon- damento terribile di concetti e grandezze d’arte, nel che pochi so- no stati /a lui / pari...”. Per quanto riguarda invece Michelange- Jo, Vasari loda Raffaello per essersi, almeno in un primo tempo, trattenuto dall’ingaggiare un impari confronto sul terreno della “scienza degli ignudi”, ma @ poi quasi forzato a riconoscere che Michelangelo Buonarroti, | Madonna con il Bambino f e san Giovannino (Tondo Taddei), marmo, circa 1502 Londra, Royal Academy Roffaello Sanzio, Madonna con il Bambino (Madonna Bridgewater), olfo su tela inasportato de tavola, circa 1507 Edimburgo, National Gallery of Scotland Raffaello Sanzio, Studi di Madonna col Bambino, pena su carta e tracce di sanguigna, circa 1507. Londra, British Museum esistono diversi modi e campi per eccellere in pittura e finisce per abbandonatsi alla celebrazione della “varieta”, della “naturalita della capacita di approfondimento psicologico ¢ narrativo del mae- stro urbinate: “ma conoscendo nondimeno che non poteva in que- sta parte arrivare alla perfezione di Michelagnolo, come uomo di grandissimo gidizio, considerd che la pittura non consiste sola- mente in fare uomini nudi, ma che ell’ha il campo largo e che fra i perfetti dipintori si possono anco coloro annoverare che sano esprimere bene e con facilita l’invenzioni delle storie ed i loro ca- pricci con bel giudizio, e che nel fare i componimenti delle storie chi sa non confonderle con il troppo, ed anco farle non povere col poco, ma con bella invenzione ed ordine accomodarle, si pud chia- mare valente e giudizioso artefice, A questo, si come and pensando Raffaello, s’aggiunge lo arricchirle con la varieta e stravaganza del- le prospettive, de’ casamenti e de’ paesi, il leggiadro modo di ve- stire le figure, il fare che elle si perdino alcuna volta nello scuro ed alcuna volta vaghino innanzi col chiaro, il fare vive ¢ belle le teste delle femmine, de’ putti, de’ giovani e de’ veccbi, e dar loro secondo il bisogno, movenza e bravura. Considerd anco quanto importi la fuga de’ cavalli nelle battaglie, la fierezza de’ soldati, il sapere fare tutte le sorte di animali, e soprattutto il saper fare nei ritratti somigliar gli uomini, che paino vivi e si conoschino per chi eglino sono fatti, ed altre cose infinite, come sono abigliamenti di pani, calzari, celate, armadure, acconciature di femmine, cape gli, barbe, vasi, alberi, grotte, sassi, fuochi, arie torbide e serene, nuvoli, piogge, saette, sereni, notte, lumi di luna, splendori di so- le, ed infinite altre cose che seco portano ognora i bisogni dell’ar- te della pittura” Fondamentale documento di “ricezione” ~ a livello colto ~ da parte dei contemporanei, le pagine del Vasari prospettano pertanto diverse categorie di “perfezione dell'arte” per i tre protagonisti del- la “maniera moderna”: quel “certo fondamento terribile di con- cetti e grandezza arte”, unito a un impareggiabile talento nel “ri- velare” le passioni dell’animo, per Leonardo; la “varieta”, la “na- 223 turalezza” e la “grazia”, insieme con “linvenzione” che “era in lui sifacile e propria quanto pud giudicare chi vede le storie sue, le guali sono simili agli scritti”, per Raffaello; la “profondita” dei con- cetti e la “terribilita” espressiva in Michelangelo, insieme con la “scienza” nella resa del corpo umano e del suo movimento: “...