Giovanni Piana, Elementi Di Una Dottrina Dell'esperienza.
Giovanni Piana, Elementi Di Una Dottrina Dell'esperienza.
Giovanni Piana, Elementi Di Una Dottrina Dell'esperienza.
Giovanni Piana
Indice Premessa, p. 9
Capitolo primo, p. 19 La percezione
1. A che titolo la percezione viene di solito in questione nella filosofia. La percezione come fonte di conoscenze. Distinzione tra percepire e constatare. 2. Conseguenze di questa distinzione: lautonomia della tematica della percezione rispetto al problema della conoscenza. 3. Esperienza in unaccezione ristretta ed in unaccezione lata. 4. Fenomeni e cose in s. Critica del fenomenismo. Immagini e raffigurazioni. 5. Le sintesi che conducono al costituirsi allinterno dei decorsi percettivi di unit identiche di riferimento. Irrilevanza, ai fini di questo problema, della sussistenza effettiva delloggetto. 6. Nel percepire non si formulano opinioni n si traggono conclusioni. Accenno critico verso la tendenza logicizzante nellambito della dottrina dellesperienza. Le cose della percezione non sono entit inferite. 7. Spiegazioni intorno alle sintesi percettive come sintesi passive. 8. Approfondimento della critica nei confronti del fenomenismo mediante la discussione di unargomentazione di Hume: come faccio a sapere che c ancora una parete alle mie spalle. 9. Sintesi percettive e considerazioni temporali: illustrazione del diagramma del tempo di Husserl. Elementi di una dottrina dellesperienza
10. Condizioni formali e fondamento contenutistico delle sintesi. 11. Digressione: il richiamo alla storicit dellesperienza e i modi in cui pu essere inteso. 12. Lo stesso problema orientato in un altro senso. 13. Tematica del fondamento contenutistico delle sintesi. Linterdipendenza delle parti negli interi percettivi. 14. Chiarimenti intorno allidea di totalit organica. 15. Lassociazione e le sue regole. 16. Ripresa del tema dellimmagine nel senso di raffigurazione. Ci che caratterizza limmagine il prodursi di un effetto raffigurativo. Immagini e contrassegni. Proposta di uno schema riassuntivo.
cordo. Catene di ricordi. 8. Ricordi che ci appaiono immotivati. Ma il motivo potrebbe non essere palese. La coscienza come flusso d esperienze. Modo erroneo di impiego di questa immagine. La nozione di catena deve poter essere applicata ad ogni processo dellesperienza in genere. La domanda sui motivi del ricordo ha sempre senso. 9. Tematica delle sintesi inconscie. 10. La distanza del passato nel ricordo. Lurgenza del passato. Il passato come orizzonte di senso del presente. 11. Il problema delle abitualit percettive. Sua riconduzione alla tematica delle attese passive. Avviamento alla discussione sulla formazione di anticipazioni percettive contenutisticamente determinate. 12. Riflessioni sul movimento di una pallina. Le attese e la loro progressiva selezione. Il passato proietta nel futuro la propria immagine. 13. Sviluppo delle considerazioni precedenti in rapporto al problema della formazione di abitualit. Elaborazione di uno schema interpretativo. 14. Confutazione della tesi fondamentale dellempirismo. 15. Attese passive e giudizi di previsione. Il problema di una teoria dei giudizi di probabilit fondata su principi evidenti.
zione delle posizioni dessere e leterogeneit dei contenuti immaginativi. 3. Osservazioni integrative: limmaginare e le anticipazioni della percezione. Limmaginazione non la facolt del futuro. Immaginare e supporre. 4. Lacontestualit dellimmaginazione. Confronto con la struttura sintetica della percezione. La fantasia come essenza dellimmaginazione. 5. Acontestualit e indeterminazione temporale. 6. Il problema dellindividuazione nel campo dellimmaginazione. Breve discussione sulle nozioni di eguaglianza e di identit. Leguaglianza come grado estremo della somiglianza. 7. Lidentit e il principio di individuazione. Gli individui immaginari non sono individui autentici. 8. Digressione: critica delle posizioni di Sartre. 9. Passaggio ad un nuovo ambito di problemi: limmaginosit dellimmaginazione. Una diversa accezione del termine immagine. Richiamo allassociazione delle idee. Introduzione della nozione di sintesi immaginativa. 10. Le cose della percezione in quanto sono vissute secondo una piega immaginativa. 11. La funzione valorizzante dellimmaginazione. 12. La nozione dellunit e del contrasto immaginativo. Equivalenza e polivalenza di valori immaginativi. Le anticipazioni dellimmaginazione. 13. Riconsiderazione della tematica delle sintesi immaginative in rapporto al problema del simbolismo. Una prima accezione del termine simbolo. La differenza rispetto ai contrassegni ed alle raffigurazioni. 14. I valori immaginativi come simboli in una seconda accezione. 15. Digressione: la nozione di simbolo in Freud. 16. Confronto con Jung. 17. Valorizzazione immaginativa e tematica dellespressivit. 18. I pensieri che orientano limmaginazione. Alle spalle dellimmaginazione vi debbono essere altre istanze. Discussione di un esempio: le suggestioni immaginative del Elementi di una dottrina dellesperienza
9. Passaggio allesposizione di alcuni temi di Esperienza e giudizio. La struttura dellosservare in quanto in esso si effettuano constatazioni. I processi di esplicitazione e la distinzione tra sostrato e determinazione. Ribaltamento sul terreno predicativo. 10. Risposta alla domanda se vi siano veramente le cose e le loro propriet. Considerazioni sulle nozioni di molteplicit e di oggetto semplice. 11. Risposta alla domanda se vi siano veramente le relazioni. 12. Ci che si tenta. di fare una vera e propria deduzione delle categorie, dallesperienza al giudizio. La congiunzione e lecceterazione come esempi di sintesi intellettuali. 13. La modificazione attributiva della proposizione. Interpretazione dei giudizi di identit. 14. Tematica delle modalizzazioni.
Premessa
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Il titolo e il sottotitolo di questo libro richiedono probabilmente qualche parola di commento. Luno e laltro possono forse apparire sospetti ai filosofi pi aggiornati. Che cosa mai ci si pu attendere da un richiamo allesperienza in genere e addirittura ad una dottrina di essa? Rispondiamo molto semplicemente che in questo modo si circoscrive soltanto lo spazio dei problemi di cui intendiamo occuparci, sottolineando nello stesso tempo che essi appartengono di pieno diritto allambito della riflessione filosofica. In generale non dovrebbe essere necessario dilungarsi troppo sul fatto che la filosofia non ha un campo delimitato dagli oggetti di cui essa si occupa, come accade invece nel caso delle discipline scientifiche particolari, per quante complicazioni possano poi sorgere non appena si tenti qualche approfondimento. Tuttavia, ci non significa affatto che essa debba divagare da questo a quello senza alcun filo conduttore sia in rapporto ai temi che ai metodi. Il termine di esperienza, assunto in unaccezione lata, delinea un orizzonte di problemi filosofici che rappresenta un punto di riferimento determinato quel tanto che basta. In un altro orizzonte si situano, ad esempio, tutti quei problemi che, nei modi pi vari, mettono in questione la nozione della scienza i problemi, cio, che si raccolgono sotto il titolo generale di epistemologia o anche, come noi potremmo dire in modo pi arcaico, di dottrina della scienza. In nessun caso si vuole qui proporre una contrapposizione. Una dottrina dellesperienza dalla quale potesse dedursi lirrilevanza filosofica dei problemi propriamente epistemologici sarebbe certamente erronea alle sue radici: cosi come, inversamente, una dottrina della scienza che pretendesse di occupare lintero ambito della riflessione filosofica mostrerebbe ben presto di non avere le carte in regola nemmeno come una buona dottrina della scienza. Il man Elementi di una dottrina dellesperienza
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tenimento di questa differenza, pur nella consapevolezza delle molteplici intersezioni che possono sussistere tra i diversi orizzonti dei problemi filosofici, dunque unistanza avanzata implicitamente nel titolo insieme allindicazione dellelementarit, che indica un orientamento verso i problemi pi semplici e che proprio per questo debbono essere discussi per primi. Questa istanza daltronde connessa con il rimando al metodo fenomenologico presente nel sottotitolo. Ed forse proprio questo rimando che avrebbe bisogno di una discussione pi approfondita. Questo libro infatti stato costruito sulla base di temi e motivi tratti direttamente dalla elaborazione filosofica di Husserl e laddove va oltre di essa, come nella trattazione della tematica dellimmaginazione, prosegue le linee di un discorso gi ampiamente predisposto. Almeno fino ad un certo punto, esso avrebbe forse potuto assumere un andamento esplicitamente esegetico, appoggiato di continuo a riferimenti testuali. Del resto il quarto capitolo tende ad assumere un carattere nettamente espositivo: in effetti, ci sembrato che, per via delle oscurit e delle ambiguit di varia natura che si sono addensate sulla tematica delle strutture antepredicative che largomento vero e proprio di quel capitolo il tentativo di chiarirne i termini e la portata anzitutto entro il quadro della filosofia fenomenologica di Husserl, in unaderenza un poco pi stretta ai testi fosse un compito prioritario. In generale, invece, ci siamo attenuti a tuttaltro criterio e cio ad una esposizione dei problemi ripensati per cos dire dallinizio, assumendoci tutte le libert che abbiamo ritenuto necessarie nella loro presentazione e nel loro sviluppo. I motivi di ci stanno naturalmente nel risultato che ora sottoposto al giudizio del lettore. Almeno uno di questi, tuttavia, vorrei mi fosse concesso di mettere in chiara evidenza. Si noter, nel corso della lettura, che si potuto fare ampiamente a meno del pesante groviglio della terminologia husserliana, impostando i problemi e la loro discussione in una forma libera da premesse proprio il caso di dire dottrinali troppo forti. In questo aspetto di superficie, si pu forse cogliere qualcosa che va pi a fondo. In esso infatti implicita uninterpretazione dellidea di una filosofia Elementi di una dottrina dellesperienza
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fenomenologica che non pu essere senzaltro ricondotta a Husserl per il semplice motivo che essa si arresta molto prima del punto a cui egli ritenne di poterla condurre. Che cosa sia per noi un metodo fenomenologico in rapporto alla tematica dellesperienza lo si pu dire veramente in due parole: esso un metodo di caratterizzazione degli atti di esperienza attraverso lesibizione di differenze di struttura. Questo criterio trova applicazione quasi in ogni pagina di questo libro ed io penso che in esso si colga il punto realmente essenziale per ci che riguarda il metodo filosofico di Husserl. Ma se ci si avvia coerentemente in questa direzione, si opera indubbiamente una semplificazione che non pu che implicare una critica del quadro complessivo della filosofia husserliana una critica che, prendendo le mosse dal discorso metodologico, deve poi necessariamente investire la nozione di fenomenologia a cui esso introduce. A questo punto non possiamo evitare di dedicare almeno ora un rapido cenno a quella epoch fenomenologica di cui stranamente non abbiamo mai sentito il bisogno di parlare. Dal punto di vita di quella semplice definizione del criterio analitico che abbiamo messo in opera, la ripresa husserliana dellargomentazione cartesiana e la reinterpretazione che egli propone pu indubbiamente essere considerata come un modo, fra altri possibili, di presentare in breve latteggiamento di principio che si trova alla base di una ricerca fenomenologicamente orientata. Ad esempio, attraverso di essa possiamo dare risalto allesclusione di un punto di vista psicologistico senza aver bisogno di impegnarci in diffuse e minuziose argomentazioni per mostrare limpotenza di un modo di approccio introspettivo; e nello stesso tempo, possiamo individuare con chiarezza il luogo esatto in cui si situano i nostri problemi. Con ci si attua tuttavia una estrema attenuazione della teoria dellepocb che non certamente compatibile con la posizione che essa assume nello sviluppo del pensiero di Husserl. Come potremmo illuderci di spiegare, attenendoci ad una simile interpretazione, il fatto che, quanto pi si estende e si approfondisce la tematica di Husserl, tanto pi insistentemente egli ritorna su quella teoria, proponendone varianti e articolazioni sempre pi complicate ed attribuendo ad essa unimportanza crescente? Sino alle ben note esasperazioni pre Elementi di una dottrina dellesperienza
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senti nella Crisi delle scienze europee: in essa si parla dellepoch come di qualcosa che capace di raggiungere le massime profondit filosofiche ed attraverso cui sarebbe possibile un mutamento radicale di tutta lumanit. Altrove, nella stessa opera, si osserva che latteggiamento fenomenologico totale e lepoch che gli inerisce sono destinati a produrre innanzitutto una completa trasformazione personale che sulle prime potrebbe essere paragonata ad una conversione religiosa ma che, al di l di ci, la pi grande evoluzione esistenziale che sia concessa allumanit come tale [1]. Affermazioni come queste che risultano a prima vista, e a dir poco, incomprensibili, dovrebbero tuttavia attirare lattenzione sul fatto che una lettura di Husserl tendente a mettere in luce il quadro ideologico entro cui si situa la sua filosofia, soprattutto nella produzione pi tarda, ha il suo punto nodale proprio nella teoria dellepoch. In generale io credo che si debbano distinguere molto pi profondamente di quanto si sia soliti fare gli aspetti teoretici da quelli ideologici e che una buona identificazione del quadro ideologico possa essere ottenuta soltanto attraverso unautentica comprensione della dimensione propriamente teoretica. Ma credo anche che, laddove vi sia un arricchimento di senso che il nucleo teoretico del problema non pu sopportare, su questo punto si innesti il momento ideologico, la cui identificazione, a sua volta, essenziale per una comprensione pi profonda. Non vi dubbio che questo sia il caso della ripresa dellargomentazione cartesiana da parte di Husserl. Egli rimase colpito, certamente, dalla possibilit di una formulazione concisa dellidea di fenomenologia: ma evidentemente non fu colpito soltanto da questo. In Cartesio largomentazione dubitativa assume il suo senso dellobbiettivo fondazionale che sta allorigine del problema. Largomentazione prende lavvio da una pretesa di fondazione assoluta del sapere. Ma se consideriamo la teoria dellepoch in un contesto fenomenologico e nella sua versione pi debole, essa si riduce ad un ausilio espositivo in rapporto a cui il problema della certezza non ha affatto bisogno di essere preso in particolare considerazione. Husserl invece venne colpito dallargomentazione cartesiana anche e forse soprattutto, per via dellistanza fondazionale in essa presente. Questa istanza non potr, come in Cartesio, ri Elementi di una dottrina dellesperienza
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solversi nella formulazione di un principio supremo: nella reinterpretazione husserliana, infatti, lepoch non pu comunque fare altro che porre in generale una molteplicit di compiti fenomenologico-costitutivi. Listanza fondazionale investe allora lidea stessa di fenomenologia. Prende cos forma, con la teoria dellepoch, limmagine husserliana della fenomenologia, i cui contorni diventano peraltro sempre pi evanescenti e finiscono con il sovrapporsi a quelli della filosofia in genere, come sede delle giustificazioni ultime. Ma vi un altro lato della teoria dellepoch che merita di essere rammentato. Si tratta forse del modo di presentate quella nozione che pu essere considerato il pi consueto e noto: lepoch consisterebbe essenzialmente in unoperazione preliminare di liberazione dai pregiudizi sia derivanti dalle opinioni del senso comune sia da teorie scientifiche e filosofiche precostituite. Mettiamo tra parentesi tutto ci, cerchiamo di vedere le cose come se le vedessimo per la prima volta ed in questo modo ci si dispone in quello stato nel quale i dati fenomenologici si presentano in tutta la loro evidenza. Non qui il caso di insistere su quanto un simile modo di presentare le cose si presti, non dico alla critica, ma alla scanzonatura. Decido di liberarmi dai miei pregiudizi e perci voglio fare lepoch. Lodevole proposito. Ma come faccio a farla? Come faccio a liberarmi dai pregiudizi se non so da quali pregiudizi mi debbo liberare? E se lo so, che bisogno c di liberarmi da pregiudizi da cui, evidentemente, sono gi libero? Resta purtroppo soltanto, dopo di ci, lidea di un atteggiamento fenomenologico acquisito in modo misterioso e concepito come uno stato di grazia molto difficile da comunicare. Tuttavia, se si vuole fornire qualche chiarimento intorno a questo aspetto del problema senza indulgere troppo in compiacenze critiche che possono certamente essere salutari, ma che corrono anche il rischio della superficialit, occorre rammentare anzitutto che il tema della liberazione dai pregiudizi presente in Husserl prima della ripresa dellargomentazione cartesiana. Esso tutto compreso nella frase famosa: alle cose stesse! frase, a sua volta, che deve essere riportata entro il contesto culturale ed entro lambito di interessi in cui si muove il primo Husserl. Non necessario essere approfonditi conoscitori della letteratura Elementi di una dottrina dellesperienza
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psicologica dellepoca a cui Husserl prevalentemente guarda per rendersi conto che linvito a lasciar essere il fenomeno cos come si presenta, evitando interpretazioni pregiudiziali, avesse una sua assai precisa ragione dessere. Ma resta inteso che la raccomandazione di attenersi alle cose stesse deve potersi precisare in rapporto al tipo di cose prese in esame, identificando di volta in volta interpretazioni pregiudiziali ben determinate. Anche in rapporto a questo aspetto tendiamo dunque ad unattenuazione che restituisce tuttavia ad esso il suo senso. Dicendo: torniamo alle cose stesse formuliamo una raccomandazione non molto diversa da quella che Wittgenstein, nelle Ricerche filosofiche, formula cos: Non pensare, ma guarda! [2]. E non c dubbio che Wittgenstein non volesse dire che pensare un male e Husserl che le teorie sono funeste. Tuttavia, quando Husserl si rende conto della possibilit di introdurre latteggiamento fenomenologico attraverso largomentazione cartesiana anche questo aspetto assume una diversa inclinazione che coerente con quellimmagine di fenomenologia come filosofia prima, che non deve in ogni caso essere intesa nel senso di una ripresa della metafisica del passato, ma come un tentativo di dare una risposta ad una condizione dellesistenza sociale che diventata ormai intollerabile [3]. In questa modificazione di senso proprio il riferimento a Cartesio diventa significativo per Husserl per il fatto che, in Cartesio, lapparente astrattezza dellargomentazione in realt profondamente radicata in un preciso orizzonte storico e rappresenta in certo senso la trasvalutazione sul piano filosofico di un atteggiamento di radicale rifiuto di tutta una tradizione culturale. E si comprende allora come proprio questo radicalismo potesse avere una risonanza profonda in Husserl, che tende a interpretare la crisi essenzialmente. come una crisi indotta da un erroneo cammino del pensiero. Di fronte allo choc di una cultura che conduce lesistenza sulla via di un crescente disprezzo dei suoi valori pi autentici, si deve riproporre quellidea di filosofia che del resto conforme al senso della sua origine: essa deve condurre ad un atteggiamento critico universale verso tutti i dati tradizionali [4]. Solo la denuncia ed il ripensamento critico del passato culturale che non si arresti nemmeno di fronte ai suoi Elementi di una dottrina dellesperienza
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mostri sacri pu aprire la possibilit di nuovi valori. Daltro lato, quellinterpretazione della crisi rende conto dellenfatizzazione dei compiti della filosofia e quindi anzitutto, per Husserl, della fenomenologia, che destinata ad assumersi lintera responsabilit del suo superamento. E se siamo giunti a questo punto come potremmo parlare dellepoch, questa via di accesso che introduce alla dimensione autenticamente filosofica, in altri termini se non in quelli che prima trovavamo cos sorprendenti? Come abbiamo osservato, noi ci arrestiamo molto prima di questi esiti, portando tutto il nostro interesse su motivi teoretici che non sono affatto necessariamente connessi con un simile contesto ideologico. Ci non significa evidentemente misconoscere linteresse e limportanza di unopera come la Crisi delle scienze europee .Al contrario essa pu apparirci tanto pi ricca di significato quanto pi viene considerata alla luce di uninterpretazione che sappia anzitutto mettere in evidenza i motivi ideologici che ne determinano interamente limpianto. Ad essa, Enzo Paci ha dedicato la sua opera pi impegnativa. E bench la via che ho ritenuto di dover seguire sia diversamente orientata, vorrei augurarmi che questo mio lavoro possa rappresentare almeno unindicazione della presenza di quella direzione di pensiero che egli ha saputo rendere cos viva.
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Note
[1] E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, trad. it. di E. Filippini, Il Saggiatore, Milano 1961, p. 178 e p.166. [2] L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, tr. it. di M. Trinchero, Torino 1967, oss. 66, p. 46. [3] E. Husserl, op. cit., p. 356. [4] ivi, p. 346.
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Capitolo Primo
La percezione
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A che titolo la percezione viene di solito in questione nella filosofia La percezione come fonte di conoscenze Distinzione di principio tra percepire e constatare Se chiedessimo a qualcuno, appena un poco esperto nelle cose della filosofia, a che titolo i filosofi si sono tanto spesso occupati della percezione, probabilmente ci verrebbe data questa risposta: linteresse nei confronti di questa tematica dipende dal fatto che essa occupa un luogo rilevante allinterno del pi ampio problema della conoscenza. Forse ci verrebbe anche spiegato che la percezione pu essere considerata come una delle fonti da cui noi attingiamo le nostre conoscenze e pertanto, se ci poniamo quel problema, prima o poi ci troveremo a discutere dellapporto conoscitivo della percezione certamente in modi molto differenti secondo la differenza dei punti di vista generali. In tutto ci siamo colpiti soprattutto da quella espressione: la percezione come fonte di conoscenze e vorremmo cercare di rendercene ragione con i nostri mezzi. Cos ci chiediamo: in quali circostanze saremmo disposti a parlare dellesperienza sensibile, cio degli atti del vedere, delludire, del toccare, ecc., come fonti di conoscenze? Ammetteremo allora senzaltro che attraverso percezioni talora veniamo a sapere qualcosa. Ad esempio: se vogliamo sapere che cosa c dentro una stanza, dobbiamo aprire la porta e guardare in essa. Accertiamo in questo modo che nella stanza vi un violino a peso alla parete di fronte. In luogo di accertamenti percettivi potremmo anche parlare di constatazioni. Una constatazione, poich in essa veniamo a sapere qualcosa, pu indubbiamente essere indicata come una conoscenza. Prima dellaccertamento percettivo non lo sapevo: ora lo so. Ma se impostiamo il problema in questo modo ci rendiamo subito conto della necessit di distinguere tra percezione e constatazione, perch se da un lato vero che attraverso perce Elementi di una dottrina dellesperienza
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zioni possiamo effettuare constatazioni, dallaltro sembra avere ben poco senso attribuire agli atti percettivi in genere il carattere di constatazioni. Dovremmo forse dire che ad ogni movimento degli occhi veniamo a sapere qualcosa, che il toccare la maniglia di una porta, vedere un violino appeso ad una parete, udire un suono tutto ci non sarebbe altro che acquisire conoscenze? Tuttavia, se chiaro che si deve operare quella distinzione tra il semplice percepire e un percepire che sia anche un constatare non sembra altrettanto chiaro in che cosa luno si contraddistingua. dallaltro. Ho potuto constatare che l dentro c un violino. Ma che cosa ho fatto di pi o anche solo di diverso dal vederlo? Eppure una differenza ci deve essere. Constatando, veniamo a sapere qualcosa. Ma se un tale mi mostra un bicchiere, indicandolo con un dito, e dice: ora lo sai! in realt non so nemmeno che cosa dovrei sapere. Eppure il bicchiere lo vedo. Forse potremmo essere tentati di pensare che il vedere, constatando, sia un modo particolare di prestare attenzione alla cosa. Forse: un modo particolare di storcere gli occhi. Ma se arriviamo, ad esprimerci cos, abbiamo subito la sensazione che qui ci sia qualcosa che non va. In effetti, dobbiamo chiarire anzitutto la direzione in cui va cercata la differenza. Questa non pu consistere in una qualit, per cos dire, tangibile dellatto del percepire, in una qualche peculiarit psicologica che sussisterebbe in un caso, mentre sarebbe assente nellaltro. Si tratta invece del modo in cui un atto percettivo intessuto con altri atti. Per rendersi conto di ci baster ritornare al nostro esempio precedente: di fronte a me c una porta chiusa ed io voglio sapere che cosa c dentro quella stanza. In certo senso mi sono gi posto una domanda, anche se ci non significa che io abbia mormorato tra di me qualcosa. Latto percettivo susseguente assume il carattere di una constatazione proprio per i atto che esso risponde a quella domanda. Certo, si pu osservare che lesempio gi orientato nella direzione di una semplificazione. Si toglie subito ogni difficolt se si ammette che linteresse sia preordinato allatto come una domanda implicita che del resto potrebbe essere esplicitamente Elementi di una dottrina dellesperienza
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formulata. Voglio sapere questo, e di ci ho i miei buoni motivi. Ma indubbiamente pu accadere, ad esempio, che ci che ieri ho soltanto visto, diventi oggi una vera e propria constatazione. Se qualcuno nega qualcosa, io posso a mia volta contraddirlo, perch ho potuto constatare ieri come stavano le cose, anche se ieri non volevo sapere proprio nulla. Il caso certamente un poco pi complesso, ma la forma della spiegazione , in fondo, la stessa. Il contesto mutato, ed mutato proprio . in modo tale da produrre un interesse in rapporto al quale si situa ora la ripresa della percezione. Del resto non affatto necessario che i motivi dellinteresse stiano, per cos dire, altrove rispetto alla situazione percettiva. Pu accadere che il dato stesso, semplicemente percepito, mi colpisca per qualche sua peculiarit e che proprio per questo abbia inizio in rapporto ad esso un percepire che propriamente un constatare. Tra tutte le cose che ci stanno intorno e che del resto continuiamo a percepire, ora prestiamo attenzione proprio a questa: ma ci imbatteremmo ancora nelle difficolt iniziali se pretendessimo di cavare la differenza nella qualit dellattenzione. Il fatto che proprio nulla si aggiunge ad un atto percettivo quando esso diventa una constatazione. Ci che importa sempre la modificazione del contesto che propone latto percettivo in connessione con un interesse, qualunque siano poi i suoi motivi e i modi in cui esso sorge.
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Conseguenze di questa distinzione: lautonomia della tematica della percezione rispetto al problema della conoscenza Anche se per molti versi la distinzione proposta pu sembrare relativamente ovvia, occorre raccomandare una certa cautela prima di assentire ad essa. Spesso accade nella filosofia che piccoli problemi, minuzie che sembrano a malapena meritare qualche attenzione, abbiano invece conseguenze di grande portata, o almeno di una portata che allinizio abbastanza difficile prevedere. Si comincia con una distinzione assai poco appariscente,
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ed eventualmente su di essa si ottiene lassenso: ma ben presto s fa avanti il nodo autentico del problema. Nel nostro caso, comunque, questo nodo era gi presente ed esplicito fin dallinizio. Abbiamo richiamato il fatto che molto spesso la tematica della percezione viene considerata come una tematica interna al problema pi ampio della conoscenza. Ma ora proprio questa localizzazione viene messa in questione dalla distinzione tra il percepire e il constatare. Se ci disponiamo dal punto di vista del conoscere allora abbiamo a che fare, tra laltro, anche con le constatazioni: in che modo esse dovranno essere considerate entro quellambito poi una questione ancora da decidere. certo comunque che la nozione di conoscenza chiamata in causa dalle constatazioni , in certo senso, la pi debole possibile. Attraverso constatazioni veniamo a sapere qualcosa e niente altro. Per questo converrebbe evitare di parlare del problema della conoscenza come se esso comprendesse indifferentemente sia le constatazioni che quei sistemi complessi di conoscenze che chiamiamo scienze. Per quanto possa suonare strano allorecchio, il concetto della scienza non affatto contenuto nel verbo scire. Del resto non solo dobbiamo distinguere le percezioni dalle constatazioni, ma anche tra queste ultime e quelle constatazioni che eventualmente riteniamo, a buon diritto, di dover riconoscere come appartenenti al processo della scienza. Quando constatiamo qualcosa, nella vita di ogni giorno, e veniamo a sapere questo e quello, il concetto della scienza non richiamato n in positivo n in negativo. Perci non vi nessun motivo per indicare come prescientifiche le nostre constatazioni quotidiane. In esse soddisfiamo le nostre curiosit. E ci muoviamo semplicemente in un altro orizzonte. Daltro lato, se accade che una constatazione sia in qualche modo rilevante nellambito della scienza, ci non dipende in realt n dal contenuto della constatazione come tale e nemmeno da qualche sua caratteristica notevole. Dipende invece anzitutto dal tipo di domanda e dalle altre domande in cui essa integrata e che definiscono un contesto ben definito di obbiettivi conoscitivi. Luso equivoco del termine osservazione , da questo punto di vista, abbastanza istruttivo. Talvolta lo impieghiamo Elementi di una dottrina dellesperienza
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per indicare propriamente lesperimento. Ma nellesperimento forse ci che meno importa il fatto che si constati qualcosa. Ci che qui fonte della conoscenza, uno dei suoi metodi, anzitutto lesperimento, di cui fanno parte constatazioni, ma certamente non le constatazioni stesse. Tanto pi lequivoco diventa radicale se non solo si ignorano queste differenze, ma addirittura la differenza ancora pi elementare tra il constatare e il percepire. Corriamo allora il rischio di considerare la percezione stessa come un metodo della scienza e nello stesso tempo di stabilire in modo falso una continuit problematica tra il piano di una dottrina della scienza e quello di una dottrina dellesperienza. Che vi siano tra esse complesse e interessanti relazioni fuori discussione. Ci che invece si pu escludere che luna possa essere semplicemente ed equivocamente sovrapposta allaltra o che decisioni operate entro un ambito possano essere direttamente riportate dentro laltro. Anche qualora si sia indotti, per qualche ragione, a dare particolare importanza nella scienza alle constatazioni, non per questo si dovrebbe essere tenuti a decidere qualcosa sulla natura della percezione. Inversamente, qualora avessimo deciso qualcosa, in sede di dottrina dellesperienza, sulla natura della percezione non per questo potremmo sentirci autorizzati a ritenere che ormai disponiamo di tutto lessenziale per elaborare una buona epistemologia.
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Esperienza in unaccezione ristretta ed in unaccezione lata Nel proporre la distinzione tra percepire e constatare dunque contenuta una prima e impegnativa presa di posizione: necessario liberare una considerazione filosofica della percezione dalla sua subordinazione al problema della conoscenza. Disponendoci da questultimo punto di vista potranno indubbiamente venire in discussione le constatazioni. Ma il constatare anzitutto uno dei modi in cui si esplica lesperienza percettiva. In rapporto ad essa, piuttosto il problema della conoscenza come Elementi di una dottrina dellesperienza
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constatazione che assume il carattere di un problema particolare entro una tematica pi ampia. Lerrore comincia dunque gi con laffermazione, cos spesso ripetuta, secondo cui attraverso la percezione conosciamo il mondo esterno. Ci sarebbe giusto se il mondo esterno se ne stesse dietro ad una porta e noi di fronte ad essa, tutti pieni di curiosit. Invece, aprire un occhio non affatto qualcosa di simile a guardare dal buco di una serratura. Ma come pu essere formulato in positivo il tema di unindagine rivolta alla percezione, dopo che lo si sottratto al dominio del problema della conoscenza? Abbiamo detto in precedenza: in questione non il conoscere ma in primo luogo lesperienza del percepire. Tuttavia proprio su questo punto occorrono spiegazioni. In che senso viene qui impiegato il termine di esperienza? Infatti esso viene spesso assunto in unaccezione che incorpora direttamente un riferimento conoscitivo. Esso significa, certamente, almeno in primo luogo lesperienza sensibile, dunque la percezione, ma con un rimando implicato a conoscenze percettivamente acquisite. Per questo talvolta con esperienza si intende propriamente lesperienza passata ,in modo del resto affine a certi impieghi della parola nel discorso corrente. Vogliamo allora rendere pi profonda e pi precisa la differenza proposta notando che il constatare presuppone il percepire, in un senso che non affatto fin dallinizio ovvio. Affinch si possa effettuare una constatazione deve essere gi per noi percettivamente presente qualcosa che si propone nella sua identit di oggetto e intorno a cui verte la constatazione. Cosicch si pone subito la domanda che indica il punto da cui possono avere inizio i nostri problemi: in che modo questa identit di oggetto si costituisce nellambito della percezione? O in termini pi generali: il costituirsi percettivo di un mondo rappresenta tuttaltro problema dallacquisizione di un patrimonio di conoscenze, sia pure considerate ancora soltanto a titolo di conoscenze quotidiane. Il primo problema si situa in uno strato anteriore al secondo, ma non uno strato del secondo. Con esperienza in unaccezione ristretta intendiamo dunque ancora la percezione, ma esclusivamente come una fun Elementi di una dottrina dellesperienza
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zione, come una capacit o una facolt che ci pone alla presenza di oggetti, e proprio nei modi e nelle forme in cui essa si differenzia. Noi udiamo suoni, vediamo violini appesi ad una parete, siamo colpiti dal profumo dei fiori, percepiamo in generale cose, le loro propriet e del resto anche le relazioni di vario genere che intercorrono tra esse. Questa accezione ristretta ne richiama tuttavia una pi ampia. Se consideriamo, ad esempio, il ricordo, anche in questo caso abbiamo a che fare in primo luogo con una facolt che, a suo modo, ci mette alla presenza di oggetti. In unaccezione ampia, il ricordare appunto unesperienza, di cui possibile determinare i modi di operare, come del resto sono esperienze limmaginare, il desiderare, gli stati emotivi, e cos via. A ci si pu forse obiettare che, in questo modo la nozione di esperienza diventata anche troppo ampia ed indeterminata. Tuttavia a noi non preme qui lesatta delimitazione di un concetto, ma lindicazione di uno spazio aperto di problemi. Per questo ci interessa proprio il mostrare che, a partire da una nozione di esperienza circoscritta alla costituzione percettiva di un mondo per noi, si impone senzaltro un ampliamento che non ha nulla da rimetterci per il fatto di condurre ad una relativa indeterminazione. Ci che qui chiamiamo mondo per noi e che potremmo anche chiamare mondo concretamente esperito o mondo di esperienze non infatti soltanto e nemmeno anzitutto un mondo della percezione. Ad esso, alla ricchezza del suo senso, partecipano dinamismi soggettivi di ogni genere e sono questi dinamismi che noi riconduciamo sotto il titolo di esperienza nella sua accezione pi ampia.
