Diafani Ragionar Di Se
Diafani Ragionar Di Se
Diafani Ragionar Di Se
collana diretta da
Gino Tellini
Laura Diafani
Ragionar di s
Scritture dellio
e romanzo in Italia (1816-1840)
Indice
3
3
22
Introduzione
1. La stagione degli esperimenti e del non finito
2. Questioni di metodo
27
I.
27
36
1.
2.
53
3.
61
4.
74
5.
87
II.
87
109
1.
2.
116
3.
139
4.
147
III.
147
ragionar di s
153
185
193
IV.
193
199
205
221
V.
221
228
247
255
1.
2.
3.
4.
267
ragionar di s
scritture dellio e romanzo in italia
(1816-1840)
Introduzione
1
Giorgio Brberi Squarotti, Luscita in scena, nellopera collettiva Scritture di s. Autobiografismi e autobiografie, a cura di Ferdinando Pappalardo, Napoli, Liguori, 1994, p. 3. Per il romanzo epistolare, si veda la distinzione fra tre varianti essenziali (monologica, unilaterale, dialogica) elaborata da Jean Rousset,
Une forme littraire: le roman par lettres, in Forme et signification. Essais sur les structures littraires de Corneille Claudel, Paris, Jos Corti, 1964, trad. it., Una forma
letteraria: il romanzo epistolare, in Forma e significato. Le strutture letterarie da Corneille a Claudel, introduzione e traduzione di Franco Giacone, Torino, Einaudi,
1976, pp. 81-117 (Bibliografia, pp. 118-120); tale distinzione ripresa anche in Ulla
Musarra-Schroder, Narciso e lo specchio. Il romanzo moderno in prima persona, Roma, Bulzoni, 1989, pp. 47 sgg.
ragionar di s
solo alcuni testi decisivi nella storia della scrittura di s tra Sette e
Ottocento, con un occhio particolare alle lettere italiane e senza dilungarsi su fenomeni di larga portata ma di minor incidenza sul canone letterario, come il proliferare di testi memorialistici dambito teatrale, incrementati soprattutto da artisti italiani allestero2. Ce
n comunque abbastanza per rendersi conto che lOttocento si
apre come si chiuder portando alla ribalta il pronome di prima persona3.
Un salto di qualche decennio. Nel 1832 Le mie prigioni inaugurano da noi la stagione della memorialistica risorgimentale: costituiscono la stazione di partenza, almeno sulla carta, del cospicuo filone che si estende dai testi editi dai prigionieri politici dei moti del
20-21 (da Pellico a Maroncelli, da Confalonieri a Pallavicino, da
Andryane ad Arrivabene) al compatto nucleo degli scrittori garibaldini. Tra i due canoni, quello della grande autobiografia moderna
di fondazione settecentesca e quello della memorialistica risorgimentale, c soluzione di continuit. Il lasso di tempo che va dal secondo e al quarto decennio dellOttocento i circa sei lustri che in
Italia intercorrono tra la Vita di Alfieri (1790, 1798-1803; a stampa
nel 1808) e Le mie prigioni non produce opere compiute assimilabili, se non per via assai approssimativa, ai due filoni. Non a caso,
negli studi sulla fisionomia dellautobiografia romantica, capita
dimbattersi in una avvertenza come questa: I use the term Romantic autobiography to denote a type of life writing whose classic
instances are The Confessions, Dichtung und Wahreit, and The Prelude4. Sintomatico che a fianco di questi tre referenti in terra francese, tedesca e inglese, manchi un esempio italiano: dopo le autobiografie di Alfieri, Goldoni e Casanova con leccezione di Lorenzo Da Ponte, autore dagli Stati Uniti di quattro volumi di Me-
2
Cfr. Silvia Tatti, Gli Aneddoti interessanti e piacevoli di Giacomo Gottifredo Ferrari e lautobiografia teatrale tra Sette e Ottocento, in Quaderni veneti, 16,
1992, pp. 153-175.
3
Gino Tellini, Il romanzo italiano dellOttocento e Novecento, Milano, Bruno Mondadori, 1998, p. 251.
4
Eugne L. Stelzig, Rousseau, Goethe, Wordsworth and the classic moment
of Romantic autobiography, in Neohelicon, xviii, 2, 1991, p. 256.
introduzione
morie di grande vivacit narrativa, scritti tra il 1823 e il 1827 e pubblicati nel 1830, ma settecenteschi per impianto e contenuti5 da
noi si spalanca il vuoto fino alla memorialistica risorgimentale.
Un vuoto per percorso da molteplici fermenti sperimentali.
Tra il settembre 1818 e lottobre 1819 gli scrittori del Conciliatore
propugnano una narrativa dargomento contemporaneo e attenta
al problema dellio (lespressione di Ludovico Di Breme); la
propugnano e la sperimentano anche pur non essendo questo il
loro punto forte, come Foscolo ebbe modo di criticare6. opinione condivisibile che il pi significativo tentativo di rinnovare la
forma del romanzo italiano tra lOrtis del 1798 e i Promessi sposi7
si debba proprio a Foscolo, con i frammenti del Sesto tomo dellIo,
stesi tra il novembre-dicembre 1799 e il luglio-agosto 1801, allinsegna di un forte distacco dallautobiografismo appassionato dellOrtis. Ma anche alcuni suoi amici [] caldissimi8 che saranno
tra gli animatori del foglio azzurro gi a partire dal 1815-1816 si
danno non poco da fare nel segno del binomio romanzo-scrittura
di s: si pensi almeno allincompiuto Romitorio di SantIda (1816)
del Di Breme, singolare miscela di finzione autobiografica e narrativa; si pensi allio nutrito di molteplici suggestioni letterarie che
imperversa nelle Avventure letterarie di un giorno (1816) di Borsieri
e alla parabola narrativa del giovane Pellico, inscritta tra il progetto dichiaratamente autobiografico del romanzo LItaliano (risalen5
Cfr. soprattutto Anna Dolfi, Da Ponte e la tipologia delle Memorie, nellopera collettiva Miscellanea di studi in onore di Vittore Branca, 5 voll., Firenze, Olschki, 1983, iv. Tra Illuminismo e Romanticismo, 1, pp. 137-182 e Andrea Battistini, Le Memorie di Lorenzo Da Ponte: tra romanzo e melodramma, ivi, poi, rivisto
e ampliato, con il titolo Lautobiografia melodrammatica, in Lo specchio di Dedalo, Bologna, Il Mulino, 1990, pp. 103-125.
6
Cfr. Ugo Foscolo, Italian periodical Literature, in Opere. Ed. Naz., xi, Saggi di letteratura italiana, parte ii, a cura di Cesare Foligno, Firenze, Le Monnier, 1958,
p. 363; trad. it., La letteratura periodica italiana, ivi, p. 393 (e infra, p. 28).
7
Vincenzo Di Benedetto, Introduzione, in Ugo Foscolo, Sesto tomo dellio, edizione critica e commento a cura di Vincenzo Di Benedetto, Torino, Einaudi, 1991, p. ix.
8
Silvio Pellico a Ugo Foscolo, Milano, 9 agosto 1818, in Epistolario di Silvio
Pellico, raccolto e pubblicato per cura di Guglielmo Stefani, Firenze, Le Monnier,
1856, p. 13.
ragionar di s
te al 1816) e lesperimento incompiuto del Breve soggiorno in Milano di Battistino Barometro (1819).
Dalla vivace capitale del Lombardo-Veneto a un oscuro borgo
marchigiano: sul finire del 1817, il giovane Leopardi legge la Vita
di Alfieri e si cimenta in una acuminata vivisezione del proprio
cuore in otto fitte e alfierianeggianti paginette, alternativamente
denominate, dopo la sua morte, Diario o Memorie del primo amore (1817). Di l a poco, sullonda della lettura del Werther e dallOrtis, abbozza come documenta quel che resta del progetto, i
cosiddetti Ricordi dinfanzia e di adolescenza (1819) un romanzo
autobiografico. Qualche anno dopo ne inizia davvero uno, dal
suggestivo titolo Storia di unanima (1825), spostato pi decisamente sul piano dellautobiografia interiore; infine lascia perdere
anche questo, tornando di tanto in tanto a progettare diverse forme di scrittura di s appena documentate dalle liste dei Disegni
letterari e dallIndice dello Zibaldone. Che sembrano andare per
in altre direzioni: prose dellio non narrative ma riflessive (Colloqui con se stesso, Dialogo tra lio antico e lio nuovo, 1825; Colloqui
dellio antico con lio nuovo, 1829) o frammenti di vita (Storia di un
giorno, o delle disavventure di un giorno della propria vita, 1825; Storia di una passeggiata, 1829; ma anche le zibaldoniane Memorie
della mia vita, 1827).
Con i pi tardi fra i progetti leopardiani si giunge alle soglie
degli anni Trenta; gli anni, s detto, delle Mie prigioni (1832).
Uscito dalla fortezza morava, dopo una prigionia decennale, la
sera del 1 agosto 1830, un anno dopo Pellico avvia la stesura delle sue memorie del carcere. Ma non solo: proprio aver dato alle
stampe quellautobiografia parziale lo sollecita a cimentarsi in
una storia della sua vita, rimasta per incompiuta e riciclata dallautore stesso, per frammenti staccati, nei Capitoli aggiunti alle
Mie prigioni.
Di l a poco la volta di Carlo Bini. Imprigionato nel Forte della Stella, allisola dElba, dal settembre al dicembre 1833, il giovane
livornese inganna il tempo che scorre lentissimo tra le pareti della
sua cella scrivendo. Ma il suo Manoscritto di un prigioniero, facilmente inglobabile nella linea della memorialistica carceraria per la
tragica occasione biografica da cui scaturisce, con quel filone ha
introduzione
ragionar di s
10
In mancanza di lavori critici complessivi sulla letteratura memorialistica
della prima met del secolo scorso: cos Trombatore, mezzo secolo fa (in Introduzione, in Memorialisti dellOttocento, i, a cura di Gaetano Trombatore, MilanoNapoli, Ricciardi, 1953, p. xxix); To date, no real study of Romantic autobiography has appeared, sentenziava appena un decennio fa Stelzig (in Rousseau,
Goethe, Wordsworth and the classic moment of Romantic autobiography, cit., p. 257).
11
Mi limito qui a indicare le principali e pi aggiornate fonti bibliografiche
per lo studio dellautobiografia. Per bibliografie di settore, cfr. Current Bibliography
on Life-Writing, in Biography (University of Honolulu, Hawai, Department of
English), e Bibliographie des tudes en langue franaise sur la littrature personnelle et
les rcits de vie, a cura di Philippe Lejeune, edita dal 1984 in Cahiers de smiotique textuelle (Paris, Centre de Smiotique textuelle de lUniversit de Paris X).
Utili le riviste settoriali A/B. Auto/Biography studies (University of Wisconsin,
Department of English, dal 1985), La faute Rousseau, pubblicata dallAssociation pour lAutobiographie et le Patrimoine Autobiographique, e Prima persona: percorsi autobiografici, edita dal 1998 dalla Fondazione Archivio Diaristico
Nazionale (Pieve Santo Stefano, Arezzo). Selettiva (ma in realt assai larga) la bibliografia di studi (1894-1994) fornita da Franco DIntino, Il genere autobiografia. Bibliografia di fonti e studi, nellopera collettiva Scrivere la propria vita. Lautobiografia come problema critico e teorico, a cura di Rino Caputo e Matteo Monaco, introduzione di Raul Mordenti, Roma, Bulzoni, 1997, pp. 315-350 (che rivede
e aggiorna le voci contenute in Franco DIntino, Lautobiografia moderna, Roma, Carucci, 1989, poi, con il titolo Lautobiografia moderna. Storia, forme, problemi, Roma, Bulzoni, 1998). Per gli ultimi decenni, si consulta con profitto anche la
Bibliografia in Bartolo Anglani, I letti di Procuste. Teorie e storie dellautobiografia, Roma-Bari, Laterza, 1996, pp. 151-166 e nellantologia, a cura dello stesso, Teorie moderne dellautobiografia, Bari, Edizioni B. A. Graphis, 1996, pp. 165-171. Per
i generi contigui allautobiografia (biografia, libri di famiglia, memorie e diari), si
rimanda invece ad Andrea Cortellessa, Generi contigui allautobiografia. Bibliografia selezionata di studi, nellopera collettiva Scrivere la propria vita, cit., pp.
351-366. Per una sintesi del dibattito critico intorno allautobiografia, cfr. lIntroduzione di Marziano Guglielminetti, in Memoria e scrittura. Lautobiografia da
Dante a Cellini, Torino, Einaudi, 1977, pp. vii-xx; le versioni riviste e ampliate dei
saggi di Andrea Battistini, Lo scrittore allo specchio (1979) e Lautobiografia e il superego dei generi letterari (1986), che si leggono con i titoli, rispettivamente, Il fluido della vita e il cristallo della scrittura e Il superego dei generi letterari, in Lo specchio
di Dedalo, cit., pp. 129-162, 163-196; Giuseppe Nicoletti, Introduzione allautobiografia italiana del Settecento (1988), in La memoria illuminata. Autobiografia e
letteratura fra Rivoluzione e Risorgimento, Firenze, Vallecchi, 1989, pp. 5-66; Fausta
Garavini, Io come io, nellopera collettiva Controfigure dautore. Scritture auto-
introduzione
Eppure, la rappresentanza della scrittura di s in quella stagione affidata soprattutto a questi esperimenti marginali e spesso
non finiti; ed anche questa una fetta di storia dellautobiografia e
del romanzo, anzi il momento in cui le due strade vanno a convergere e a interagire pi che mai. Date e testi alla mano, per i primi decenni dellOttocento si parlato a pi riprese di battuta
darresto12, di pausa13, di entropia14, di crisi15 dellautobiografia. Scrive Franco Fido:
Il periodo di legittimazione e codificazione del genere si apre nel decennio 1720-30, e si conclude nel ventennio 1820-40, con una punta di
massima di produttivit autobiografica nei decenni ottanta e novanta
del Settecento, fra le Confessions di Rousseau e la Rivoluzione francese,
biografiche nella letteratura francese, Bologna, Il Mulino, 1993, pp. 7-28; lIntroduzione di Bartolo Anglani, nellantologia Teorie moderne dellautobiografia, cit.,
pp. v-xvi e il saggio di Riccardo Scrivano, Teoria e critica dellautobiografia, nellopera collettiva Scrivere la propria vita, cit., pp. 25-35. Ma si veda anche: Aldo
Scaglione, Lautobiografia in Italia e i nuovi metodi di analisi critica, in Forum
italicum, xviii, 2, 1984, pp. 203-216; Paul Jay, Whats the Use? Critical theory and
the study of autobiography, in Biography, x, 1, 1987, pp. 39-54 e The intimate critique. Autobiographical literary criticism, edited by Diane P. Freedman, Olivia Frey
and Frances Murphy Zauhar, Durham-London, Duke University Press, 1993. In
ambito italiano, si segnala infine il neonato Centro Interdipartimentale di Studi
Autobiografici Auts, diretto da Simona Costa (Universit di Macerata, Dipartimento di Lingue e Letterature Moderne).
12
Batrice Didier, Romanzo e autobiografia agli inizi dellOttocento: Atala,
Ren e i Mmoires doutre-tombe, nellopera collettiva Il segno dellio. Romanzo e
autobiografia nella tradizione moderna, Atti del Convegno, Pavia, 8 maggio 1990, a
cura di Elena Agazzi e Angelo Canavesi, Udine, Campanotto, 1992, p. 43.
13
Andrea Battistini, Genesi e sviluppo dellautobiografia moderna, nellopera collettiva Italian autobiography from Vico to Alfieri (and beyond), Atti del Convegno, Londra, 2 febbraio 1996, a cura di John Lindon, 1999 (supplemento a The
Italianist, 17, 1997), p. 21.
14
Franco Fido, Topoi memorialistici e costituzione del genere autobiografico
fra Sette e Ottocento, in Quaderni di Retorica e Poetica, 1, 1986, numero monografico: Lautobiografia. Il vissuto e il narrato, a cura di Gianfranco Folena, pp. 7385, poi, con il titolo I topoi del soggetto: allorigine della autobiografia moderna, in
Le muse perdute e ritrovate. Il divenire dei generi letterari fra Sette e Ottocento, Firenze, Vallecchi, 1989, pp. 161-178, da cui si cita: 164.
15
Cfr. ibidem e Andrea Battistini, Genesi e sviluppo dellautobiografia moderna, cit., p. 21.
10
ragionar di s
E pi avanti:
Laltro termine cronologico [la chiusura del periodo di legittimazione
e codificazione del genere autobiografico] cade come si diceva intorno agli
anni trenta dellOttocento. In quegli anni appunto lautobiografia raggiunge uno stupefacente status commerciale, e contemporaneamente
sembra entrare in crisi per un eccessivo carico di responsabilit, cio perch ormai ci si pu aspettare da esso un livello di verit tale che non sempre lautore abbastanza forte (nel senso fisico, o meglio nervoso della parola) per raggiungerlo e sostenerlo. [] Negli stessi decenni in cui cade la
redazione delle monumentali autobiografie di Goethe [Aus meinem Leben:
Dichtung und Wahrheit, 1811, 1833] e di Chateaubriand [Mmoires doutretombe, scritti fra il 1811 e il 1841] altri testi documentano quella che potremmo chiamare lentropia, o una prima crisi del genere. [] sembra affermarsi la tendenza verso un progetto autobiografico parziale, che abbia,
cio, come contenuto non la vita dellautore, ma un periodo limitato e
determinato di essa: ne sono esempio le Dix annes dexile cominciate e
non finite da Mme de Stal nel 1813-14 fra Coppe e Stoccolma, o da noi
Le mie prigioni (1832), e infine i Souvenirs dgotisme cominciati da
Stendhal a Civitavecchia nellestate del 1832 come petit mmoire di
quello che gli era accaduto durante il soggiorno parigino fra il 1821 e il
1839, ma interrotti dopo soli undici capitoletti17.
Nel documentare quella che chiama una prima crisi dellautobiografia, lo studioso propone una spiegazione, per cos dire, interna al genere: il carico di responsabilit dire la verit che farebbe slittare gli scrittori da opere autobiografiche totalizzanti
(lautobiografia vera e propria) verso autobiografie parziali, ovvero
circoscritte a una sola epoca, anche minima, della vita.
Ad approfondire questa strada ha provveduto Franco DIntino nei suoi recenti studi sullautobiografia romantica, coniugando prospettiva storica e indagine dei meccanismi formali. Questa,
16
Franco Fido, I topoi del soggetto: allorigine della autobiografia moderna,
cit., p. 162.
17
Ivi, pp. 164-165.
introduzione
11
in estrema sintesi, la tesi proposta: lautobiografia depoca romantica dissolve i modelli settecenteschi spostandosi radicalmente dal piano degli eventi esterni a quello degli eventi interiori18
e concentrando lo scavo su singoli momenti dellesistenza, su
lampi di vita vissuta. A proposito di Rousseau, che dopo aver fornito con le Confessions larchetipo dellautobiografia moderna
vera e propria si fa autore delle Rveries du promeneur solitaire,
scrive DIntino:
La deriva autobiografica delle Rveries implica infatti non solo la distruzione della narrazione lineare in vista di unipotesi di scrittura ritornante, ma la speculare trasformazione del rapporto autore/destinatario,
decisivo nelle Confessions (cos come in ogni autobiografia vera e propria), in un rapporto solipsistico dellio-autore con lio-lettore, coincidenti nello splendido isolamento circolare dellisola, ambientazione di
una non-storia del soggetto19.
entrata in crisi la miscela delle Confessions. DIntino riconduce lesperienza romantica di scrittura di s a una deriva dellautobiografia in due direzioni, quella intima frammentaria del diario
e del journal e quella finzionale del romanzo:
lottica autobiografica sembra distaccarsi irreversibilmente da quella biografica, spingendo da un lato verso una rielaborazione finzionale-letteraria del materiale, dallaltro verso una cancellazione dei confini di genere e
in definitiva verso una sorta di deriva antitestuale20.
18
Franco DIntino, I paradossi dellautobiografia, nellopera collettiva Scrivere la propria vita, cit., p. 297.
19
Ivi, p. 295.
20
Ivi, pp. 294-295. Queste, per sommi capi con una sintesi che certo non
rende ragione della complessit delle categorie ideologiche ed estetiche messe in
campo da DIntino; e me ne scuso , le conclusioni esposte nel breve paragrafo
Lautobiografia romantica, ivi, pp. 294-297, che sintetizza una tesi proferita dallo
studioso in alcuni saggi precedenti: Introduzione, in Giacomo Leopardi, Scritti e
frammenti autobiografici, a cura di Franco DIntino, Roma, Salerno, 1995, pp. xixcvii; Silenzio, gioco, caos: la romanticizzazione dellautobiografia (Leopardi, Novalis, F. Schlegel), nellopera collettiva Silenzio cantatore. Forme e generi letterari, Atti
del Convegno, Roma, 20-21 ottobre 1994, a cura di Valerio Massimo De Angelis e
12
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introduzione
13
43-44.
24
14
ragionar di s
Cfr. ibidem.
Batrice Didier, Romanzo e autobiografia agli inizi dellOttocento, cit., p.
45, con allusione, naturalmente, al citato Le pacte autobiographique.
28
Cfr. Bartolo Anglani, I letti di Procuste, cit., pp. 117 sgg. In questo solco
si inserisce, per esempio, il recente contributo di Andrea Battistini, Lio autobiografico tra professione di veridicit e menzogna della scrittura, in Revue des tudes italiennes, xli, 1995, pp. 39-46. Interessanti anche alcune rapide considerazioni nellIntroduzione, di taglio eminentemente storico e non teorico, di Lucia
Martinelli a Memorialisti del XIX secolo, scelta e introduzione di Lucia Martinelli, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1995, pp. i-lii (su cui si veda la recensione di Angelo Fabrizi, in Studi italiani, x, 2, 1998, pp. 195-199).
29
Per un esempio di analisi dei rapporti tra lautobiografia e il romanzo, cfr.
soprattutto Helmut Pfotenhauer, Literarische Anthropologie. Selbstbiographien
und ihre Geschichte, Stuttgart, Metzlersche Verlagbuchhandlung, 1987 (parzialmente trad. nellantologia Teorie moderne dellautobiografia, cit., pp. 103-110). Pi
in generale, per il debito dellautobiografia verso il romanzo, cfr. Patricia Meyer
Spacks, Imagining a self. Autobiography and novel in eighteenth-century England,
Cambridge, Harvard University Press, 1976; Georges May, Lautobiographie, Paris, Puf, 1979, 19842, pp. 169-196; Franco Fido, Topoi memorialistici e costituzione
del genere autobiografico fra Sette e Ottocento, cit., pp. 175-178; Bartolo Anglani,
I letti di Procuste, cit., pp. 117-149.
30
Just as eighteenth-century fiction writers used autobiographical devices
(the letter, the diary, the first-person narrative), so autobiographers made use of
the resources of fiction to emphasize and highlight the subjective and the personal (Eugne L. Stelzig, Rousseau, Goethe, Wordsworth and the classic moment of
romantic autobiography, cit., p. 249).
31
Nel tratteggiare cosa contraddistingue specificamente lautobiografia ro27
introduzione
15
Per una significativa coincidenza di date, gli anni che da noi intercorrono tra la conclusione della Vita alfieriana (1803) e Le mie
prigioni (1832) i due testi presi a emblema, in Italia, della grande
autobiografia moderna di fondazione settecentesca e del nuovo
corso della scrittura autobiografica sub specie memorialistica , anche sul fronte del nostro romanzo costituiscono unepoca a s: il
venticinquennio che separa lOrtis (1802) dal decisivo decollo del
romanzo storico, nel 1827, percorso da molteplici fermenti sperimentali32. Per riassumere la situazione della narrativa in Italia
prima del 1827, stato detto, si potrebbe adattarle un ben noto
titolo teatrale, En attendant Manzoni 33. Ma bisogna aggiungere
che aspettando Manzoni di narrativa in realt se ne scrive, guarmantica, Stelzig evidenzia proprio la contiguit con il Bildungsroman (cfr. ivi, pp.
256-257); considerazioni analoghe svolge DIntino in Lautobiografia moderna, cit.,
p. 243. Sullautobiografia (e il diario) depoca romantica, si segnalano, oltre agli
studi gi citati: Rodolfo Paoli, Goethe e Stilling, ovvero pietismo e romanticismo
nella prima autobiografia romantica, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1949;
Francesco Orlando, Infanzia, memoria e storia da Rousseau ai romantici, Padova, Liviana, 1966; Leonzio Pampaloni, Memorialisti dellOttocento, nellopera collettiva Dizionario critico della letteratura italiana, diretto da Vittore Branca, Torino, Utet, 1974, 19862, iii, ad vocem; Jacques Voisine, De la confession religieuse
lautobiographie et au journal intime: entre 1760 et 1820, in Neohelicon, ii, 3-4,
1974, pp. 337-357; Huntington Williams, Rousseau and romantic autobiography,
Oxford, Oxford University Press, 1983; Jerome Hamilton Buckley, The turning
key. Autobiography and the subjective impulse since 1800, Cambridge, Harvard University Press, 1984; Heidi I. Stull, The evolution of the autobiography from 17701850. A comparative study and analyses, New York-Bern-Frankfurt, Peter Lang, 1985;
Franco Fido, Specchio o messaggio? Sincerit e scrittura nei giornali intimi fra Sette e Ottocento (rileggendo Benjamin Constant), in Quaderni di Retorica e Poetica,
2, 1985, numero monografico: Le forme del diario, a cura di Gianfranco Folena, pp.
73-81, poi in Le muse perdute e ritrovate, cit., pp. 149-160; Id., Topoi memorialistici
e costituzione del genere autobiografico fra Sette e Ottocento, cit.; Olga Ragusa, Autobiografia italiana dellOttocento: orientamenti, in Annali dItalianistica, 4, 1986,
pp. 181-188; Michel Bastiaensen, Le journal personnel (1760-1820), in Neohelicon, xviii, 2, 1991, pp. 39-71; Jacques Voisine, Mmoires et autobiographie (17601820), ivi, pp. 149-183. Attualmente in corso di stampa sono gli Atti del Convegno
Internazionale di Studi su Memoria e infanzia tra Alfieri e Leopardi, tenutosi a Macerata dal 10 al 12 ottobre 2002.
32
Gino Tellini, Il romanzo italiano dellOttocento e del Novecento, cit., p. 17.
33
Franco Fido, Il fantasma dei Promessi sposi nel romanzo italiano dellOttocento (1984), in Le muse perdute e ritrovate, cit., p. 186.
16
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introduzione
17
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ragionar di s
lautobiografia. Crisi del genere dellautobiografia, non certo della scrittura autobiografica; crisi avvertita dai puristi mi si passi lespressione del genere, non dagli studiosi delle scritture dellio; perch il momento involutivo dellautobiografia tout court
quella che in molti si sono affannati a definire negli ultimi cinquantanni, con esiti pi o meno felici e pi o meno fortunati38
coincide, testi alla mano, con unesplosione di autobiografismo.
Direi anche che parafrasando i termini usati da Battistini per individuare la nascita dellautobiografia moderna39 con lesperienza del Conciliatore si torna a una situazione in cui lautobiografismo delega i suoi messaggi a generi vicari; lo fa continuamente e, dunque, non avverte pi il bisogno di piena autonomia; si
contenta delle porzioni autobiografiche [] disseminate parassitariamente negli edifici allotrii degli altri generi letterari. Lautobiografismo onnivoro e onnicomprensivo, proprio perch onnivoro e onnicomprensivo, pu non avere bisogno dellautobiografia vera e propria.
Terza considerazione, strettamente interconnessa alla precedente. Si detto che il primo Ottocento non distingue autobiografia
e romanzo; e non solo questione di terminologia, ma anche di sostanza. lo studioso novecentesco che si interroga se quello che ha
davanti pu essere etichettato come autobiografia o romanzo o romanzo autobiografico o autobiografia romanzata in quanto a definizione ibride, chi pi ne ha pi ne metta , non lo scrittore di
fine Settecento o di primo Ottocento: Friedrich Schlegel, per portare un esempio di eccellente romanzo, sceglie le Confessions di
Rousseau40. La nascente autobiografia moderna, tra Sette e Ottocento, quando ancora la si chiamava vita, confessioni o ragio38
Il pi fortunato senza dubbio quello raggiunto da Philippe Lejeune con
il citato Le pacte autobiographique; Lejeune stesso vi ritornato, con alcune importanti precisazioni, in Le pacte autobiographique [bis], in Potique, 56, 1983, pp.
416-433 (saggio poi rifuso in Moi aussi, Paris, Seuil, 1986).
39
Cfr. Andrea Battistini, Lo specchio di Dedalo, cit., pp. 14-15.
40
Cfr. Friedrich Schlegel, Lettera sul romanzo, in Frammenti critici e scritti di estetica, traduzione e introduzione di Vittorio Santoli, Firenze, Sansoni, 1967,
pp. 218-219, cit. in Andrea Battistini, I simulacri di Narciso, in Lo specchio di Dedalo, cit., p. 56.
introduzione
19
20
ragionar di s
nieri il 29 maggio 1838 a proposito di libri nuovi da pascere lamabile curiosit degli stranieri colti, lex conciliatorista consigliava cos le opere di Manzoni e Rosmini: Non vha dubbio che i due
primari ingegni viventi in Italia, conosciuti per opere pubblicate,
sono Manzoni e Rosmini43. I due primari ingegni, s, ma tra i
conosciuti per opere pubblicate: il che suggerisce lesistenza di
un mondo sommerso di ingegni forse altrettanto primari ma
ignoti per non aver pubblicato. E con questa categoria di ingegni
che hanno pubblicato poco o niente e dunque destinati alloscurit
del sommerso, Pellico era stato ampiamente in contatto.
Senza scomodare le riflessioni per cui lincompiutezza carattere costitutivo in un genere come lautobiografia (si scrive la propria vita necessariamente da vivi, dunque quando essa non si ancora conclusa)44, esempi di non finito, per varie ragioni e a vari
stadi di elaborazione, sono quasi tutti i testi qui considerati: Il romitorio di SantIda del Di Breme, il Breve soggiorno in Milano di
Battistino Barometro di Pellico, gli scritti autobiografici di Leopardi (con leccezione del cosiddetto Diario del primo amore), lautobiografia abbozzata da Pellico dopo Le mie prigioni; infine, Un affetto di Tommaseo, memorie politiche scritte per essere pubblicate
postume, poi ripetutamente corrette e infine ripudiate dal loro autore come volume da cui chi avesse tempo e pazienza potrebbe
forse levarne qualche mezza pagina. Senza contare che si possono
ascrivere al limbo delle opere non finite anche il Manoscritto di un
prigioniero di Bini, perch pubblicato postumo senza imprimatur
dellautore; la congerie di foglietti privati del Diario intimo, ma anche le Memorie poetiche e il romanzo di Tommaseo, in considerazione del fatto che il loro autore avverte lesigenza di rivederli e
43
Lettera cit. in Francesco DOvidio, Proemio, in Silvio Pellico, Le mie
prigioni, I doveri degli uomini, La Francesca da Rimini, con proemio di Francesco
DOvidio, cenni biografici di Michele Scherillo e note di Angelo Ottolini, Milano, Hoepli, 1898, 19326, p. xivn.
44
Cfr. Giulio Ferroni, Per una tipologia del non finito nella letteratura italiana, in LAsino doro, ii, 4, 1991, numero monografico: Il non finito nella letteratura e nellarte, p. 64. Ferroni invita anche ad approfondire il rapporto privilegiato che
taluni generi (tra cui, in primis, lautobiografia) e taluni autori (tra cui Di Breme, Bini e Tommaseo) mostrano di intrattenere con il non finito (cfr. ivi, p. 54).
introduzione
21
darne alle stampe nuove versioni; e persino Le mie prigioni di Pellico, visto che, pochi anni dopo la prima edizione, sono corredate
dal loro autore di dodici Capitoli aggiunti 45.
Nel nutrito scaffale dei libri incompiuti quasi tutti questi testi
avrebbero ognuno un loro posto. Ed coincidenza, come quasi
tutte le coincidenze, non trascurabile. Induce a un sospetto: che
lincompiutezza talora possa coincidere con una patente sperimentale, che si configuri spesso e volentieri quale scotto da pagare per
aver intrapreso una strada innovativa e solitaria. Il che pu aiutare
a capire perch i primi decenni dellOttocento epoca doro della
scrittura autobiografica, incuneata tra i grandi modelli settecenteschi e la diffusa memorialistica risorgimentale, e, al tempo stesso,
45
Cfr. ivi, pp. 48-49, in cui Ferroni distingue ed elenca una serie di casi e di
questioni da prendere in considerazione, per un primo orientamento che agevoli il
percorso storico sulla tipologia del non finito. Delle dieci accezioni di non finito l
indicate, qui ce ne riguardano tre: la prima (il caso pi limitato e definito delle opere interrotte, materialmente non concluse dai loro autori, in cui rientrano Il romitorio di SantIda del Di Breme e lautobiografia mancata di Pellico); la terza accezione, che considera le opere che hanno conosciuto redazioni molteplici, in prospettiva delle quali la prima si configura come non finita ( il caso delle Memorie poetiche
di Tommaseo e di Fede e bellezza nella prima edizione del 1840); e la quinta accezione (i progetti non realizzati o attuati solo parzialmente [] testi di abbozzi, progetti, prime idee di opere che spesso si trovano tra le carte degli scrittori, come
nel caso degli scritti autobiografici di Leopardi). Una nuova estetica della ricezione,
per cui la nostra cultura si annette materiali inediti, o dimenticati, o espunti, dichiarandoli testi (Emma Giammattei, In memoria della scriver lettere. Il gioco dei
carteggi, in Prospettive Settanta, 2-3, 1991, p. 416), sta moltiplicando linteresse per
lelaborazione di una estetica del non finito. Riguardo alla letteratura italiana, carattere pionieristico hanno il citato numero monografico della rivista LAsino doro, ii, 4, 1991 e il successivo: iii, 5, 1992, numero monografico: Il non finito II: un
confronto italo-tedesco (in particolare, Premessa: non finito e frammento, punti di vista tedeschi e italiani, pp. 3-5, e lintervento di Remo Ceserani, Incompiutezza, senso dellinfinito e frammentariet: considerazioni preliminari, pp. 6-16). Toccano la
questione del non finito nella scrittura autobiografica anche Klaus-Detlef Mller, Autobiographie und Roman. Studien zur literarischen Autobiographie der Goethezeit, Tbingen, Niemeyer, 1976, pp. 63, 68; John Sturrock, The new model autobiographer (1977), nel volume collettivo Autobiography. Essays theoretical and critical,
a cura di James Olney, Princeton, Princeton University Press, 1980, pp. 51-63; Franco DIntino, Lautobiografia moderna, cit. (in particolare, pp. 79-81, 90-98, 213216); Id., Introduzione, in Giacomo Leopardi, Scritti e frammenti autobiografici,
cit., pp. xi-xcviii (in particolare, pp. xiii-xix).
22
ragionar di s
fase irrequieta nel campo delle scritture dellio come in quello del
romanzo , generino tante opere non finite.
Queste considerazioni non vogliono certo esaurire la questione. Mi premeva mostrare come quella crisi dellautobiografia nel
primo Ottocento di cui si parla quanto meno da chiaroscurare: a
fronte della mancanza di opere che si presentino come autobiografie rispondenti al modello teorizzato dagli studiosi sulla scorta degli insigni esempi tardosettecenteschi, sta tutta una serie di esperimenti e testi incompiuti che rilevano una poliedrica interazione tra
scritture dellio e romanzo. un virus, quello del non finito, a
quanto pare contagiosissimo in questi primi decenni del nostro
Ottocento, ma peraltro non necessariamente nefasto, se attecchisce per un carica innovativa difficile da portare avanti.
2. questioni di metodo
Questo rapido e consapevolmente tendenzioso profilo valga a
suggerire una linea interpretativa. Si sono fatti alcuni nomi (Borsieri, Di Breme, Pellico, Leopardi, Bini, Tommaseo) e alcune date
(il 1816, anno delle pubblicazione delle Avventure letterarie come
della stesura del Romitorio di SantIda, e gli anni Trenta, quando
vedono la luce le Mie prigioni ma, si ricordi, anche le Memorie
poetiche di Tommaseo e, nel 1840, Fede e bellezza). Sono nomi che
certo non esauriscono la pluralit delle forme di scrittura di s
esperite nellarco cronologico delimitato, ma che ne sono rappresentativi. E sono date non di comodo, ma significative: gli scrittori del Conciliatore come eredi della tradizione settecentesca e foscoliana dellio; gli anni Trenta come una sorta di cerniera, sia nella storia dellautobiografia italiana, che scivola ora verso la memorialistica46, sia in quella del romanzo, che vede imporsi il modello
dei Promessi sposi.
Chiudo con una doverosa avvertenza metodologica. Qui non ci
46
Sulla distinzione tra autobiografia e memorialistica, cfr. almeno il classico
Philippe Lejeune, Le pacte autobiographique, cit., pp. 12-13 della citata trad. it.
introduzione
23
47
Cfr. Paola Luciani, Autobiografia dellessere e autobiografia dellagire: Rousseau e Alfieri, in Rivista di letterature moderne e comparate, xlix, 3, 1996, p. 293.
Lo stesso Battistini (in Il superego dei generi letterari, in Lo specchio di Dedalo, cit.,
pp. 163-196), affrontando la storia delle scritture autobiografiche in Italia, ha avvertito la necessit di postulare un macrogenere autobiografico, al di l delle ristrette categorie lejeuniane. Addirittura Arrigo Stara (in Autobiografia e romanzo,
in La Rassegna della letteratura italiana, s. viii, lxxxix, 1, 1985, pp. 128-141), trattando del pieno Novecento, arriva a definire lautobiografia un carattere intrinseco e quasi statutario della parola romanzesca, come immanenza del discorso autobiografico dellautore in ogni atto di creazione immaginativa (ivi, p. 141).
48
Bartolo Anglani, Introduzione, nellantologia Teorie moderne dellautobiografia, cit., p. x.
49
Elena Agazzi, Introduzione, nellopera collettiva Il segno dellio, cit., p. 11.
50
Cfr. Franco DIntino, I paradossi dellautobiografia, cit., ripreso anche in
Raul Mordenti, Introduzione, nellopera collettiva Scrivere la propria vita, cit., p. 15.
51
Bartolo Anglani, Introduzione, nellantologia Teorie moderne dellautobiografia, cit., p. x.
24
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52
Cfr. Georges May, Introduction, in Lautobiographie, cit., pp. 9-13 (parzialmente trad. nellantologia Teorie moderne dellautobiografia, cit., pp. 67-70).
53
Cfr. Paul Jay, Introduction, in Being in the text. Self-representation from
Wordsworth to Roland Barthes, Ithaca-London, Cornell University Press, 1984, pp.
13-32 (parzialmente trad. nellantologia Teorie moderne dellautobiografia, cit., pp.
91-102).
54
Cfr. Georges Gusdorf, Conditions et limites de lautobiographie, nellopera collettiva Formen der Selbstdarstellung. Analekten zu einer Geschichte des literarischen Selbstportraits, Berlin, Duncker & Humblot, 1956, pp. 105-123 (parzialmente
tradotto, con il titolo Condizioni e limiti dellautobiografia, nellantologia Teorie
moderne dellautobiografia, cit., pp. 3-18).
55
Andrea Cortellessa, Generi contigui allautobiografia, cit., p. 355.
introduzione
25
personaggio56; il che al giorno doggi implica almeno aver percorso la selva labirintica della bibliografia sullargomento per esser poi
riapprodati al punto di partenza, stanchi e anche sazi ma con molte idee in pi. Qui si esula, insomma, dal problema del genere, persuasi anche di non avere una preparazione adeguata a presentarsi
in veste di teorici57; e forti della convinzione di non essere in cattiva compagnia, anche nel novero degli specialisti58. Ci si attiene,
seppure nutriti dalle riflessioni sui meccanismi della scrittura autobiografica condotte da altri, a una ricognizione e un sondaggio di
alcune concrete esperienze di scrittura, senza partecipare, neanche
indirettamente, al dibattito teorico. Si mira piuttosto a contribuire a rimediare al fatto che qualunque motivata ipotesi generale sulla crisi dellautobiografia nel primo Ottocento, non rende giustizia
ai filamenti di sensibilit individuali, ai climi fugaci che questi autori, variamente dislocati nel nostro panorama letterario, rappresentano, agli echi evanescenti dei loro testi, minoritari e magari anche non finiti. Questultimi si vogliono qui eleggere a veri protagonisti; il che non toglie che laffondo dellanalisi testuale possa
fornire in ultima sede alcuni elementi di riflessione storica e permetta talvolta di trascorrere momentaneamente dallo svolazzo di
testo in testo a una prospettiva a volo duccello. Si cercato di fare della definizione teorica dei generi non una gabbia concettuale
per separare e ripartire comodamente testi e autori nelluna o nellaltra teca, ma un punto di forza dellanalisi testuale, ricavandone
una griglia di spunti di indagine proficui per penetrare i meccanismi di scrittura: non certo prescindendo dalla discussione teorica
sui generi, ma insieme senza assumerla a faro della ricerca.
56
Andrea Battistini, Il fluido della vita e il cristallo della scrittura, in Lo
specchio di Dedalo, cit., p. 129.
57
Richard N. Coe (in When the grass was taller. Autobiography and the experience of childhood, New Haven-London, Yale University Press, 1984, p. xiv) scrive di aver letto quasi seicento fonti primarie durante gli otto anni della ricerca.
58
Cfr. almeno i citati Georges May, Introduction, in Lautobiographie, cit.,
pp. 9-13, e Paul Jay, Introduction, in Being in the text, cit., pp. 13-32.
I.
1
Silvio Pellico a Ugo Foscolo, Milano, 9 agosto e 9 settembre 1818, in Epistolario di Silvio Pellico, cit., pp. 13, 14-15. Nella seconda citazione, i puntini di sospensione corrispondono a un taglio voluto da Pellico stesso, che raccomand al
primo editore dellepistolario foscoliano, Francesco Silvio Orlandini (cfr. Epistolario di Ugo Foscolo, 3 voll., in Opere edite e postume, a cura di Francesco Silvio Orlandini e Enrico Mayer, Firenze, Le Monnier, 1850-1862, vi-viii; le lettere di Pellico si leggono nel vol. viii), di espungere un passo polemico sulle paure di Monti per la nuova iniziativa editoriale (cfr. Silvio Pellico a Francesco Silvio Orlandini,
Torino, 15 settembre 1853, in Epistolario di Silvio Pellico, cit., p. 401).
28
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Cos, nella tarda estate del 1818, Silvio Pellico annunciava a Foscolo la nascita del Conciliatore, sperando di procacciarsi linteresse e magari la firma dellillustre esule. Dal canto suo, com noto, a esperienza conclusa, nel 1824 Foscolo non fu troppo generoso coi volenterosi conciliatoristi:
Un altro giornale letterario, intrapreso sei anni dopo, sotto il titolo
Conciliatore, costitu un vano tentativo di opporsi alla dannosa tendenza
della Biblioteca italiana. I fondatori di quellimpresa ebbero pi buone
intenzioni e pi abilit, che non pratica e prudenza. Le pagine del giornale, quasi esclusivamente occupate nel favorire i partigiani del romanticismo contro i partigiani de classici, risultarono tediosissime alla generalit dei lettori, che richiede opere dimmaginazione belle e fatte e non lunghe disquisizioni intorno alla maniera di comporle2.
Il giudizio foscoliano sul foglio azzurro come esperienza generosa ma incapace di scendere dalla teoria alla pratica non del
tutto fondato. in direzione di questo accertamento che sono andati studi antichi e recenti3. Il Conciliatore si riconosciuto
allinea non poche opere dimmaginazione, le quali non possono
essere appiattite nella loro spesso pur indubbia consistenza di manifesto. In effetti, la sezione Letteratura e critica la seconda delle
quattro materie in cui, come da programma, il foglio scientifico
letterario diviso , prima che il giornale venga stroncato nel suo
fervore iniziale da lpidmie de carb[onarisme]4, in un anno di
2
Ugo Foscolo, La letteratura periodica italiana, cit., p. 393. Per il giudizio
di Foscolo sul Conciliatore e per il rapporto tra le istanze della generazione di
Pellico, Borsieri, Di Breme con leredit foscoliana, cfr. soprattutto Saveria
Chemotti, Foscolo, Pellico e Il Conciliatore: dagli astratti furori ai nuovi doveri, nellopera collettiva Miscellanea di studi in onore di Vittore Branca, cit., iv, Tra
Illuminismo e Romanticismo, 2, pp. 473-492.
3
Si veda almeno Giorgio Petrocchi, Confalonieri e i racconti del Conciliatore, in Italianistica, i, 2, 1972, pp. 235-244, poi in Lezioni di critica romantica, Milano, Il Saggiatore, 1975, pp. 39-50; Ugo M. Olivieri, P. Borsieri e il romanzo darea lombarda nella prima met dellOttocento, nellopera collettiva Effetto
Sterne. La narrazione umoristica in Italia da Foscolo a Pirandello, Pisa, Nistri-Lischi,
1990, pp. 121-143, e Gino Tellini, Sul romanzo di primo Ottocento, cit.