¢ finalmente ha aperto la via alla facilita di quest’arte nel principa- le suo intento, che é il corpo umano” (G. Vasari). Nei primi anni del Cinquecento, a Firenze, il rapporto e il con- fronto fra tutti e tre gli artisti fu diretto ¢ immediato, ed ebbe con- seguenze di vastissima portata soprattutto per il pid. giovane — Raf- faello — che si trov6, in effetti, in una posizione per molti versi di subordine rispetto agli altri due. Come afferma infatti esplicitamente Ja sua protettrice, Giovanna Feltria Della Rovere, in una lettera in- dirizzata da Urbino il 1° ottobre 1504 al Gonfalonicre della citta Pier Soderini, egli vi si recd con ’intento dichiarato di “impara- re”, tichiamato nel capoluogo toscano — lo apprendiamo dal Va- sari — dalle aspettative e dal fermento suscitati negli ambienti ar- tistici dal confronto fra Leonardo e Michelangelo, incaricati dalla Signoria di dipingere, nella Sala grande del Consiglio in Palazzo Vecchio, due grandi scene di battaglia: la Battaglia di Anghiari e Ja Battaglia di Cascina. Dopo il fungo soggiorno a Milano, Leonardo aveva fatto ritorno in Toscana, e gid alla fine del 1500 aveva esposto a Firenze un car- tone raffigurante la Vergine con il Bambino e sant’ Anna che, come ricorda il Vasari, “non pure fece meravigliare tutti gli artefici, ma /../ nella stanza durarono duoi giorni di andare a vederla gli uo- mini le donne, come si va alle feste solenni...”. Michelangelo, rien- trato da Roma nella primavera del 1501, ricevette nel giro di due anni incarichi di grande prestigio: quindici statue per l’altare Pic- colomini nel duomo di Siena, il grande David in marmo per PO- pera di Santa Maria del Fiore, un David in bronzo per il maresciallo Pierre de Rohan — ma su commissione della Signoria fiorentina — ancora dodici statue di Apostoli per |’Arte della Lana e ’Opera della Cattedrale, senza contare le opere per committenti privati, come i tondi Doni, Pitti e Taddei. Le opere dei due maestri dischiudevano agli occhi dei con- temporanei —e in particolare dei pit giovani artisti — non solo un 224 rinnovato repertorio di schemi compositivi e di invenzioni formali, Aristotele da Sangallo (attr), copia di una parte del cartone di Michelangelo Buonarroti per Je Battaglia di Cascina, obto sw cartone, 1542, Holkem Hall (Norfolk), Leicester Collection con _una impressionante varieti di moti ¢ attitudini — che ap- profondite conoscenze nel campo dell’anatomia consentivano di controllare con un rigore fino ad allora ignoto — ma soprattutto il pieno realizzarsi delle potenzialita espressive della “maniera mo- derna”, dalla grazia e dagli affetti pitt teneri allo scatenarsi di vio- Iente emozioni, insieme con una stupefacente naturalezza e “ve- rita’, tanto sul piano della “mimesi”, quanto su quello psicologi- co. In particolare Raffaello, sulla spinta delle nuove esperienze, tra- sformd il suo linguaggio figurativo, nel giro di pochi anni, con un ritmo che lascia sbalorditi. Il dialogo ~ talora a distanza, talora pitt ravvicinato — tra i tre antisti si coglie soprattutto nei dipinti, nei rilievi e nei disegni raf- figuranti la Madonna con il Bambino, la Madonna con il Bambi no e san Giovannino 0 Sacre Famiglic. Partendo dal cartone del- la Sant’Anna di Leonardo, ma probabilmente anche dalla cono- scenza di suoi disegni, Raffaello punta a recuperare, entro la cla sica e monumentale struttura piramidale dei gruppi, e attraverso un continuo gioco di “variazioni”, il massimo di verita ¢ natura- lezza delle attitudini e dei gesti che allacciano una figura all’altra, insieme a un rapporto armonico e coerente con lo spazio natura le. In tale processo & possibile riconoscere una linea di sviluppo che, per esempio, conduce