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Fenomeni e cose in s Critica del fenomenismo Immagini e raffigurazioni Il primo passo che deve essere compiuto in una delineazione della struttura della percezione consiste nella proposta di una distinzione elementare e fondamentale pi volte ribadita nella letteratura fenomenologica. Bench si tratti di una distinzione che si pu considerare ben nota, converr ripeterla in breve ed a modo nostro, come se fosse cosa nuova. Supponiamo di trovarci in una stanza e di volgere lo sguardo intorno. Al mutare della direzione dello sguardo, muta laspetto in cui la stanza ci si presenta. Prima avevamo di mira una certa immagine. Ora il punto di vista mutato, e di essa abbiamo unaltra immagine. Ma la stanza, certo, non muta con il mutare delle sue immagini, che sono poi le nostre immagini di essa. Saremmo quasi tentati di esprimerci cos: non dobbiamo confondere fenomeni della cosa con la cosa in s. In effetti, con fenomeno potremmo intendere laspetto in cui qualcosa ci si presenta, il modo in cui qualcosa ci appare: e da esso dobbiamo appunto distinguere la cosa stessa che appare in quel modo, secondo quellaspetto. In se stessa, la stanza non affatto questa o quella visione che abbiamo di essa, e nemmeno la totalit delle visioni possibili (ammesso che il parlare di una simile totalit abbia senso). Se decidiamo di esprimerci cos, converr tuttavia mettere subito le mani avanti. Anche le parole della filosofia hanno la loro storia. E questa contrapposizione entrata nella tradizione filosofica in tuttaltro senso. Con cosa in s, infatti, si intende talvolta qualcosa che in generale non appare, per la quale, appunto, non ci sono fenomeni che la rendano manifesta. Qualunque cosa si voglia intendere con ci, chiaro che non possiamo affatto riportare una simile nozione sulla nostra. Infatti, se ci atteniamo alla semplice situazione esemplificativa proposta appa Elementi di una dottrina dellesperienza
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re chiaro che i fenomeni hanno proprio la funzione di far apparire la cosa, di manifestarla. Perci quando diciamo che dobbiamo distinguere tra gli uni e laltra, non vogliamo proporre un piano fenomenico a cui si contrappone un piano extrafenomenico che non ha nulla a che vedere con esso e che dovrebbe essere supposto seguendo altre vie. Al contrario, determinando quella distinzione, determiniamo anche un preciso rapporto. I fenomeni, le immagini sono la mediazione attraverso cui la cosa si presenta percettivamente. La nostra tesi iniziale potrebbe dunque essere formulata cos: ci sono mediazioni fenomeniche nella percezione. Un altro esempio potr servire a chiarire meglio la portata di questa tesi. Toccando la superficie di un tavolo possiamo percepire la sua levigatezza. Tuttavia qualcuno potrebbe osservare: Ci che tu chiami levigatezza della superficie non altro che una sensazione di una certa specie che provi sulla punta delle dita. Di che cosaltro infatti possiamo disporre se non di questi dati sensoriali?. A ci noi risponderemmo cos: Tu confondi il modo in cui qualcosa si manifesta con la cosa che in questo modo si manifesta. Dissolvi la cosa nella percezione della cosa proponi un modo di argomentare che trascura il fatto che ha ben poco senso parlare di fenomeni se non assumiamo che in essi appaia qualcosa che a sua volta non fatta di fenomeni. In se stessa, una cosa non ha affatto bisogno di apparire. Una rosa rossa anche al buio. Se chiamassimo fenomenismo una posizione che dissolve la cosa nella percezione di essa, allora evidente che la tesi secondo cui vi sono mediazioni fenomeniche nella percezione pu essere intesa come una drastica esclusione di questo punto di vista. Tuttavia necessaria una precisazione ulteriore. Parlare di mediazioni fenomeniche suggerisce lidea che la cosa si presenti solo indirettamente nella percezione. Una simile affermazione sembra soltanto dire in altro modo ci che si dice parlando del sussistere di mediazioni. Eppure il suo senso non affatto chiaro. Se con essa si vuol escludere che la cosa si trovi nella percezione cos come una sedia in una stanza, questo lo ammetteremo senzaltro. Ci troveremmo qui di fronte allo stesso errore fenomenistico, solo di segno opposto. La distinzione proposta allinizio non insegna soltanto che non bisogna dissolvere la cosa nei Elementi di una dottrina dellesperienza
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suoi fenomeni, ma anche che sarebbe altrettanto erroneo non tenere in nessun conto il sussistere di mediazioni fenomeniche nella percezione. Di questo errore potremmo dare tuttavia una versione meno estrema e pi ragionevole. Potremmo concepire le immagini della cosa come calchi che la cosa imprime nella nostra mente attraverso gli organi di senso, cosicch essa sarebbe presente per noi appunto solo indirettamente, attraverso queste sue immagini. Tra la cosa ed il percepire non vi forse una eterogeneit di principio? La cosa non fatta di percezioni. Ma allora come possibile che si istituisca un rapporto percettivo? E poich di fatto un rapporto si istituisce bisogna tentare di arrivare a capire come ci possa accadere. Raccogliamo cos in poche righe un cumulo di confusioni. Un conto parlare di mediazioni fenomeniche nella percezione avendo di mira un riferimento esemplificativo concreto che determina anche in che senso si possa parlare qui di immagini; ed un altro proporre un inizio argomentativo nel quale lintero problema assume la forma di una sorta di enigma da risolvere a forza di ragionamenti. Come se dicessimo: qualunque cosa accada nel percepire, ci debbono essere immagini di mediazione, altrimenti non riusciremmo a capire in che modo sia possibile listituzione di un rapporto percettivo con una cosa qualunque. Il fatto che qui non c proprio nulla da capire. Le immagini non ci debbono essere sulla base di unargomentazione falsa, ma ci sono effettivamente come possiamo decidere sulla base di una chiarificazione descrittiva della struttura degli atti percettivi. Ci che bisogna spiegare, dunque, che il parlare di mediazioni fenomeniche non solo non comporta la posizione secondo cui la cosa sarebbe presente solo indirettamente nella percezione, ma anche che questo passaggio rappresenta un vero e proprio passo falso. Esso fa leva, oltre che sullimpostazione argomentativa del problema, su una determinata nozione di immagine che renderebbe possibile il superamento delleterogeneit attraverso la forma di un rinvio rappresentativo. Della pretesa difficolt si viene a capo attraverso la proposta pi o meno esplicita di unanalogia: non solo necessario Elementi di una dottrina dellesperienza
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postulare immagini, ma questo termine deve essere impiegato allincirca nello stesso modo in cui lo impieghiamo in rapporto a fotografie, ritratti, disegni, ecc. Vogliamo convenire di chiamare raffigurazioni le immagini nellaccezione illustrata da questi esempi. Non vi dubbio che la distinzione elementare che deve essere fissata in rapporto alle raffigurazioni sia quella tra loggetto che viene rappresentato, loriginale, e un altro oggetto che lo rappresenta, la sua copia; e che anche in questo caso, proprio perch una cosa viene rappresentata mediante unaltra, potremmo parlare di una particolare specie di mediazione. In rapporto alle raffigurazioni avrebbe infine un senso ben definito affermare che loriginale solo indirettamente presente attraverso una sua copia. Ci che dovremo notare tuttavia che qui parliamo di presenza indiretta, proprio avendo di mira, per opposizione, la presenza percettiva . Nel guardare il ritratto, vedo il volto di quella persona, ma essa non si trova effettivamente di fronte a me, in carne ed ossa, ma soltanto attraverso una sua immagine. Ed ora proviamoci a mutare il contesto, a impiegare un giro di frase simile a questo in rapporto allesempio iniziale. Abbiamo detto: la stanza si presenta attraverso immagini. Ma sarebbe assurdo aggiungere a ci la restrizione soltanto. Perci le immagini di cui parliamo a titolo di mediazioni fenomeniche non sono affatto calchi delle cose che si presentano in esse. Nulla ci impedisce allora di parlare della immediatezza della percezione, di indicare anzi come una vera e propria caratteristica degli atti percettivi il fatto che in essi le cose sono presenti in se stesse, direttamente, originalmente in carne ed ossa, addirittura! Ci non si trova affatto in contrasto con la tesi delle mediazioni fenomeniche della percezione. Infatti il termine immediatezza viene qui impiegato in un senso relativo che ha di mira, per opposizione, la mediazione operata dalle raffigurazioni. Se con la tesi iniziale ci sono mediazioni fenomeniche nella percezione ci consentiamo luso del termine di immagine, daltro lato il parlare di immediatezza della percezione rappresenta una sorta di precisazione di quella tesi che assume la forma negativa: qui, le immagini non sono da intendere come raffigurazioni. Elementi di una dottrina dellesperienza
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Non perdere di vista questo impiego relativo del termine evidentemente importante per evitare di parlare dellimmediatezza della percezione in modo del tutto vacuo. Di qui potrebbe avere inizio la retorica di un misterioso possesso: nella percezione la cosa ci sta di fronte in carne ed ossa, come se si fosse presso di essa in un modo inaudito e indicibile. Come se solo il tono della voce quando diciamo in carne ed ossa fosse in grado di insegnarci in che cosa consista questa immediatezza. Annotazione La distinzione in questione viene formulata da Husserl con particolare chiarezza gi nelle Ricerche logiche, Quinta ricerca (tr. it. a cura di G. Piana, Il Saggiatore, Milano 1967). Nel caso della percezione del colore, si osserva nel 2, non di rado si confonde la sensazione di colore con lobbiettivo essere colorato delloggetto (p. 141). Ci che vissuto (e quindi che appartiene alla coscienza) la sensazione di colore, non loggetto colorato o il colore stesso (p. 140). La stessa distinzione pu essere proposta come distinzione tra la cosa e le manifestazioni della cosa. La manifestazione della cosa (il vissuto) non la cosa che si manifesta (ci che ci sta di fronte inteso nel suo essere in se stesso, in carne ed ossa). Noi viviamo le manifestazioni come appartenenti al nesso della coscienza, mentre le cose che ci si manifestano come appartenenti al mondo fenomenale. Le manifestazioni stesse non si manifestano, esse vengono vissute (p. 142). I predicati della manifestazione non sono al tempo stesso predicati di ci che si manifesta in essa (p. 142). Io non vedo le sensazioni di colore, ma le cose colorate, non odo le sensazioni sonore, ma il canto della cantante, ecc. (p. 164). Io vedo una cosa, ad esempio, una scatola, e non le mie sensazioni. Io continuo a vedere questunica e identica scatola, comunque essa venga fatta ruotare o orien Elementi di una dottrina dellesperienza
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tata. Perci ho anche sempre lo stesso contenuto di coscienza. Ma se, in un senso ben pi pertinente, designo con questa espressione i contenuti vissuti, ad ogni rotazione io ho un nuovo contenuto di coscienza. Quindi vengono vissuti contenuti molto diversi, e tuttavia viene percepito lo stesso oggetto. Il contenuto vissuto, in generale, non sar dunque esso stesso loggetto percepito (pp. 171-172). Le sensazioni e anche gli atti che le apprendono o percepiscono vengono vissute, ma non si manifestano oggettualmente, esse non vengono viste, udite, percepite con un senso qualsiasi. Gli oggetti, daltro lato, si manifestano, vengono percepiti, ma non sono vissuti(p. 174). Il mondo non in nessun caso il vissuto di un pensante. Vissuto lintendere-il-mondo, mentre il mondo stesso loggetto inteso (p. 175). Nei paragrafi da cui sono tratte queste citazioni Husserl ha indubbiamente di mira, in particolare, la posizione di Mach: Proprio oggi si suole presentare tutto ci come se si trattasse della stessa cosa, considerata da interessi e punti di vista diversi: dal punto di vista psicologico-soggettivo si tratterebbe di una sensazione, mentre dal punto di vista fisico-oggettivo si tratterebbe di una determinazione di una cosa esterna (p. 141). fenomenologicamente falso asserire che la differenza tra il contenuto cosciente nella percezione e loggetto esterno percepito in essa (percettivamente inteso) dipenda semplicemente da un diverso modo di considerare la cosa, secondo il quale lo stesso fenomeno verrebbe considerato ora da un punto di vista soggettivo (in rapporto ai fenomeni riferiti allio), ora da un punto di vista obbiettivo (in rapporto alle cose stesse) (p. 141). Inoltre, nella Appendice ai 11 e 20 della Quinta ricerca, Husserl critica la teoria delle immagini, cio la teoria che ritiene di aver chiarito a sufficienza il fatto della rappresentazione (che incluso in ogni atto) dicendo: fuori vi , almeno in certe circostanze, la cosa stessa; nella coscienza vi limmagine come sostituto della cosa (p. 206). Elementi di una dottrina dellesperienza
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Le sintesi che conducono al costituirsi allinterno dei decorsi percettivi di unit identiche di riferimento Irrilevanza, ai fini di questo problema, della sussistenza effettiva delloggetto Ci che abbiamo or ora sostenuto si presta tuttavia ancora a qualche fraintendimento. Abbiamo distinto tra i fenomeni e la cosa, ricollegandoci ad un esempio particolarmente chiaro. Chi guarda una stanza la vede sempre secondo una certa inquadratura. E se volgiamo lo sguardo a destra e poi a sinistro non vi sono dubbi in che senso diciamo: ora la scena mutata. Che in questo mutamento la stanza appaia come la stessa tuttavia una circostanza che converr non dare troppo per scontata. In generale un decorso percettivo pu essere inteso come una sequenza di scene percettive, ed allora molto importante per cogliere con chiarezza il punto di vista dal quale ci disponiamo sottolineare che lunit oggettiva di riferimento si istituisce allinterno della sequenza stessa e sulla sua base. Se il decorso percettivo presenta, nel variare delle scene di cui consta, un unico oggetto, vi dovranno essere forme e modi di rapporto tra le scene che rendano conto di questo riferimento unitario. Non si tratta, in altre parole, di assumere senzaltro loggetto nella sua esistenza e nelle sue peculiarit oggettive, come se esso essendo fatto cos e cos emanasse queste e queste altre immagini. Ma inversamente nella misura in cui le scene percettive sono proprio queste e non altre e sono concatenate fra loro proprio in questi modi determinati, allora la cosa viene posta nella sua identit oggettiva. Infatti di essa noi ne sappiamo qualcosa solo attraverso le scene percettive lunit che attraversa la molteplicit deve essere istituita allinterno della molteplicit stessa. Ed in quale altro modo potrebbe esserlo? Che la cosa che ora ci sta di fronte non sia fatta di percezioni, lo abbiamo gi detto una volta per tutte. Ma se il problema proprio quello della percezione di essa, dei decorsi percettivi in cui essa si presenta, allora possiamo contare solo su questi Elementi di una dottrina dellesperienza
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decorsi e sulle scene di cui constano. Non disponiamo delle scene percettive e di qualche informazione in pi. Per questo non possiamo dare per scontato il fatto che in un decorso percettivo si diano determinate formazioni oggettive: lovviet del sussistere in s degli oggetti non toglie affatto i problemi connessi al loro costituirsi come tali allinterno del decorso stesso. Una fenomenologia della percezione effettivamente sviluppata dovrebbe senza dubbio prendere le mosse da questo assunto per porsi il compito di descrivere sistematicamente le diverse strutture dei rapporti fenomenici che debbono rendere ragione di questa o quella posizione percettiva nella sua tipicit determinata. Si vede subito allora che ai fini di simili descrizioni strutturali lesistenza effettiva della oggettivit intesa nel decorso percettivo diventa irrilevante. Pensiamo al caso delle percezioni illusorie: ora vediamo un movimento, mentre qui non ve ne alcuno. Che non ci sia alcun movimento potrebbe essere documentato in vari modi. Un altro ci informa che le cose non stanno cos e noi abbiamo buoni motivi per esserne convinti. Ma la convinzione della illusoriet non affatto in grado di sopprimere la configurazione fenomenica che ha fornito la base della percezione illusoria. Siamo convinti che qui non vi sia alcun movimento, e tuttavia non possiamo vedere qualcosaltro da ci che vediamo. La documentazione sconfessa il riferimento oggettivo del decorso, ma la sequenza di scene ancora esattamente quella di prima ed in essa si presenta proprio quel riferimento oggettivo. Ci significa del resto soltanto che la percezione illusoria di un movimento, proprio perch illusoria, deve avere la stessa struttura di una percezione di movimento che avviene effettivamente nella realt. La differenza tra il sussistere e il non sussistere delloggettivit percettivamente intesa non pu entrare in linea di conto se abbiamo di mira le condizioni tipiche della percezione corrispondente [1]. Proprio il richiamo ai possibili errori della percezione pu essere utile per mettere in risalto questi due aspetti del nostro problema: da un lato la posizione di una oggettivit compiuta allinterno del decorso percettivo stesso, dallaltro, e di conseguenza, se vogliamo in qualche modo rendere conto dellerrore nella percezione non possiamo far altro che rinviare alle scene Elementi di una dottrina dellesperienza
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percettive ed ai contenuti che esse presentano. Ci che lerrore percettivo chiama in causa non il rapporto tra la cosa e la sua immagine, come se limmagine fosse sbagliata e si venisse a capo dellerrore adeguando limmagine alla cosa. Ecco che allora si ripresenterebbe lequivoco che abbiamo gi chiarito in precedenza: se le immagini percettive, gli aspetti della cosa, fossero qualcosa di simile a raffigurazioni, allora potremmo proporre il problema di un confronto. Altrimenti questo problema privo di senso. Esattamente come nel caso della percezione corretta, nellerrore percettivo si tratta unicamente di un rapporto tra le immagini. Pensiamo al modo in cui potremmo ingegnarci ad illustrare schematicamente ci che accade nel caso del ben noto dubbio percettivo sulla partenza del mio treno, mentre parte il treno sul binario parallelo. Anzitutto vi la scena A:
Il rettangolo esterno rappresenta il finestrino del treno sul quale mi trovo; il rettangolo interno, il finestrino del treno che si trova, anchesso fermo, sul binario parallelo. Se si muove il secondo si presenta la scena B. Se invece si muove il primo si presenta la scena C:
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Le frecce indicano la direzione del movimento, ed proprio questa che non possiamo vedere. Quindi faremo bene a cancellare queste frecce dal disegno. Allora ci rendiamo conto che il dubbio ha certamente le sue buone ragioni. Oppure chiediamoci come mai abbiamo potuto ritenere erroneamente entrando in una stanza di aver sbagliato stanza. Evidentemente ci si presentata una scena inconsueta e allora altre scene debbono essere presupposte. Siamo entrati da unaltra porta (anzich da quella solita). Concludiamo: laula che vediamo non affatto laula 515 (ed invece lo ). Inversamente potrebbe accadere, entrando in un aula, che mi si presenti la solita scena: riconosco laula 515, mentre in realt non si tratta di essa. In un caso come nellaltro vengono in questione soltanto le scene percettive e i loro rapporti: abbiamo a che fare con modi pi o meno complessi di unificazione e di non unificazione. Le scene anteriori formano una sorta di presupposto percettivo: nel primo caso la scena che mi si presenta si trova in contrasto con questo presupposto, nel secondo invece limmagine attuale si unifica con le immagini che sono percettivamente presupposte. Se poi togliamo di mezzo lassunzione dellerroneit del riferimento, se assumiamo cio che nel primo caso riteniamo giustamente di aver sbagliato stanza e nel secondo, altrettanto giustamente, di essere entrati proprio nellaula 515, il nostro problema non subirebbe nessun mutamento sostanziale. Il modo della spiegazione in entrambi i casi lo stesso.
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Nel percepire non si formulano opinioni n si traggono conclusioni Accenno critico verso la tendenza logicizzante nellambito della dottrina dellesperienza Le cose della percezione non sono entit inferite Prestiamo tuttavia attenzione al modo in cui or ora ci siamo espressi: abbiamo parlato di dubbio percettivo e osservato che per esso vi sono buone ragioni: data la scena che ci appare, possiamo concludere in questo modo o in quellaltro. Oppure diciamo che vi sono ragioni per ritenere giustamente o erroneamente di essere entrati nellaula giusta o nellaula sbagliata. Una simile terminologia non pu essere lasciata correre senza qualche precisazione. Infatti, stando ad essa sembrerebbe che quando si percepisce non si faccia altro che formulare opinioni e trarre conclusioni come se la percezione fosse un modo peculiare di argomentare. Certo, pu essere che si trovi qualche difficolt ad esprimersi in altro modo in contesti come questi, e del resto ci non affatto necessario. pi che sufficiente infatti sottolineare che in rapporto alla tematica della percezione parole come queste debbono essere impiegate in modo libero da rimando allambito del giudizio. Se vedo qualcosa, una sedia di fronte a me, non penso che di fronte a me c una sedia, non sono di questa opinione, ma semplicemente la vedo. Cos, quando parliamo di dubbio percettivo non intendiamo un atto riflessivo rivolto anche soltanto a contenuti percettivi, ma proprio una esitazione interna della percezione stessa che pu naturalmente assumere poi la forma del dubbio esplicitamente espresso. E perci anche non concludiamo di essere entrati in una stanza che ci ben nota come se essa dovesse ogni volta essere riconosciuta[2]. Nel richiamare lattenzione su questo punto abbiamo del resto di mira un discorso pi ampio. A seconda del modo in cui prendiamo posizione in rapporto ad esso, pu derivare unimpostazione interamente diversa della tematica della percezione e Elementi di una dottrina dellesperienza
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dellesperienza in genere. Infatti, potremmo approfittare di una simile possibilit di impiego delle parole per prospettare la tematica elementare della percezione dal punto di vista che esse suggeriscono. Sorge cos quella che potremmo chiamare una tendenza logicizzante nellambito della dottrina dellesperienza, tendenza che ha indubbiamente la sua origine nella proiezione sui processi percettivi e sui loro risultati del modello della argomentazione. Quando Bertrand Russell formula il suo principio secondo cui la massima suprema della filosofia scientifica sarebbe: Sostituire sin dove possibile entit inferite con costruzioni logiche, questa massima correttamente intesa raccoglie in breve sia il programma filosofico proposto sia il suo apparentemente ovvio presupposto. Con entit inferite Russell intende anche, o forse dovremmo dire, pi chiaramente, anzitutto, le cose che ci appaiono concretamente nella percezione. Che qui vi sia una sedia viene inteso come una conseguenza tratta dalle impressioni sensibili o almeno dalle proposizioni che descrivono impressioni sensibili. Per questo linferenza implicita compiuta dalla percezione pu essere sostituita dallassunzione che loggetto percettivamente costituito possa essere inteso come una costruzione logica di cui lanalisi filosofica deve mettere in chiaro i passi [3]. Questo modo di proporre il problema viene poi strettamente connesso con la scientificit della filosofia per il solo fatto che si adotta un punto di vista logicizzante. Una ricerca che si avvale di un apparato di nozioni tratte dalla logica deve sostituire le malsicure indagini psicologicamente orientate dellempirismo classico. Ma chiaro che una sedia non una costruzione logica tanto poco quanto una entit inferita [4]. Lassunzione che si possa considerarla da questo punto di vista non altro che una finzione sovrapposta alla realt del problema e saranno di conseguenza fittizie anche le ricostruzioni che prendono lavvio da essa. Quanto poco poi il nuovo punto di vista sia nuovo e meriti di essere chiamato scientifico lo dimostra proprio lo stretto legame con le concezioni empiristiche. I materiali della costruzione restano infatti sempre quelli: i dati sensoriali, i fenomeni nellaccezione del fenomenismo. chiaro che rispetto a questa tendenza logicizzante gi le poche cose dette sino a questo punto sono orientate nel senso di Elementi di una dottrina dellesperienza
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un netto rifiuto, che riguarda sia il lato metodico che quello contenutistico. La nozione di fenomeno che abbiamo proposta non solo non conduce ad una posizione fenomenistica, ma forma il presupposto di una critica filosofica realmente efficace di esso. Inoltre essa deriva, pi che da una decisione filosofica preliminare, dalla delimitazione stessa del problema, che una tendenza logicizzante non pu che presentare in modo deformato. Anche su questo punto, del resto, si fa sentire la portata della nostra distinzione apparentemente innocua tra percepire e constatare. In rapporto alle constatazioni, la terminologia del giudizio pu senza dubbio cominciare con lessere un legata in modo proprio. E la differenza tra luno e laltro livello pu ora essere ripresentata e ribadita come una differenza che riguarda la spontaneit della posizione delloggetto nella constatazione di fronte alla passivit dei processi della costituzione percettiva. Il fatto che nel constatare ci limitiamo a registrare ci che dato percettivamente non toglie infatti quel momento soggettivo dellinteresse che appartiene alla struttura dellatto. In effetti tenendo conto solo di questo rimando e quindi prescindendo da ogni altra considerazione che potrebbe indubbiamente essere suggerita da questo termine noi riteniamo di poter parlare di spontaneit in rapporto alle constatazioni. Ci presuppone nello stesso tempo uno strato di costituzione passiva, uno strato cio in cui la, posizione dei riferimenti oggettivi accade unicamente in forza dei contenuti percettivi stessi. Se parliamo dei decorsi percettivi come sequenze di scene, allora si impone subito come abbiamo gi notato il tema dellunificazione, della sintesi, come un tema che destinato ad assumere una importanza centrale allinterno dei nostri sviluppi. Ma parlando di sintesi percettive non intendiamo unattivit dellunificare.
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Spiegazioni intorno alle sintesi percettive come sintesi passive Comprendere con chiarezza la nozione di sintesi passiva, in tutta la sua portata analitica e nello stesso tempo filosofica generale, importante per giungere direttamente ad uno dei punti nodali che caratterizza la posizione fenomenologica nella forma elaborata da Husserl [5]. Evidentemente non si tratta di riproporre una concezione del rapporto percettivo come un rapporto di rispecchiamento del dato, nel quale la soggettivit non farebbe altro che godersi lo spettacolo di ci che appare. Presentare le cose in questo modo sarebbe soltanto rendersi troppo facile lesercizio della critica. In primo luogo va notato che vi in ogni caso qualcosa che merita di essere salvato nel vecchio discorso sulla ricettivit soggettiva nella percezione. Infatti qualunque cosa si pensi in rapporto allimportanza dei fattori strutturanti di carattere soggettivo, resta il fatto che, quanto a ci che ci appare percettivamente noi non possiamo farci proprio nulla. difficile non riconoscere in questa circostanza incontestabile una delle caratteristiche della percezione in genere. Tuttavia, parlando di passivit in rapporto alle sintesi della percezione abbiamo di mira un problema abbastanza diverso. Anchesso pu essere illustrato in una forma apparentemente poco impegnativa. Abbiamo osservato che le sintesi percettive non sono attivit dellunificare. Supponiamo allora che ci vengano presentati dei fotogrammi e ci venga proposto il compito di stabilire se essi siano in qualche modo organizzabili. Oppure: ci vengono messi a disposizione dei pezzi di cartone di svariate forme e veniamo invitati a realizzare ununica forma operando lincastro dei pezzi. Questi sono appunto compiti di unificazione esplicitamente proposti e attivamente perseguiti in effettive operazioni di confronto. I fotogrammi, allinizio, ci appariranno disparati proprio perch stato posto il compito di organizzarli; e cos i pezzi di cartone sono realmente pezzi solo nel momento in cui sappiamo che si tratta di un gioco ad incastro. In rapporto Elementi di una dottrina dellesperienza
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a queste funzioni attive di unificazione possiamo forse chiarire che cosa intendiamo dire quando parliamo della passivit delle sintesi percettive. Anche nella percezione hanno luogo unificazioni, e quindi in qualche modo confronti di vario genere, ma nessun confronto attivo viene operato n in generale potrebbe esserlo. Nel percepire non raccogliamo in unit fenomeni come fotogrammi da concatenare tra loro. Naturalmente possiamo in certo modo fissare alcuni momenti di una sequenza di scene percettive, e addirittura fornire un esempio come il seguente:
Potremmo commentare: qui, il risultato sintetico una determinata superficie triangolare che effettua una rotazione. Ma il nostro commento ha bisogno di essere correttamente inteso. Di fatto, nellesempio non possiamo fare a meno di presentare qualcosa di simile ad una sequenza di fotogrammi, suggerendo che essi non debbono essere intesi cos. Nel decorso percettivo che presenta questo risultato, infatti, le scene trapassano luna nellaltra in modo continuo e i loro contenuti si modificano secondo una determinata struttura. In questo senso, potremmo dire che il dato esibisce da se stesso la propria interpretazione. La molteplicit dei fenomeni si auto-organizza progressivamente nel processo ed in questa auto-organizzazione si istituisce lunit del riferimento. Per questo, il fenomeno, nellaccezione qui intesa, non pu essere astrattamente isolato dalla cosa, come se vi fossero prima i pezzi da unificare e poi il risultato unitario. Lattribuzione di unattivit sintetica anzitutto dalla parte della spontaneit soggettiva richiamerebbe, sullaltro versante, il sussistere di materiali grezzi come materiali da costruzione. Ed invece proprio questa concezione di una soggettivit unificatrice, donatrice di forme, che lidea della passivit della sintesi in Elementi di una dottrina dellesperienza
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tende mettere in questione. Se con materiali della percezione vogliamo intendere i fenomeni della mediazione percettiva, allora dobbiamo subito notare che non vi sono fenomeni che non si auto-organizzano in processi e ci vuol dire anzitutto che le sintesi accadono interamente dalla loro parte. Rispetto ad esse la soggettivit si trova appunto nella condizione di una mera ricezione. Perci potremmo anche parlare di uninterpretazione che inerisce alla scena percettiva per il fatto stesso che essa si trova allinterno di uno sviluppo sintetico. In questo sviluppo si afferma una norma che determina in che senso ogni scena debba essere percettivamente intesa. Nel nostro esempio, la scena che sta nel mezzo certamente interpretata se in rapporto ad essa, parliamo di un modo di manifestarsi, in certe circostanze, di una superficie triangolare di una certa forma. In essa infatti non vediamo nessuna superficie triangolare. Ma questa interpretazione non risulta da unosservazione attenta del contenuto della scena da cui dovrebbe emergere il suo senso sulla base di qualche indizio. Linterpretazione risulta invece senzaltro dallinserimento della scena allinterno di quella sequenza. Essa viene in questo modo integrata in essa e cade dunque sotto la norma che attraversa lo sviluppo. Linterpretazione oltrepassa il contenuto attualmente dato nella singola scena nella stessa misura in cui presuppone le scene trascorse e anticipa le scene successive. Che una sintesi abbia luogo attraverso le scene significa la stessa cosa che ogni scena deve essere concepita come momento di un processo.
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Approfondimento della critica nei confronti del fenomenismo mediante la discussione di unargomentazione di Hume: Come faccio a sapere che c ancora una parete alle mie spalle Considerazioni allincirca analoghe potranno certamente essere proposte anche in rapporto allesempio da cui abbiamo preso le mosse: volgendo lo sguardo intorno nella stanza avremo una Elementi di una dottrina dellesperienza
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graduale modificazione della scena. Ora vediamo gli stessi oggetti di prima, solo che mutata, per cos dire, la loro localizzazione fenomenologica. Qualcosa che prima si trovava al centro della scena, si trova ora ai suoi margini. Altre cose saranno eventualmente cadute del tutto al di fuori di essa. Ora non vedo pi una parete della stanza essa si trova infatti alle mie spalle. Ma la parete alle mie spalle fuori dalla scena attuale in tuttaltro modo di un qualunque contenuto arbitrario che io potrei eventualmente immaginare. Essa infatti si presentata allinterno del decorso e questa presenza trascorsa appartiene al senso del riferimento oggettivo che si istituisce in esso. Perci non vi possono essere dubbi sul fatto che, volgendo lo sguardo indietro, mi si ripresenti proprio quella parete. Questa possibilit infatti direttamente presupposta nella stessa posizione percettiva di unoggettivit. Cos, proprio allinterno di una problematica che, insistendo sulla posizione della cosa come risultato sintetico, sembra riprendere il problema del fenomenismo, si mostra che, al contrario, ad esso viene sottratto ogni spazio residuo. Come abbiamo gi osservato, il fatto che siamo tanto interessati ai fenomeni non dipende da qualche assunzione pregiudiziale, ma dalla stessa delimitazione della nostra problematica. Questa delimitazione potr eventualmente essere contestata, ma per far questo sono comunque necessari buoni argomenti, e non soltanto belle parole. Il punto essenziale che una posizione fenomenistica non solo. deve effettuare la risoluzione della cosa nella percezione di essa, ma anche ignorare le sintesi che attraversano le mediazioni fenomeniche. Proprio lesempio della parete alle mie spalle ci richiama alla mente un modo di impostare il problema che mostra con chiarezza esemplare la connessione tra una posizione fenomenistica coerente e la cecit di fronte al problema della struttura sintetica della percezione. In rapporto ad esso, Hume ha costruito unargomentazione famosa. Esponiamo in breve. Io me ne sto seduto con le spalle rivolte alla parete. Perci non la vedo. Eppure so che essa continua ad esistere, anche se non la vedo. Per Hume (come, tutto sommato, anche per noi) ci rappresenta lindice di un problema: infatti, giustamente egli non tenta di giustificare questo sapere ricorrendo a considerazioni Elementi di una dottrina dellesperienza
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estranee alle condizioni della situazione esperienziale che in discussione. Una risposta pu essere vera e tuttavia fallire la domanda. Cos Hume non dice, ad esempio, che i mattoni di cui sono fatte le pareti sono troppo consistenti per dissolversi da un momento allaltro, in punta di piedi. Egli cerca piuttosto di rendere conto di questo sapere richiamandosi unicamente alle funzioni esperienziali in gioco. Tuttavia, dati i presupposti della dottrina di Hume, la discussione finisce con il rivelarsi tanto fallimentare da risolvere lesistenza della parete che, in ogni caso, come per tutti, anche per noi (e del resto perfino per Hume) poggia sui solidi mattoni di cui fatta, in una produzione dellimmaginazione. In primo luogo cominceremo con lescludere che la percezione svolga un qualche ruolo. La parete, infatti, non la vedo. Qualora volgessi lo sguardo indietro accertando che la parete se ne resta ancora l, ci non proverebbe pi di quanto prova, dal momento che ci che si tratta di sapere proprio se la parete continua ad esserci quando le volgo le spalle. Ma allora nemmeno pu provare qualcosa la memoria, perch questa pu farsi garante solo degli atti effettivamente effettuati e ci di cui si dubita non il fatto che poco fa ho visto una parete. Non resta dunque che limmaginazione, la quale, come una barca che continua ancora un poco il suo corso dopo i primi colpi di remo, opera lintegrazione necessaria per togliere di mezzo un dubbio francamente intollerabile. Questa integrazione dovr ovviamente essere inconscia, altrimenti il trucco verrebbe allo scoperto e limmaginazione fallirebbe il suo scopo. Ed ora elaboriamo il problema a modo nostro. Ecco che un tale, mentre sto conversando intorno ad interessanti argomenti, mi interrompe allimprovviso esclamando: Comunque, tu sai bene che c una parete alle tue spalle!. Certo, lo so. E lo sapevo anche prima, quando non ci pensavo nemmeno. Ma per giustificare questo sapere sarebbe gi un errore andare alla ricerca di ragioni a meno che non si intendano quelle ragioni che si trovano tutte allinterno del processo percettivo. Si ripresenta qui il problema a cui in precedenza abbiamo gi accennato: questo sapere non una opinione latente che solo ora viene alla luce. Cos, se il nostro amico ci chiedesse Elementi di una dottrina dellesperienza
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di indicare il fondamento di questo sapere, non ricorreremo ad argomenti, ma cercheremo piuttosto di dare chiarimento sulla struttura di decorso della percezione. Il chiarimento principale certamente questo: prima sono entrato nella stanza ed ho visto quella parete. E quella scena che ora trascorsa, appartiene ancora alla sequenza e determina insieme alle altre scene trascorse, il senso della scena attuale. Il ricordo non viene in alcun modo in questione non solo perch non vi qui nessuna rievocazione esplicita, ma anche perch quelle scene, in realt, non le ho mai dimenticate. Esso non offrirebbe certo, in ogni caso, alcuna garanzia; ma di una simile garanzia non c affatto bisogno. Di conseguenza, per rendere conto dellattesa che implica la credenza nellesistenza continuata della parete, non vi nemmeno bisogno dellimmaginazione. Nellargomentazione di Hume non si tiene in nessun conto il carattere sintetico-processuale della percezione. Perci si propone unipotetica analisi della percezione secondo la quale necessario congetturare lazione, allinterno della percezione, di atti di tuttaltro tipo, quali sono il ricordo e limmaginazione, di cui nella situazione descrittiva non vi alcuna traccia. Daltra parte lazione dellimmaginazione, che dovrebbe forzare i limiti del ricordo generando unattesa, deve essere ricondotta ad un postulato di coerenza che non pu non apparire tanto necessario quanto profondamente ingiustificato. Ogni giustificazione si trova invece tutta allinterno del processo percettivo stesso. Se ci disponiamo dal punto di vista di una considerazione dei decorsi percettivi come processi attraversati da sintesi, allora tutto ci che possiamo trarre da quellargomentazione soltanto il fatto che nella scena attuale debbono avere un peso le scene trascorse, e nello stesso tempo che, se qualcosa attualmente dato, qualcosaltro deve essere anticipato. Tra queste anticipazioni e le scene passate deve intercorrere un determinato rapporto. Illustrare con chiarezza questo punto ci conduce a penetrare pi a fondo nelle condizioni delle funzioni sintetiche della percezione.