4
Stendhal a Adolphe de Mareste, [Gnes], le 2 novembre [1819], cit. in
Alessandro Manzoni, Le tragedie, a cura di Gino Tellini, Roma, Salerno Editrice, 1996, pp. 959-960.
29
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31
manzo, verso cui, com noto, contro la diffidenza della cultura classicista, si fa esplicito e spiccato linteresse dei romantici lombardi. A
questo proposito sono particolarmente eloquenti alcune note pagine delle poco fa citate Avventure borsieriane: quel capitolo settimo,
Il pranzo, in cui lautore prende le difese del romanzo, Musa divina che non ebbe culto in Grecia in una contemporanea lettera di
Pellico12, genere proscritto nella letteratura italiana moderna, la
quale ha la gloria di non averne o pochissimi, nella prima stesura
dellintroduzione al Fermo e Lucia 13. Nel libello di Borsieri il romanzo viene difeso e propagandato come pittura delle passioni e
dei costumi contemporanei in funzione pedagogica e, dunque, come una delle tre parti integranti dogni letteratura, a fianco di
teatro comico e di buoni giornali, [...] che sono destinate ad educare e ingentilire la moltitudine14. Questo secondo la concezione
romantica dello stretto rapporto tra letteratura e societ contemporanea, secondo il principio dellattualit e del carattere popolare
della letteratura (e non senza, da parte di Borsieri, un moralismo
un po angusto)15: bisogna combattere la corruzione colle sue stesse armi, e servirsi della pittura dei nostri costumi per insinuare negli animi svogliati qualche utile verit16.
Tre anni dopo, non suoner troppo diversamente la un po meno nota recensione di Pellico alle Lettere di Giulia Willet 17, pateti12
Silvio Pellico al fratello Luigi, 16 settembre [1816], in Silvio Pellico, Lettere milanesi (1815-1821), a cura di Mario Scotti, Torino, Loescher, 1963 (supplemento n. 28 del Giornale storico della letteratura italiana), p. 67. I Greci non
ebbero romanzi o non cominciarono ad averne se non quando gi toccavano alla
decadenza loro, si legge nelle coeve Avventure borsieriane, uscite il 19 settembre
1816 (Pietro Borsieri, Avventure letterarie di un giorno o consigli di un galantuomo a vari scrittori, a cura di William Spaggiari, Modena, Mucchi, 1986, p. 84).
13
Alessandro Manzoni, Fermo e Lucia, a cura di Salvatore Silvano Nigro,
con la collaborazione di Ermanno Paccagnini, Milano, Mondadori, 2002, p. 5.
14
Pietro Borsieri, Avventure letterarie di un giorno, cit., p. 87.
15
Cfr. William Spaggiari, Introduzione, in Pietro Borsieri, Avventure letterarie di un giorno, cit., p. xx e soprattutto Sebastiano Timpanaro, Unoperetta
di Pietro Borsieri ed una di Pietro Giordani (1987), in Nuovi studi sul nostro Ottocento, Pisa, Nistri-Lischi, 1995, pp. 37 sgg.
16
Pietro Borsieri, Avventure letterarie di un giorno, cit., p. 85.
17
Nel n. 37 (7 gennaio 1819), del foglio azzurro (in Il Conciliatore, ii, pp.
15-19). La citazione che segue, ivi, p. 19.
32
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co romanzo epistolare della cesenatese Orinzia Romagnoli Sacrati la cui protagonista sconta la condizione di orfana indifesa con
un amore infelice che la conduce alla tomba. Prontamente il
recensore coglie lo spunto per propagandare ladozione di questo
genere presso gli scrittori italiani e, nel contempo, per contestare
le riserve dei suoi detrattori. Di nuovo, giover ricordare, nella
difesa del romanzo il Pellico rifletteva due motivi fondamentali
della poetica romantica []: la popolarit e laderenza della
letteratura alla realt della societ contemporanea18. Fin qui
niente di nuovo rispetto alla presa di posizione di Borsieri nelle
Avventure. Vale la pena rammentare per che lautore della Francesca da Rimini insiste sulla materia amorosa e passionale del romanzo come veicolo privilegiato di uno studio realistico e acuminato del cuore umano e di un ritratto della societ al vero.
Analisi interiore e indagine sul contemporaneo per il Pellico milanese vanno a coincidere: fare studio delle passioni che
esercitano un grande impero nella societ, copiare i personaggi
dalla societ e non dai libri sono i due comandamenti del romanziere; e libri [] dove la societ ritratta al vero, e dove il
cuore umano analizzato con pi minuta esattezza19 sono i romanzi (per ora conta meno lilluminante [] osservazione del
valore educativo che avrebbe potuto assumere la storia, se questa,
pi che grandi eventi pubblici, avesse ritratto la vita e il costume
della societ20, perch rester tale, solo unosservazione, per gli
scrittori del Conciliatore).
18
Mario Santoro, Dal romanzo storico al romanzo decadente, cit., p. 12.
Questa recensione di Pellico costituisce un chiaro e precoce esempio del fenomeno messo in evidenza da Roberta Turchi, Introduzione, in Paride Zajotti, Polemiche letterarie, a cura di Roberta Turchi, Padova, Liviana, 1982, pp. ix-x: nel
primo Ottocento, e particolarmente tra il 1827 e il 1831, la recensione [] con la
disputa del romanzo divenne il luogo deputato del dibattito culturale. I critici
non la usarono solo in senso illustrativo per dare il ragguaglio e per esprimere,
quindi, il giudizio su unopera, ma pi modernamente colsero in essa la possibilit di sviluppare un discorso teorico che portasse a chiarire la funzione e le forme della letteratura.
19
Silvio Pellico, Lettere di Giulia Willet, in Il Conciliatore, ii, p. 18.
20
Mario Santoro, Dal romanzo storico al romanzo decadente, cit., p. 13. Il
33
questo il primo aspetto che interessa per il carattere sperimentale della narrativa degli uomini del foglio azzurro e per il loro
complesso uso delle scritture dellio: la vocazione moralistica e contemporanea, per cui lo scrittore engag assolve un compito educativo che si traduce in un apostolato trascendente ogni municipalismo21 e, bisogna aggiungere, ogni personalismo, dunque superiore
a ogni puntiglio autobiografico. Lesperienza autobiografica esperienza di uomini e cose sar indispensabile allanalisi veritiera del
cuore e della societ; ma sar un mezzo e non un fine. Lio titanico che giganteggiava sulla scena nelle autobiografie di Rousseau e
di Alfieri e nel romanzo di Foscolo finisce allora in sordina, entro
strutture compositive che orientano gli aspetti polemici della denunzia e della satira allintento costruttivo del rinnovamento liberale dei costumi e delle istituzioni civili22. la breve illusione del
Conciliatore.
Questa tensione verso il contemporaneo non vuol dire annullamento dellio. Anzi. Proprio la finzione autobiografica si rivela
nei conciliatoristi strumento privilegiato nel tentativo di rinnovare lo spirito polemico del saggismo illuministico, modernamente
attualizzato23. In effetti, se c unesperienza letteraria che del pronome io ha fatto una bandiera, quella degli scrittori del foglio
azzurro, i quali ereditano quella divinit (Regna in noi tutti
quella divinit che si chiama Io )24 dal maestro Foscolo. Era stato
34
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questultimo ad additare la formula ortisiana del saldare letteratura e vita, lunica miscela romanzesca italiana disponibile nel 1816:
Come? lItalia non ha Romanzi? bestemmie bestemmie; non abbiamo forse il Jacopo Ortis?, Borsieri non trovava altro da esclamare contro un tale denigratore del romanzo nelle sue Avventure 25. Foscolo stesso di quella formula stava offrendo versioni pi
complicate e meno trasparenti nella congerie in parte sommersa
dei cosiddetti scritti didimei. Ma anche il Foscolo didimeo emanava un invito esplicito allautobiografia, se uno dei manoscritti attribuiti a Didimo Chierico consiste nei Didymi clerici libri memoriales quinque, in cui lautore descrive schiettamente i casi per lui
memorabili dellet sua giovenile educata dagli uomini letterati26.
E inaugurava una particolare tipologia di autobiografismo, se con
Didimo evocava quasi una controfigura destinata a nascondere la
sua identit27. La strada disegnata dal Foscolo didimeo andava
verso un autobiografismo mimetizzato in cui autore e personaggio non si sovrappongono pi di tanto e il primo non cos facilmente riconoscibile dietro il secondo e sdrammatizzato mediante il ricorso a un personaggio-filtro, ironico e disincantato, che
unisse consapevolezza, saggezza e distacco. Sar analoga a questa la
via battuta anche dagli scrittori del foglio azzurro; scrittori protesi verso una letteratura dellio che si trasformi continuamente in
qualcosaltro: in letteratura, antieroica e moralistica, del cuore e
della societ. Punto comune tra le loro prove che linteresse per
le scritture dellio si coagula intorno alla funzione civile dellarte:
25
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tore: Di Breme, Borsieri e Pellico stesso. Ma lo hanno gi lasciato intuire le pagine delle Avventure borsieriane e del Pellico recensore prima accostate ognuno lo fa secondo una propria parabola e con un personalissimo contributo a questioni di comune interesse. Gruppo compatto quello dei futuri sodali del foglio azzurro, ma con individualit ben definite da cui germinano scritture autobiografiche e narrative di taglio ben diverso. Allunicit di
intenti corrisponde una pluralit di soluzioni:
il romanzo gotico parodizzato e rivolto allindagine etico-introspettiva
(con il Romitorio di SantIda, lasciato nel 1816 incompiuto e inedito da di
Breme); il sentimentalismo wertheriano (con il Pellico recensore delle Lettere di Giulia Willet [Roma, Tipografia De Romanis, 1818] della marchesa
Orinzia Romagnoli Sacrati); il racconto sterniano e didimeo (con il Pellico del Breve soggiorno in Milano di Battistino Barometro e in parte con il
Borsieri della Storia di Lauretta); lapologo fantastico (con il Di Breme
della novella Lebino)32.
32
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34
Gino Tellini, Il romanzo italiano dellOttocento e del Novecento, cit., pp. 21-22.
Pietro Borsieri, Avventure letterarie di un giorno, cit., p. 85.
Lettera di Silvio Pellico cit. in Piero Camporesi, Introduzione, in Ludo-
37
38
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39
Quello per cui le narrazioni teneano troppo luogo un difetto per unopera teatrale, non per un romanzo. In fondo, anche
il conte Giovanni Arrivabene, generoso ospite mantovano dellaspirante trageda e spettatore della sfortunata Ida, era pronto a decretare che al colto, appassionato e nobile Di Breme il genio
drammatico natura glielo aveva negato44. Un giudizio senza pos41
Nella citata lettera al fratello dell11 novembre 1815, in Silvio Pellico, Lettere milanesi, cit., p. 26 (cfr. supra, p. 38, n. 39).
42
Silvio Pellico al fratello Luigi, Milano, 11 dicembre 1815, ivi, p. 28. Della
trasferta mantovana con Di Breme Pellico si ricorder ancora nel capitolo xciv delle Mie prigioni (Mi parea ieri che io vera venuto con Lodovico nel 1815).
43
Silvio Pellico al fratello Luigi, [Milano], 30 dicembre 1816, ivi, p. 77. Cfr.
le conclusioni di Angiola Ferraris, Ludovico di Breme, cit., pp. 93-94: Ispirata
ai canoni compositivi ed ai temi delezione del dramma lacrimoso, lIda dovette
per accentuarne la tendenza alla macchinosit dellintreccio e alla sovrabbondanza degli intermezzi narrativi e dei soliloqui lirici, affidati ad unattrice di grande
versatilit drammatica come Carlotta Marchionni []. Il riconoscimento della
fragilit strutturale del dramma indusse il Breme a tradurre in forme narrative il
complesso intreccio dellIda .
44
Giovanni Arrivabene, Intorno ad unepoca della mia vita. Memorie, Torino, 1860, p. 13, cit. in Piero Camporesi, Introduzione, cit., p. xvi.
40
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41
salute poi47. La morte arriva precocemente per Di Breme il 15 giugno 1820, a quarantanni non ancora compiuti; ma, a quella data,
quel tentativo di romanzo non compiuto e non figura pi nemmeno tra le opere in cantiere. Rimasto fermo allintroduzione, ha
ceduto il passo, stando ancora alla testimonianza di Pellico, a una
storia del perfezionamento della razza umana, a una tragedia
politico-filosofica, il Costantino e a una commedia intitolata
lAbdicazione. Allaltezza del 1815 lanno dellIda risalgono anche un secondo dramma, Ernestina e un altro componimento, romanticamente tra fantasia e storia [], un non so che il cui titolo
I Cavalieri piemontesi: il fondo tutto storico48. Lungi dal romanzo, quindi, verso le alte sfere della filosofia, verso la miscela di
fantasia e storia e verso il mondo, ingrato ma a quanto pare
pieno di attrattive per Di Breme, del teatro.
Breve e circoscritta parentesi in una carriera multiforme votata
47
Cfr. due lettere di Silvio Pellico al fratello Luigi, [Milano, 10 maggio 1817]
e [Milano], 7 luglio [1817], ivi, pp. 88-89, 94: Quando avrai tempo vorrei che tu
mi mandassi per lui [Di Breme] una lettera, nella quale tu gli dicessi che tho lodato questo suo Opuscolo [il Grand Commentaire] e gli consigliassi nondimeno di
non frapporre troppo indugio al compimento dellIda ; Il suo scritto francese [il
Grand Commentaire] terminato []. Dopo questo scritto verr lIda, la quale se
con erro, richiuder un nuovo tesoro di quelle idee generose che in Italia pi che
altrove sono cosa quasi nuova, e che tanto necessario di farvi germogliare. Unica testimonianza epistolare dautore sul romanzo mancato forse una lettera di data incerta a Federico Confalonieri: Ora vorrei gustare alcun poco dellaure lariane, dove so che maspetta la pi leale e la pi disinvolta accoglienza; quindi venirne a Valmadrera, tornare alla Valsesia e dar cos tempo al tempo onde ti venga forse la frega di salire meco il Sempione e di conoscere quelle poetiche rive da me peregrinate con tanta delizia nello scorso anno. Ora nulla di tutto questo, e me ne
voglio andar solo, che solo amo pur anche assai di viaggiare, perch viaggiando solo, e fermandomi due volte per giornata vengo scrivendo la mia Ida a misura che
bevo per tutti i sensi e tutti i pori le varie ispirazioni di quei cieli e di quei costumi (Ludovico Di Breme, Lettere, cit., p. 442; il curatore attribuisce la missiva,
ma con molte incertezze, al luglio 1817).
48
Cos Di Breme nel luglio 1816 (cfr. Ludovico Di Breme, Lettere, cit., p.
345). A tale componimento da riallacciarsi, come ha ben visto Macchioni Jodi,
la lettera del 16 ottobre successivo, in cui Di Breme prega Giuseppe Grassi di sollecitare lavvocato Bessone onde [] mi tragga fuori della Biblioteca reale di bei
documenti, sui Crociati piemontesi (cfr. Rodolfo Macchioni Jodi, Prodromi di
narrativa ottocentesca, cit., p. 78).
42
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49
50
p. 123.
51
43
54
Ibidem.
Ludovico Di Breme, Il romitorio di SantIda, cit., p. 45.
56
Cos Giuseppe Montani ricorda Di Breme nel suo gi citato commosso
elogio (in Antologia, xxxxii, giugno 1824, pp. 17-18). Ulteriori tratti autobiografici nel personaggio di Teresa sono individuati da Michele DellAquila, Profilo di Ludovico di Breme, cit., pp. 132-133.
57
Cfr. una lettera di Di Breme a Confalonieri del 1817 chiamata in causa in
Rodolfo Macchioni Jodi, Prodromi di narrativa ottocentesca, cit., p. 123.
58
Cfr. Angiola Ferraris, Ludovico di Breme, cit., p. 161.
59
Cfr. Rodolfo Macchioni Jodi, Prodromi di narrativa ottocentesca, cit.,
pp. 78 sgg., in particolare, pp. 96-99 e Piero Camporesi, Ludovico Di Breme e le
sue lettere, cit., p. xi.
55
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60
45
46
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70
La stessa figura del sacerdote-protettore costante tipica del romanzo gotico (peraltro passata senza variazioni significative nel romanzo storico), come ricorda Rodolfo Macchioni Jodi, Dal romanzo gotico al romanzo storico italiano,
in Italianistica, 2-3, 1994, pp. 389-416.
71
Non lunico ingrediente foscoliano rinvenibile nellopera: anche senza
dir niente della scelta del nome delleroina Teresa, non ai Sepolcri, ma allepisodio
di Lauretta nellOrtis, fa correre la memoria la triste vicenda di amore e follia, sintetizzata per noi dal narratore, di Clarina e Giacomino. Manca in quella sfortunata storia solo laltro ingrediente foscoliano, la morte; ma daltra parte essa impregna di s, con evidenti passi di necrofilia, tutto il Romitorio.
72
Ugo M. Olivieri, P. Borsieri e il romanzo darea lombarda nella prima met
dellOttocento, cit., p. 133.
73
Ludovico Di Breme, Il romitorio di SantIda, cit., p. 92.
74
Sullacceso sperimentalismo linguistico del Romitorio che contempla
francesismi, neologismi, arcaismi, parole rare, lombardismi, piemontesismi , cfr. Piero Camporesi, Nota al testo, cit., pp. lxii-lxiii e Rodolfo Macchioni Jodi, Prodromi di narrativa ottocentesca, cit., pp. 147 sgg.
47
75
Ivi, p. lv (con citazione da Antoine Franois Prvost, Mmoires et aventures dun homme de qualit, La Haye, s.e., 1749, parte i, p. 253).
76
Piero Camporesi, Introduzione, cit., p. xlviii.
77
Cfr. in particolare Ludovico Di Breme, rec. a Orazione in lode del conte
Pietro Verri milanese. Del prof. Adeodato Ressi, in Il Conciliatore, 49, 18 febbraio
1819 (in Il Conciliatore, ii, pp. 201-210), cit. anche in Carlo Calcaterra, Introduzione, cit., pp. lxviii-lxix.
78
Ludovico Di Breme, Il romitorio di SantIda, cit., p. 9.
79
Alessandro Manzoni, Sul Romanticismo, Lettera al Marchese Cesare
DAzeglio, in Opere di Alessandro Manzoni, a cura di Lanfranco Caretti, Edizione
del Centenario, Milano, Mursia, 1973, p. 1153.
48
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50
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Chiusa la parentesi morale, si ritorna allio narrante e alla sua voluttuosa propensione alla solitudine, in un fiducioso appello al lettore sensibile che permetta di considerare concluso tale argomento:
Che se avessi a dire della gioconda volutt che mi vi alletta sempre,
ma in questi mesi [autunnali] mi seduce, n la finirei presto, n arriverei
a farmi capire da chi non sa fuorch capire: mentre da chi sente io sono
gi pi o meno inteso.
Dellio narrante sappiamo dunque, per ora, solo la volutt della solitudine campestre, specie in autunno, cui si va ad aggiungere,
poco dopo, lamore per i laghi (Amo i laghi87). Anche questa
informazione addizionale si rivela tuttaltro che accessoria, perch
appunto in un solitario e silenzioso viaggio verso il lago dOrta e
poi in un notturna gita in barca su quelle acque che il narratore si
fa seguire dal lettore. Salvo poi annunciare, alla pagina 22 del manoscritto, che la piega presa narrazione di s e delle avventure in
cui ebbe parte, dei propri casucci solo momentanea e funzionale a ben altra narrazione, per ora lasciata nel mistero:
Dichiaro una volta per tutte al mio lettore chio non mi credo gi in obbligo di intrattenerlo di me e delle mie avventure in cui ebbi parte, se non
tanto quanto indispensabile onde porre lui in quella stessa situazione nella quale mi trovai quando venni a conoscere la storia (ben altrimenti importante) a cui questi miei casucci non servono che di necessario prologo88.
Non sar dunque, come poteva sembrare a primo acchito, il resoconto di uno dei viaggi che il narratore fa per soddisfare la sua
ansia autunnale di pensosa solitudine campestre: la storia che si
mette sulla strada dellio narrante sar il vero fulcro della narrazione. Dopo la dichiarazione dintenti si torna a s e al proprio autoritratto morale che altro non serve se non a introdurre il ritratto e
la rapida biografia del personaggio di Don Adriano:
87
88
Ibidem.
Ivi, p. 14. La citazione che segue, ivi, pp. 14-15.
51
Se mi si offerisse dal destino di poter conseguire la gloria, non dico soltanto n di Licurgo, n di Cesare, ma sarei quasi per dire, fin quella di Washington, nel mondo intero, oppure quella di Don Adriano nella sola riviera dOrta, Iddio sel vede, io torrei questa, non quella []. Intanto io voglio
accennare il perch torrei questa impercettibile gloria per compagna della
mia vita e custode del mio nome dopo morte, in quel solo catinello l.
Un ritratto e una biografia in cui lio narrante torna a introdursi in veste di emozionato testimone e di acceso moralista:
Chi saprebbe ora decidere se la dolcezza di Paradiso che il mio cuore
gustava in quei momenti scendeva in esso pi dai casti accenti di Clarina
o da quelli rauchi e tremuli del suo padre che le rispondevano?
Predicatori accademici, apostoli cincinnati, freddissimi amplificatori
del Vangelo, che con tanto orgoglio succedete nelle nostre metropoli ai
matti carnevali, perdonatemi se n un solo avendio fin qui potuto ritenere dei vostri librati periodi, porter pure sino alla tomba impresse nel
pi profondo pensiero queste ultime voci di Don Adriano89.
Ecco che si precisa la funzione dellio narrante-personaggio come una sorta di uomo del destino, scelto per una misteriosa missione. La quale si chiarir poi consistere nella stesura un libro di
memorie che i diretti interessati non sono in grado di portare a termine. La lettera che una fin qui misteriosa Teresa ha indirizzato a
Don Adriano e che questi sul letto di morte mostra a Florindo parla chiaro:
89
90
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C un aspetto che salta prepotentemente agli occhi nella lettura del Grand Commentaire : laccento vivacemente polemico. Fin
qui niente di nuovo per un autore battagliero che, s visto, alla polemica nemmeno tanto velata ritagliava ampi spazi persino nella
sua mancata prova di narrativa sentimentale, il Romitorio. Originale per che tale caratteristica si riveli come lunico e vero collante di questa dispersiva, sottoposta a innumerevoli forze centrifughe, scrittura autobiografica. Il filo dellio in teoria il punto di
forza del discorso si rivela esile, tenue, se si segue il suo dipanarsi nel frastagliato percorso cui lautobiografo obbliga il lettore
clair per tenerlo alla larga dalla voce biografica del Guillon. Il
Vivant remarquable sans le savoir cos si autopresenta Di Breme nel titolo preannuncia, attraverso lepigrafe tratta da Montaigne, une galimafre de divers article, condotta secondo un
parlare suculent et nerveux: non tant dlicat et peign comme
vhment; dcousu et hardi: non pdantesque, non fratesque, non
plaideresque, ma plutt soldatesque102. Le promesse sono mantenute. Da homme outrag che aspira innanzitutto a repousser
loutrage et [] confondre le dtracteur, Di Breme non vede alternativa se non en lui mettant en action et en lui dveloppant
sous les yeux des lecteurs clairs. Una precisazione di non poco
conto la mancanza di alternative si va ad aggiungere:
Je crois quil est permis de refaire ainsi sa propre Biographie, puisque
cest moins crire son histoire quy fournir. Mais non-seulement je me
croirai permis de sortir le plus souvent que possible de ma cause personnelle, jaurai la modestie de mimposer ce devoir comme une tche indispensable, et de lenvisager comme une biensance de rigueur. Ce ne sauroit tre qu la faveur de quelques digressions dun intrt plus gnral
que jen concilierai un suffisant ce qui me concerne personnellement.
Aussi ai je intitul mon livre de faon dclarer davance, que je nenvisage ma cause que comme devant amener quelques considrations plus
importantes et plus dignes du grand jour103.
102
Ludovico Di Breme, Grand Commentaire, cit., p. 49. Le citazioni che seguono, ivi, pp. 53, 60.
103
Ivi, p. 61. Si avverte sin da ora che per le successive brevi citazioni in traduzione italiana dal Grand Commentaire scelte talora per rendere pi scorrevole
la lettura ci si avvale della traduzione fornita in calce nelledizione citata.
56
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Scritto autobiografico, s, il Grand Commentaire, ma solo, potremmo dire, per caso. La propria autobiografia per il trentasettenne Di Breme non dinteresse generale; non sufficientemente importante e degna dessere manifestata se non serve da trampolino di lancio per digressioni e riflessioni e pi generali. Limmagine del Biographe assassin104 certo rimanda allo scrittore a
soldo delleditore esorcizzato da Alfieri nellIntroduzione alla Vita
lettura cos importante per la composizione del Grand Commentaire 105 , ma nessuna delle giustificazioni allo scrivere di s accampate dagli illustri precedenti autobiografici settecenteschi sono
ereditate da Di Breme. Ribaltata per cause di forze maggiori la situazione rispetto alla Vita alfieriana non scrivere di s prima che
lo facciano altri incompetenti e faziosi biografi, ma perch gi lo
hanno fatto , Di Breme giustifica lungamente il suo articolo autobiografico. Lo fa innanzitutto con una ragione esterna la necessit di confutare un oltraggio , cui ne aggiunge una interna le
considerazioni e le digressioni pi generali che innalzino il grado
dinteresse e di dignit dellopera. Non sul piano della scrittura
autobiografica, ma su quello di un libello morale, che Di Breme si
vuole porre; e ci insiste parecchio. Se lessere esposto a necessit
giustificative tratto peculiare e diffuso della letteratura autobiografica di ogni stagione106, ci particolarmente vero per il Grand
Commentaire. Originale non tanto questinsistenza, quanto il fatto che la chiave di volta della giustificazione sta proprio nel passaggio dal piano personale (autobiografico) a quello generale (mo104
Ivi, p. 60.
Di Breme aveva particolarmente presenti due modelli di discorso autobiografico: la Vita di Alfieri e lAdolphe di Benjamin Constant. Sceglie il primo; rifiuta il secondo (Giovanni Giuseppe Amoretti, Genesi del Grand Commentaire, cit., ivi, p. 32). Di Breme leggeva la Vita alfieriana a Milano nellestate 1808,
come testimoniano le lettere (cfr. Ludovico Di Breme, Lettere, cit., p. 112). Viceversa, un commento su lAdolphe si legge nella lettera del Di Breme, ormai prossimo alla stesura del Grand Commentaire, a Madame de Stal, Milano, s.d. [ma primi di dicembre 1816], ivi, p. 395. Da non dimenticare che intorno al 1812 Di Breme aveva aspirato senza esito a tre le biographe di quel grand homme dellAlfieri, come scriveva alla contessa dAlbany il 2 giugno di quellanno (cfr. Ludovico Di Breme, Lettere, cit., p. 153).
106
Cfr. soprattutto Franco DIntino, Lautobiografia moderna, cit., p. 64.
105
57
rale). Ma non nel senso alfieriano di autobiografia come utile allo studio delluomo in genere: nel senso, invece, che lindividuo diventa occasione per parlare della societ in cui vive, si
formato e opera, nella fattispecie lItalia napoleonica. cos
per esempio che nel capitolo xii, senza abbandonarsi a una digression historique sur lassassinat di Giuseppe Prina, Di Breme
non pu comunque resistere la tentation de mettre cet homme en jeu sous le yeux des ses lecteurs, mettendolo in scena come personaggio-protagonista di un entretien riferito con une
fidlit [] religieuse107. cos che il capitolo pi lungo, il xiii
annunciato dallautore come un petit paragraphe, ma petit
in rapporto alla vastit della materia trattata, non certo allesigua
mole del Grand Commentaire , dedicato allhistoire littraire
des temps, in accorata polemica con un paese o les lettres ne
sont peu prs quun jouet, et nagissent gure qu la surface des
esprits et des curs108. Ed cos, infine, che il capitolo conclusivo (il xiv) si apre colloquialmente allinsegna del filo biografico perduto, anzi, coscienziosamente abbandonato: Jai perdu de
vue mon Biographe: je ne reviendrai pas sur mes traces pour le
rejoindre et prende cong de lui; on ne sen formalisera point.
Lallievo e affettuoso biografo dellabate di Caluso109 dunque si
inserisce nel solco di quella polemica anti-biografica i cui momenti pi significativi e acuminati erano stati segnati da Rousseau e da
Alfieri. Scomparse le ragioni esistenziali e autoconoscitive del primo; parimente dileguatasi lambizione di servire allo studio delluomo in genere svelata dal secondo, di questultimo per riecheggiano ampiamente le motivazioni empiriche, incentrate
sullavidit mercenaire110 di biografi ed editori:
Aprs tout ce qui a t dit et senti touchant la difficult de faire des
histoires vridiques, conoit-on que la cupidit des libraires dune part, et
107
58
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de lautre loiseuse ou maligne curiosit des lecteurs pussent encore sentendre assez pour procurer quelque fortune de pareils livres []?
Lhistoire des vivants sera-t-elle jamais, et toutes les poques sociales, autre chose en gnral, aux yeux dun critique de bonne-foi, que le
triomphe de la flatterie et de la malveillance?
Pourquoi donc na-t-on pas demand davance aux intresss de fournir au moins la substance de leur propre historie? Les faits bien garantis,
le dates mmes, le tmoins compars aux assertions, que le Biographes eussent prsent leur tour, auraient constat lincompatibilit des uns avec les
autres.
Le dfaut de monuments ne fut peut-tre jamais si funeste lhistoire
de ce que va le devenir lembarras de la critiques dans le chaos o nous la
jetons par tant de pices contradictoires. Notre postrit sera-t-elle assez
peu avise pour tenir compte de cet immense fatras de biographies, dloges, de satyres, de pamphlets, de pangyriques composs en prsence des
hros ou des victimes? Combien nous parotrons fats, ridicules et mchants nos neveux! Mais j prie nos neveux de considrer que parmi ces
messieurs qui se donnent la jouissance de parler sans cesse deux et de
confesser leur gloire, il se trouve les Biographes deux-mmes, malgr euxmmes; que je suis de ce nombre; que nous mritons111.
111
Ivi, pp. 61-62, 64, 69. I corsivi sono miei. Si notino le consonanze con il
noto passo dellIntroduzione di Alfieri alla Vita: Avendo io oramai scritto molto,
e troppo pi forse che non avrei dovuto, cosa assai naturale che alcuni di quei
pochi a chi non saranno dispiaciute le mie opere (se non tra miei contemporanei,
tra quelli almeno che vivrai dopo) avranno qualche curiosit di sapere qual io mi
fossi. Io ben posso credere, senza neppur troppo lusingarmi, poich di ogni altro
autore anche minimo al valore, ma voluminoso quanto allopera, si vede ogni giorno e scrivere e leggere, o vendere almeno, la vita. Onde, quandanche nessunaltra
ragione vi fosse, certo pur sempre che, morto io, un qualche libraio per cavare alcuni pi soldi da una nuova edizione delle mie opere, ci far premettere una qualunque mia vita. E quella, verr similmente scritta da uno che non mi aveva o
niente o mal conosciuto, che avr radunato le materie di essa da fonti o dubbj o
parziali ; onde codesta vita per certo verr ad essere, se non altro, alquanto meno
verace di quella che posso dare io stesso. E ci tanto pi, perch lo scrittore a soldo
delleditore suol sempre fare uno stolto panegirico dellautore che si ristampa, stimando ambedue di dare cos ampio smercio alla loro comune mercanzia (Vittorio Alfieri, Vita, introduzione e note di Marco Cerruti, Milano, Rizzoli, 1987,
pp. 49-50; i corsivi sono miei).
59
chi ne loggetto: biografia, insomma, che nasce e lievita dallautobiografia, da fonti dautore; cio si noti proprio come dovevano essere, nella singolare finzione scelta da Di Breme per il Romitorio di SantIda, le memorie che Florindo veniva chiamato a
stendere con la collaborazione di Teresa e dei documenti da lei
amorevolmente custoditi. In mancanza di un lavoro biografico siffatto, lautobiografia allora non che una rivincita resa necessaria
da una indegna provocazione (e tratteggiata da Di Breme non
senza qualche risentita tinta misogallica112). Cruciale e insistita
risulta nel Grand Commentaire la distinzione tra quei messieurs
qui se donnent la jouissance de parler sans cesse deux et de confesser leur gloire e lautobiografo suo malgrado, come si definisce Di Breme, mosso non da mire autocelebrative da amor di s
stesso, si potrebbe dire alfierianamente , ma da puro amor di verit. Se lamore di verit (scrivere una vita pi verace di quella
che darebbe un biografo a soldo) si congiungeva nella Vita di Alfieri allamor di se medesimo, in Di Breme resta solo il primo elemento del binomio: nessuna traccia di quellamor di s indirettamente evocato da Rousseau113, apertamente celebrato da Alfieri
allinizio della sua introduzione come motore di ogni alto operare, poi ripreso da Leopardi nel proemio alla sua Storia di unanima. Lautobiografia romantica, bisogner allora ricordare, contempla anche questo caso: altro che egotismo, altro che scrutinio molecolare dellio e dei singoli momenti dellesistenza fino alla dissoluzione dellimpianto narrativo tradizionale, fino alla deriva dellautobiografia verso forme di scrittura di s parziali e frammentarie o finzionali114; nel romanticissimo Di Breme, allaltezza del
1817, il generale analisi di temi di utilit generale a rendere
degna la scrittura autobiografica, per lappunto convogliata in un
libello che sin dal titolo si annuncia in forma di Commentaire.
La deriva dellautobiografia verso qualcosaltro questa volta avviene in direzione del saggio. Paradossalmente, il Di Breme investiga112
Per il chiaroscurato misogallismo del Grand Commentaire, cfr. i capitoli iii
e vii, in particolare pp. 66 sgg., 86 sgg. delledizione cit.
113
Paola Luciani, Autobiografia dellessere e autobiografia dellagire, cit., p. 294.
114
Per questa tesi, cfr. supra, pp. 10-12.
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tore dellio, del problme de moi, sta nelle pagine del romanziere (mancato); lautobiografo si nutre piuttosto del polemista e dello scrutatore della societ contemporanea. Allabate Di Breme,
scrittore engag, non interessa lautobiografia di per s, ma solo in
quanto pu farsi veicolo di battaglie ideologiche.
Si veda infatti la struttura dello scritto. I primi tre capitoli del
Grand Commentaire da cui ho finora spigolato i passi salienti si presentano come una sorta di introduzione: pagine liminari di aperta
polemica e di ripetuta giustificazione che precedono la ricostruzione autobiografica. La quale inizia dal capitolo iv, intitolato Mon Pre. Non accabler le faussaire sous la masse de la vrit, ma limitarsi a opporre aux faits et aux indictions dictes par [] malveillance delle precisazioni115: questo il metodo che lautobiografo dice di seguire per une pnible obissance al padre, che na pas daign prouver de ressentiment la vue du menteur et sot article qui
le concerne116. Pi risentito e sciolto il piglio delle pagine successive, sulle quali non si stende pi lombra paterna. Nel capitolo v, ridotto tout ce quil y a de vrai et dexact dans larticle que son Biographe assassin vous a vendu alla nata di nascita117, si procede adesso per citazioni, recise negazioni e articolate correzioni, ora in prima persona, ora in terza (questultima, verosimilmente, per attrazione dellil dellarticolo biografico del Guillon). Qualche esempio:
fut destin par son Pre ltat ecclsiastique. Faux. Mon Pre na destin ses enfants qu lhonneur [].
Il fit ses tudes dans la maison paternelle. Non. Il suivit les cours de
luniversit [].
Promu au sacerdoce 22 ans par dispense dge. Faux; et mme si
compltement faux que je diffrai dune anne par-del le terme canonique []118.
61
giudiziaria, aderente alla griglia temporale offerta dal petit article, si infrange per gi alla fine dello stesso capitolo v: Quon
me permette ici un aveu, touchant les dignits de la prlature. Jose penser119. Insomma, si comincia per davvero: dalla causa
personale alla digressione generale, secondo il meccanismo espositivo annunciato da Di Breme allinizio e rispondente alla necessit
di assicurare interesse e dignit alla rivincita autobiografica. Il
contenzioso in sospeso col biografo che, di volta in volta, si prende dellassassin, del perfide, dellemposoinneur, del vil imposteur120 funziona da agevole punto di partenza, talora per un
esibito autoritratto morale, pi spesso per osservazioni di costume
e di politica. Alla fine, com noto, prende campo la polemica letteraria e lansia de rendre une justice solennelle121 ai protagonisti
del rinnovamento della scena letteraria italiana da Borsieri a Berchet, da Manzoni a Pellico, per fare solo qualche nome. Se il penultimo capitolo (xiii), s gi detto, occupato dal quadro polemico delle lettere italiane, lultimo (xiv) consiste nel congedo dellautore, patriotticamente esposto nel duplice segno della politica
e della morale. Ma lautobiografia, davvero, a questo punto non
centra pi niente.
4. lautobiografia sentimentale
nelle avventure letterarie di un giorno di borsieri
Di nuovo alla penna di Pellico si deve un consuntivo della carriera di Pietro Borsieri. Si legge in un celebre ricordo epistolare del
saluzzese, allindomani della morte dellamico e compagno di battaglie di giovent:
Quandio di Francia venni a Milano, in et danni 21, trovai, tra i giovani dingegno, Pietro Borsieri, danni 23 o 24. Avea fatto con onore i suoi
studi alluniversit di Pavia, ed uscitone, venne impiegato nel ministero
119
120
121
Ivi, p. 77.
Rispettivamente, ivi, pp. 74, 80, 82, 115.
Ivi, p. 180.
62
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della Giustizia. Scriveva bene in prosa ed in poesia, ragionava con eloquenza, si nudriva di molte letture, il suo intelletto gustava soprattutto le
indagini filosofiche e le scienze del bello. Era tenuto in pregio da Monti,
da Foscolo, da Manzoni, da ogni uomo che lo conoscesse, ed in lui amavano non solo il nobile ingegno, ma le sode qualit dellanimo.
Non ti so dire quasi altro di Pietro Borsieri, se non che ci vedevamo
ogni giorno come amici allegri, studiosi, sempre in buona armonia. Ei facea progetti di libri dogni genere, ordiva drammi storici, e non saffrettava a compiere nulla; onde non diede pressoch niente alle stampe. Pubblic soltanto opuscoli doccasione, brevi poesie, cose poco notevoli; collabor nel Conciliatore. []
Perch con tante cognizioni e con segnalato ingegno non lasci egli
unopera letteraria notevole? Mutava troppo spesso progetti, sannoiava
dei lunghi lavori, e pi lo dilettava il leggere, pensare e discorrere che acquistar fama dautore. In giovent ei diceva: troppo presto ; in vecchiaia
disse: troppo tardi 122.
Pellico avvicina lintellettuale di origini trentine allaltro compagno delle battaglie letterarie giovanili, Di Breme, dipingendolo
come preda anchegli della sindrome del non finito. Di Borsieri
scrittore, date per universalmente riconosciute le tante cognizioni e letture, leloquenza, il nobile e segnalato ingegno, delimita larea di interesse (le indagini filosofiche e le scienze del bello), cui fa riscontro la pluralit eterogenea di progetti (libri dogni genere, pur con unattenzione particolare al dramma storico): un affastellamento in fase progettuale cui si lega la propensione per opere di breve respiro, dunque di rapida e immediata
composizione (sannoiava dei lunghi lavori). Pellico traccia insomma il ritratto di un giovane colto e dotato di genio, amante
della lettura e portato al confronto e alla discussione teorica, ma
inconcludente e velleitario, perch incapace di applicarsi a opere di
vasta mole e anche perch non sospinto dallambizione dacquistar fama dautore o amor di gloria letteraria che si voglia.
In effetti, il nome di Borsieri legato, nella storia della letteratura, essenzialmente alle Avventure letterarie di un giorno e alla collaborazione con il Conciliatore: una petit ouvrage, una bro122
Silvio Pellico, Pietro Borsieri, in Epistolario di Silvio Pellico, cit., pp. 466-468.
63
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65
130
Recentemente ripubblicata in William Spaggiari, Due schede romantiche,
cit., p. 83, da cui si cita il testo.
131
Per romanzo intendiamo quel genere (ora narrativo, ora dialogato) che
[] aveva avuto i suoi grandi modelli nel Settecento, e che continu a sussistere,
minoritario ma non per questo meno interessante e originale, nel primo Ottocento, ben distinto dal nuovo romanzo ottocentesco: il genere a cui appartennero, vicini nel tempo anche se di ben diverso valore, le Operette morali del Leopardi, il
Manoscritto di un prigioniero e il Forte della Stella di Carlo Bini, il Viaggio di tre
giorni di Luigi Ciampolini (Sebastiano Timpanaro, Unoperetta di Pietro Borsieri ed una di Pietro Giordani, cit., p. 39).
132
Cfr. William Spaggiari, in Pietro Borsieri, Avventure letterarie di un
giorno, cit., p. 1n.
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67
le Avventure come da ascrivere al genere satirico, se la satira moderna si fonda sulla appropriazione e libera commistione di generi, sullintarsio poliedrico di molteplici forme letterarie)136. E importa che dal punto di vista della storia del romanzo ottocentesco,
loperetta non si limita a elaborare una duplice proposta operativa
il romanzo di vita contemporanea e il romanzo storico, indicati
da Borsieri nel capitolo vii (Il pranzo ) , ma fa di pi: mette in
pratica la prima di queste due strade narrative, lo studio del presente137. Della narrativa desprit, di matrice autobiografica e di materia contemporanea di l a poco tentata a pi riprese dagli scrittori del Conciliatore, le Avventure nel 1816 insomma vogliono essere la giustificazione teorica, ma anche un primo esempio pratico.
Le due cose non si escludono ma collimano per il nostro autore,
educato da letture settecentesche: in fondo stato notato la
stessa difesa del romanzo nel capitolo vii e lesempio della Corinne
portato da Borsieri tradiscono laspirazione dello scrittore a unopera letteraria dove il contenuto di pensiero sia nettamente determinante, e intorno ad esso si sviluppi poi la drammatizzazione con
appropriate soluzioni strutturali e stilistiche138. Quel che succede
appunto nelle Avventure.
Loperetta si presenta come il diario di un giorno, ma strutturato retrospettivamente, come una mini-autobiografia: Ritornato
a casa mia, e ripassando col pensiero tutto ci che mera occorso
nella giornata, deliberai di scriverne fedelmente la storia139. Sul
modello del Parini biografo satirico di una giornata del giovin signore, Borsieri si finge autobiografo quasi altrettanto pungente di
136
Cfr. Francesco Spera, Le avventure della satira di Pietro Borsieri, nellopera collettiva I bersagli della satira, a cura di Giorgio Brberi Squarotti, Torino,
Tirrenia Stampatori, 1987, pp. 181 sgg.
137
Cfr. Gino Tellini, Il romanzo italiano dellOttocento e del Novecento, cit.,
p. 20 e anche William Spaggiari, Prefazione, in Pietro Borsieri, Avventure letterarie di un giorno, cit., pp. xix sgg.
138
Francesco Spera, Le avventure della satira di Pietro Borsieri, cit., p. 188.
Il Romanzo appartiene al genere filosofico ed alleloquenza propriamente detta,
fa dire Borsieri a Silvio P., dietro cui adombra lamico Pellico (Pietro Borsieri,
Avventure letterarie di un giorno, cit., p. 85).
139
Pietro Borsieri, Avventure letterarie di un giorno, cit., p. 105.
68
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69
Esattamente quello che, nellintento di fare saggio non papaverico, Borsieri procura di evitare nelle sue Avventure.
Scritto dallo svolgimento non organico, s detto. Assicura continuit formale al libretto (se legger que capitoli da capo a fondo, trover che formano un tutto, ci teneva a precisare il Galan-
Borsieri, cit., p. 187. Pi in generale, per luso della strutture drammatiche nel romanzo primottocentesco, cfr. Roberto Bigazzi, Sul romanzo drammatico nel primo Ottocento, nellopera collettiva Studi di filologia e critica offerti dagli allievi a
Lanfranco Caretti, 2 voll., Roma, Salerno, 1985, ii, pp. 559-583.
145
Pietro Borsieri, Avventure letterarie di un giorno, cit., p. 23. Sul motivo
della noia in Borsieri, cfr. ivi, p. 23, n. 30.
146
Cfr. ivi, pp. 52-57, da cui sono tratte le citazioni che seguono.
70
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Ivi, p. 5.
Ivi, pp. 48, 49.
149
Chi vuol conoscere a fondo i grandi argomenti delle nostre dispute letterarie, frequenti il teatro, i caff, i gabinetti delle dame, si legge nellultimo capitolo (Pietro Borsieri, Avventure letterarie di un giorno, cit., p. 38).
148
71
Il discorso varr, fatti i debiti aggiustamenti di tiro, in parte anche per il Battistino Barometro. Questo hanno imparato dal Viaggio sentimentale il Borsieri delle Avventure e il Pellico del Battistino:
a procurare al romanzo una garanzia di veridicit presentandolo
come racconto autobiografico di vita vissuta e a trasformare la
narrazione oggettiva del viaggio nella fisiologia degli umori e delle insorgenze sentimentali del soggetto151, nella modalit umoristica che le si accompagna nellarchetipo sterniano.