dalla composizione della Madonna del Prato, concepita con una netta scansione dei piani in profondita, alla sponteneita ¢ scioltezza dei rapporti gestuali — ma anche af. fettivi ~ della Madonna del Cardellino o della Belle Jardiniére, do- ve il rapporto tra le tre figure appare pitt complesso, ma caratte- rizzato da movimenti vivaci c insieme fluenti e armoniosi, in un gruppo la cui perfetta coesione & sottolineata dal convergere e dal- Pincrociarsi degli sguardi. Neppure Michelangelo rimase insensibile al cartone della Sant’Anna, ¢ il suo interesse & rivelato da alcuni disegni che ne riprendono il motivo, con la tendenza perd a bloccarne il ritmo fluente e circolare con effetti contrastati e scultorei, La riflessio: ne dell'artista su alcuni aspetti del linguaggio figurative di Leo- nardo si coglie perd in modo anche pitt esplicito nei due tondi scolpiti, dove egli sembra sperimentare effetti di indefinito spa ziale ¢ di avvolgimento atmosferico attraverso la tecnica del “non finito”, in particolare nel Tondo Taddei, dove tanto il trattamen- to irregolare del piano di fondo, dal quale le figure sembrano emer- gere, quanto l’intonazione emozionale della scena (Gesi si rifu- gia in grembo alla Madre, come spaventato dal cardellino — sim- bolo della Passione — che il piccolo san Giovanni gli porge) svi- luppano motivi formali ¢ “psicologici” caratteristici del maestro di Vinci, Raffaello, a sua volta, riprese in controparte dal tondo del Buonarroti Penergico movimento in torsione del Bambino che, nella Madonna Bridgewater, sembra guizzare obliquamente sulle ginocchia della Madre, portando indietro il braccio come ad af- ferrarne il velo. Diversi disegni mostrano che il motivo venne lun- gamente studiato attraverso varianti e contaminazioni con spun- ti derivati da Leonardo, al fine di rendere il pitt possibile natu- rale il rapporto tra le due figure, senza rinunciare allo slancio im- petuoso del Bambino. Cid che perd soprattutto colpiva Raffaello ¢ gli altri artisti con- temporanei nell’opera di Michelangelo, ¢ in particolare negli studi e nel cartone per Ia Battaglia di Cascina, era — al di la della sicu- rezza nella definizione anatomica dei corpi e dei movimenti — la va rieta delle attitudini, degli scorci, delle drammatiche concatenazioni gestuali nel contesto della rappresentazione. Nel caso dell’ Urbina- te se ne ha riscontro, oltre che in numerosi disegni, nella pala raf- figutante il Trasporto di Cristo morto, dipinta per Atalanta Baglio- ni e datata 1507, Dell’impegno dell’artista e del suo lungo studio per tale opera sono testimonianza i numerosi disegni rimasti, che mostrano il graduale passaggio dal tema litico del “compianto” a quello drammatico del “crasporto”, come conseguenza dell’emer- gere di una prepotente aspirazione a conferire empito “eroico” al- Ja rappresentazione, in modo da competere, nella resa dell’azione come nella definizione della mimica e della gestualita dei personagei, con il suo grande modello, “citato” nella figura di Cristo morto (che riprende quello della Pieta vaticana), in una delle figure delle pie donne che sorreggono la Vergine svenuta (che varia appena la po- sa della Madonna nel Tondo Dona) e in quella di una dei portatori (iberamente ispirata alla incompiuta statua di Sen Matteo) Tl confronto — ormai alla pari — tra i due artisti si sviluppd a Roma a partire dal 1508, con Michelangelo ormai rassegnato a pie- garsi alla volonta di Giulio TT ¢ a impegnarsi nell’impresa di af- frescare l'immensa volta della