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Annotazione forse opportuno riportare in esteso il passo di Hume a cui abbiamo fatto or ora riferimento. Io sono seduto nella mia camera con la faccia rivolta al fuoco, e tutti gli oggetti che colpiscono i miei sensi sono contenuti in pochi metri intorno a me. La memoria, invero, mi fa presente lesistenza di molti oggetti; ma questa sua testimonianza non si estende oltre la loro precedente esistenza, n i sensi n la memoria attestano la continuit del loro essere. Mentre sono ancora seduto e rivolgo per la mente questi pensieri, sento ad un tratto un rumore, come di una porta che gira sopra i suoi cardini, e poco dopo vedo il portiere che avanza verso di me. Ci mi d occasione a molte riflessioni e nuovi ragionamenti. Anzitutto, io non ho mai osservato che quel rumore possa provenire da altro fuorch dal movimento di una porta, e quindi concludo che il presente fenomeno sarebbe in contraddizione con tutte le precedenti esperienze, qualora io non ammettessi che la porta, che ricordo dallaltra parte della camera, continua ad esistere. Ancora: ho sempre visto che un corpo umano possiede una qualit che io chiamo gravit, e che gli impedisce di volare, come questo portiere dovrebbe aver fatto per giungere nella mia camera se pensassi che la scala, di cui ho il ricordo, fosse stata distrutta nella mia assenza. Ma non tutto. Io ricevo una lettera: aprendola, vedo dal carattere e dalla firma che viene da un amico che mi dice di essere distante duecento leghe. evidente che non posso mai rendermi ragione di questo fenomeno in conformit della mia esperienza in altri casi, senza far passare nella mia mente tutto il mare e il continente che ci separano, e senza supporre gli effetti e lesistenza continuata dei corrieri e dei battelli, conforme alla mia memoria e osservazione. I fenomeni, dunque, del portiere e della lettera, sotto un certo aspetto sono in contraddizione con lesperienza comune, e possono essere giudicati come obiezioni alle massime riguardanti la connessione tra cause ed effetti. lo, infatti, Elementi di una dottrina dellesperienza
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sono abituato a udire un certo suono nello stesso tempo che vedo un certo oggetto in movimento; in questo caso, invece, non ho ricevuto le due percezioni insieme. Si che queste due osservazioni sono contrarie, a meno chio non supponga che la porta rimanga ancora, e che sia stata aperta senza che io ne abbia avuto la percezione. E questa supposizione, da principio arbitraria e ipotetica, acquista forza ed evidenza per essere la sola che possa conciliare quella contraddizione. Di questi casi se ne offrono continuamente nella mia vita, e mi spingono a supporre una continuata esistenza degli oggetti al fine di collegare le passate con le presenti loro apparizioni, e dare loro quella reciproca unione che ho trovato per esperienza convenire alla loro particolare natura e alle circostanze. Io sono, cos, naturalmente portato a considerare il mondo come qualcosa di reale e di durevole, che mantiene la sua esistenza anche quando cessa di essere presente alla mia percezione. Ma bench questa conclusione tratta dalla coerenza delle apparizioni possa sembrare della stessa natura dei nostri ragionamenti concernente le cause e gli effetti, in quanto deriva dallabitudine ed regolata sulle precedenti esperienze, troveremo, esaminando bene la cosa, che ci sono notevoli differenze, perch tale conclusione deriva in via diretta dallintelligenza, e soltanto indirettamente dallabitudine. Si dovr, infatti, facilmente concedere che, poich niente realmente presente alla mente fuori delle sue proprie percezioni, non soltanto impossibile che unabitudine possa mai essere acquistata altrimenti che con la successione regolare di queste percezioni, ma anche che nessunabitudine possa eccedere questo grado di regolarit. Ma un grado di regolarit delle nostre percezioni non pu mai per noi essere il fondamento per arguire un grado maggiore di regolarit in oggetti che non sono percepito poich questo supporrebbe una contraddizione, unabitudine cio acquistata da ci che non stato mai presente alla mente. Ora, evidente che, quando inferiamo lesistenza continuata degli oggetti del sen Elementi di una dottrina dellesperienza
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so dalla loro coerenza e dalla frequenza della loro unione, per dar ad essi una regolarit maggiore di quella che osserviamo nelle nostre semplici percezioni. Noi constatiamo infatti una connessione tra due specie di oggetti nel loro passato apparire ai sensi, ma non siamo in grado di constatare la perfetta costanza di quella connessione, poich un volger di testa, un chiuder di occhi, basta per romperla. Che cosa noi supponiamo in questo caso, se non che questi oggetti continuino nella loro connessione usuale, nonostante linterruzione del loro apparire, e che le apparizioni irregolari sono unite da qualcosa di cui non siamo coscienti? Ma poich ogni ragionamento concernente materia di fatto proviene unicamente dallabitudine, e labitudine pu essere soltanto leffetto di ripetute percezioni, lestendersi dellabitudine e del ragionamento oltre le percezioni non pu mai essere il diretto e naturale effetto di una costante ripetizione e connessione, ma deve nascere dalla cooperazione di qualche altro principio. Ho gi osservato, esaminando il fondamento della matematica, che limmaginazione, quando si mette in un certo ordine di pensieri, capace di continuare anche quando loggetto le viene a mancare, e simile ad una galea messa in movimento dai remi prosegue nel suo corso senza bisogno di nuovo impulso. L io spiegai perch, dopo aver considerati diversi criteri approssimativi di uguaglianza, e averli corretti luno con laltro, noi passiamo a immaginarne uno tanto corretto ed esatto da non essere soggetto al minimo errore o cangiamento. Lo stesso principio ci spiega facilmente lopinione dellesistenza continuata dei corpi. Gli oggetti hanno una certa coerenza anche come si manifestano ai nostri sensi; ma questa coerenza maggiore e pi uniforme, se supponiamo che gli oggetti abbiano unesistenza continuata: la mente, una volta che sulla via di osservare luniformit degli oggetti, continua naturalmente, finch rende questa uniformit, per quanto possibile, completa. La semplice supposizione di una loro continuata esistenza basta a tale scopo, e ci d la nozione di una regolarit molto maggio Elementi di una dottrina dellesperienza
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re di quella che gli oggetti hanno quando non spingiamo lo sguardo oltre i nostri sensi. (Trattato sulla natura umana, I, Parte IV, sez. 2, trad. it. in Opere, I, a cura di E. Lecaldano e E. Mistretta, Laterza, Bari 1971, pp. 209212).
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Sintesi percettive e considerazioni temporali: illustrazione del diagramma del tempo di Husserl Adottando la terminologia di Husserl, potremmo parlare di ritenzione e di protenzione per indicare il modo in cui sono percettivamente implicate nella percezione attuale le scene trascorse e le scene anticipate. Delle prime diremo che sono ritenzionalmente presenti, delle seconde che esse lo sono protenzionalmente. Considerazioni di ordine temporale debbono dunque intervenire a questo punto della nostra esposizione. In certo senso dobbiamo chiarirci le idee sul concetto di tempo o, pi precisamente e pi limitatamente sul modo in cui deve essere concepita la dimensione temporale del presente in quanto essa messa in questione dai processi percettivi. Questa discussione, che anche in questo caso intendiamo riprendere nella forma pi succinta possibile, pu essere ampiamente semplificata se diamo ad essa la forma di una discussione intorno alla costruzione di una possibile rappresentazione della struttura del presente. Il suggerimento da cui questa costruzione deve prendere le mosse, il suggerimento, cio, contenuto nellassunzione di una presenza effettiva che comprende tuttavia una presenza ritenzionale e una presenza protenzionale, tende a mettere in rilievo il fatto che il presente deve essere concepito in primo luogo come un presente esteso. Ci non deve essere inteso come se non fosse affatto lecito parlare, nel nostro contesto, di un presente istantaneo: al contrario, proprio al presente istantaneo riferiremo la scena attuale: ci che mi sta di fronte proprio ora. Ma esso dovr essere concepito, dal punto di vista temporale, come una sezione di un decorso ritenzionale-protenzionale. Elementi di una dottrina dellesperienza
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La rappresentazione mediante una linea sembra dunque imporsi come ovvia. Potremmo interpretare i punti di cui essa consta come istanti, e intendere questi punti-istanti come limiti. Ma si vede subito che in realt questa rappresentazione assai poco significativa ed in realt fuorviante. Infatti, ci che verrebbe rappresentato in questo modo , tuttal pi, un tratto temporale e non ci che intendiamo qui parlando di presente esteso. Di conseguenza un punto in essa rappresenterebbe certamente un istante, ma non ci che intendiamo parlando di presente istantaneo. La rappresentazione di un tratto di tempo inteso come successione di istanti non pu fare al caso nostro. In essa viene meno proprio la determinazione soggettiva del presente che per, noi essenziale. Da un punto di vista oggettivo, parlare di un presente, come del resto del passato e del futuro, non ha senso alcuno. Quando entrano in questione le dimensioni temporali, un richiamo soggettivo necessariamente implicito: il tempo non consta di esse, ma di puri e semplici luoghi temporali. La rappresentazione di un tratto temporale mediante una linea rappresenta dunque loggettivit del tempo, nel quale ogni istante un luogo ben determinato. Ma proprio per questo in quella rappresentazione non vi pu essere alcuna traccia del presente. Il vero problema non sta affatto nella contrapposizione di istanti ad una durata nella quale non sarebbero distinguibili punti di tempo: ma nella chiara identificazione del rimando soggettivo in rapporto al quale soltanto ha senso parlare di un presente. E naturalmente anche di un presente istantaneo. In questo istante. Proprio ora. Potremmo allora servirci ancora di una linea, tua modificando anzitutto il modo della sua interpretazione. Anzich come una successione di punti, potremmo intenderla come limmagine di un movimento. Il punto, cio il presente istantaneo o, nella terminologia di Husserl, il punto-ora, avanza e progredisce, e in questo modo genera la linea: il presente che si estende.
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Una rappresentazione per il presente comincia cos a prendere forma. Ma si tratterebbe certamente ancora di una rappresentazione incompleta. Lora attuale passa e noi dobbiamo associare alla linea progressiva del punto-ora che avanza la linea regressiva del punto-ora che passa.
In questa figura manca ancora una rappresentazione per la presenza ritenzionale, per ogni punto-ora, dei punti-ora trascorsi. Ci potrebbe avvenire, di conseguenza, in questo modo: F
Abbiamo cos sotto gli occhi il diagramma del tempo che Husserl presenta nelle sue Lezioni sulla fenomenologia della coscienza interna del tempo [6]. Dopo quanto si detto, la sua interpretazione ovvia. Nellistante in cui presente la scena B, la scena A ancora ritenzionalmente presente, e cos anche tutte le scene comprese nella sequenza tra A e B: il loro luogo temporale, ben determinato nel tratto di tempo, si proietta tuttavia sulla Elementi di una dottrina dellesperienza
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linea verticale della presenza ritenzionale; e perci, in questa proiezione, esso varia di continuo al variare del punto-ora nel movimento progressivo del presente. Qui il tempo fluisce e fluisce, per cos dire, nelle condizioni di una sempre possibile fissazione ed obbiettivazione. Ogni punto temporale in quanto istante occupa un luogo fisso nel tempo oggettivo; in quanto presente istantaneo sottoposto ad una variazione continua dei propri valori ritenzionali. Il tempo rigido, e tuttavia fluisce il tempo [7]. E questa dialettica elementare del tempo non affatto un grande mistero: la possiamo infatti mostrare in una figura, fornendo le spiegazioni necessarie. La figura, daltro lato, ci utile anche per mostrare si badi bene lastrattezza dello schema proposto. Siamo qui evidentemente ben lontani da ogni tentativo di portare alla luce una qualche sensazione interiore dello scorrere del tempo, di far valere una nozione di tempo vissuto da contrapporre ad una nozione di tempo reificata dalle forme del pensiero. gi del resto abbastanza significativo che nella rappresentazione effettuiamo qualcosa di molto simile ad una costruzione geometrica; e di fatto Husserl, nel proporre il proprio diagramma, guidato dallimmagine delle coordinate cartesiane [8]. Cos, quando egli parla del punto-ora come punto-origine (Quellpunkt), ancora quellimmagine che determina una simile scelta terminologica. Si comprende allora, in particolare, quanto sarebbe erroneo tentare di attribuire alle variazioni dei valori ritenzionali un significato psicologico che debba essere in qualche modo determinato ricorrendo ai dati dellintrospezione.
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Condizioni formali e fondamento contenutistico delle sintesi Per chiarire meglio in che modo la tematica temporale deve essere richiamata in rapporto alle sintesi della percezione tuttavia opportuno porre laccento su un aspetto che, per quanto sempre presente nelle considerazioni precedenti, merita ora di essere portato al centro dellattenzione. La posizione, attraverso le scene, di un oggetto fatto cos e cos, viene effettuata sulla base di ci che vediamo in esse, quindi sulla base dei contenuti che esse presentano nel loro dispiegarsi. Questo dispiegamento assume il carattere di un effettivo sviluppo proprio in quanto vi un trapassare di una scena nellaltra, una progressiva assimilazione tra esse. In questa coesione si istituisce una norma, che dovr essere intesa come interamente interna al processo. Ci significa che quando una sintesi ha luogo, deve esserci un fondamento contenutistico per essa: nessun soggetto sintetizzatore potrebbe far sorgere legami laddove non ce n alcuno. Proviamoci del resto a supporre che ci si presentino varie scene fra le quali non sussiste alcun momento di coesione. Luna non ha nulla a che vedere con laltra, la sequenza non mostra alcuna norma: ora vi di fronte a me la parete della stanza ma volgendo lo sguardo un poco a sinistra mi appare una notte stellata. ancora pi a sinistra un paesaggio marino... Ed a questo punto non si tratta tanto di dubitare se alla fine ritrover ancora la parete alle mie spalle, o del resto quella che era prima di fronte a me, quanto piuttosto se io non sia divenuto, mio malgrado, preda dellimmaginazione. Forse stiamo sognando[9] . Una reazione certamente ovvia ma, almeno per noi, ricca di significato. Forse stiamo sognando : cio, per quanto possano essere vivaci le immagini che mi si presentano, pu ben sorgere, in queste condizioni, il dubbio che nessun esistente in realt sia posto in esse: la credenza tende ad allentarsi o a venire del tutto meno. Forse si tratta soltanto di immagini. Leffettuazione di posizioni dessere deve essere annoverata fra le caratteristiche interne della percezione: nello stesso tempo, questa effettuazio Elementi di una dottrina dellesperienza
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ne strettamente vincolata alla norma che si istituisce nelle sintesi. Accade cos che, qualora nessuna norma si manifesti nella sequenza, qualora dunque venga meno la coesione, contenutisticamente fondata, che conduce a risultati sintetici, tendiamo gi per questo fatto a mettere in questione lesserci stesso di ci che viene presentato, e dunque a dubitare che il decorso percettivo sia un decorso percettivo autentico. A partire di qui possiamo mettere in evidenza unaltra circostanza interessante. Comunque ne sia dei nostri dubbi, possiamo forse ritenere che, in assenza di unificazioni contenutisticamente fondate, non vi sia in generale nessuna unificazione? Certamente le cose non stanno cos. Infatti, per me le scene formano ancora ununit, bench in senso meramente temporale. Non possiamo forse raccontare ci che ci accaduto? Prima abbiamo visto questo, poi questaltro e questaltro ancora. Ed allora chiaro che, considerando in generale la tematica delle sintesi percettive, dobbiamo operare una netta distinzione tra ci che spetta alla competente contenutistica e ci che spetta invece alla componente temporale. Prescindendo da qualunque considerazione di ordine contenutistico pu ancora darsi una unit temporale. Oppure, che lo stesso; sempre possibile astrarre dai fondamenti contenutistici delle sintesi, mantenendo tuttavia, e in questa astrazione, lunit temporale della sequenza. Inversamente necessario sottolineare che questa unit necessariamente presupposta per leffettuazione delle sintesi contenutistiche della percezione. Come potremmo infatti illustrare la situazione in cui non si d alcuna unificazione temporale? Evidentemente ci significa semplicemente che le funzioni ritenzionali non sono operanti. Quando appare una scena, la scena precedente passata, per cos dire, in senso assoluto: sprofondata in un abisso (potremmo tentare di spiegarci cos). In queste condizioni nessuna unificazione potrebbe aver luogo, nemmeno nel caso della pi completa prossimit contenutistica delle scene tra loro. Lunificazione temporale deve dunque valere come condizione formale delle sintesi percettive in genere. Con una espressione pi concisa potremmo parlare del tempo come forma delle sintesi [10]. Elementi di una dottrina dellesperienza
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Questo stesso problema pu essere ripresentato da un altro punto di vista che non del tutto privo di interesse. Per spiegarci abbiamo ipotizzato or ora la caduta dei nessi ritenzionali. Ma in luogo di ci e con lo stesso scopo illustrativo potremmo ipotizzare che al mutare della scena muti anche lio a cui essa si presenta: lio diventa di continuo un altro. Una situazione simile certamente difficile da immaginare, e persino da intendere: ma ci del resto vale anche in rapporto al caso precedente. In entrambi non si tratta in realt di formulare unipotesi, ma di proporre una finzione che ha il solo scopo di mettere in chiaro i termini del problema. In rapporto ad essa diventa subito chiaro che a titolo di condizione formale delle sintesi deve essere presupposto anche il permanere identico del soggetto che effettua lesperienza. Se questa condizione non soddisfatta non pu darsi alcuna sintesi, cos come del resto non possibile alcuna continuit ritenzionale in rapporto alle esperienze di soggetti diversi. La frammentazione dellidentit soggettiva pu assolvere la stessa funzione esplicativa della caduta dei nessi ritenzionali. Si tratta di due modi equivalenti di formulare lo stesso problema: parlare di uno sprofondamento abissale della scena anteriore equivale alla finzione di un io variopinto, di una scissione assoluta dellio, di una sua assoluta dispersione. Se poi diciamo, di conseguenza, che lidentit soggettiva rappresenta il presupposto di ogni percezione (e di ogni esperienza) possibile, sorge lapparenza che ci si avventuri in arrischiate speculazioni. Ma non cos. Dobbiamo solo ammettere che cera qualcosa di vero nel principio kantiano: Lio penso deve poter accompagnare tutte le mie rappresentazioni. Si tratta tuttavia, secondo il modo in cui lo citiamo ora e lo interpretiamo, di una verit piccola piccola, contrariamente a quanto pensava Kant. Nonostante le profonde oscurit e le complicazioni con cui egli avvolge la sua discussione vi tuttavia una base elementare da cui egli prende le mosse ed a cui potremmo anche essere interessati. Essa diventa chiara prestando attenzione ad alcuni dettagli dellesposizione: ad esempio, quando Kant osserva che nel tracciare una linea, essa c per me solo se viene mantenuta lunit di questa azione, quindi lunit della soggettivit che la effettua (Critica della ra Elementi di una dottrina dellesperienza
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gione pura, 17). Oppure quando egli nota che qualora la molteplicit delle rappresentazioni non fosse data nellunit presupposta di una coscienza, lio stesso si dissolverebbe in questa molteplicit, diventerebbe un io variopinto, come sono variopinte le rappresentazioni ( 16). Sarebbe tolta allora la possibilit di ogni sintesi, e nello stesso tempo di ogni posizione di oggettivit attraverso le mie rappresentazioni (19).Ma se nellinterpretazione di quel principio approfittiamo essenzialmente di indicazioni come queste, riportandole allinterno della nostra problematica dellidentit soggettiva come condizione formale, non c dubbio che operiamo di essa una sorta di riduzione ai minimi termini. Kant si avventura invece in arrischiate speculazioni. Alla loro base vi lerrore consistente nella mancata divaricazione tra il piano dellesperienza e il piano della conoscenza. in fondo ancora piuttosto ovvio che, se riconduciamo allassurdo la nozione di esperienza attraverso la finzione di un io variopinto, ne va di mezzo, insieme alla possibilit di effettuare esperienze, anche quella di effettuare conoscenze. Ma di qui a fare della costanza soggettiva il principio supremo della conoscenza umana, ne corre. Questo errore del resto fa parte dellimpianto di principio della Critica della ragione pura. La questione della possibilit della metafisica propone unindagine orientata in direzione di una dottrina della scienza: ma i problemi che si pongono su questo piano vengono senzaltro trasposti in problemi concernenti la struttura dellesperienza. Le condizioni di possibilit dellesperienza debbono allora essere proiettate direttamente sul piano epistemologico. Invece necessario, riprendendo i nostri temi iniziali, sottolineare che il problema del costituirsi per noi di oggettivit date nellesperienza di tuttaltro genere rispetto alla problematica di ci che posto in essere dalle funzioni propriamente conoscitive.
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Digressione: il richiamo alla storicit dellesperienza e i modi in cui pu essere inteso Ad alcuni potr sembrare che ammettendo che la soggettivit rappresenti una condizione formale delle sintesi si conceda troppo alla parte che essa svolge nella percezione. Ad altri invece che si conceda troppo poco. Ed in realt proprio questultima posizione, pi che la prima, che pone dei problemi che meritano di essere presi in considerazione. chiaro infatti che parlando di condizione formale si fa una concessione minima, e se pensiamo che anchessa debba essere tolta di mezzo, ci si deve chiedere se non sia il caso di togliere di mezzo lintero ambito dei nostri problemi. A parte ogni altra considerazione, infatti, occorre riconoscere che il momento soggettivo fa parte della stessa nozione di esperienza, a meno che non si voglia fin dallinizio pregiudicarla in una direzione speculativa. contro, vari dubbi, e bene argomentati, potrebbero essere proposti per mostrare che da questa impostazione iniziale non sembra lecito attendersi sviluppi che sappiano rendere conto dellintera ricchezza delle forme e dei modi dellesperienza. Infatti si comincia qui con il sottolineare che i momenti strutturanti dellesperienza percettiva stanno tutti dalla parte dei contenuti fenomenologici, mentre rispetto ad essi la soggettivit si limiterebbe a svolgere il ruolo di un vuoto supporto. Invece, non appena consideriamo una situazione percettiva concreta, essa si presenta secondo unorientazione che mette certamente in gioco una rete di rapporti che hanno la loro origine nella vita di esperienza complessiva della particolare soggettivit che la effettua. nsiamo anche in questo caso a situazioni esemplificative molto semplici. Camminando per la via, un dolce suono mi colpisce, mi attrae, per cos dire, nella sua sfera. Qui, in fondo, potremmo ancora parlare di passivit, dalla parte del soggetto, perch esso si trova in ogni caso sotto lazione della cosa. Ma questa azione come potrebbe essere interpretata se non mettendo in questione proprio, vorrei dire, la mia esperienza di vita? Del resto, il mio amico, qui accanto, Elementi di una dottrina dellesperienza
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non si accorto di nella, in tutto questo frastuono. Quel suono, a dire il vero, si ode appena: eppure ormai si trova per me al centro della scena, e tutto il resto ai suoi margini. Usiamo qui gli stessi termini di prima, tuttavia, come chiaro, secondo uno spostamento di significato indotto da una situazione descrittiva interamente diversa. Ci che determina la differenza tra centro e margini non pi soltanto una direzione della percezione, ma unorientazione soggettiva dellintero campo percettivo. Qui la soggettivit non pu valere soltanto come una rarefatta condizione formale. Se ci limitiamo a mettere in rilievo solo questo aspetto, sembra che ci precludiamo in via di principio la considerazione della rete di rapporti in cui lesperienza percettiva di fatto sempre inserita e che rinvia a dinamismi complessi di natura emotiva, immaginativa, a interessi, tensioni e motivazioni di ogni genere, in tutte quelle differenze e variet che dipendono, infine, dallintegrazione dei singoli soggetti in un orizzonte storico-culturale. oprio la buona fondatezza di questa osservazione esige che siano fissati con chiarezza i limiti della problematica che stiamo tentando di delineare. Ci che occorre mettere in rilievo in primo luogo che in quella osservazione la nozione di dato percettivo subisce una significativa modificazione di senso, gi indicata a sufficienza dal fatto che qui possiamo parlare di qualcosa che ci colpisce. Non vi dubbio allora che siano operanti funzioni di integrazione che non riguardano soltanto, come dicevamo in precedenza, il dispiegamento delle scene e i loro rapporti interni, ma che richiedono la considerazione delle circostanze entro cui la percezione viene effettuata. Queste circostanze, di volta in volta particolari, determinano differenze allinterno dellapprensione dei materiali percettivi che non possono in alcun modo essere analizzate unicamente sulla loro base. Potremmo dire, in breve, che sono chiamate in causa le storie personali dei soggetti singoli: dunque non soltanto lesperienza percettiva in quanto tale, intesa per di pi come esperienza attuale, ma lesperienza nella sua accezione lata, considerata nelle interazioni dinamiche tra le varie modalit in cui essa si esplica e si esplicata. Il richiamo alle storie personali un richiamo alla vita di esperienza dei singoli ed ai modi di rapportarsi al mondo che in esse si sono costituiti e, nello stesso tempo, un ri Elementi di una dottrina dellesperienza
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chiamo alla storicit intersoggettiva di cui quelle storie sono integralmente partecipi. Una dottrina dellesperienza non pu certamente non tener conto di tutto ci. Ma sarebbe sbagliato pretendere che essa cominci con il proporre senzaltro la determinatezza storica dellesperienza come il suo problema elementare. Infatti la tematica che pu essere ricondotta sotto questo titolo presenta un grado di complessit che pu essere concretamente affrontato solo se sono stati messi preliminarmente in chiaro alcuni presupposti che contribuiscano ad una sua precisa localizzazione. Il metodo che ci proponiamo di seguire non toglie affatto la possibilit di estendere in ogni direzione i propri problemi, ma richiede anzitutto limpiego di procedure analitiche capaci di operare le restrizioni necessarie ai fini di una loro precisa messa a fuoco. Cos noi prendiamo le mosse dalla esperienza sensibile da una restrizione allinterno della nozione di esperienza. E non abbiamo cominciato invece con lasserire che, in concreto, qualunque esperienza percettiva si propone sempre in circostanze particolari ed inestricabilmente intrecciata con esperienze di altro tipo. Ci indubbiamente giusto: ma quando parliamo di questi intrecci, ad esempio con stati emotivi, con tensioni pratiche o addirittura con lambito delle opinioni implicite che fanno parte di concezioni del mondo personaliintersoggettive, dobbiamo in ogni caso sapere con sufficiente chiarezza che cosa stato intrecciato. Prima dobbiamo aver distinto qualcosa. Tuttavia sarebbe riduttivo, anche dal nostro punto di vista, limitare la questione alla vecchia norma dellanalisi che procede dal semplice al composto, dal pi elementare al pi complesso. In effetti nel mettere in rilievo la tematica del fondamento contenutistico delle: sintesi, operando una vera e propria emarginazione del momento soggettivo abbiamo di mira anche un preciso obbiettivo critico: la legittima richiesta di una storicizzazione pu ben presto assumere come proprio presupposto implicito la totale irrilevanza del materiale ai fini della strutturazione di un mondo di esperienza, secondo una tendenza latente in un modo di pensare empiristico. Il gesto empiristico che, con grande apertura mentale, attribuisce ogni formazione di esperienza alle sue Elementi di una dottrina dellesperienza
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eventualit, conduce direttamente ad una storicizzazione che pu essere veramente radicale solo perch poggia su un assunto immaterialistico. Lemarginazione iniziale della soggettivit, ridotta al minimo di condizione formale delle sintesi, vorrebbe invece essere un modo di far valere una istanza materialisticooggettivistica nello stesso ambito di una dottrina dellesperienza ovviamente, m unaccezione che non sia tale da cancellare la sensatezza dei suoi problemi. Il riconoscimento delle sintesi interne al materiale fenomenologico come tale daltro lato essenziale per impostare correttamente i problemi dellincidenza del fattore storico-culturale. Che si tratti appunto di unincidenza questo il punto che deve essere vivacemente sottolineato. Vi deve dunque essere qualcosa su cui sia possibile incidere e i nodi di questa incidenza debbono poter essere chiaramente indicati. Abbiamo bisogno di stabilire, ad esempio, che vi sono regole della visione tridimensionale che dipendono da condizioni interne alla dimensione puramente fenomenologica di presentazione della cosa (e che del resto poggiano sulla fisica della percezione) per poter mettere in rilievo la determinatezza storica delle regole della rappresentazione tridimensionale e degli stessi modi di vivere lesperienza della spazialit come unesperienza carica di emozioni, di immaginazioni, di opinioni e di prese di posizione, in breve come unesperienza ricca di cultura.