Lautobiografia sentimentale introdotta apertamente nel capitolo iniziale delle Avventure, dal titolo foscolianamente emblematico: Io 152. Un capitolo dove la forma autobiografica reinvestita
da Borsieri quale strumento di quello studio del presente che sta a
cuore a lui e ai suoi futuri colleghi del Conciliatore. Dopo aver
introdotto in veste di spalla, nella scena pi affollata delle Avventure, proprio quella del Pranzo dedicata al romanzo, gli amici Pellico (Silvio P.) e Guasco (Carlo G.)153, nelle pagine finali, intitolate Riflessioni un po serie, che Borsieri mette le carte in tavola
e rivela esplicitamente di parlare a nome di un intero gruppo, quello di alcuni modestissimi e dotti uomini che vivono in segreto
e non tengono il campo nella letteraria Repubblica154. Questi
dotti uomini, che proprio perch hanno a cuore le lettere italiane scelgono deliberatamente di vivere lontano dalle luci della ri-
150
Ugo M. Olivieri, P. Borsieri e il romanzo darea lombarda nella prima met
dellOttocento, cit., pp. 123-124.
151
Ivi, pp. 125-126.
152
Gino Tellini, Il romanzo italiano dellOttocento e del Novecento, cit., p. 20.
Per la consonanza daccenti tra il primo capitolo delle Avventure e il foscoliano Ragguaglio dunadunanza dellaccademia de Pitagorici, cfr. Ugo M. Olivieri, P. Borsieri
e il romanzo darea lombarda nella prima met dellOttocento, cit., pp. 126-127.
153
Cfr. Pietro Borsieri, Avventure letterarie di un giorno, cit., p. 82 e n. Non
mancano comunque nelle Avventure elementi autobiografici di polemica strettamente personale, a partire dal caso pi eclatante, nel capitolo ii, sulle sorti dellintroduzione di Borsieri alla Biblioteca italiana respinta sul finire del 1815 (cfr. ivi, p. 38).
154
Ivi, p. 105. Le citazioni che seguono, ibidem.
72
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balta, questi umili onesti Borsieri li contrappone a que letterari invece abili nel procacciarsi la fama e pronti a parlare altamente di s. Viene allora in mente che aveva ragione Pellico a dire dellamico che aveva poca ambizione, scarso amor di gloria letteraria; ma perch la gloria, stando a queste pagine delle Avventure, a Borsieri appare inversamente proporzionale alla seriet e al valore del letterato.
Parimenti opposta allutilit e seriet del lavoro letterario detta la vanit, il gusto del parlare altamente di s. Allora, come
leggere quel capitolo primo, Io, che sin dal titolo appare come una
esibita offerta proprio al nume della vanit? Bisogna ricordare
che il Galantuomo-io narrante che dedica a se stesso tutto il primo
capitolo in realt ha gi avuto occasione di presentarsi nel succoso
Dialogo che serve di prefazione. Sollecitato da un ameno quanto ingenuo Lettore, il Galantuomo ha l comodamente esposto le sue
patenti romantiche155 e ci ha incuriosito intorno al suo libretto.
Forte della tradizione giornalistica settecentesca, nel primo capitolo intitolato Io si libera della mediazione del Lettore-personaggio,
terzo incomodo tra narratore e lettore vero, e si lancia ora in una
diretta autopresentazione. Subito, in apertura, una vecchia conoscenza degli studiosi dautobiografia: lo spettro del biasimo per
lindulgenza al parlare di se stesso, con la conseguente necessit
di autogiustificarsi. Un fantasma che Borsieri allontana sbrigativamente appellandosi alla dolcezza del ragionar di s e, soprattutto, al cos fan tutti:
Non debbo essere biasimato, se prima di pormi a pi pari nella materia che ho assunto a trattare, credo sommamente opportuno di parlare di
me stesso. s dolce cosa il parlare di se stesso! Tutti gli Scrittori sogliono
farlo pi o meno lungamente; n solo gli Scrittori e i Magistrati e i Guerrieri e gli Artisti, ma ben anche limmensa e piacevolissima schiera di tutti coloro che altro non sanno che bere, dormire, e mangiare, e tornar a
mangiare, bere, e dormire156.
155
Le riassume brevemente William Spaggiari, ivi, p. 3n: la letteratura deve parlare al cuore e non soltanto alla mente; anche gli uomini semplici possono
sentire e giudicare; i nomi non fanno la sostanza delle cose.
73
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ragionar di s
pertura intitolato allio: chiave daccesso umoristica alla polemica letteraria del libretto e, insieme, antifrasticamente, strumento
di satira contro la vanit come nefasto motore che fa girare il
mondo letterario, dal parlar di s in su. Lio allautore delle Avventure interessa solo nella misura in cui pu essere uno schermo rifrangente del presente.
5. pellico da litaliano a battistino barometro
Intorno al 1816, proprio quando Borsieri ne fa uno dei protagonisti del capitolo delle Avventure in difesa del romanzo (il vii, Il pranzo), il signor P. alias Silvio Pellico al romanzo ci pensa davvero.
Lo testimonia il fatto che il giovane autore della Francesca da Rimini, divenuto famoso da un giorno allaltro dopo la prima milanese della tragedia nellestate del 1815, della Musa divina che non
ebbe culto in Grecia parla ripetutamente nelle lettere al fratello.
Ma piuttosto che al romanzo storico o di costume contemporaneo
le due strade indicate da Borsieri , in questi anni di una prima
e per ora inconcludente sperimentazione narrativa Pellico pensa a
un romanzo eminentemente autobiografico. Idea germinata
manco a dirlo, vista la sanguigna ammirazione del giovane Pellico
per luomo e scrittore Ugo Foscolo soprattutto nellombra fertile delle Ultime lettere di Jacopo Ortis. In assenza di esplicite testimonianze dautore e, soprattutto, in mancanza del risultato quel
romanzo autobiografico Pellico non lha mai scritto , sono le tracce sparse nelle lettere milanesi al fratello Luigi che autorizzano a
vedere nel Pellico aspirante romanziere del 1816 un mancato epigono del Foscolo dellOrtis 159. Un novizio che sembra avere idee
molto chiare: Fa un romanzo. Scrivi la tua vita, velando aggiungendo, modificando, ed ecco un romanzo160.
158
75
Esattamente un mese dopo, il 18 agosto 1815, la prima gloriosa della Francesca da Rimini al teatro Re di Milano, sufficiente a far
parlare di Pellico tra i contemporanei come dellerede designato di
Alfieri, ma di l a qualche mese il progetto del romanzo riaffiora.
Ancora unallusione rassicurante quanto generica sul finire dellanno: Non sospettare chio viva dissipato: studio e fantastico. Immagino tragedie e romanzi, qualche cosa pu essere che muscir
del cervello162; poi, nel febbraio del 1816, finalmente Pellico consegna la trama di un romanzo come far tre anni dopo per laltro consistente esperimento narrativo di giovent, il Battistino Barometro , ancora a una lettera al fratello:
Ho altri argomenti in capo, fra i quali un Romanzo che tosto o tardi
far, e sar una delle occupazioni pi care della mia vita. Il titolo sar lItaliano. Si chiamer Tancredi. Sar un giovane piemontese, dotato dalla
natura di tutta la forza di mente e di cuore che pu infondere il nostro
Sole. Un vecchio inglese se ne innamora, lo piglia come se fosse suo figlio.
Passano per alcune citt dItalia. Sentimento squisito di Tancredi per le
belle arti. Passione pel bello, ma ignoranza totale della scienza politica. In
Inghilterra perde i pregiudizi della religione; gli sapre lorizzonte politico
160
Silvio Pellico al fratello Luigi, [luglio 1816], in Silvio Pellico, Lettere milanesi, cit., p. 50.
161
Silvio Pellico al fratello Luigi, [Milano], 18 luglio 1815, ivi, p. 19.
162
Silvio Pellico al fratello Luigi, Milano, 11 dicembre 1815, ivi, p. 31.
76
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dinanzi agli occhi. Fervore con cui si slancia a considerarlo. Delira di vergogna e di speranza pensando a ci che lItalia e a ci che pu divenire.
Ama la figlia dun Lord. Tutto il bello e il sublime dellamore. Impossibilit di sposare quella fanciulla per la differenza di condizione. Unidea luminosa, gigantesca, gli sorge nella mente: rendersi degno di quella sposa
con una grande azione. Entra nelle truppe anglo-itale (che nobiliter. E
che non pu nobilitare lo scrittore?) colla romanzesca risoluzione di morire per la patria o di acquistare tal gloria da meritare gli applausi dellInghilterra. Qualche somma prodezza. Cattivo successo. Sacrificio dellItalia. Tancredi disperato. Sono indeciso se lo far morire, o se far che il
Lord informato dalla propria figlia delle intenzioni eroiche di Tancredi, e
vedute le sue lettere, consenta al matrimonio. Tancredi va a Londra per
vedere ancora una volta lamata, e poi morire. Trova tutto spianato ed
felice. Se esamini bene, vedrai che una parte della storia dei tempi cospira a ingrandire questo lavoro. Lo scopo di presentare lideale del carattere italiano163.
163
Silvio Pellico al fratello Luigi, [Milano], 28 febbrajo 1816, ivi, pp. 36-37.
Rodolfo Macchioni Jodi, Prodromi di narrativa ottocentesca, cit., pp. 7475. Lo studioso ipotizza che proprio le troppo appariscenti [] risonanze di motivi desunti dalla Stal e dal Foscolo, unite al contributo poco significativo che la
propria esperienza umana e sentimentale poteva offrire allautore, abbiamo indotto il giovane Pellico a desistere dal progetto. Sullimmanenza foscoliana, cfr. pure
Carlo Curto, Origine e unit dellispirazione del Pellico, in Lettere italiane, vi, 4,
1954, p. 354 e Mario Fubini, Lettere del Pellico (1954), in Romanticismo italiano. Saggi di storia della critica e della letteratura, Bari, Laterza, 1971, pp. 96-97.
165
Tanto poco gli [a Pellico] si conveniva la parte delleroe e del ribelle!, commentava Carlo Curto, in Origine e unit dellispirazione del Pellico, cit., pp. 354-355.
164
77
78
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prattutto Carlo Tenca, Silvio Pellico (1854), in Saggi critici, a cura di Gianluigi Berardi, Firenze, Sansoni, 1969, pp. 133-160.
169
Cfr. Silvio Pellico a Francesco Silvio Orlandini, Torino, 15 settembre 1853,
in Epistolario di Silvio Pellico, cit., p. 401.
170
Silvio Pellico a Ugo Foscolo, [Milano], 20 marzo 1816, ivi, pp. 5, 6.
171
Silvio Pellico al fratello Luigi, [luglio 1816], in Silvio Pellico, Lettere milanesi, cit., p. 50.
79
Ugo (un esempio forzato: Costui non ha perduto nulla trascurando pi i libri che il mondo!) e conclude: costui, se verr tempo, scriver, non fossaltro, un adombramento della sua vita, in cui
vi saranno pi maschi e sentimenti pi nobili che non ne ha mai
ricavato dai libri172. Vista la definizione di romanzo come autobiografia velata data da Pellico due mesi prima, cosa sar un
adombramento della sua vita se non un altro romanzo, quello
che Pellico stesso non sa scrivere? E mentre auspica che sia lesule
Foscolo, forte della intensa vita attiva, a dare allItalia unopera siffatta, sprona il fratello a farsi lesperienza necessaria e a trasfonderla in un romanzo. Risulta ora pi chiaro perch LItaliano o qualcosa di simile non divenuto realt: a parte la questione della scarsa originalit della vicenda, per quel romanzo, autobiografico e
contemporaneo, Pellico doveva sentirsi mancare lesperienza che
ne sostenesse adeguatamente lossatura autobiografica, veicolo essenziale della contemporaneit. Preso dalla tragedia, che non ha bisogno dappigli autobiografici ed immersa nel passato, non gli resta che sperare insistentemente che ci pensi il fratello e frattanto
educarlo additandogli le proprie preferenze romanzesche: non t
venuto un accesso di amore a Talia o a Melpomene, o a quella Musa divina [del romanzo] che non ebbe culto in Grecia, e che Richardson, Gothe, Rousseau hanno s bene celebrato?173, si legge
nella lettera a Luigi del 16 settembre 1816, successiva di un solo
giorno a quella poco fa citata sullesperienza delle cose del mondo di Foscolo.
Sembra chiudersi cos, rimandando il compito di dare allItalia
quel romanzo che non ha a Foscolo o al fratello Luigi, laccensione di Pellico per questo genere. Sar perch larte drammatica ad
assorbire le energie del saluzzese spargendole su innumerevoli soggetti; sar perch al romanzo, lo sa bene Pellico, sta lavorando Di
Breme con lIda; sar perch a difendere il genere e a propugnarne
lutilit ci ha appena pensato Borsieri nelle Avventure (uscite proprio in quello stesso settembre 1816), nessun altro accenno a pro-
172
173
Silvio Pellico al fratello Luigi, [Balbianino], 15 settembre [1816], ivi, pp. 65, 66.
Silvio Pellico al fratello Luigi, [Milano], 16 settembre [1816], ivi, p. 67.
80
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Silvio Pellico al fratello Luigi, [Milano, 30 gennaio 1818], ivi, pp. 126-127.
Rodolfo Macchioni Jodi, Prodromi di narrativa ottocentesca, cit., p. 77.
176
Silvio Pellico al fratello Luigi, Cascina Lambertenghi, 24 luglio 1817, in
Silvio Pellico, Lettere milanesi, cit., p. 106.
175
81
quellapparenza volgare che deve aver luomo per piacere al volgo, e per
contrasto una tempra danimo elevata. Da siffatto contrasto desumo un
colorito, che non senzeffetto, a quel che mi pare, e traggo il vantaggio
di poter introdurre anche la turba nelle regioni della filosofia, senza che se
ne accorga, e se ne spaventi177.
Taddeo Barometro, com noto, cambia nome e il racconto delle cose osservate in Milano nel suo breve soggiorno sfocia nellincompiuto Breve soggiorno in Milano di Battistino Barometro, la
prova narrativa pi consistente del Pellico conciliatorista, pubblicata sul foglio azzurro tra il luglio e il settembre 1819 e rimasta
interrotta alla terza puntata per la soppressione della rivista178. Significativamente, questa volta nella lettera non compare pi il termine romanzo. Pellico non se la sente di definire cos il nuovo
progetto e parla genericamente di operetta: cominciato lesperimento narrativo libero da debiti con lOrtis e la Corinne e lontano dalla complessit strutturale del romanzo, cos come dalle ingenti componenti autobiografiche che per il Pellico milanese sono
insite in quel genere. Il tema questa volta il contrasto insanabile
tra provincia semplice e citt artiziata, con conseguente polemica verso la decadenza dei costumi cittadini (motivo caro, come
si sa e come s visto per Il romitorio di SantIda, ai romantici lombardi e anche autobiografico nel caso di Pellico179). La soluzione
narrativa funzionale a far emergere quel tema il viaggio di un
provinciale nella Milano contemporanea (lanno scorso) riferi-
177
82
ragionar di s
to in prima persona dal protagonista stesso: una finzione autobiografica, il resoconto di un pezzo di vita vissuta che indulge meno
nella descrizione delle cose viste e pi nella rappresentazione sentimentale di quellesperienza, del tutto analogamente a quanto avveniva nelle Avventure borsieriane e nellarchetipo sterniano comune ai due testi. Lesito un quadro delle stravaganze dei costumi
urbani, non improntato a satira maligna ma a un tono amabilmente umoristico (di nuovo come per il libello di Borsieri). La peculiarit sta nel colorito che deriva dai connotati morali e psicologici del personaggio protagonista e io narrante. Battistino una
sorta di buon selvaggio, campagnolo e ingenuo quanto basta per
sentirsi un marziano nella metropoli, per affascinare lettori popolari e per avere un punto di vista altro, straniato, meno consapevole rispetto a quello del suo autore. Ma ha una tempra danimo
elevata che lo rende suscettibile, nellarco dellanno che si finge
trascorso tra il presente della scrittura e il passato della vicenda, di
una evoluzione psicologica e che pertanto scava un solco tra il punto di vista dellio narrato e dellio narrante180. Un animo elevato
che, va detto anche, insieme gli permette di sostenere il ruolo di
strumento di educazione morale che preme a Pellico. Attraverso
questa particolare fisionomia del personaggio, Pellico dice di cogliere il risultato pi ambito: arrivare alla turba e introdurla efficacemente nelle regioni della filosofia.
Ne esce delineata una narrativa moralistica e satireggiante che
ha lasciato la strada dellautobiografia. Qui larchitesto sterniano181 quasi esibito nella scrittura riflessiva della prefazione e del-
disprezzo di tutto ci che gli uomini fanno nei loro greggi (Silvio Pellico,
Lettere milanesi, cit., p. 383); e di l a poco soggiungeva: Milano un turbine vorticoso che aggira gli uomini senza lasciarli in posa mai. impossibile qui dessere
poeta. Si pu ben essere osservatore, critico, politico, tutto ci che non innalza la
fantasia sino al bello ideale, ma questo bello ideale, la poesia oh per attingerla
ci vuol pace campestre, solitudine, compagnia tranquilla (Silvio Pellico a Felicia
de Conti Giovio, Milano, 8 ottobre 1819, ivi, p. 424).
180
Sui rapporti tra io narrato, io narrante e autore implicito nel Battistino, cfr.
soprattutto la brillante descrizione, condotta con gli strumenti della narratologia,
da Ugo M. Olivieri, P. Borsieri e il romanzo darea lombarda nella prima met dellOttocento, cit., pp. 137-140.
83
le sue continuazioni, che occupano addirittura i capitoli i-v e nelle quali riemerge [] quella concezione del romanzo come genere filosofico gi evidente in Borsieri182; e non a caso sulle paginette prefatorie richiama lattenzione la nota introduttiva dautore
che precede loperetta nel Conciliatore183. Dal 1816 dellItaliano
evidentemente le cose si sono complicate anche per Pellico.
Sul romanzo introspettivo, pittura di forti passioni, sentimentale ed eroica narrativa dellio, Pellico per ritorna anche nel Battistino, allinterno di una pi ampia e romanticissima critica alla cultura
tradizionale. Si veda la scena sullo sfiorato matrimonio di Battistino
con la figlia del dottore, la pragmatica Luigia di cui il giovane si invaghito e che ha lungamente corteggiato nellunico modo in cui sa
fare sulla scorta della sua educazione accademica e antiquata, ovvero
con poco apprezzate pastorellerie. Costretto dal padre a lasciare
suo malgrado la riva Tramezzina per la metropoli milanese e a rimandare di almeno una decina danni leventuale matrimonio, Battistino protagonista dun esilarante colloquio con il padre dellamata e con la fanciulla stessa. Egli, il pi colto e raffinato dei tre, ne
esce silenzioso e sconfitto, dice, semplicemente perch non ha letto
romanzi. Messo alle strette se te ne vai e non mi sposi adesso non
mi sposerai mai pi non sa che restare muto, balordo, tremante,
senza minacciare di ammazzarsi e nondimeno desiderando in silenzio di morire; poi balbetta finalmente qualche sillaba, ma
troppo tardi: il mancato suocero lo ha gi messo alla porta. Questo
per quanto riguarda lio narrato, il Battistino del passato. Nella veste
di io narrante, il Battistino del presente della scrittura commenta:
Che cosa avrebbe fatto qui un uomo bene educato, cio che avesse letto romanzi? Non vera un momento da esitare. Precipitarsi ai piedi di Luigia, a costo desser bastonato dal dottore Abbondio, piangere, dimandar
perdono e giurare per tutti i santi di volerla sposare, non fra dieci anni,
ma anche sul momento, a dispetto di tutti padri e di tutte le madri del ge-
181
182
183
p. 21.
Ivi, p. 140.
Ivi, p. 138.
Cfr. Silvio Pellico, Breve soggiorno in Milano di Battistino Barometro, cit.,
84
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nere umano. Il matrimonio non si sarebbe lasciato consumar l su due piedi; no, ma gli animi offesi si sarebbero calmati, Luigia mavrebbe rialzato
dal suolo, le sarei caduto fra le braccia, il suo alito divino avrebbe dissipata ogni mia angoscia Me infelice! io non aveva letto romanzi! Restai
muto, balordo, tremante, senza minacciare di ammazzarmi e nondimeno desiderando in silenzio di morire.
Quando balbettai finalmente qualche sillaba, il dottore non mi lasci
pi finire; mi colm di maledizioni e di scherni, e mi cacci di casa sua184.
85
186
Cfr. Mario Ricciardi, Introduzione, in Silvio Pellico, Breve soggiorno in
Milano di Battistino Barometro, cit. p. 10 (il saggio si legge anche, con il titolo Il
Battistino Barometro: incunabolo di un possibile romanzo borghese, nellopera collettiva Piemonte e letteratura 1789-1870, Atti del Convegno di Studi, San Salvatore
Monferrato, 15-17 ottobre 1981, a cura di Giovanna Ioli, Torino, Regione Piemonte-Assessorato alla Cultura, s.d. [ma 1983], 2 tt., ii, pp. 611-620). Le citazioni che
seguono, ivi, p. 11.
II.
Il vizio di parlar di s.
Progetti narrativi e autobiografici di Leopardi
88
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89
90
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narrativo e autobiografico per rendersene conto. Procedendo in ordine cronologico, si comincia con le quattro (tante sono nellautografo) pagine del Diario del primo amore, scritte a Recanati tra il 14
dicembre 1817 e il 2 gennaio 1818, come attestano le date in calce.
Poco pi tarda lidea di un romanzo autobiografico ispirato dalle
letture (o riletture) del Werther e dellOrtis: lo documenta quel canovaccio di appunti che sono i Ricordi dinfanzia e di adolescenza,
vergati, di nuovo secondo le indicazioni di Leopardi stesso, tra il
marzo e il maggio 1819. Lidea non abbandona lautore, che stende
due frammenti di supplemento, sotto le diciture Alla Vita del Poggio
e Alla Vita abbozzata di Silvio Sarno (di Ruggiero, o Ranuccio, Vanni
da Belcolle), non datati sul manoscritto ma forse risalenti rispettivamente allo stesso 1819 e al soggiorno romano (1822-1823)7. Non lo
abbandona addirittura per anni, considerando che verosimilmente
al 1825 risale quel nuovo tentativo autobiografico che la stesura dellinizio della Storia di unanima scritta da Giulio Rivalta pubblicata
dal conte Giacomo Leopardi. Un progetto, questo della storia di unanima, duro a morire, visto che un romanzo col medesimo titolo e
con la stessa, peculiare materia affidato nel 1829 a una celebre lettera a Pietro Colletta. Dietro richiesta dellamorevole Generale,
Leopardi mantiene la promessa di specificare alcuni titoli delle tante opere che vorrebbe scrivere e per le quali ha materiali in gran copia, parte in capo, e parte gittati in carte cos alla peggio8:
gnificato che il momento del labor limae assumeva per lo scrittore (un richiamo che ci
sentiamo di sottoscrivere, considerando quello di DIntino un sagace esperimento di
lettura con spunti eccellenti, ma da non accogliere in toto perch, insistendo a oltranza sulla legittimazione del progetto a scapito del risultato, rischia di far perdere di vista che il progetto coincide con il risultato soltanto nella prospettiva, provvisoria per
lautore, del lavoro in fieri). La risposta non si fatta attendere: c una bella differenza fra titolare Scritti e frammenti autobiografici, come DIntino, o Appunti e ricordi, come si legge sul frontespizio delledizione dei Ricordi dinfanzia e di adolescenza recentemente curata da Pasquini e Rota (Roma, Carocci, 2000) e che a quella di DIntino
si contrappone: le terminologie adottate rimandano a opposte estetiche di ricezione.
7
Per i problemi di datazione e le diverse proposte avanzate dagli studiosi al
riguardo, si rimanda a Franco DIntino, Nota ai testi, in SFA, pp. 139-167.
8
Giacomo Leopardi a Pietro Colletta, Recanati, 16 gennaio 1829, in Giacomo Leopardi, Epistolario, a cura di Franco Brioschi e Patrizia Landi, 2 voll., Torino, Bollati Boringhieri, 1998, ii, p. 1608 (dinnanzi: Ep.; si avverte che citando da
91
Com evidente, Leopardi vi riafferma il proprio mai sopito interesse per il vecchio progetto di un romanzo danalisi. Senza peraltro farsi troppe illusioni: quel romanzo ha s il ruolo prestigioso di
capofila di un elenco selettivo (questi non sono anche una quinta
parte degli altri)10 di disegni da portare a compimento, ma lautore stesso si schernisce parlando di castelli in aria; i quali, lo sanno
bene i lettori dellepistolario, compiuti o incompiuti riscaldavano
comunque lorrenda notte di Recanati11. Ingiusto per dire che
essi avessero una funzione meramente autoterapeutica. Ne svolgevano anche una operativa di propositi fissati sulla carta, come promemoria caso mai venisse il momento buono. Che si tratti di una
lista di base da cui poi pescare a seconda del genio del momento
e che i materiali accumulati possano agevolmente travasarsi da un
progetto a un altro contiguo, lo attesta il prosieguo della lettera:
Voi riderete di tanta quantit di titoli; e ancor io ne rido, e veggo che
due vite non basterebbero a colorire tanti disegni. [] Ma quando avessi
tanta salute da poter comporre, sceglierei quelli che allora mi andassero pi
a genio: e i materiali destinati a quei disegni che non avessero esecuzione,
entrerebbero per buona parte in quei lavori a cui dessi effetto12.
questa edizione, per comodit, si scelto di sciogliere le numerose abbreviazioni e
di distinguere gli accenti, l tutti gravi).
9
Giacomo Leopardi a Pietro Colletta, Recanati, marzo 1829, ivi, ii, p. 1634.
10
Ivi, ii, p. 1635.
11
Giacomo Leopardi a Adelaide Tommasini, [Firenze], 19 giugno [1830], ivi,
ii, p. 1737. Tanti indici per opere da comporre; indici o sogni con i quali egli,
spesso, illudeva il suo desiderio di lavoro, riempiva certe nere giornate, scriveva
Giuseppe De Robertis (in Leopardi romanziere, cit., p. 137), sminuendo il valore
delle testimonianze sulla scorta delle quali Dazzi aveva costruito un ritratto a tutto tondo di Leopardi romanziere.
12
Giacomo Leopardi a Pietro Colletta, Recanati, marzo 1829, in Ep., ii, p.
1635.
92
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13
Di un principio archivistico opportunamente parla, per gli appunti autobiografici, DIntino (cfr. Introduzione, in SFA, pp. xv sgg.).
14
In TPP, pp. 1108-1113, da cui di seguito, per semplicit, si citano tali disegni letterari senza ulteriori rimandi in nota.
93
mente dalle superiore: poi data per pazza fu strettamente custodita, e datale una monaca continuamente per guardiana, essendosi scoperta la sua
deliberazione di morire creduto o voluto credere effetto di pazzia. Finalmente offertasi una volta alla sua custode, di andarle a prendere in unaltra stanza un paio di forbici, e lasciata andare col dirle che non facesse qualche pazzia, si precipit da una finestra.
Di evidente matrice autobiografica quasi tutto, a partire dalla vita monacale sentita come clausura forzata (motivo peraltro
accennato pure nei coevi Ricordi ), che Leopardi stava sperimentando sulla propria pelle15. Ispirato alla realt anche il personaggio della compagna [] confidente de suoi pensieri, per il
quale si rintraccia agevolmente un corrispettivo biografico nel
fratello Carlo, compagno della clausura recanatese che Leopardi
nel 1817 presenta quale il suo confidente universale (tanto per
citare la pi esplicita tra molte testimonianze16) e che in quella veste infatti presenza fitta nelle pagine dei Ricordi. Cos pure linvenzione del Chirurgo Giordani, che con lomonimo illustre
corrispondente leopardiano allaltezza del 1819 condivide, oltre
che il cognome, anche il ruolo di confidente compreso dinfinita compassione e di portavoce nel mondo della giovinezza disperata della monaca (nella finzione romanzesca), del contino
(nella realt del carteggio)17; un ruolo che per lappunto lo stesso con il quale Giordani introdotto come personaggio romanzesco anche nei coevi Ricordi 18. Infine, si segnala come elemento
autobiografico la riflessione sul suicidio: la meditazione su questo
tema, e proprio negli stessi termini in cui articolata nel disegno
(origine e progressione del proposito suicida e suo contrasto con
la religione), com noto, impegna Leopardi sia in vari appunti
autobiografici e riflessivi dello Zibaldone e dei Ricordi che in al-
15
Per il rapporto [] ambivalente del giovane Leopardi, destinato alla carriera ecclesiastica, con un tipo di vita monacale, si rimanda allaccurata ricostruzione di DIntino in SFA, p. 67, n. 66.
16
Giacomo Leopardi a Pietro Giordani, Recanati, 26 settembre 1817, in Ep.,
i, p. 143.
17
Cfr. il carteggio giovanile con Giordani, ivi, i, pp. 53 sgg.
18
Cfr. SFA, pp. 75-76, n. 86.
94
ragionar di s
cune lettere, forse anche per effetto della lettura del Werther e dellOrtis 19.
Quella della povera Monaca la storia di un tentativo fallimentare di prendere in mano e rovesciare il proprio destino non
diversamente dal proposito leopardiano di fuga del luglio 1819 e
del conseguente desiderio di morte. Questa miscela romanzesca di
clausura obbligata e meditazione sul suicidio, con i personaggi della compagna confidente e del Chirurgo Giordani, lievita da dati esistenziali o biografici che sono tutti confluiti anche nellaltro
progetto narrativo e autobiografico accarezzato da Leopardi in
quello stesso 1819, ovvero i citati Ricordi dinfanzia e di adolescenza.
Come questultimi, anche la storia di una povera Monaca si configura quale romanzo di un conflitto dautorit e dellimpotenza20. Oltre che, in questo caso, romanzo della pazzia (pazza e
pazzia ritornano in tutto per ben tre volte nel pur breve disegno)
come etichetta facilmente affibbiata agli infelici da chi non ne
comprende la disperazione; motivo anche questo, sia detto qui per
inciso, di matrice autobiografica21.
Dunque, circa nello stesso torno di tempo in cui vergava gli appunti dei Ricordi dinfanzia e di adolescenza, Leopardi disegnava
unopera narrativa anchessa parzialmente vincolata ai modelli del
Werther e dellOrtis (ma solo sul piano tematico, non strutturale,
non essendo rivenibile nel disegno alcuna traccia che faccia pensare a una forma epistolare). Optava per questa volta non per un al19
95
ter ego plasmato interamente su se stesso la prima e la terza persona provvisoriamente senza nome dei Ricordi che si chiamer, nel
1820, Lorenzo e poi Silvio Sarno, salvo i ripensamenti documentati da uno dei supplementi22 , bens per una maschera autobiografica meno esplicita come quella della povera Monaca []
monacata per forza nel monastero di S. Stefano in Recanati, pi
o meno come il suo autore negli stessi anni era monacato per forza nel palazzo Leopardi in Recanati. Conta che qui lo spessore autobiografico serve da punto di partenza per un tema di pi ampio
respiro: i gradi che lanimo umano percorre per determinarsi al
suicidio. Si tratta di prestare i propri dati esistenziali e biografici
essenziali al protagonista e attraverso la finzione narrativa passare
dallautobiografia a un romanzo danalisi.
Continuando a scorrere i Disegni letterari, ci si imbatte nella
lunga lista numerata ix e risalente al 1825, dove si distillano agevolmente alcuni titoli attinenti alla sfera delle scritture dellio:
Storia di unanima. Lettere in prosa. Epistola o Lettere al fratello. []
Lettere di un padre a suo figlio. [] Colloqui con se stesso. [] Dialogo
tra lio antico e lio nuovo. [] Storia di un giorno, o delle disavventure
di un giorno della propria vita. [] Lettera a un giovane del 20 secolo.
Lidea di praticare lepistolografia come genere letterario riaffiora nella lista successiva, la x (1826), con le Lettere a diversi uomini illustri, antichi e moderni, mentre vecchi propositi si riaffacciano nella XII, posteriore al febbraio 1829:
Memorie della mia vita. []
Eugenio, romanzo (Werther), frammenti.
Colloqui (sopra il secolo 19, la vita ec.) con me stesso, poich gli altri
son di diverso pensare.
22
Sulla questione del nome del protagonista, cfr. Franco DIntino, Nota ai
testi, in SFA, pp. 157-158.
96
ragionar di s
ri, mancano solo lelenco xiii, dove colpisce lo studioso dei progetti narrativi e autobiografici di Leopardi il titolo Meditazioni
sopra la mia vita, le mie memorie ec.23 (oltre a un Libretto o Memoriale [Livret de Paul Louis Courier] che per rimanda esplicitamente al modello pamphlettistico di Courier de Mr), e la pi
tarda e breve lista xiv, risalente al 1833-1834, dove ci interessa solo
la Storia duna passeggiata.
Non mia intenzione insistere troppo su questi titoli, scarni
castelli in aria che evidente , a meno di forzature, restano
criptici in mancanza della coloritura (come diceva Leopardi) e
persino di un disegno articolato come quello riservato alla Storia
di una povera Monaca. Da un lato, mi preme aver fatto toccare con mano la consistenza e la durevolezza dellinteresse leopardiano per la scrittura dellio: si tratta di ben altro che fuggevoli velleit24. Dallaltro lato, mi interessa additare la molteplicit delle
forme prese in considerazione nei Disegni letterari che va ad accrescere di molto la pluralit delle forme esperite negli abbozzi: non
c solo il romanzo dispirazione wertheriana-ortisiana come i Ricordi dinfanzia e di adolescenza del 1819 (e documentato dieci anni
dopo nei Disegni da Eugenio, romanzo [Werther], frammenti );
non c solo la storia di unanima, avviata nel 25 e recuperata nel
29, ma anche un tradizionalissimo, almeno nella dicitura, Memorie della mia vita; poi svariate raccolte di lettere non possiamo
sapere fino a che scritte ex novo o ricavate dalla corrispondenza privata dellautore e due curiose storie autobiografiche minime: Storia di un giorno, o delle disavventure di un giorno della propria vita e Storia di una passeggiata. C, infine, la struttura dialogica
comune, si sa, anche alla maggior parte delle coeve Operette morali attestata dal Dialogo tra lio antico e lio nuovo e da quel
Colloqui dellio antico e dellio nuovo che ha il privilegio di es-
23
Per la datazione di tale progetto allinizio del 1828 e sul significato del titolo (Meditazioni piuttosto che Memorie), cfr. Fiorenza Ceragioli, Lo Zibaldone pisano, in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, Classe di Lettere e
Filosofia, s. iv, iii, 1-2, 1998, pp. 195-204, alle pp. 196-197.
24
Sulla durevolezza dei propositi autobiografici leopardiani insiste particolarmente Novella Bellucci in Dal Diario ai versi damore, cit., pp. 88 sgg.
97
sere lunico tra i disegni di tipo autobiografico, insieme alla Storia di unanima, a venire selezionato da Leopardi nella lista di castelli in aria stilata per Pietro Colletta nel marzo 1829 e l descritto in questi termini: Colloqui dellio antico e dellio nuovo; cio
di quello che fui, con quello chio sono; delluomo anteriore allesperienza della vita e delluomo sperimentatore (su un fronte
esterno alla scrittura di s si collocano i Colloqui con se stesso del
25 che pi tardi, nella citata lista xii, si esplicitano in Colloqui
[sopra il secolo 19, la vita ec.] con me stesso, poich gli altri son di
diverso pensare, spostandosi cos dalle parti delle Operette ).
Pare evidente, scorrendo le molteplici soluzioni prospettate,
che il centro dinteresse leopardiano converga, con gli anni sempre
pi prepotentemente, dallautobiografia verso quella scienza delle
passioni presto cara allo scrittore. A questa formula Leopardi si
rif annunciando lidea di scrivere la storia dellamore di Petrarca
nella Prefazione dellinterprete stesa nel novembre 1825 per il commento alle Rime. Indica, significativamente, questo ennesimo progetto come lettura non meno piacevole [] e pi utile che un romanzo25. Il Leopardi che un lustro prima aveva citato Petrarca come esempio di poeta che parla di se, delle sue sventure, de suoi
amori sfortunati (Zib., 221, 21 agosto 1820) e aveva elencato tra i
suoi disegni lIncontro di Petrarca morto, con Laura p[er] la prima volta26, sta qui pensando a una alternativa al romanzo contemporaneo: altrettanto piacevole, si pu intuire, perch di materia intima e amorosa; pi utile perch scritta adoperando non
altra scienza che quella delle passioni e dei costumi degli uomini e
delle donne e dunque capace di comunicare la forza intima, e la
propria e viva natura dei componimenti per Laura:
quello che pi, la forza intima, e la propria e viva natura loro [dei componimenti del Petrarca], credo che verrebbero in una luce e che apparirebbero in un aspetto nuovo, se potessi scrivere la storia dellamore del Petrarca conforme al concetto della medesima che ho in mente: la quale storia, narrata dal Poeta nelle sue Rime, non stata fin qui da nessuno inte25
26
98
ragionar di s
99
taneo ed accomodato al soggetto, e in oltre caldo e veemente, queste virt gli sono assicurate dal cavare tutto da se. Cos, in sostanza, argomenta Leopardi il 21 giugno 1819, lodando come un capolavoro delleloquenza italiana moderna la breve Apologia di Lorenzino de Medici, la cui lettura lo ha confermato
nel parere che le scritture e i luoghi pi eloquenti sieno dovaltri parla di
se medesimo. Vedete se questi pare contemporaneo di quei miserabili cinquecentisti chebbero fama deloquenti in Italia al tempo loro e dopo, e se
par credibile che luno e gli altri abbiano seguito la stessa forma deloquenza. Dico la greca e latina che quei poverelli a forza di sudori e daffanni trasportavano negli scritti loro cos a spizzico e alla stentata chera
uno sfinimento, laddove costui ce la porta tutta di peso, bella e viva, e la
signoreggia e ladopera da maestro, con una disinvoltura e facilit negli artifizi pi sottili, nella disposizione, nei passaggi, negli ornamenti, negli affetti, e nello stile, e nella lingua [...] che pare ed non meno originale di
quegli antichi, ai quali tuttavia si rassomiglia come uovo a uovo, non solamente nelle virt, ma in ciascuna qualit di esse. Perch quegli che parla di se medesimo non ha tempo n voglia di fare il sofista, e cercar luoghi comuni, ch allora ogni vena pi scarsa mette acqua che basta, e lo
scrittore cava tutto da s, non lo deriva da lontano, sicch riesce spontaneo ed accomodato al soggetto, e in oltre caldo e veemente, n lo studio lo
pu raffreddare, ma conformare e abbellire, come ha fatto nel caso nostro31.
100
ragionar di s
della nazione, o proprio loro. E ci non essere maraviglia; poich quelli che scrivono delle cose proprie, hanno lanimo fortemente preso e occupato dalla materia; non mancano mai n di pensieri n di affetti nati
da essa materia e nellanimo loro stesso, non trasportati di altri luoghi,
n bevuti da altre fonti, n comuni e triti, e con facilit si astengono dagli ornamenti frivoli in se, o che non fanno a proposito, dalle grazie e
dalle bellezze false, o che hanno pi apparenza che di sostanza, dallaffettazione, e da tutto quello che fuori del naturale. Ed essere falsissimo che i lettori ordinariamente si curino poco di quello che gli scrittori dicono di se medesimi: prima, perch tutto quello che veramente
pensato e sentito dallo scrittore stesso, e detto con modo naturale e acconcio, genera attenzione e fa effetto, poi, perch in nessun modo si
rappresentano o discorrono con maggior verit ed efficacia le cose altrui, che favellando delle proprie: atteso che tutti gli uomini si rassomigliano tra loro, s nelle qualit naturali, e s negli accidenti, in quel che
dipende dalla sorte; e che le cose umane, a considerarle in se stesso, si
veggono molto meglio e con maggior sentimento che negli altri. In confermazione dei quali pensieri adduceva, tra le altre cose, laringa di Demostene per la Corona, dove loratore parlando di se continuamente,
vince se medesimo di eloquenza: e Cicerone, al quale, il pi delle volte,
dove tocca le cose proprie, vien fatto altrettanto: il che si vede in particolare nella Miloniana, tutta maravigliosa, ma nel fine maravigliosissima, dove loratore introduce se stesso. Come similmente bellissimo e
eloquentissimo nelle orazioni del Bossuet sopra tutti gli altri luoghi,
quello dove chiudendo le lodi del Principe di Cond, il dicitore fa menzione della sua propria vecchiezza e vicina morte. Degli scritti di Giuliano imperatore, che in tutti gli altri sofista, e spesso non tollerabile,
il pi giudizioso e pi lodevole la diceria che sintitola Misopongone,
cio contro alla barba; dove risponde ai motti e alle maldicenze di quelli di Antiochia contro di lui. Nella quale operetta, lasciando degli altri
pregi, egli non molto inferiore a Luciano n di grazia comica, n di copia, acutezza e vivacit di sali, laddove in quella dei Cesari, pure imitativa di Luciano, sgraziato privo di facezie, ed oltre alla povert, debole e quasi insulso. Tra glItaliani, che per altro sono quasi privi di scritture eloquenti, lapologia che Lorenzino dei Medici scrisse per giustificazione propria, un esempio di eloquenza grande e perfetta da ogni
parte; e Torquato Tasso ancora non di rado eloquente nelle altre prose, dove parla molto di se stesso, e quasi sempre eloquentissimo nelle
lettere, dove non ragiona, si pu dire, se non de suoi propri casi32.
32
101
Contro il coro dei detrattori del ragionar di s, questultimo identificato col momento pi alto della scrittura di ciascun
autore, con una garanzia di eloquenza e di stile buono e convenevole oltre la qualit media sia dellopera dello scrittore che dei
suoi contemporanei. Per pi ragioni. Perch scrivere di s, a detta di Leopardi, implica: avere lanimo fortemente preso e occupato dalla materia; non mancare di pensieri e di affetti germinati da quella materia, dunque originali, non imitati; astenersi da
ornamenti frivoli e dallaffettazione, da grazie e bellezze
false, non sostanziali, fuori di proposito e fuori del naturale,
dunque esser naturali (come lo sono gli antichi). La naturalezza
del quasi negletto stile, per usare le parole dellabate di Caluso
sulla Vita alfieriana, insomma dato intrinseco della scrittura di
s. Anche sulla scorta di questi pregi, Leopardi passa poi a controbattere lopinione (a quanto pare corrente) che le scritture autobiografiche non suscitino linteresse dei lettori. Leloquenza
loriginalit, la convenienza e la naturalezza dello stile di per s
garantiscono effetto e lattenzione di chi legge. Non solo: se tutti gli uomini si rassomigliano tra loro sia nella natura umana
(le qualit naturali), sia nella fortuna (gli accidenti)33 , allora parlare con verit e efficacia di s equivale a parlare con verit
e efficacia degli altri, delluomo in genere. Anzi, poich favellar
di s vuol dire ragionare delluomo che si conosce meglio, esso
coincide con il pi veritiero e il pi efficace discorso che si possa fare sulluomo, sulla natura umana. Queste ultime due affermazioni saranno certo memori dellIntroduzione alfieriana alla
Vita, appassionatamente letta da Leopardi nel novembre 1817 e a
sua volta debitrice degli Essais di Montaigne e delle Confessions
roussoviane:
Allo studio dunque delluomo in genere principalmente diretto lo
scopo di questa opera. E di qual uomo si pu egli meglio e pi dottamente parlare, che di s stesso? Quale altro ci vien egli venuto fatto di mag33
Natura e fortuna come le due variabili cruciali dellesistenza umana:
cfr. liscrizione che Filippo Ottonieri detta per la propria tomba (non ignaro della natura / n della fortuna sua: ivi, p. 567).
102
ragionar di s
Passo cui da aggiungersi quello successivo in cui Alfieri rivendica la triviale e spontanea naturalezza dello stile della sua autobiografia, dettata da cuore e non dallingegno. Insomma, lasciato da parte il discorso sullamor di s come nobile fonte della scrittura autobiografica con cui Alfieri apriva la sua Vita, a Leopardi interessa sceverare non lorigine del ragionar di s, ma i pregi artistici che a suo parere ne discendono: originalit dellopera, naturalezza dello stile, verit ed efficacia del contenuto.
Nel passo dellOttonieri poco fa citato merita attenzione anche
la lista degli esempi portati a suffragare quellopinione: lorazione
autodifensiva di Demostene Per la Corona (330 a.C.); le pagine
pi autobiografiche di Cicerone e in particolare nel Pro Milone
(52 a.C.); un luogo autobiografico della secentesca orazione di
Jacques-Bnigne Bossuet per il principe di Cond; il libello Misopongone di Giuliano LApostata, mosso anchesso da un intento
autodifensivo; poi, di nuovo, lApologia di Lorenzino de Medici;
infine Torquato Tasso prosatore in toto in quanto autore molto
autobiografico e soprattutto come epistolografo, veste nella
quale non ragiona, si pu dire, se non de suoi propri casi. Un
aspetto hanno in comune tutti questi esempi, comprese le lettere
di Tasso (loccorrergli spessissimo di difendersi, dice Leopardi
in Zibaldone, 29, lo fece veramente eloquente): la natura apologetica, quel rispondere a una esigenza difensiva e autodifensiva
che una delle pi potenti muse autobiografiche35. Non al puro
piacere di ragionar di s, invocato come ricordava Borsieri nel
primo capitolo delle sue Avventure letterarie da una lunga schiera di scrittori si richiama Leopardi, ma a qualcosa di pi, a un
mettere in gioco se stessi e la propria vita per rivendicare la propria identit misconosciuta.