Cappella Sistina, e Raffaello chia- mato a lavorare nella stanza detta ora “della Segnatura”, nei nuo- vi appartamenti che il pontefice si stava facendo allestire. Ei di versi compiti che i due artisti furono chiamati ad affrontare finirono 226 Raffaello Sanzio, Trasporto di Cristo al sepolero, detio Pala Baglioni, oli su tavola, 1507. Roma, Galleria Borghese Michelangelo Buonarroti, Seucli pet la volta della Cappella Sistina, penna su carta, 1507- 1508. Londra, British Museum ‘Michelangelo Buonarroti, UPeccato ¢ La cacciata di Adamo ed Eva, affresco, 1508-1512, Citté del Vaticano, Cappella Sistina, volta Michelangelo Buonarrot, Studio per la figura di Adamo nelia Creazione di Adamo, sanguigna su carta, 1508-1309. Londra, British Museum 3 i 3 & 3 g 5 < 2 3 per esaltarne i particolari talenti nel campo dell’invenzione come dell’esecuzione, portando in primo piano le diverse caratteristiche della loro “perfezione nell’atte”. Fin dal primo progetto per la “sepoltura” di Giulio TI, Miche- langelo concepisce la figura umana inserita entro una grandiosa struttura architettonica, piuttosto che nel contesto di una azione narrativa. Ed @ proprio il rapporto dinamico — talora il contrasto —con la struttura inglobante che ne esalta la potenza espressiva, accentuandone I’intonazione eroica ¢ talora drammatica. La sua visione é architettonica, polifonica, Dalla sua stessa testimonian- za, confermata da alcuni disegni, sappiamo che il primo progetto di decorazione della volta della Sistina era molto diverso da quan- to fu in seguito realizzato, e prevedeva soltanto le figure dei do- dici apostoli nei peducci ¢ il resto della superficie decorato con “par- timenti all’antica”, come si vede in due schizzi ora nel British Mu- seum € nell’Institute of Art di Detroit. Solo in un secondo momento egli elabord la poderosa architettura dipinta che si presenta come un organismo autonome, del tutto indipendente e pure collegato alla spazialita dell’ambiente, come la “sfera piti alta” dell’edificio sacto, in un dinamico intrecciarsi di membrature architettoniche e di gigantesche figure, con le storie della Genesi, negli scompar- ti centrali, viste come al di sopra dello spazio della Cappella, ol- tre gli arconi che sottolineano la curvatura della volta. La struttu- ra generale dell’immagine, potentemente unitaria nella sua com- plessa articolazione, si offre cosi tanto a una visione simultanea, quanto a una scansione spaziale e temporale di momenti nartati- vi e di livelli simbolici. Al di 1a delle molteplici — in alcuni casi tra loro non contrad- dittorie — letture iconologiche del ciclo, sembra oggi opportuno accogliere l'invito di John O'Malley a considerare le immagini di- pinte da Michelangelo alla luce del pensiero teologico del Rina- scimento ¢ dei sermoni che venivano pronunciati nella Cappella stessa per celebrare — nelle forme del panegirico all’antica - Yo- pera di Dio come creatore, fino al culmine della creazione del- Puomo, a sua immagine e somiglianza, e dell’incarnazione di Cri- sto, considerata non tanto come il riscatto della colpa di Adamo ed espiazione del peccato dell’umanita, quanto come perfetto com- pimento dell’opera dell’Eterno, tale da innalzare 'uomo a una di- gnita ancor superiore ¢ pitt vicina alla sfera del divino. In tale con- testo assume pieno significato anche la celebrazione della bellez- za del corpo umano, dalla figura di Adamo alle immagini degli igre- di. Lo stesso attuale pontelice, del resto, in occasione della solen- ne inaugurazione