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Lo stesso problema orientato in un altro senso Losservazione che ha dato lavvio al nostro chiarimento potrebbe tuttavia ripresentarsi in una forma un poco modificata e con un diverso obbiettivo critico: in luogo di aver di mira la rivendicazione dellintegrazione della percezione in altri modi di esperienza, sullo sfondo del problema della determinatezza storico-culturale dellesperienza in genere, si potrebbe porre in rilievo lisolamento operato dalla tematica a percezione per mettere in dubbio lo stesso compito di una dottrina dellesperienza fe Elementi di una dottrina dellesperienza
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nomenologicamente orientata, in quanto essa non sarebbe per sua natura in grado di raggiungere la dimensione della concretezza esistenziale. Da questo punto di vista, risulterebbe allora significativo proprio il fatto che agli inizi non riusciamo a far altro che teorizzare una nozione di soggettivit che si presenta esplicitamente come unastrazione vuota. Di fronte ad essa vi sono poi le nostre pretese scene percettive che sono esse stesse astrazioni, dal momento che qualcosa di simile ad una percezione pura e semplice pu essere ottenuta solo astraendo dalle tonalizzazioni praticoemotive in cui ogni concreto atto percettivo intessuto. Se non siamo consapevoli di ci, prima o poi arriveremo a formulare una nozione di mondo come mondo di cose, come mondo cio di enti che se ne stanno li di fronte a noi per essere osservati e conosciuti, portando alla luce nelle sue conseguenze la limitatezza di principio di un punto di vista che non stato sufficientemente radicale nel rifiuto della subordinazione della propria tematica al problema della conoscenza. Questo rifiuto dovrebbe indurci ad abbandonare lo stesso obbiettivo dellindagine: essa deve cessare di essere soltanto unanalitica dellesperienza, che richiama anche troppo da vicino la tradizionale impostazione filosofica della teoria delle facolt, per assumere il carattere di unanalitica dellesistenza, cio di unanalitica che si proponga di mettere in chiaro i modi concreti di essere nel mondo. Il conoscere stesso, di cui in fondo latteggiamento percettivo-contemplativo rappresenta il modello primitivo, non potr che essere considerato esso stesso che come un modo di essere fra gli altri, che non pu godere alcun particolare privilegio. Tanto meno potr godere un particolare privilegio una nozione della cosa proposta come un ente costituito nelle sue determinazioni oggettive, come la stessa distinzione iniziale e i nostri primi sviluppi farebbero intravedere. Gi nella dimensione quotidiana, che del resto la prima che dovremmo considerare assumendo questo punto di vista, abbiamo sempre a che fare con strutture di rimandi, con listituzione di nessi di tuttaltra natura rispetto alle sintesi percettive. Si tratta piuttosto di rimandi di adeguatezza o inadeguatezza, di conformit o difformit rispetto a scopi, che concatenano in unit di significato sempre pi ampie cosa a cosa come il martello rinvia al chiodo e il chiodo al Elementi di una dottrina dellesperienza
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martello, e luno e laltro al legno da inchiodare e questo al tavolo progettato che, del resto, sar percepito innanzitutto e per lo pi come un piano di appoggio. Rapporti dunque tra le cose che tuttavia, intesi in questo modo, non possono che essere istituite dallunica cosa che pu in generale porre funzioni e scopi: luomo. Il quale poi non affatto una cosa, proprio perch pu attribuire funzioni e scopi alle cose; e queste del resto, proprio perch sono poste entro funzioni e scopi, nemmeno esse sono propriamente cose ma, come ben videro i greci che non chiamavano cose le cose, ma pragmata, sono, nellaccezione pi generale che possiamo pensare, degli utensili. Oppure: degli utilizzabili [11]. Che dire di tutto questo? In realt, nonostante la modificazione della forma e la diversit degli obbiettivo e degli sviluppi che di qui potrebbero essere tratti le nostre precisazione precedenti ci mettono in grado di prendere posizione anche di fronte a questa obiezione, in modo certamente altrettanto sommario quanto sommario il modo in cui essa stata riferita. Naturalmente non possiamo che ribadire la necessit, che abbiamo teorizzata fin dallinizio, di sottrarre lindagine ad una subordinazione alla problematica epistemologica. Tuttavia, il radicalismo qui rivendicato in base al quale sarebbe necessario labbandono dello stesso piano di una dottrina dellesperienza, per passare ad un punto di vista interamente diverso, ci sembra privo di fondamento. Il fatto che noi ci veniamo a trovare in prossimit della tematica tradizionale della teoria delle facolt e che questa tematica sia stata per lo pi presa in considerazione dal punto di vista del problema della conoscenza, non pu valere come un buon argomento. evidente invece che se viene proposta la sostituzione tra esperienza e esistenza, tra modi di essere e modi di esperienza, essa non pu valere come una sostituzione di pure e semplici varianti terminologiche, ma alla differenza terminologica dovrebbe essere sottesa una differenza concettuale ineliminabile. Eppure lun termine, nella sua genericit, potrebbe indubbiamente valere allincirca quanto laltro: un modo dessere, come noi potremmo essere anche disposti ad impiegare questa espressione, si costituisce e non pu che costituirsi sulla base di Elementi di una dottrina dellesperienza
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esperienze. Che cosaltro pu voler dire vivere, esistere, essere nel mondo o comunque ci si voglia esprimere, se non fare esperienze? Invece, la contrapposizione ci fa pensare che si voglia conferire una pregnanza al termine di esistenza che potr essere sostenuta solo al prezzo di speculazioni troppo profonde. Del resto, la sottolineatura del conoscere come modo dessere appare lontana dalle motivazioni analitiche elementari sulla base delle quali abbiamo ritenuto di poter indicare lautonomia della problematica dellesperienza, ed anzitutto dellesperienza sensibile, mentre appare orientata nel senso di unaccentuazione di unanalitica dellesistenza come compito eminentemente filosofico di fronte al quale i problemi pi propriamente attinenti allambito di una dottrina della scienza avrebbero unimportanza del tutto secondaria. Quanto poi a richiamare lattenzione sulle tonalizzazioni pratico-emotive, quindi su una nozione di soggettivit che certo non potr essere intesa come pura e semplice condizione formale, di ci abbiamo gi detto: evidentemente nulla ci impedisce di sottolineare la complessit da cui pu essere attraversata una situazione percettiva tenendo conto della intelaiatura di circostanze in cui essa inserita. Ma proprio da questo punto di vista, laffermazione secondo cui tutto ci che vediamo sempre tonalizzato in senso pratico-emotivo assai meno ricca di senso di quanto potrebbe sembrare ad un primo sguardo. Da un lato essa non affatto in grado di togliere effettivamente di mezzo la tematica puramente percettiva della costituzione di formazioni oggettive, dallaltro dissolve in una vaga generalit la complessit determinata delle situazioni esperienziali concrete. Vogliamo raccontare a questo proposito una piccola storia una breve sequenza di scene, dove la parola ha proprio il senso che essa ha nello sviluppo di unazione teatrale. Il soggetto qui entra in scena e recita la sua parte. Non spettatore, ma appunto attore. Egli se ne sta seduto, a notte fonda, accanto al caminetto acceso, immerso nella lettura. Ad un certo punto, colpito da un rumore di passi che viene dallesterno. Tende lorecchio. Ora si sente armeggiare alla finestra, finch si ode distintamente il rumore di un vetro infranto. Ed in simili circostanze comprensibile che uninquietudine crescente si accompagni a Elementi di una dottrina dellesperienza
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quei rumori. Attraverso di essi si annuncia una minaccia. Si profila laggressore. Bisogna fare qualcosa. Lattore si guarda intorno e afferra lattizzatoio. Ecco un modo ben diverso di volgere lo sguardo intorno nella stanza! E forse qui possiamo comprendere, nellavvicendarsi delle scene, che cosa possiamo intendere con una visione pratico-emotiva. Allinizio, lattore immerso nella lettura, ha di fronte agli occhi le pagine del libro e di scorcio vede anche altre cose, che del resto non guarda. E non guarda nemmeno, naturalmente, le pagine del libro, dal momento che egli legge, e non intento ad osservare i caratteri tipografici o la grana della carta. Il rumore che lo colpisce fa regredire ai margini linteresse per il contenuto del libro, cos come per ogni altra scena visiva. Il rumore: tutto linteresse percettivo si concentra in questa direzione. Quei rumori sono coerentemente concatenati tra loro sono rumori di passi che si avvicinano e tanto pi essi diventano inquietanti quanto pi la concatenazione rafforza linterpretazione affiorata. La tensione emotiva che investe le scene sonore si converte quindi nellinteresse pratico di una reazione difensiva ad unaggressione divenuta ormai certa. E se finalmente lattore si guarda intorno, questo sguardo totalmente determinato da questa intenzione pratica: tutto ci che sta intorno viene risucchiato in essa. Laspetto della stanza interamente mutato. Che cosa vorrebbe dire allora affermare in generale che ogni visione una visione pratico-emotiva? Una simile affermazione pu avere senso solo se poi riesce a specificarsi in modo determinato ma proprio la sua specificazione, come mostra la nostra piccola storia, che per il resto lascia il tempo che trova, richiede che si distingua tra lo strato del percepire e le tonalizzazioni pratico-emotive che possono inerire ad esso e che si metta in evidenza il fatto che tali tonalizzazioni sono esse stesse risultanti di un complesso gioco di circostanze interne ed esterne che forniscono le loro connotazioni specifiche, determinando il senso particolare dellutilizzabilit. Perci dobbiamo poter parlare di una scena che prima era priva di quelle tonalizzazioni da cui poi essa stata investita. Ma lattizzatoio non era comunque, anche prima, un attizzatoio, e quindi un utilizzabile? Naturalmente. Il fatto che si Elementi di una dottrina dellesperienza
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pu sempre immaginare uno scopo rispetto al quale qualcosa assuma carattere di mezzo. Tuttavia, se voglio mostrare un oggetto nero, potr indicare, in mancanza di meglio, un attizzatoio: ed del tutto indifferente che qualcuno pensi tra s: Se ci fosse un fuoco!. Cos se mostro ad un amico un disegno, pu anche darsi che egli reagisca a botta calda dicendo: Ebbene, che me ne faccio?. Ma pu anche essere che egli si limiti a guardarlo.
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Tematica del fondamento contenutistico delle sintesi Linterdipendenza delle parti negli interi percettivi Riprendiamo ora il filo dei nostri problemi che rimasto interrotto nel punto in cui avevamo operato la divaricazione tra il problema delle condizioni formali delle sintesi e quello del loro fondamento contenutistico. Una significativa conseguenza di questa divaricazione consiste nel fatto che in una considerazione pi ravvicinata del problema del fondamento contenutistico possono senzaltro essere messe da parte considerazioni relative al momento, processuale dei decorsi percettivi. Ci non deve far pensare che intendiamo anche solo attenuare le considerazioni precedenti sul legame tra processualit delle scene e listituzione del riferimento oggettivo come risultato sintetico. Tutto ci tanto poco in discussione che lo diamo ormai per scontato. Si tratta piuttosto di proporre una nuova angolatura dalla quale considerare le unificazioni percettive, mettendo appunto in risalto la parte che in esse svolge il materiale stesso, e dunque indipendentemente dalla forma del processo. In fin dei conti se consideriamo lesempio a cui abbiamo fatto riferimento in precedenza:
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indipendentemente dal suggerimento di considerare quelle figure come la rappresentazione della rotazione di una superficie triangolare, sulla carta vediamo comunque ancora qualcosa, e precisamente una successione di triangoli che segue una determinata norma, e nel mezzo, una linea che del resto coerente con quella norma. Noi diremmo naturalmente che anche ora certe sintesi hanno luogo il problema delle connessioni sintetiche stato ora proiettato da un piano dinamico ad un piano statico. Ci non significa tuttavia che ogni dinamismo sia escluso: al contrario, possiamo in questo modo mettere pi chiaramente in evidenza che i dinamismi di cui ci dobbiamo occupare riguardano proprio e soltanto le cose che ora vediamo, nelle loro determinatezze contenutistiche. Si pu forse aggiungere che, in certo modo, il mutamento di angolatura del problema impone una modificazione corrispondente della nostra terminologia. Ora infatti con scena percettiva, e quindi con fenomeno, non intendiamo pi i modi di manifestazione della cosa, ma la cosa stessa che si manifesta. Che essa si presenti secondo aspetti determinati, ad esempio, dalle relativit del punto di osservazione, quindi secondo fenomeni nella nostra accezione precedente, tutto ci ormai fuori discussione. In un passo delle Ricerche logiche, Husserl osserva che non si insister mai abbastanza sulla equivocit che consente di designare come fenomeno non soltanto il vissuto nel quale loggetto si manifesta, ma anche loggetto che si manifesta come tale [12]. Ma anche ovvio che questa possibilit realmente equivoca solo quando sulla sua base si fanno confusioni come pu certamente accadere. Noi invece approfittiamo di essa per Elementi di una dottrina dellesperienza
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dare forza alla tesi secondo cui qualunque cosa che appare, quindi ogni fenomeno, nella nuova accezione, esso stesso un risultato sintetico: esso dato in ci che presenta sempre secondo modi determinati di organizzazione e di articolazione. Bench in realt una simile affermazione sia coerente con la posizione critica nei confronti di un modo di pensare empiristico che gi affiorata pi di una volta, tuttavia per chiarire la natura del problema utile ricollegarsi alla nozione di associazione di origine empiristica, inserendola in un contesto e secondo uninterpretazione del tutto diversa. Che cosa vi infatti che si trovi pi a portata di mano per illustrare la tematica delle sintesi percettive cos come la stiamo proponendo delle classiche regole della somiglianza e della contiguit? Solo che queste regole non dovranno essere intese anzitutto come riferite a contenuti mentali in genere, fra i quali saranno annoverate sia le impressioni che le idee, ma come una indicazione del sussistere in generale di connessioni interne alle cose nella misura in cui esse sono date percettivamente. Pensiamo alla contiguit, con la quale possiamo intendere, ad esempio, la vicinanza spaziale di due figure su un foglio di carta. Luna si trova accanto allaltra ma chiaro che questa prossimit nella localizzazione rappresenta per noi un buon esempio di tendenza sintetica interna alla scena. Se prendiamo tre figure A, B e C tali che B sia pi vicina ad A di quanto lo sia a C potremmo addirittura parlare, rispetto a B, di una tendenza sintetica orientata a sinistra, cio verso la figura A, piuttosto che verso destra, cio verso la figura C. Esprimendoci in questo modo risulta subito chiaro il senso del richiamo ai dinamismi interni della scena percettiva e alle sintesi che in essa hanno luogo. Cos potremo ancora osservare che una tendenza sintetica pu essere in vari modi rafforzata, ad esempio, per restare alle anche troppo semplici regole classiche dellassociazione, dalla somiglianza della forma tra A e B, e ulteriormente rafforzata dalla somiglianza, oltre che della forma anche del colore. Naturalmente una tendenza sintetica potr essere indebolita in vari modi ma ogni indebolimento non dovr essere inteso come unattenuazione dei legami percettivi, ma come determinata dallazione di controtendenze sintetiche, di tendenze cio orientate in unaltra direzione. Elementi di una dottrina dellesperienza
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Lintera scena percettiva ed ogni dato percettivo necessariamente parte di una scena percettiva dunque sempre un risultato delle azioni delle tendenze e controtendenze. Questo risultato determinato dalle qualificazioni specifiche dei contenuti, dalla forma delle figure, dalla loro dimensione, dalla loro disposizione spaziale reciproca, ecc. Inversamente ogni contenuto si presenta come essenzialmente determinato dai nessi relazionali di cui esso, insieme agli altri contenuti della scena, il fondamento. Vi dunque una sorta di circolarit tra la qualit e la relazione. Le qualit stanno anzitutto alla base di relazioni. Questo un punto apparentemente ovvio e che tuttavia stato talvolta ampiamente contestato. Uno degli aspetti in cui si manifesta una tendenza logicizzante nellambito della dottrina dellesperienza consiste proprio nel tentativo di dissolvere il momento propriamente qualitativo nella relazione. Per varie ragioni (che peraltro non sono molto facili da comprendere) un punto di vista che riesca a mostrare la possibilit di dissolvere le determinazioni qualitative in determinazioni relazionali sembra essere pi vicino ad un modo di pensare logico-formale, e per ci stesso preferibile ad ogni evidenza dei fatti. Di fronte a ci non esiteremmo a parlare della possibilit di considerare i contenuti nella loro assolutezza: di questo o di quel colore cos come si trova nel tubetto, prima del suo impiego, che ha una sua tipicit qualitativa, sia pure fluttuante, ma che pu comunque essere denominata e riconosciuta. Parlare di assolutezza del contenuto significa del resto soltanto sottolineare che la qualit precede la relazione e la fonda. Qualcosa non diventa blu cobalto perch certe relazioni sono state istituite; e nemmeno pu accadere che un suono assuma una certa altezza perch si trova nel contesto di altri suoni. Nello stesso tempo giusto dire che i contenuti, non appena entrano in una scena percettiva, sono essi stessi risultati delle sintesi di cui sono il fondamento. Una volta impiegato, il colore del tubetto partecipa ai dinamismi della percezione. La qualit si modifica sotto lazione delle tendenze e delle controtendenze che animano il campo percettivo. Questa modificazione pu essere illustrata mediante quei Elementi di una dottrina dellesperienza
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casi estremi in cui la situazione percettiva si trova in un contrasto manifesto con la situazione oggettiva: segmenti che appaiono di lunghezza diversa mentre sono di eguali dimensioni, oppure segmenti in realt rettilinei che appaiono, insieme ad una determinata disposizione di altri, ricurvi. Casi come questi potrebbero essere citati proprio perch in essi non accade nulla di straordinario. Fuori dellordinario soltanto levidenza con la quale si mostra lincidenza del contesto relazionale sui contenuti assoluti. Il divergere della situazione percettiva dalle determinazioni oggettive appare realmente significativa solo se facciamo notare che questo risultato si ottiene proprio perch i segmenti sono quello che sono hanno, ad esempio, una lunghezza ben determinata e sono disposti proprio in quel modo. Perci non si dovrebbe tanto contrapporre la situazione percettiva alla realt delle cose quanto piuttosto mostrare che mutando il contesto le cose non appaiono pi cos. La questione dellillusoriet pu passare in secondo piano di fronte alla chiara esibizione della circostanza che caratterizza in generale ogni complesso percettivo: la parte dipende dallintero; la qualit dalla relazione; e inversamente.
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Chiarimenti intorno allidea di totalit organica Lo studio delle modificazioni dei contenuti dipendenti dai contesti, cos come in generale dei dinamismi della percezione appartiene naturalmente allampia tematica di una fenomenologia della percezione concretamente e sistematicamente elaborata. In rapporto a questa tematica vi certamente a disposizione un materiale molto vasto. Non sempre tuttavia vi una effettiva chiarezza sullo sfondo filosofico che in ogni caso presupposto dalla stessa posizione di questi problemi, cos come sulle chiarificazioni preliminari, di natura concettuale, che si richiedono nella loro impostazione elementare. Uno dei punti che risultano talvolta poco chiari riguarda proprio la nozione di intero che le nostre osservazioni hanno Elementi di una dottrina dellesperienza
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chiamato in causa. il, ancora abbastanza diffusa lopinione che la nozione di intero che deve essere impiegata in rapporto ai fatti percettivi non debba essere attinta e giustificata allinterno dellambito della percezione, ma richieda di essere introdotta in esso attraverso una sorta di trasposizione analogica. La stessa frequente denominazione di intero o tutto organico illustra con chiarezza questa procedura analogica e la sua origine. Ci rendiamo conto della necessit di una considerazione sintetico-dinamica delle situazioni percettive ed argomentiamo come se si dovesse di conseguenza avvalersi di analogie tratte dalla natura animata, ricca di vita, in contrapposizione ai morti meccanismi della natura inerte. Ecco qui un mucchio di pietre: ed io posso togliere al mucchio questa pietra o questaltra; posso aggiungere anche altre pietre, e non accade nulla. Forse ci che caratterizza meglio il mucchio come una totalit senza vita proprio il modo in cui esso pu essere accresciuto. Evidentemente siamo noi ad aggiungere pietra su pietra, e in questo modo facciamo un mucchio. Luna pietra poi non ha niente a che vedere con laltra, e il mucchio non ha niente a che vedere con le pietre di cui fatto. Ecco che cosa potrei intendere con un intero che mera somma delle sue parti. Pensate invece ad una pianta e proprio al modo in cui essa cresce, dal seme, organicamente, sviluppandosi dallinterno, in unespansione delle parti che presuppone la reciproca compenetrazione tra le parti e linterazione tra esse e lintero. Ed questa nozione di intero a cui dobbiamo pensare quando prendiamo in esame i fatti della percezione. Purtroppo questa nozione di intero non affatto chiara: e non facile chiarirla oltrepassando la vaga analogia con cui essa viene proposta. Inoltre, se prendiamo questa via non saremo disposti, probabilmente, ad affermare, in modo del tutto generale, che qualunque molteplicit di fenomeni una molteplicit determinatamente articolata e organizzata. In effetti, quando parliamo di articolazione e di organizzazione facendo in particolare riferimento a configurazioni percettive, pensiamo ad esempi nei quali si possano cogliere determinate forme di ordinamento, a formazioni nelle quali vi siano almeno tendenze ad una regolarit. E le Elementi di una dottrina dellesperienza
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contrapponiamo a configurazioni che descriveremmo verbalmente con espressioni come ammasso caotico di punti, confuso intreccio di linee, groviglio di figure, ecc. Qui appunto non vi nessuna articolazione, nessuna strutturazione del materiale, nessuna tendenza allordine: quindi nemmeno una stratificazione di piani, una differenza di livelli, una qualche differenza tra ci che pu essere considerato centrale o marginale, primario o secondario, sovraordinato o subordinato, nessuna zona di omogeneit e nessun punto nodale di raccordo, in breve: nessuna forma di unit. Sembrerebbe naturale allora presentare le cose come se in casi come questi fossimo in presenza di materiali che non sono attraversati da alcuna sintesi. Non ci troveremmo di fronte a totalit autentiche, in cui le parti interagiscono tra loro organicamente, ma appunto ad una molteplicit disparata. Il primo. nodo dellequivoco sta indubbiamente nel riferimento analogico: esso pu ben essere messo del tutto da parte. Non abbiamo affatto bisogno di appigliarci alle nostre idee sulla natura animata per illustrare lanimazione interna del campo percettivo. Questa animazione si risolve interamente nelle tensioni istituite dalle tendenze sintetiche dei contenuti che entrano in esso. E di qui noi possiamo trarre una nozione di intero che non mera somma in un senso chiaramente definito: parti e intero sono interdipendenti nel senso che i contenuti del campo sono nello stesso tempo fondamenti e risultati delle sintesi. In rapporto al secondo nodo dellequivoco, si tratta soltanto di intendersi sullimpiego dei termini. In base alle nostre considerazioni, la strutturazione dei dati percettivi deve essere ammessa senza eccezione dal momento che essa appartiene alla costituzione fenomenologica del campo percettivo. Prima ancora che alla psicologia della percezione, questa circostanza appartiene alla sua filosofia. Ma allora dobbiamo distinguere due nozioni di articolazione e di strutturazione che sono connesse da un preciso legame concettuale. Da una nozione forte che mette in questione la presenza di qualche forma di ordine dobbiamo distinguere una nozione debole che si riferisce unicamente allazione delle sintesi contenutistiche. Perci descrivere un complesso percettivo con espressioni del tipo di quelle che abbiamo citate in precedenza, come ammasso caotico di punti, Elementi di una dottrina dellesperienza
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confuso intreccio di linee, ecc. certamente legittimo; in esse abbiamo di mira la nozione debole di articolazione di un intero. Ma la mancanza di ordine, la disarticolazione in ogni caso un risultato sintetico ed essa poggia sulle stesse regole che altrove dnno luogo a interi strutturati nellaccezione pi forte. Laddove si dnno tendenze sintetiche si dnno anche controtendenze e quindi rafforzamenti e attenuazioni dipendente dai modi della composizione. Talvolta una o pi tendenze sintetiche stabiliscono il proprio dominio, e ci pu accadere in una grande variet di modi: tra le componenti dellintero si stabiliscono stretti legami. Il venir meno di una parte modifica lintero: e pu essere allora che si percepisca, proprio in questo punto una lacuna. Come se il complesso fosse sotto il dominio di una necessit imperiosa. Qui si sente il bisogno di un completamento la figura deve essere continuata, e proprio in questo modo. Ma ci non significa che essa evochi un qualche nostro istinto della forma, una disposizione psicologica che ci ordina di comportarci proprio cos. Infatti, la figura si presenta, proprio in ci che essa , come una figura aperta che pretende di essere integrata e proprio in quel modo. Oppure si presenta come completa quel tanto che basta. Oppure infine come un complesso i cui legami sono del tutto allentati: da questo mucchio di punti, puoi togliere questo o quel punto, e aggiungerne alcuni altri e, come vedi, non accade nulla. Qui non vi nessuna articolazione non vi nessuna unit. Le parti non sono interdipendenti tra loro. Ma questa non interdipendenza, essa stessa il risultato di un complesso di interdipendenze. Proprio perch si tratta di punti disposti in questo modo piuttosto che in quellaltro, essi interagiscono fra loro in modo che ne risulta questa indifferenza. Per questo possiamo infine ribadire la nostra tesi iniziale: qualunque cosa appaia nella scena percettiva essa si presenta come determinatamente articolata e organizzata. Tra i vari modi possibili di organizzazione e di strutturazione possiamo eventualmente distinguere modi che hanno come risultato una maggiore o minore coesione interna, configurazioni che sono pi o meno unitarie, del resto secondo unaccezione che di volta in volta dovrebbe poter essere specificata. E ad esse possiamo contrapporre configurazioni in cui prevale piuttosto che il mo Elementi di una dottrina dellesperienza
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mento dellunit e della coesione quello della molteplicit e della disparatezza. Del resto, tutto ci ha a che vedere proprio con la differenziazione percettiva tra ci che appare come una cosa singola oppure come una molteplicit di cose. Di fronte ad una figura come questa
non diremmo di vedere quattro segmenti. Evidentemente, affinch appaia una molteplicit necessario che i segmenti non siano congiunti proprio in quel modo. Essi, invece, in questa disposizione, si fondono in una unit. chiaro inoltre che la molteplicit pu apparire e tuttavia essere a sua volta dominata da un ordine:
vi ancora una fusione, perch la disposizione istituisce precisi nessi associativi e lintero ha ancora una ben determinata configurazione strutturale. Mentre non vi nessuna apprensione percettiva di una molteplicit pura, certamente possibile operare una differenziazione nel grado della fusione. Ed una diminuzione del grado pu essere ottenuta soltanto attraverso lazione delle sintesi. Elementi di una dottrina dellesperienza
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Annotazione Si comprende meglio la teoria del momento figurale esposta da Husserl nella sua Filosofia dellaritmetica se si tiene conto che essa deriva da una generalizzazione del problema della distinzione tra consonanza e dissonanza nella forma proposta da Carl Stumpf nella sua Psicologia del suono (Tonpsychologie, Hirzel, Leipzig 1883-1890. Rist. anast. Frits A.M. Knuf e E.J. Bonset, HilversumAmsterdam 1965). Assumendo un punto di vista psicologicodescrittivo e mettendo fuori questione, ad un tempo, il problema di una spiegazione fisico-acustica cos come implicazioni di ordine estetico, Stumpf pone la questione della differenza come una questione di pura e semplice discriminazione percettiva. Secondo questa impostazione, la sperimentazione dovr concernere unicamente i giudizi enunciato da soggetti (preferibilmente inesperti) relativi alla singolarit o alla molteplicit del dato sonoro che viene ad essi proposto in ascolto. Si parler allora di gradi di consonanza secondo la maggiore o minore difficolt di discriminazione della molteplicit, cio secondo il maggiore o minore numero di giudizi erronei di singolarit: Se le nostre considerazioni successive sono corrette, la consonanza di due suoni non poggia su armonici o su altre cause esterne ai suoni consonanti, ma su un peculiare rapporto sensibile delluno rispetto allaltro, in seguito al quale essi vengono meno facilmente e completamente riconosciuti come una pluralit che i suoni dissonanti (op. cit., I, p. 101). Stumpf parla a questo proposito di fenomeno di fusione: Noi abbiamo chiamato fusione quel rapporto di due contenuti, in particolare contenuti sensoriali, secondo cui essi non formano una mera somma, ma un intero. La conseguenza di questo rapporto che, a gradi abbastanza elevati ed a parit delle altre circostanze, limpressione complessiva si approssima sempre pi a quella di una sensazione singola Elementi di una dottrina dellesperienza
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e viene analizzata con difficolt crescente. Anche questa conseguenza pu essere impiegata nella definizione, dicendo: la fusione quel rapporto di due sensazioni, che ha come conseguenza il fatto che ecc. Ma sia che si adotti luna come laltra formulazione, la cosa destinata a restare un concetto vuoto a chiunque siano estranei i fenomeni in questione, e in particolare i fenomeni sonori. Ci che in realt si ha di mira dicendo che le sensazioni formano un intero e si approssimano pi o meno allimpressione di una sensazione singola, lo si pu apprendere, in ultima analisi, solo sulla base di esempi (ivi, II, p. 128). Bench Stumpf si riferisca anzitutto ad una peculiarit del campo sonoro, tuttavia, come appare del resto dalla citazione precedente, egli non esclude lapplicabilit di questa nozione ad altri campi. Ed proprio questa possibilit di estensione che attrae lattenzione di Husserl. Dalla ricerca di Stumpf, Husserl viene stimolato in direzione di un superamento delle concezioni associazionistiche secondo una prospettiva prossima alle elaborazioni della psicologia della Gestalt ai suoi inizi. La questione da cui egli prende le mosse , inizialmente, ancora interna alla propria tematica filosofico-aritmetica specifica: tuttavia, dalla connessione tra numero e molteplicit che si trova alla base della Filosofia dellaritmetica e dalla metodologia intuizionistica a cui egli si attiene in quellopera, indotto ad una digressione relativa al problema delle condizioni della percezione di molteplicit in genere (Philosophie der Arithmetik, Husserliana, XII, a cura di L. Eley, Nijhoff, Den Haag 1970, Cap. XI). Questo problema presenta il suo lato critico per unimpostazione atomistico-associazionistica in rapporto alle molteplicit abbastanza ampie, perch in rapporto alle molteplicit il cui numero appare a colpo docchio, indipendentemente da una procedura di conteggio, sembra ancora plausibile una concezione che riconosce la percezione della molteplicit ad una percezione complessa che risulta dalle percezioni delle parti prese Elementi di una dottrina dellesperienza
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ad una ad una, nella loro singolarit. In rapporto a molteplicit abbastanza ampie, invece, risulta subito chiara lassurdit di una concezione che sia costretta a postulare tanti atti psichici quanti sono i contenuti presenti, unificati da un atto psichico di ordine superiore (ivi, p. 196). Dopo una diffusa critica delle possibili varianti di una simile concezione, Husserl sottolinea che gli elementi della molteplicit si presentano percettivamente con un carattere che, pur essendo una risultante del loro essere insieme, non si costituisce analiticamente in modo sommativo. Lespressione momento figurale impiegata da Husserl indica con sufficiente chiarezza la direzione in cui egli si muove. Ad esempio, nella percezione di una fila di alberi, ci che viene anzitutto percepito non sono i singoli alberi, ma proprio la fila, cio una configurazione percettiva ben determinata che pu essere colta in un unico sguardo, bench siano poi analiticamente distinguibili gli elementi che la compongono in una riflessione successiva (ivi, p. 204). A questo punto cade il riferimento alla nozione di fusione tratta da Stumpf: i momenti figurali debbono essere considerati proprio come unit nelle quali, le particolarit dei contenuti o delle loro relazioni primarie si fondono luna con laltra. Dicendo si fondono, voglio sottolineare che i momenti unitari sono appunto tuttaltro che mere somme (ivi, p. 204). Laffermazione secondo cui la rappresentazione della figura consisterebbe nella rappresentazione della somma di quelle relazioni richiederebbe il postulato, che in generale non pu essere soddisfatto, secondo cui in una effettiva rappresentazione di aggregato, noi abbracceremmo tutti i singoli punti-oggetti nelle loro relazioni reciproche (ivi, p. 205).La fusione che ha qui luogo lesatto analogon di quella fusione che Stumpf ha scoperto in rapporto alle qualit sensoriali simultanee (ivi, p. 206). Husserl si richiama dunque direttamente alla nozione di Stumpf, ma opera di essa una generalizzazione che implica un ben determinato stile di approccio alla tematica della percezione in genere. Infatti Elementi di una dottrina dellesperienza
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viene a cadere in primo luogo liniziale limitazione alle molteplicit abbastanza ampie, poich i momenti figurali svolgono palesemente un ruolo rilevante anche nel caso delle molteplicit direttamente rappresentate (ivi, p. 216). E di conseguenza lo stesso problema della percezione di molteplicit diventa un problema relativamente particolare nel quadro di una tematica della percezione che considera il campo percettivo, nella variet delle sue formazioni possibili, come un campo di tipicit strutturali di cui debbono essere indagate e specificate le condizioni fenomenologiche.