34
Vittorio Alfieri, Vita, Introduzione (p. 51 delledizione cit.). Le citazioni che seguono, ibidem e p. 49.
35
Cfr. soprattutto la sintesi di Franco DIntino, Lautobiografia moderna,
cit., pp. 67 sgg.
103
104
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36
Cfr. Giacomo Leopardi, Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, in TPP, p. 987: possiamo vedere non so sio dica senza pianto o senza riso o
senza sdegno, scialacquarsi il sentimento cos disperatamente come usa ai tempi
nostri, gittarsi a manate, vendersi a staia; persone e libri innumerevoli far professione aperta di sensibilit; ridondare le botteghe di Lettere sentimentali, e Romanzi sentimentali e Biblioteche sentimentali []?.
37
Cfr. Zib., 64: Molti sono che dalla lettura de romanzi libri sentimentali
ec. o acquistano una falsa sensibilit non avendone, o corrompono quella vera che
avevano.
38
Cfr. Giacomo Leopardi, Discorso sopra lo stato presente dei costumi deglItaliani, in TPP, p. 1023, da cui sono tratte le citazioni.
105
39
Su questo appunto aveva insistito mezzo secolo fa Piero Bigongiari, valorizzandolo per discutere dellimpossibilit romanzesca del poeta di Recanati: cfr.
Piero Bigongiari, Leopardi e la Storia di unanima (1951), in Leopardi, Firenze,
La Nuova Italia, 1976, p. 463.
40
Cfr. Manfredi Porena, Leopardi autobiografo, in Scritti leopardiani, Bologna, Zanichelli, 1959, p. 297 (seguito da Franco DIntino, Introduzione, in SFA,
p. lvii).
106
ragionar di s
dovio sperava e sognava la felicit, e sperando e sognando la godeva, ed passato, n torner mai pi, certo mai pi, che la
fanciullezza41. Sempre, per, nel segno del rifiuto sprezzante di
un uso del parlar di s puramente narcistico, condotto in ossequio
a mero e naturale piacere o a una pur comprensibile esigenza liberatoria42; un uso, questo, che Leopardi censura nellepistolario e
nei Pensieri :
Vedi chio tho scritto pur lungamente, e sempre delle cose mie, dimostrandomi contaminato di quel vizio chio detesto sommamente, e del
quale invero io mi stimo esser netto forse pi che non bisognerebbe con
questa gente con cui si vive43.
Assai difficile mi pare a decidere se sia o pi contrario ai primi principii della costumatezza il parlare di se lungamente e per abito, o pi raro un uomo esente da questo vizio.
Cosa odiosissima il parlar molto di se. Ma i giovani, quanto sono
pi di natura viva, e di spirito superiore alla mediocrit, meno sanno
guardarsi da questo vizio44.
A quanto pare, quello di ragionar di s uno splendido vizio solo in letteratura e soltanto se corroborato da ansia autoconoscitiva (e, pertanto, conoscitiva). Portato nella narrativa, tale
portentoso vizio vorrebbe dire per Leopardi superare in piacevolezza e utilit il romanzo coevo, con le sue affettatezze, la sua
faciloneria, la sua sensibilit falsa. Sul perch quel romanzo o
quella storia della sua vita Leopardi non la scrisse mai, le proposte
non sono mancate, a partire da quella sbrigativa di Giuseppe De
Robertis (Forse perch una, eccelsa, landava componendo nei
41
Giacomo Leopardi a Pietro Giordani, Recanati, 17 dicembre 1819, in Ep.,
i, p. 355.
42
Sebbene una funzione anche liberatoria la svolgano alcuni tra gli scritti autobiografici leopardiani: cfr. Franco Ferrucci, Il sogno del prigioniero, cit., p. 129
e Franco DIntino, Introduzione, in SFA, p. xviii.
43
Giacomo Leopardi a Pietro Giordani, Recanati, 4 agosto 1823, in Ep., i, p. 739.
44
Giacomo Leopardi, Pensieri, xxii e xl, in TPP, pp. 632, 636.
107
108
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Da quel che Leopardi non ha scritto, al terreno un po meno insidioso di quel che ha scritto. Alcuni punti fermi ci sono. Innanzitutto, gli estremi della cronologia: tutti i progetti leopardiani di ricognizione autobiografica si collocano tra la prima, privata sperimentazione diaristica, in concomitanza con levento perturbante
del primo amore (1817), e gli sgoccioli degli anni Venti. Altro
punto fermo sono le molteplici direzioni cui si indirizza il Leopardi degli scritti autobiografici: ora tenendo a modello lAlfieri notomizzatore di s per un coeso e autoanalitico diario di pochi giorni
(Diario del primo amore); ora prendendo appunti per un romanzo
autobiografico per il quale guarda, almeno in parte, alla struttura
epistolare, frammentaria e discontinua, del Werther e dellOrtis (Ricordi dinfanzia e di adolescenza e Supplementi ); ora cimentandosi
con una pseudonima storia della propria anima (Storia di unanima); sempre, in questultimi due casi, pagando lo scotto di non trovare quella soluzione narrativa che dapprima cerca nel romanzo epistolare, poi in un romanzo di taglio storico-soggettivo. Al di l di
queste due diverse ipotesi strutturali, bisogna ricordare che il romanzo dellio inseguito per almeno un decennio (1819-1829) da
Leopardi in quegli anni seme sterile che cade in un terreno coltivato a tuttaltra messe. In particolare, il progetto di una Storia di
unanima si rivela tanto pi significativo se si pensa che lo si trova
nella lettera al Colletta nel marzo 1829: quasi due anni dopo lacclamata uscita della prima edizione dei Promessi sposi (avvenuta, si
ricordi, il 15 giugno 1827) e il conseguente lancio del romanzo storico. Fuori i fatti, la Storia sia essa storia di grandi o di genti meccaniche, tanto a Leopardi non interessa lo stesso , dentro la storia dellio; fuori la storia estrinseca, dentro la storia interna, per
usare la terminologia leopardiana (dal proemio alla Storia di unanima). Insomma: controcorrente rispetto ai modelli di prosa romanzesca disponibili Leopardi si inserito non solo in atto con le Operette morali, ma anche in potenza, accarezzando il sogno di quel romanzo psicologico e antieroico che in Italia ancora non cera.
manzesche, in Atti e Memorie dellAccademia dellArcadia, s. iii, x, 1, 1995-1997,
pp. 125-141 e Leopardi e labbozzo del romanzo, in Giacomo Leopardi, Appunti e
ricordi, cit., pp. 7-39.
109
Non ci si sogna qui di ricomporre la carriera di Leopardi autobiografo e narratore autobiografico incompiuto per desumerne un
volto compiuto. Come non si vuole indugiare in una dettagliata descrizione e interpretazione dei singoli esperimenti leopardiani, di
fronte alla profluvie di letture critiche che illuminano e talvolta
gravano sulle spalle di questi esili bench sintomatici abbozzi e
frammenti. Una volta indicate le direzioni essenziali in cui si muove lo sperimentalismo leopardiano sul fronte delle scritture dellio;
una volta ribadita la posizione originale e avanguardistica dellautore nel panorama narrativo dei suoi giorni, preme piuttosto puntualizzare alcune osservazioni.
2. per il diario del primo amore: leopardi diarista
e alfieri autobiografo
Come sarebbero scritte dallAlfieri, suggeriva Carlo Leopardi nel
tirar fuori dalle carte inedite del fratello quelle pagine di Memorie
sopra pochi giorni della sua prima giovent53, poi note sotto il titolo Memorie o Diario del primo amore. In effetti era impossibile che
a un lettore non del tutto sprovveduto non venisse subito in mente la Vita; figuriamoci a Carlo, in giovent autore, a detta di Giacomo, di versi che hanno moltissimo dellAlfieresco54. Non a caso, negli studi sul Diario, in forza anche dellentusiasmo simpatetico attestato dal sonetto Letta la Vita dellAlfieri scritta da esso 55, la
caccia ai reperti alfieriani divenuta la via pi praticata dopo quella della correlazione con i versi del Primo amore 56. In anni recenti
53
Cfr. la testimonianza di Carlo Leopardi, in Appendice allepistolario e agli
scritti giovanili di G. Leopardi, cit., p. xxxi.
54
Giacomo a Carlo Leopardi, [Roma], 5 febbraio [1823], in Ep., i, p. 646.
55
Su quel sonetto come atto mimetico di schietta e intensa simpatia nei
confronti dellAstigiano, cfr. ora Christian Genetelli, In biasimo della facilit
di rimare. Leopardi, Alfieri e il sonetto, nellopera collettiva Carmina semper et
citharae cordi. tudes de philologie et de mtriques offertes Aldo Menichetti, dites
par Marie-Claire Grard-Zai, Paolo Gresti, Sonia Perrin, Philippe Vernay, Massimo Zenari, Genve, Slatkine, 2000, pp. 495 sgg.
56
Per i debiti lessicali della prosa del Diario con quella della Vita, cfr. so-
110
ragionar di s
111
58
Ivi, pp. 96-97. Ma gi Binni (in Leopardi e la poesia del secondo Settecento,
cit., p. 92) aveva puntato il dito, pur senza indugiare in raffronti testuali, sulla ripresa dello schema scheletrico del primo amoruccio alfieriano nel Diario.
59
Cfr. Patrizia Girolami, Loffice du miroir. Autobiografia, pensiero e poesia nel Diario del primo amore, in La Rassegna della letteratura italiana, s. ix,
ciii, 1, 1999, p. 86 e n.
112
ragionar di s
peggiore dellaltro. Serva questo per prova chio poteva forse ben per lappunto conoscere e giudicare la mia capacit e incapacit letteraria in tutti i suoi punti60.
Lallusione, si sa, conduce ai due giornali redatti tra il novembre 1774 e il febbraio 1775 in francese e, dopo un intervallo, tra
laprile e il giugno 1777 in italiano , non destinati dal loro estensore alla pubblicazione ed editi per la prima volta nel 1861 da Emilio Teza, sebbene in forma incompleta61. questa la pi distesa
delle menzioni che lautobiografo della Vita fa della propria pratica diaristica, ma non lunica. Nel capitolo i dellepoca iii Leopardi
poteva leggere anche che un diario fu tenuto da un giovanissimo
Alfieri nel corso del viaggio in Italia del 1766-1767. Questa volta
linformazione data incidentalmente:
Coi compagni di viaggio si conversava sempre in francese, e cos in alcune case milanesi dove io andava con essi, si parlava pur sempre francese; [] e alcune letteruzze chio andava scrivendo eran pure in francese;
ed alcune memoriette ridicole chio andava schiccherando su questi miei
viaggi, eran pure in francese []62.
Altrettanto incidentale, subito dopo, la precisazione sulla sorte toccata a tali memoriette:
siccome quelle mie sciocche Memorie sul viaggio furono ben presto poi da
me corrette con le debite fiamme, non le rinnover io qui certamente, col
particolarizzare oltre il dovere questi miei viaggi puerili.
113
accorto nellindicare in quellesercizio di scrittura diaristica la precocit dellautoanalisi e un oscuro preludio allopera del futuro
poeta63. Proprio per lautocompiacimento esibito da Alfieri e per
linsistenza su quella giovanile pratica diaristica come strumento di
autoconoscenza e presagio della vocazione letteraria, tali menzioni
possono essere state stimolanti per il Leopardi diciannovenne lettore della Vita, per lappunto dopo poco incappato anchegli nel
suo primo amoruccio e quindi, in concomitanza con quella turbativa esperienza, estensore delle memorie (parola leopardiana)
che chiamiamo Diario del primo amore 64. Questultimo proprio
una specie di diario, privato e circoscritto, per diciferare se stesso con penna, non che col pensiero, come recitava lautobiografia alfieriana. Da garzon di nove / e nove Soli65 pi uno qual ,
Leopardi comincia a scrivere nel mezzo del caos emotivo suscitato
dallarrivo di Geltrude Cassi, per isfogo del cuore e per conoscere se medesimo e le passioni66; riepiloga analiticamente i fatti e
si lancia in una serrata, acuminata vivisezione del proprio cuore;
abbandona la scrittura non appena gli sembra di poter dire poco
[] di nuovo e sente scemare lintensit del turbamento; chiude
le annotazioni chiamandole riduttivamente ciarle (come le memoriette ridicole del giovane Alfieri), e anni dopo, almeno stando
alla gi citata testimonianza del fratello Carlo, le considera da sopprimersi (insomma da correggersi con le debite fiamme, di
nuovo come il giovanile precedente alfieriano).
Ci non toglie che il Diario leopardiano si contraddistingua
63
Arnaldo Di Benedetto, Postfazione, in Vittorio Alfieri, Mirandomi
in appannato specchio, cit., pp. 84, 82 (il saggio ora si legge anche in Arnaldo Di
Benedetto, Le passioni e il limite. Uninterpretazione di Vittorio Alfieri, nuova edizione riveduta e accresciuta, Napoli, Liguori, 1994, pp. 21-35).
64
Cfr. Giacomo Leopardi, Diario del primo amore, in TTP, p. 1099.
65
Come Leopardi si autodefinisce nel Primo amore (vv. 67-68), forse in ottemperanza a certa numerologia stilnovistica (Franco Zabagli, La gigantessa [con
la segnalazione di una fonte latina per gli attributi della Natura nel Dialogo della
Natura e di un islandese], nellopera collettiva Leopardi. Viaggio nella memoria,
Catalogo della Mostra, Recanati, Palazzo Leopardi, 29 giugno-30 ottobre 1998, a
cura di Fabiana Cacciapuoti, Milano, Electa, 1999, p. 135).
66
Cfr. Giacomo Leopardi, Diario del primo amore, in TTP, p. 1099. Le citazioni che seguono, ibidem.
114
ragionar di s
67
Ibidem.
Michele DellAquila, Leopardi. Lamore gli amori, in Le fondazioni del
cuore, cit., p. 78.
69
Giacomo Leopardi, Diario del primo amore, in TTP, p. 1096.
70
Cfr. in particolare le ricchissime note di Franco DIntino in SFA, pp. 3-44 e
le pagine centrali del saggio di Patrizia Girolami, Loffice du miroir, cit., pp. 81-99.
68
115
ti, inseguendo e raggiungendo una prosa analitica, razionale, antiromanzesca (Ma sempre sincerissimamente detestando ogni ombra di romanzeria)71. In fondo, accade qui quel che avviene nello
stesso torno di anni anche per lesercizio del tradurre: la reazione
spontanea di difesa dal turbamento e dalla confusione consiste
nellapplicare alloggetto perturbante i metodi appresi alla scuola
della ragione72; ovvero sondare, registrare, analizzare (il crescendo
leopardiano dellesplorare, notare, e notomizzare73) uno per uno i
sintomi e i decorsi del turbamento, come in una cartella clinica, razionalizzandoli. Da qui quello sdoppiamento del giovane Leopardi in osservatore e oggetto dellosservazione74 che costituisce la cifra peculiare del Diario.
Al di l dei tratti originali dello scritto leopardiano, lideazione
del Diario a ridosso della lettura della Vita non devessere stata casuale, ma i brani che possono esserne il nucleo generatore sono due,
da combinare insieme. La diletta autobiografia alfieriana non forniva al giovane Leopardi solo lappoggio operativo, tematico e ideologico della prosa elencativa del primo amoruccio (ii, 10). Conteneva pure, nella compiaciuta menzione del diario come appannato specchio dellio (iv, 2), linvito a una scrittura diaristica autoanalitica e autoeducativa, da praticarsi in et giovanile, per periodi
circoscritti, per studiarsi e meglio conoscersi. Lautore della Vita deve aver agito s su un piano operativo come modello di notomizzatore scientifico delle proprie passioni, ma anche, a livello pi
profondo, come possente esempio di una giovent caparbiamente e
sintomaticamente ripiegata su se stessa, in un precoce quanto proficuo esercizio diaristico di autoconoscenza. Al diciannovenne lettore della Vita, lesempio alfieriano presentava lautobiografia ov71
Giacomo Leopardi, Diario del primo amore, in TTP, p. 1099 (su cui cfr. le
indicazioni di DIntino in SFA, pp. 42-43, n. 130).
72
Franco DIntino, Introduzione, in Giacomo Leopardi, Poeti greci e latini, a cura di Franco DIntino, Roma, Salerno, 1999, p. xiv.
73
Id, Scene di caccia: analisi di un topos leopardiano, in La Rassegna della letteratura italiana, s. ix, ciii, 1, 1999, pp. 112-131.
74
Cfr. Sergio Solmi, Introduzione ai Pensieri e alle Memorie del primo
amore, cit., p. 118. Ma si veda anche Alberto Folin, Esperienza della perdita e
malinconia, cit., pp. 80 sgg.
116
ragionar di s
75
117
lebrata e levata al cielo, non dir da tutti, ma, se non altro, dal piccolo numero dagli uomini di buon giudizio. Il che comporta anche il privilegio di godere di uno stuolo di accaniti biografi:
E forse le ceneri della persona nella quale tu sarai dimorata, riposeranno in sepoltura magnifica; e le sue fattezze, imitate in diverse guise, andranno per le mani degli uomini; e saranno descritti da molti, e da altri
mandati a memoria con grande studio, gli accidenti della sua vita.
77
118
ragionar di s
119
fugacemente giacch il ricordo conservato nella mente e deve essere solo fatto affiorare: insomma, un promemoria per rammentarsi al momento opportuno, cio nellatto di stendere un romanzo
autobiografico, di servirsi di determinati ricordi che fanno parte di
un patrimonio interiore consolidato. Daltro canto, frammentariet, intermittenza, impressionismo, lirismo sono caratteristiche
dellabbozzo che la forma romanzesca di tipo epistolare o parzialmente epistolare verso cui Leopardi sembra indirizzarsi avrebbe
consentito di salvaguardare almeno in parte. Quanto alla fisionomia del romanzo, quale dovesse essere nelle intenzioni dellautore,
il poco che si pu dire senza allontanarsi dal testo stato detto83. A
un short, lyrical, nonretrospective novel84 come il Werther e come
lOrtis pensava Leopardi, assumendone almeno a tratti la forma epistolare, come indicano alcune allusioni esplicite85. Per lesattezza, la
stessa forma epistolare monologica (non vi sono cenni a lettere di
corrispondenti) e non priva di elementi diaristici che la novit dei
romanzi di Goethe e di Foscolo rispetto agli schemi settecenteschi
del genere86. In pi, con quella disponibilit inclusiva ch tipica sia
del romanzo epistolare che dellautobiografia: in Leopardi si affaccia lidea di inserire i propri scritti giovanili (si pu portare il mio
primo sonetto) e le proprie lettere, quelle dove pi parlava di s
(come apparisce da una mia lettera al Giordani)87. A conferma di
83
Cfr. Angelo Monteverdi, Gli Appunti e ricordi, cit.; Danilo Bianchi,
Leopardi romanziere, in Giornale storico della letteratura italiana, lxxviii, 1921,
pp. 274-287; Manlio Dazzi, Leopardi e il romanzo, cit.; Fernando Figurelli, Gli
Appunti e ricordi del Leopardi, in La Rassegna della letteratura italiana, lx, 34, 1956, pp. 473 sgg.
84
H. Porter Abbott, Diary fiction. Writing as action, Ithaca and London,
Cornell University Press, 1984, p. 34.
85
Per fare un esempio: scrisse [] o dett al suo amico questultima lettera (Giacomo Leopardi, Ricordi dinfanzia e di adolescenza, in TPP, p. 1103).
86
Sul monologismo assoluto che caratterizza il Werther e lOrtis, cfr. Ulla
Musarra-Schroder, Narciso e lo specchio, cit., pp. 50-51.
87
Giacomo Leopardi, Ricordi dinfanzia e di adolescenza, in TPP, pp. 1103,
1102. Lo stesso meccanismo inclusivo compare nel Werther e nellOrtis particolarmente l dove lamico-editore prende la parola e prosegue la narrazione inserendo
altre lettere del protagonista, i suoi appunti e cos via (nel caso del romanzo di
Goethe, anche le prose liriche nello stile di Ossian composte e lette da Werther a
120
ragionar di s
questipotesi di struttura, sta anche la tessitura dellabbozzo, condotta in prima persona, mentre la terza si affaccia unicamente in
concomitanza della morte del protagonista. lepisodio che, qualunque forma epistolare e/o diaristica Leopardi avesse voluto
dare al romanzo, sarebbe stato raccontato da un depositario vivo
delle carte delleroe morto, analogamente a quanto avveniva, per ovvie ragioni, nel Werther e nellOrtis:
apr la finestra ec. era lalba ec. ec. non aveva pianto nella sua malattia se
non di rado ma allora il vedere ec. per lultima volta ec. comparare la vita della natura e la sua eterna giovinezza e rinnuovamento col suo morire
senza rinnovamento appunto nella primavera della giovinezza ed. pensare che mentre tutti riposavano egli solo, come disse, vegliava per morire
ec. tutti questi pensieri gli strinsero il cuore in modo che tutto sfinito cadendo sopra una sedia si lasci correre qualche lagrima n pi si rialz ma
entrati ec. mor senza lagnarsi n rallegrarsi ma sospirando comera vissuto, non gli mancarono i conforti della religione chegli chiamava (la cristiana) lunica riconciliatrice della natura e del genio colla ragione per
laddietro e tuttavia (cove questa mediatrice non entra) loro mortale nemica, (dove ho qui sopra, come disse, bisogna notare chio allora lo fingo
solo) scrisse (o dett) al suo amico questultima lettera (muoio innocente
seguace ancora della santa natura ec. non contaminato ec.)88.
La pagina presuppone un narratore onnisciente ed esterno, come richiede la finzione esplicita: bisogna notare chio lo fingo solo. Di nuovo come gi il Werther e lOrtis, anche labbozzo romanzesco leopardiano contemplava scene in cui la finzione epistolare si dissolveva e il punto di vista mutava radicalmente, passando
dalla soggettivit alloggettivit; un passaggio alla terza persona che
diventa scelta deliberata nei due supplementi89.
Lotte [libro ii]). Sulla facilit con cui lautobiografia accoglie altri generi, in particolare pagine epistolari e diaristiche, cfr. soprattutto Andrea Battistini, Il superego dei generi letterari, in Lo specchio di Dedalo, cit., pp. 175, 186-187 e Franco
DIntino, Lautobiografia moderna, cit., p. 100.
88
Giacomo Leopardi, Ricordi dinfanzia e di adolescenza, in TPP, pp. 1102-1103.
89
Cfr. Id., [Supplemento] alla vita del Poggio e [Supplemento] alla vita abbozzata di Silvio Sarno (di Ruggiero, o Ranuccio, Vanni da Belcolle), ivi, p. 1006.
Delloscillazione tra soggettivit e oggettiva nei Ricordi offre una sintetica e lu-
121
Se solo parzialmente intuibile la struttura che Leopardi intendeva dare al proprio romanzo autobiografico, agevolmente sondabile la materia prescelta. Basta seguire il dipanarsi degli appunti: a
cenni di autoritratto morale che coinvolgono i pi gran tratti del
suo carattere90, costanti imprescindibili del proprio universo interiore, si affiancano, per associazione mentale, note psicofisiche di tipo mobile91, perch si articolano su due piani temporali, infanzia
ed et adulta, e vanno a istituire un rapporto di continuit (o di discontinuit) tra lio del passato e lio del presente. Si tratta, insomma, di costruire lio protagonista, dargli un volto interiore plasmandolo su materiali interamente autobiografici (sebbene spesso
mediati attraverso la proprie letture, in particolare, di nuovo, da Alfieri)92: non a caso molti di questi appunti sono vicini a quelli dello Zibaldone rubricati sotto il titolo Memorie della mia vita 93. Andando avanti, predomina piuttosto una materia aneddotica (suggestioni, fugaci accensioni del ricordo, amori infantili, minime esperienze, esili trame legati a personaggi come Teresa e la Brini, composizioni, letture), di nuovo secondo associazioni mentali solo parzialmente ricostruibili94. E sono ricordi che appartengono per lo pi
cida ricostruzione Gino Tellini, Il romanzo italiano dellOttocento e del Novecento, cit., pp. 29-30. Sul paradosso dellautobiografia in terza persona, mi limito a
segnalare i contributi di Philippe Lejeune, Autobiography in third person, in
New literary history, ix, 1, 1977, pp. 27-50, e Je est un autre. Lautobiographie de
la littrature aux mdias, Paris, Seuil, 1980, e alcune pagine di Jean Starobinski,
Le style de lautobiographie, in Potique, i, 3, 1970, pp. 257-265 (poi in Loeil vivant II. La relation critique, Paris, Gallimard, 1970, pp. 83-98; trad. it., in Locchio
vivente. Studi su Corneille, Racine, Rousseau, Stendhal, Freud, Torino, Einaudi,
1975, pp. 204-216).
90
Giacomo Leopardi, Ricordi dinfanzia e di adolescenza, in TPP, p. 1100.
91
Cfr. SFA, p. 47, n. 5.
92
Sui numerosi richiami a motivi e luoghi alfieriani, alcuni dei quali peraltro comuni anche allOrtis, cfr. Franco DIntino, Da Alfieri a Leopardi, cit.,
pp. 100-102.
93
Della contiguit tra gli appunti dei Ricordi e quelli delle Memorie zibaldoniane rende ineccepibilmente conto DIntino in nota (cfr. ivi, p. 45, n. 2; p. 48, n.
7; p. 55, n. 30; p. 71, n. 77). Sullesclusione di un ritratto anche fisico del protagonista per ragioni di strategia romanzesca, cfr. ivi, pp. 48-49, n. 8.
94
E quando ricostruibili, sagacemente documentate da DIntino in nota:
cfr., a titolo desempio, ivi, p. 62, n. 53.
122
ragionar di s
alla famiglia privilegiata delle rimembranze lontane, di cui Leopardi scriver nello Zibaldone il 7 ottobre 1821:
Del resto la rimembranza quanto pi lontana, e meno abituale, tanto pi innalza, stringe, addolora dolcemente, diletta lanima, e fa pi viva, energica, profonda, sensibile e fruttuosa impressione, perch essendo
pi lontana, pi sottoposta allillusione; e non essendo abituale n essa
individualmente, n nel suo genere va esente dallinfluenza dellassuefazione che indebolisce ogni sensazione (Zib., 1860-1861, 7 ottobre 1821).
95
Sulla funzione pionieristica delle Confessions di Rousseau per lingresso
trionfale dellinfanzia nellautobiografia, cfr. Francesco Orlando, Infanzia,
memoria e storia da Rousseau ai romantici, cit., pp. 3 sgg., 13-40, ma anche Philippe Lejeune, Je est un autre, cit., pp. 10-31; Richard N. Coe, When the grass
was taller, cit., e la sintetica ricostruzione di Franco DIntino, Lautobiografia
moderna, cit., pp. 198 sgg., che cita, tra laltro, lesempio dellautobiografia di
Monaldo Leopardi, significativamente in ritardo rispetto alle tendenze coeve:
Credo che linfanzia mia niente offrisse di singolare, come non loffre ordinariamente linfanzia degli altri uomini (Monaldo Leopardi, Autobiografia e
dialoghetti, a cura di Anna Briganti, Bologna, Cappelli, 1972, p. 61). Sullimmagine dellinfanzia nella Vita alfieriana, cfr. soprattutto Arnaldo Di Benedetto, Ein Heldenleben: linfanzia e limmagine delluomo nella Vita, in Vittorio
Alfieri. Le passioni e il limite, Napoli, Liguori, 1987, ora in Le passioni e il limite, cit., pp. 135-150.
96
Vittorio Alfieri, Vita, i, 5 (p. 64 delledizione cit.). Non v certezza, invece, che Leopardi conoscesse le Confessions di Rousseau: cfr. infra, p. 132, n. 124.
123
meccanismo per cui nelle prime pagine della Vita, Alfieri si dilunga su di s omiccino per rintracciarvi indizi delluomo futuro.
Sempre per quando riguarda la materia prescelta, fin troppo
facile, ricorrendo a una delle griglie tematiche stilate in sede teorica per il genere autobiografico, individuare nei Ricordi dinfanzia e
di adolescenza alcuni topoi dellautobiografia moderna97. Pochi, per
la verit, e tutti appartenenti a un ambito emblematico-esistenziale: senzaltro quello fin troppo lacaniano dello specchio98 e il
momento metafisico di contemplazione della natura99. Alcuni altri punti fermi dordine contenutistico, poi, si possono fissare: come la quasi totale assenza di riferimenti alla propria attivit intellettuale, in favore della vita interiore100. L dove pure confluiscono
ricordi delle proprie letture, questultime sono allineate alle esperienze di vita vissuta, messe sullo stesso piano per le sensazioni cui
sono agganciate e per lessere sintomatiche del carattere dellio protagonista. Non a caso sono letture che tutte o quasi hanno pi di
una occorrenza in Leopardi. Baster un esempio particolarmente
significativo: Lettura di Virgilio e suoi effetti, notato quel passo
del canto di Circe come pregno di fanciullezza mirabile e da me
amato gi da scolare, dove quel passo del canto di Circe sono i
versi di Eneide, vii, 8-16 che vengono citati anche nel Discorso di
un italiano sulla poesia romantica [] come esempio di sentimentale antico e nello Zibaldone (1930, 16 ottobre 1821) e che,
97
Cfr. Franco Fido, I topoi del soggetto, cit., pp. 171 sgg., da cui sono tratte le citazioni che seguono.
98
Cfr. Giacomo Leopardi, Ricordi dinfanzia e di adolescenza, in TPP, p.
1001, dove il Leopardi ventunenne si specchia in un ritratto, oggi perduto, di s
fanciulletto. Su di esso come ritratto ideale, immagine di s in cui [Leopardi]
si riconosce, si piace, cfr. ora Stefano Ferrari, La psicologia del ritratto nellarte
e nella letteratura, Roma-Bari, Laterza, 1998, p. 111.
99
Cfr. Giacomo Leopardi, Ricordi dinfanzia e di adolescenza, in TPP, p.
1001: descriz. della veduta che si vede dalla mia casa le montagne la marina S. Stefano e gli alberi da quella parte con quagli strabelli ec., mie meditazioni dolorose
nellorto o giardino al lume della luna in vista del monastero deserto.
100
Non mancano, vero, accenni a studi o piuttosto a letture isolate [],
ma sono scarsissimi, occasionale, fugaci, privi di autonomia e quasi soltanto in
funzione degli stati danimo che loro furono [] congiunti (Fernando Figurelli, Gli Appunti e ricordi del Leopardi, cit., p. 474).
124
ragionar di s
per finire, lasceranno tracce evidenti nella Vita solitaria, vv. 6366, e pi labili in A Silvia, vv. 9-10, 21-22101.
Dati fermi, infine, sono anche gli espliciti rimandi dautore al
Werther e allOrtis. I due romanzi giunta lora di dirlo Leopardi li trovava nella biblioteca paterna, rispettivamente, nella traduzione italiana Verter. Opera originale tedesca del celebre signor
Goethe trasportata in italiano dal D[ottor] M[ichelangelo] S[alom],
Venezia, Giuseppe Rosa, 1796102 e nella ristampa Ultime lettere di
Jacopo Ortis, Napoli, presso Gennaro Reale, 1811 e li leggeva, pi o
meno simultaneamente103, in quelle edizioni: per la ristampa dellOrtis testimonia infatti Zibaldone, 58 (dove Leopardi appunta
ediz. di Napoli 1811), per la traduzione del Werther i Ricordi stessi104. Avventurandosi nel terreno ancora insondato del romanzo,
101
125
Leopardi cerca le coordinate nel romanzo di Goethe, di cui ricorda a se stesso la descrittiva lett. 3, del 12 maggio 1771 e di cui pensa addirittura di ricalcare il finale105. Non poteva essere altrimenti,
se il Werther citato pi volte con piena adesione sentimentale nello Zibaldone 106. Quasi in egual misura, gli spunti gli vengono anche dal romanzo di Foscolo, per cui Leopardi rimanda se stesso alla parte finale della celebre lettera del 25 maggio 1798 (Eppur mi
conforto nella speranza di esser compianto) e a quella del 4 dicembre 1798 (in cui Jacopo Ortis racconta il colloquio con Parini)107. Tutti appunti bibliografici a uso e consumo dellaspirante
romanziere che coinvolgono singoli aspetti tematici e momenti
staccati del discorso romanzesco.
Leopardi ambiva dunque a un romanzo introspettivo che lo inseriva nella scia del Goethe wertheriano e del Foscolo ortisiano108.
105
Cfr. Giacomo Leopardi, Ricordi dinfanzia e di adolescenza, in TPP, pp.
1004, 1005.
106
Cfr. soprattutto Zib., 56 (questi piccoli diletti [] ci appagano meglio
che qualunque altro come dice Verter); 57 (circa le immaginazioni de fanciulli
comparate alla poesia degli antichi vedi la verissima osservazione di Verter); 64
(nellamore la disperazione mi portava pi volte a desiderar vivamente di uccidermi: [] mi parea di sentire che quello mi sorgea cos tosto perch dalla lettura recente del Verter, sapevo che quel genere di amore ec. finiva cos, in somma la
disperazione mi portava l); 261-262 (5 ottobre 1820: Io so che letto Verter mi sono trovato caldissimo nella mia disperazione). Viceversa, anni dopo, nella lettera
a Francesco Puccinotti, Bologna, 5 giugno 1826, Leopardi sar aspramente critico
verso le Memorie del Goethe (cfr. Ep., i, p. 1174).
107
Cfr. Giacomo Leopardi, Ricordi dinfanzia e di adolescenza, in TPP, p. 1004.
Parimenti, in Zib., 58 (lunica menzione nellOrtis nello Zibaldone), Leopardi annota: Per unOde sullItalia pu servire quel pensiero di Foscolo nellOrtis lett. 19 e 20
Febbraio 1799, p. 200. ediz. di Napoli 1811. Per la presenza foscoliana in Leopardi,
cfr. le indicazioni bibliografiche in Emilio Giordano, Foscolo nello Zibaldone di
Leopardi, cit., p. 783, n. 4 (cui da aggiungere il poco significativo volumetto di Ernesto Guidi, Leopardi e lOrtis, Genova, Emiliano degli Orfini, 1947).
108
vero che nel Werther c uno sfondo sociale che non interessa a Leopardi, anche se sia detto qui per inciso lavvertimento wertheriano che lautenticit [] dalla parte della realt contadina e popolare, simboleggiata dalla natura, dalle ragazze alla fonte, dai bambini, e persino del povero demente che gli avviene di incontrare (Franco Fortini, Introduzione, in Johann Wolfgang
Goethe, I dolori del giovane Werther, introduzione di Franco Fortini, trad. di Aldo Busi, Milano, Garzanti, 1967, 19869, p. xiv) avvertimento che genera una vi-
126
ragionar di s
Ma per contro a questi stessi referenti, spicca lassenza di una trama portante: gli appunti leopardiani si disperdono in aneddoti e
note introspettive staccate e si coagulano soltanto intorno allinteriorit del protagonista, per lampi, per affondi introspettivi acuminati, certo come solo una struttura narrativa per frammenti diaristici e/o epistolari, tra i modelli allora esistenti, pu consentire.
In pi, viene scartato uno snodo romanzesco cruciale come il suicidio, giacch il suo Lorenzo (poi Silvio) Sarno Leopardi intendeva farlo morire per malattia, dopo un suicidio solo pensato. Il che
indica una pista antieroica tuttaltro che scontata nel panorama
narrativo primottocentesco109. Il pi wertheriano e ortisiano dei
progetti romanzeschi leopardiani non sono allora i Ricordi, quanto quella coeva Storia di una povera Monaca... dove il suicidio
non solo veniva accolto come soluzione narrativa, ma addirittura
era tematizzato. Nei Ricordi labili sono le componenti romanzesche, tanto pi al cospetto di quelle diaristico-autobiografiche: la
qualit romanzesca dellabbozzo emerge soprattutto dalla convivenza di tempo narrato e tempo narrante e dalla presenza di un
intermittente piano dialogato, quale emerge, per esempio, in una
delle pi vivaci sequenze dei Ricordi, quella della lucciola110.
Tutto, insomma, pende verso le avventure interiori, minime e
antieroiche, a scapito di quelle esteriori. Le novit del libro autobiografico che Leopardi per anni sogna di approntare stavano qui.
Se lo lasciano intravedere i Ricordi, con i loro appunti che indulgono al ritratto interiore e sono refrattari a qualunque organicit e
con gli accenni alla morte naturale del protagonista, lo conferma
esplicitamente la Storia di unanima, che sbandiera la novit della
materia fin dallinizio. Quel che abbiamo infatti altro non che il
lapidario avvio di una nuova pseudonima autobiografia interiore.
sione idillica di quel mondo lo stesso che si ritrova nel Leopardi di alcune lettere, come per esempio quella celeberrima sulla tomba del Tasso (Giacomo a Carlo Leopardi, [Roma], 20 febbraio [1823], in Ep., i, pp. 653-664).
109
Cfr. Gino Tellini, Il romanzo italiano dellOttocento e del Novecento, cit.,
p. 29.
110
Cfr. Giacomo Leopardi, Ricordi dinfanzia e di adolescenza, in TPP, p. 1105
(e, in proposito, Emilio Pasquini, Leopardi 1819, cit.).
127
111
112
113
Id., Storia di unanima, ivi, p. 1106. La citazione che segue, ivi, pp. 1105-1106.
Cfr. Franco DIntino, Lautobiografia moderna, cit., p. 46.
Id., Da Alfieri a Leopardi, cit., p. 110.
128
ragionar di s
Autore, perch personaggio di rilievo storico che ha lasciato sulla terra qualche vestigio durevole per il quale debbano gli uomini desiderare di aver notizia dellessere, dei costumi e dei casi
suoi (cos Alfieri nella sua Introduzione). Adesso tocca allaltro luogo comune dellautobiografia, let:
E per questo medesimo mi risolvo ora di por mano a descrivere la mia
vita, perch quantunque in et di ventisette anni, e per giovane di corpo, mi avveggo nondimeno che lanimo mio, consumata gi, non solo la
giovinezza, ma eziando la virilit, scorso anche molto avanti nella vecchiaia, dalla quale non essendo possibile tornare indietro, stimo che la mia
vita si possa ragionevolmente dire quasi compiuta, non mancando altro a
compierla che la morte, la quale, o vicina o lontana che ella mi sia, certo,
per quel che appartiene allanimo, non mi trover mutato in cosa alcuna
da quella che io sono al presente.
La scelta di scrivere da giovane, a ventisette anni, per un autobiografo quanto meno singolare. Lo sa bene Leopardi-Giulio
Rivalta, che infatti si giustifica ampiamente. noto che sono rare le autobiografie scritte da persone giovani, perch comune
lintenzione (pi o meno esplicita) di tirare finalmente le fila della propria vita, di fare il punto su se stessi114, obiettivo cui si presta particolarmente let avanzata: statistiche alla mano, la tendenza quella di aspettare la soglia dei cinquanta anni115. Poche
le eccezioni. Per restare in Italia, dalla media esuler Saba nella sua
Autobiografia poetica, e per una ragione molto leopardiana: si
114
129
130
ragionar di s
sventura grave ed amara fra tutte laltre, e forse pi grave ed amara a chi
sia dalle altre parti meno sventurato; cio della decadenza o della fine della cara sua giovent119.
Il Pensiero xlii, com noto, il distillato cristallino di un appunto riflessivo che Leopardi aveva steso, ventisettenne, nellottobre 1825 e intorno a cui aveva cominciato a meditare da qualche
tempo120. Linvecchiamento, insomma, incomincia nelluomo anche prima dei trentanni (Zib, 4130, 5-6 aprile 1825) e Giulio Rivalta ha bruciato particolarmente le tappe, scorrendo anche molto avanti nella vecchiaia. Il che lo mette interiormente sullo stesso piano dei suoi colleghi autobiografi det avanzata e gli consente di dare per definitiva la propria prospettiva di oggi, di dare compiutezza alla sua incompiuta parabola biografica, di trasformare,
come accade in tutte le autobiografie, il non finito della vita in finito. Per usare unespressione foscoliana, nel non-leggibile scartafaccio del fato suo121 non ci possono essere sorprese significative;
il che per Leopardi vuol dire sorprese come si legge nel Proemio
per quel appartiene allanimo.
Per quel appartiene allanimo, appunto. Accanto alle due novit che s detto (lautobiografo Giulio Rivalta un uomo comune, anzi un fallito, e ha appena ventisette anni), novit preliminari e di ordine extratestuale, nel Proemio della Storia di unanima se
ne staglia una terza. Lultima rivoluzione del manoscritto autobiografico che Leopardi finge di ritrovare e pubblicare sta nella materia ed anticipata dal titolo, al punto tale che chi scrive avverte il
bisogno di spiegarlo:
Intitolo questo mio scritto, istoria di unanima, perch non intendo
narrare se non i casi del mio spirito, e anche non ho al mio racconto al-
119
131
tra materia, perocch nella mia vita niun rivolgimento di fortuna ho sperimentato fin qui, e niuno accidente estrinseco diverso dallordinario n
degno per se di menzione122.
Il titolo Storia di unanima che ha incantato generazioni di leopardisti, pronti ad adottarlo soprattutto per le lettere, indicate proprio come quellautobiografia interiore che lautore non ha mai scritto123 prelude a una materia nuova: dalle avventure estrinseche ai
casi dello spirito, per scelta deliberata e, dice Giulio Rivalta, per
causa di forza maggiore. Sarebbe gi una discreta novit questo annullamento di una griglia fattuale esterna (e romanzesca: rivolgimento di fortuna, accidenti estrinseci diversi dallordinario). Ci si
aggiunga che neanche tali casi dello spirito sono fuori del comune, come richiederebbe un romanzo pur introspettivo: N pure i
casi che narrer del mio spirito, credo gi che sieno n debbano parere straordinari. Dove sta allora linteresse di questa storia che ribalta polemicamente tutti i punti di forza intreccio romanzesco,
importanza pubblica del protagonista o comunque eccezionalit della sua statura morale dellautobiografia e della narrativa contemporanea, compresa quella individualistica-introspettiva ma pur sempre eroica alla Werther e alla Ortis? Nel suo spessore conoscitivo:
ma pure con tutto questo mi persuado che agli uomini non debba essere
discara n forse anche inutile questa mia storia, non essendo n senza piacere n senza frutto lintendere a parte a parte, descritte dal principio alla
fine per ordine, con accuratezza e fedelt, le intime vicende di un qualsivoglia animo umano.
Dietro, trattandosi di Leopardi, c la legittimazione dello studio della pianta-uomo a partire dalla propria autoanalisi invoca122
Giacomo Leopardi, Storia di unanima, in TPP, p. 1106. Le citazioni che
seguono, ibidem.
123
Cfr. almeno lintervento di Giuseppe De Robertis, Le lettere come storia
dun anima (1933), in Saggio sul Leopardi, cit., pp. 55-65 e le antologie Storia di
unanima. Lettere scelte dallepistolario, a cura di Irene Riboni, Milano, Vallardi,
1935 e Storia di unanima. Scelta dallepistolario, a cura da Ugo Dotti, Milano, Rizzoli, 1982.
132
ragionar di s
to a suo tempo nellIntroduzione alla Vita alfieriana; quello spostarsi dellottica dal piano strettamente personale a quello generale
che lAstigiano trovava gi nellouvrage utile [] pour ltude des
hommes di Rousseau. Gi, Rousseau. Le Confessions erano presenti nella biblioteca di Recanati nelledizione in lingua enrichie
dun nouveau recueil de ses lettres [1786-1790], Londres, 10 voll.:
un testo la cui lettura non peraltro attestata da alcun scritto leopardiano124. A poterlo documentare, le Confessions sarebbero certo
il subtetso o il referente pu opportuno da citare insieme alla Vita. La Storia di unanima non sarebbe stata unautobiografia dellagire come quella alfieriana; piuttosto, unautobiografia dellessere come quella roussoviana, in cui linteriorit prevarica ogni altro aspetto125. Ma c anche un altro aspetto da tenere presente. Secondo il Gozzi delle Memorie inutili 126, degli utili specchi desempio alla posterit volevano offrire gli zelanti che si accingevano a divenire biografi delle imprese considerabili dei grandi
santi, soldati, giurisconsulti, filosofi o letterati che siano : lequazione considerabile-utile e non considerabile-inutile, com
noto, si ribalta solo da Rousseau in poi.
Nel Proemio leopardiano, allautore di questa storia per niente
romanzesca e antieroica resta da mettere le mani avanti di fronte a
una eventuale accusa di vanitosa immodestia, altro tarlo dei suoi
colleghi autobiografi. Giacomo Leopardi alias Giulio Rivalta si
barrica dietro il vero e annuncia che non far la propria autoapologia ma dir del suo spirito il male e il bene indifferentemente. Il Proemio si chiude allora sulla dolente applicazione autobio-
124
Punti di contatto tematici e testuali tra le pagine liminari delle Confessions
e il Proemio della Storia di unanima sono indicati in Emilio Giordano, Dai Ricordi dinfanzia e di adolescenza alle Ricordanze: il linguaggio e i percorsi dellautobiografia, in Lettere italiane, xlvii, 1, 1995, pp. 112-113. Viceversa, DIntino prudentemente ammonisce che nulla di preciso sappiamo, allo stato attuale degli studi, su una eventuale lettura delle Confessions da parte di Leopardi (Franco DIntino, Da Alfieri a Leopardi, cit., p. 107).
