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C-303/06
Coleman (2008) Racc. I-5603
Il fatto
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva del Consiglio 27 novembre 2000, 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU L 303, pag. 16). Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la sig.ra Coleman, ricorrente nella causa principale, da un lato, e lo studio legale Attridge Law, nonché un socio di questo studio, il sig. Law, dall’altro. La sig.ra Coleman lavorava per il suo ex datore di lavoro dal gennaio 2001 come segretaria in uno studio legale. Nel 2002 ella ha avuto un figlio, affetto da crisi di apnea e da laringomalacia e broncomalacia congenite. Le condizioni di suo figlio esigono cure specializzate e particolari. La ricorrente fornisce al figlio la parte essenziale delle cure di cui quest’ultimo ha bisogno. Nel contesto della causa principale, si presume che i fatti da cui ha avuto origine la controversia siano i seguenti: – quando la sig.ra Coleman è tornata dal suo congedo di maternità, l’ex datore di lavoro di quest’ultima ha rifiutato di reintegrarla nel posto di lavoro da essa fino ad allora occupato, quando i genitori di bambini non disabili sarebbero stati autorizzati a riprendere le loro mansioni precedenti; – egli ha altresì rifiutato di concederle la stessa flessibilità nell’orario e le stesse condizioni di lavoro accordate ai suoi colleghi, genitori di bambini non disabili; – la sig.ra Coleman è stata tacciata di «pigrizia» quando ha chiesto di usufruire di permessi per prendersi cura di suo figlio, mentre una siffatta agevolazione è stata concessa ai genitori di bambini non disabili; – il reclamo ufficiale da essa presentato contro il trattamento sfavorevole subito non è stato considerato nella maniera dovuta, ed essa si è sentita costretta a ritirarlo; – sono stati espressi commenti sconvenienti e ingiuriosi sia nei confronti della stessa sia nei confronti di suo figlio. Nessun commento del genere è stato espresso quando altri dipendenti hanno dovuto chiedere permessi o una certa flessibilità per potersi occupare dei figli non disabili – quando talvolta è arrivata in ritardo in ufficio a causa di problemi relativi alle condizioni di suo figlio, le è stato detto che sarebbe stata licenziata se fosse di nuovo arrivata in ritardo. Nessuna minaccia simile è stata proferita nei confronti di altri dipendenti con figli non disabili arrivati in ritardo per le stesse ragioni. Il 4 marzo 2005 la sig.ra Coleman ha accettato di rassegnare le proprie dimissioni, con conseguente risoluzione del contratto con il suo ex datore di lavoro Il 30 agosto 2005 ella proponeva dinanzi all’ Employment Tribunal, London South, un ricorso nel quale sosteneva di essere stata vittima di un implicito licenziamento forzato e di un trattamento meno favorevole rispetto a quello riservato agli altri lavoratori, per il fatto di avere un figlio disabile principalmente a suo carico. Ella sostiene che tale trattamento l’ha costretta a smettere di lavorare per il suo ex datore di lavoro. Ritenendo che la controversia della quale è stato investito sollevi questioni di interpretazione del diritto comunitario, l’Employment Tribunal, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: se, nell’ambito del divieto di discriminazione fondata sulla disabilità, la direttiva [2000/78] tuteli contro la discriminazione diretta e contro le molestie soltanto persone esse stesse disabili e in caso di risposta negativa alla prima questione, se la direttiva [2000/78] tuteli i lavoratori che, pur non essendo essi stessi disabili, vengono trattati in modo meno favorevole o subiscono molestie a causa del loro stretto rapporto con una persona disabile; qualora un datore di lavoro tratti un lavoratore in modo meno favorevole rispetto al modo in cui tratta o tratterebbe altri lavoratori, e qualora sia accertato che il motivo di tale trattamento è costituito dal fatto che il lavoratore ha un figlio disabile del quale si prende cura, se tale trattamento integri una discriminazione diretta, in violazione del principio della parità di trattamento stabilito dalla direttiva [2000/78]; qualora un datore di lavoro molesti un lavoratore e qualora sia accertato che il motivo di tale trattamento è costituito dal fatto che il lavoratore ha un figlio disabile del quale si prende cura, se tali molestie integrino una violazione del principio della parità di trattamento stabilito dalla direttiva [2000/78]».
La decisione della Corte di Giustizia
La direttiva 2000/78, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro e, in particolare, i suoi artt. 1 e 2, nn. 1 e 2, lett. a), devono essere interpretati nel senso che il divieto di discriminazione diretta ivi previsto non è limitato alle sole persone che siano esse stesse disabili. Infatti, il principio della parità di trattamento sancito da detta direttiva in materia di occupazione e di condizioni di lavoro si applica non in relazione ad una determinata categoria di persone, bensì sulla scorta dei motivi indicati al suo art. 1; Qualora un datore di lavoro tratti un lavoratore, che non sia esso stesso disabile, in modo meno favorevole rispetto al modo in cui è, è stato o sarebbe trattato un altro lavoratore in una situazione analoga, e sia provato che il trattamento sfavorevole di cui tale lavoratore è vittima è causato dalla disabilità del figlio, al quale egli presta la parte essenziale delle cure di cui quest’ultimo ha bisogno, un siffatto trattamento viola il divieto di discriminazione diretta enunciato all’art. 2, n. 2, lett. a), di tale direttiva. ( v. punti 38, 50, 56, dispositivo 1); La direttiva 2000/78, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro e, in particolare, i suoi artt. 1 e 2, nn. 1 e 3, devono essere interpretati nel senso che il divieto di molestie ivi previsto non è limitato alle sole persone che siano esse stesse disabili. Ai sensi del detto art. 2, n. 3, le molestie sono considerate una forma di discriminazione ai sensi del n. 1 di questo stesso articolo ed il principio di parità di trattamento sancito dalla stessa direttiva in materia di occupazione e di condizioni di lavoro si applica non in relazione ad una determinata categoria di persone, bensì sulla scorta dei motivi indicati al suo art. 1. Qualora sia accertato che il comportamento indesiderato integrante le molestie del quale è vittima un lavoratore, che non sia esso stesso disabile, è connesso alla disabilità del figlio, al quale egli presta la parte essenziale delle cure di cui quest’ultimo ha bisogno, un siffatto comportamento viola il divieto di molestie enunciato all’art. 2, n. 3, di tale direttiva.