della Cappella dopo i recenti restauri, ha parla to, a proposito delle immagini dipinte da Michelangelo, di “teo- logia del corpo umano”. Una considerazione degli affreschi della volta tutta incentrata sulla struttura polifonica dell’immagine e sulla “scienza” dei cor- pi—benché si tratti certamente di elementi dominanti — non ren- de tuttavia giustizia alla inesauribile ricchezza della concezione del- Partista. Nelle impeccabili sequenze di elementi architettonicamente strutturati, il gioco delle variazioni lascia ampio campo alla carat- 228 terizzazione psicologica dei Profeti ¢ delle Sibille, come all’incanto Michelangelo Buonarrot, Figura diignudo, affresco, 1508-1512, Gitta del Vaticano, Cappella Sistina, volta Michelangelo Buonarroti Roboam ~ Abias, afresco, 1508-1512. Citta del Vaticano, Cappel Sistina, lunetta dinposta della volta Michelangelo Buonarroti Salmon ~ Booz - Obeth, dei Diamanti 316 == Paradiso 88, 99 Sala di Ercole 89 + - Schifanoia 94, 98 Salone dei Mesi 96 Finale Emilia 87, Firenze 28, 60, 62, 65, 67,78, 123, 124, 133, 135, 148, 161, 184-187, 213, 224, 240, 248, 273, 276, 296, 297, 304, 308, 318, 328, 330, 339, 346, 353, 359, 365, 369, 377, 384, 387, 483 - Cestosa del Galluzzo 213, 382 + chiese - San Lorenzo 17, 62,63, 186, 241, 382 faccinta 242 Sagrestia Nuova 254, 241, 307,310 Sagrestia Vecchia 17, 49, 5, 63, 65, 184, 234 Tombe Medicee 335 = San Pancrazio cappella Rucellai 185, 189 ~~ Sant’ Apollonia 184 -- Sant'Bgidio 108 = Santa Groce 41, 63, 184 cappella Pazzi 17, 69 ~ “Santa Maria degli Angeli 44 ~~ Santa Maria del Carmine 63 cappella Brancacci 18, 24,45, - - Santa Maria Novella 17-19, 45, 63, 185, 248 = Santa Trinita 63 cappella Sassetti 251 ~~ Santissima Annunziata 40, 296,393 chiostrino dei Voti 353 chiostro dei Morti 353 - Chiostro dello Scalzo 213 - Galleria degli Uffizi 305 ‘Tribuna 298 ~ Giardino di Boboli 37, 338, 345 + Giardino di villa Castello 345 - Oratorio di Orsanmichele 17, 42, 43,44 ‘Altare dei Corazzai 62 - Ospedale di Santa Maria Nuova 168 + palazzi ~~ della Signoria 60, 224 Salone dei Cinguecento 240,336 : Studiolo di Francesco I 328, 336, 337, 338 - - Medici Riccardi 19, 60, 185, 188 ~~ Rucellai 150, 185 = Vecchio vedi della Signoria - Piazza della Signoria 295- 315, 297, 304, 309, 315, 385 Fontana del Nettuno 298 Loggia dei Lanzi 306, 312, 336, 338, 382384 - San Giovanni, battistero 16, 19,43, 61 Porta del Paradiso 25, 46- 47,313 Porta est, vedi Porta del Paradiso Porta nord 2831, 40, 42,43 Santa Maria del Fiore, duomo 19, 25, 34, 36, 37, 48, 61, 63, 224, 240, 248, 289, 385, 386 campanile 26 cupola 23, 23, 34, 43, 386 Porta della Madorla 34, 35,37, Spedale degli Innocenti 17, al Fontainebleau 296, 318, 328, 330, 335, 341, 353, 422 ~ Camera della duchess @'Etampes 319,333 - Galleria 46, 307, 310, 321, 330, 331 Padiglione di Pomona 319 Fornovo, vittoria di 143 G Gand 65, 251 Garda, lago di 123 Garegnano, certo, vedi Milano Genova 50, 67-70, 351, 482, 483 - Duomo, San Lorenzo 69 - palazzo San Giorgio 67 villa di Fassolo 351 Ginewra,lago di 127 Granada - Alhambra, palazzo di Carlo V a7 ~ cappella Reale 319 ~ castello della Calahorra 317 Grottafertata, abbazia di San Nilo 413 Guadalsjara, Palacio de los ‘Lépez de Cogolludo 317 H Haarlem 342 1 Insina 123 Isola di Carturo 113, L Lainate, villa Litta Borromeo 344347 Ninfeo 328, 347, 347-348, 349 ‘Lecce, chiesa di Santa Croce 425, 427 Lisbona 357 Lodi, pace di 67 Loreto 104, 261 - Basilica della Santa Casa 80 Lucea, duomo 16 M Madrid 319, 482 Magonza 213 