125
Cfr. Paola Luciani, Autobiografia dellessere e autobiografia dellagire,
cit., p. 306.
126
Cfr. Carlo Gozzi, Memorie inutili, a cura di Giuseppe Prezzolini, Bari,
Laterza, 1910, i, p. 21.
133
grafica del finale steso lanno prima per il Dialogo della Natura e di
unAnima :
Non avendo in questo mio scritto a seguitare altro che il vero, dir del
mio spirito il male e il bene indifferentemente: ma perciocch molti sono
cos delicati e teneri che si risentono per ogni menoma parola che essi credano risultare in lode di chi la scrisse; a questi tali ed a chiunque fosse per
giudicare che io avessi nella presente storia trasandati i termini della modestia, voglio per loro soddisfazione e contento, e per segno della opinione che io ho di me stesso, protestare in sul bel principio che io, considerata gi da gran tempo bene e maturamente ogni cosa, stimerei fare un infinito guadagno se potessi (e potendo, non mancherei di farlo in questo
medesimo punto) scambiare lanimo mio con qual si fosse tra tutti il pi
freddo e pi stupido animo di creatura umana127.
127
Giacomo Leopardi, Storia di unanima, in TPP, p. 1106. Si rammenti la richiesta dellAnima nel Dialogo della Natura e di unAnima (scritto tra il 9 e il 14
aprile 1824): Dunque alluogami, se tu mami, nel pi imperfetto [di tutti i viventi]: o se questo non puoi, spogliata delle funeste doti che mi nobilitano, fammi
conforme al pi stupito e insensato spirito umano che tu producessi in alcun tempo (ivi, p. 515).
128
Id., Storia di unanima, ivi, p. 1106.
134
ragionar di s
129
135
136
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133
Giacomo Leopardi, Detti memorabili di Filippo Ottonieri, in TTP, p. 556.
Per riscontri nellepistolario, si veda almeno quel che Leopardi scriveva a Giordani sin dal 5 dicembre 1817: In Recanati poi io son tenuto quello che sono, un vero e pretto ragazzo, e i pi ci aggiungono i titoli di saccentuzzo di filosofo deremita e che so io (Ep., i, p. 165).
134
Emanuele Trevi, Leopardi prosatore, in TPP, p. 479.
137
135
136
138
ragionar di s
Rispondendo, Leopardi si dimostra refrattario alla pubblicazione delle sue lettere private, non per problemi di ordine stilistico o
per scetticismo sul loro valore letterario, ma per la materia autobiografica, ancorata a persone reali e a vicende troppo recenti:
Io la ringrazio di cuore dellaffetto che V. S. mi dimostra consigliandomi graziosamente di pubblicare un tomo di lettere. Io non so se ella intenda delle gi fatte, o di altre da farsi a posta perch le gi fatte, quantunque io ne abbia in qualche numero scritte con una certa attenzione,
non so se quelli a cui le ho indirizzate mi saprebbero buon grado sio le
pubblicassi. E generalmente suol esser pericoloso il pubblicar le lettere
troppo recenti, o a motivo delle persone che vi si nominano, o per altri rispetti. N la mia et mi permette di averne se non di recenti138.
Per la cronaca, Brighenti non si arrende e ritorna sulla sua proposta specificando i suoi intenti e suggerendo a Leopardi di aggirare lostacolo:
Riguardo alle Lettere che io proposi, chElla volesse pubblicare potrebbono essere tanto delle gi scritte, quanto di altre chElla appostata137
Pietro Brighenti a Giacomo Leopardi, Bologna, 1 giugno 1820, in Ep., i,
p. 409. Qui di seguito riprendo alcune considerazioni sulle riserve espresse da Leopardi intorno alla pubblicabilit delle proprie lettere private che ho gi svolto in
La stanza silenziosa. Studio sullepistolario di Leopardi, Firenze, Le Lettere, 2000,
pp. 251-253.
138
Giacomo Leopardi a Pietro Brighenti, Recanati, 9 giugno 1820, in Ep., i,
pp. 410-411.
139
mente si volesse dare la pena di scrivere, e riguardo alle prime, chi sa, che
Ella non potesse ridurle in guisa da non dispiacere alle persone che vi si
nominano139.
140
ragionar di s
ricerca di una soluzione narrativa: nellabbozzo romanzesco dei Ricordi, il pi corposo tra gli esperimenti autobiografici, il percorso
narrativo sembra non attrarre linteresse dellautore e fatti e figure
del passato sfumano in evocazione o riflessione piuttosto che essere momenti di un racconto; cadono le istante mimetiche e realistiche del progetto autobiografico e si riconosce allautore piuttosto
la disposizione a cogliere la vita non nel continuo del narrato ma
nei frammenti di una proiezione immaginativa140.
Anche l, nei Ricordi, veniva fuori soprattutto la storia di unanima, ma per frammenti staccati e dislocati in lettere e in sequenze diaristiche. L avrebbe potuto trovarci posto, per esempio,
la storia di una passeggiata: storia che da sola, dieci anni dopo,
costituisce uno dei disegni letterari leopardiani. stato detto che
lesito finale della poetica autobiografica leopardiana, sar, dieci
anni dopo la Vita abbozzata [i Ricordi dinfanzia e di adolescenza],
la poesia al tempo stesso narrativa e frammentaria di A Silvia e delle Ricordanze 141. Lesito finale compiuto; ma tra i progetti sono
tracciate anche altre strade.
Sulla linea della dissoluzione dellautobiografia nel frammento
stanno anche alcuni tra gli ultimi Disegni letterari : i frammenti
narrativi promessi da titoli quali Storia di un giorno, o delle disavventure di un giorno della propria vita e Storia di una passeggiata,
due disegni ascrivibili rispettivamente al 1825 e al 1829. Questi
per quel che un titolo pu dire da solo danno ragione a chi scorge in Leopardi lo slittamento dallautobiografia al frammento: si
configurano come il pi coerente sviluppo in prosa dei germi contenuti negli appunti dei Ricordi, perch vanno in direzione dellisolamento di singoli e minimi momenti della propria vicenda: la
storia [] di un giorno della propria vita, o quella di una passeggiata. Di nuovo la parola storia, a ribadire il carattere narrativo del disegno, ma con una specificazione che la circoscrive a un
minimo tassello dellesistenza. Insomma, se si vuol tracciare un
percorso della poetica autobiografica leopardiana, il suo punto
140
141
141
In fondo, anche la celeberrima lettera romana sulla visita al sepolcro di Tasso non che la storia di una passeggiata144. Se per il
suo maestro di giovent, Alfieri, la passeggiata il momento della
142
In Ep., i, p. 1004.
Ivi, ii, p. 1459.
144
Si allude naturalmente alla lettera a Carlo Leopardi, Roma, 20 febbraio
1823, in Ep., i, pp. 653-654, il capolavoro romano di Leopardi secondo Binni (cfr.
Walter Binni, La lettera del 20 febbraio 1823 [1963], in La protesta di Leopardi, Firenze, Sansoni, 1973, p. 267).
143
142
ragionar di s
vita di fuori145, per Leopardi, avvenga essa in un paesaggio naturale (le campagne di Bologna) o cittadino (le strade di Pisa), , al
contrario, il trionfo della vita interiore, lapice di quella solitudine effettiva celebrata in una lettera giovanile al fratello come
compagnia effettiva, compagnia [] del proprio cuore146. Due
preziosi regali rimembranza e sogno a occhi aperti offrono
le passeggiate solitarie a Leopardi, perch costituiscono uno dei
momenti pi propizi per cogliere le analogie tra luoghi diversi,
dunque per essere assaliti dal ricordo. Passeggiare il momento in
cui si osservano i luoghi scoprendone le possibili rispondenze con
altri vivi nella memoria:
Notano quelli che hanno molto viaggiato (Vieusseux parlando meco),
che per loro una causa di piacere viaggiando, questa: che, avendo veduto molti luoghi, facilmente quelli per cui si abbattono a passare di mano
in mano, ne richiamano loro alla mente degli altri gi veduti innanzi, e
questa reminiscenza per se e semplicemente li diletta. (E cos li diletta poi,
per la stessa causa, losservare i luoghi, passeggiando ec., dove fissano il loro soggiorno). Cos accade: un luogo ci riesce romantico e sentimentale,
non per se, che non ha nulla di ci, ma perch ci desta la memoria di un
altro luogo da noi conosciuto, nel quale poi se noi ci troveremo attualmente, non ci riescir (n mai riusc) punto romantico n sentimentale
(Zib., 4471, 10 marzo 1829).
143
no microviaggi dellanima, fonte privilegiata di rimembranze, dunque di sensazioni poetiche (e non a caso la mite Pisa, la citt delle passeggiate per eccellenza, la citt del risorgimento poetico); a
essi, proprio in quanto tali, Leopardi a quanto pare ha avuto intenzione di dedicare un testo specifico, creato per loccasione, quale la Storia di una passeggiata.
Non c solo questa strada, per. C anche lautobiografia per
frammenti consegnata a una delle polizzine, le Memorie della mia
vita, microtesto contenuto nel macrotesto dello Zibaldone, ovvero
uno dei libri ricavabili secondo Leopardi dal suo Zibaldone. Com
noto, fu lo stesso Leopardi a predisporre alcuni strumenti per leggere le carte zibaldoniane e per orientarsi in quel labirinto, non
senza una tensione progettuale148; e, com altrettanto noto, uno di
questi strumenti sono le polizzine richiamate e non richiamate,
minuscole schede tra cui ne figura una, la pi ampia, intitolata Memorie della mia vita (a fianco di: Trattato delle passioni, Manuale
di filosofia pratica, Della natura degli uomini e delle cose, Teorica delle arti, lettere. Parte speculativa, Teorica delle arti, lettere. Parte pratica, storica, Lingue, Volgare latino ). Leopardi inizia ad approntarle il 23 luglio 1827, subito dopo la rilettura completa dello Zibaldone che soggiace alla compilazione dellIndice (tra l11 luglio e il 14
ottobre 1827) e che certo favorisce nello scrittore un ripensamento
della globalit della propria esperienza.
Al pari delle altre polizzine, la Memorie della mia vita promettono nel titolo una sistematicit che allo stato di opera dislocata e
virtuale in cui si trovano, non mantengono; ma si distinguono per
certo come lunico percorso di carattere esplicitamente e programmaticamente autobiografico. Con una caratteristica precipua: condividono molti brani con le opere filosofiche e letterarie con cui l
convivono, si sovrappongono spesso e volentieri a esse, particolarmente al Trattato delle passioni (com possibile per il fatto che ogni
passo dello Zibaldone si ricordi viene selezionato da Leopardi
148
Sulla funzione progettuale dellIndice leopardiano dello Zibaldone, cfr. ora
Fabiana Cacciapuoti, Lindice fiorentino e gli indici dello Zibaldone. Dal sistema al
progetto, nellopera collettiva Leopardi a Firenze, Atti del Convegno di Studi, Firenze, 3-6 giugno 1998, a cura di Laura Melosi, Firenze, Olschki, 2002, pp. 239-250.
144
ragionar di s
per una sola o anche per pi polizzine)149. Oltre che preludio alla
nuova poesia leopardiana150, le Memorie della mia vita sono il percorso che pi degli altri sviluppato e aperto, perch fortemente intrecciato con la riflessione etica, logica, metafisica, estetica e letteraria delle altre polizzine151. Ci possibile perch le Memorie della
mia vita si nutrono di appunti evocativi, del tipo di quelli dei Ricordi dinfanzia e di adolescenza, ma pi spesso prendono la strada
della riflessione che lievita dallautobiografia. Sta di fatto che proprio quella polizzina costituisce il pi corposo e cronologicamente
lultimo esperimento autobiografico leopardiano, nel duplice segno
dellevocazione memoriale e della meditazione etica, di autobiografismo e di scienza delle passioni il cerchio si chiude ; ma pi
delle seconde che dei primi. La voglia dautobiografia del giovane
Leopardi non si spenta cogli anni, ma ha preso i binari della poe-
149
Ogni brano che compone il testo [] scelto per uno o pi percorsi.
[] il brano che parla dellamore [] sar scelto per due percorsi, mettiamo il
Trattato delle passioni e le Memorie della mia vita (Id., La scrittura come memoria,
nellopera collettiva Leopardi. Viaggio nella memoria, cit., p. 60).
150
Cfr. Fiorenza Ceragioli, Lo Zibaldone pisano, cit., pp. 197-200 e Carlo
Caporossi, Dallo Zibaldone allEpistolario: riflessioni sulla rinascita poetica pisana di Leopardi, in Il Veltro, xlv, 1-2, 2001, pp. 84-85.
151
Cfr. Fabiana Cacciapuoti, La scrittura come memoria, cit., p. 61: Il
percorso delle Memorie della mia vita che considerato da solo risponde ad unesigenza autobiografica in realt aperto, comunicante a seconda del significato
insito nei diversi brani del testo, cos da legarsi alla sfera etica che contenuta
nei percorsi del Trattato delle passioni e del Manuale di filosofia pratica, o a quella logica e metafisica di Della natura degli uomini e delle cose, o a quella estetica
della Teorica delle arti, lettere. Parte speculativa, o ancora a quella letteraria dellaltra Teorica. [] lanalisi delle passioni e dei sentimenti umani che si compie
nel Trattato delle passioni in parte comune al percorso delle Memorie della mia
vita, proprio perch dal fondo della memoria, e quindi dalla capacit di analizzare se stesso e le proprie passioni, deriva poi la riflessione sulle pulsioni che
muovono i comportamenti individuali e che confluiscono nel gioco sociale.
Per come Leopardi considerasse le polizzine non richiamate (come le Memorie
della mia vita) pi importanti delle polizzine richiamate, cfr. Id., Polizzine richiamate e non richiamate, in Zibaldone di pensieri, edizione fotografica dellautografo con gli indici e lo schedario, a cura di Emilio Peruzzi, 10 voll., Pisa,
Scuola Normale Superiore, 1989-1994, x, Indici e schedario, a cura di Silvana
Acanfora, Marcello Andria, Fabiana Cacciapuoti, Silvana Gallifuoco, Paola Zito, p. 63.
145
sia o quelli, sempre interrotti, del frammento o della riflessione etica. Opera solo virtuale, per ora ci vuole un po di fatica a leggere le
Memorie della mia vita, seguendo i numeri della polizzina di Leopardi. Ledizione tematica dello Zibaldone in corso152 dopo non
poche operazioni editoriali che si sono appropriate indebitamente
di quel titolo ci permetter presto di leggerle in santa pace.
152
Il piano dellopera edizione tematica dello Zibaldone di pensieri condotta sugli Indici leopardiani prevede sei volumi, di cui il vi costituito dalle Memorie della mia vita. Finora sono usciti i primi quattro, a cura di Fabiana Cacciapuoti e con pref. di Antonio Prete: Trattato delle passioni, Roma, Donzelli, 1997;
Manuale di filosofia pratica, ivi, 1998; Della natura degli uomini e delle cose, ivi,
1999; Teorica delle arti, lettere ec. Parte speculativa, ivi, 2000.
III.
148
ragionar di s
militanza e le idee liberali coltivate in giovent, in libert. Quando, stremato dalla prigionia, Pellico torna a Torino sul finire del
1830, ha quarantuno anni e una storia esemplare, che lo consacra
emblema delle generose istanze patriottiche, alle spalle; di fronte,
un presente da vivere nellombra (la polizia piemontese ne sorvegliava [] le mosse)4, nel segno di quellintimismo consolatorio
e pietistico cui sono orientate le Mie prigioni (1832). A un anno dalla liberazione, nel pieno della stesura delle memorie del carcere, cos Pellico presenta ora la sua nuova disposizione letteraria allamico padre Boglino:
Se non temessi laffanno di petto, e perci non mastenessi dallo scrivere, parmi che avrei gusto di comporre. []. Fra le cose che rumino e che
mi propongo di scrivere un giorno, si una limpida, larga, piena esposizione della dottrina veramente cattolica. Se riuscissi a farla bene, secondo la
mia intenzione, credo che risulterebbe evidente il pi perfetto accordo di
questa dottrina coi progressi della ragione. Quando pi rifletto alla malaccorta separazione de Saint-Simoniani dal cattolicesimo, tanto pi parmi
che bisognerebbe con dimostrazioni accurate impedire siffatti errori5.
in questa direzione che va, univocamente, il Pellico postSpielberg. Le mie prigioni fanno dittico con I doveri degli uomini
(1834), loperetta morale scritta anchessa con semplicit di stile e
zelo educativo, ma coi limiti di un cattolicesimo aproblematico e
pacificatore6 che rende Pellico tuttaltra cosa da Manzoni.
Come accade spesso, per il convertito la conversione diventa
retroattiva e confonde o tenta di confondere almeno in parte la
ricostruzione del passato. Quando per tre lustri dopo Le mie
prigioni Pellico sostiene: Sono stato tutta la mia vita contrario
alle dispute, ai libelli, alleroico agitarsi7, una parte di verit c
4
Paolo Mauri, Il caso Pellico: la Torino dei santi sociali, nellopera collettiva Letteratura italiana. Storia e geografia, diretta da Alberto Asor Rosa, ii, 2, Let
moderna, Torino, Einaudi, 1988, p. 861.
5
Silvio Pellico a padre Gian Gioseffo Boglino, Villanuova, 11 settembre 1831,
in Epistolario di Silvio Pellico, cit., p. 64.
6
Paolo Mauri, Il caso Pellico: la Torino dei santi sociali, cit., p. 860.
7
Silvio Pellico a Andrea Ighina, Torino, 18 luglio 1847, in Epistolario di Silvio Pellico, cit., p. 330.
iii. pellico
149
Silvio Pellico a Gian Gioseffo Boglino, Torino, 7 febbraio 1836, ivi, p. 127.
Silvio Pellico a Cesare Cant, Torino, aprile 1843, ivi, p. 252.
10
Niccol Tommaseo, Un affetto. Memorie politiche, testo inedito, edizione
critica, introduzione e note di Michele Cataudella, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1974, p. 113.
11
Cfr. soprattutto Silvio Pellico a Federico Confalonieri, Torino, 11 settembre 1837 e Torino, 17 maggio 1838, in Epistolario di Silvio Pellico, cit., pp. 151-152,
174 (da cui tratta la citazione che segue) e anche lultimo dei Capitoli aggiunti, in
Opere scelte di Silvio Pellico, a cura di Carlo Curto, Torino, Utet, 1954, 19642, edizione riveduta e corretta (dinnanzi: Opere), p. 611. Per le poche cose che Pellico
stampa in questi anni, cfr. Appendice, ivi, pp. 447-470.
9
150
ragionar di s
di farsi emulo dAlfieri Pellico impiega molto pi tempo di quanto non voglia far credere allamico. La passione per il coturno travalica ben oltre la giovinezza milanese dellautore e sopravvive anche alla decennale prigionia. Se a prima dellarresto risalgono la
Laodamia (1813), la celeberrima Francesca da Rimini (1815), che impone il nome del Saluzzese nel mondo letterario (e anche nelle Mie
prigioni Pellico per tutti gli italiani lautore della Francesca, dal
custode e dai secondini dei Piombi al cameriere bresciano)12, e infine lEufemio da Messina (1820), durante la detenzione nei Piombi di Venezia Pellico stende lEster dEngaddi e lIginia dAsti (pubblicate nel 1830); allo Spielberg compone a memoria il Leoniero
da Dertona 13, che mette sulla carta dopo la liberazione e d alle
stampe nel 1832; una volta rientrato a Torino, si dedica ancora a
numerose tragedie, tra cui il Boezio (1831), la Gismonda da Mendrisio (1832), lErodiade (1832), Tommaso Moro (1833) e, infine, il Corradino (1834). Solo dopo linsuccesso di questultimo lavoro Pellico
abbandona il teatro tragico.
Intanto, gi a partire dallesperienza del carcere, si fatto avanti alla sua attenzione un nuovo genere: quelle novelle in versi, sul
tipo dei poemetti di Ossian e del Byron, che egli chiam sullesempio del Monti, Cantiche 14 (due delle quali, Ildegarde e Rafaella, composte nei giorni della prigionia). Pellico si fa cos autore
prolifico di versi di tema storico e leggendario, di ambientazione
per lo pi romanticamente medievale, ma anche di chiara impronta autobiografica, tant che il poeta immagin che fossero
lopera dun trovatore di Saluzzo del secolo XII, vissuto successivamente a Pinerolo e a Torino, e ora languente nel carcere dun tiranno straniero15. Quelle cantiche Pellico aveva intenzione di
12
iii. pellico
151
fonderle con i due romanzi storici, entrambi di argomento medievale e di ambientazione saluzzese, cui stava attendendo16. Nessun romanzo storico uscito per dalla sua penna:
Ho lavorato alquanto ad un romanzo storico, e poi ad un altro, ma
prima dessere a met, mi sono intiepidito, vedendo chio stava infinitamente lontano dal merito de grandi libri del genere, come i Promessi sposi dellinimitabile Manzoni17.
152
ragionar di s
lamico Confalonieri20. Non ne parla nelle Mie prigioni, ma ne scrive nel 1830 a Confalonieri stesso:
Ci che ho provato alla lettura di questi due volumi non credo daverlo
provato mai ad altre letture. Deriva ci in qualche parte dalla mia disposizione attuale, e da altre circostanze che non possono essere comuni a tutti i
lettori, o realmente questo romanzo ci che mi pare, una delle pi belle,
delle pi nobili, pi perfette produzioni umane? Io non posso fare a meno
di riputarlo tale; vi scorgo Manzoni in una s ampia e sovrana manifestazione di potenza creatrice, di giusto e profondo criterio di energia e verit, di
destrezza e grazia, di tutte le doti che fanno il grande scrittore in generale e
il maestro grandissimo nella specie di produzioni di cui egli, primo, ha fatto
dono alla nostra letteratura, che mi sembra essersi dun volo innalzato dove
non ha in Europa chi lo superi dove sar sempre difficilissimo anche ai
sommi, anche ai Walter Scott, il seguirlo dappresso. [] mi rallegra sommamente che unopera s alta a formare il criterio e ad ingentilire i costumi
abbia avuto tanto incontro. Opere tali possono ben chiamarsi belle azioni!
Possa la nostra letteratura scuotersi dal giogo dei pedanti, e anelare ad altre
opere di questo merito. Oh, quanto venerabile la scienza del bello allorch
serve a far amare la virt voluta dal Vangelo! Oh, quanto misera e vana la
filosofia delle dottrine irreligiose! Ed oh, quanto consola il vedere in Manzoni il cristiano senza pusillanimit, senza servilit, senza transazioni co pregiudizi dellignoranza, senza alcuna delle brutte lordure che purtroppo fanno torto a molta parte de credenti e che finora diedero causa agli increduli
di stimarsi i veri filosofi, i veri liberali. Ma ho la testa s piena delle vicende
lette, di quella Lucia tanto angelica, di quel Renzo tanto buon ragazzo, di
quel don Rodrigo cogli altri birboni suoi simili, di quel Don Abbondio che
mi ricorda il paurosissimo e pur benevolo Fortini; di tutti insomma que
personaggi, tanto al vivo rappresentati, ma in particolare dellarcivescovo Federico e di Fra Cristoforo che annoverandoli tutti, e fermandomi ora ai nominati ora ad altri, come la Signora di Monza, il nobile masnadiero che si
converte, etc., rimango rapito, e non so che dirne, tranne che simili invenzioni, simili scene, simili quadri di storia, simile fusione dinteressi e morali
e civici e religiosi, hanno per me un incanto, unefficacia senza pari []21.
20
Cfr. Miriam Stival, Un lettore del Risorgimento: Silvio Pellico, presentazione di Anna Maria Bernardinis, Pisa-Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 1996, pp. 84 sgg.
21
Silvio Pellico a Federico Confalonieri, [1830], nellantologia Manzoni e gli
scrittori: da Goethe a Calvino, a cura di Lanfranco Caretti, Roma-Bari, Laterza,
1995, pp. 12-13.
iii. pellico
153
22
Mino Milani, Una lettura de Le mie prigioni, oggi, nellopera collettiva
Saluzzo e Silvio Pellico nel 150 de Le mie prigioni, cit., p. 31.
154
ragionar di s
zioni, inconfessate o rimosse; che lautobiografo tenti di esercitare un aperto controllo sulle aspettative del lettore, orientandolo
con precise indicazioni programmatiche, che non sono poi in grado di rendere conto del pi segreto ordito del suo discorso23. Il
contrario di quel ch successo alle Mie prigioni. Dove lautore cerca di orientare il lettore con esplicite indicazioni programmatiche, le quali, s, rendono conto del senso pi profondo del discorso, ma incontrano lindifferenza, se non la resistenza, di chi
legge. E il tentativo di controllare le aspettative del lettore fallisce,
e non per un vizio interno, ma perch quelle aspettative precedevano la lettura del testo: erano innescate dalla materia dattualit
politica promessa dal nome e dal titolo sul frontespizio del libro
il carcere austriaco patito da un carbonaro italiano e talmente
forti da non accettare smentita alcuna. Ragion per cui, il disegno
che lautobiografo cerca di imporre alla propria vita non attecchisce nella mente dei lettori.
Quale disegno premeva allautore? Pellico molto chiaro, fuori e dentro le pagine delle sue memorie. Nel sesto dei dodici Capitoli aggiunti alle Mie prigioni fornisce chiarimenti sulle motivazioni e sulle circostanze della loro stesura:
Fu quel santo uomo [labate e teologo torinese Giovan Battista Giordano, ottuagenario direttore di coscienza di Pellico dopo la liberazione],
che udito da me in diverse volte il minuto racconto delle angosce da me
patite nelle prigioni di Milano, di Venezia e di Spielberg, mi disse di scrivere tutto ci e pubblicarlo. Non marresi subito al consiglio. Troppo calde mi parevano in Italia e per tutta Europa le passioni politiche, e la smania di calunniarsi a vicenda. Le mie intenzioni saranno interpretate male, diceva io; le cose che avr narrate colla pi esatta verit saranno giudicate esagerazioni dai miei nemici, e non avr pace.
Vi sono due specie di pace, mi dissegli: quella del forte e quella del
pusillanime; la seconda non degna di voi, non degna del Cristiano. Nel
libro che vi consiglio di scrivere, voi rendereste una testimonianza non comune dellimmensa carit che il Signore ha deglinfelici, quando ricorrono a lui; voi mostrerete quanto sieno cosa inutile la filosofia irreligiosa e
il deismo in confronto della religione cattolica. Molti giovani leggendovi
23
iii. pellico
155
156
ragionar di s
che lesperienza del carcere ha offerto, provvidenzialmente, la preziosa occasione di maturare. Che alle spalle vi siano i processi ai
carbonari per i moti del 20-21 , si pu dire, cornice accessoria e
tutto sommato indifferente: nel libro conta che il prigioniero sia
stato visitato dalla grazia; cosa che poteva avvenire fra le pareti di
un altro carcere, in un altro frangente storico e politico e forse
addirittura al di l dellesperienza del carcere, in una qualunque altra circostanza traumatica e tragica che ponga un individuo solo a
tu per tu con la propria coscienza. Pellico abdica al vissuto storicopolitico; e soppressi i temi civili e patriottici, le sue prigioni si risolvono essenzialmente in strumento divino di conversione. Il libro che cronologicamente inaugura la stagione della memorialistica risorgimentale dunque volutamente apolitico e astorico e segue regole sue che lo diversificano da quel filone: non vuole essere
per niente una denuncia della durezza della repressione austriaca,
ma il documento di unaccettazione cristiana del destino di un
mondo dominato dal male, che pesa ugualmente su tutti gli uomini, carcerieri o carcerati, dominatori o dominati25. Pellico presenta il proprio libro di memorie come un atto doveroso di buon
cristiano: unopera di bene richiesta alla scrittore dalla volont divina, che lo ha portato dagli altari della fama alle tetre e fredde celle dello Spielberg perch la sua piccola celebrit letteraria26 fosse
messa umilmente al servizio della propaganda fides ; una testimonianza di fede (e di inerte rassegnazione, ora al centro della nuova
ideologia politica di Pellico) da portare, uomo tra gli uomini. La
scrittura di s gli va incontro per la sua funzione testimoniale; da
qui la scelta di uno stile memorialistico antiletterario (su cui Pellico insiste a oltranza parlando delle Mie prigioni ), assai pi semplice e diretto di quello adottato nelle tragedie e modellato sulle
scritture sacre. Pellico trasferisce unistituzione ormai consolidata
25
Lucia Martinelli, Introduzione, in Memorialisti del XIX secolo, cit., p.
xiv. Per come Le mie prigioni escano cos dallambito dellautobiografia in un modo molto sottile e suasivo, cfr. Giorgio Brberi Squarotti, Il palinsesto dellautobiografia: Pellico, DAzeglio, nellopera collettiva Piemonte e letteratura 1789-1870,
cit., ii, pp. 665-695.
26
Silvio Pellico, Le mie prigioni, in Opere, p. 432.
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157
158
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Intanto, nella primavera del 1833 il libro in Milano non si lascia vendere30, come Onorato Pellico, padre di Silvio, informa laconicamente un amico di famiglia. Se la censura piemontese non
aveva male interpretato gli intenti dellautore, certo aveva sottovalutato le pur involontarie implicazioni politiche di quelle memorie
tutte spirituali e morali e non aveva intuito lefficacia proprio di
quel taglio apolitico e di quel tono rassegnato. A quale fortuna e a
quale ricezione lopera and incontro, si sa31. Per quanto riguarda
la fortuna, qui baster ricordare genericamente che Le mie prigioni
diventano rapidamente un vero e proprio best-seller internazionale:
nellimmediato e nei decenni successivi fino alla fine del secolo almeno, centinaia di edizioni ne vedono la luce e tutte ottengono
1832), che rievocava vicende dellepoca di Federico Barbarossa: non fu proibita la
vendita del libretto, ma solo la recita dei passi pi evidentemente allusivi della situazione italiana contemporanea, per cui alla prima rappresentazione gli spettatori interruppero gli attori e lessero ad alta voce quei passi (Narciso Nada, Significati politici e riflessi diplomatici della pubblicazione de Le mie prigioni, nellopera collettiva Saluzzo e Silvio Pellico nel 150 de Le mie prigioni, cit., p. 29).
30
Onorato Pellico a L. Gonzaga, Torino, 20 aprile [] 1833, in Epistolario di
Silvio Pellico, cit., p. 100.
31
Per una rapida rassegna dei giudizi contrastanti dei contemporanei, cfr. Aldo A. Mola, Lenigma Pellico, in Studi piemontesi, xviii, 2, 1989, pp. 375 sgg.
(nonch lintervento con lo stesso titolo, nellopera collettiva Sentieri della libert e
della fratellanza ai tempi di Silvio Pellico, cit., pp. 191-214). Sulla problematica diffusione delle Mie prigioni e la loro ricezione, cfr. anche le notizie sullatteggiamento tenuto dalla censura toscana in Misteri di polizia: storia italiana degli ultimi tempi ricavata dalle carte dun archivio segreto di Stato, per cura di Emilio Del Cerro, Firenze, Salani, 1890. Per la ricezione allestero, si rimanda ad Attilio Begey, Le mie
prigioni di Silvio Pellico e la Corte Russa, in Il Risorgimento italiano, xx, 1, 1927,
pp. 120-122; Henri Bdarida, La fortune des Prisons de Silvio Pellico en France
(1832-1932), in Revue de littrature compare, xii, 4, 1932, pp. 729-764 e xiii, 1,
1933, pp. 73-101; Mario Battistini, La fortuna del Pellico in Belgio, in Rassegna
storica del Risorgimento, xx, 4, 1933, pp. 1-37; Jacques Misan, Luvre de Silvio
Pellico vue par les revues franaises, in Rivista di letterature moderne e comparate,
xxxii, 2, 1979, pp. 85-102; Mariella Colin, Les versions franaises de Le mie prigioni di Silvio Pellico. De lusage politique de la traduction, nellopera collettiva La
France et lItalie. Traductions et changes culturels, Caen, Centre de Publications de
lUniversit de Caen, 1992, pp. 53-67; e Id., La fortuna di Manzoni e Pellico in Francia nellOttocento, in Campi immaginabili, i, 1, 2000, pp. 16-30 (che evidenzia come la ricezione del libro di Pellico condizioni quella dei Promessi sposi, respingendoli sul piano del romanzetto educativo-religioso).
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32
Prefazione delleditore in Le mie prigioni di Silvio Pellico, Torino, Salesiana,
18878, p. 3. Marino Parenti (in Bibliografia delle opere di Silvio Pellico, Firenze, Sansoni antiquario, 1952) registra complessivamente, in poco pi di un secolo, 594 edizioni delle Mie prigioni, di cui 334 le italiane, 170 le francesi, 28 le inglesi, 13 le tedesche, 17 le spagnole e 32 in altre lingue (riprendiamo i dati da Giancarla Bertero,
Introduzione, in Rassegna bibliografica di opere di Silvio Pellico [1818-1910], cit., p. 14,
n. 7). Sulla scia delle memorie del carcere, un nuovo record di vendite registra Dei
doveri degli uomini (1834): 10 edizioni nel solo 1834 (cfr. Marino Parenti, Un centenario pellichiano e un primato editoriale, in La Bibliofilia, xxxvii, 1935, pp. 27-33).
33
Paolo Mauri, Il caso Pellico: la Torino dei santi sociali, cit., p. 862. Rimarca particolarmente lefficacia di tale modello cristologico Alberto M. Banti,
La nazione del Risorgimento. Parentela, santit e onore alle origini dellItalia unita,
Torino, Einaudi, 2000. Per lefficacia in senso politico del tono pacato e addirittura indulgente delle Mie prigioni, cfr. almeno Letture autobiografiche di scrittori
dellet moderna, scelte e commentate da Letterio Di Francia, Firenze, Sansoni,
1912, con nuova presentazione di Luigi Baldacci, Firenze, Sansoni, 1963, p. 337;
Gaetano Trombatore, Silvio Pellico, in Memorialisti dellOttocento, cit., i, p. 19
(ma si veda pure lappassionata rivendicazione che Trombatore fa del significato
politico del libro, a dispetto degli intenti espliciti dallautore, nellIntroduzione, ivi,
p. xi); Antonio Piromalli, Pellico e la memorialistica del carcere, cit., pp. 109-110.
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terato piacentino si avvicina alle Mie prigioni proprio su segnalazione del direttore dellAntologia:
Infinitamente vi ringrazio dellottimo consiglio datomi di leggere il libro del Pellico. Me nera stato scritto in maniera da dissuadermene la lettura, ma voi avete un milione di ragioni []. Come mai un tal libro si
stampato? Ma le censure non hanno il senso comune. che libro! che libro!
Io ne ho letti parecchie decine di migliaia: Non ne conosco un altro da
produrre maggior effetto. Come ho pianto! come mi son sdegnato! che
dir il mondo (e tutto il mondo ne dovr parlare) di colui che pi crude di nerone [cos nel testo]? perch pi freddamente crudele. Il povero
nerone era pazzo34.
Lo stesso entusiasmo percorre il pi meditato e articolato discorso sul libro immortale del Pellico che si legge nello scritto su
Paride Zaiotti inquisitore austriaco in Italia svergognato dal suo libro
contro Enrico Misley (1836):
Se ti pareva che facesse per lAustria contrapporre libro a libro; se era
in te facolt di comporre un libro almeno tollerabile; avevi cui rispondere, il volume del Pellico: tradotto in tante lingue; letto da moltitudine infinita; scritto con s stupenda o felicit di natura o industria dingegno; accompagnato da tanta persuasione; cagione di tante lacrime, motore di
sdegni s profondi. Io confesso di averlo grandemente ammirato e invidiato; confesso che non in me potenza di far cosa che lo vaglia o somigli. Confesso che se avessi debito di amare limperatore, mi farebbe molto infelice quel libro. [] Il povero Silvio non accusa, non si lamenta;
narra come un martire35.
34
Pietro Giordani a Giovan Pietro Vieusseux, 29 dicembre 1832, in Pietro
Giordani, Lettere, a cura di Giovanni Ferretti, Bari, 1937, ii, p. 52, ora in Carteggio Giordani-Vieusseux 1825-1847, a cura di Laura Melosi, presentazione di Giorgio
Luti, Firenze, Olschki, 1997, p. 160, da cui si cita.
35
Paride Zaiotti inquisitore austriaco in Italia svergognato dal suo libro contro
Enrico Misley, in Scritti editi e postumi di Pietro Giordani, pubblicati da Antonio
Gussalli, Milano, Borroni e Scotti, 1856-1863, 6 voll. e un vii di Appendice, v, p. 53.
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di s stesso che ha e mantiene lo scrittore; al quale neppur una parola sfugge contraria al suo assunto36. Lefficacia politica antiaustriaca delle Mie prigioni direttamente proporzionale allassenza
di astio antiaustriaco. E le memorie di Silvio Pellico da Saluzzo
(come gi, sebbene in misura minore, la Francesca da Rimini ) diventano imprescindibile lettura per i nati con lItalia ed entrano
subito, loro malgrado, tra i testi su cui si fonda leducazione sentimentale dei patrioti, non solo italiani: Pellico diviene ora, anche
agli occhi dei visitatori stranieri, un esempio della letteratura patriottica della libert, insieme a DAzeglio, Niccolini, Guerrazzi37.
Se oggi appare impensabile una lettura in chiave liberale dellesperienza [] dellautore de Le mie prigioni38, molti se ne accorsero anche allora. Nel clima risorgimentale e immediatamente
post-risorgimentale il libro sembra accontentare tutti ogni maniera di leggitori, persone dogni et e di ogni ordine39 , ma insieme scontenta molti. Francesco DOvidio poteva affermare nel
1898: fino al sesto decennio di questo secolo, se un donna o un
giovinetto chiedeva a un letterato qual libro italiano potesse leggere, la risposta era: i Promessi sposi e le Mie prigioni 40. Le memorie
di Pellico diventano infatti, accanto al romanzo di Manzoni, un testo esemplare del cattolicesimo liberale e della linea moderata che
sar vincente nella politica italiana. Non a caso un reazionario arcigno e intransigente come Monaldo Leopardi ritiene Le mie prigioni un potenziale pericolo, perch possono insinuare nellanima
dei semplici che la filosofia liberale lalleata fedele del Cristianesimo41. Invece, sul fronte democratico e mazziniano il cristianesi-
36
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E se memorabile il duro colpo assestato al Pellico della cantica La morte di Dante (edita nel 1837) da Tommaseo in Un affetto,
l per contrasto Le mie prigioni sono, per ben tre volte, libro immortale, tale da espiare ogni futuro [] fallo50 del loro autore.
Come disse qualcuno (per lesattezza il governatore della Moravia incaricato da Metternich di redigere una confutazione delle Mie prigioni ), Pellico aveva fatto di un livre de calomnie un
livre de prire51. Per lesattezza, un libro di morali dettami,
che accordano il [] cuore del lettore a religione e ad amo1837, in Niccol Tommaseo-Giovan Pietro Vieusseux, Carteggio inedito, i
[ma ii] (1835-1839), a cura di Virgilio Missori, Firenze, Olschki, 1981, p. 283.
48
Cfr. Niccol Tommaseo a Emilio De Tipaldo, 29 maggio 1834, in Niccol Tommaseo, Lettere inedite a Emilio De Tipaldo [1834-1835], a cura di Raffaele Ciampini, Brescia, Morcelliana, 1953, pp. 19-28 e, in proposito, William Spaggiari, La lettera dallesilio, nellopera collettiva Scrivere lettere, cit., p. 63.
49
Niccol Tommaseo a Cesare Cant, 22 marzo 1838, in Il primo esilio di N.
Tommaseo (1834-1839). Lettere di lui a Cesare Cant, curate e illustrate da Ettore
Verga, Milano, Cogliati, 1904, p. 178. Con Andryane Tommaseo non fu mai tenero: cfr. larticolo La storia vera e la storia verace: Giorgio Pallavicino e il signor Andryane (sul Diritto, 17-18 aprile 1857), dove lo scrittore dalmata gli contrappone
la misura memorialistica di Giorgio Pallavicino Trivulzio, che, condannato nel 1821
a venti anni di carcere, dei quattordici scontati (nove allo Spielberg, cinque tra
Gradisca e Lubiana) ha lasciato memoria nel suo Spilbergo e Gradisca: scene dal carcere duro in Austria (Torino, Stamperia dellUnione tipografico-editrice, 1856; poi
ristampata nel primo volume delle postume Memorie di Giorgio Pallavicino, pubblicate per cura della moglie, Torino, Loescher, 1882-1895, 3 voll.: i, Dal 1796 al
1848, ii, Dal 1848 al 1852, iii, Dal 1852 al 1860, questultimo a cura della figlia).
50
Cfr. Niccol Tommaseo, Un affetto, cit., pp. 5, 56, 112, 113. Nel primo dei
passi, in questione Tommaseo si ricorda giovanissimo spettatore, a Venezia, della
lettura pubblica della sentenza per Pellico e gli altri carbonari (cfr. ivi, pp. 5-6).
51
Cfr. Narciso Nada, Noterelle di storia piemontese (1814-1848). Un commento austriaco alle Mie prigioni, in Studi piemontesi, ii, 1, 1973, pp. 110-114.
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Pellico dunque consapevole che il soggetto trattato, le narrate vicende dun cos detto Carbonaro, suscitano una naturale curiosit, pur illudendosi che questa non sia pi forte delle priorit
etiche e spirituali che ha inteso affidare allopera. Ma nella responsiva a un altro ammiratore, questa volta un religioso, che, dato il profilo dellinterlocutore, Pellico si lancia in una ricognizione
della vicenda narrata nelle Mie prigioni dove esplicita quanto mai
la chiave di lettura sottintesa alle memorie:
La mia mente, in giovent, avea dubitato, avea cercato sapienza laddove non sapienza. Eppure nella Religione chio mal seguiva, apparivami anche allora una bellezza incantevole, una verit adorabile. Io era spesso tormentato dal desiderio di accordare insieme Cristianesimo e Filosofia, ma
mille divagazioni e stolto rispetto umano men distogliea. Quella pusillanimit, quel misto indegno e vergognoso di fede e dondeggiamento fin a
quando sarebbe durato? Forse lintera vita. Iddio benignamente vi provvide
col mezzo duna sventura che mi segregasse dagli uomini e mi chiamasse
con maggior forza a lui. Possio non riconoscere in tale sventura un tratto
damore di Colui che, sebbene felice senza noi, pur sindustria a salvarci
quasi che gli fossimo necessari? [] Pur troppo il mio ingegno tanto lieve da non bastare a rendere debito onore a quella verit che, senza mio merito, io vedo; ma non chiesto alle creature se non ci che possono dare58.
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61
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ottobre 1820 fui arrestato a Milano, e condotto a Santa Margherita. Erano le tre pomeridiane65. Va ascritto a Pellico il merito di
un attacco in medias res crudele quanto, per questo, efficace: lo
stile rapido e conciso, quella brevitas di Pellico per sua stessa
ammissione ammiratore dellingegno di Tacito66 che prorompe da talune delle pagine pi riuscite del libro, in special modo in
concomitanza di eventi chiave della prigionia, dal pomeriggio
dellarresto su cui si aprono le memorie allalba della restituzione
alla vita, con la scarcerazione, dieci anni dopo67. Fatto sta che non
si resta sulla soglia nemmeno un attimo: chi legge si ritrova subito con larrestato, in carcere, sottoposto a sfinenti interrogatori,
solo e senza cena.
Landamento cronachistico per si spezza quasi subito, per lasciare il campo a una precisazione del narratore:
Mi si fece un lungo interrogatorio per tutto quel giorno e per altri ancora. Ma di ci non dir nulla. Simile ad un amante maltrattato dalla sua
bella, e dignitosamente risoluto di tenerle il broncio, lascio la politica
ovella sta, e parlo daltro.
Sin dallinizio il testo esibisce dunque una volontaria e marcata apoliticit. La precisazione contenutistica di non poco conto
sul piano artistico: la scelta di sorvolare sulle vicende giudiziarie e
politiche, qui legata, nella metafora dellamante maltrattato, unicamente alla propria delusione, funzionale a dare risalto ad altro,
allaspetto umano e spirituale che costituisce la cifra peculiare del
libro. Va da s che dietro ci siano non solo motivazioni ideologiche e operative, ma anche comprensibili ragioni di prudenza, confessate pi tardi nel privato dellepistolario. Si veda una lettera a
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Pietro Giuria, allindomani delluscita, nel 1838, del libro di Andryane, occasione per tornare a parlare del proprio:
Les Mmoires dun Prisonnier che tu maccenni, le ho avute, e sono interessanti. [] contengono vari aneddoti di carcere, dei quali io non poteva parlare: avrei nociuto ai concaptivi68.