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Lassociazione e le sue regole Nel prospettare il problema delle sintesi percettive abbiamo osservato che interessante riprendere la tematica dellassociazione, bench in un contesto interamente nuovo. Questo mutamento si presenta certamente anche nel diverso modo in cui si presenta la tematica delle regole dellassociazione, sia dal punto di vista della loro formulazione, sia da quello del loro statuto metodologico. Appare subito chiaro che non avrebbe molto senso tentare una riduzione o una semplificazione di quelle regole, come se linteresse maggiore risiedesse proprio in questa operazione riduttiva. Il parlare di regole certamente importante perch rappresenta unindicazione del sussistere di ragioni interne alla situazione percettiva per il costituirsi di una certa organizzazione del materiale percettivo piuttosto che di unaltra. Cos il riferimento eventuale alla somiglianza ed alla continuit utile ai fini di unesemplificazione elementare per il fatto che questi termini si prestano ad un uso molto duttile che pu essere spesso facilmente adattato alle esigenze del caso. Ma evidenti che le regole dellassociazione sono molto varie; e che nello stesso tempo le generalizzazioni che sono indubbiamente possibili non debbono far perdere di vista le specificit e le differenze dei campi percettivi considerati. Non vi dubbio Elementi di una dottrina dellesperienza
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che la fenomenologia di un campo percettivo possa giovarsi della fenomenologia di un altro, ma ci che possiamo dire in rapporto, ad esempio, al campo visivo, non deve necessariamente essere direttamente trasposto nel campo uditivo e inversamente. Talvolta possiamo mettere in evidenza analogie: una regola pu essere trasposta da un campo allaltro, e in questa trasposizione il mutamento di senso che essa in ogni caso subisce pu insegnarci varie cose. Talaltra invece sono proprio le differenze che possono presentare un particolare interesse. Nellazione di queste regole, la soggettivit se ne sta ai margini. Tuttavia occorre sempre tener conto del fatto che il materiale su cui esse agiscono pur sempre un materiale percettivo. In un quadrato percettivamente presente potremo perci distinguere una zona che si trova in alto ed una in basso, una zona che si trova a destra ed una a sinistra, ecc. E non affatto indifferente che in basso vi sia, ad esempio, uno spigolo del quadrato, piuttosto che un lato. Il quadrato allora appare in modo interamente diverso, proprio perch mutata la sua relazione con il contesto. Lorientamento spaziale, che fa certamente parte dei fattori strutturanti entro i quali il complesso figurale si autoorganizza, strettamente integrato nella correlazione soggettiva della percezione. Tuttavia sarebbe probabilmente inopportuno parlare a questo proposito di un intervento organizzatore della soggettivit proprio per il fatto che qui implicata soltanto la percezione, e non invece le particolarit concrete dello spettatore. In certo senso, abbiamo bisogno di un soggetto puro che in ogni caso non dovr essere inteso come una soggettivit eterea, priva di mani e di piedi, di occhi e di orecchi proprio per mettere in evidenza il fatto che talora i contenuti si presentano secondo un senso che non risolubile nella strutturazione percettiva come tale, ma che richiede una strutturazione soggettiva, per cos dire, di secondo grado. Ci del resto connesso con laspetto propriamente metodologico della tematica delle regole dellassociazione. S consideriamo limpostazione originaria della teoria in Hume, non vi dubbio che la generalit nella quale esse vengono proposte debba essere fondata essa stessa sullesperienza, cio sullosservazione: pertanto saranno ammesse eccezioni. Ci vale per Hume addirittura per il prin Elementi di una dottrina dellesperienza
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cipio fondamentale della corrispondenza tra idee semplici e impressioni semplici [13]; e quindi a maggior ragione per le regole dellassociazione. Ci potrebbe sembrare plausibile anzitutto se si tiene conto che il tema dellassociazione viene in questione in Hume anzitutto come associazione tra contenuti mentali in genere: sembra allora che losservazione interna ci insegni che, per lo pi, nessi associativi si propongono nella nostra mente sulla base della continuit e della somiglianza. In questo modo di porte il problema laccento viene posto sul fatto che queste regole sono regole essenzialmente soggettive, nel senso che esse non hanno altra giustificazione se non nel modo in cui fatta la natura umana. Si vede subito tuttavia che difficilmente questo accento potr cadere con troppa insistenza sulla regola della somiglianza. Anche stando allinterno di questo punto di vista, si dovrebbe notare infatti che, proprio in rapporto a questo problema vi una differenza, da Hume non notata, tra luna e laltra regola. Dipende infatti dal caso se un nesso si istituisce nella nostra testa per continuit, dal momento che, a quanto sembra, una cosa qualunque pu essere contigua ad unaltra cosa qualunque, cosicch se si istituisce un nesso secondo questa regola, quel nesso c solo per noi, e non nelle cose stesse. Di questa differenza si rese invece conto il Kant empirico dellAntropologia pragmatica, che qualifica come associativa solo limmaginazione per continuit. Qui possiamo veramente passare di palo in frasca, come egli dice, dal momento che il contenuto non affatto in questione e il legame solo soggettivo. La formulazione, in realt abbastanza oscura, che egli d dellimmaginazione che pone legami per affinit si richiama comunque ad un legame contenutistico interno, in contrapposizione alla regola associativa[14]. Di fatto in una prospettiva coerentemente associazionistica questa regola della somiglianza reca un certo disturbo. Per quanto si possa accentuare il ruolo delle relativit soggettive nella valutazione di somiglianze, tuttavia vi qui un riferimento qualitativo difficilmente eliminabile. Assumendo un punto di vista associazionistico, si potrebbe perci essere indotti a tentare unanalisi logica del concetto di somiglianza che in qualche Elementi di una dottrina dellesperienza
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modo riesca a mostrare che essa riducibile ad un caso particolare di continuit. In realt il problema malamente impostato fin dallinizio. Se parliamo della continuit e della somiglianza come regole dellassociazione riferendole non gi a connessioni che noi operiamo sui contenuti mentali in genere, ma ai materiali che si presentano percettivamente, non solo cessa di essere in qualche modo plausibile il farle derivare dallosservazione (interna o esterna che sia) attribuendo ad esse una validit puramente induttiva, ma diventa perfino difficile capire che cosa si potrebbe, intendere con ci. Parlando di tendenze sintetiche, del loro rafforzamento, della loro possibile compensazione, ecc., non vogliamo affatto dire che noi tendiamo ad operare unificazioni in questo o quel modo come tanto spesso abbiamo potuto constatare; non vogliamo affatto richiamarci ad un nostro comportamento che, guarda il caso, si regola proprio in rapporto ad esse (ma potrebbe anche regolarsi altrimenti). Semplicemente non diciamo nulla sui nostri comportamenti, e dunque non formuliamo nessuna regola che possa essere tratta di qui. In particolare la differenza di livello che prima avevamo ritenuto di poter intravedere cessa di sussistere: la continuit, intesa come prossimit di un contenuto ad un altro in un complesso percettivo, essa stessa, non meno della somiglianza, una determinazione del contenuto che fonda nessi sintetici di cui il complesso percettivo un risultato. Se diciamo che nel caso seguente
le superfici si richiamano tra loro in un determinato modo, non facciamo affidamento ad una sorta di esperienza interiore della figura, analizzando la quale ci sembra di poter dire che le cose
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stanno proprio cos. Ci che analizziamo proprio niente altro che la figura. Lovviet di una simile osservazione solo apparente perch di fatto la sua ammissione comporta che insieme a problemi di fenomenologia empirica cio di problemi che possono essere impostati e risolti solo attraverso losservazione e lesperimento vi sono problemi di fenomenologia pura, problemi cio che mettono in questione lidea di modi di strutturazione necessaria del materiale percettivo e che perci meritano di essere indicati, se decidiamo di impiegare la terminologia tradizionale, come a priori. E proprio questo punto potr suscitare perplessit anche da parte di chi contesta apertamente un modo empiristico di approccio alla tematica della percezione. Queste perplessit non hanno nulla a che vedere con la realt del problema, mentre rinviano ad un pregiudizio filosofico e metodologico. Nello stesso tempo, esse sono allorigine dellambiguit in cui spesso si muovono le indagini tendenti a individuare le leggi della strutturazione percettiva. In esse spesso presente la tentazione di formulare queste leggi in termini di disposizioni psicologiche, di propensioni di comportamento che sono state di fatto accertate e le cui ragioni debbono essere ricercate in qualche dimensione pi profonda. Eppure lidentificazione di un livello puramente fenomenologico di fondamentale importanza per individuare ci che in una situazione percettiva concreta spetta invece ad una propensione, ad un dato di fatto comportamentale di cui certamente deve essere fornita una spiegazione psicologica (e non soltanto psicologica) pi profonda. probabile che questa mancanza di chiarezza nellindividuazione del problema sia dovuta al fatto che si pensa che lammissione di una strutturazione a priori dellesperienza implichi degli obblighi sul piano del comportamento. Una simile idea naturalmente soltanto il risultato di una confusione di piani. Se proponiamo a qualcuno il compito di colorare la superficie precedente, pu anche darsi che si comporti in modo da rafforzare mediante il fattore cromatico, le tendenze sintetiche presenti nella disposizione delle superfici. Ma nessuno obbligato a comportarsi cos. E inoltre se nessuno si comportasse cos ci non potrebbe farci concludere che quelle Elementi di una dottrina dellesperienza
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tendenze sintetiche non sussistono. Perci se proponessimo quel compito a titolo di esperimento, indubbiamente dovremmo chiarire con precisione che cosa intendiamo propriamente mettere alla prova.
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Ripresa del tema dellimmagine nel senso di raffigurazione Ci che caratterizza limmagine il prodursi di un effetto raffigurativo Immagini e contrassegni Proposta di uno schema riassuntivo Vogliamo concludere questo nostro sommario di problemi sulla tematica della percezione, ritornando sui nostri passi per mettere meglio a fuoco la nozione di raffigurazione nella quale ci siamo imbattuti nella nostra discussione iniziale. Ad essa abbiamo fatto riferimento per chiarire la tesi del sussistere di mediazioni fenomeniche nella percezione le cose ci si presentano attraverso immagini. Ma se ci esprimiamo cos, dobbiamo spiegare che il termine di immagine non impiegato nel senso di raffigurazione. Il rapporto istituito nella percezione non ha bisogno di essere illustrato attraverso un riferimento analogico con le raffigurazioni, ma, al contrario, questo riferimento ci pu essere utile per chiarire, per contrapposizione, in che senso potremmo parlare, nonostante il sussistere di mediazioni fenomeniche, di immediatezza della percezione. Tuttavia non vi dubbio che la nozione di raffigurazione ponga problemi analitici peculiari e che, per varie ragioni che riguardano i nostri sviluppi futuri, sia opportuno tentare di essa un esame un poco pi approfondito. Naturalmente unimmagine in primo luogo una cosa e in rapporto alla sua costituzione percettiva in oggetto identico varr tutto ci che abbiamo osservato sulle mediazioni fenomeniche e sulle sintesi percettive in genere. Tuttavia, ci a cui ora siamo interessati quella peculiarit che rende questa cosa limmagine di unaltra. Qui non abbiamo a che fare soltanto con certi conte Elementi di una dottrina dellesperienza
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nuti percettivi, ma vi , in pi, unapprensione animatrice che conferisce ad essi il carattere di raffigurazioni. In rapporto alle immagini come raffigurazioni appare con particolare chiarezza la necessit di unanalisi intenzionale, di unanalisi cio che chiarisca il carattere delloggetto attraverso differenze riguardanti i modi di intenderlo, implicando cos in modo determinante il lato soggettivo della correlazione esperienziale. Su questo punto, tuttavia, necessario fornire qualche spiegazione. Un puro e semplice rinvio ad una differenza nel modo di intendere lascia le cose, dal pi al meno, al punto in cui esse si trovano. Esso pu rappresentare linizio di una discussione, ma non certo la sua conclusione. Cominciamo dunque con il sottolineare che il carattere di immagine non inerente a qualcosa come una sua determinazione oggettiva, quasi che potessimo distinguere tra cose che sono in se stesse immagini e altre che non lo sono. Dobbiamo dire invece che certi contenuti percettivi talvolta assumono il carattere di raffigurazioni. Questa figura:
presenta quello che presenta[15]. Se ci venisse chiesto di dare di essa una descrizione verbale, diremmo probabilmente che si tratta di una figura rettangolare, con il lato pi breve come base, attraversata da due linee oblique leggermente convergenti verso lalto: tra luna e laltra vi sono piccoli tratti o macchioline che ci sembrano disposte in modo abbastanza casuale. Che la descrizione debba essere proprio questa, ed espressa esattamente con queste parole, ci , per i nostri scopi, del tutto indifferente. Piuttosto noteremo: questa figura non evidentemente una raffigurazione. Ma pu diventarlo.
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Supponiamo infatti che io dica: in realt ho inteso rappresentare una giraffa che passa al di l della mia finestra. Allora pu accadere che si verifichi, nella percezione della figura, una sorta di mutamento improvviso, pu accadere cio che losservatore veda nella figura proprio limmagine di una giraffa e che addirittura riesca solo con difficolt a ritornare alla precedente impressione della figura che se ne stava l del tutto muta senza raffigurare nulla. Pu essere, insomma, che attraverso le mie parole si sia prodotto quello che potremmo chiamare un effetto raffigurativo. In questo modo potremmo mostrare la differenza impercettibile che vi tra una figura ed una raffigurazione. Una differenza c veramente, ed giusto anche dire che essa impercettibile, dal momento che la figura rimasta proprio quella che era. Non si mossa. Solo che ora viene intesa in modo diverso. Vogliamo senzaltro ammettere che in questa modificazione deve avere una parte importante la mia dichiarazione verbale. E tuttavia su una simile ammissione si pu innestare un modo falso di presentare le cose. Il vero nodo del problema sta nel fatto che qui un effetto raffigurativo si prodotto. Ci significa che non sarebbe affatto lecito distinguere la figura dalla indicazione verbale, facendo della raffigurazione una sorta di formazione fluttuante fra luna e laltra. Sarebbe, in altri termini, erroneo affermare che la raffigurazione sia solo il risultato di una suggestione. Infatti nella figura vedo ora proprio limmagine di una giraffa, e ho tanto poche ragioni di ritenere di essere preda di una illusione quante poche ne avrei per ritenere unillusione il vedere in una fotografia limmagine di un caro amico. Daltronde pu benissimo darsi che, dopo levocazione verbale della giraffa alla finestra, il modo di intendere la figura non subisca alcuna modificazione. Lesempio ci tuttavia altrettanto utile anche nel suo rovescio. Per chi non vede limmagine di una giraffa, non si produce appunto nessun effetto raffigurativo; la semplice percezione non diventa percezione animata da unapprensione immaginativa. Quella cosa l a me non sembra affatto una giraffa. Al pi potrei dire che mi stata chiarita lintenzione del disegnatore che evidentemente non poteva che Elementi di una dottrina dellesperienza
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essermi ignota e concludere che egli non ha raggiunto lo scopo che si prefiggeva. Che a qualcuno una figura appaia come una raffigurazione e che lo stesso non accada ad un altro, questo lo ammettiamo senza discussione. Infatti, qualunque cosa accada in questo o quel caso particolare, noi dobbiamo essere in grado di delimitare la nozione di apprensione raffigurativa e da questo punto di vista lessenziale il notare che vedere una giraffa nella figura tuttaltra cosa che apprendere che lintenzione del disegnatore era quella di rappresentare una giraffa. Per parlare di apprensione raffigurativa, la figura deve veramente far apparire il suo originale. Seguendo il criterio metodico che consiste nelloperare caratterizzazioni attraverso differenze, il mettere in evidenza leffetto raffigurativo come caratteristica essenziale delle raffigurazioni significa contrapporre questa peculiare relazione ,di rappresentazione rispetto ad altre possibili, ed in primo luogo a quelle relazioni rappresentative al cui fondamento vi soltanto una stipulazione. Vogliamo parlare a questo proposito di contrassegni. In effetti noi possiamo sempre convenire che una cosa stia per unaltra e, in questo senso, la rappresenti. Alla base di un contrassegno vi soltanto la posizione di una regola di correlazione e la sua accettazione. E se diciamo che essenziale ad unapprensione raffigurativa il sorgere di un effetto raffigurativo, necessario cio che qualcosa ci si pari dinanzi con il carattere direttamente intuitivo di raffigurazione, questo carattere va compreso in primo luogo in contrapposizione alla convenzionalit del rapporto di contrassegno. Ci si chieder forse come mai, volendo parlare delleffetto raffigurativo abbiamo seguito la via traversa di figure che potrebbero essere interpretate e del resto in vari modi secondo le suggestioni del momento. Perch non ricorrere invece alle nostre normali fotografie? Esse si presentano senzaltro come raffigurazioni. Leffetto raffigurativo inerisce qui pi strettamente ai contenuti percettivi che, ad esempio, nel caso del disegno della giraffa. Tra la via traversa nella presentazione del problema e questa via diretta vi sono certo notevoli differenze, ma vi anche Elementi di una dottrina dellesperienza
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una precisa relazione interna. In entrambi i casi vi sono determinati contenuti percettivi e in pi il riferimento ad un originale. Ci significa che le sintesi percettive nelle quali si costituisce la scena vengono prospettate allinterno di unapprensione raffigurativa che pu essere intesa a sua volta come una sintesi di tipo peculiare. Il primo caso tuttavia illustra forse meglio del secondo che cosa si debba intendere, in questo contesto, con contenuto puramente percettivo. Nonostante tutto, simili espressioni limitative dnno spesso adito alla formulazione di falsi problemi. Nel caso della fotografia, ad esempio, potremmo pensare che come contenuti puramente percettivi debbano valere i punti che vediamo, nella loro varia disposizione, se la osserviamo con una lente. Naturalmente, in tal caso leffetto raffigurativo si dissolve. Lo stesso accade se osserviamo un dipinto che rappresenta un paesaggio ad una distanza troppo ravvicinata. Proprio il primo esempio, in cui si ha una modificazione improvvisa della figura nella raffigurazione, mostra invece che con contenuto puramente percettivo dobbiamo intendere niente altro che una configurazione percettiva qualunque e quindi non necessariamente agglomerati di macchie e di punti sulla quale non fa presa nessuna sintesi raffigurativa. Ci che vale come contenuto puramente percettivo nel dipinto di un paesaggio tutto ci che vediamo nel dipinto, meno il riferimento raffigurativo ad un paesaggio. Ma come pu accadere questa sottrazione della sintesi raffigurativa se ci disponiamo nellosservazione alla distanza giusta? Questo in realt un altro problema che riguarda piuttosto la questione dei vincoli pi o meno stretti che connettono la copia alloriginale. In certi casi, come appunto in quello delle normali fotografie, lapprensione raffigurativa si impone senzaltro. Facendo riferimento ad esse possiamo illustrare laspetto del problema che sarebbe invece stato difficile mettere in chiaro considerando il nostro primo esempio. Bench nellapprensione di qualcosa come una raffigurazione concorrano fattori molto vari e di diversa natura, dobbiamo ammettere che uno dei fattori che non possono mancare sia quello della somiglianza. Vale anche in questo caso particolare il principio generale secondo cui Elementi di una dottrina dellesperienza
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ogni modo di intendere deve avere comunque un buon fondamento nelloggetto inteso. Il sorgere di un effetto raffigurativo determinato da una connessione di somiglianza: essa rappresenta un suo presupposto necessario. In assenza di questo presupposto non vi sarebbero certo ragioni per contraddistinguere le raffigurazioni dai contrassegni. Tuttavia il sussistere di una possibilit di sintesi raffigurativa, sulla base della somiglianza, non implica affatto che questo riferimento debba essere in ogni caso effettuato. Ci era gi chiaro nellesempio della giraffa. Ma ci vale anche per esempi per noi inequivoci e, diremmo quasi, costrittivi, di raffigurazioni, quali sono le fotografie. Noi non sappiamo affatto come reagirebbe un ipotetico abitante di un altro pianeta di fronte ad una fotografia (anche se basterebbe pensare ad un bambino molto piccolo o ad una persona appartenente ad unaltra cultura). Se ha occhi per vedere come i nostri, non vi sarebbe nulla di strano se vedesse in esso esattamente tutto ci che noi vi vediamo, tranne il riferimento ad un originale. Vedrebbe la figura, ma non la raffigurazione. Il riferimento alla somiglianza suggerisce infine una ulteriore semplificazione nella presentazione della problematica elementare della raffigurazione. Tra leffetto raffigurativo e lapprensione di somiglianza pu essere stabilita una sorta di rapporto di dipendenza funzionale: leffetto raffigurativo sar tanto pi forte quanto pi diminuisce la distanza tra la copia e loriginale. Se intendo raffigurare un uomo in piedi, potrebbe, forse, bastare un piccolo tratto verticale. Un grosso punto in cima alla linea migliorerebbe un poco le cose. E faremmo ancora un passo avanti se decidessimo di disegnare il solito pupazzetto. Se ben difficile vedere senzaltro in un tratto verticale limmagine di un uomo, di contro nel solito pupazzetto probabilmente per noi abbastanza difficile vedere soltanto la figura, senza che essa sia sotto la presa di una sintesi raffigurativa. Eppure siamo ancora ben lontani dalla fotografia di un uomo in piedi, per non dire della riproduzione di un uomo in una statua di cera.
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Nel caso delle raffigurazioni sussiste infatti la possibilit, sia pure solo teorica, di ordinare le immagini in una successione di approssimazione crescente e continua alloriginale. Potremmo addirittura proporre uno schema che ci aiuti a raccogliere le idee sullargomento. Sugli estremi di un segmento porremo la figura (F) e loggetto (0):
Otteniamo cos un percorso che conduce da certi contenuti percettivi ad altri: la raffigurazione si muove fra essi. Nelluna oppure nellaltra direzione. Procedendo verso loriginale, la distanza diminuisce sempre pi, la presa della sintesi raffigurativa sul contenuto percettivo diventa sempre pi stretta: la raffigurazione tende a diventare illusionistica. Diciamo di pi: la raffigurazione tende a dissolversi nelloggetto. Loggetto, infatti, deve giacere proprio sulla linea di questo movimento, come un suo estremo. Ci non significa fare delloggetto un caso particolare delle sue immagini. Ci possiamo indubbiamente servire. di qualche astratta schematizzazione senza per questo sentirci obbligati a rimetterci il senso dei problemi. Il presentarsi percettivo delloggetto non loggetto che si autoraffigura, anche se esso si deve trovare proprio in quel punto sulla linea della raffigurazione. Si tratta invece di far notare che una distanza rispetto alloriginale presupposta nel concetto stesso della raffigurazione. In questo senso deve certamente essere reinterpretata quella minore vivacit, quella sorta di attenuazione e di indebolimento che talora stato riconosciuto allimmagine secondo una terminologia che rinvia invece a qualificazioni psicologiche inerenti al nostro modo di viverla. Proprio. perch la cosa stessa si trova sulla linea dellimmagine, ma nel punto in cui essa si dissolve, qualora la raffigurazione sia altrettanto ricca di determinazioni quanto la cosa che essa raffigura non vi pi la raffigurazione di una cosa: c soltanto la cosa. Risulta cos anche chiaro il contesto entro cui lecito parlare delle raffigurazioni come finzioni della cosa. In generale non ha alcun senso attribui Elementi di una dottrina dellesperienza
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re lirrealt come un carattere delloggetto raffigurato: limmagine di Pietro non affatto un Pietro fittizio, assente o irreale. Se, guardando il suo ritratto, penso a Pietro che non qui, questi sono solo affari miei. Limmagine presenta Pietro in immagine, e niente altro. Pensiamo invece alla possibilit di una rappresentazione abbastanza ricca di determinazioni da sopprimere quasi il rapporto raffigurativo. Il vetro che ricopre il dipinto si infranto e un suo frammento rimasto conficcato nella cornice. Tendo la mano per liberarlo. E allora mi accorgo che sono stato ingannato. Il vetro non c, finto soltanto raffigurato. In questa possibilit illusionistica vi sono gli elementi contestuali perch abbia senso contrapporre la realt della cosa alla finzione della sua rappresentazione. Il vetro rappresentato un vetro assente, non perch semplicemente rappresentato, ma perch rappresentato in modo da togliere la distanza che richiesta dalla raffigurazione. Ma la raffigurazione si dissolve anche nella direzione opposta. Ed interessante notate che si dissolve nello stesso modo: alla fine ci troviamo di fronte ad un tratto verticale che soltanto un tratto verticale alla concretezza della cosa semplicemente percepita: ad un dipinto che presenta soltanto un intreccio di strisce grigie e azzurre (invece, poniamo, di raffigurare un paesaggio). I momenti figurali tendono gradualmente a prevalere nellattenuazione progressiva delleffetto raffigurativo. Poich questa attenuazione funzionalmente dipendente, secondo la nostra semplificazione schematica, dallapprensione di somiglianze che limitano larbitrariet soggettiva del riferimento raffigurativo, quanto pi la raffigurazione si muove verso il polo della figura, tanto pi essa pu essere mantenuta come raffigurazione solo allinterno di un modo di intendere che deve trarre i propri motivi altrove che nel contenuto percettivo stesso. La raffigurazione risulta sempre da uninterpretazione dei dati percettivi. Ma solo in quel punto del percorso dellimmagine in cui essa comincia a fluttuare tra la figura e loriginale, questo momento soggettivo comincia con il diventare determinante affinch quella cosa che il dato percettivo stesso assuma il profilo di unaltra. Se sottopongo a qualcuno una macchia su un foglio invitandolo a dire quale immagine vede in essa, linvito pone per cos dire la premessa per effetti raffigurativi. Se alla fine unim Elementi di una dottrina dellesperienza
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magine appare ci pu forse insegnarci qualcosa su colui che effettua lapprensione perch di essa proprio lui porta la maggiore responsabilit.
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Note
[1] Questa circostanza fornisce una delle motivazioni elementari della teoria husserliana della epoch fenomenologica. Essa tuttavia presente ancor prima della sua esplicita teorizzazione. Ad esempio, nelle Ricerche logiche. Quinta ricerca (trad. it. cit.) si osserva: Queste differenze tra percezione normale e anormale, vera ed illusoria, non riguardano il carattere interno, puramente descrittivo ovvero fenomenologico, della percezione (p. 140) [2] L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, trad. it. a cura di M. Trinchero, Einaudi, Torino 1967, oss. 602-603, p. 206: Se mi chiedessero: Quando sei entrato nella tua camera stamattina, hai riconosciuto la tua scrivania? - risponderei senza esitare: Certamente!. E tuttavia sarebbe ingannevole il dire che qui avvenuto un riconoscimento; vedendola, non sono stato sorpreso come lo sarei stato se, al suo posto, ci fosse stata unaltra scrivania o un oggetto estraneo. - Nessuno dir che ogni qual volta entro nella mia camera, nellambiente che da lungo tempo mi familiare, avviene un riconoscimento di tutto ci che vedo e che ho, gi visto centinaia di volte. [3] La frase di Russell (tratta da Il rapporto tra i dati sensoriali e la fisica, in Misticismo e logica, trad. it. di J. Sanders e L. Breccia, Longanesi, Roma 1969, pp. 141-170) compare in testa a La costruzione logica del mondo di Carnap che fornisce di essa, in certo senso, unesemplificazione radicale e sistematica. [4] L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, op. cit., oss. 486, p. 179: Che l c una sedia, segue dalle impressioni sensibili che io ricevo? - Ma come pu una proposizione discendere da impressioni sensibili? Allora discende dalle proposizioni che descrivono le impressioni sensibili? No. - Ma non forse dalle impressioni, dai dati sensibili che concludo che l c una sedia? Non traggo nessuna conclusione! Qualche volta, per, s. Per esempio, vedo una fotografia e dico: Dunque, l deve esserci stata una sedia, o anche: Da quanto si vede qui, concludo che l c una sedia. Questa una conclusione, ma non una conclusione della logica. Elementi di una dottrina dellesperienza
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[5] In rapporto al nostro modo di riprendere la tematica fenomenologica assume perci un rilievo centrale il testo di Husserl, Analysen zur passiven Synthesis (Husserliana, XI), a cura di M. Fleischer, Den Haag, Nijhoff, 1966 .Trad. it. di V. Costa, a cura di P. Spinicci, Lezioni sulla sintesi passiva, Guerini e Associati, Milano 1993. [6] Zur Phnomenologie des inneren Zeitbewusstseins (Husserliana, X), a cura di R. Boehm, Nijhoff, Den Haag 1966, trad. it. a cura di A. Marini, Angeli, Milano 1981. [7] ivi, p. 64. [8] ivi, pp. 330-331. [9] Profondamente assorto nei miei pensieri guardavo appena dove mettevo i piedi... Dopo nemmeno duecento passi notai di essermi smarrito, perch mi trovavo in un annoso bosco di abeti che nessuna accetta doveva aver violato. Feci ancora qualche passo e fui circondato da squallide rocce nevose sulle quali attecchivano soltanto muschi e sassifraghe. Spirava unaria gelida e il bosco di abeti era sparito. Dopo altri pochi passi sentii intorno a me una quiete mortale, il ghiaccio si dilatava in unestensione enorme e una spessa nebbia ristagnava nellaria; il sole fiammeggiava sanguigno al margine estremo dellorizzonte e faceva un freddo insopportabile... Seguendo la costa vidi ancora rocce, paesi, boschi di betulle e di abeti: dopo un paio di minuti di corsa il caldo divenne insopportabile, scrutai ancora intorno e scorsi gelsi in fiore e colture di riso. Mi adagiai allombra e detti unocchiata allorologio: non era passato nemmeno un quarto dora da quando ero uscito dal villaggio! Credetti di sognare.... Cos racconta il protagonista di una storia di Chamisso: egli ha calzato gli stivali delle sette leghe, e fino ad ora non lo sa. ( La storia meravigliosa di Peter Schlemihl, trad. it. di L. Giugni Favia, Milano 1974, pp. 130-131). [10] Cfr. E. Husserl, Analysen zur passiven Synthesis, op. cit., 27. [11] M. Heidegger, Essere e tempo, in particolare 13-15 (trad. it. a cura di A. Marini, Max Niemeyer, Tbingen, 1997). [12] op. cit., p. 14l. [13] Particolarmente significativo il passo seguente, nel quale si presenta con chiarezza un problema che, qualora non fosse ri Elementi di una dottrina dellesperienza
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solto come una eccezione che conferma la regola, metterebbe in questione lo stesso impianto di principio della filosofia humeana dellesperienza: Esiste tuttavia un fenomeno in contrario, il quale proverebbe che non del tutto impossibile che le idee precedano le corrispondenti impressioni. Si ammetter, credo, facilmente che le varie e distante idee di colori che riceviamo per mezzo degli occhi, ovvero quelle dei suoni che ci sono trasmesse dalludito, per quanto simili, sono in realt differenti tra loro. Ora, se questo vero per i diversi colori, lo dovrebbe essere anche per le diverse sfumature del medesimo colore, ciascuna delle quali produce unidea distinta indipendente dalle altre. Qualora ci si negasse, sarebbe possibile, con la gradazione continua delle sfumature, far passare insensibilmente un colore in quello che gli pi lontano; e, se non ammettete che ognuno dei colori intermedi differente dagli altri, non potete, senza cadere nellassurdo, negare che gli estremi sono uguali. Ci posto, facciamo lipotesi di una persona che abbia goduto della vista per trentanni e conosca perfettamente ogni specie di colore, eccettuata, per esempio, una particolare sfumatura di blu, che non le mai capitato di vedere. Ora, se gli presentano le diverse sfumature di questo colore, tranne quella particolare che non conosce, in ordine discendente dalla pi cupa a quella pi chiara, evidentemente egli percepir un vuoto dove manca quella sfumatura, e avvertir che tra i colori contigui vi in quel punto una distanza maggiore che in qualunque altro. Domando: non possibile supplire con limmaginazione a tale deficienza e darsi da s lidea di quella sfumatura particolare, nonostante che egli non ne abbia avuta mai la sensazione? Credo che pochi saranno dopinione che non possa, e ci basta a provare che le idee semplici non sempre derivano dalle impressioni corrispondenti. Il caso , tuttavia, cos particolare e insolito che appena degno dessere osservato, e non merita che per esso la nostra massima generale venga alterata (Trattato sulla natura umana, I, Parte I, sez. l., op. cit., pp. 17-18). [14] I. Kant, Antropologia pragmatica, trad. it. di G. Vidari, rev. di A. Guerra, Bari, Laterza, 1969, pp. 60-63. [15] Questa figura tratta da R. Arnheim, Arte e percezione visiva, trad. it., di G. Dorfles, Feltrinelli, Milano 1971, p. 32. Elementi di una dottrina dellesperienza
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Capitolo secondo
Il ricordo
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Alcuni strani problemi in rapporto al ricordo Critica di un approccio introspettivo Che cosa significhi ricordare lo sanno tutti; e tuttavia noi potremmo volerne sapere di pi e andare in giro a chiedere alla gente che cosa accade quando si ricorda di qualcosa. Le risposte saranno, presumibilmente, molto varie. Un tale, ad esempio, ci spiega di essere in generale un povero visualizzatore, a meno che non si tratti di cose che ha visto prima dei dieci anni. E cos si dilunga in spiegazioni: Per esempio, io posso richiamare alla mente molto chiaramente immagini della casa nella quale sono vissuto da bambino; se mi si fa una domanda a proposito di qualsiasi stanza di quella casa, posso rispondere evocando prima unimmagine e poi guardando per vedere quale sia la risposta, proprio come guarderei in una stanza reale. Ed ancora: Quando ora incontro una persona e desidero ricordarmi il suo aspetto, trovo che lunico modo sia di descriverlo in parole mentre lo vedo e di ricordarmi poi delle parole. Mi dico: Questuomo ha occhi azzurri e barba marrone e naso piccolo; basso, con la schiena curva e le spalle cadenti. Posso ricordarmi di queste parole per mesi e riconoscere un uomo per loro mezzo, a meno che due uomini aventi queste caratteristiche siano presenti nello stesso tempo[1]. Qui succedono indubbiamente cose assai strane. A chi ci ha dato queste spiegazioni chiediamo di dirci che cosa cera in quellangolo della stanza della casa della sua infanzia, ed egli, l per l, non lo sa, ma si accinge poi, visualizzando, a guardare dentro di essa. Oppure: ecco che la stessa persona riconosce luomo dalla barbetta marrone sulla base delle parole che ha borbottato tra s quando lo vide qualche tempo fa, al preciso scopo di fissarne la figura nella memoria. A meno che di fronte a lui non ci siano due uomini con la barbetta marrone cosa che genererebbe il pi grande imbarazzo. Tuttavia, prima ancora delle eventuali risposte, dovrebbe sembrarci abbastanza strana quella domanda. Che cosa ci viene propriamente richiesto? For Elementi di una dottrina dellesperienza
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se, di esporre in parole una sensazione che accompagna i nostri ricordi e che pu anche essere molto viva, ma che difficile da afferrare e ancor pi da descrivere verbalmente, e quindi da comunicare. Cerchiamo di cavarcela alla belle meglio. Talvolta ho proprio la sensazione, nel ricordarmi di questo o di quello, che nella mia testa accada qualcosa che si trova in stretta connessione con il senso della vista, e non ad esempio con gli altri sensi. Perci sarei propenso a parlare del ricordo come di una sorta di visualizzazione dellevento ricordato. Oppure: come se dentro di me risuonassero certe parole che descrivono quella cosa. Attraverso quelle parole, essa mi appare: anche se non la vedo; ed anche se, in realt, non ho udito proprio nulla. Ci rendiamo conto che un altro potrebbe rifiutarsi di comprendere queste spiegazioni, ma non sapremmo come migliorarle. Ci possiamo al pi giustificare con lo scotto che deve essere pagato ogni volta che si affronta un problema che richieda una analisi introspettiva. Se vuoi sapere questo, non posso che risponderti cos: il senso della risposta per me chiaro. e se non lo per te, non posso farci nulla. Qualcuno per potrebbe anche reagire in tuttaltro modo, ad esempio dicendo: quando io ricordo, nella mia testa non accade proprio nulla, tranne il fatto che io ricordo. In questo modo, naturalmente, non si risponde alla domanda, ma la si rifiuta, riproponendo il problema in una nuova forma. Vogliamo cominciare con il far notare che nulla di ci che potremmo dire intorno alle sensazioni che accompagnano il ricordo veramente essenziale al rapporto istituito nel ricordo, che questo rapporto in ogni caso presupposto in quelle possibili spiegazioni. Sappiamo gi di che si tratta; ed allora possiamo eventualmente aggiungere: nel ricordare quella conversazione, mi sembra quasi di risentire la sua voce. Quella melodia che ho udito ieri, ora mi torna in mente, mi ronza nella testa. Sono fortemente tentato di canticchiarla. Di fronte a descrizioni come queste possiamo assumere due atteggiamenti molto diversi: possiamo ritenere che esse dicano tutto quello che debbono dire, esprimendo in modo appropriato come stanno le cose; oppure possiamo pensare che esse siano formulazioni inadeguate per esprimere qualcosa che sarebbe, in realt, essenzialmente inesprimibile. Ma sia che si assuma luna oppure laltra posizione, Elementi di una dottrina dellesperienza
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non vi dubbio che siamo lontani dalla possibilit di pervenire, seguendo questa via, a cogliere le peculiarit fenomenologiche del ricordo. Si pu ricordare una melodia senza per questo essere obbligati a sentire un ronzio indeterminato nella testa, o pi precisamente: senza essere obbligati a descrivere le cose in questo modo. Cos come si pu ricordare che cosa cera in un angolo di quella stanza, senza essere obbligati a vederla con gli occhi della mente. Ma la critica che mette da parte la via dellintrospezione assolve soltanto un compito introduttivo e preliminare. Si trova allinizio del problema e non, come talvolta si pensa, al suo termine. Abbiamo infatti parlato, in opposizione ad unimpostazione introspettiva, di peculiarit fenomenologiche del ricordo: ed ora si tratta di sviluppare il problema in questa direzione.