Malta 469-471 Mantova 75, 113, 123-147, 148, 213, 296, 328, 330, 350, 397, 469, 482 - castello di San Giorgio 127, 143, 150 ‘Camera degli Sposi 71, 72, AI, 127-135, 138, 251, 269 cappella 126 chiese -- Madonna della Vittoria 143 ~~ San Benedetto in Politone 150 = San Sebastiano 133, 139, 148 = Sant'Andrea 146, 151-152 ; - Duomo 130, 150 ~ Ospedale di San Leonardo 148, = palazai ~- del Podesta 148 =~ Ducale 71, 139, 148, 150 -- San Sebastiano 139, 153 = -Te 150, 153, 342, 350 Maser, villa Barbaro 263 ‘Messina 312, 352 Milano 50, 97, 58, 60-64, 67, 161, 169, 224, 240, 260, 339, 342, 346, 365, 390, 397, 451, 482 ~ Castello Sforzesco, cappella Ducale 50 - Certosa di Garegnano 451 « chiese ' ~~ Sant’ Ambrogio, canonica 52 ~~ Santa Maria de] Carmine 50 Santa Maria del"eoronata 50 + = Santa Maria delle Grazie 50, 35,191 ‘Tribuna 52 Cenacolo 74 ~~ Santa Maria della Pace 50 ~~ Santa Maria presso San Satiro 52, 54 - Sant Eustorgio, cappella Portinati 50 ~ San Pietro in Gessate 50 - Duomo 50, 58, 62, 124, 192 - Ospedale Maggiore, 0 Ca’ Granda 50, 148 - Palazzo del Podesta 52 Pinacoteca Ambrosiana 397 Mincio, fiume 122, 127 Modena 113 ~ Duomo 41 Monaco di Baviera 296, 318, 341,346 Residenza 328 Mons, chiesa di Sainte-Waudra 318 Monteoliveto Maggiore, abbazia 80,381 Montepeloso, vedi Irina Montepensier 137 Montepulciano 28 - Duomo 28 Monterchi 78 Montesiepi, cappella San Galgano 203 Monza, duomo, cappella di “Teodolinda 50 Mosca 316 ~ Chiesa della Dormizione al Cremlino 316 ~ Chiesa di San Michele Arcangelo 316 - Granavitaja palata 0 palazzo “a faccette” 316 N Napoli 63-67, 296, 316, 330, 352, 469-470 - Castelnuovo 66, 66 - Chiesa di Sant’Angelo al Nilo, monumento funerario Brancacci 44, 45 - Palazzo Cambi 369 Nemours 235, 241 Norimberga 146, 317 ° Olanda 183, 482 Onvieto 107 ~ Duomo 19 cappella di San Brizio 80 _ Padova 76, 91, 106-108, 113- 123, 160, 260, 317, 328, 372 ~ Basilica del Santo 116. Altare del Santo 106, 113, pip sar] = chiese ~- deli Fremitani, cappella Ovetari 106, 115-119, 123 ~ San Francesco 113, 117 ~ + Sant’Antonio, vedi Basilica del Santo + Santa Giustina 116 Santa Sofia 116 « Piazza del Santo 109 Scuola del Santo 261 PPalaia, chiesa di Sant’ Andrea 34 Palermo 312, 352, 483 Palestrina, palazzo Barberini 290 Palma de Maiorca, cattedrale 66 Parigi 365, 422 + Palais du Luxemburg 482 Parma 330, 351, 413, 416, 418, 444-445, 482 + Chiesa della Madonna della Steccata 351 Pavia 59, 161, 169 = Certosa 51 - Ospedale di San Matteo 148 Pécs 123 Perugia 79 Collegio del Cambio 230 + Oratorio di San Bernardino 80 Petriolo 124 Piazzola sul Brenta 113 Pieve di Cadore 261 Pisa 45, 135 - Camposanto 41 Chiesa del Carmine 45 Pisa, concilio di 283 Poggio a Caiano, villa Medict 185, 369 Salone 387 Porretta, terme 129 Praga 58, 296, 318, 325, 338- 341, 346,397 Castello di Rodolfo 1 328, 339 Prato, duomo 184 Pratolino, giardini della villa 338,349 R Ravenna 210 ~ Chiesa i Santa Maria in Porto Fuori 102 Revere, palazzo Ducal, git castello Gonzaga 148. Rimini 78-81, 328 - Arco di Augusto 81 - Tempio Malatestiano 80-81, 108 Roma 28, 41, 71, 72, 74, 78-81, 140, 185, 187, 234, 240, 253, 263, 278, 296, 297, 309, 316, 317, 318, 319, 325, 328, 330, 339, 353, 357, 359, 369, 387, 413, 416, 421, 434-435, 444, 450, 452, 453, 497, 458, 469, 478, 480, 483 - Basiliche ~- San Clemente 18 ~- San Giovanni in Laterano 19,314, 434, 438 - Santa Maria Maggiore 18, 290, 435-436 - San Pietro, vedi Citta del Vaticano, Basilica di San Pietro ~ Campidoglio, piazza 288, eh + chiese ~~ del