Al di l delle ragioni ideologiche e pratiche che sottostanno allesclusione della politica, nellesplicita delimitazione contenutistica tracciata dallio narrante sulle soglie delle Mie prigioni si riverbera un assunto fondamentale della scrittura autobiografica: la materia, pur vera e vissuta quanto si vuole, comunque in mano al
narratore che, libero di trascegliere in essa di tacere o, viceversa,
di sceverare questo o quellaspetto della sua vicenda , la seleziona
e, dunque, la interpreta. La regia dellautobiografo ha, dal momento che si parla di autobiografia, il solo limite della verit; verit, nel caso delle Mie prigioni, peraltro confermata dalle ricerche
darchivio e difesa strenuamente e a oltranza da Pellico, talora anche di fronte a innocenti sviste70. Qui, anzich occultata, come avviene per lo pi da parte degli autobiografi, sempre ansiosi di rivendicare la veridicit totalizzante delle loro memorie (dire tutto il
68
Silvio Pellico a Pietro Giuria, Torino, 24 febbraio 1842, in Epistolario di Silvio Pellico, cit., p. 228.
69
Silvio Pellico a Pietro Giuria, Torino, 1 marzo 1842, ivi, pp. 230-231.
70
Cfr., per esempio, Silvio Pellico, Le mie prigioni, in Opere, p. 486 e n.,
per uninesattezza riguardo la decapitazione di Marin Faliero, doge nel 1355.
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vero), lazione della regia esibita: la selettivit addirittura programmatica nelle Mie prigioni. E molti sono i cenni, nel corso del
libro, che ci ricordano come lio narrante-regista padroneggi la materia e sopprima sistematicamente la parte politica, secondo il proprio disegno71. Sulla pagina, della vicenda politica resta soltanto un
tragico riflesso psicologico: il tormento che nel prigioniero si accompagna alla difficolt di non mancare a [] doveri donest e
damicizia72 verso i compagni durante gli estenuanti interrogatori
condotti dallabile giudice inquirente Antonio Salvotti. Le ricerche
darchivio e il confronto con altre fonti (come le Addizioni di Maroncelli) aiutano a chiaroscurare e toccare con mano lazione selettiva (e, conseguentemente, interpretativa) della regia. Mostrano,
per fare un solo esempio, come ultraselettive e miratissime sono le
menzioni riservate alle letture del prigioniero. Sappiamo che nel
1823 il fondo di cui erano proprietari Pellico e Maroncelli allo
Spielberg comprendeva settantadue opere, per un totale di centocinquantacinque volumi: in particolare, una Bibbia, un Virgilio,
un Dante, un buon manipolo di vocabolari, un discreto numero di
rimatori del Cinquecento, con limmancabile Pastor fido, e poi Alfieri, Byron e Ossian; mentre molta letteratura inglese moderna figurava tra i libri di Andryane73. Di tale bibliotechica messa insieme allo Spielberg, di esplicito c solo una menzione a posteriori, quando ormai Pellico e i suoi compagni sono stati crudelmente
privati anche di quella compagnia:
Doverano le ore chio mingolfava nello studio della Bibbia, o dOmero? [] Dante, Petrarca, Shakespeare, Byron, Walter Scott, Schiller,
Goethe, ecc., quanti amici merano involati! Fra siffatti io annoverava pure alcune libri di cristiana sapienza, come il Bourdaloue, il Pascal, lImitazione di Ges Cristo, la Filotea, ecc.74.
71
Si veda, per esempio, nel capitolo xxiv: Ho fermato di non parlare di politica, e bisogna quindi chio sopprima ogni relazione concernente il processo (ivi, p. 433).
72
Ivi, p. 438.
73
Per lelenco dei libri posseduti dai prigionieri dello Spielberg, reso pubblico nel 1925 dal Chiurlo, cfr. ora Miriam Stival, Un lettore del Risorgimento, cit.,
pp. 105 e sgg.
74
Silvio Pellico, Le mie prigioni, in Opere, pp. 533, 550-551.
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Viceversa, nelle prime pagine delle Mie prigioni, quando Pellico ancora nelle carceri di Santa Margherita a Milano, sono menzionate esplicitamente queste sole opere: ben mi si permise chio
avessi una Bibbia ed il Dante; ben fu messa a mia disposizione dal
custode la sua biblioteca, consistente, in alcuni romanzi di Scuderi, del Piazzi [cos per Piazza], e peggio75. Come a dire che, eccetto una Bibbia ed il Dante, nessunaltra lettura poteva tener degna compagnia al prigioniero: non certo i romanzi alla moda di
Madeleine de Scudry lallora celeberrima Mademoiselle, proprio nel 1820 citata come esempio negativo dellarte di far romanzi nella manzoniana Lettre M. Chauvet e di Antonio Piazza76. Il
che rafforza limmagine della solitudine disperata del prigioniero e
prelude alla conversione.
Ma ritorniamo al punto di partenza, nel capitolo i. Conclusa la
precisazione sul carattere apolitico del libro, Pellico si volge di nuovo alla vita in carcere, con fulminei dialoghi e con lapidarie quanto efficaci descrizioni che suggeriscono lo choc dellimpatto con la
prigionia: Carceri di qua, carceri di l, carceri di sopra, carceri dirimpetto77. Il vissuto del prigioniero, il suo presente, inciso dalle riflessioni con cui di volta in volta cerca di farsi forza (il riflettere alla fugacit del tempo minvigoriva lanimo), ma che non
sempre si rivelano efficaci:
Ma mi ricorsero alla mente il padre, la madre, due fratelli, due sorelle,
unaltra famiglia [i Porro] chio amava quasi fosse la mia; ed i ragionamenti filosofici nulla pi valsero. Mintenerii, e piansi come un fanciullo.
Ivi, p. 399.
Si vedano ora le recenti ristampe di alcuni suoi romanzi: La trilogia di Giulietta, a cura di Antonia Mazza Tonucci, Azzate, Otto-Novecento, 1983; Lattrice, a
cura di Roberta Turchi, Napoli, Guida, 1984; Lamor tra larme, ovvero La storia militare e amorosa di Aspasia e di Radamisto, a cura di Ilaria Crotti, Milano, Franco
Angeli, 1987.
77
Silvio Pellico, Le mie prigioni, in Opere, p. 390. Le citazioni che seguono, ivi, p. 391.
76
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condotta a un malessere spirituale e a dubbi precedenti (il sintagma gi da lungo tempo ripetuto due volte in poche righe) e graduale, sebbene ruminata soprattutto in quella prima notte di
cattura. Di nuovo vengono in mente le pagine manzoniane su
quella certuggia dellInnominato (I promessi sposi, xx, 105) che
prelude alla conversione.
Superato lincaglio incaglio sul piano dellesito narrativo
della conversione, esplicitato ben bene quel nodo cruciale, la narrazione pu riprendere secondo le modalit che si detto: il racconto lineare dei giorni della prigionia; lio narrante dora prende
la parola per s solo quando si tratti di ritornare sullargomento fede84; per il resto, assume e mantiene la prospettiva dellio narrato,
con esiti di ben altra efficacia, soprattutto nel dipingere le maree
dei convulsi stati danimo del prigioniero. Il problema, anche dopo la conversione, guarire dalla debolezza, ricorrendo a molteplici e non sempre efficaci espedienti85 psicologici. Lalternanza tra
ferrea autodisciplina dellanima, tra conforto della fede e abbattimento, ritratta distesamente nei fitti e lunghi soliloqui86 del
prigioniero e in scene molteplici. Illuminante, a questo proposito,
la risposta epistolare di Pellico a un ignoto scrittore, il signor
Fea (probabilmente, credo di poter dire dopo alcune rapide ricerche, il torinese Leonardo Fea, collaboratore della Rivista europea
e dellEridano e autore di saggi di critica letteraria poi raccolti
in volume con questo titolo [Torino, Stamperia reale, 18522], tra i
quali uno Sul romanzo: considerazioni [Torino, Tip. Mussano,
1841]). Fea aveva sottoposto allautore delle Mie prigioni un romanzo damore, Giuliano. Nellindividuare i limiti artistici di quella prova romanzesca, Pellico delinea unipotesi di narrativa che calza a pennello al suo libro di memorie: apprezza assai la scelta della
storia intima dalcuna parte della vita dun uomo quale ottimo
soggetto dun libro; nel contempo, sul piano della resa artistica,
suggerisce una pittura segnata e varia del personaggio e della
84
Cfr., a titolo desempio, nel capitolo vi, la lunga digressione sugli effetti
della lettura di Dante (ivi, p. 399).
85
Ivi, p. 419.
86
Ivi, p. 403.
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(Il caso rarissimo contemplato da Pellico sia detto qui per inciso di nuovo fa venire in mente un luogo manzoniano: fra Cristoforo alle prese con don Rodrigo nel palazzotto di questultimo).
Contro lindividualismo agonistico alla Ortis, nelle Mie prigioni la
divinit che regna in noi una voce interna che non risponde
pi al nome di Io ma di Dio. E la scrittura dellio, da introspezione e sanguigno omaggio a quella divinit che si chiama Io, si fa
testimonianza morale e limpido omaggio a ben altra divinit.
Il libro di morali dettami voluto da Pellico efficace per
proprio perch si sostanzia del vissuto e attinge non tanto alla tradizione apologetica o trattatistica quanto alle risorse del romanzesco: lavvincente e travagliata storia di unanima assediata dalla fede ma anche dalle proprie ritornanti debolezze, secondo un
andamento sussultorio e umanissimo, tra tempi infami di ca87
Cfr. Silvio Pellico al signor Fea, [s.d], in Epistolario di Silvio Pellico, cit., pp.
427-428.
88
Silvio Pellico, Le mie prigioni, in Opere, pp. 419-420.
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duta e proponimenti rinnovati di ritorno sincero alla religione89. La guerra lunga e non pu dirsi mai finita: la conversione, nelle prime pagine delle memorie, segna solo linizio di una
fitta alternanza di combattimenti90, trattati di pace con la propria coscienza che si rivelano solo tregue, poi di nuovo combattimenti. Le mie prigioni si configurano come la storia di un sofferto addestramento spirituale, di una autoterapia consolatoria esposta ai sussulti dellinteriorit cos come degli incontri diretti o
indiretti, anche solo attraverso suoni che provengono dalle celle
con i carcerieri e con altri carcerati. Sono il desiderio di morte e
la pazzia i due pericoli che incombono sul prigioniero, da esorcizzare ora con la fede ritrovata91, ora, quando questa non ce la fa,
con qualche pensiero consolatorio o, semplicemente, con qualche
distrazione: una persona, un libro, un animale. Laltalena tra consolazione religiosa e risorgere della disperazione si dipana nella
carrellata dei giorni sempre uguali della prigionia. A scandirli sono alcuni episodi della vita giudiziaria (lo spostamento di cella, la
visita finalmente consentita del padre, il trasferimento a Venezia,
gli interrogatori della Commissione speciale per i rei di delitti politici e cos via); ad animarli sono i pensieri e le perturbazioni
del carcerato, ma anche e soprattutto la serie dei personaggi che
gli si pongono sulla strada, tutti esempi di quellideale umano positivo e transnazionale che lautore annunciava alle soglie delle
Mie prigioni (nella citata pagina di presentazione premessa alla
prima edizione). Si comincia subito col secondino Tirola, davanti al quale Pellico racconta di aver dovuto ammettere: Mi viene,
buon uomo, un pensiero che non ho mai avuto: che si possa fare
il carceriere ed essere dottima pasta92. Programmaticamente,
89
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Pellico vuole estrapolare il buono e il bello dalla povera razza umana93 e questa scoperta del bene riguarda tutti, ma proprio
tutti, compreso il tristemente noto conte Luigi Bolza, uno dei pi
spietati persecutori dei patrioti italiani94. Sempre e solo scene di
umanit, ora schiva e diffidente, ora aperta e diretta, popolano Le
mie prigioni. Col mutolino, introdotto al capitolo vii, si apre una
galleria di personaggi capaci di far apparire al prigioniero la cella
solitaria come luogo di vivi piuttosto che come una tomba95. Sono tutti investiti della funzione di tappe della formazione spirituale del prigioniero e insieme introducono elementi di sapore romanzesco nelle memorie: al Santa Margherita, sincontra Maddalena, carcerata dal nome evangelico la cui voce soave e le cui parole pietose, udite attraverso il muro sottile che separa le celle,
nutrono la mente del prigioniero di nobili fantasie e lo spingono
a cercare un colloquio, con esiti umoristici96; poi i poveri ladri
della cella contigua, protagonisti con il prigioniero di una scena tra
le pi teatrali del libro97; quindi linfelice duca di Normandia98,
autore e personaggio, per sua bocca, di un vero e proprio romanzo davventure. Seguiranno, ai Piombi, la Zanze, il secondino Tremerello e Giuliano; allo Spielberg, il vecchio capocarceriere Schiller e il giovane conte Oroboni, uscito cadavere dal carcere moravo: personaggi che entrano ed escono di scena ad aprire innumerevoli e polimorfi squarci narrativi, portando ognuno il proprio
personale romanzo nella filigrana spirituale delle memorie. Ma mai
per puro gusto della digressione. Lautobiografia orale, romanzesca
e falsa, del misterioso avventuriero che si dice di essere il mancato
strumenti di sventura: tutti erano buoni intorno a me, ma tutti legati da somma
paura (ivi, p. 556).
93
Silvio Pellico a Gian Gioseffo Boglino, Camerano, 12 agosto [s.a.], in Epistolario di Silvio Pellico, cit., pp. 417-418 (e si veda pure la lettera a Luigi Porro, Torino, 2 giugno 1852, ivi, p. 383).
94
Cos Angelo Jacomuzzi, in Silvio Pellico, Le mie prigioni, a cura di Angelo Jacomuzzi, Milano, Mondadori, 1986, p. 70n.
95
Silvio Pellico, Le mie prigioni, in Opere, p. 452.
96
Cfr. ivi, pp. 408-411.
97
Cfr. ivi, pp. 411-414.
98
Cfr. ivi, pp. 420 sgg.
iii. pellico
179
Luigi XVII, se spezza per un po la monotonia della vita del carcere per il prigioniero, per lautore delle memorie si traduce nelloccasione, prontamente messa a frutto, di una dichiarazione di poetica99, di una sorta di manifesto delle Mie prigioni :
il confessare con franchezza, e modestia ad un tempo, ci che fermamente si tiene per importante verit, il confessarlo anche laddove non presumibile dessere approvato, n devitare un poco di scherno, egli preciso dovere. E siffatta nobile confessione pu sempre adempirsi, senza prendere inopportunamente il carattere di missionario100.
Viceversa, lavventura epistolare intessuta dal prigioniero, novello convertito, con un ignoto e ateo carcerato che si firma Giuliano (in onore, per lappunto, di Giuliano lApostata) gli offre un primo banco di prova della propria capacit testimoniale e comunicativa della fede ritrovata. Proprio questa fallimentare esperienza sta
forse, come stato notato, allorigine della particolare modalit delle Mie prigioni : una apologia del cristianesimo condotta in forma
autobiografica e narrativa anzich nel modo sistematico e didattico scelto da Pellico nelle lettere a Giuliano101: un modo proprio da
missionario102 rivelatosi inefficace, se non controproducente.
Tutto partecipa del disegno morale sottinteso alle memorie.
Quando non ci sono creature umane ad alleggerire la raggelante
solitudine della cella, come si ricorder, il prigioniero si rivolge agli
insetti con cui condivide il doloroso soggiorno: un esercito di formiche e un bel ragno che niente hanno della bestia ma sono piuttosto surrogati di umanit103. Per contro, lesercito questo davvero bestiale di zanzare che flagella il prigioniero nellumida e opprimente estate veneziana ai Piombi, insieme al caldo soffocante
della cella (un forno) eletto a stromento della giustizia divi99
Cos Angelo Jacomuzzi, in Silvio Pellico, Le mie prigioni, a cura di Angelo Jacomuzzi, cit., p. 66, in calce al capitolo xx.
100
Silvio Pellico, Le mie prigioni, in Opere, p. 428.
101
Cos Angelo Jacomuzzi, in Silvio Pellico, Le mie prigioni, a cura di Angelo Jacomuzzi, cit., p. 107, in calce al capitolo xli.
102
Silvio Pellico, Le mie prigioni, in Opere, p. 467.
103
Cfr. ivi, pp. 438-439, 558.
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E nella gita a Vienna e dintorni, dopo la scarcerazione di Pellico, Maroncelli e Andrea Tonelli, questo fugace episodio sullo sfondo della villa imperiale di Schnbrunn:
Mentre eravamo ne magnifici viali di Schnbrunn, pass lImperatore, ed il commissario ci fece ritirare, perch la vista delle nostre sparute
persone non lattristasse106.
Una scena emblematica quanto minima, costruita su quella efficace incisivit ch propria delle pagine migliori delle Mie prigioni, in cui suggerito e inespresso, il tema dellassurdit del male
che ha colpito il prigioniero politico e che Pellico ha programmaticamente scelto di lasciare ai margini.
Al di l delle componenti romanzesche, forze centrifughe che
alla vicenda del prigioniero ne sommano altre, Le mie prigioni vogliono essere memorie compatte di un dramma, quello della conversione, e di una scommessa, quella della fede. Non a caso, lu104
Ivi, p. 440. Per il tema esplicito della provvida sventura, cfr. soprattutto ivi,
pp. 449-450.
105
Ivi, p. 558.
106
Ivi, p. 576.
iii. pellico
181
scita del racconto negli spazi aperti del mondo coincide necessariamente con il compimento della narrazione, il congedo quasi
frettoloso da Pellico personaggio107. Dopo la scarcerazione, Pellico segue se stesso sparuto e indebolito fino alleffettiva liberazione,
appena varcata la soglia della casa paterna a Torino. C appena il
tempo per suggerire, tra le righe, di aver trovato nel Lombardo-Veneto, sulla strada del ritorno, solidariet per gli ideali che avevano
portato Pellico al carcere108; il tempo per chiudere circolarmente il
flusso della memoria, con una sorta di percorso allindietro della
mente che ripensa ai primi giorni della prigionia109, e per congedarsi con una chiusa che vuole essere un richiamo alla visione
provvidenzialistica propugnata nel libro110.
Tutto quel che si detto reso possibile dal fatto che si tratta
di una ricostruzione memoriale a posteriori, sottratta al magma
convulso delle urgenze sentimentali pur cos efficacemente rappresentate dalle scrittore. In carcere Pellico vive tutto agli studi, e,
quando possibile, scrive, soprattutto tragedie, ma non la sua vita di
prigioniero. Le memorie del carcere le stender dopo, nel raccoglimento torinese. Le mie prigioni sono dunque memorie sul carcere,
non memorie nel carcere. Qualcosa di autobiografico scritto durante la prigionia per c. Ci sono innanzitutto le quotidiane,
lunghe meditazioni intorno ai doveri degli uomini e di me in particolare111 incise e poi cancellate sul tavolo della cella dei Piombi.
Le quali consistono, sintuisce, in una sorta di lenticolare e metodico esame di coscienza con una esplicita funzione autoterapeutica, di supporto alla conversione:
Per viemeglio divenir costante in questo proposito [benedire i retti
giudizi di Dio, amandoli ed estinguendol in me ogni volont contraria ad
107
Angelo Jacomuzzi, Introduzione, in Silvio Pellico, Le mie prigioni, a
cura di Angelo Jacomuzzi, cit., p. 16.
108
Cfr. nel capitolo xcv, la scena di solidariet che ha per protagonista un cameriere bresciano (Silvio Pellico, Le mie prigioni, in Opere, pp. 580-581).
109
Ivi, pp. 582-583.
110
Cfr. ivi, p. 590.
111
Ivi, p. 441. Le citazioni che seguono, ibidem.
182
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essi], pensai di svolgere con diligenza dor innanzi tutti i miei sentimenti, scrivendoli.
Che la riflessione autobiografica sia una sorta di esorcismo gettato tra s e la propria confusione interiore si schiarisce ancor pi
qualche pagina pi avanti, di fronte al turbamento suscitato nel
prigioniero dalla non bella ma pietosa Zanze:
Veramente io non erane invaghito. Esaminai lungo tempo i miei scrupoli; scrissi le mie riflessioni su questo soggetto, e lo svolgimento di essi
mi giovava.
Luomo talvolta satterrisce di spauracchi da nulla. A fine di non temerli, bisogna considerarli con pi attenzione e pi da vicino112.
112
113
iii. pellico
183
perficie di un tavolo usata a mo di lavagna114. Il segreto del legno inciso e poi raschiato garantisce la preziosa possibilit di soddisfare un
desiderio fondamentale dellautobiografico: non volendo avere alcuna ragione dimpedimento nel ridire a me stesso colla pi libera
fedelt i fatti chio ricordava e le opinioni mie115. Si voluto vedere in quelle meditazioni il germe del successivo trattato dei Doveri
degli uomini e dellincompiuta autobiografia: quanto cospicuo rapporto sussistesse tra il testo di quelle riflessioni e quello delle pi opere pi tarde non si pi stabilire; certo questa la volta in cui si affaccia in Pellico il desiderio di una meditazione morale organica e di
una ricognizione autobiografica totalizzante, qui sotto forma di esercizio spirituale volto a lasciarsi alle spalle il passato.
Di autobiografico e scritto nel carcere ci sono poi le lettere.
Non le lettere destinate a familiari e amici116, ma quelle stese per se
stesso, incise e poi raschiate sul tavolino, come le meditazioni, di
cui sono il drammatico contraltare. Se quelle, le meditazioni, sono
esercizio di dominio sulle cieche brame del cuore, queste sono lo
spazio in cui si profonde la disperazione non vinta. Sempre nel segno dellautobiografia e della sua inesauribilit:
114
Cfr. ivi, pp. 441-442: la Commissione, permettendo chio avessi calamaio
e carta, mi numerava i fogli di questa con proibizione di distruggerne alcuno, e riservandosi ad esaminare in che li avessi adoperati. Per supplire alla carta, ricorsi allinnocente artifizio di levigare con un pezzo di vetro un rozzo tavolino chio aveva, e su quindi scriveva ogni giorno lunghe meditazioni []. Quando tutta la superficie adoprabile del tavolino era piena di scrittura, io leggeva e rileggeva, meditava sul gi meditato, ed alfine mi risolveva (sovente con rincrescimento) a raschiar
via ogni cosa col vetro, per riavere atta quella superficie a ricevere nuovamente i
miei pensieri.
115
Ivi, p. 442.
116
Questultime (stese tutte prima di approdare allo Spielberg, poich la condanna comporter crudelmente per il prigioniero la rottura di tutti i rapporti con
lesterno), non funzionano come termine di confronto per Le mie prigioni. Specialmente in quelle dirette ai familiari, per ovvie ragioni affettive che lo portano a
espressioni talora paradossali, Pellico si mostra soverchiamente tranquillo e in ottime condizioni di salute, in una situazione per molti versi invidiabile, quasi si trovasse al servizio di ottimi e umanissimi signori. Cfr., a titolo desempio, alcune lettere al padre Onorato: Milano, dalla mia cella, 25 gennaio 1821, Venezia, 18 maggio 1821 e 8 giugno 1821, Adelsberg, 20 marzo 1822, in Epistolario di Silvio Pellico,
cit., pp. 25-26, 29, 49.
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117
118
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185
dioso, mettendo laccento sulla funzione autoconoscitiva della scrittura autobiografica, parla dellautobiografia come luogo per tastare il terreno della propria interiorit, come creazione di una brutta copia di s, indispensabile base per lidentit in bella copia.
119
Silvio Pellico, Capitoli aggiunti, in Opere, p. 612.
120
Cfr. soprattutto lagile panorama di testimonianze intessuto in Giuseppe
Prezzolini, Monti, Pellico, Manzoni, Foscolo veduti da viaggiatori americani, cit.,
pp. 529 sgg.
121
Silvio Pellico a Ottavia Masino di Montebello, Turin, 25 janvier 1834, in
Epistolario di Silvio Pellico, cit., p. 130.
122
Silvio Pellico, Le mie prigioni, in Opere, p. 440.
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passando les termes exacts de la vrit, arriva a sostenere che lautore delle Mie prigioni non era coupable di Carboneria e Pellico rettifica affettuosamente 123; e c chi, tratteggiandone i natali,
lo promuove a conte o sbaglia i titoli delle sue tragedie e Pellico in questo caso non riesce a trattenere la stizza124.
Il pi consistente di questi incidenti di percorso sta nellintervento dellamico Maroncelli, autore delle Notes et claircissements
historiques (in appendice alla traduzione francese delle Mie prigioni
di de Latour, Paris, H. Fournier-Jeune, 1833) e delle fortunate Addizioni (presso Baudry, nello stesso anno) e in quanto tale ricordato da Pellico nel ix dei Capitoli aggiunti. Scritti biografici come
quello dellex concaptivo Maroncelli erano assai apprezzati dal pubblico: andavano incontro al bisogno avvertito dai lettori, di fronte
alla storia di una fase circoscritta della vita, di risalire alle origini
delluomo, di completare la narrazione col prima e col dopo.
Quanto ne fosse per insoddisfatto Pellico, lo dicono le lettere. Ve
n una doppiamente significativa, perch lautore delle Mie prigioni vi si lamenta da un lato delliniziativa di Maroncelli, dallaltro
delle accuse mossegli dal fronte reazionario e conclude auspicando
di rimediare a tutti i possibili travisamenti e disguidi con una propria nuova e questa volta completa opera autobiografica:
Je ne sais plus ce quest devenu Maroncelli, depuis son arrive NewYork; en auriez-vous des nouvelles? Son excellent cr est plein damiti
pour moi, mais je regrette que, croyant sans doute me faire plaisir, il ait
compos la notice biographique sur mon compte quil a publie avec ses
Additions. Ne mayant pas consult, et ne conservant sur certaines choses
que des rminiscences confuses, il est devenu inexact sur bien des points,
et a donn des interprtations inconcevables qui ne pouvaient faire
moins que de prter des armes mes ennemis. Patience! Dans ce sicle de
passions politiques et dexagration, il est difficile un ami de bien comprendre son ami. En attendant, les journaux de Modne [La voce della
Verit], de Pesaro [La voce della Ragione], etc., se rjouissent me di-
123
Cfr. Silvio Pellico a Ottavia Masino di Mombello, Torino, 6 novembre
1836, in Epistolario di Silvio Pellico, cit., p. 140, da cui sono tratte le citazioni.
124
Cfr. Alcune nozioni autobiografiche scritte da Silvio Pellico e comunicate da
Federico Crger da Knisberga, ivi, p. 383 e la replica di Pellico, ibidem.
iii. pellico
187
La volont autobiografica successiva alle Mie prigioni da legarsi insomma a due motivazioni essenziali: controbattere alle accuse di ordine ideologico e politico rivolte al cattolicesimo pacificatore l espresso; correggere e neutralizzare lopera di indesiderati
e improvvisati o addirittura faziosi biografi, provvedendo personalmente a integrare il prima e il dopo; insomma, farsi autobiografo per esorcizzare e sventare linvadenza nefasta dei biografi.
Due motivazioni vecchie, possiamo dire, quanto lautobiografia
moderna: quella apologetica, una delle pi diffuse alla scrittura di
s, e quella polemica contro il biografo assassino (cos Di Breme)
di cui le pagine liminari della Vita alfieriana costituiscono lesempio pi esplicito e gustoso.
Se due sono le ragioni che spingono Pellico a stendere la storia
della sua vita, soprattutto una sembra quella che condanna tale progetto a restare non finito; ed anchessa adombrata nella appena citata lettera a de Latour: ce sicle de passions politiques et dexagration. La politica contemporanea sembra essere la nemica invincibile del Pellico aspirante autobiografo di una vita: Avrei solamente pubblicato volentieri la mia storia di me medesimo, ed aveva creduto di poterla pubblicare. Mingannai. I tempi non lo consentono, e ci vuol pazienza126. I non pochi inediti emersi dopo la
morte dellautore127 delineano senzombra di dubbio unautobio125
Silvio Pellico a Antoine de Latour, 1834, ivi, pp. 119-120. Per il giudizio sulle Addizioni maroncelliane, cfr. pure Silvio Pellico a Andrea Ighina, giugno 1852, ivi, p. 384.
126
Silvio Pellico a Quirina Mocenni Magiotti, Torino, 2 maggio, 1836, in Opere, p. 172.
127
Cfr. Aldo A. Mola, Pellico ritrovato (1984), nellopera collettiva Saluzzo e
Silvio Pellico nel 150 de Le mie prigioni, cit., pp. 11 sgg. Sulla dbacle archivistica degli scritti di Pellico per mette il dito opportunamente Franco Molinari
(in Il fratello Federico Confalonieri e il buon cugino Pellico, cit., p. 97).
188
ragionar di s
grafia fallita, compiuta, poi smembrata e infine distrutta dallautore, dopo un libro di memorie riuscito. Di quella Storia della mia vita iniziata a ridosso delle Mie prigioni, Pellico non pubblica se non
le poche pagine che sono passate alla tradizione come i Capitoli aggiunti 128. Dei primi parla Pellico stesso in alcune lettere a de Latour,
cui affida nel 1837 i Capitoli aggiunti perch ne faccia luso che ritiene pi opportuno in una nuova edizione delle memorie del carcere. Insoddisfatto della ricezione del suo libro, titubante sulla pubblicazione pur di quei pochi frammenti, lautobiografo spiega che
essi non sono che piccola parte di unopera assai pi vasta (une
partie si petite et si peu saillante de mon manuscrit) e che possono aprire uno squarcio sul presente dellautore: Ils feraient voir
quelle est mon existence actuelle, quelles sont mes opinions129.
Una finestra sulloggi ch corredo esplicativo essenziale al libro. I
dodici Capitoli aggiunti si configurano infatti come nati per spiegare le Mie prigioni piuttosto che per completarle. vero che si comincia dalla fine di quelle memorie, con la notte dellarrivo in famiglia (capitolo i) e le vicende della giornata successiva (ii); ma poi
128
Negli anni ne sono poi saltati fuori alcuni frammenti sparsi, di cui taluni
editi postumi da Ilario Rinieri e altri segnalati da Domenico Chiattone: cfr. Ilario
Rinieri, Della vita e delle opere di Silvio Pellico. Da lettere e documenti inediti, 3 voll.,
Torino, R. Streglio, 1898-1901, ii, 1899, pp. 371-376 (ora tali frammenti si possono
leggere, con il titolo La storia della mia vita [frammenti], in Opere, pp. 43-45) e Domenico Chiattone, Per lAutobiografia e per I Costituti di Silvio Pellico e per
una recente riabilitazione, comunicazione del prof. Domenico Chiattone, Roma,
Tip. DellAccademia dei Lincei, 1904 (estr. da Atti del Congresso Internazionale di
Scienze Storiche, Roma, 1903), che d notizia di frammenti brevissimi dettati in
francese esistenti inediti nel museo di casa Cavassa di Saluzzo. Pronta per le stampe gi nel 1834, essa [lautobiografia] non fu pubblicata per il probabile intervento
di re Carlo Alberto, attento lettore del saluzzese. Domenico Chiattone riusc a
strapparla alloblio e lavrebbe pubblicata come appendice alla sua biografia del Pellico, purtroppo incompiuta e dispersa dopo la sua precoce morte (Franco Molinari, Il fratello Federico Confalonieri e il buon cugino Pellico, cit., p. 97).
129
Silvio Pellico a Antoine de Latour, Turin, 7 novembre 1837, in Epistolario
di Silvio Pellico, cit., pp. 158-159. E si veda pure la lettera allo stesso, Turin, 14 avril
1838, ivi, p. 170: Quant mes fragments, ne vous htez pas: peut-tre vaudrait-il
mieux ne pas les publier. Cependant vous en tes le matre; et si vous les publiez,
je nai aucune difficult ce que vous retranchiez ce qui vous parat trop peu dvelopp ou inopportun.
iii. pellico
189
190
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Con gli anni Pellico per accantona la soluzione dei mmoires doutre-tombe e il silenzio gli appare la strada pi consona:
lunica che non abbia sapore di vendetta contro le fitte de fratelli, e la sconoscenza del suo paese, come si legge in una significativa lettera dellaprile 1843 a Cesare Cant, allora in visita a Parigi,
dove de Latour gli ha mostrato i Capitoli aggiunti :
133
iii. pellico
191
Que brani che vi ha mostrato M. Latour ora mi son cagione di dispiacere. Io che aveva sofferto dieci anni di penosa agonia senza lamentarmi, non ho saputo recarmi in pace queste fitte de fratelli, e la sconoscenza del mio paese. [] vingannate nel supporre nelle Mie Prigioni
unarte, una disposizione diretta a spargere luce su tutto, per gettar tutta
lombra su una persona sola. Colla mano sul cuore vi protesto che nessun
pensiero di vendetta mi anim; che ebbi di mira raccontare, raccontar
semplicemente, non tutto al certo, ma tutto vero. Mentirei a me stesso, se
negassi di aver anche avuto intenzione di far un libro: ma lasciatemi ripeterlo, non ho voluto far una vendetta136.
Lanno successivo infatti Pellico blocca anche la ripubblicazione dei Capitoli aggiunti:
mincresce, ma non posso consentire che si stampino que capitoli
chio lasciai pubblicare in francese da Monsieur de Latour. Gli stessi motivi che mhanno fatto sospendere la pubblicazione in originale della mia
biografia (e per conseguente de mentovati capitoli) esigono chio non
condiscenda al pubblicarsi tal cosa da altri. Leccezione che ho fatta a favore di Monsieur de Latour, permettendo che stampasse tradotto quel
frammento, non posso ripeterla per altre persone infino ad ora137.
Lansia della scrittura di s di Pellico ha intanto preso una strada meno compromettente, capace di aggirare lostacolo dei tempi:
quella dellautobiografismo consegnato alle cantiche. Lo rivela il
frammento dun lungo lavoro inedito, Il Trobadore Saluzzese 138,
in cui, secondo lespediente tradizionale del manoscritto ritrovato,
Pellico finge di scoprire in unantica e oscura cronaca la storia e
i frammenti poetici di un ignoto trobadore saluzzese, rimasto nelloblio perch era sdegnoso di propagare i suoi scritti cercando il
favore dei letterati coetanei ma che, proprio per questa ragione,
dice Pellico, sarebbe stato caro ai posteri. Il dimenticato trovato136
192
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139
Silvio Pellico a Niccol Puccini, Torino, 28 gennaio 1845, lettera inedita
(Biblioteca Forteguerriana, Pistoia, Raccolta Puccini. Carte, Cassetta xviii, 4).
140
Cfr. le Notizie intorno alla Beata Panasia pastorella Valsesiana nativa di Quarona, raccolte e scritte da Silvio Pellico, premessa una biografia dellautore, Torino,
Tip. G. B. Paravia, 1862 (estr. da Letture cattoliche, 9, fasc. 10, dicembre 1862).
141
Cfr. supra, pp. 9-14.
IV.
Ho studiato il modo
per paragonare la prigione in cui vivo al mondo.
(William Shakespeare, Riccardo II, V, v)
E sento
che lio
poco per me.
Qualcuno da me erompe ostinato.
(Vladimir Majakovskij, La nuvola in pantaloni [1915])
194
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3
Sebastiano Timpanaro, Alcuni chiarimenti su Carlo Bini, in Antileopardiani e neomoderati nella sinistra italiana, cit., p. 202. Su Timpanaro studioso di
Bini, cfr. ora Gino Tellini, In margine agli studi sul nostro Ottocento, in Il Ponte, lvii, 10-11, 2001, i, Per Sebastiano Timpanaro, pp. 114-122.
4
Si pu leggere lepigrafe, tra laltro, in Giorgio Fontanelli, Carlo Bini:
un eroe seduto?, in Bollettino della domus mazziniana, xxxvii, 2, 1991, pp. 167171: 167. Le spoglie di Bini, morto a Carrara il 12 novembre 1842 e sepolto inizialmente nel cimitero di quella citt, nel gennaio 1843 sono trasferite nel cimitero livornese di Salviano grazie a una colletta degli amici e, infine, il 15 settembre 1895
sono traslate a Montenero.
5
Luca Toschi, Foscolo e altri Sentimental Travellers di primo Ottocento
(1982), nellopera collettiva Effetto Sterne, cit., p. 118. Poteva compiacersi di avere per
primo allogato a suo posto il Bini nella nostra storia letteraria dellOttocento Guido Mazzoni (cfr. Guido Mazzoni, Prefazione, nellopera collettiva Carlo Bini [nel
centenario della morte], in Bollettino storico livornese, vi, 3-4, 1942, poi in volume,
Livorno, Deputazione di Storia Patria per la Toscana-Sezione di Livorno, 1943, da cui
si cita: p. viii); ma si rammenti che nel 1908 Pirandello menzionava il livornese nella sua perlustrazione del filone carsico dellumorismo italiano (cfr. Luigi Pirandello, Lumorismo [1908], in Lumorismo e altri saggi, a cura di Enrico Ghidetti, Firenze,
Giunti, 1994, p. 109). Bini intanto ha cominciato a guadagnarsi un posto anche nella storia degli intellettuali rivoluzionari in Italia: coevo al capitale saggio di Timpanaro (Alcuni chiarimenti su Carlo Bini, cit.) il contributo di Roberto Tacchinardi, Per una storia degli intellettuali rivoluzionari in Italia: Carlo Bini e il Manoscritto di un prigioniero, in Inventario, xx, 5-6, 1982, pp. 81-90.
6
Giorgio Fontanelli, Carlo Bini: un eroe seduto?, cit., p. 170.
195
prose che ammontano in tutto a poche centinaia di pagine, episodiche traduzioni (tra cui quelle da Sterne che fanno di Bini il primo, precoce traduttore italiano del Tristram Shandy, dopo lepisodio di Maria che Foscolo-Didimo aveva allegato alla sua versione
del Viaggio sentimentale )7, sporadici versi, commemorazioni ed
epigrafi occasionali. Ha lasciato, infine, un epistolario tuttaltro
che sterminato, fortemente amputato nelle sue sezioni pi illustri
(per esempio il carteggio con Mazzini, che distrusse le missive di
Bini per ragioni di sicurezza) e ancora da ricostruire nella sua integralit, sebbene una certa fortuna editoriale abbiano goduto una
intensa lettera al padre (tale da poter essere affiancata, in questo
sottogenere epistolare, agli analoghi e celeberrimi testi di Leopardi
e di Kafka) e le letterarissime missive amorose indirizzate nellarco
di un anno a Adele Perfetti De Witt8. Il tutto rimasto rigorosamente inedito, tranne gli articoli di letteratura e di economia e le
traduzioni apparse sullIndicatore Livornese (12 gennaio 1829-8
febbraio 1830), la rivista diretta da Guerrazzi e della quale Bini fu
uno degli scrittori pi assidui durante i tredici mesi in cui fu tollerata dallintormentito Governo Toscano9. Quasi tutto edito po7
Bini intraprende la versione di tre episodi di Life and opinions of Tristram
Shandy, gentleman nel 1829: la Storia di Yorick (dal volume i del Tristram Shandy,
edita in Indicatore Livornese, 12, 18 maggio 1829), la Storia di Le Fever (dal volume vi, in Indicatore Livornese, 13, 25 maggio 1829); il terzo, il Racconto di
Slawkenbergius (dal volume iv), titolato da Bini Il naso grosso, apparve verosimilmente postumo, per la prima volta negli Scritti editi e postumi del 1843, e anchesso con data 1829, apposta dal curatore Silvio Giannini (poi nelledizione Lawrence Sterne, Il viaggio sentimentale tradotto da Foscolo, Storia di Yorick, Il naso grosso, Storia di Lefevre, episodi del Tristano Shandy, tradotti da Carlo Bini, Firenze, Le
Monnier, 1855). Su questo versante dellattivit di Bini, cfr. Alma Borgini, Carlo
Bini traduttore, in La Rassegna della letteratura italiana, s. vii, lxviii, 2-3, 1964,
pp. 382-398 e Giovanni Maffei, Carlo Bini traduttore di Sterne, nellopera collettiva Effetto Sterne, cit., pp. 341-389.
8
Si allude, rispettivamente, alla lunga lettera al padre, da Camaiore, 28 luglio 1836, riportata in tutte o quasi le sillogi di scritti biniani, e alle Lettere allAdele, di cui si vedano le edizioni a cura di Adolfo Mangini e Dino Provenzal, Roma,
Formggini, 1925 e a cura di Enrico Emanuelli, Milano, Martello, 1944.
9
Giuseppe Mazzini, Note autobiografiche, a cura del Centro napoletano di
studi mazziniani, Napoli, 1972, p. 86. Fu causa indiretta, e per cos dire occasionale della soppressione della rivista, proprio un articolo del Bini, contro la va-
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stumo non tanto per la precoce scomparsa dellautore quanto perch Bini, una volta uscito, nel dicembre 1833, dal carcere del Forte
della Stella, dopo una breve detenzione per motivi politici, decise
di tacere; per ragioni di prudenza10, ma anche per un motivo pi
profondo: perch, in quanto intellettuale rivoluzionario avanzato e
isolato rispetto alle idee dei suoi stessi amici Guerrazzi e Mazzini,
materialista, antiprovvidenzialista, ami du peuple votato interclassisticamente alla causa della plebe e sostanzialmente privo di sentimento patriottico, auspice di una rivoluzione sociale piuttosto che
di quella nazionale, Bini non poteva trovare un pubblico11.
Come non trov lettori capaci di intendere, o meglio disposti
a intendere, tra gli stessi intellettuali che gli furono vicini. La poco
fa citata epigrafe mazziniana per la tomba di Bini ne rammenta i
santi sdegni e lo ricorda come uno spirito attivo (anima [] /
temprata a patire e a fare) ma inespresso a causa dei tempi, del
soffocante contesto politico e sociale in cui si trovato a agire (inespresso soprattutto, va detto, rispetto a quella nozione di letteratura finalizzata ch propria di Mazzini12). Viceversa, per Guerraz-
197
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citare due giganti delle nostre lettere che si sono occupati fugacemente di Bini, ci sono voluti gli studi di Nicola Badaloni e soprattutto di Sebastiano Timpanaro per attestare un poderoso colpo a
quellimmagine e tratteggiare larticolato ritratto di Bini come
scrittore maturo: il ritratto dellautore rivoluzionario del Manoscritto di un prigioniero e del Forte della Stella depurato il pi possibile ovvero per quanto consentono testi, documenti e testimonianze sagacemente compulsati dai fraintendimenti di amici e
estimatori premurosi di tramandarne, s, la memoria ai posteri, ma
a modo loro.
Davanti a quel fiore a cui il sole manc che sarebbe Bini nelle testimonianze di Mazzini e Guerrazzi17, sono purtroppo ancora
attuali le parole che nella citata epigrafe mazziniana seguono e
completano quellimmagine: pochi / [] ne raccolsero sulla terra / il profumo. Chi lo legge oggi si andato a unire al novero di
quei pochi che alla morte dello scrittore consistevano negli amici e conoscenti che sostennero la spesa delledizione postuma dei
suoi scritti (1843) , rimpinguandolo poveramente. Il manipolo degli estimatori di Bini infatti leggermente lievitato negli ultimi decenni e non pu che rallegrare la notizia che da circa dieci anni se
ne pu raccogliere il profumo anche oltralpe18. Sono ormai lontani i tempi in cui uno studioso francese del romanzo italiano
prontamente rimbrottata da Giovanni Rabizzani discorreva del
17
Limmagine mazziniana del fiore calpesto da molti, inavvertito dai pi, al
quale mancarono laria e il sole ritorna sia nella prefazione mazziniana alla prima
edizione degli scritti biniani (Ai giovani, in Scritti editi e postumi, cit., p. ix), che
in Guerrazzi (cfr. la citata lettera a Angelica Palli Bartolomei, in Scritti scelti di
Francesco Domenico Guerrazzi e di Carlo Bini, cit., p. 661: Quei suoi scritti sono
belli, anzi bellissimi, per un giovane che scriveva nel 26, 27; aveva 21 anni, ma
quei fiori non si possono dare per frutti). Come ha notato Giorgio Fontanelli, Bini stesso in molti luoghi delle sue opere [] inconsapevolmente collaborava alla
legittimazione di quel clich del quale doveva poi rimanere vittima (Giorgio
Fontanelli, Lo spirito del Risorgimento nellopera letteraria di Carlo Bini, in Rivista di Livorno, x, 2-3, 1960, pp. 204-209).
18
Risale al 1991 la traduzione francese del Manoscritto biniano, Manuscrit
dun prisonnier, traduit par Franois Bouchard, Paris, Jos Corti, 1991, comparsa
nella collana di auteurs romantiques; Bini viene l ascritto al filone sterniano che
attraversa lOttocento italiano, da Foscolo a Raiberti, a Dossi.
199
valore puramente documentario del Manoscritto di un prigioniero 19: se proprio in terra francese si conta oggi una traduzione del
libro, una recente antologia di scritti memorialistici dellOttocento accoglie il Manoscritto discorrendo di come esso esuli dalla tradizione memorialistica anche perch ha valore pi letterario che
documentario20. La difficile alchimia21 dellarte di Bini ha cominciato a incantare un numero crescente di lettori. Soprattutto
ed da qui che voglio cominciare aveva incantato un lettore eccellente allinizio del Novecento.