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Determinazione dellaccezione di ricordo qui in questione Rievocazione e ritenzione Per cominciate, vogliamo proporre unimmagine per il ricordo: ricordare una sorta di volgere lo sguardo indietro nel tempo. Sembra che con ci si sia ottenuto ben poco. Eppure non difficile mostrare che, considerando i contesti a cui essa pu essere applicata, quellimmagine individua in modo sufficiente ai nostri scopi una particolare accezione della parola ricordare, fornendo una prima indicazione per introdurre le distinzioni elementari necessarie. Si vede subito che essa non affatto appropriata per indicare il puro e semplice avere a disposizione in un momento qualunque un determinato contenuto. Potremmo dire di ricordare come fatta una giraffa oppure la data di morte di un personaggio illustre. Cose di questo genere sono certamente state apprese nel passato, ma un conto ricordare come e quando sono state apprese ed in tal caso dovremo proprio volgere lo sguardo indietro nel tempo ed un altro poter disporre di esse come acquisizioni stabili, come conoscenze sempre a portata di mano. Per indicare il ricordo come capacit di fissare certi contenuti Elementi di una dottrina dellesperienza
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una volta appresi in unacquisizione stabile, taluni parlando anche di ritenzione. Questa stessa parola stata da noi impiegata in unaccezione nettamente diversa, trattando della problematica della percezione. Ora, la nostra immagine ci consente di differenziare il ricordo come rievocazione sia dalla ritenzione nel senso or ora accennato, che rinvia a contenuti stabilmente acquisiti e sempre disponibili, sia nel senso, illustrato a suo tempo, della ritenzione come presenza ritenzionale di contenuti nel decorso sintetico-processuale del presente. Quellimmagine infatti non pu essere impiegata nemmeno in rapporto alla ritenzione in questultimo senso. Nel presente noi guardiamo, in senso temporale, sempre in avanti: la ritenzione un fenomeno del presente in quanto appartiene alla struttura del presente il suo passare. Cos i contenuti ritenzionali, ci che abbiamo visto poco fa, appartengono ancora al campo del. presente, ma noi non siamo ad essi rivolti n percettivamente n in unattivit rievocativa. La parete alle mie spalle si trova alle mie spalle sia in senso proprio e concreto sia in senso metaforico temporale. Per questo motivo la differenza non pu essere ridotta ad una differenza nella quantit del tempo trascorso: come se la ritenzione fosse un ricordo di esperienze appena passate e la rievocazione un ricordo di esperienze remote. Della parete che ho visto poco fa, e che dunque ancora ritenzionalmente presente, mi si potrebbe richiedere una dettagliata descrizione. In tal caso ci che era soltanto ritenzionalmente presente diventa il tema esplicito di un processo rievocativo. In un caso come questo, la rievocazione diretta proprio su contenuti ritenzionali, e questa possibilit di ricordo nella ritenzione mostra chiaramente che la differenza tra passato prossimo e passato remoto non ha qui alcuna rilevanza.
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Il riapparire del passato nel ricordo Costruzione di un enigma Soluzione dellenigma attraverso lanalogia con le raffigurazioni Critica: non vi sono idee della memoria Volgiamo lo sguardo indietro, nel tempo, e il passato riappare. Riappare la figura che ci stata mostrata qualche giorno fa, riviviamo un episodio da tempo trascorso, le nostre esperienze passate. Ma naturalmente ci non significa che nel ricordo vi sia una effettiva ripetizione dellesperienza. Questo ovvio. Ma allora che cosa significa qui riapparire? In che modo possiamo parlare di una presenza, nel ricordo, riferendoci a qualcosa che in ogni caso assente e trascorsa? Ci che era ovvio, ci pu sembrare allimprovviso misterioso. Senza dubbio, alcune spiegazioni sono qui necessarie. Tuttavia dovremmo evitare di conferire a problemi che pongono nientaltro che compiti descrittivi, la forma di enigmi che sono, in realt, giocati solo sulle parole. Ci pu accadere proprio a questo punto: il fatto in se stesso ovvio che la presenza del contenuto memorativo non possa essere intesa come una presenza autentica, potrebbe essere proposto come una difficolt di cui necessario in qualche modo venire a capo. Ed ancora una volta potrebbe sembrare unidea buona quella di trarre profitto dallanalogia con le raffigurazioni. Proprio perch il riapparire del passato non pu essere inteso come unautentica ripetizione, ci che appare non pu essere altro che unimmagine di esso. In un senso certamente non letteralmente identico a ci che intendiamo propriamente con raffigurazione: ma questa nozione pu essere esplicitamente richiamata per fornire una sorta di illustrazione analogica del rapporto che il ricordo istituisce con il passato. Ci potremo allora avvalere sia della struttura del riferimento, sia della povert essenziale della raffigurazione. Abbiamo limpressione che il ricordo sia un tipo di esperienza in certa misura secondaria in confronto a quella della realt pre Elementi di una dottrina dellesperienza
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sente. Diciamo: Di questo possiamo avere solo un ricordo. Come se il ricordo fosse, in senso primario, unimmagine un po pallida ed incerta di ci che originariamente fu davanti a noi in piena chiarezza [2] . Si comincia dunque con il dire: nel ricordo un evento passato si ripresenta in quanto passato. Ma se il passato passato come pu essere ancora presente e per di pi come passato? Come possibile questo? Come facciamo a capire una cosa simile? Lanalogia con le raffigurazioni dovrebbe indicarci la via per uscire dal vicolo cieco. Solo unimmagine del passato presente, e non il passato stesso. Abbiamo cos risolto un enigma che non esiste. Abbiamo ottenuto chiarezza solo facendo grandi confusioni. Infatti non vi dubbio che ci che contraddistingue la percezione dal ricordo non certamente la questione dellimmediatezza. Il riferimento alle raffigurazioni ci deve servire per sottolineare che se parliamo di immagini, non possiamo intenderle, n nelluno n nellaltro caso, secondo il rapporto istituito dalle sintesi raffigurative. Dovremmo dire piuttosto: ci che caratterizza questa presenza proprio il fatto che levento passato. E di ci non il caso di meravigliarsi. Altrimenti dovremmo meravigliarci anche del fatto che io sono qui e la sedia l, eppure la percepisco. Invece dobbiamo meravigliarci soltanto di questo eppure e declinare ogni responsabilit della meraviglia che esso esprime. Se in luogo di costruire enigmi, ponendo strani problemi di intelligibilit, ci atteniamo allo statuto descrittivo dellesperienza del ricordo, in essa non troviamo nessun rapporto di riferimento tra una cosa ed unaltra, nessun effetto raffigurativo, nessuna immagine. Non vi sono idee della memoria, ma solo cose che si ricordano. Lalbero che ora ricordo proprio quellalbero che vidi laltro giorno in giardino e che probabilmente si trova tuttora al suo posto. La melodia che ora mi torna in mente la melodia che ieri ho udito, e se dico ora mi torna in mente, ci significa solo che la ricordo e non che essa, fra ieri e oggi, diventata una cosa dentro la mia mente. Vi tuttavia anche un altro lato del tema dellimmediatezza che pu essere illustrato attraverso una contrapposizione. Come diciamo che i ricordi non sono raffigurazioni e nemmeno qualcosa di analogo ad esse, cos potremmo osservare Elementi di una dottrina dellesperienza
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che i ricordi non sono documentazioni. Supponiamo di aver una volta compiuto un viaggio con un amico. Ora questi rievoca un episodio di quel viaggio che mi riguarda da vicino. Eppure io non ricordo proprio nulla, per quanto egli si soffermi su ogni dettaglio. Tutto ci che lamico mi sta narrando mi appare come una sua fantasticheria. Pu essere allora che io chieda che il racconto venga documentato. Certo, se ho buone ragioni per fidarmi dellamico e della sua memoria, il racconto potrebbe gi rappresentare per me un elemento di documentazione. Ma ad esso possono aggiungersi altri elementi, come i ricordi concordanti di altre persone implicate in quellepisodio; o addirittura una lettera che reca la mia firma che contiene riferimenti ad esso, e cos via. Pu essere infine che la documentazione sia tale da convincermi: le cose sono andate proprio cos. Proprio io ho fatto questo. Mi dichiaro convinto: e ciononostante non ricordo nulla, per quanto, la cosa mi possa sembrare strana. Un frammento del mio passato stato ricostruito attraverso documentazioni, ma rimane per me in certo senso estraneo, come se fosse stato ricostruito il frammento del passato di un altro. Tuttavia pu anche accadere che, per qualche ragione misteriosa, io improvvisamente ricordi. Come se ci trovassimo di fronte ad una porta chiusa: qualcuno ci descrive che cosa c nella stanza ed esibisce documentazioni di vario genere. Ad un certo punto la porta, improvvisamente, si spalanca: anchio vedo nella stanza. Ora, finalmente, ricordo. E non si tratta affatto di chiedere: che cosa avvenuto nella tua testa in quellistante? Infatti proprio questo irrilevante. In quellistante, ci che prima era appreso solo attraverso documentazioni, ora dato direttamente nel ricordo [3]. In tutto ci implicito, naturalmente, che i ricordi di cui parliamo qui sono anzitutto i miei ricordi. Il passato che riappare nel ricordo il mio passato. Nella nozione di passato istituita attraverso il ricordo vi un momento soggettivo ineliminabile. Tuttavia questa privatit del ricordo non va intesa come se certi contenuti fossero circondati da una atmosfera di familiarit, di vicinanza allio, che li renderebbe riconoscibili come miei, predisponendoli ad una riappropriazione [4]. Un simile modo di Elementi di una dottrina dellesperienza
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presentare il problema non sarebbe altro che una variante di una concezione che rende latto del ricordo come conseguente ad una caratteristica qualitativa del contenuto: lio sta da un lato e le esperienze in genere dallaltro, come esperienze in se stesse non ancora soggettivamente appropriate. Alcune di esse tuttavia sono a me pi vicine, avverto qualcosa di simile ad una segreta affinit con me stesso, e per questo mi appaiono come ricordi. Invece evidente che proprio il tentativo di una spiegazione non pu che condurci a speculazioni prive di fondamento: i contenuti memorativi si propongono senzaltro come tali per il semplice fatto che sono intesi nellesperienza del ricordo. Linerenza dellevento ricordato alla compagine di esperienza di colui che ricorda un carattere strutturale del ricordo alla cui illustrazione pi che sufficiente la distinzione concettuale tra ricordi e documentazione. In coerenza con tutto ci tenderemo anche a respingere ogni sottolineatura della privatit del ricordo che si trovi sulla linea di unenfasi della soggettivit, tutta giocata su una interiorit inattingibile ad altri, e dunque incontaminata ed incontaminabile. Laccento posto sullintrospezione molto spesso dal piano psicologico pu scivolare su quello filosofico prospettando pi o meno alla lontana ed anche in forme diverse, una concezione della soggettivit come ultimo tabernacolo che per gli altri deve restare permanentemente chiuso. Io solo posso essere il sacerdote di me stesso. Questa enfasi si specializza poi in rapporto ai nostri problemi minimi. I ricordi sono miei ricordi anzitutto nel senso che essi sono provvisti di unimpronta rigorosamente unica: essi recano su di s il sigillo inimitabile di me stesso. Limmediatezza del ricordo viene cos proiettata in un contesto che essa non pu certamente sostenere. Infatti, qui in questione soltanto la differenza con le documentazioni, e solo ad essa legata lassolutezza della propriet soggettiva sul ricordo. I ricordi degli altri possono per me valere solo come documentazioni del loro passato ed eventualmente anche del mio. Mentre i miei ricordi non possono valere per me come documentazioni: io non vengo a sapere dal ricordo che le cose sono andate cos. Il ricordo non uninformazione, Elementi di una dottrina dellesperienza
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tanto poco quanto lo il fatto che vedo di fronte a me un albero o una sedia. Ma affermare che il ricordo di un altro non pu essere un mio ricordo non altro che formulare un truismo: sulla cui base non certamente possibile escludere che io ricordi lo stesso episodio che anche un altro ricorda ed esattamente nello stesso modo. Oppure dovremmo commentare: Certo, ricordo che le cose sono andate cos come tu dici, ma poich sono io a ricordarlo, allora ci deve essere qualcosa, una sfumatura, in base alla quale il mio ricordo deve essere almeno un poco diverso dal tuo? Questo ci apparirebbe, giustamente, come un arzigogolo. Annotazione Forse si dovrebbe sottolineare pi di quanto accada di solito che la discussione che Wittgenstein conduce nelle sue Ricerche filosofiche sulla privatit delle sensazioni, e che ha dato luogo a molteplici commenti e variazioni accademiche, ha di mira in realt non solo lo stile di approccio introspettivo, ma il suo impiego secondo uninclinazione che rinvia a una concezione tabernacolare della soggettivit. Basti rammentare questo indicativo frammento dellosservazione 253: Durante una discussione su questo argomento, ho visto una persona battersi il petto dicendo: Ma un altro non pu avere QUESTO dolore! . La risposta che accentuando enfaticamente la parola questo non si definisce nessun criterio di identit. Piuttosto questa enfasi ci induce a credere, erroneamente, che un tale criterio ci familiare, ma deve esserci rammentato (trad. it. cit., p. 171). Limmagine della persona che si batte il petto, facendo nello stesso tempo cadere laccento sul questo (il mio) indica in modo eloquente la direzione della polemica e il senso della discussione complessiva di Wittgenstein. Ci troviamo qui di fronte ad una esasperazione intimistica che non pu essere giustificata dalla privatit delle sensazioni, la quale del resto una circostanza tanto incontrovertibile quanto lo il fatto che il solitario si Elementi di una dottrina dellesperienza
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gioca da soli (oss. 248). Anche lesemplificazione piattamente quotidiana a cui Wittgenstein ricorre (basti rammentare le varie meditazioni a cui viene sottoposta la privatit del mal di denti) , a mio avviso, gi carica di unironia evidentemente rivolta nella stessa direzione.
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La connotazione temporale del ricordo In che senso possiamo dire che il ricordo meramente riproduttivo La rinuncia ad imboccare la via dellintrospezione contiene dunque una netta presa di posizione nei confronti di ogni impostazione che pretenda di far derivare dalle qualit del contenuto il suo carattere memorativo. Diamo allora subito risalto alla connotazione temporale del ricordo, al fatto che unesperienza ricordata appunto niente altro che unesperienza connotata temporalmente come riferita al mio passato. In questa direzione era gi del resto orientata limmagine che abbiamo proposto come una sorta di filo conduttore, iniziale. Dal presente, a cui legato il percepire, volgiamo lo sguardo indietro al nostro passato. Ogni differenza deve essere istituita a partire di qui. Con ci prendiamo una via opposta a quella che, a prima vista, sembrerebbe ovvia. Sembra, cio, che un contenuto debba essere riconosciuto come passato e quindi come contenuto di un ricordo per via di qualche sua peculiarit intrinseca: la connotazione temporale apparirebbe allora secondaria rispetto a qualche connotazione di altro genere che avrebbe carattere primario e dalla quale il riferimento temporale dipenderebbe. Del resto, come abbiamo osservato la forza con cui si impone limpiego analogico-illustrativo delle raffigurazioni risiede in questo: se rammento le fattezze di una persona, la forma di una figura, il colore di un vestito, quella persona, quella figura, quel colore non sono di fronte a me, come prima, in carne ed ossa. Dovremmo dunque prendere atto di una non so quale evanescenza, di una sorta di fuggevolezza, di labilit che si oppone ad una salda presa su quegli oggetti. Proprio in questi caratteri do Elementi di una dottrina dellesperienza
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vremmo riconoscere lambigua presenza-assenza dei contenuti memorativi, ad essi dovremmo richiamarci per rendere conto del riferimento temporale. Noi invece intendiamo sostenere che in questo modo di impostare il problema si ha una vera e propria inversione della situazione effettiva. In realt dobbiamo fissare il riferimento temporale come carattere prioritario e trarre di qui le debite conseguenze. Ci non significa che nel ricordo debba senzaltro essere proposta, con la ricomparsa dellevento, la sua localizzazione nel tempo oggettivo. Limprecisione, la vaghezza, una relativa indeterminatezza del luogo temporale non pu nuocere al ricordo cos come la esatta determinazione di quel luogo non gli aggiunge necessariamente qualcosa. Quando parliamo di connotazione temporale nel caso del ricordo non possiamo intendere la pura e semplice determinazione di un luogo temporale. A tal fine sono sufficienti le documentazioni. Esse presuppongono loggettivit del tempo ed in essa localizzano un evento. Il ricordo invece non ha a che fare anzitutto con il tempo oggettivo: la possibilit della determinazione del passato a cui rinvia il ricordo nel tempo oggettivo appartiene certamente al suo senso, ma il problema della realizzazione di questa possibilit pu sorgere solo estrinsecamente ed essere risolto con altri mezzi. Del resto si tratta di un rilievo che abbiamo gi compiuto: quando intervengono le dimensioni temporali, un riferimento soggettivo presupposto, e perci il carattere di passato non pu consistere nella datazione dellevento, ma proprio nella sua assenza intesa come presenza trascorsa. Non si tratta dunque di un puro e semplice non esserci, ma di un non esserci pi. Questo non pi la formula della connotazione temporale del ricordo. Con ci possiamo riproporre il tema della passivit, almeno in una delle accezioni del termine a cui ci siamo richiamati a suo tempo trattando della percezione. Anche in rapporto al ricordo possiamo dire: Quanto a questo non posso farci nulla. Altrimenti il ricordo non sarebbe affatto un ricordo. Quei filosofi che hanno parlato del ricordo come di una facolt meramente riproduttiva avevano senza dubbio le loro buone ragioni. Certo, se con ci si volesse affermare che il ricordo non fa altro che ripresentare le cose come sono accadute, senza che in Elementi di una dottrina dellesperienza
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tervengano modificazioni pi o meno complessamente motivate, si confonderebbero piani diversi e una simile affermazione non avrebbe alcun fondamento. E tuttavia non sarebbe lecito obiettare che nessun ricordo meramente riproduttivo, se con mera riproduzione si intende il semplice fatto che ci che si presenta nel ricordo ha il senso dellessere accaduto proprio cos, nel modo in cui lo ricordo. In rapporto ai ricordi possiamo tuttavia parlare di passivit anche in un senso pi forte. La percezione, e in generale ogni esperienza attuale, impone i propri dati cos come sono, ma in un contesto di possibilit aperte. Nel presente posso sempre fare qualcosa. Fino ad ora mi sono comportato cos. Ma dora in poi questo deve essere ancora deciso. Nel presente posso prendere decisioni. Nel ricordo invece non solo non posso farci nulla, ma non posso farci pi nulla. Ogni decisione gi stata decisa. Avrei potuto superare quella soglia, ma non ho osato farlo. Il ricordo pu cos diventare il luogo del rimpianto.
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La certezza dei ricordi Distinzione tra una considerazione interna ed una considerazione esterna La percezione e il ricordo in rapporto al problema della certezza Che cosa vede, in realt, chi vede una nave lontana Non dobbiamo allora tenere in nessun conto la labilit, la tendenziale mancanza di chiarezza e di distinzione che sembra un carattere peculiare dei nostri ricordi? Quando ricordiamo un evento, unazione passata, una figura che ci stata mostrata, sempre possibile incorrere in errori: la figura era forse, in quel punto, diversa da come la ricordo. I nostri ricordi sono sempre incerti. Della giustezza del loro riferimento alla realt si pu comunque dubitare. Ci forse lecito trascurare questo aspetto in una caratterizzazione del ricordo? Al contrario, sembra proprio Elementi di una dottrina dellesperienza
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che questa incertezza, questa relativa indeterminatezza, contraddistingua unesperienza passata, che riappare nel ricordo, rispetto ad unesperienza attualmente vissuta. Alla percezione dovr essere attribuita una chiarezza e distinzione che non pu invece essere attribuita al ricordo corrispondente. Tutto ci sembra molto plausibile. E tuttavia in questo modo di presentare le cose si effettuano inavvertitamente passaggi ingiustificato. Che cosa intendiamo veramente dire quando notiamo che di ci che ricordiamo si pu comunque dubitare? In effetti, se ora riproduco una figura che ho visto ieri, sappiamo che in un punto qualunque ci potremmo sbagliare. Ma in che senso potremmo dire che ci non poteva certo accadere ieri, quando la figura era di fronte al nostri occhi? Se ora stiamo disegnando la figura con lintenzione di darne unimmagine fedele, in un punto qualunque un amico mi pu fermare la mano e dire: Qui possibile che ti sbagli!. Se invece ora stiamo percorrendo con lo sguardo una figura, quella esclamazione ci lascerebbe esterrefatti. Eppure sarebbe un passaggio ingiustificato ritenere che dalla possibilit dellerrore nel ricordo si possa senzaltro concludere che la chiarezza e distinzione stia tutta dalla parte della percezione, e che ai ricordi in genere debba essere riconosciuto comunque un grado di oscurit e di indistinzione. In tal caso si confonderebbe una considerazione esterna con una considerazione interna. A chi ci dice: Qui possibile che ti sbagli! posso sempre contrapporre: Di questo sono assolutamente certo. La possibilit dellerrore considera il ricordo dallesterno; ma questa possibilit non toglie che possano darsi gradi diversi di chiarezza e distinzione allinterno del ricordo, e in particolare ricordi, provvisti del carattere interno: Le cose sono andate effettivamente cos, e di ci sono assolutamente certo. Proprio su questo punto non ho il minimo dubbio. Oppure pu essere che il ricordo sia relativamente confuso e indistinto: Non mi chiaro quale piega assumesse la linea in questo punto. Vi una lacuna nei miei ricordi [5] . Vi sono dunque gradi diversi di chiarezza dei ricordi: vi sono ricordi oscuri o lacunosi, e dunque anche ricordi perfetta Elementi di una dottrina dellesperienza
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mente chiari e distinti. Losservazione precedente richiama semplicemente lattenzione sul fatto che, comunque stiano le cose con la chiarezza interna del ricordo, essa non pu dare garanzie. La possibilit di sbagliare e la chiarezza del ricordo si trovano dunque su piani diversi. Luno non deve essere confusamente intrecciato con altro, come accadrebbe invece se ritenessimo che levidenza del ricordo debba in ogni caso arrendersi di fronte allevidenza della percezione. Se ieri mi stata presentata una figura ed oggi mi si chiede di ricordarla, forse mi accinger a fare un disegno. Mettiamo nero su bianco ci che ricordiamo di essa (e non una. sua immagine mentale). Pu essere che procediamo speditamente senza il minimo dubbio, senza alcuna incertezza. La figura era fatta proprio cos. E se mi venisse mostrato loriginale e vedessi che la figura era invece assai diversa? Potrei restare sulle mie. Potrei pensare che essa stata, nel frattempo, alterata. La figura che ora mi presenti non affatto quella di prima. Questo comportamento non sarebbe affatto irragionevole. La figura pu essere effettivamente la stessa, ma perch mi appaia come la stessa necessario qualcosa di pi che una semplice percezione. Qui percezione e ricordo sono in conflitto, ma solo esteriormente; e la percezione come tale, con tutta la sua evidenza, non in grado di intaccare levidenza del ricordo. Nemmeno la consapevolezza della possibilit dellerrore pu mettere in questione la certezza del ricordo. Il ricordo deve vacillare dallinterno. Certamente, pu accadere che la ripresentazione della figura renda improvvisamente instabile quel ricordo che prima mi appariva solido e sicuro. Qui possibile che mi sbagli: ma non come una possibilit vuota. Ora il dubbio effettivamente penetrato dentro il ricordo. Ma se ci accade, viene certamente messo in gioco un complesso meccanismo, sul quale la falsa contrapposizione tra la chiarezza della percezione e loscurit del ricordo non pu insegnarci nulla. Del resto, anche una percezione pu essere oscura e indistinta: Mi sembra che si tratti di una nave lontana. Ma non ne sono certo. In altre circostanze potrei esserlo. Nella nebbia aguzziamo lo sguardo: qui tutto ci appare labile, sfumato. Qualcuno mi viene incontro. Qualcosa si muove. Ma che cosa? Elementi di una dottrina dellesperienza
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A ci si potrebbe obiettare- quando parliamo di gradi di chiarezza e distinzione nel caso della percezione, non ci riferiamo ai dati percettivi, ma alla loro interpretazione. Infatti, nella percezione dobbiamo distinguere i dati percettivi come tali e il modo in cui essi vengono appresi o interpretati. La necessit di questa distinzione si impone con particolare forza nei casi in cui un complesso di dati percettivi viene interpretato prima in un modo e poi in un altro per ci che concerne il loro riferimento oggettivo. Cos se mi si chiede di identificare un suono indicandone il nome, posso anche sbagliare. Ma quando mi si fa risentire il suono, e mi correggo, non certo cambiato ci che io ho effettivamente udito. Ora odo esattamente ci che udivo prima: solo lidentificazione cambiata. Alla base di questa distinzione vi certamente qualcosa di giusto, ma di essa si fa un uso sbagliato. Infatti, mostrando che di uno stesso complesso di dati percettivi si pu dare ora luna ora laltra interpretazione, si suggerisce che sia possibile e addirittura necessario separare nettamente i cosiddetti dati percettivi puri e semplici dal momento della loro interpretazione, come se linterpretazione si aggiungesse ad essi estrinsecamente e potessero darsi i dati percettivi in se stessi, privi di qualunque interpretazione. Dopo di ci, facile essere indotti a distribuire la chiarezza e loscurit rispettivamente sulluno e sullaltro momento. Ai dati percettivi in quanto tali spetta la chiarezza; loscurit invece, quando il caso, alla loro interpretazione. Ma proprio ponendo le cose in questo modo lintera problematico diventa un groviglio difficile da districare. Se i dati percettivi sono sempre chiari, come pu accadere che mi sbagli ad interpretarli o che si possa essere incerti sulla loro interpretazione? Che cosa significa chiarezza in questo caso? In realt, proprio il parlare di chiarezza e oscurit e dei loro gradi nellambito della percezione richiede che in ci che dato percettivamente uninterpretazione sia comunque presupposta. La possibilit di interpretazioni diverse non autorizza la posizione di dati anzitutto non interpretati. Che cosa vede allora chi vede una nave lontana? Qualcuno sarebbe tentato di rispondere: in realt vede solo delle macchie. Ma perch mai i cosiddetti dati percettivi in se stessi dovrebbero Elementi di una dottrina dellesperienza
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essere proprio delle macchie? Noi invece diciamo che chi vede una nave lontana vede proprio una nave lontana, e chi vede delle macchie vede proprio delle macchie. E la nave lontana la pu vedere come del resto le macchie in modo chiaro e distinto oppure in modo indistinto e oscuro. In questultimo caso forse dir: ci che vedo mi sembra una nave lontana, ma potrebbe trattarsi di nubi allorizzonte, e ad essere sincero vedo in realt solo delle macchie. In realt ha qui tuttaltro senso di prima. Qui ci si richiama a ci che propriamente viene visto e non a ci che si suppone che viene propriamente visto. In effetti non abbiamo pi diritto di dire che un tale che vede una nave lontana in realt vede solo delle macchie di quanto abbiamo il diritto di dire che vede in realt solo delle macchie colui che vede, una nave vicina. Anche in questo caso, come in quello del ricordo, importante tener ferma la distinzione tra una considerazione interna ed una considerazione esterna al fatto percettivo stesso. Da un punto di vista interno si dnno nella percezione differenze del grado nella chiarezza e nella distinzione, differenze che si riflettono in un maggiore o minore grado di certezza quanto a ci che viene effettivamente percepito. Ed anche in questo caso, qualunque sia il grado della certezza, sempre possibile sbagliare. possibile che si sbagli chi vede una nave vicina e chi vede una nave lontana. Ed anche chi vede solo delle macchie quando si tratta proprio di una nave lontana.
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Levanescenza del ricordo Costituzione del passato nel movimento delloblio Il passato come oscurit e inerzia E tuttavia... Mi veniva incontro nella nebbia come una immagine della memoria. Qualcuno si potrebbe esprimere cos. E noi dovremmo forse commentare pedantescamente: poich vi sono anche immagini della memoria chiare e distinte, in quella similitudine si allude certamente ai ricordi oscuri? Elementi di una dottrina dellesperienza
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Sarebbe invece il caso di chiedersi se nel ricordo non vi sia realmente nessun motivo, nessun tratto che ci consenta di rendere conto di questa associazione cos consueta tra il ricordo e questo tendenziale svanire. Le nostre considerazioni precedenti hanno liberato il terreno da pi di un equivoco, e in particolare da unimpostazione a rovescio del rapporto tra determinazioni qualitative e connotazione temporale. La connotazione temporale che caratterizza levento come evento passato non dipende da caratteristiche qualitative del contenuto, e in particolare dalla labilit del ricordo. Poich questo lato del problema stato chiarito, possiamo ora cercare di riproporre il tema della labilit del ricordo come un tema che anche le nostre considerazioni sulla chiarezza del ricordo non riescono a mettere del tutto da parte. Ed in effetti non lo possono. Levanescenza dei ricordi, la loro labilit, lidea secondo cui i ricordi sono qualcosa di intrinsecamente pi debole delle esperienze nel momento in cui furono effettuate, bench possa condurre a falsi problemi, tuttavia non poggia soltanto sulla osservazione comune e ovvia che possibile sbagliare nel ricordo (come tanto spesso le documentazioni attestano) e nemmeno sullattribuzione ai ricordi oscuri di qualche particolare privilegio. Essa ha, al contrario, unorigine ben fondata nella forma temporale dei processi esperienziali. Un breve richiamo alla struttura ritenzionale-protenzionale del presente baster ad impostare il problema nel suo giusto verso. Come abbiamo spiegato a suo tempo, a tale struttura essenziale la continua modificazione dei valori ritenzionali, intesa come un crescente allontanamento dal centro di attualit del campo temporale e come una approssimazione progressiva ai suoi margini. Proprio per questo in realt il diagramma del tempo che abbiamo introdotto nel capitolo precedente richiederebbe forse di essere completato. In esso manca ancora qualcosa. Linclinazione della linea regressiva intende certamente alludere alla forma dellallontanamento, presentandolo tuttavia come se esso potesse continuare indefinitamente. Sarebbe dunque ancora necessaria lindicazione di una linea dellorizzonte che determini un limite al di l del quale il contenuto cade interamente fuori Elementi di una dottrina dellesperienza
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del campo del presente. Regredendo i contenuti si approssimano a questa linea, in una degradazione continua della presenza ritenzionale. Al di l di essa, i contenuti ritenzionali svaniscono. Con ci viene acquisita una nozione di passato in senso proprio, in contrapposizione al passato meramente ritenzionale che pu essere detto improprio perch appartiene ancora al campo del presente. Ma chiaro che per rendere conto di questa regressione non possiamo limitarci a dare di essa una descrizione meramente temporale. I contenuti debbono essere messi in questione nel loro effettivo venir meno: la regressione di cui parliamo deve essere intesa come un concreto movimento delloblio. Lanalogia con il campo visivo qualcosa si allontana a poco a poco, e poi scompare al di l dellorizzonte ci fornisce una guida. La cosa si presenta anzitutto nei suoi netti contorni, si distingue da ci che sta intorno, e in questa distinzione essa pu essere identificata nel suo essere e nella sua ricchezza di articolazioni. Poi essa si allontana sempre pi, e questo allontanamento si accompagna con una progressiva perdita di chiarezza: la cosa subisce, per cos dire, una contrazione delle sue determinazioni qualitative. Vi una progressiva fusione delle sue distinzioni interne: ora sono visibili solo i suoi contorni; ed anchessi in una progressiva semplificazione. Poi diventa incerta anche la sua precisa delimitazione rispetto a ci che sta intorno: diventano indeterminati i colori, si attenuano i contrasti e i tratti di demarcazione, si contraggono le dimensioni. Ed infine la cosa si perde lontano [6]. Anche il movimento delloblio potrebbe essere descritto in questo modo. La figura che poco fa mi stata mostrata e ancora presente in tutta la sua ricchezza di articolazioni, nei dettagli della forma, nella sua disposizione in mezzo ad altre figure, nei chiari contrasti cromatici, ecc. Il parlare di regressione temporale, di crescente allontanamento dal presente avrebbe ben poco senso se non fosse inteso concretamente come un graduale oscurarsi delle determinazioni qualitative del contenuto, come una sua contrazione nellaccezione ampia in cui ne parlavamo or ora. Con il passar del tempo, la figura soggiace a svariati processi di semplificazione e di schematizzazione; della ricchezza delle Elementi di una dottrina dellesperienza
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sue articolazioni restano ormai soltanto alcuni tratti dominanti; la sua eventuale disposizione tra altre figure tende ad una progressiva indeterminatezza, intervengono fusioni, spostamenti, condensazioni fino ad una completa indistinzione. In generale sappiamo benissimo che con il tempo si affievoliscono i ricordi: questa frase potrebbe essere intesa come una pura e semplice affermazione di senso comune, fondata su constatazioni che abbiamo potuto ripetere mille volte e del resto valida solo entro i limiti della sua esplicita genericit. Per noi invece essa una formula della sapienza quotidiana, di una sapienza da quattro soldi, nella quale tuttavia traspare lidea della legalit necessaria della struttura temporale. cos, e non pu essere altrimenti: non pu darsi il caso che quanto pi una cosa si allontana dal presente, tanto pi essa divenga viva e chiara. Loscurarsi delle esperienze attuali nel movimento regressivo del tempo non una circostanza accidentale di cui ci limitiamo a prendere atto, ma rappresenta la determinazione concreta di quel movimento che sta alla base della stessa formazione di un passato. Certamente, lazione del tempo non basta per spiegare la complessa dinamica delloblio: richiamandoci ad essa, fissiamo piuttosto laccezione pi elementare delloblio, connettendola internamente ad unaccezione di passato altrettanto elementare. Tenendo conto di ci potremmo parlare delloscurit del passato come una sua determinazione intrinseca. E cos anche della sua inerzia. Limpostazione del problema resta qui ancora quella che stata or ora proposta; muta soltanto il punto di vista da cui consideriamo la regressione temporale. Fin qui si tratta semplicemente della contrazione dei contenuti sino al loro dissolvimento. Al di l dellorizzonte temporale del presente, essi non sono pi visibili; approssimandosi allorizzonte, diventano sempre pi confusi e indistinti. Ma a questa attenuazione della chiarezza si accompagna una attenuazione della vivacit. Anche in questo caso non pensiamo affatto, nonostante limpiego di questi termini, a peculiarit qualitative dei contenuti o delle esperienze in genere. Pensiamo invece alla forza viva dellaccadimento nellattualit del suo accadere, a quella forza con la quale levento ci colpisce. In esso siamo implicati come una delle forze in gioco. Siamo soggetti ad azioni che esigono rispo Elementi di una dottrina dellesperienza
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ste. Riceviamo ogni sorta di stimoli e reagiamo ad essi. In questo consiste la vivacit del presente, la dimensione attuale dellesperienza. Ma allora la regressione temporale potr essere interpretata anche come un tendenziale dissolversi di questa vivacit. Come un progressivo trascorrere della capacit di colpire, come un allentamento delle tensioni che ci coimplicano e da cui siamo messi attivamente in gioco. Al limite di questo allentamento vi appunto linerzia del passato costituito nelloblio.