Gesit 458 ~-San Caso alle Quatteo Fontane 424, 426 ~ - San Giovanni dei Fiorentini 288, 440 ~~ San Giovanni in Monte 417 ~ San Luigi dei Francesi 413, 43 cappella Contarclli 442, 450, 464, 465, 469, 472 ~ - San Pietro in Montorio 52, 240 ~ - San Pietro in Vincoli 241 ‘Toba «li Giulio 1242 ~~ Sant'Ivo alla Sapienza 424, 426 ~ Santa Cecilia in Trastevere 440 ~- Santa Maria degli Angeli 289 ~~ Santa Maria della Pace 52 ~~ Santa Maria della Passione 352 - - Santa Maria del Popolo 473 cappella Cerasi 444, 465, 472 ~ Santa Maria in Vallicella 430, 435, 482. » - Santa Susanna 424, 426 - - Santa Trinita dei Monti 353 - = Santi Apostol 80 ~ Santi Nereo e Achille 435 Domus Aurea 41 - Oratorio di San Giovanni Battista 352 - Ospedale della Consolazione 453 - palaiai ~ - Aldobrandini 445 ~~ Barberini 424 ~ - dei Conservatori 288, 289 ~~ dei Musei 288. ~ del Laterano 33. ~ della Cancelleria 81 Sala dei Cento Giorni 369,377 - delle Esposizioni 419 » « Farnese 288, 291, 408 ~~ Madama 454 = - Senatorio 288 Pantheon 241, 276, 289 + Piazza Navona, fontana det quattro fiumi 306 Porta Pia 289 Indice dei log Bul Mm - Scala Santa 430, 436, 438 - Terme di Diocleziano 289 - Villa Farnesina 342, 445 Roma, sacco di 241, 295, 296, 330, 350, 351, 353, 430 Rufina, villa di Poggioreale 217 s Salerno, scuola di 157 Salo 124 San Sepolero 79) Sankt Wolfgang 317, 320 Savona 50, 71 Cattedrale 70 Santuario della Misericordia 476 Siena 107, 123 ~ Chiesa di Santa Maria della Scala 148, 469 = Duomo 224 Libreria Piccolomini 81 - Piazza del Campo 16, 381 - San Giovanni, battistero 44 Fonte battesimale 17 Silena 62 Sora 434 T Terracina 267 ‘Tirolo 317 Toledo 317 Torino 338 Trebbio, villa medicea 185 Trento, castelo del Buonconsiglio, git Magno Palazzo del principe vescovo 3m ‘Trento, concilio di 296, 377, 390, 392, 425 Trescore, oratorio dei conti Suardi 262 ‘Treviglio, chiesa di San Martino 31 Treviso 261 Tubinga, universita 156 Tonis, battaglia di 318 u Ungheria 18, 123,316 Urbino 78-81, 224, 235, 241, 263, 298, 328, 410 - Borgo Mercatale 79 - Chiesa di San Bernardino 79 + Palazzo Ducale 79 cappella del Perciono 126 Studiolo di Federico da Montefeltro 317 -Torticini 79 Utrecht 342 v Val di Blenio, Accademia di 394 Val Pusteria 317 Valencia 316 - Retablo di Cati 316 Valladolid, colegio di San Gregorio 317 Varallo, chiesa di Santa Maria delle Grazie 136,213, Vaticano, vedi Citta del Vaticano Venezia 19, 67, 74, 75, 106-108, 114, 117, 119, 139, 157, 158, 160, 248, 260, 285, 297, 304, 317, 318, 353, 372, 373, 416, 44, 482, 483 = Ca’ d'Oro 107 = Campo Santi Giovanni e Paolo, o San Zanipolo 260 + chiese -- San Giorgio dell’ Orio 263 ~~ San Michele in Isola 108, 118 ~~ Santa Maria della Salute 512 425,27 Santa Maria Formosa 108 - - Santa Maria Gloriosa dei Frari 119 Fondaco dei Tedeschi 260 - Frari, vedi Santa Maria Gloviosa dei Frart Ospedale dei Crocifer’ 263, - palazzi = Comer Spinelli 108 - Ducale 107 Porta della Carta 107, 110 Sala del Maggior Consiglio 265 «- Vendramin-Calergi 108 - Piazza San Marco Procuratie Vecchie 108 ‘Torre dell’ Orologio 108 = Ponte di Rialto 76 «Ponte di San Lorenzo 76 ~ San Marco, basilica 75, 107 - San Marco, scuola Sala Grande 262 ~ San Roceo, scuola Sala Grande 262 Sala Inferiore 262 Verona 106 ~ chiese ~~ San Zeno 120-122 ~ Santa Maria in Organo 143 - - Santi Giovanni e Paolo 465 Veszprém 316 Vicenza 113 Vienna, chiesa di San Catlo 427 Vienna, congresso di 121, 339 Vignola 87 Viterbo 212 w Wittemberg 241, 296

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