2. a margine di uno scritto di tozzi su bini
Si deve a Tozzi un coraggioso invito alla lettura degli scritti di Carlo Bini22. In un articolo del 1918, che si apre con la parola forse
ma poi procede con ostentata sicurezza dritto alla meta (Noi []
siamo convinti che [Bini] meriti un bel posto tra i nostri scrittori
moderni23), lautore senese propugnava una lettura di Bini finalmente non inficiata da alcun pregiudizio patriottico, fino a chiedere che uno scrittore di tale fatta non sia pi tenuto su la soglia delluscio; per farlo entrare con gli altri migliori della nostra letteratura. Dietro questa intensa rivendicazione del valore misconosciuto di
Bini, da parte di Tozzi sta la convinzione che il Manoscritto di un pri19
Si allude a Jean Dornis, Le roman italien contemporain, Paris, Ollendorf,
1907, p. 18, cit. polemicamente in Giovanni Rabizzani, Sterne in Italia. Riflessi
nostrani dellumorismo sentimentale, con pref. di Odoardo Gori, Roma, Formggini, 1920, p. 145, n. 3.
20
Cfr. I memorialisti del XIX secolo, scelta e introduzione di Lucia Martinelli, cit., p. 87.
21
Gaetano Mariani, Il romanticismo di Carlo Bini, in Convivium, xviii,
3-4, 1950, poi, con il titolo Carlo Bini, ovvero un pastiche mancato, in Ottocento
romantico e verista, Napoli, Giannini, 1972, pp. 81-94: 93.
22
Marziano Guglielminetti, Introduzione, in Carlo Bini, Il Manoscritto
di un prigioniero ed altro, cit., pp. 5-18, poi, rivista, con il titolo Il manoscritto di un
prigioniero, in Marziano Guglielminetti, Gertrude, Tristano e altri malnati, cit.,
pp. 63-75, da cui si cita: p. 63.
23
Federigo Tozzi, Un dimenticato: Carlo Bini, cit., pp. 193-194. Le citazioni che seguono, ivi, pp. 194, 203.
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zione, ma sostanzialmente estraneo allideologia e allarte del Bini30: e, va detto, lestraneit dellarticolo allideologia e allarte di
Bini direttamente proporzionale alla sua aderenza allideologia e
allarte di Tozzi. Se ci si sofferma a pensare che lautore novecentesco del saggio in questione risponde al nome di Federigo Tozzi, il
ritratto del livornese l tratteggiato si rivela tendenzioso perch, in
fondo, autobiografico. Colpisce il lettore di Tozzi quanto il Bini di
quellarticolo sia soprattutto fascinoso personaggio tozziano, per
caratteri suoi propri cui fanno da cassa di risonanza suadenti autoproiezioni dello scrittore senese:
Forse, nessun altro scrittore quanto Carlo Bini lascia nel nostro animo un senso di giovinezza dolorosa e affrettata.
Carlo Bini era nato faceto e burlone; e in vece la sorte e la vita gli cambiavano il sorriso in una contrazione nervosa.
Il Bini era un solitario anche letterariamente; e nessuno andava a disturbarsi per lui.
Il Bini era un timido: ma di quelli che di dentro son tutta energia e fervore; di quelli che piangono senza che li senta e li veda nessuno. Ma riescono a pigliare il sopravvento con certe loro violenze senza ritegno, sfacciate, quando dicono quel che gli altri non si arrischierebbero n meno.
Ma il Bini anche uno dei nostri paesaggisti moderni che pi savvicinano a quegli elementi psicologici che sembrano apparire solo a contatto con la natura; quando il nostro spirito quasi si completa e trova da se
stesso unesistenza pi profonda; come se riuscisse ad esprimere per mezzo delle cose sensibili certi sentimenti che in altro modo resterebbero non
solo indefinibili ma anche senza espressione31.
30
Sebastiano Timpanaro, Alcuni chiarimenti su Carlo Bini, cit., p. 261n.
Quasi un autoritratto ha definito lo scritto tozziano su Bini Giorgio Luti, che indica come nel livornese Tozzi trovasse un compagno di strada scoperto dimprovviso (cfr. Giorgio Luti, Due paragrafi per Federigo Tozzi. i [1983], in Cronache dei
fatti di Toscana. Storia e letteratura tra Otto e Novecento, Firenze, Le Lettere, 1996,
pp. 132-133).
31
Federigo Tozzi, Un dimenticato: Carlo Bini, cit., rispettivamente, pp. 193,
203
C dellaltro. Nella sua proposta di lettura Tozzi procede per assaggi staccati di cose belle e notevoli32 tratte dal Manoscritto di un
prigioniero, dalle lettere al padre e dal breve Cenno sulla letteratura
(edito sullIndicatore livornese del 28 settembre 1829). Per quel che
riguarda lopera maggiore, il Manoscritto, spicca come le citazioni
scelte dallautore senese siano tutte o quasi esemplificative di un unico aspetto della scrittura di Bini: il gusto per le immagini fantastiche,
le fantasticherie tra tragico e grottesco che attestano una delle
varianti dellironia biniana33. Colpisce cos, in quella sorta di antologia minima dellopera biniana che Tozzi intesse a sostegno della sua
rivendicazione, la presenza di immagini che si confanno allo scrittore visionario di Con gli occhi chiusi; e gli si confanno a tal punto che
di quasi identiche se ne trovano in Con gli occhi chiusi e in Tre croci.
Cominciamo dalla meno significativa (perch la pi casuale). Dopo
il passo su Bini paesaggista moderno poco fa citato, scrive Tozzi:
A un certo punto del suo Manoscritto, quando sembra che il prigioniero riesca a trovare in se stesso quel che non aveva mai desiderato, il Bini mette insieme questo paesaggio; che, se ha un difetto, di esser troppo fatto di umanit. Egli scrive: Non mi giova il passeggiare; vado in su
e gi per i dodici passi della mia prigione, e di l a poco torno a sedermi
con la vertigine []34.
Ai lettori di Con gli occhi chiusi vengono in mente, mutatis mutandis, i movimenti che davano a Pietro un malessere come
quello delle vertigini35. Tozzi intanto continua la citazione dal
Manoscritto :
195, 195, 196-197, 199. A proposito della giovinezza [] affrettata del primo dei
cinque passi qui citati, Gino Tellini ha parlato di oscuro presagio autobiografico
(Gino Tellini, Carlo Bini, scrittore postumo e clandestino, in Carlo Bini, Manoscritto di un prigioniero e altre cose, p. 190; il saggio si legge anche in Gino Tellini, Larte della prosa. Alfieri, Leopardi, Tommaseo e altri, Firenze, La Nuova Italia,
1995, pp. 117-137).
32
Federigo Tozzi, Un dimenticato: Carlo Bini, cit., p. 201.
33
Sebastiano Timpanaro, Alcuni chiarimenti su Carlo Bini, cit., pp. 230, 233.
34
Federigo Tozzi, Un dimenticato: Carlo Bini, cit., p. 197.
35
Cfr. Id., Con gli occhi chiusi, in Opere, a cura di Marco Marchi, introduzione di Giorgio Luti, Milano, Mondadori, 1987, 19954, p. 20.
204
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Il cielo che trascolora tinto color di ferro dalle sbarre che traversano locchio di chi guarda e il tempo raffigurato non classicamente con le ali velocissime ma identificato, senza neanche il tramite rassicurante della similitudine, in una figura di piombo
sdraiata in un canto sono immagini allucinate che potrebbero
sbucare anche da qualche pagina tozziana, senza che nessuno si
meravigli. E i monti che paion sepolcri non sono lontani dai vicoli di Fontebranda come tanti baratri attraversati da Giulio
Gambi in Tre croci 37.
Con questo si vuol dire che solo Tozzi proprio Tozzi, e non
un altro lettore novecentesco poteva cogliere e propugnare in
quei termini, nel 1918, la modernit di Bini e della sua singolare arte letteraria, tratteggiando un autoritratto pi che un ritratto. Loriginalit tutta da scoprire di Bini si sarebbe pi tardi chiarita per
quel che : non consiste (almeno non soltanto, e non principalmente) nei tratti tragici, grotteschi e anche visionari che contraddistinguono talora la sua ironia e che tanto piacevano a Tozzi, ma
affonda le radici nella sua parabola ideologica che, approdando al
materialismo, allantiprovvidenzialismo, al comunismo38,
allorigine di un esperimento assolutamente eccentrico e isolato nel
quadro nella prosa del nostro primo Ottocento quale il Manoscritto di un prigioniero. Ed una miscela sperimentale in cui il contrasto irrisolto e lirrazionale, aveva visto bene Tozzi, hanno un
ruolo precipuo.
36
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morie o diario del carcere, come libro di riflessioni. Dunque, sperimentale da qualunque verso lo si pigli.
Oggi non si crede n al Bini tutto impeto e naturalezza del suo
primo interprete43, secondo il mito dello scrittore spontaneo e incostante, che non si d cura e pensiero della forma; un mito radicato sin dalle testimonianze epistolari del contemporaneo Giusti44
e in ossequio al quale si letto il Manoscritto come testo ch cos
sui generis semplicemente perch privato e steso di getto da un autore che sapeva scrivere soltanto in quel modo, currenti calamo.
Come non si crede pi al Bini tutto sterniano di Rabizzani45, che
riconduceva la miscela singolare e variata delloperetta interamente allimitazione del modello offerto dallamato scrittore irlandese:
n luno n laltro hanno retto a un confronto-verifica [] con la
pagina46, che, se letta attentamente, testimonia piuttosto del pastiche biniano come scelta artistica cosciente e in gran parte originale. Ma a causa di quegli equivoci sulla presunta spontaneit e
immediatezza della sua variatissima prosa o su una pedissequa imitazione di Sterne, su Bini pesano pagine elogiative e limitative.
43
Cfr. Giuseppe Levantini Pieroni, Introduzione, in Carlo Bini, Scritti
editi e postumi, cit., e la relativa discussione di Luca Toschi, Il rifiuto di Carlo Bini livornese, in Belfagor, xxxiv, 3, 1979, pp. 249-250.
44
Cfr. Giuseppe Giusti a Silvio Giannini, in Giuseppe Giusti, Epistolario,
ordinato da Giovanni Frassi, 2 voll., Firenze, Le Monnier, 1863, ii, pp. 2-3; poi ristampato a cura di Ferdinando Martini, 5 voll., Firenze, Le Monnier, 1932, i (18221843), pp. 560-561: Il Bini aveva molto ingegno, molto acume, molta lettura: aveva quella quieta malinconia che fa vedere le cose per un lato che molti non vedono, e che invece di maledire si contenta di pungere; ma non era scrittore, forse per
non aver avuto tempo e per non essersi curato desserlo Non era sano, era stato
sempre in un solo giro di persone e di cose, era o sgomento o quasi sgomento di
s e degli altri. Di qui, secondo me, il bisogno di appuntare sulla carta ci che gli
passava davanti, e nello stesso tempo lincuria di pensare al poi e vivendo e scrivendo. Lingegno lo portava a pensare, la nausea e la fibra a tirar via, contento dessersi sfogato in qualche modo, senza badare pi oltre.
45
Cfr. Giovanni Rabizzani, Bini, in Sterne in Italia, cit., pp. 141-150 (e si vedano i rilievi in proposito di Luca Toschi, Il rifiuto di Carlo Bini livornese, cit., p.
250).
46
Luca Toschi, Il rifiuto di Carlo Bini livornese, cit., p. 251. Sulloriginalit
della scrittura di Bini rispetto a Sterne, pur suo innegabile maestro di variet compositiva e stilistica, cfr. soprattutto Sebastiano Timpanaro, Alcuni chiarimenti su
Carlo Bini, cit., pp. 228-229.
207
Uno scrittore difficile che il pi delle volte delude, che dopo averci donato una splendida immagine, ci tedia con un complesso e
slegato ragionare, lo definiva Gaetano Mariani nel 1950, lasciando
immutato il giudizio ventanni dopo47; e il Manoscritto era allora
un pastiche mancato, in cui lautore anestetizza la convinzione di una sua fondamentale incapacit allespressione prendendo
in prestito da altri autori forme e costrutti48. Non siamo troppo
lontani dalla linea promossa, negli stessi anni ma da una angolazione diversa, anche da Trombatore49, che ascrive lopera senzaltro
allambito della memorialistica; se i conti non tornano quando poi
ci si mette a leggere il Manoscritto, perch esso il memoriale non
di un solido patriota come Mazzini bens di un democratico
eversore e rivoluzionario, ma anche inesorabilmente fiaccato dallo scetticismo e che come tale, sentendosi impotente, cerca un
illusorio rifugio nellumorismo alla Sterne e si abbandona a uno
sfogo di sentimenti vivi e brucianti; il quale sfogo, ineluttabilmente, si veste di una scrittura incontrollata e volubile. Insomma, unopera memorialistica a tratti affascinante, ma, al cospetto degli altri grandi e posati monumenti della nostra memorialistica ottocentesca, effusiva e che accusa [] il difetto di
unulteriore elaborazione. La controprova si trova, per linterprete, nella scelta di Bini di lasciare inediti i suoi scritti: cosaltro vuol
dire se non che lautore stesso, a mente fredda, li considerava cose vane?
Linsistenza a ricondurre il Manoscritto al genere delle memo47
208
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rialistica carceraria, sebbene esso si mostri refrattario a questa come a ogni altra etichettatura, riposava su una ragione profonda.
Non scaturiva solo da una lettura frettolosa delloperetta che non
sappia (o non voglia) enucleare la nuova ideologia politica e sociale l espressa da Bini, ormai lontano dal mazzinianesimo, dal suo
rivoluzionarismo cospirativo e, conseguentemente, dalle sue solide
pose pedagogiche; n nasceva soltanto da una indagine superficiale sugli aspetti strutturali e formali del Manoscritto che non sia in
grado di rivelarli come il frutto di una matura e consapevolmente
antitradizionale scelta artistica:
ladeguamento di Bini a un genere canonizzato dalla tradizione si configurava come una sorta di riconoscimento della dignit storico-artistica
della sua opera, daltra parte era anche un modo per esorcizzarne la diversit e attuare, sul piano letterario, il progetto di normalizzazione tentato dalla critica ottocentesca sul piano ideologico50.
La questione della particolarit di questa scrittura, difficilmente assimilabile ad alcun genere, primo fra tutti proprio quello memorialistico a cui se non altro la drammatica occasione del carcere
spinge istintivamente ad assimilarlo, negli ultimi decenni ha cominciato a trovare delle risposte pi chiaroscurate51. Strattonato,
quasi sempre con ottime e circostanziate ragioni, tra memorialistica e pamphlet, tra autobiografia e romanzo, il Manoscritto di un prigioniero andato allora incontro a persuasivi tentativi di valutarne
compiutamente la posizione non tanto nel quadro della memorialistica, quanto in quello della narrativa del primo Ottocento. Ne
venuto fuori, allora, anzitutto il rifiuto del romanzo, della macchina narrativa come incapace di conoscere e tanto meno spiegare il
mondo, con la conseguente assunzione di una scrittura sperimentale che mischia consapevolmente molteplici forme discorsive tese
50
209
52
Si veda la sagace e avvincente lettura di Luca Toschi, Il rifiuto di Carlo Bini livornese, cit. Cfr. anche Barbara Silvia Anglani, Sul Manoscritto di Carlo
Bini, in Studi italiani, viii, 1, 1996, pp. 19-33: Troppo spesso scambiato, oltre
che con un diario, con un pamphlet o un ibrido in concluso, il Manoscritto deve
essere ricondotto alla sua natura di esperimento, di cosciente intervento critico nel
dibattito sulla forma del romanzo, specie di fronte al grande successo ottenuto dalla narrativa storica (ivi, p. 19). Non si parla in questo caso tanto di rifiuto, quanto di risposta al problema del romanzo articolata su una dirompente proposta:
un umorismo basato sulla commistione di generi letterari diversi e sullosservazione partecipata alla realt del suo tempo contro la separazione degli stili, al fine di creare un prodotto artistico che rispecchi la complessit della vita e della
situazione politica contemporanea (ibidem).
53
Cfr. Luca Toschi, Il rifiuto di Carlo Bini livornese, cit., pp. 260-261: era
[] lambito sociologico in cui si muoveva il romanzo nel primo Ottocento che
non soddisfaceva lo scrittore livornese. Si sa, invero, che il Bini aveva fatto una
scelta precisa eleggendo a suo diretto ed unico interlocutore il popolo [], specie
dopo il fallimento delloperazione Indicatore livornese, aveva deciso di concentrare le proprie energie nel tentativo di sensibilizzare la base operaia legata al grande movimento del porto labronico. Dovr prima essere rinchiuso, isolato da tutti,
bisogner che il Granduca lo releghi in una torre, anche se in questo caso non
eburnea, perch decida di riprendere a scrivere rivolgendosi a quelluditorio che
ormai non era pi il suo interlocutore.
54
dato su cui convergono numerose testimonianze e ricostruzioni biografiche. Cfr., a titolo desempio, le parole di Giovanni La Cecilia, in Memorie storiche-politiche (1876), a cura di Ruggero Moscati, Milano, Fasani, 1946, pp. 45-46,
da collocarsi intorno al 1826-1828: Bini [] amava ardentemente i pi sventurati delle classi lavoratrici. [] educ moltissimi operai al culto della patria e della
libert; e lampia ricostruzione di Ersilio Michel, Carlo Bini cittadino e patriota, nellopera collettiva Carlo Bini (nel centenario della morte), cit., p. 5. Si ricordino, infine, anche le parole sulla lapide apposta alla casa dove Bini era nato det-
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va Guerrazzi ricordando lamico di un tempo55. Lideologia biniana della maturit, allaltezza del 1833 del Manoscritto, scavalcata la
fase romantica e mazziniana degli anni fino allIndicatore livornese, inconciliabile con lambito sociologico in cui si muove la narrativa primottocentesca. Se gli uomini del foglio azzurro tre lustri prima avevano marciato incontro al romanzo come forma letteraria popolare ovvero moderna e borghese , Bini la rifiuta come forma letteraria appunto borghese; la quale, come ogni pratica
letteraria, non raggiunge, per usare le parole di un suo collega novecentesco, il popolo digiuno, il popolo illetterato56.
Un rifiuto altrettanto netto e altrettanto profondamente motivato si scorge anche nei confronti della memorialistica carceraria,
di cui appena lanno prima Le mie prigioni avevano offerto un
esempio cos fortunato e, nel loro spiritualismo e intimismo consolatorio, cos radicalmente antitetico alla ideologia biniana da
configurarsi come ineludibile termine di confronto. Si veda cosa
accade al motivo della prigionia da cui il Manoscritto prende le
mosse. Con questo tema Bini si era confrontato letterariamente tre
anni prima di provare il carcere sulla propria pelle, nella traduzione dal byroniano poema romantico Il prigioniero di Chillon 57: l
chi scrive il misero avanzo di tre fratelli gittati in una carcere
presso il lago di Ginevra, autore di pagine tragiche e luttuose, dettate da un dolore devastante che si spinge fino alle soglie della follia. Quando tocca a Bini, tutto ci che egli scrive in carcere legato allesperienza della prigionia (con leccezione dei versi autobiotate da Guerrazzi dopo la morte dello scrittore: Di popolo nacque, col popolo visse, popolano mor (cit. in Antonio Piromalli, Pellico e la memorialistica del carcere, cit., pp. 110-112).
55
Prima di avere preso usanza meco, [] aveva scelto gli amici suoi piuttosto tra i figli della plebe che del popolo (Francesco Domenico Guerrazzi, Memorie scritte da lui medesimo. A Giuseppe Mazzini intorno allAssedio di Firenze ed
ai casi della sua vita fino al gennaio 1848, Livorno, Poligrafica italiana, 1848, p. 34).
56
Piero Jahier, Dichiarazione (1916), in Poesie, Firenze, Vallecchi, 1964, p.
75, vv. 3, 9.
57
Cfr. Il prigioniero di Chillon. Poema romantico di Lord Byron, trad. di Carlo Bini (1830), in Scritti di Carlo Bini, cit., pp. 275-288, da cui sono tratte le citazioni che seguono. Sul byronismo di Bini, cfr. soprattutto Toni Iermano, Frammenti di Risorgimento, cit., pp. 45 sgg.
211
58
Sebastiano Timpanaro, Alcuni chiarimenti su Carlo Bini, cit., p. 220. Cfr.
Carlo Bini, Manoscritto di un prigioniero e altre cose, p. 100: O Silvio Pellico! io
non ti domando la tenera ispirazione, da cui sgorgava quella tua Francesca, che sar
un palpito del cuore finch lAmore sar una passione delluomo; ma ti domando
soltanto dinsegnarmi donde traesti la tua decenne pazienza, a costo di fare un fac
simile delle tue Prigioni, che io non tinvidio punto, n descritte n in pratica. Ma
di Bini si veda anche il Ricordo di Silvio Pellico (in Scritti di Carlo Bini, cit., p. 541),
breve nota scritta quando si sparse la falsa notizia della morte del Pellico, in cui
Bini ricordava di lui soltanto la Francesca da Rimini, [] ma taceva delle Mie prigioni (Ernesto Sestan, Guerrazzi e il memorialismo toscano, cit., p. 27, n. 8).
59
Sebastiano Timpanaro, Alcuni chiarimenti su Carlo Bini, cit., p. 220.
60
Carlo Bini, Manoscritto di un prigioniero e altre cose, p. 11.
212
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scrittore stesso in carcere, continua come una congerie di pensieri veementemente gettati sulla carta e apparentemente currenti calamo, con un picco speculativo nel finale, il passo di pi alta tensione utopica di tutta lopera61 (xxii); ma non mai il resoconto
della propria prigionia. N tanto meno la propria autobiografia,
come quella che lamico Guerrazzi, primo e sconcertato lettore dello scritto biniano, stava stendendo nella cella accanto62. Nel Manoscritto del binomio sterniano life and opinions ben noto al nostro scrittore restano solo le opinioni. Se interessano gli aspetti documentari della prigionia di Bini, se si cerca la trascrizione di fatti
e pensieri del carcere, bisogna volgersi altrove: alla scrittura privata dellepistolario. Su come trascorra la giornata-tipo del prigioniero, su come ristagni il tempo nelle pareti della cella, informano pi
le lettere al padre (sebbene scritte con laffettuoso intento di rincuorare i familiari che talora edulcora la realt) che le poche e bellissime pagine sulla noia nel capitolo xx del Manoscritto :
Del resto, come vi ho gi detto, la vita che io meno non ha bisogno
di troppi colori a dipingersi. La notte dormo quando posso; e quando no,
veglio fantasticando. Il giorno mi levo; passeggio un poco sopra uno spazio di 12 passi; poi leggo; poi di nuovo passeggio; alle 2 un trattore ci manda il desinare a modo suo, il dopo pranzo la medesima canzone, finch
non torni lora di rimettersi a letto. Come vedete, una nota unica sopra
una corda unica. Per unora del giorno uno dopo laltro siamo condotti
a respirare allaperto; laria in questi luoghi balsamica, e fa buono al sangue. Di quando in quando viene a visitarci il Comandante della Piazza,
una gentil persona, di cui non conosco per anche il nome, e ci tratta paternamente. Talvolta mi affaccio ad osservare i soldati occupati nellopere
loro; in due o tre giorni ho compreso tutti i misteri della vita militare;
una vita che non eccita tentazioni. In somma, a dirvela schietta, io mi
annoio piuttosto che no, e lozio, che una volta io vagheggiava come cosa morbida e cara, oggi mio nemico giurato, e mi sta in dosso come un
61
Roberto Tacchinardi, Per una storia degli intellettuali rivoluzionari in
Italia: Carlo Bini e il Manoscritto di un prigioniero, cit., p. 81.
62
Per Guerrazzi lettore del Manoscritto gi durante la sua stesura, ai primi di
ottobre 1833, cfr. Carlo Bini, Manoscritto di un prigioniero e altre cose, p. 109. Sulle Note autobiografiche composte da Guerrazzi durante la prigionia al Forte della
Stella, cfr. Ernesto Sestan, Guerrazzi e il memorialismo toscano, cit.
213
cilizio, ed io concorro coi padri della Chiesa a dichiararlo peccato mortale. Insomma questa monotonia tale, che a lungo andare pu convertire
lanima in un orologio a polvere63.
E ancora:
Mi dite chio scriva pi spesso. Io vi scriverei volentieri anche ogni
giorno; ma che devo dirvi? Devo raccontarvi delle novelle? Quando io vi
ho scritto che sto bene, non ho pi altro da dire. La vita del prigioniero
troppo semplice, troppo monotona; la vita del primo giorno la stessa
di tutti gli altri che seguono, dovessero moltiplicarsi ancora fino a cento
millanni. Immaginatevi un uomo solo solo, chiuso in due stanze, e padrone di ventiquattrore; che deve fare? mangiare, leggere e dormire, dormire, leggere e mangiare; un ritornello sempre su queste rime. Ed io di
fatti non faccio altro64.
63
Carlo Bini al padre [Giulio Bini], dallo Stella, 17 settembre 1833, in Scritti
di Carlo Bini, cit., pp. 342-343.
64
Carlo Bini al padre [Giulio Bini], dallo Stella, 22 novembre 1833, ivi, p. 354.
65
Carlo Bini al padre [Giulio Bini], dallo Stella, 17 settembre 1833, ivi, p. 341:
Ora la vita attiva si mutata in vita contemplativa: n io saprei cosaltro raccontarvi, se pur non fosse la storia dei mille grilli, che da mattina a sera mi svolazzano nel cervello. Ma questo nol comporteremmo n voi, n io, n quei signori deputati a leggere tutto ci che scriviamo.
66
Cfr. Sebastiano Timpanaro, Alcuni chiarimenti su Carlo Bini, cit., pp.
259-260: Il rapporto autore-pubblico, che era stato il problema che aveva indotto Carlo Bini al silenzio e al rinnegamento dei propri scritti romantico-mazziniani [] aveva trovato, paradossalmente, una soluzione proprio nel periodo della prigionia. C un rapporto autore-pubblico profondo, che consiste nellesprimere bisogni, esigenze di conoscenza e di liberazione []. La prigionia, proprio
escludendo del tutto per il momento, e rinviando caso mai a un futuro imprecisabile, la questione del rapporto autore-pubblico in quanto comunicazione diretta
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vere servono tre cose chiarezza didee, uno stile a esse corrispondente e un pubblico per cui scrivere67 , le prime due Bini le ha
conquistate attraverso una lenta maturazione che passa in parte per
i libri; in parte per loperato di giornalista e traduttore sulle pagine
dellIndicatore livornese; in parte per lattivit di cospiratore affiliato alla Carboneria prima e alla Giovine Italia poi; infine, in parte e sta qui la componente originale dellideologia biniana per
le esperienze plebee68 dello scrittore. Se, allaltezza della prigionia,
nel 1833, rimaneva insoluto, e per certi aspetti insolubile, il problema del pubblico per cui scrivere, proprio la totale, materiale impossibilit di un contatto con un suo pubblico e con qualsiasi pubblico, almeno a breve scadenza fornita dalla prigionia, costitu per
lui un incitamento a scrivere, intanto, per se stesso69.
Come obiettivo polemico Le mie prigioni sono probabilmente
presenti in filigrana pi di quanto non appaia a prima vista. Oltre
a rigettare esplicitamente la pazienza propagandata dal libro di
Pellico, il Manoscritto ribalta categoricamente, sin dallinizio, il tema del valore provvidenziale della detenzione (caro a Pellico e fondamentale nelle sue memorie) in assurda irrazionalit della prigionia70. Ed da ascrivere alloperetta anche laperto rovesciamento
del prodotto letterario, coi problemi connessi della censura, del tipo di lettore sia
pur clandestino a cui lautore avrebbe potuto rivolgersi, ec., mise Carlo Bini in una
eccezionale situazione di libert espressiva e di realizzazione del rapporto autorepubblico in quellaltro senso profondo a cui si accennava.
67
Ivi, p. 218.
68
Cfr. ivi, pp. 217-218.
69
Ibidem.
70
Si veda il paragrafo conclusivo del capitolo i del Manoscritto (Carlo Bini,
Manoscritto di un prigioniero e altre cose, p. 13). Cfr. pure Antonio Piromalli, Pellico e la memorialistica del carcere, cit., pp. 110-112, dove sono riportati alcuni versi
di Bini proprio su questo tema: In una quartina che egli lasci scritto sulla porta
della sua cella a Portoferraio si legge: Stette qui Carlo Bini, un uomo reo / dirimpetto al Governo, e in tale ospizio / un dito non gli crebbe di giudizio, / ch
divent pi gobbo e meno altro! Un ghiribizzo giustiano sembrano i seguenti versi nei quali, invece, c il motivo dellirrazionalit della prigionia: Un Barbagianni che fa da Pavone / mi disse un giorno: Vada in prigione. / - Per qual ragione? /
Oh! si suppone. / - Ma il si suppone / non ragione! / Vada in prigione. / - Ma in
qual nazione / senza ragione / si va in prigione? / Ma che nazione! / Ma che ragione! / - Che conclusione! / - Vada in prigione. / / Ma se ho ragione? / - Colla ra-
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vate dai conciliatoristi accogliendo le ceneri della propria autobiografia e raccogliendo lestro polemico dellilluministico conte philosophique (come nel Borsieri delle Avventure ), complicato magari allumorismo sentimentale e divagante di Sterne, insospettabilmente
a distanza di un quindicennio hanno trovato in Bini un attuatore
originale e oltranzistico, un narratore eterodosso capace di infrangere e dissolvere le partiture dei generi tradizionali per aderire alle
contraddizioni del mondo reale, per far pensare, per tenere lanimo del lettore in piedi da mane a sera. Ma, probabilmente, ora
il miglior servizio che si pu rendere allo scrittore livornese non sta
in un saggio critico, bens in un contributo a un adeguato assestamento della situazione editoriale approssimativa dei suoi scritti vari, dei suoi versi e del suo epistolario: c molto ancora da studiare tra le carte del Bini, ammoniva nel 1995 Timpanaro al termine
del suo ultimo intervento dargomento biniano85.
85
Sebastiano Timpanaro, Due cospiratori che negarono di aver cospirato (forse Giordani, certamente Bini), cit., p. 125, n. 24.
V.
1
Si legge nel poemetto in quartine, edito con lo pseudonimo V. Erdiel, Pape Satan Aleppe. Macchietta, Assisi, Tip. Froebel del Collegio Principe di Napoli,
1882 (cfr. ora la ristampa anastatica, prefazione di Franco Fortini, introduzione di
Carlo Fini, notizia biografica di Gino Monacchia, Rimini-Firenze, Guaraldi,
1974). Ne tratta distesamente Giacomo Debenedetti, Tommaseo. Quaderni inediti, Milano, Garzanti, 1973, pp. 167-181 (ma si veda pure Gino Tellini, Introduzione, in Niccol Tommaseo, Fede e bellezza, introduzione e note di Gino Tellini, Milano, Garzanti, 1992, p. xxiii). Per un ritratto giovanile di Tommaseo, si pu
ricorrere invece a Rosmini (ora in Niccol Tommaseo-Antonio Rosmini, Carteggio edito e inedito, 3 voll., a cura di Virgilio Missori, Milano, Marzorati, 19671969, iii, Carteggio Tommaseo-Padri Rosminiani, pp. 138-139 e su cui cfr. Piero Fossi, Italiani dellOttocento: Rosmini, Capponi, Lambruschini, Tommaseo, Manzoni,
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Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1941, pp. 105 sgg. e Giacomo Debenedetti,
Tommaseo, cit., pp. 45 sgg.).
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cantuccio e, risoluto, con uno stile non sempre comprensibile, lo confesso, dovevo pur svelare alcuni miei patemi danimo al vecchio collega che
per un istante parve pi incuriosito di me che del mio stesso compagno,
bench soccorrevole e attento; e capiva e non capiva, ma finiva poi col
rendersi conto di tutto allorch, con un minimo di cerimonia, espressi lidea costante del mio scetticismo sul buon volere del lettore moderno la
cui malevolenza doveva pur essere nota in questa soffitta.
Ebbene, Niccol Tommaseo confessava che da qualche tempo per lui
linvenzione di Gutemberg era come se non fosse mai avvenuta. Ricordava come a titolo donore che Firenze era stata lultima fra le grandi citt
europee, dopo Magonza, Amsterdam, Parigi, Roma e Venezia a concedersi una modesta tipografia di provincia, tanto repugnava a una cos nobile citt, la cui tradizione medicea aveva dato il gusto dei bei manoscritti, la volgarit del libro stampato. Anche citava a memoria, riprendendo
in mano la penna dallarto di Laocoonte il dotto antico libraio, forse Vespasiano da Bisticci:
Nella biblioteca di Lorenzo i libri eran belli in superlativo grado, tutti
scritti a penna e non ve nera ignuno a stampa, che se ne sarebbe vergognato .
E allora, chiesi a colui che parla come un antico del libro manoscritto che ce ne facciamo, sor professore?
A chi lasciare, intendete dire, unopera manoscritta? Ma alla nostra
Biblioteca Nazionale Centrale dove gi riposano i manoscritti miei, che
non ho pi voluto tenere con me per paura che finissero allArte della
Stampa con cui ho rotto i rapporti. Scrivere ripeteva il gran vecchio non
pub-bli-ca-re. Scrivere, non da-re al-le stam-pe.
Ricordo benissimo che la maggior biblioteca custodisce con gran reverenza gli inediti tommaseani, e si pu andare a studiarli. Ma il guaio
che dopo questo strano sogno che, come dicevo in principio, chiamer
letterario, io non proprio cosa fare. Dar retta al gran Dalmata facente
parte dei poveri Vergognosi che nellOttocento, dove ancora ci trovavamo, durava gi da quattro secoli? Dar seguito allo stesso atto in cui
contenuta una convenzione, cio un vero e proprio contratto?
Insomma: consegner o non consegner, dopo i lunghi indugi, il libro
nuovo in forma dantiquato manoscritto allamico Arnoldo [Mondadori]?
Insomma: sogno o son desto?2
Fermo restando che questa pagina priva di qualunque intento ritrattistico senzaltro utile per intuire gli umori del vec2
Marino Moretti, Incontro col patriarca, in Tre anni e un giorno, Milano,
Mondadori, 1971, pp. 213-216.
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ma di tutto se stesso8. Titubante sulla pubblicazione dei suoi versi diaristici, Moretti dipinge un Tommaseo che custodisce accanitamente le proprie carte manoscritte al riparo dellarte della stampa, che invita categoricamente a scrivere e a non pubblicare
(Scrivere [] non pub-bli-ca-re. Scrivere, non da-re al-le stampe): lo elegge insomma a emblema dello scrittore che scrive per se
stesso, a icona della scrittura interiormente necessitata9, che pu
non avere bisogno di un pubblico e dei suoi consensi ma della quale non si pu fare a meno. Solo cos il patriarca pu lasciare lautore di Scrivere non necessario 10 con il consiglio che scrivere s,
necessario; pubblicare che non lo affatto. Lincontro col patriarca di Moretti si offre insomma oltre che come una non trascurabile sottolineatura dartista alla modernit di Tommaseo come chiave di lettura della sua vocazione scrittoria tormentosamente autoriflessiva; una chiave che apre tutte le porte della sua opera
creativa.
Si sa, c un altro probabile ritratto satirico di Tommaseo: i versi 227-238 della leopardiana Palinodia al marchese Gino Capponi,
pubblicata nelledizione napoletana dei Canti, del 1835:
Un gi dei tuoi, lodato Gino; un franco
Di poetar maestro, anzi di tutte
Scienze ed arti e facoltadi umane,
E menti che fur mai, sono e saranno,
Dottore, emendator, lascia, mi disse
I propri affetti tuoi. Di lor non cura
Questa virile et, volta ai severi,
Economici studi, e intenta il ciglio
Nelle pubbliche cose. Il proprio petto
Esplorar che ti val? Materia al canto
Gino Tellini, Leredit di Palazzeschi (1988), in Larte della prosa, cit., p. 305.
Id., Su Tommaseo narratore e poeta, nellopera collettiva Niccol Tommaseo
e Firenze, Atti del Convegno di Studi, Firenze, 12-13 febbraio 1999, a cura di Roberta Turchi e Alessandro Volpi, Firenze, Olschki, 2000, p. 127 (il saggio ora si legge anche in Gino Tellini, Filologia e storiografia, cit., pp. 215-236).
10
Cfr. Marino Moretti, Scrivere non necessario. Umore e segreti duno scrittore qualunque, Milano, Mondadori, 1937.
9
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11
Com noto, Capponi avanzava invece lipotesi, oggi per lo pi scartata,
che Leopardi si riferisse a Manzoni (cfr. la lettera a Fedele Lampertico, 9 novembre 1875, in Lettere di Gino Capponi e di altri a lui, raccolte e pubblicate da Antonio Carraresi, 6 voll., Firenze, Le Monnier, 1882-1890, iv, pp. 416-418). Su quei versi della Palinodia, cfr. ora Donatella Martinelli, Tommaseo e Leopardi nellultimo soggiorno fiorentino, nellopera collettiva Leopardi a Firenze, cit., pp. 395-423:
396-404.
12
Gino Tellini, Introduzione, in Niccol Tommaseo, Fede e bellezza, cit.,
p. x.
13
Nellintima sostanza Fede e bellezza propriamente la negativa dei Promessi sposi, e laddove nel Manzoni c quella castit dordine superiore che impone il silenzio ad ogni tentazione autobiografica, tutto autobiografico il romanzo
del Tommaseo (Luigi Baldacci, Introduzione, in Niccol Tommaseo, Fede e
bellezza, a cura di Luigi Baldacci, Milano, Mursia, 1990, p. 9).
14
Carmine Di Biase, Autobiografismo e arte in Niccol Tommaseo. Saggi, Napoli, Federico & Ardia, 1967, pp. 11, 16. Ma su questaspetto, cfr. pure Gianfran-
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Si consideri anche che gi il 25 febbraio 1836 Tommaseo appuntava nel diario: Stato di salute ottimo; sento per dinvecchiare; e il 3 ottobre 1845: Son qui [a Sebenico] per procedere alla divisione de pochi beni lasciatici da nostro padre, e per assicurare alquanto meglio un pane alla vecchiaia che gi mincomincia21. La scelta dellautobiografia intellettuale adombra lidea che
si sia chiusa la fase del proprio faticoso apprendistato giovanile,
quella che pu essere utile ripercorre sistematicamente nelle sue
tappe accidentate, tirando le somme della propria esperienza di
scrittore tirocinante, con quella chiarezza e capacit di discernimento che solo la distanza del tempo pu garantire. La chiave delle operazioni memorialistiche di Tommaseo infatti si legge, crediamo, nel componimento Le memorie. A Gino Capponi:
[]
veggo, mirando ai passati anni, o Gino,
distinto il mio cammino.
Pi chiara per distanza a me si svela
del mio destin la tela; e lombre e i rai
scerno pi certi assai
che non quando la man tenea sovrelli;
[]22
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C qui tutta la miscela del libro: memorie limitate alla sola fase giovanile, interrotte cio l dove la conquista di uno stile avvenuta, e bilanciate sul solo versante intellettuale; in pi, leducazione dellingegno intesa come cammino verso il vero di cui i
frammenti dinedite cose vanno a segnare tangibilmente i vari
gradi; memorie insomma dove conquista di uno stile e conquista
di una moralit vanno a coincidere.
Dal Settecento lautobiografia ufficiale che accompagni gli
scritti di un intellettuale, scienziato o uomo di lettere che sia, ormai una prassi anche in Italia, da Vico a Alfieri26. una formula
consolidata da noi a partire dal Progetto ai letterati dItalia per scrivere le loro vite di Giovanni Artico di Porca; il quale spiegava cos
tale progetto a Muratori, il 24 luglio 1721: In queste vite vorrei che
questi signori stendessero la storia de loro ingegni, cio da chi abbiano apparato il metodo de loro studi27. Com noto, da qui vide allora la luce la Vita di Giambattista Vico scritta da se medesimo,
25
Niccol Tommaseo a Emilio De Tipaldo, 14-febbraio-1 marzo 1837, lettera inedita cit. in Donatella Rasi, Storia di unamicizia: il carteggio inedito Niccol
Tommaseo-Emilio De Tipaldo, nellopera collettiva Alla lettera. Teorie e pratiche epistolari dai Greci al Novecento, a cura di Adriana Chemello, Milano, Universit di
Padova-Dipartimento di Italianistica, Guerini Studio, 1998, p. 304 (il passo in questione si legge anche in Raffaele Ciampini, Vita di Niccol Tommaseo, Firenze,
Sansoni, 1945, p. 245).
26
Cfr. Andrea Battistini, I simulacri di Narciso, in Lo specchio di Dedalo,
cit., p. 33.
27
Giovanni Artico di Porca a Ludovico Antonio Muratori, 24 luglio 1721,
cit. in Marziano Guglielminetti, Scritture autobiografiche nellet teresiana, nellopera collettiva Economia, istituzioni, cultura in Lombardia nellet di Maria Teresa, Convegni per il ii Centenario di Maria Teresa dAustria, Mantova, 2-4 ottobre
1980-Milano, 6-9 novembre 1980-Pavia, 24-27 novembre 1980, a cura di Aldo De
Maddalena, Ettore Rotelli e Gennaro Barbarisi, Bologna, Il Mulino, 1982, ii, Cultura e Societ, p. 387.
232
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Ivi, p. 390.
Non a caso nel suo profilo dellautobiografia moderna DIntino individua
nelle Memorie poetiche unautobiografia sconfinante nel saggio, esempio moderno
di res gestae intellettuali, con alle spalle una lunga tradizione e con il difetto di essere sovrabbondante [] di discussioni filosofiche, estetiche (Franco DIntino, Lautobiografia moderna, cit., p. 180).
30
Niccol Tommaseo, Memorie poetiche, p. 7, da cui tratta anche la citazione successiva. Meno ci interessa qui la polemica selezione operata dallo scrittore sul pubblico (distinguendo tra i lettori chi lama da chi non lama) e sui personaggi che hanno animato la sua vita (separando coloro che gli giovarono e piacquero da quelli che gli dispiacquero e condannando questultimi con il silenzio); distinzione liminare, questultima, che poi cadr nella seconda redazione,
Educazione dellingegno (1858), dopo essere costata a Tommaseo i rimproveri di
Vieusseux (cfr. Marco Pecoraro, Nota critica, ivi, pp. 537-538). Dietro quella selezione del pubblico cera comunque un timore antico e radicato, se quando nel
1834 Vieusseux invitava Tommaseo a pubblicare un volumetto di sue poesie,
questi rispondeva: Quanto ai versi io non amo gettarli in luce. Perch spargere al
29
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233
Sono frasi che, si badi bene, eccetto alcune varianti lessicali passeranno cos come sono nella pi breve premessa alla redazione stilata nel 58 (Educazione dellingegno ), dunque senza andare soggette
ad alcun pur minimo ripensamento. Lo scopo , come si ribadisce
nellultimo dei quattro libri, dare compita la storia dellingegno
suo 31 in quanto dotata di valore paradigmatico e dunque educativo
per chi si mette sulla faticosa strada delle lettere. libro didascalico
sullarte dello scrivere e di formarsi unarte dello scrivere che lievita
dalla vicenda autobiografica dellautore, dagli esordi fino alla maturit, questultima testimoniata dalla folta Appendice di poesie32. Il tema insomma quella delleducazione del letterato, caro allautore e
da lui affrontato in molteplici scritti, ma qui trattato programmaticamente col supporto della propria personale esperienza vissuta.
In un libro siffatto interessa poco linfanzia, se non per sintesi estrema dove affiorano le poche figure e le molte esperienze che
furono fonte deducazione morale e artistica per lautore: si entra
quasi subito in collegio con lo scrittore, a seguire il dipanarsi eterogeneo e sconnesso delle sue prime letture, a volte in quei veri e
propri elenchi di titoli e di nomi che tanto dispiacevano a Fubi-
vento le ceneri del mio cuore? Perdono quasi tutti di cuore; e che importa di me a
chi non mama? (Niccol Tommaseo a Giovan Pietro Vieusseux, Parigi, 1 aprile
1834, in Niccol Tommaseo-Giovan Pietro Vieusseux, Carteggio inedito, i
[1825-1834], a cura di Raffaele Ciampini e Petre Ciureanu, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1956, p. 185).
31
Niccol Tommaseo, Memorie poetiche, p. 225.
32
Cfr. ivi, pp. 311-467.
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gio e del cambiamento di dimora ch al centro di alcune delle pagine pi mosse anche di Un affetto in quanto nucleo di una fase vitale, come tappa verso la terra promessa dellidentit38; infine,
com tipico dellautobiografia intellettuale, la lotta dellautobiografo contro le avversit procurate [] dalla societ e la fatica
sopportata per riuscire; lisolamento e quindi loriginalit del lavoro intellettuale39. Al di l del valore educativo di queste memorie
sventolato da Tommaseo dallinizio alla fine, esse contengono anche la lista personale dei molti sacrifici fatti per inseguire le Muse.
Nel resoconto retrospettivo e dettagliato si inseriscono poi talora efficaci bilanci totalizzanti:
ristudiai un po di geometria per dover sostenere un esame che sostenni
infelicissimamente (perch non altri esami io sostenni mai che infelici)40.
Ma si veda, per contro, il trattamento riservato al primo amorettaccio (anti-memoria del primo amoruccio alfieriano), che
rapidamente liquidato solo come occasione di apertura dellingegno:
38
Il cambiamento di luogo [] spesso richiama la trama del viaggio, della
peregrinazione verso la terra promessa dellidentit, uno degli intrecci autobiografici di origine biblica (Franco DIntino, Lautobiografia moderna, cit., p. 151).