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Tematica del ridestamento I motivi interni del ricordo Catene di ricordi In tutto ci vi tuttavia qualcosa che non ci convince. Certamente che il passato si costituisca nelloblio, ci pu essere considerato come relativamente ovvio: e cos anche le determinazioni che possono essere ad esso attribuite in rapporto al processo delloblio concepito come una graduale regressione nelloscurit e nellinerzia. Ma ci di cui necessario rendere conto proprio il fatto che ci sono ricordi. Attraverso il ricordo possiamo rischiarare il passato e riappropriarci di esso. Nel ricordo, il passato si ridesta. In che modo allora debbono essere intese la sua oscurit e la sua inerzia se esso pu rivivere . ancora, sia pure nella forma impallidita del ricordo? Naturalmente non basta qui richiamarsi ad una latenza che pu sempre essere attualizzata. Ci a cui siamo ora interessati infatti proprio il modo di questa attualizzazione. Cominciamo intanto con il notare che spesso accade che un evento trascorso mi torni alla mente in modo tale che per me del tutto chiaro anche il motivo che lo ha suscitato : vi un qualche aspetto dellesperienza attuale un gesto, un movimento, una parola che ha agito evocativamente rispetto a quellevento. E di questa azione evocativa siamo del tutto consapevoli: sappiamo benissimo che cosa, nel contesto della nostra esperienza attuale, ha richiamato lesperienza trascorsa. Elementi di una dottrina dellesperienza
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Ma non sempre accade cos. Accanto ai ricordi motivati, ci sono ricordi che non hanno alcun motivo. Allimprovviso siamo assaliti da un ricordo e di ci non sappiamo renderci ragione. Se ci limitiamo a considerare il caso dei ricordi internamente motivati, ci che attira la nostra attenzione in primo luogo il fatto che la ripresa dallinerzia determinata da una peculiare struttura di rinvio: tra lesperienza presente e lesperienza trascorsa vi un legame associativo sulla cui base la prima agisce sulla seconda rendendola nuovamente attuale nel ricordo. Anche il ricordo dunque, considerato in rapporto al problema del modo del suo sorgere, pu essere ricondotto entro lampia tematica delle sintesi dellesperienza. Lazione del ridestamento pu essere intesa come una vera e propria sintesi di nuovo genere: ed ancora una volta, come una specie particolare di sintesi passiva. Questultimo aspetto risulta con particolare chiarezza se teniamo conto della necessit di distinguere le decisioni rievocatrici dalle rievocazione effettive. Ad esempio, pu essere importante per me che io ricordi esattamente che cosa ho fatto un certo giorno. Per questo ho appunto i miei buoni motivi. Ma essi non bastano a generare il ricordo. Voglio vederci chiaro: ma pu essere che, volgendo lo sguardo indietro, scorga soltanto il buio. La sensazione che nellespressione decidere di ricordare ci sia qualcosa che non va naturalmente del tutto giustificata. Una decisione rievocatrice sta ancora del tutto al di qua della rievocazione ed essa non affatto in grado, di per se stessa, di spalancare la porta che chiude laula della memoria. Non siamo liberi di ricordare ci che vogliamo. Affinch abbia luogo il ricordo deve aver luogo una sintesi: il simile trae il simile, dal passato. Gi per questo il ricordo deve essere considerato come momento di un processo. Una volta che un unto del passato stato rischiarato, altri possono esserlo di passo in passo, e nello stesso modo. Un ricordo unesperienza passata che stata resa nuovamente attuale pu essa stessa ridestare un altro ricordo. Eventualmente ancora sulla base della somiglianza. Oppure della contiguit (o di qualche altra regola). Elementi di una dottrina dellesperienza
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Si forma cos ci che potremmo chiamare una catena di ricordi. Ogni ricordo interviene in essa come unesperienza passata ridestata e dunque anche come motivo possibile di una sintesi di ridestamento [7].
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Ricordi che ci appaiono immotivati Ma il motivo potrebbe non essere palese La coscienza come flusso d esperienze Modo erroneo di impiego di questa immagine La nozione di catena deve poter essere applicata ad ogni processo dellesperienza in genere La domanda sui motivi del ricordo ha sempre senso Tutto ci sta bene se consideriamo il caso dei ricordi motivati. Ma, come abbiamo osservato fin dallinizio, vi sono anche ricordi immotivati: una scena memorativa si impone senzaltro, allimprovviso, senza alcun motivo. Talora accade proprio cos. Dobbiamo contentarci di questa constatazione e passare oltre? In realt, quando siamo assaliti da un ricordo improvviso, siamo spesso tentati di andare alla ricerca delle sue ragioni. In fin dei conti, ci che possiamo constatare soltanto che certi ricordi, quanto al modo del loro sorgere, ci appaiono senza alcun motivo. Ma il motivo potrebbe non essere palese. Vogliamo intanto cercare di chiarire che cosa comporti lammissione che esistono ricordi che non solo appaiono immotivati, ma che anche lo sono. Considerando i ricordi motivati, abbiamo visto che vi sono regole dellassociazione che istituiscono dei vincoli nel processo, che dnno ad esso la forma di una catena. Naturalmente siamo ben lontani dal pensare che parlando della somiglianza e della continuit si possa rendere conto della complessa dinamica dei processi rievocativi in genere. Come sempre, ricorriamo anche qui ad una semplificazione estrema per mettere in chiaro attraverso di essa il punto essenziale: se vi un processo rievocativo, allora debbono esserci in ogni caso regole di esso, esso deve avere una struttura, per ogni suo passo debbono esserci dei motivi. Elementi di una dottrina dellesperienza
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Perci non diremo che nei processi rievocativi domina il caso. Certamente proprio perch la somiglianza e la continuit determinano la via, noi non siamo padroni del sentiero del passato, ma dobbiamo lasciarci condurre per mano lungo quel sentiero. E tuttavia possiamo dire che qui non domina il caso proprio perch vi sono in generale delle ragioni. Richiamare lattenzione sul fatto che i processi rievocativi assumono la forma di una catena , in fondo, un modo di richiamare lattenzione su questa razionalit interna. Questo problema si mostra in tutta la sua rilevanza soprattutto se pensiamo ad una sua possibile generalizzazione allesperienza in genere nella molteplicit delle sue orme. Proprio su questo punto limmagine famosa proposta da James e ripresa da Husserl della coscienza come flusso di esperienze pu essere fuorviante. In essa sembra che vada perduta, o venga addirittura respinta, lidea del sussistere di connessioni interne tra le esperienze strutturalmente definite. Questa coscienza fluente rischia di diventare una coscienza liquefatta un complesso inarticolato di esperienze in rapporto al quale non avrebbe nemmeno senso tentare di vederci chiaro. Spesso limmagine del flusso stata ripresa proprio nella direzione di un rifiuto di principio della possibilit di una chiara penetrazione analitica. Invece lidea che questo flusso accade secondo regole, che le vicende dellesperienza siano determinatamente articolate, che nel fluire si faccia valere una razionalit interna che la razionalit dei motivi, deve passare in primo piano. Le esperienze non solo fluiscono, ma sono anche concatenate tra loro secondo complessi rapporti motivazionali. La nozione di catena, nella quale ci imbattiamo considerando i processi rievocativi, deve poter essere applicata, al di l della tematica del ricordo, ad ogni processo dellesperienza in genere. Questa istanza di generalizzazione deve essere dunque gi fatta valere in riferimento al problema che ora stiamo discutendo. Se i ricordi internamente motivati fossero solo casi speciali, potremmo certamente dire che vi sono processi della rievocazione di cui possibile indicare una struttura, ma questa circostanza sarebbe a sua volta un caso, allinterno di processi in cui dominerebbe il caso. Elementi di una dottrina dellesperienza
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Questo problema potrebbe assumere la forma che segue. Quando qualcosa ci torna in mente, questo ricordo pu agire come, motivo che suscita altri ricordi. Inoltre, poich ogni, esperienza passata oggettivamente contestualizzata con altre esperienze passate possibile in linea di principio che, a sua volta, esso sia suscitato da un altro ricordo. Tuttavia la contestualizzazione oggettiva in altri eventi non pu garantirle nulla sulla contestualizzazione soggettiva in una catena di ricordi. Potrebbe darsi che un ricordo sia linizio assoluto di una catena. In rapporto ad esso non sarebbe lecito interrogarsi intorno al motivo del suo ridestamento. Infatti esso non ne ha alcuno. In questo modo lidea del caso entra nella considerazione dei processi memorativi. Essi non sarebbero affatto autentici processi, anche se possiamo constatare che talora contengono segmenti di processi. Contro di ci noi affermiamo che la domanda sui motivi del ricordo ha sempre senso. Ma ci vuol dire che un ricordo non pu essere linizio assoluto di una catena di ricordi; e poich ogni catena deve avere un inizio assoluto, questo deve trovarsi nel campo del presente. Tutto ci pu essere efficacemente illustrato mediante unaltra immagine proposta da Husserl che si richiama ai fenomeni di risonanza [8] . Un diapason pu cominciare a vibrare, se sono soddisfatte certe condizioni, nel momento in cui un altro diapason vibra nelle vicinanze. Possiamo allora concepire il passato come un immenso ammasso di diapason inerti. Questo, o quel diapason entra in vibrazione, e cos, dalluno allaltro, anche altri diapason cominciano a vibrare per risonanza. Allinizio deve esserci un diapason vibrante nel presente. Annotazione Nel breve dramma di ONeill, In viaggio per Cardiff il marinaio Yank, morente, e lamico Driscoll rievocano. Allinizio vi una fantasticheria che sorge per contrasto. una vita dinferno, il mare. Deve essere magnifico stare tutta la vita in terraferma e avere una fattoria con Elementi di una dottrina dellesperienza
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una casa propria e mucche e maiali e galline... Deve essere magnifico avere una moglie, e dei marmocchi da far giocare alla sera dopo cena... La fantasia suscita il ricordo di un progetto fantasticato: ... e mi ero ficcato un chiodo in capo... andare nel Canada o in Argentina o in qualche posto a comprare una fattoria.... E poi seguono i ricordi secondo la struttura elementare della contiguit e della somiglianza: In Argentina, dicevo? Ti ricordi dei tempi di Buenos Aires? Il cinematografo di Barracas? Che lezione si dato a quei tali, ti ricordi?... E quando ci hanno messo dentro tutti e due per una rissa a Sidney?... E quella rissa sulla banchina di Citt del Capo.... A questo punto: il ricordo del delitto non nominato, a cui la catena delle fantasie e dei ricordi conduce inesorabilmente sotto il dominio della morte vicina e del timore fantasticato della punizione divina e della speranza di essere assolto. Credi che Lui ne terr conto contro di me? Ed questo contesto, interamente determinato dalla situazione presente morire in viaggio per Cardiff che motiva non solo il ripresentarsi del ricordo del delitto ma anche il modo in cui esso si presenta, la sua vivacit, il carattere dellappena accaduto, la sua visualizzazione allucinatoria: Mi parso di vederlo un momento fa, con il sangue che gli zampillava dalla gola. (E. ONeill, La luna dei Caraibi e altri drammi marini, trad. di Ada Prospero, Milano, 1966).
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Tematica delle sintesi inconscie Il buon fondamento della sensazione che la ricerca di un motivo sia comunque giustificato, che un motivo debba pur esserci, sta dunque nella posizione di principio secondo cui i processi dellesperienza sono strutturalmente ben definiti. Ogni assenza di motivi deve poter essere interpretata come assenza apparente e
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rinviare perci a motivi non manifesti. A motivi di cui non siamo consapevoli, a motivi inconsci. Nella considerazione della tematica del sorgere dei ricordi come una peculiare specie di sintesi, ed in particolare discutendo il caso dei ricordi immotivati, siamo perci indotti ad ammettere che le sintesi dellesperienza non debbono essere necessariamente consapevoli, ma che si possono date in generale sintesi inconscie. Naturalmente qui ci preme rilevare soltanto lesistenza del problema, e nella sua forma iniziale, anche in una ricerca fenomenologicamente orientata [9]. Si potrebbe infatti pensare che un simile stile di indagine che tanto insiste sullaspetto descrittivo non pu che escludere dal proprio campo visuale qualunque problematico che metta in questione la nozione di processi inconsci. Quel che certo che, come non bisogna confondere i problemi di fenomenologia pura con quelli di fenomenologia empirica, tanto pi occorre sottolineare che del tutto inutile manipolare nozioni di origine fenomenologica per tentare di affrontare problemi che non appartengono n alluna n allaltra. Tuttavia, la cosiddetta descrizione fenomenologica, almeno nel senso qui inteso, essenzialmente una descrizione strutturale, ed il tema del ridestamento dei ricordi, pur nelle sue particolarit, si presta ad un accenno abbastanza significativo al fine di mostrare che lestensione del problema in questa direzione si impone, allinterno del nostro contesto, anzitutto per ragioni di ordine strutturale. Quando, in rapporto ad un ricordo che ci appare immotivato non ci limitiamo a prenderne atto, ma andiamo alla ricerca dei suoi motivi non facciamo altro che proporlo come anello visibile di una catena i cui altri anelli sono nascosti. Altri ricordi, altre esperienze debbono essere state ridestate ed aver agito come motivi. Se parliamo in rapporto ad esse di esperienze inconscia vincoliamo fin dallinizio questa tematica ad un principio di integrazione dinamica: si tratta in generale di ricostruire lunit di un processo. Ed allora necessario sottolineare che qualunque cosa accada nel flusso delle esperienze un risultato necessario delle tendenze e delle controtendenze che attraversano lintera vita di esperienza, dunque un risultato anche lanello vi Elementi di una dottrina dellesperienza
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sibile, nel fatto stesso che visibile, nel contesto di altri che non lo sono. La sua necessit va poi intesa in un senso allincirca analogo a quello in cui si pu parlare del risultato necessario di un diagramma di forze. Perci lesperienza non si svolge su due piani, ognuno con il proprio dinamismo, con le proprie regole, con le proprie tendenze che entrano eventualmente in varie forme di contrasto: vi invece un unico dinamismo che determina, insieme a ci che appare, anche ci che non deve apparire. Perci la distinzione tra conscio e inconscio si richiama essenzialmente ad una duplice modalit di strutturazione necessaria dellesperienza considerata nei suoi decorsi attuali e nella loro dinamica materiale. Di conseguenza occorrer liberarsi da una nozione della consapevolezza modellata sulla mera forma temporale. Altrimenti avremmo a che fare, sul polo opposto, solo con linconsapevolezza delloblio. Nulla ci impedisce infatti di chiamare cosciente tutto ci che appartiene al campo del presente, che si trova al di qua della linea del suo orizzonte. In questo senso siamo coscienti di tutto ci che ci sta di fronte, come del resto di ci che si trova alle nostre spalle. Siamo consci in generale di tutto ci che appartiene al passato ritenzionale. Considerando le cose in questo modo, la regressione temporale avrebbe potuto essere illustrata non solo come passaggio dalla chiarezza alloscurit, dallattivit allinerzia, ma anche come un graduale allontanamento dal centro della consapevolezza, come approssimazione ai margini della coscienza: ed il passato dunque come un essere caduto fuori di quei margini, come un essere divenuto inconscio. Evidentemente nel parlare di sintesi inconscia deve essere lasciata da parte sia la nozione del ricordo che quella delloblio. Infatti, ora chiamiamo inconscia unesperienza proprio per il fatto che essa attiva. Ed in rapporto ad essa, tuttavia, non possiamo dire n che essa ricordata dal momento che non appare; ma nemmeno che essa dimenticata, dal momento che essa stata in qualche modo attivata ed opera attivazioni nel processo. In ci potremmo scorgere una difficolt solo se stiamo fermi ad unimmagine della coscienza derivata dalla dimensione della Elementi di una dottrina dellesperienza
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presenza. Si direbbe quasi che se unesperienza ne ha motivato unaltra ed essa per me rimasta inconscia, qualcun altro debba essersene accorto. Ed infatti ce ne siamo accorti proprio noi, ma esattamente in questo modo, attraverso lanello visibile. La consapevolezza sta nel fatto che ci siamo comportati cos; linconsapevolezza sta invece nel fatto che di questo comportamento non sapremmo indicare i motivi. Linconscio, non dunque un sottofondo oscuro dellesperienza, ma un oscurarsi dellesperienza nel suo processo. Ed esso si pone come problema quando si cerca di ristabilire un nesso l dove non ne appare alcuno. La posizione delloscurit diventa allora una condizione della trasparenza.
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La distanza del passato nel ricordo Lurgenza del passato Il passato come orizzonte di senso del presente Il modo in cui siamo andati raccogliendo i nostri problemi dipende indubbiamente dalla nozione di ricordo che abbiamo isolato fin dallinizio parlando di rievocazione. Di qui quella nozione di passato inerte che da un lato pu essere considerata ovvia, dallaltro anche troppo elementare. Attenendoci alla struttura di decorso del presente, il passato si costituisce come limite della regressione temporale nella quale la vivacit dellesperienza progressivamente si dissolve. Ci che sottrae questo dissolvimento al puro e semplice annientamento dellesperienza trascorsa naturalmente la possibilit del ricordo. Attraverso di essa la soggettivit mantiene la propria presa sul passato come un campo di latenze riattivabili. Proprio perch possiamo ricordare, molte cose si dimenticano, ma non si dimentica mai di avere un passato. Pu sembrare solo strano il notarlo. Gli sviluppi successivi della nostra problematica, con laccento posto su una riattivazione che deve necessariamente radicarsi nel presente, sono coerenti con questo modo di impostare il problema. Solo il presente originariamente vibrante: solo di qui Elementi di una dottrina dellesperienza
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pu venire quel suono di cui il passato rimanda leco. La tematica del ricordo come rievocazione ci conduce dunque a considerare in primo luogo il peso del presente sul passato, il peso dunque delle esperienze successive sulle esperienze precedenti, delle possibilit future rispetto a ci che gi accaduto. Ma vi un altro aspetto del problema della rievocazione che mostra la necessit di prendere in considerazione la direzione opposta. In realt, quando parliamo delle sintesi di ridestamento abbiamo a che fare con un processo rievocativo esplicito che richiede la chiara distinzione dei due termini del rapporto. Quando il ricordo si riappropria del passato, mantenendolo nella dimensione soggettiva dellesperienza, una distanza deve comunque essere fissata. Una scena attuale pu motivare una scena memorativa e cos dare inizio ad un processo rievocativo. Qualcosa ora mi ha colpito e di qui stato suscitato il ricordo di unesperienza trascorsa: dal presente lo sguardo si volge indietro al passato. Le scene percettive possono ancora continuare a decorrere, ma proprio di esse io sono divenuto immemore. A quella sequenza se ne sovrappone unaltra: la catena dei ricordi che si sviluppano secondo le loro motivazioni interne, secondo le sintesi che istituiscono il processo memorativo e che seguono la propria via. Il rimando motivante dal presente al passato certamente un modo di unificazione, ma esso non istituisce nessuna autentica integrazione tra le scene, operando invece il ribaltamento dal piano della percezione a quello della memoria. Si stabilisce una connessione realizzando un distacco. In questo aleggiare del ricordo sul nostro presente possiamo certamente riconoscere uno dei tratti che ci fanno parlare della sua evanescenza e che talvolta rendono il ricordo cos prossimo al regno dellimmaginario. Da esso invece se ne separa proprio per il fatto che lesperienza rivissuta nel ricordo temporalmente connotata: ha il senso del non essere pi qui, che il senso di una distanza che non pu essere colmata. Il fluttuare del ricordo il fluttuare di ci che vediamo in lontananza. Sullappropriazione operata dal ricordo si fa dunque sentire ancora lestraneit costitutiva del passato: da questo non posso pi essere toccato, come una volta. In fondo i ricordi non Elementi di una dottrina dellesperienza
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hanno peso. Nella rievocazione prendiamo le nostre distanze dal passato e possiamo liberarci di esso. Quando invece i ricordi hanno un peso, quando il passato urge sul presente e lo stringe da ogni parte, allora forse non si tratta propriamente di ricordi, di processi espliciti del rievocare. Nel considerare il peso del passato sul presente dovremmo pensare piuttosto al momento che precede linizio effettivo di un processo rievocativo. Quando nella scena presente traspare appena una scena passata. Insieme a questo diapason risuona quellaltro che giace nel passato. Ma nessun ribaltamento ancora intervenuto a districare la memoria dalla percezione. Non vi ancora nessun effettivo rapporto motivante, nessuna riattivazione memorativa vera e propria. Accade invece che nellesperienza presente fuso il suono dellesperienza trascorsa, e questa evocazione implicita anzich prendere le vie di una esplicitazione memorativa resta appresa allesperienza presente come una sua determinazione di senso. In realt, dobbiamo poter dire non solo che il passato rivive nel ricordo, ma che vive nella stessa esperienza attuale come unimpronta da cui essa segnata. Perci non parliamo pi del passato come oscurit che pu essere rischiarata o come inerzia che pu ridiventare attiva. Questo infatti il passato del ricordo : il passato, delle cose insignificanti o che hanno ormai soltanto un significato lontano. A questa distanza del passato, bisogna contrapporre la sua urgenza: il passato che non ha bisogno di essere ricordato perch troppo vicino, il passato che si costituisce come orizzonte di senso del presente, come il suo scenario.
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Il problema delle abitualit percettive Sua riconduzione alla tematica delle attese passive Avviamento alla discussione sulla formazione di anticipazioni percettive contenutisticamente determinate Tra i problemi che possono essere presi in considerazione allinterno della tematica del peso del passato sul presente, ad Elementi di una dottrina dellesperienza
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uno solo vogliamo dare un po di spazio per il fatto che esso particolarmente significativo per mostrare alcune conseguenze notevoli della nostra impostazione. Potremmo richiamarci ad esso parlando di problema della formazione di abitualit e prendendo in esame solo il caso semplice, e del resto esemplare, delle abitualit percettive. Si tratta perci di un problema che riguarda anzitutto la tematica della percezione, ma le ragioni per cui esso pu essere trattato solo a questo punto sono chiare: con il termine di abitualit indichiamo infatti, in modo forse un po fuorviante, la circostanza secondo cui nella percezione si impongono formazioni di senso che possono essere spiegate soltanto sulla base di esperienze passate. Per rendersi conto di una simile circostanza non certo necessario aver meditato a fondo sulle speculazioni dei filosofi. Quando ci accingiamo con cautela a cogliere una rosa nel giardino, evidentemente la cautela non pu essere giustificata dalla percezione di questa rosa, che del resto non abbiamo ancora toccato. Dobbiamo dire che in qualche modo esperienze passate sono presupposte. Siamo cos venuti a conoscere labitudine delle rose ad avere le spine, e di qui abbiamo tratto questa nostra buona abitudine. Si comincia tuttavia gi un poco a filosofare se si fa notare che il passato ha certamente qui il suo peso, ma ci non significa che qualche esperienza trascorsa sia stata effettivamente rievocata. Inoltre, parlando di abitualit, non tanto il, passato che viene in questione, quanto il rapporto tra passato e futuro: come appare chiaro dallesempio, labitudine, in questo senso un poco insolito, si risolve in un comportamento che si rivolge alla cosa prospettandola entro una rete di attese passive. Il problema della formazione di abitualit deve essere tradotto nel problema della formazione di attese. Alla base di ci sembra esservi la convinzione profondamente radicata in noi che il futuro sar per, lo pi simile al passato: lesperienza si attiene ad una sorta di regola di uniformit che assolve una funzione di cui sarebbe difficile sottovalutare limportanza. Poich le rose per lo pi hanno effettivamente le spine, lazione di questa regola nellesperienza fa si che noi non lo dobbiamo riconoscere ogni volta a nostre spese. Elementi di una dottrina dellesperienza
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Ci si trova infine nel bel mezzo della riflessione filosofica se si mette in questione il buon fondamento di una simile regola. Ci si pu chiedere, ad esempio, se sia lecita la sua generalizzazione nellasserzione che ogni formazione . di attese rinvia ad esperienze accumulate in passato; ed anche se essa sia da considerare come un dito di fatto dellesperienza o in qualche altro modo. A queste domande sembra si debba rispondere in modo senzaltro positivo. Noi vogliamo mostrare invece che, applicando il metodo e le nozioni che sono ormai a nostra disposizione, a entrambe deve essere data una risposta negativa. Intanto, se il problema della formazione di abitualit deve essere convertito nella formazione di attese, indubbiamente opportuno riprendere in esame la struttura di decorso del presente. Ad essa abbiamo in varie occasioni fatto riferimento, ma per lo pi puntando lattenzione sui fenomeni ritenzionali, che rappresentano solo uno dei momenti di cui consta la sua dialettica interna. Sulla protenzione come fenomeno inverso e corrispondente alla ritenzione si detto molto poco. Abbiamo insistito sul fatto che la ritenzione delle scene appena decorse non un dato di fatto psicologico, ma una condizione necessaria di ogni sintesi percettiva. Lo stesso si pu dire per le proiezioni anticipanti. La progressione temporale altrettanto necessaria alla struttura del presente quanto lo la regressione. Vi deve essere, nellistante presente, unanticipazione dellistante successivo. Ma evidentemente non si tratta degli istanti considerati come astrazione vuote. Lanticipazione deve essere contenutisticamente determinata. E proprio avendo di mira la determinatezza contenutistica dellattesa, si fa subito avanti lidea di una generalizzazione a partire dal nostro piccolo esempio. Di dove pu essere tratto il contenuto atteso se non dallesperienza passata? Questo il primo punto che vogliamo mettere in discussione. Vogliamo mostrare che per illustrare la formazione di attese necessario anzitutto considerare pi da vicino il nesso tra ritenzione e protenzione nellambito del presente esteso. Questo nesso il fenomeno originario sulla cui base si pu giustificare la stessa formazione di abitualit e il modo del loro operare. Elementi di una dottrina dellesperienza
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Riflessioni sul movimento di una pallina Le attese e la loro progressiva selezione Il passato proietta nel futuro la propria immagine Supponiamo allora di assistere ad un processo che si svolge nel tempo, ad esempio al movimento di una pallina che scorre sulla superficie di un tavolo: vi un istante in cui esso ha inizio ed un istante in cui esso ha termine. Per noi che assistiamo al movimento, il tratto di tempo che esso riempie naturalmente un tratto del presente esteso e la successione di istanti di cui consta deve essere perci intesa come una successione di punti-ora. Tutto ci che accaduto prima dellistante iniziale e ci che accadr dopo listante terminale irrilevante. A noi interessa proprio questo processo, cos come si svolge sotto i nostri occhi. Ci occupiamo solo di esso. La pallina segue un percorso che possiamo rappresentare con una linea. Ogni punto della linea sta per un punto percorso in un determinato istante. Converr inoltre assumere che la pallina possa muoversi come le pare unassunzione a cui non necessario dare concretezza dal momento che essa ci serve soltanto per mettere fuori gioco le attese motivate dallo sfondo esperienziale. Se il piano del tavolo fosse inclinato, sapremo gi che cosa accadrebbe se deponessimo su di esso una pallina. Invece qui le cose stanno in questo modo: deponiamo la pallina sul tavolo e stiamo a vedere che cosa accade. Ecco che essa comincia a muoversi. E se si chiede quali attese di direzione si proporranno in questo istante iniziale, la risposta non pu essere che questa: nessuna o, che lo stesso, una qualsiasi. Ma le cose mutano dopo un po di tempo.
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Ora la pallina si trova nel punto A. Qui alcune direzioni di movimento sono indubbiamente anticipate. Potremmo rappresentare le cose in questo modo:
Nello sviluppo successivo una di queste attese sar confermata le altre attese, di conseguenza, deluse. Ci non significa, beninteso, che si debba necessariamente giungere ad un punto in cui lanticipazione non sia pi equivoca. Nel punto B la situazione potrebbe essere rappresentata cos:
Ma potrebbe darsi il caso che in un certo istante, e quindi ad un certo punto dello sviluppo del movimento, la direzione anticipata sia effettivamente unica:
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avvenuta una sorta di selezione progressiva delle attese nel rapporto tra le attese e il loro soddisfacimento. Che poi ununica attesa si sia imposta, ci dipende esclusivamente dal movimento stesso, dal fatto cio che, fino ad ora il movimento si sviluppato in questo modo. E ci non toglie, naturalmente, che nellistante successivo quella attesa possa andare delusa. Potrebbe accadere una deviazione improvvisa. Ma chiaro che il percepire il movimento della pallina in un certo punto come una deviazione presuppone lanticipazione percettiva che si stabilizzata nel senso indicato dal percorso tratteggiato. In quel punto si verificata una deviazione imprevista, ed in effetti imprevedibile. Quindi vi era una direzione prevedibile e prevista. Vi sono qui alcune circostanze che meritano particolare attenzione. La pallina questo lo abbiamo ammesso fin dallinizio pu andare dove vuole. Tuttavia il movimento, nel suo sviluppo, deve essere inteso come un movimento che genera, al di l dellistante dato di volta in volta, certe attese di direzione: ogni suo momento conferma unattesa e ne esclude altre, operando progressivamente una selezione. importante a questo proposito sottolineare che la regolarit del movimento solo una particolarit dellesempio. Anche un movimento disordinato genera attese e le seleziona, eventualmente proiettando, ad un certo punto dello sviluppo, limmagine di un movimento disordinato. Potremmo parlare sensatamente di deviazioni anche in casi come questi: in quel punto, imprevedibilmente, la pallina si muove secondo un ordine. E cos anche logico che allinizio del movimento non vi siano attese ovvero che la molteplicit di direzioni possibili sia totalmente indeterminata: allinizio, infatti, non vi alcuna ritenzione. Tutto ci mostra anche come sia assai poco adatto ad illu Elementi di una dottrina dellesperienza
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strare il tema delle attese percettive lesempio, cos spesso ripetuto, della percezione di una melodia. Esso pi complesso del necessario e proprio per questo rischia d confonderci le idee. In realt volendo addurre altri esempi, eventualmente tratti dal mondo dei suoni, non abbiamo bisogno di melodie. Ci basta un fischio. Un fischio monotono, che cominciato poco fa e che ora continua senza variazione alcuna. Anche qui si formata unattesa, e precisamente lattesa che esso continui ancora cos, senza Ma non attendiamo forse che questo fischio finalmente cessi? Ce lo attendiamo solo nel senso che lo speriamo. Nel dato percettivo infatti non c nulla che annunci questa fine questo fischio non finisce proprio mai! e perci possiamo solo sperare che esso si interrompa: imprevedibilmente. Del resto potrebbe anche darsi che un fischio abbia termine, senza interrompersi. Ad un certo punto ha annunciato da se stesso limminenza della propria fine. La tematica della formazione di attese pu essere illustrata considerando processi che si sviluppano nel presente: vi sono qui, e non possono non esservi, anticipazioni contenutisticamente determinate. Poich il percorso fino a questo punto stato questo, in questo punto si dnno queste e queste altre attese. La determinatezza del contenuto sorge dallinterno della percezione, dal passato immediatamente, ritenzionale. In certo senso ci troviamo qui di fronte ad un fenomeno analogo a quello delle sintesi di ridestamento: anche in questo caso potremmo parlare del prodotto di un dinamismo associativo che tuttavia, a differenza del ricordo, pone in essere uno dei poli dellassociazione. Il decorso attuale viene sopravanzato da unimmagine di decorso a venire che limmagine del decorso passato. Si comincia cos a delineare uninterpretazione della regola secondo cui il passato proietta sul futuro la propria immagine.
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Sviluppo delle considerazioni precedenti in rapporto al problema della formazione di abitualit Elaborazione di uno schema interpretativo Nelle considerazioni precedenti non vengono in alcun modo in questione le abitualit percettive. Abbiamo mostrato invece che la struttura del presente esige essa stessa la posizione di attese e che il passato improprio fornisce la base per la loro determinazione contenutistica. Ma possiamo anche spingerci oltre: non solo le anticipazioni percettive non sono sempre determinate da abitualit, ma il nesso ritenzione-protenzione, insieme a considerazioni concernenti la struttura della rievocazione, fornisce un modello per rendere conto schematicamente della formazione di abitualit e dunque di attese che rinviano ad uno sfondo di esperienze passate. Vogliamo senzaltro procedere allelaborazione di questo schema. Sia dato nel campo del presente un evento A seguito da un evento B. In un nuovo presente appare un evento A simile ad A. Assumiamo allora che A agisca da motivo per il ridestamento di A. A suscita il ricordo di A per somiglianza; e assumiamo ancora che A, a sua volta, susciti per contiguit il ricordo di B. Il passo ulteriore riguarda invece la sintesi proiettivoevocativa: B proietta la propria immagine B in quanto contenuto nella percezione di A. Abbiamo cos un processo unitario, una concatenazione che ha il carattere di un doppio processo: rievocativo ed evocativo. Esso consta di tre momenti: rievocazione di A mediante A; rievocazione di B mediante A; evocazione di B. Tutto ci potrebbe essere allincirca rappresentato cos:
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Naturalmente nel proporre un simile schema dobbiamo subito sottolineare il suo carattere puramente teorico: esso ci utile per rendere chiara la struttura della situazione descrittiva, ma non pu pretendere di essere una. sua fedele riproduzione. Per questo possiamo ricorrere allidea della concatenazione, ribadendo tuttavia che nella situazione descrittiva non vi alcuna rievocazione. Da questa del resto non potrebbe affatto risultare la proiezione di un contenuto atteso. La schematizzazione consiste proprio nel porre come ridestamento di A a partire da A ci che invece un vivere di A, e dunque di B, nel senso di A la fusione dellesperienza passata nellesperienza presente una condizione della sintesi proiettiva: tuttavia a fini illustrativi nulla ci impedisce di operare una scomposizione teorica districando luna dallaltra. Uno stile fenomenologico di approccio nel senso da noi inteso non esclude affatto il ricorso a schemi che, pur avendo di mira le componenti descrittive dellesperienza, forniscano gli elementi per interpretazioni. Al contrario, la nostra insistenza sulla descrizione come descrizione strutturale conduce direttamente a problemi di ricostruzioni schematizzanti che siano in grado di rendere chiari i nessi interni di quel fluire dellesperienza che ha in realt la forma di una catena. Nel caso che stiamo ora discutendo, attraverso lo schema proposto non difficile vedere quale forma assumerebbe ci che abbiamo chiamato in precedenza selezione delle attese. Lattesa di B pu essere confermata o delusa. In questo secondo caso in luogo di un B simile a B subentra un C. Al ripresentarsi di un evento A, simile ad A, lattesa concerner allora sia un B simile a B sia un C simile a C. Tutto ci potrebbe essere rappresentato in questo modo: Elementi di una dottrina dellesperienza
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In A avremmo in corrispondenza allesperienza passata due direzioni dellattesa. Lattesa di B sar di conseguenza pi debole rispetto al caso in cui la stessa direzione dellattesa fosse stata in precedenza soddisfatta. Nello sviluppo progressivo dellesperienza, potr dunque rafforzarsi lattesa di Be stabilizzarsi per cos dire definitivamente questa direzione sintetica; oppure potranno verificarsi casi pi complessi di selezione delle attese, rafforzamenti, indebolimenti, ecc. Riconduciamo cos anche il problema delle abitualit a funzioni sintetiche che sono dinamicamente interconnesse tra loro. In tutto ci viene certamente tenuto fermo un riferimento soggettivo. Infatti qui parliamo sempre di esperienze di eventi e della loro attesa allinterno dei processi esperienziali concreti, e non di eventi in genere. Il nostro tema dunque trattato interamente entro i limiti di una dottrina dellesperienza. Perci quando diciamo che il futuro viene atteso come simile al passato oppure che liberazione dellesperienza rafforza lattesa, queste formulazioni non debbono essere intese come se enunciassero una sorta di postulato di uniformit ontologica. E nemmeno come formulazioni che si riferiscono a oscuri dati di fatto psicologici, a disposizioni che possiamo riscontrare in noi stessi o nella maggior parte delle persone. Esse debbono invece essere illustrate facendo riferimento allo schema teorico proposto, nel quale si mostra non solo la necessit della costituzione di attese, ma anche della loro costituzione in conformit al passato, come proiezioni di esso [10].