39
Andrea Battistini, Dalla Gorgone a Proteo, in Lo specchio di Dedalo, cit.,
p. 82.
40
Niccol Tommaseo, Memorie poetiche, p. 24.
41
Ivi, p. 25.
236
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La momentanea passione per lAlfieri coturnato si presenta come una sorta di debito da pagare; come quello, poche pagine pi
avanti, col Werther e con lOrtis, altre tappe dobbligo della giovinezza dellartista, liquidate frettolosamente da Tommaseo:
Nella state ogni studio severo cess. Il teatro, e le veglie dopo il teatro, e i lunghi sonni dopo le veglie, e il caff, e glidoli dellamore, e la lettura del Werther (al quale poi tenne dietro, com debito, lOrtis), e lo scriver lettere ad imitazione di quelle, mi pigliavano tutto il tempo45.
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Ne affiora cos la variet di esperienze che cooperano a educare lingegno: passare per idee e per affetti e per esercizii e per
consorzii diversi, e da tutti cogliere alcun poco da poter riparare
o temperare i difetti della natura mia50. E una tappa cruciale
46
Ivi, p. 58. La scarsa simpatia di Tommaseo per lAstigiano trova testimonianza, per esempio, in una poco nota lettera, senza luogo e senza data (ma, come
attestano riferimenti interni, da Parigi, dunque tra il marzo 1834 e il novembre
1837): Io per me vorrei piuttosto aver fatto certi sonetti del Guidiccioni, e del Casa, e certe lettere del Bonfadio, e il Cela del Baldi, e la Nencia, e la Beca che un
dramma del Metastasio; e vorrei essere piuttosto il Gravina e il Tassoni, o il Pulci,
che Boccaccio, e il frate Savonarola piuttosto che il conte Alfieri. Ma queste a voi
parranno eresie (Giuseppe Baccini, Lettere inedite di Niccol Tommaseo al senatore abate Raffaello Lambruschini [continuazione e fine], in Rivista delle Biblioteche
e degli Archivi, xv, 2-4, 1904, p. 39).
47
Cfr. Niccol Tommaseo, Memorie poetiche, pp. 53-54.
48
Ivi, p. 225.
49
Ivi, pp. 20-21. Un saggio di tali quaderni allegato da Tommaseo in
Appendice al libro primo (ivi, pp. 39 sgg.).
50
Ivi, p. 21.
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I testi, come questo ritratto del poeta diciassettenne che, avverte lautore, in gran parte riman tuttavia somigliante52, sono
portati quali documenti di ingenuit artistica o come sintomatici
di un progresso verso lacquisizione duno stile e di un metodo
proprio. Capita cos che le Memorie poetiche contengano rapidi appunti in cui esposto in sintesi il metodo della recensione del
Tommaseo53. E ne viene fuori, col tirocinio stilistico fatto di letture e di esercizi ora pedanti ora originali, un ideale di stile
poetico che congiunge tre cose, evidenza, parsimonia, sceltezza54.
E si fa strada il bisogno invincibile [] di render ragione a se stesso dogni minimo gioco, dogni minima se cos posso dire scanalatura di questarme possente e s male adoprata, ch la parola55. La
via della crescita, come scrittore oltre che come uomo, si configura come imparare a essere pi malcontento di s , contro i ritor-
51
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mit del parlar di s e che rimasta per secoli un genere sotterraneo e larvale, noto solo a chi lo coltivava60 finch non ha vinto la
sua battaglia. S, intorno al 1838 ormai accettata lidea che uno
scrittore e addirittura un uomo qualunque possa scrivere la storia
della sua vita, in quanto individuo unico e irripetibile: Rousseau
non passato invano. Resta per elitaria la storia dellingegno, praticabile solo da chi sia un Galileo o un Newton, non certo da
un letterato che appena giunto a met del cammino e che come
garanzia di utilit porta solo la propria esperienza individuale. Il libro di Tommaseo si configura al suo tempo come una vistosa e incongruente eccezione: non era n la storia della vita (come si
chiamava allora lautobiografia) di un uomo qualunque, n la storia dellingegno di un personaggio di spicco nel campo del sapere
scientifico e filosofico o di un anziano letterato assunto stabilmente in Parnaso. Miscelava in modo imperdonabile due forme consolidate ma distinte: una formula antica, secentesca e settecentesca,
quella dellautobiografia intellettuale, con una nuova, la moderna
autobiografia, che sancisce il diritto di tutti alla scrittura di s e in
cui il vero, il vissuto individuale assunto a paradigma universale.
Anche per quella autobiografia singolare che sono le Memorie poetiche vale dunque quel che di Tommaseo ha detto Contini: lanacronismo in definitiva serve soltanto a reimmergerlo nelle grandi
correnti del [secolo] decimonono61.
Ma conta anche un altro aspetto. Tommaseo non dovette dare
peso alla critica dei contemporanei riferitagli dal De Tipaldo, anzi
sembr sfidarla, se nel 1858 sfrond le Memorie poetiche nellEducazione dellingegno. Eloquente lo stesso mutamento del titolo:
questa seconda opzione va ancor pi smaccatamente della direzio60
Marziano Guglielminetti, Memoria e scrittura, cit., p. 17. Sulla faticosa
legittimazione sociale e letteraria dellautobiografia, cfr. soprattutto Id., Scritture autobiografiche nellet teresiana, cit., p. 387 e Franco DIntino, Lautobiografia
moderna, cit., pp. 46 sgg.
61
Gianfranco Contini, Progetto per un ritratto di Niccol Tommaseo, cit., p.
10. La scelta di una forma spiazzante e destinata alla marginalit si ripete di l a
poco sul fronte della scrittura aforistica: cfr. Gino Ruozzi, Introduzione, in Niccol Tommaseo, Pensieri morali, a cura di Gino Ruozzi, Bologna, Il Mulino,
2001, p. 19.
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Dunque il passaggio dalle Memorie poetiche del 1838 allEducazione dellingegno del 58 non soltanto un caso, lennesimo, di
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maseo i Mmoires dautre-tombe )67 ma perch a essa sarebbero stati affidati, come preziosa eredit, lo spirito patriottico e limpegno
civile dello scrittore, il succo del suo cattolicesimo liberale e sociale68 clto nel suo formarsi.
Messo da parte lo scartafaccio, lautore vi ritorna sopra nellimmediato, per qualche mese, e poi oltre un decennio pi tardi per, com sua abitudine, rivederlo accuratamente: Lavoro
da rivedere, e forse da risecarne assai cose, ha scritto Tommaseo nella nota apposta in fronte al manoscritto69. Non c da stupirsi per uno scrittore che alla summa estetica delle Memorie poetiche ha affidato un ideale letterario secondo cui lesercizio della lima il caro tormento della lima70 a fare gli scrittori;
in pi, uno scrittore per cui correggere cancellare71. Nella
fattispecie, si trattava per Tommaseo di scegliere e di correggere quanto poteva72. Evidentemente fu pi facile a dirsi che a
farsi, se lautore ritenne lesito insoddisfacente e ne decret, privatamente nel 1851 e pubblicamente nel 1862, la non pubblicabilit:
leggendo i versi del volume intitolato Un affetto, e ripensando a tutto il
volume, mi accorgo quanto sia buona cosa non ne far nulla n prima n
dopo la morte mia. Chi avesse tempo e pazienza potrebbe forse levarne
qualche mezza pagina, pure per documento de tempi. Ma meglio tenerlo sepolto in perpetuo, o bruciarlo73.
67
Cfr. una lettera tommaseana cit. in Michele Cataudella, Introduzione,
ivi, p. viii.
68
Cfr. Guido Verucci, Il cattolicesimo liberale e sociale di Tommaseo, nellopera collettiva Niccol Tommaseo e Firenze, cit., pp. 19-35.
69
Cfr. Niccol Tommaseo, Un affetto, p. 1.
70
Id., Diario intimo, p. 297.
71
Id., Memorie poetiche, p. 17.
72
Cfr. Niccol Tommaseo a Gino Capponi, Corf, 14 febbraio 1851, in Niccol Tommaseo-Gino Capponi, Carteggio inedito dal 1833 al 1874, a cura di Isidoro Del Lungo e Paolo Prunas, 4 voll., Bologna, Zanichelli, 1911-1932, iii (18491854), 1922, p. 116.
73
La lettera a Capponi dellaprile 1851 (ivi, iii, p. 227) fu pubblicata da Tommaseo stesso nel suo Il secondo esilio. Scritti di Niccol Tommaseo concernenti le cose dItalia e dEuropa dal 1849 in poi, 3 voll., Milano, Sanvito, 1862, i, p. 134.
244
ragionar di s
v. tommaseo memorialista
245
Il problema che si presenta essenzialmente quello che sera affacciato per le Memorie poetiche : arginare lautobiografia privata, la
storia dellio, a vantaggio delle idee. Il privato affiora soprattutto l
dove Tommaseo addita lacerbo prezzo pagato per seguire la propria vocazione di scrittore civile: il tema della vita perseguitata ed
errante79 e della scelta dellesilio presente fin dalla prima pagina80. Fatto sta che lo scritto risulta pi aneddotico e frammentario
delle Memorie poetiche, meno coeso, continuamente esposto a trasalimenti emotivi, disperso in notizie minute, in episodi minimi e
in struggenti memorie personali, ancora legato al gravame ancora
dei miti e dei risentimenti autobiografici81, soprattutto nelle pagine sulla giovinezza: si veda, come esempio per tutti, una pagina
sullincessabil rimorso che incombe sul rapporto coi genitori,
dove limmagine della madre si dilata come ricordo attualizzante e
ossessivo82. solo a partire dallesilio volontario in Francia snodo cruciale nellacquisizione di una nuova e veramente compiuta
identit politica83 che il racconto si fa pi stringente e organico,
funziona di pi, seguendo linearmente le tappe del peregrinare dello scrittore.
La redazione di Un affetto cui Tommaseo approda insomma
un punto di partenza, pi che un punto di arrivo. Qui la memo78
246
ragionar di s
ria privata affiora come forza centrifuga, come materia viva e pulsante appena incellofanata in un disegno, dipanandosi in una prosa frammentaria a tratti accostabile pi a quella del diario che a
quella delle Memorie poetiche. La scrittura stessa tende a seguire la
spinte centrifughe delle istantanee della memoria e si mostra refrattaria al percorso mentale precostituito che, in teoria, di quelle
istantanee avrebbe dovuto fare un continuum teleologico; e Un affetto rischia davvero di assomigliare pi che alla storia della formazione politica ambta da Tommaseo proprio a quella storia della
sua vita che auspicavano i suoi contemporanei.
Questa volta lorganizzazione unitaria delle memorie si rivela
pura velleit. Dipender forse dalla stessa ideologia politica dellautore, piena di contraddizioni84. Rinuncio ad approfondire gli
aspetti ideologici, ma mi preme sottolineare come, quando lautobiografia, la storia convulsa dellio prende il sopravvento sullesposizione serrata del pensiero (pericolo da cui le Memorie poetiche si erano salvate), le carte delle memorie politiche per Tommaseo da postume si fanno private. C in questo un motivo cruciale dellispirazione del Tommaseo memorialista. Conquistato
dalle Confessions di Rousseau, il campione di una perenne disposizione autobiografica [] sotto il velo di ragioni educative, politiche, sociale85, il Tommaseo delle memorie scrive per gli altri almeno quanto per se stesso: accanto al valore autoconoscitivo e autochiarificatore della ricostruzione autobiografica, entrano in gioco finalit pedagogiche ed edificanti che travalicano la scrittura di
s. Se dietro la frenesia di ricordi, bilanci e autodefinizioni che imperversa magnificamente in quasi tutta lopera dello scrittore ci
sono sempre esigenze private prima che pubbliche, anche vero
che il passaggio dallesercizio autoanalitico al libro di memorie
implica non solo dare coesione e ideale unit ai frammenti della
propria vita, ma anche eleggere a destinatario un pubblico oltre
che se stesso. Per un artista che riguarda la letteratura come una
84
v. tommaseo memorialista
247
professione morale86 e che da anni invitava i dotti ad uscire dalla loro separatezza; per uno scrittore la cui stessa idea di storia
letteraria [] implicava una finalit morale e pedagogica, chiamando in causa la responsabilit del letterato87; per un giornalista che lamentava che la scarsa famiglia de dotti fosse in Italia
una razza duomini segregata dalla umana; che polemizzava con
i dotti che le idee pensano a possederle, pi che ad usarle per s,
ed rivolgerle in sentimento88, due libri di memorie poetiche e politiche vanno ben oltre lautobiografia: sono lo strumento con cui
uscire da quella separatezza e andare incontro alla famiglia in accrescimento di lettori che vorrebbe entrare a far parte di tante
idee. Se il libro di memorie non supera lincaglio dellio, allora
meglio tenerlo sepolto.
3. il fedel specchio: il diario intimo
Le cose che diciamo e facciamo ogni giorno e che alla fine, sommate
insieme, rendono il peso e il valore della nostra vita, non sono tutte, per
fortuna, degne di memoria o almeno dattenzione da parte degli altri89.
Cos Pirandello apriva nel 1933 un suo lungo articolo autobiografico. Ma quel che vale per lautobiografo, non vale per il diarista. Non vale a maggior ragione per il diario di Tommaseo, scrittore convinto e fermo nel sostenere che nessuna verit per minu-
86
Niccol Tommaseo, recensione a Giuseppe Cardella, Compendio della storia della bella letteratura greca, latina e italiana, seconda edizione (1828), cit. in Roberta Turchi, Dalle recensioni alla Storia civile nella letteraria: gli articoli per
lAntologia di Niccol Tommaseo, nellopera collettiva Niccol Tommaseo e Firenze, cit., p. 138.
87
Roberta Turchi, Dalle recensioni alla Storia civile nella letteraria, cit.,
pp. 136-137.
88
Niccol Tommaseo, Biografia universale. Traduzione veneta. Presso G. B.
Missiaglia (1827), cit. ivi, p. 137. La citazione che segue, ibidem.
89
Luigi Pirandello, Non parlo di me, in Occidente, ii, gennaio-marzo
1933, pp. 13-24 (ora in volume, con altri brevi scritti autobiografici: Non parlo di
me, Pavia, Ibis, 1994, da cui si cita: p. 11).
248
ragionar di s
ta che sia, nessuna indagine della verit, per quanto paia importuna, pu dirsi inutile e che la verit individuale (cosa singolare ma
infallibile), se fedelmente espressa, non pu non essere insieme la
verit universale90; e si sa che per il nostro autore, quando si prende la penna in mano, il vero coincide con il proprio vissuto e la sua
indagine con lo scrutinio dellio. Stiamo parlando di uno scrittore
che nella nota iniziale al manoscritto di Un affetto appunta: senza
tenere quotidiana memoria delle cose vedute e provate, non si d
a conoscere lintimo de sentimenti e de fatti91; di uno scrittore
per cui uninstancabile pratica diaristica fonte di autoconoscenza
e dunque di conoscenza. innanzitutto questa convinzione, corroborata da unautoantipatia92 che non concede sconti, che fa di
Tommaseo lestensore di un diario straordinario, citato come perla rara nello scarno panorama del journal intime italiano da chiunque si occupi, con cognizione di causa, della materia93. Ed questa convinzione che fa s che egli intrattenga col suo diario un rapporto necessario, bench delle due grandi famiglie in cui si possono distinguere operativamente i diaristi quelli che vedono nel
proprio giornale unopera parallela [] e quelli per cui il diario
lopera principale o esclusiva94 , egli appartenga alla prima. Le
caratteristiche di uomo tanto sensibile al frantumarsi indefinito
90
Niccol Tommaseo, Dizionario estetico, cit., i, p. 27 e Id., Ispirazione
e arte o lo scrittore educato dalla societ e educatore, Firenze, Le Monnier, 1858, p.
22. Su come lautonalisi interiore assuma in Tommaseo significato soggettivo e
universale insieme, perch nel limite umano che ognuno indaga meglio in
se stesso scorge il postulato dellinfinito, cfr. soprattutto Carmine Di Biase, Il credo (1966), in Autobiografismo e arte in Niccol Tommaseo. Saggi, cit., pp.
113 sgg.
91
Niccol Tommaseo, Un affetto, p. 1.
92
Cfr. Gianfranco Contini, Progetto per un ritratto di Niccol Tommaseo,
cit., p. 12.
93
Cfr., a titolo desempio, Michel David, Il problema del diario intimo in
Italia, nellopera collettiva Journal intime e letteratura moderna, Atti di Seminario, Trento, marzo-maggio 1988, a cura di Anna Dolfi, Roma, Bulzoni, 1989, pp.
83-84 e Marziano Guglielminetti, Biografia ed autobiografia, nellopera collettiva Letteratura italiana, diretta da Alberto Asor Rosa, v, Le questioni, Torino, Einaudi, 1986, p. 877.
94
Franco Fido, Specchio o messaggio? Sincerit e scrittura nei giornali intimi
fra Sette e Ottocento, cit., p. 152.
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249
250
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torica e poetica, 2, 1985, numero monografico, cit., p. 94. Si riferir invece senzaltro a Un affetto la frase scrivo un po delle memorie del 4 gennaio 1839 (cfr. Niccol Tommaseo, Diario intimo, p. 203).
102
Niccol Tommaseo, Diario intimo, p. 314.
103
Cfr. ivi, p. 84 (alla data del 18 febbraio 1833: piaceri della mia vita), p. 86
(alla data 5 marzo 1833: Tutti questi giorni occupato, non potei tener conto de
miei piaceri) e la nota di Raffaele Ciampini.
104
Questo mio cuore adunque non sar allegra mia vita fattor che daffanni? (ivi, p. 59).
105
Ivi, p. 60. In proposito, cfr. Michele Cataudella, Il diario intimo del
Tommaseo, cit., p. 90. Per una casistica dei destinatari di un diario (lettore virtuale, escluso, intruso, tollerato, ammesso), cfr. Jean Rousset, Le journal intime,
texte sans destinataire?, in Potique, 56, 1983 (numero monografico: Lautobiographie), pp. 435-443.
106
Niccol Tommaseo, Diario intimo, p. 306.
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251
soconti retrospettivi, sorta di bilanci e consuntivi esistenziali, sospesi tra passato e futuro107; registrazioni di debiti di riconoscenza, autoriflessioni spesso risolte in lezione data a se stesso108, propositi per
il futuro, folgorazioni repentine incorse per strada o a teatro, descrizioni di luoghi, dove affiora il Tommaseo en plein air 109; taluni autoritratti memorabili (io ignobile, povero uggioso, letterato, brutto,
coglione110): sempre in ossequio a una esplorazione autobiografica
paziente, continua e diffusa, ma non amorosa e indulgente secondo
quella linea con una lunga e nobile tradizione, a partire da Montaigne. Gli attacchi pi ricorrenti sono leggo, veggo, scrivo, correggo, vo, viene o vengono (riferiti alle visite di amici), prego, passeggio (cui a partire dallesilio francese si vanno ad aggiungere dormo e pecco); infine sogno (ben oltre trenta occorrenze)111, anche questultimo quasi sempre al presente (una sola
volta Sognai, l8 marzo 1833, e Sognato, il 12 dello stesso mese112).
Due i caratteri specifici che saltano presto agli occhi e che costituiscono le peculiarit di tale diario nel panorama delle scritture affini,
non solo tra quelle coeve: da un lato, quello che Contini ha indica107
Si veda, per esempio, ivi, p. 75: Che mai ella stata finora la mia esistenza?
Superbia, umiliazioni, ignoranza. Che sar ella mai? Solitudine, povert e sventura.
Queste cose scrivo afflitto, ma tranquillo, pieno di fiducia in Dio, e desideroso che
mille tormenti del corpo e del cuore (?) valgano ad espiare le tante mie colpe.
108
Ivi, p. 73.
109
Su questaspetto dellispirazione dello scrittore, cfr. ora Donatella Martinelli, Fede e bellezza: gite, taccuini, pagine disperse, in Studi di filologia italiana, lii, 1994, pp. 331-369.
110
Niccol Tommaseo, Diario intimo, p. 133. Michele Cataudella (in Il diario intimo del Tommaseo, cit., p. 93) propone una distinzione sommaria, nella
struttura polivalente del diario tommaseano, fra tre livelli: il livello dei dati di
fatto, delle cose minute che gli accadono nel giorno; il livello del rapporto [] con
la societ dei letterati e degli intellettuali e il livello della confessione, del rimando al suo mondo intimo.
111
Senza tener conto dei brani aggiunti da Vittore Branca, Il diario intimo ma non integrale del Tommaseo. Inediti del Diario (1977), nellopera collettiva Scritti in onore di Giovanni Macchia, 2 voll., Milano, Mondadori, 1983, i,
pp. 162-179 e Id., Questi sogni son troppo frequenti. Memorie inedite del Tommaseo per il 1830 nel cos detto Diario intimo, nellopera collettiva Miscellanea di
studi in onore di Marco Pecoraro, a cura di Bianca Maria Da Rif e Claudio Griggio,
Firenze, Olschki, 1991, ii, Da Tommaseo ai contemporanei, pp. 1-38.
112
Niccol Tommaseo, Diario intimo, pp. 87, 88.
252
ragionar di s
to come un recupero delle zone vili delluomo, lindugio sulla prosaica corporeit113, tratto macroscopico e inconsueto anche in un
diario; dallaltro, la scoperta dellio involontario114. Sul primo
aspetto, significativo e non scontato riverbero dellautoantipatia di
Tommaseo, acme dellio destabilizzato, detronizzato, diseroicizzato e sliricizzato115 che lo scrittore mette in scena nella privata pratica diaristica come nella pubblica scrittura narrativa, molto stato
detto. Qui interessa soprattutto il secondo motivo (la scoperta dellio involontario), rimasto un po pi in ombra.
Presupposto della scrittura diaristica stare in compagnia di se
stessi; una compagnia pi o meno amata, pi o meno cercata, pi
o meno faticosa, ma che il diarista per vocazione riconosce come
sistema di vita, forse lunico attuabile. Anche in una giornata insipida116: per una frase come quella dellAlfieri dei giornali: Nulla che vaglia dessere scritto, non c posto nel Diario intimo. Se
per dirla con Flaiano, i giorni della vita di un uomo che contano
sono cinque o sei in tutto. Gli altri fanno volume117, nel Diario
intimo c anche e soprattutto ci che fa volume. In esso scava il
diario, perseguendone la sua sostanza, la sua pur minuta verit118.
Non solo: allopposto dellAlfieri dei giornali, che per sua ammissione fugge lo stare con se stesso soprattutto nei momenti in cui
pi scontento di s119, Tommaseo vi indulge proprio l dove i conti non tornano. il caso dei sogni, che si affollano nei periodi del
113
Cfr. Gianfranco Contini, Progetto per un ritratto di Niccol Tommaseo,
cit., p. 13, ma anche Giacomo Debenedetti, Niccol Tommaseo, cit., pp. 38-39.
114
Giovanni Macchia, Et le cur humain devient fou, cit. in Gino Tellini, Su Tommaseo narratore e poeta, cit., p. 118.
115
Lio diseroicizzato il titolo del paragrafo dedicato a Fede e bellezza in Gino Tellini, Il romanzo italiano dellOttocento e del Novecento, cit., pp. 78-82.
116
Vittorio Alfieri, Mirandomi in appannato specchio, cit., p. 31 (sotto la
data Domenica li 20 Aprile [1777]). La citazione che segue, ivi, p. 44 (sotto la
data Marted 29 Aprile [1777]).
117
Il celeberrimo aforisma si legge in Ennio Flaiano, Frasario essenziale per
passare inosservati in societ (nelledizione con introduzione di Giorgio Manganelli e una nota di Maria Corti, Milano, Bompiani, 1986, p. 53).
118
Cfr. Arnaldo Colasanti, Il Diario intimo di Niccol Tommaseo, nellopera collettiva Niccol Tommaseo e Firenze, cit., p. 373.
119
Cfr. ivi, p. 11 (sotto la data Dimanche 15 9bre 1774: je cours risque de me
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253
254
ragionar di s
dendo conto a se stessi delle azioni di ogni giorno; un metodo, segnava Alfieri in apertura dei suoi giornali, che parecchi filosofi
han considerato ottimo123. E questo ci porta al nucleo cruciale
dellispirazione diaristica del nostro autore: nella formazione di un
abito autobiografico in Tommaseo senzaltro cogente linvasiva e
oltranzistica fede religiosa dellautore. La quale non necessariamente funziona da resistenza124 e da deterrente dalla scrittura: il
cristianesimo acuisce in modo traumatico il cosiddetto complesso
di Narciso imponendo alla scrittura di s una finalit morale; la
cultura cattolica poi genera ripugnanza per il diario intimo []
in unaccezione psicologistica, protestantica125 (e il Diario intimo
di Tommaseo infatti ferocemente calato nelle cose), ma offre
pure il modello degli esercizi spirituali (oltre a quello della Vita
Ignatii, che per il diario meno ci riguarda)126. Non si dimentichi
che nei pi antichi testi che la letteratura cristiana ci abbia lascia123
Si cita dalla traduzione di Daniele Gorret in Vittorio Alfieri, Mirandomi in appannato specchio, cit., p. 59 (il testo originale in francese si legge ivi, p. 9).
Non a caso Alfieri chiamava le sue note diaristiche questi miei esami (ivi, p. 25,
sotto la data Gioved li 17 Aprile [1777]).
124
Michel David, Il problema del diario intimo in Italia, cit., p. 94. Nel ripercorrere il problema del diario intimo in Italia, Michel David evidenziava la
scarsit del materiale da esaminare o, per lo meno, di quanto ne stato pubblicato, e quindi la scarsit degli studi specifici (ivi, p. 81) e, dimostrandosi per niente
convinto della spiegazione psicologica-antropologica gli italiani popolo portato
allautobiografia, genere attivo ed estroverso, non al diario, contemplativo e introverso avanzata a pi riprese dalla critica, perseguiva in un rapido disegno le ragioni storiche e culturali del perch in Italia ci si sia occupati poco di pubblicare
ed esaminare diari, quando e come tale forma sia nata e in ossequio a quali modelli si sia venuta affermando. Spiccano, in quella sempre attuale disamina, i riferimenti alla cultura religiosa cattolica, nella fattispecie post-tridentina, che allopposto di quella protestante non promuove lautoanalisi scritta: difficile rintracciare nei testi dei grandi riformatori italiani della pedagogia [] il minimo consiglio riguardante la stesura di un diario regolare e cronologico di devozione. []
Solo Ignazio di Loyola, di cui abbiamo i frammenti dun diario spirituale (1546)
pieno di lagrime, d un curioso modello grafico settimanale per i sette esami particolari quotidiani, con due tempi e tre esami, in cui si registreranno le colpe individuali, sotto forma di punti disposti dopo una lettera-chiave (ivi, p. 92).
125
Gianfranco Contini, Per il romanzo di Tommaseo, cit., p. 268. La citazione che segue, ibidem, n. 1.
126
Cfr. Andrea Battistini, I simulacri di Narciso, in Lo specchio di Dedalo,
cit., p. 33: se nei paesi protestanti la sostituzione del sacramento della penitenza
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255
256
ragionar di s
un romanzo tutto storico, senza il sussidio dellinvenzione dallaltra 129, la prima quella pi congeniale e pi proficua per il narratore. la via su cui lo scrittore si mette presto, non appena incomincia a pensare alla narrativa. A ventitr anni, come si sa, Tommaseo abbozza Una notte, senza concetto, e scritto di capitolo in
capitolo, cos come il caso dettava130: romanzo di memoria e dautoritratto sentimentale sui turbamenti delladolescenza, in prima
persona. Di l a poco, eccone un altro, anchesso romanzo autobiografico di autoconoscenza, se lautore pu dire:
Pensai un romanzo, non condotto ad esecuzione; ma il pensiero era
notabile per ci solo che i concetti e i voleri e le sorti della seguente mia
vita sono ivi chiaramente indicate, vaticinate131.
la via che, passando per Due baci (1831), porta a Fede e bellezza, lopera con cui Tommaseo, risolta la questione del vero in
modo diverso dal suo collega Manzoni, volge le spalle alla narrativa della storia e inaugura, anzitempo da noi, il moderno romanzo di analisi, su materia di vita contemporanea132. Nel panorama
della narrativa italiana del primo Ottocento, si sa, Tommaseo segna il ritorno allio: mentre il romanzo storico si avvia a una irreversibile crisi, lautore di Fede e bellezza si riallaccia piuttosto al
modello dellOrtis, archetipo di una narrativa autobiografica, egocentrica e autoinvestigativa, ma nel segno personalissimo di un
egocentrismo autocritico e antieroico che molto si differenzia
dalla foscoliana mitologia dellio133.
Non si tratta in questa sede di indagare le molteplici connessioni istituibili fra il materiale narrativo e il vissuto dellautore, n
di soppesare linvadenza autobiografica dellautore ch laspetto
129
Cfr. Roberta Turchi, K.X.Y.: una sigla per recensire, cit., p. 26.
Niccol Tommaseo, Memorie poetiche, p. 164.
131
Ivi, p. 178. A parte, ma sempre sulla strada del contemporaneo, sta il di poco successivo disegno dun romanzo critico, dove tartassare un po la piccola letteratura del tempo (ivi, p. 196).
132
Gino Tellini, Il romanzo italiano dellOttocento e del Novecento, cit., p. 54.
133
Ivi, p. 78.
130
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257
forse pi evidente nel romanzo e uno di quelli contro cui aveva argutamente polemizzato uno tra i primi e pi sottili esegeti di Fede
e bellezza, Carlo Cattaneo, nella sua celebre stroncatura sul Politecnico134. Non interessa qui lassodato rilievo autobiografico del
romanzo, per cui i due protagonisti, Giovanni e Maria, costituiscono due ipostasi dellautore. E non importa come tale autobiografismo costituisca un limite per la creazione nel romanzo di una
ricchezza di vite potenziali135. Come non interessa, infine, che la
preponderanza dellelemento autobiografico e lafflato lirico che
sono le cifre caratterizzante dellopera sfilaccino le strutture narrative e neutralizzino la fabula. Altri lo hanno gi messo in evidenza
molto meglio di quanto saprei fare.
Interessa invece che nella ricerca di una strada narrativa nuova,
autoanalitica, antiromanzesca, antiavventurosa e antieroica, vengano incontro al Tommaseo romanziere le scritture dellio: dal racconto-confessione al diario, alla lettera. Fede e bellezza, opera nuova nel panorama letterario di primo Ottocento, lesempio principe di come, se tra Sette e Ottocento lautobiografia saccheggia le
strutture narrative del romanzo, contemporaneamente il romanzo a far suoi i molteplici registri della scrittura di s: cos accade nei
tentativi di quanti nel primo Ottocento sperimentarono forme
narrative inedite rispetto alla nostra tradizione romanzesca (dai
conciliatoristi a Leopardi, a Bini) o, nel caso di Tommaseo, di chi
volle creare unalternativa al modello imperante del romanzo stori134
Cfr. Carlo Cattaneo, Fede e bellezza di Niccol Tommaseo, in Il Politecnico, iii, 14, 1840, pp. 166-176 (ora in Scritti letterari, a cura di Piero Treves, Firenze, Le Monnier, 1981, i, pp. 120-135). Per una rapida rassegna degli elementi autobiografici prestati da Tommaseo al protagonista maschile del suo romanzo, cfr.
Mario Santoro, Dal romanzo storico al romanzo decadente, Napoli, Liguori,
1970, pp. 74-75.
135
Giacomo Debenedetti, Niccol Tommaseo, cit., p. 273. Cfr. Luigi Baldacci, Introduzione, in Niccol Tommaseo, Fede e bellezza, a cura di Luigi Baldacci, cit., p. 10: nei Promessi sposi [] larte punta alla creazione del personaggio
mentre il Tommaseo fallisce sistematicamente il tentativo []. Nato alla confessione, sentiva i personaggi solo nella dipendenza della sua memoria; e cos i pi
riusciti sono quelli fermati in rapide istantanee, come appunto le donne del diario
di Giovanni. Metterli in movimento, quei personaggi, renderli autonomi non era
il fatto del nostro scrittore.
258
ragionar di s
co, anzi, un vero e proprio antiromanzo, costruito su un succedersi di quadri differenti, luno gerarchicamente equiparato allaltro136. In Fede e bellezza Tommaseo porta allestremo la disponibilit inclusiva del romanzo, sfruttando non solo la facilit con
cui il genere monocellulare della lettera pu innestarsi in un tessuto narrativo pi disteso137, ma ricorrendo anche alla finzione memoriale e a quella diaristica: sul taglio memorialistico simposta il
libro i, con il passato di Maria riferito da lei in prima persona; la
misura diaristica scandisce il libro ii, con il giornaluccio di Giovanni; le lettere poi sintervallano nel testo con frequente regolarit, nei libri iii, iv e v138.
Tale gestione delle scritture dellio pu essere sogguardata da
diversi punti di vista. Rispetto alle forme della scrittura di s, risulta che tutti i sottogeneri autobiografici autonomamente coltivati dallautore sono messi in gioco e reinvestiti in funzione narrativa: innanzitutto la storia di s, nella lunga confessione retrospettiva di Maria, che ripercorre le vicende delle sua vita dalla nascita al
momento in cui ha incontrato Giovanni in Bretagna139; quindi il
diario, col giornaluccio di Giovanni, tenuto a sbalzi per quattro anni fino a poco tempo prima140; infine la scrittura epistolare,
nel carteggio che intercorre tra i due protagonisti. Rispetto alle
parti (i sei libri) di cui si compone il romanzo, la distribuzione di
tali forme calibrata con una sua regolarit, in modo tale che ciascun libro ospita uno solo di questi registri: il i quasi interamente di taglio memorialistico, il ii tutto di taglio diaristico, il iii, il
iv e il v, in cui sono disseminate varie lettere, sono dunque di ta-
136
Raffaele Morabito, Il romanzo di un moralista: Fede e bellezza, in Antiromanzi dellOttocento. Foscolo-Sterne, Tommaseo, Verga, Oriani, DAnnunzio, Roma, Bulzoni, 1977, p. 38.
137
Andrea Battistini, Il superego dei generi letterari, in Lo specchio di Dedalo, cit., p. 187.
138
Gino Tellini, Su Tommaseo narratore e poeta, p. 120. Sulluso delle scritture dellio in Fede e bellezza, cfr., oltre ai saggi di Tellini pi volte citati, anche
Franco Fido, Il fantasma di Promessi sposi nel romanzo italiano dellOttocento,
cit., pp. 194 sgg.
139
Cfr. Niccol Tommaseo, Fede e bellezza, pp. 6-34.
140
Cfr. ivi, pp. 35-53.
v. tommaseo memorialista
259
141
Mi riferisco, naturalmente, al testo secondo la prima edizione (Venezia,
Gondoliere, 1840). Si ricordi che il processo di revisione del romanzo, ispirato da
intenti di moralismo pedagogico, di ideale e comunicativa esemplarit approda
come ultima tappa alledizione definitiva del 1852 presso Borroni e Scotti, la quale modifica anche limpianto strutturale del romanzo, specie con il cospicuo ampliamento del giornaluccio di Giovanni, e fonde insieme il Libro iii con il iv, il
v con il vi, s che lopera viene ad articolarsi non pi in sei ma in quattro libri
(Gino Tellini, Nota al testo, ivi, p. xlvii). Sulle tre redazioni del romanzo, cfr. soprattutto Aldo Borlenghi, La questione di Fede e bellezza, in Fra Ottocento e
Novecento. Note e saggi, Pisa, Nistri-Lischi, 1955, pp. 9-42 e Mario Puppo, Sulle
edizioni di Fede e bellezza (1957), in Poetica e cultura del Romanticismo, Roma,
Canesi, 1962, pp. 231-266.
142
Gino Tellini, Il romanzo italiano dellOttocento e del Novecento, cit., p. 82.
143
Niccol Tommaseo, Fede e bellezza, p. 6.
144
Ivi, p. 35.
260
ragionar di s
145
Roberta Turchi, Dalle recensioni alla Storia civile nella letteraria, cit., p. 141.
Per luso della forma del diario nella narrativa, cfr. soprattutto H. Porter
Abbott, Diary fiction, cit. (indicazioni bibliografiche si leggono a pp. 16-17). La
studiosa vi isola tre general functions of the diary strategy: una funzione mimetica (garantire un realismo formale), tipica del romanzo settecentesco; una
funzione tematica, creare un effetto di isolation and self-reflection (one of the
great espressive advantages of the diary lies in its confinement of the reader to the
internal world of a single ego. [] We are restricted to a document that emanates
from inside the story); infine, una funzione temporale (ottenere un effetto di
immediacity, suspence and timelessness). Viceversa, per luso della scrittura epistolare nel romanzo, cfr. Jean Rousset, Una forma letteraria: il romanzo epistolare, cit. e Margherita Di Fazio, La lettera e il romanzo. Esempi di comunicazione
epistolare nella narrativa, Roma, Nuova Arnica, 1996.
147
Cfr. Donatella Martinelli, Voci del toscano vivo in Fede e bellezza, nellopera collettiva Studi di letteratura italiana offerti a Dante Isella, Napoli, Bibliopolis, 1983, p. 322.
148
K.X.Y [Niccol Tommaseo], I prigionieri di Pizzighettone. Romanzo storico del
secolo XVI. Dellautore della Sibilla Odaleta e della Fidanzata Ligure. Vol. III, Milano,
presso A. F. Stella e figli, 1829, in Antologia, xxxvii, marzo 1830, pp. 107-108, cit. in
Roberta Turchi, K.X.Y.: una sigla per recensire, cit., p. 29, da cui si cita il testo.
149
Roberta Turchi, K.X.Y.: una sigla per recensire, cit., p. 38.
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Viene in mente, per associazione oppositiva, la natura cavillosamente descritta e insieme labirintica, sfuggente e impossibile a
vedersi su cui si apre Fede e bellezza 150; una natura che la negazione di ogni topografia.
Ma si veda come continua la ricetta del romanzo approntata
con divertita disinvoltura da Tommaseo: Poi venga un bel dialogo che vi faccia conoscere bene bene di che cosa si tratti. In Fede
e bellezza, subito dopo il brano naturalistico dapertura, c non un
dialogo ma il monologo-confessione di Maria, non introdotto da
alcuna spiegazione che faccia conoscere bene bene di che cosa si
tratti; anzi, la voce erompe nel labirinto della descrizione naturalistica suddetta senza alcuna premessa esplicativa. Il che ci porta allaltra, fervida raccomandazione che il Tommaseo recensore dei
Prigionieri di Pizzighettone indirizza ai romanzieri alla moda:
Voi non dovete presentare un personaggio in iscena, senza tacerne il nome, e senza darne i connotati, vale a dire statura, viso, mento, occhi capelli, marche (come ne passaporti sta scritto) marche particolari, sopra tutto la
foggia dellabito, dalla punta degli stivali fino allultima piuma dellelmo.
150
151
Cfr. Gianfranco Contini, Per il romanzo di Tommaseo, cit., pp. 265 sgg.
Niccol Tommaseo, Fede e bellezza, p. 5. La citazione che segue, ibidem.
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righe sotto, come per caso (Maria guardava alle nubi, allacque
dellOdet, a Giovanni: egli sotto le nebbie di Bretagna pensava allItalia). Di descrizioni dei connotati dei personaggi non se ne
parla per tutto il libro152, figuriamoci di presentazioni preventive al
loro ingresso in scena.
Lultimo ingrediente del romanzo storico modaiolo riguarda
infine come fare la citata sezione cadaverica di ciascun pensiero
del personaggio: ovvero togliendo a questultimo, al soggetto protagonista, la parola sintende che a farlo il narratore onnisciente in terza persona e provvedendo a modificare o a interpretare
in vece sua. Che il pensiero per s Tommaseo avrebbe detto laffetto diventi cadavere in mano al narratore per il nostro sicuro. Notate queste osservazioni del recensore, oltre che divertente ed
efficace, la ricetta appare vaticinante, seppure come profezia rovesciata, per il romanzo di Tommaseo. come se lautore avesse scritto Fede e bellezza ricordandosi di quella sua ricetta di un decennio
prima e rovesciandola accuratamente. Non cos, naturalmente;
che la ricerca di una strada autonoma di narratore, saldando i
conti con lo Scott e tentando di liberarsi dallautorit di Manzoni153, era gi cominciata.
Insieme, le scritture dellio servono, oltre che come meccanismo narrativo efficace, alla fedele pittura del male e del bene154,
a rappresentare lo spettacolo pi intero che si pu della vita155 e
fare dunque opera non inutile come un romanzo156. Che cos
una lettera per Tommaseo? E perch la si legge? Ci soccorre il Dizionario estetico. Si pensi che questo scrittore avido di vero cos invitava a leggere una raccolta di lettere:
Le lettere dellAvogadro versano sopra argomenti di minuta erudizione patria: e sebbene nulla vi sia di piccante (giacch a giorni nostri si vuo152
Di nuovo evasivo, sotto le folte apparenze descrittive (parole di Contini), il ritratto tra fisico e morale di Maria in apertura del libro iii (cfr. ivi, p. 54).
153
Roberta Turchi, K.X.Y.: una sigla per recensire, cit., p. 29.
154
Niccol Tommaseo, Dizionario estetico, cit., ii, p. 386 (sui racconti di Pietro Thouar).
155
Id., Diario intimo, p. 141.
156
Ivi, p. 89.
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le del piccante a ogni costo), sarebbe per difficile dimostrare che le notizie quivi raccolte non possono avere in alcun caso importanza []. Volete voi prova che nessuna verit per minuta che sia, nessuna indagine della verit, per quanto paia importuna, pu dirsi inutile?157.
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quanto appar pi legittima, cio quanto maggior lingegno e lattenzione del leggente158.
In sintesi, non si leggono le lettere di Cicerone tanto per imparare a scrivere bene una lettera159, quanto per conoscere un
uomo. Siamo per oltre mi par di vedere il concetto romantico di lettera come specchio dellanima. Pur allineandosi
pienamente alla ricezione ottocentesca, che nelle lettere degli uomini illustri ravvisa innanzitutto un modello di scrittura epistolare e poi lautoritratto veridico delluomo, Tommaseo non si fa
troppe illusioni. Mette sullavviso che, se c sempre un minuzzolo di verit,
converrebbe per altro guardarsi dal prendere le confessioni delluomo alla
lettera []. I sotterfugii dellamor proprio sono e pi varii e pi ingegnosi
che lo stesso paziente [lettore] non se ne possa avvedere.
158
159
Ivi, i, p. 73.
Ivi, i, p. 74. Le citazioni che seguono, ibidem.
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266
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e ineliminabile. anche per questo, forse, che questo strano e insostituibile romanzo continua a trasmetterci una sensazione di disarmonia, di ansia, dimpossibilit di comporre i contrarii163. Il
nostro primo Ottocento ha anche questo; e di certo non c esempio pi evidente di come un nuovo tipo di romanzo possa nascere
dalle ceneri dellautobiografia, di quanto possa essere feconda linterazione tra romanzo e scritture dellio, di quanto il panorama
delle scritture autobiografiche e narrative di primo Ottocento sia
irrequieto e screziato.
163
Luigi Baldacci, Introduzione, in Niccol Tommaseo, Fede e bellezza, a
cura di Luigi Baldacci, cit., p. 14.
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271
Da Ponte, Lorenzo 4, 13
Da Rif, Bianca Maria 251n
David, Michel 248n, 254n
DAzeglio, Cesare 47n
DAzeglio, Massimo 161
Dazzi, Manlio 89n, 91n, 119n
De Angelis, Valerio Massimo 11n
Debenedetti, Giacomo 221n,
222n, 224n, 234n, 252n, 257n
Del Cerro, Emilio 158n
Della Casa, Giovanni 237n
DellAquila, Michele 30n, 37n,
43n, 110n, 114n, 134n
Della Rocca, Enrico 200
Del Lungo, Isidoro 243n
De Maddalena, Aldo 231n
Demostene 100, 102, 249
De Pisis, Filippo 225n
De Robertis, Giuseppe 89n, 91n,
106, 107n, 131n
De Sanctis, Francesco 197 e n
De Tipaldo, Emilio 163n, 230,
231n, 239 e n, 240
Di Benedetto, Arnaldo 112n, 113n,
122n
Di Benedetto, Vincenzo 5n
Di Biase, Carmine 227n, 248n
Di Breme, Ludovico vedi Breme,
Ludovico Arborio Gattinara,
marchese di
Didier, Batrice 9n, 13n, 14n
Di Fazio, Margherita 260n
Di Francia, Letterio 159n, 200 e n
DIntino, Franco 8n, 10, 15n, 17n,
21n, 23n, 29n, 54n, 56n, 87n, 8890nn, 92-95nn, 98n, 105-107nn,
110n, 114-118nn, 120-122nn,
127n, 129n, 132n, 137n, 140n,
154n, 174n, 232n, 235n, 240n,
249n, 255n
Dolfi, Anna 5n, 248n
Dondero, Marco 88n
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biblioteca di letteratura
1. Riccardo Bruscagli, Studi cavallereschi, 2003.
2. Laura Diafani, Ragionar di s. Scritture dellio e romanzo in Italia
(1816-1840), 2003.
Finito
di stampare
nel giugno 2003
da Stabilimento Poligrafico Fiorentino