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Confutazione della tesi fondamentale dellempirismo Abbiamo mostrato che vi un processo di formazione di attese gi nel campo del presente: dunque dobbiamo distinguere tra le attese la cui base nel presente stesso e le attese la cui base si trova nelle esperienze passate. Abbiamo inoltre mostrato che il processo di formazione di abitualit pu essere interpretato secondo uno schema che ha il suo modello nelle proiezioni anticipatrici del passato immediatamente ritenzionale. Con ci ribadiamo con nuovi argomenti a nostra posizione antiempiristica. La tesi secondo cui ogni attesa percettiva sarebbe dovuta allabitudine pu infatti essere considerata come un caso particolare della tesi secondo cui ogni unificazione, ogni sintesi quindi in generale ogni formazione oggettiva avrebbe il proprio fondamento nellesperienza passata. Non difficile riordinare intorno ad essa gli aspetti pi caratteristici di un atteggiamento empiristico, cosicch sarebbe giustificato indicarla come tesi fondamentale dellempirismo nellambito della dottrina della esperienza. Si vede subito, ad esempio, che lidea di un livello primitivo dellesperienza nel quale si avrebbe a che fare con una materia ancora non interpretata ed eventualmente proposta come antecedente la stessa distinzione tra soggetto e oggetto, non altro che la trasposizione genetica di quella tesi di carattere generale. E con ci naturalmente coerente la negazione che si diano nellesperienza delle necessit. Il passato avrebbe potuto comunque essere diverso: e bench vi siano regole dellassociazione, tuttavia queste sono da intendere come nozioni reperite esse stesse come dati di fatto e debbono essere interpretate in modo da istituire dei vincoli solo dalla parte della soggettivit psicologica, che propriamente il tema di una indagine intorno alle formazioni dellesperienza secondo un simile atteggiamento intellettuale. Sembra cos che si liberi il campo da ogni dogmatismo e che ci si avvii in modo pi o meno diretto ad una concezione che esalta le formazioni dellesperienza come formazioni storiche. Ogni unit data soltanto attraverso una storia. Ma come ab Elementi di una dottrina dellesperienza
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biamo osservato un simile storicismo non pu che dissolvere il problema del fondamento materiale dellesperienza, operando una psicologizzazione che non regge nemmeno il livello pi elementare della nostra problematico. La tesi fondamentale dellempirismo assurda perch contiene un circolo vizioso: sulla base della contiguit o della somiglianza possono indubbiamente sorgere abitudini associative. Ma proprio per questo non pu darsi il caso che rapporti di somiglianza e di continuit sorgano a loro volta sulla base di abitudini associative. Se un evento A funge da segnale per un evento B, nel senso che, essendo dato A, si impone lattesa di B, allora sono certamente presupposte altre esperienze. Ma sarebbe assurdo pretendere di illustrare nello stesso modo lesperienza stessa della contiguit. Qui si d semplicemente il. fatto che A dato come contiguo a B e gi per questo sussiste tra A e B un rapporto, una sintesi: lesperienza presente esibisce modi di organizzazione senza che altre esperienze siano necessariamente presupposte. Cos, nel caso dellesempio del movimento che abbiamo discusso in precedenza, sarebbe assurdo ricondurre le direzioni di movimento anticipate passivamente nel corso del suo sviluppo ad altri movimenti ad esso simili che in passato abbiamo iteratamente sperimentato svilupparsi secondo quella direzione di movimento. Qui la mente si attorciglia su se stessa. Di fronte a ci interessante notare che lammissione di sintesi a priori come una intelaiatura presupposta nel soggetto che effettua lesperienza, come momenti soggettivi di strutturazione dei dati in breve, il punto di vista trascendentalistico mentre si presenta come un tentativo di confutazione radicale della tesi empiristica, avendo di mira le sue conseguenze catastrofiche nellambito di una dottrina della scienza, in realt si appropria di almeno un aspetto che ad essa essenziale. Le necessit strutturanti debbono risiedere nel soggetto a titolo di condizioni di possibilit proprio perch, se da un lato si riconosce che esse debbono essere costitutive del rapporto dellesperienza, dallaltro si ammette come ovvio che esse siano esterne ai. suoi materiali. Alla soggettivit psicologica subentra cos la soggettivit trascendentale. Nel sostenere le necessit dellespe Elementi di una dottrina dellesperienza
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rienza seguiamo evidentemente una via molto diversa e dalle nostre considerazioni possiamo trarre argomenti anche contro il punto di vista trascendentalistico. La formazione di abitualit poggia indubbiamente sul rafforzamento dellattesa nella conferma iterata. Ma proprio la riconduzione interpretativa di questo fenomeno alla struttura ritenzionale-protenzionale del presente mostra che il rafforzamento dellattesa nelliterazione della conferma non pu essere considerato come un principio oscuro. Come se potessimo dire: accade cos, e questa fortuna capitata proprio a noi. In realt non potrebbe accadere altrimenti. Un principio che proponesse lindebolimento progressivo di unattesa nelliterazione della conferma non potrebbe affatto darsi, se ci atteniamo a ci che escluso ed a ci che incluso nel concetto di esperienza. Perci, se volessimo andare alla ricerca di condizioni trascendentali dellesperienza, la formazione di abitualit dovrebbe certamente essere annoverata tra esse. Annotazione Dalle considerazioni precedenti non difficile rendersi conto in che senso debba essere considerata erronea la famosa argomentazione critica di Hume che dissolve il nesso causale nelliterazione di rapporti di continuit. Alla radice dellerrore vi indubbiamente la confusione tra il piano della concettualizzazione epistemologica e il piano dellesperienza. Questa confusione appare con particolare chiarezza proprio nell esempio del gioco del biliardo proposto da Hume: in esso infatti non in questione in primo luogo il concetto della causa, ma il problema della percezione di nessi causali. Solo un pregiudizio filosofico di carattere generale pu condurre al tentativo di dissoluzione analitica della tipicit fenomenologica della percezione di un nesso causale nella percezione di un nesso di pura e semplice continuit. Di conseguenza sarebbe sbagliato ritenere che le ricerche di Michotte (La percezione della causalit, trad. it. a cura di G. Potter, GiuntiBarbra, 1972) rappresentino una confutazione sperimen Elementi di una dottrina dellesperienza
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tale delle tesi humeane. Infatti di esse non si pu dare alcuna confutazione sperimentale. Quelle ricerche determinano in sede di fenomenologia empirica le condizioni di quel particolare tipo di percezione che pu essere indicata, indipendentemente da ogni concettualizzazione, come percezione di un nesso causale. Che vi sia in generale una simile percezione deve essere presupposto come un dato di fenomenologia pura, il cui riconoscimento d origine a problemi fenomenologico-empirici di vario genere. Ci che rende possibile lindagine di Michotte una modificazione di principio nellambito della filosofia dellesperienza (come del resto appare chiaro nelle osservazioni introduttive, relative alla impostazione del problema, pp. 1-23).
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Attese passive e giudizi di previsione Il problema di una teoria dei giudizi di probabilit fondata su principi evidenti Vogliamo concludere con unosservazione integrativa. Le attese, nel senso in cui ne abbiamo parlato finora, non sono naturalmente giudizi di previsione. Si tratta invece di momenti di integrazione che fanno parte della struttura necessaria dei decorsi percettivi. Perci anche in questo caso laccento deve cadere sulla passivit delle sintesi, ed in rapporto a questo problema naturalmente non vi alcuna significativa differenza tra attese fondate nellesperienza passata e attese fondate nel passato improprio. In entrambi i casi non viene formulato nessun giudizio di previsione, nessuna valutazione in rapporto a qualcosa che sta per avvenire. Se vedo un tale che, tenendo il dito sul grilletto del fucile, prende la mira, forse mi si drizzeranno le orecchie, ma questo non certo un modo di effettuare giudizi. Se invece penso: Tra un attimo sentir una detonazione questo certamente un giudizio; ed inoltre sarebbe giusto dire che il suo con-
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tenuto identico a quello dellattesa, senza che ci tolga la differenza. Anche in questo caso dobbiamo dunque far valere la polemica contro la tendenza logicizzante nellambito della dottrina dellesperienza. Assumendo un simile atteggiamento si farebbe notare che si procede qui come se si argomentasse, come se si inferissero certi eventi futuri da certi eventi passati secondo un rapporto di premessa e conclusione. Il fatto che nella situazione descrittiva non vi sia alcuna traccia di unargomentazione potrebbe indurci a parlare di un processo argomentativo che diventato una sorta di fatto fisiologico e che accade in modo diretto e immediato, inconsciamente. Che questo richiamo a inferenze inconscie sia in un caso come questo nientaltro che una assunzione surrettizia che dovrebbe eliminare una difficolt dipendente dalla erroneit dellimpostazione iniziale del problema sembra abbastanza chiaro. Ci che qui pi ci importa mettere in chiaro tuttavia il fatto che, stando ad una simile impostazione si tender a porre le cose come se ci fosse prima una certa forma argomentativa e poi la formazione di attese modellata su di essa. Perci, qualora si ponesse il problema della giustificazione di quella forma, la si ricercher al di fuori dellesperienza stessa. Essa dovrebbe avere una giustificazione logica autonoma che sarebbe destinata, una volta acquisita, a dare un fondamento anche a quella procedura che si fa valere inconsciamente nei processi esperienziali. Certamente anche noi potremmo trovare estremamente significativa il fatto che, nella vita di ogni giorno, ricorriamo a moduli argomentativi direttamente connessi alla tematica della formazione di attese. Troviamo significativo, cio, che si possa incorrere nellerrore di interpretare lattesa come conclusione di unargomentazione implicita. Tra la struttura della formazione di attese e la forma di argomentazione corrispondente vi deve indubbiamente essere qualche rapporto. Solo che noi presentiamo le cose in modo esattamente inverso allimpostazione precedente. Non assumiamo che quella forma sia proiettata dal di fuori allinterno del processo, ma al contrario che essa sia estratta dal processo stesso. Perci Elementi di una dottrina dellesperienza
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saremmo persino disposti a parlare di una forma argomentativa implicita nel processo dellesperienza: ma non nel senso di una procedura intellettuale che viene immessa in esso e che opera in modo inconscio, ma appunto nel senso che essa rappresenta la versione sul piano intellettuale di quella struttura esperienziale. Di conseguenza, se ci poniamo il problema di una giustificazione della forma argomentativa stessa, andremo alla ricerca di essa proprio nella struttura del processo esperienziale. Se consideriamo le cose da questo punto di vista ci rendiamo conto che le nostre osservazioni precedenti assumono un nuovo significato. Lillustrazione che abbiamo dato del processo di formazione delle attese ci ha portato alla conclusione che il rafforzamento delle attese nella conferma iterata, quindi in generale il processo di formazione di abitualit, non una circostanza accidentale, ma necessaria. Ora, tale circostanza, che mantiene un riferimento soggettivo nella stessa misura in cui si parla in rapporto ad essa di attese, ammette tuttavia una riformulazione in termini interamente oggettivi. In luogo di rafforzamento delle attese possiamo parlare di rafforzamento del grado di probabilit degli eventi. Ad esempio, potremmo enunciare il seguente principio generale: La probabilit che si realizzi un evento B, se si realizzato un evento A, tanto maggiore quanto maggiore il numero dei casi in cui la realizzazione di B stata concomitante alla realizzazione di A. In rapporto a questo principio sono in generale possibili due atteggiamenti. Esso pu essere assunto come assioma: sulla sua base si possono giustificare conclusioni, ma non lecito porre il problema della sua giustificazione, non gi perch esso sia evidente in se stesso, ma proprio perch assumerlo come assioma significa la stessa cosa che convenire che esso non venga messo in discussione. compatibile con tale atteggiamento il ritenere che questo principio abbia una sua evidenza, sia cio, prossimo allintuizione (come si usa dire talvolta), ma nel senso generico per cui esso ci sembra, a occhio e croce, una riproduzione abbastanza fedele di convinzioni profondamente radicate in noi, del cui eventuale fondamento in ogni caso ci disinteressiamo. Ma possibile anche un altro atteggiamento, che sugge Elementi di una dottrina dellesperienza
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rito dalle nostre considerazioni nel loro insieme. A quel principio, qualunque sia il modo in cui appare a questo o a quello, pu essere attribuita una necessit, e dunque unevidenza interna, sulla base di considerazioni che mettono in questione la struttura dellesperienza: lesperienza stessa nel suo concetto. Nella formulazione oggettiva questo riferimento il riferimento alla esperienza viene ovviamente dissolto. Ma poich consideriamo la formulazione oggettiva come una trasposizione di una formulazione soggettiva, nella quale la necessit del rafforzamento delle attese appare appunto evidente, allora possiamo indubbiamente non soltanto richiamarci alla sua evidenza, ma anche indicare in che senso questa evidenza possa esserle attribuita in linea di diritto. Naturalmente, occorrer evitare di confondere i piani. Un conto la tematica della percezione, del ricordo, delle attese e delle abitualit, e un altro lelaborazione sistematica di una teoria dei giudizi di probabilit. Non per senza significato che gi sul piano dellesperienza si annunci la possibilit di giudizi di questa forma e di una loro elaborazione sistematica in una teoria fondata su principi evidenti [11] .
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Note
[1] Entrambe le citazioni sono tratte da B. Russell, Sintesi filosofica, trad. it. di A. Visalberghi e di A. Vissert Hooft Musacchio, Firenze, La Nuova Italia, 1966, p.208 e p. 217. [2] L. Wittgenstein, Osservazioni filosofiche, trad. it. a cura di M. Rosso, Torino, Einaudi, 1976, oss. 5, p. 39. [3] Cfr. invece D. Hume, Trattato sulla natura umana, 1, Parte III, sez. 5 (trad. it. cit., p. 98): Accade spesso che di due uomini che hanno preso parte a una stessa azione uno la ricordi molto miglio dellaltro e duri grandissima fatica per farla ricordare al suo compagno. Invano gli enumera minutamente le diverse circostanze, gli cita il tempo, il luogo, la compagnia, ci che stato detto, ci che stato fatto: finch tocca per caso un particolare che fa rivivere tutta la scena e d allamico la completa memoria dellaccaduto. Qui, la persona che ha dimenticato, riceve da principio tutte le idee del discorso del compagno, con le stesse circostanze di tempo e di luogo, bench le consideri mere finzioni dellimmaginazione. Ma, appena accennato questo particolare che colpisce la sua memoria, queste stesse idee appaiono sotto una luce nuova: sono sentite, si pu dire, in modo diverso di prima. Senza che nulla si alteri in esse allinfuori del modo di sentirle, diventano immediatamente idee di memoria e suscitano lassenso. Potendo, dunque, limmaginazione rappresentare gli stessi oggetti che la memoria, e distinguendosi queste facolt soltanto per il diverso modo di sentire le idee, vien fatto di chiedersi qual la natura propria di questo modo di sentire. Ognuno, credo, risponder convenendo che le idee della memoria sono pi forti e pi vivaci di quelle della fantasia. [4] Si consideri, per confronto, la tematica dellidentit personale e la teoria dellappropriazione nei Principi di psicologia di James. Per richiamarne la linea di tendenza, in rapporto al nostro tema, possono forse bastare le due seguenti citazioni: La memoria richiede qualcosa di pi che datare un fatto nel passato. Il fatto deve essere datato nel mio passato. In altre parole, debbo pensare che proprio io sperimentai il suo verificarsi. Esso deve avere quel calore e quellintimit di cui tanto spesso abbiamo Elementi di una dottrina dellesperienza
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parlato nel capitolo sullIo, come di elementi caratterizzanti tutte le esperienze appropriata a s dal soggetto pensante, come sue proprie (Principles of Psychology, New York, Dover, 1950, p. 650). Ed per questo, dunque, che Pietro, svegliandosi nello stesso letto con Paolo e ricordandosi delle cose che entrambi avevano pensato prima di addormentarsi, reidentifica e si appropria delle idee che gli appaiono calde, e non mai tentato di confonderle con quelle fredde e sbiadite che attribuisce a Paolo (ivi, p. 334). [5] In un manoscritto del 1922-23, pubblicato come Appendice VIII della Husserliana. XI (Analysen zur passiven Synthesis, op. cit.) con il titolo Lapoditticit dei ricordo, Husserl osserva: Che il ricordo possa essere ingannevole una teoria su cui i filosofi concordano, e chi potrebbe in effetti negare qui la possibilit dellerrore?... Peraltro, anche in questo caso, debbo scostarmi dalla tradizione, debbo respingere il rifiuto incondizionato di qualsiasi evidenza apodittica nella sfera memorativa e chiarire che esso deriva da una deficienza di analisi (p. 371). Questo scritto, tuttavia, potrebbe essere citato come un esempio significativo di intreccio, in Husserl, tra motivi analitici particolari e preoccupazioni filosofico-speculative di altro ordine. Infatti la cornice in cui il problema viene discusso quello delle conseguenze, in rapporto alla teoria dellego cogito, della dubbiosit dei ricordo; e la tematica sfocia, inaspettatamente, bench con apparente coerenza, nella posizione delleternit dellego trascendentale (pp. 377 sgg.). [6] Cfr. E. Husserl, Zur Phnomenologie des inneren Zeitbewusstseins, op. cit., pp. 25-26. [7] E. Husserl, Analysen zur passiven Synthesis, op. cit., sez. III, pp. 117-191. [8] ivi, Appendice XVIII, pp. 405-411. [9] Cfr. ivi, 33 Non ho bisogno di dire che al complesso delle considerazioni che stiamo sviluppando pu essere anche dato un titolo ben noto, quello di inconscio. dunque in questione una fenomenologia del cosiddetto inconscio, p. 154). [10] Cfr. ivi , sez. III, cap. IV (pp. 184-191). [11] In realt, questo accenno rientra nel quadro della tematica delle strutture antepredicative, delineata nel capitolo quarto di questo libro. Elementi di una dottrina dellesperienza
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Capitolo Terzo
Limmaginazione
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Primo avviamento alla tematica dellimmaginazione mediante la determinazione di alcune caratteristiche notevoli dei contenuti immaginativi Nellimmaginazione non si possono commettere errori Limmaginare non avere impressioni in qualche modo simili alle impressioni visive Le nostre considerazioni sulla tematica dellimmaginazione prendono lavvio ancora una volta dal rifiuto di unimpostazione psicologistica. In effetti bisogna riconoscere che la tentazione di seguire questa via , in questo caso, particolarmente forte. Supponiamo che qualcuno ci rivolga questo invito: immaginate un bicchiere davanti a voi, su questo tavolo. E noi facciamo proprio cos. Ma che cosa facciamo quando immaginiamo qualcosa? Sembra allora che il modo migliore per rispondere a questa domanda sia quello di rivolgersi riflessivamente al nostro interno, al fine di afferrare che cosa accade nella nostra testa nellatto di immaginare. Ci rendiamo presente un bicchiere che palesemente non presente. E soltanto lintrospezione pu insegnarci che cosa significhi rendere presente in un caso tanto particolare. Mentre immaginiamo, dobbiamo osservare noi stessi con la coda dellocchio, in modo da sorprenderci nellatto stesso di produrre un contenuto immaginativo. Qualcuno potr certamente tentare di fare una cosa simile, ammesso che il compito sia formulato in modo realmente intelligibile (cosa di cui peraltro sarebbe lecito dubitare): quanto a noi, ci comporteremo in tuttaltro modo, in un modo ormai prevedibile. Messa da parte la via dellintrospezione, attireremo invece lattenzione su alcune caratteristiche notevoli del modo di presentarsi del contenuto immaginativo in quanto tale. Come gi sappiamo, con caratteristiche non intendiamo certe qualit del contenuto immaginativo: se cos fosse ci ritroveremmo esattamente nella situazione precedente. Il metodo introspettivo si im Elementi di una dottrina dellesperienza
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porrebbe ancora come lunico mezzo per una simile descrizione. Determinare una caratteristica significa, invece, per noi, determinare una differenza. Per far questo, nessuna introspezione evidentemente necessaria, nessun atto riflessivo. Unanalisi fenomenologica anzitutto unanalisi che va alla ricerca di differenze caratteristiche o, che lo stesso, di caratteristiche differenzianti: un modo di proporre il problema che legato a doppio filo con un orientamento strutturalistico che si contrappone ad ogni tentativo di descrizione introspettiva delle qualit del contenuto. Come si comporta dunque un oggetto immaginativo rispetto ad un oggetto della percezione? Qui c un bicchiere. C lo mettiamo tra virgolette, perch in fin dei conti si tratta di un bicchiere immaginario. In rapporto ad esso chiediamo: ha una forma, questo bicchiere? Contiene qualcosa? Possiamo prenderlo fra le mani ed eventualmente lasciarlo cadere a terra e mandarlo in mille pezzi? In un certo senso, a domande come queste deve essere data una risposta affermativa. Ma, appunto, in che senso? Nel senso che possiamo benissimo immaginare non solo un bicchiere, ma anche un bicchiere di forma ovale; possiamo immaginare che sia pieno di acqua. Possiamo immaginare di afferrarlo e scagliarlo a terra, mandandolo in frantumi. In breve: questo bicchiere si comporta in tutto e per tutto come un bicchiere effettivamente presente di fronte a noi. Certamente, qui non c nessun bicchiere. Eppure possiamo fare come se ci fosse; come se avesse questa o quella forma; come se noi lo scagliassimo a terra; come se esso andasse in mille pezzi. Come se: tutta la differenza sta qui. Sta nelle virgolette che dovremmo apporre a tutto ci che accade nellimmaginazione. Il modo in cui loggetto costituito nel vedere dellimmaginazione tuttaltro rispetto al modo in cui lo nel vedere come atto autenticamente percettivo. Se vediamo qualcosa, possiamo proporre sensatamente il compito di descriverla nelle sue propriet. Nel caso delloggetto immaginativo possiamo certamente ancora parlare delle sue propriet e di una loro eventuale descrizione: possiamo dire che esso fatto cos e cos, ma solo nel senso che abbiamo deciso Elementi di una dottrina dellesperienza
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cos. Perci, allinizio di una trattazione intorno allimmaginazione, dobbiamo dare il massimo risalto ad unosservazione che abbiamo compiuto a suo tempo a proposito della percezione: nel percepire, il contenuto si impone nel suo essere, e quanto a ci non possiamo farci nulla. Nel percepire dellimmaginazione siamo invece liberi di porre loggetto come vogliamo. Se immaginiamo una macchia, e poi ne vogliamo determinare il colore, questa determinazione , a sua volta, tra virgolette: facciamo come se lo determinassimo. Di fatto prendiamo una decisione. Per questo qualcuno ci pu invitare ad immaginare un bicchiere, ma non pu poi dire: ed ora osservatelo bene. Il verbo osservare non tollera come complemento oggetto un contenuto immaginativo. Ma questa una regola che nessuna grammatica si d la pena di formulare. E giustamente. Infatti in essa in questione limpiego delle parole nella misura in cui esso determinato dalla natura dei contenuti immaginativi. Losservazione di un oggetto dato immaginativamente pu essere soltanto unosservazione come se, unosservazione tra virgolette, oppure, per introdurre un altro termine equivalente: una quasiosservazione. Tutti questi termini alludono a questa circostanza elementare e fondamentale: losservazione e la descrizione nellimmaginazione vanno di pari passo con la produzione immaginativa in quanto produzione spontanea di un determinato contenuto. Perci in rapporto ai contenuti immaginativi qualunque problema di accertamento in linea di principio escluso. Diciamo la stessa cosa se affermiamo che nellimmaginazione non si possono commettere errori. A differenza della percezione e del ricordo. Se cominciamo a porre il problema in questo modo, chiaro che di immagini mentali non abbiamo affatto bisogno di parlare. E proprio su questo punto possono essere mosse obiezioni. Si tratta dunque solo di mettere in chiaro differenze come queste? Ma allora ci sfugge un aspetto importante, forse decisivo, in rapporto alla nostra tematica. Nellimmaginazione deve effettivamente apparire qualcosa. Ci sembra che anche noi lo diamo per presupposto. Ma in che modo potremo chiarire il senso di questo apparire, se rinunciamo fin dallinizio a proporre Elementi di una dottrina dellesperienza
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una nozione di immagine che, pur con le dovute differenze, abbia un carattere che la approssimi ai dati percettivi? Se immagino veramente un bicchiere certo non lo vedo, ma debbo almeno avere limpressione di vederlo. Del resto, pensiamo al modo in cui illustreremmo la differenza tra un buon mimo ed un altro che ci lascia invece del tutto indifferenti. Solo il primo sa rendere visivamente ci che intende rappresentare, mentre laltro non riesce a far apparire proprio nulla. Possiamo veramente rinunciare a questo carattere intuitivo o quasi-intuitivo che si sempre riconosciuto alle immagini dellimmaginazione? Sembra invece che ci sia qualcosa che non va proprio nel nostro modo di cominciare. Ci viene rivolto un invito. immaginate un bicchiere! Ma uno potrebbe rispondere: io non ci riesco! In effetti, per comprendere lo stile delle nostre considerazioni si deve comprendere anzitutto che una simile risposta non pu essere ammessa. Certamente, qualcuno potrebbe rispondere cos, ma la cosa ci lascia completamente indifferenti. Se non ci riesce, ci significa che cerca qualcosa di pi o di diverso da quanto gli viene richiesto. Possiamo ammettere che qualcuno non riesca a ricordarsi di aver visto un bicchiere, ma non che non riesca a immaginare un bicchiere su questo tavolo. A ben pensarci, anche lesempio del mimo meno probante di quanto possa sembrare a prima vista. Tra un mimo buono ed uno cattivo si pu certo porre una differenza, ed essa pu essere espressa proprio con quelle parole. Cosicch sembra che chi si richiama ad essa per difendere una nozione di immagine che in un modo o nellaltro ha a che fare con impressioni quasi percettive abbia veramente ragione. Tuttavia non affatto facile decidere in che cosa propriamente abbia ragione. Un tale imita un domatore di pulci, e lo imita con molta efficacia. Ci pare quasi di vederle le pulci, le quali, anche se ci fossero non le vedremmo in ogni caso. Eppure ci che vediamo, e lo vediamo veramente, proprio una efficace imitazione di un domatore di pulci. Perci dobbiamo ribadire che, se adottiamo un punto di vista strettamente antipsicologistico che voglia fare a meno di ricorrere al difficile esercizio dellintrospezione, si deve rinuncia Elementi di una dottrina dellesperienza
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re in primo luogo ad un modo di approccio al problema che intenda limmaginare come avere impressioni in qualche modo simili alle impressioni percettive.
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Un possibile equivoco nellimpiego del termine immaginario In che modo, nellimmaginazione si pone il problema dellinesistenza delloggetto La neutralizzazione delle posizioni dessere e leterogeneit dei contenuti immaginativi. molto probabile che chiunque, posto di fronte senza preamboli alla richiesta di indicare un esempio di oggetto dellimmaginazione, risponda facendo riferimento ad un oggetto fuori dellordinario un cavallo alato o un mostro a sette teste un oggetto, cio, nel quale finora non ci siamo mai imbattuti e nel quale pensiamo fondatamente che non ci imbatteremo in futuro, un oggetto, dunque, irreale, inesistente. La richiesta, non meno della risposta, contiene un equivoco che conviene cercare di dipanare. Stando ad essa ed a quegli esempi, si direbbe quasi che il carattere di oggetto dellimmaginazione dipenda non gi dal modo in cui loggetto dato, ma dal modo in cui esso fatto, come se potessimo dire che un cavallo alato un oggetto immaginativo per il solo fatto che ha le ali. Ci troveremmo di fronte ad un punto di vista che si affida senzaltro ad una discriminazione ingenuamente ontologica, ad una classificazione che riguarda la natura degli enti. Da un lato avremo oggetti ed eventi reali e, dallaltro, oggetti ed eventi irreali. Questi ultimi sarebbero prodotti dellimmaginazione per il fatto che in essi accade proprio ci che non pu accadere nella realt. Si suggerisce cos, al tempo stesso, lidea che limmaginare consista semplicemente nel mettere sottosopra la realt e le sue regole, producendo eventi o oggetti che meritano di essere qualificati come immaginativi per il solo fatto che la realt in essi messa sottosopra. Non certo difficile cogliere il punto dellequivoco. Natu Elementi di una dottrina dellesperienza
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ralmente possiamo ammettere pacificamente che un cavallo alato non esista nel mondo e che esso sia un prodotto dellimmaginazione. Ci che non pu essere ammesso evidentemente che esso, per il modo in cui fatto, sia un oggetto privilegiato dellimmaginazione, che il carattere che determina limmaginariet delloggetto sia una peculiarit oggettiva del contenuto, una peculiarit che poi sarebbe intrinsecamente connessa con la sua inesistenza. Ci che noi sosteniamo , invece, che limmaginariet di un contenuto essenzialmente una forma di rapporto, tipicamente diversa da quella forma entro cui un oggetto si costituisce come un oggetto percepito, e quindi esistente qui ed ora di fronte a me. Quanto allesempio del cavallo alato, il modo in cui fatto questo oggetto fa si che noi riteniamo alquanto improbabile che un giorno o laltro ci possa accadere di vedere una cosa simile. Cos, se un tale ci assicura di aver visto un cavallo alato, riterremo con buone ragioni che egli abbia preso un grosso abbaglio. Forse anchegli lo dubita: ma ci non implica in nessun modo che egli, come ognuno di noi, non sappia distinguere tra un cavallo alato in quanto oggetto dellimmaginazione, in quanto cio dato in un atto immaginativo, ed un cavallo alato in quanto oggetto della percezione. Tant che egli va in giro raccontando una cosa tanto straordinaria: non gi di avere immaginato un cavallo alato ci sarebbe piuttosto banale ma di averlo proprio visto. In se stesso un cavallo alato pu essere tanto oggetto dellimmaginazione quanto oggetto della percezione. Come un qualunque cavallo. La propriet di avere o non avere le ali , a questo proposito, del tutto indifferente. Ma che cosa significa, in fin dei conti, tutto questo? Sembra che tutto si riduca semplicemente a distinguere con chiarezza tra un impiego della parola immaginario per indicare una entit che non esiste ed un altro impiego della stessa parola per indicare il puro e semplice correlato di un atto immaginativo. In effetti tutto si riduce a questo: con qualche complicazione in pi. Infatti il problema dellinesistenza si presenta in ogni caso in rapporto ai correlati degli atti immaginativi in genere. Ed questo il punto che merita di essere chiarito. Elementi di una dottrina dellesperienza
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In che senso possiamo dire che loggetto dato in un atto immaginativo non esiste? Cominciamo allora con il notare che immaginare un bicchiere su questo tavolo cosa completamente diversa dal constatare che su questo tavolo non c nessun bicchiere. Quando si immagina qualcosa, non si compiono accertamenti, e quindi neppure gli accertamenti concernenti lesistenza o linesistenza. Porre un contenuto immaginativo non solo non un atto giudicativo, ma nemmeno contiene implicitamente un atto giudicativo. Il giudizio: Qui non c nessun bicchiere poggia su un accertamento percettivo: vedo che sul tavolo non c alcun bicchiere. Ma supponiamo di immaginare un bicchiere, e poi diciamo: questo bicchiere non esiste. Questa frase suona ovvia, e tuttavia anche un po strana e paradossale. Questo bicchiere: ma in fondo non si capisce bene di quale bicchiere si parli. Quando accertiamo percettivamente linesistenza di un bicchiere, non ci riferiamo ad un bicchiere dellimmaginazione, ma ad un bicchiere che si possa effettivamente toccare, spostare, sollevare, ecc. Per accertare che qui non c nessun bicchiere, cerchiamo un bicchiere, e precisamente un vero bicchiere, un bicchiere reale. Perci vi una procedura determinata per compiere un simile accertamento. Osservo il tavolo, appunto, e se ho gli occhi bendati, ne taster la superficie in ogni suo punto. Ma quando diciamo: Questo bicchiere non esiste, e ci riferiamo alloggetto immaginario, quali procedure di accertamento sono a mia disposizione? Come faccio a sapere che non esiste? Tutto ci che possiamo indubbiamente affermare che qui non c nessun bicchiere. Ma loggetto che ora immagino non evidentemente nessun bicchiere, quasi che limmaginazione avesse di fronte un nulla di bicchiere. Limmaginazione ha di fronte proprio un bicchiere, nella forma che spetta agli oggetti immaginari. Con. ci non vogliamo dire che questi abbiano un modo peculiare di esistere, che competerebbe solo a loro, come se vi fossero due nozioni diverse di esistenza. Piuttosto riconduciamo anche questo problema allimpostazione che abbiamo gi adombrato. E allora si dissolve anche landamento un poco paradossale delle nostre considerazioni precedenti. Quei paradossi sorgevano infatti dallillegittimo in Elementi di una dottrina dellesperienza
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treccio dei piani della realt e dellimmaginazione. Parlando di inesistenza, lesistenza sempre presupposta, presupposto cio un riferimento determinato alla realt. Ed invece proprio questo riferimento che le virgolette dellimmaginazione tolgono di mezzo. Loggetto immaginativo si situa in linea di principio al di fuori del terreno in cui hanno senso le posizioni relative allessere ed al non essere. Ogni posizione dessere viene neutralizzata: questa la condizione espressa dal come-se. Se un oggetto dellimmaginazione viene determinato come rosso, non possiamo certo dire: ma in realt non rosso. Non possiamo dire che non lo , come non possiamo dire lo sia veramente. il problema stesso che non pu essere proposto. La domanda sulla posizione dessere priva di senso. Ci significa nello stesso tempo che i contenuti immaginativi, gli oggetti e gli eventi immaginati vengono posti su un piano totalmente altro rispetto a quello in cui sono situati gli oggetti e gli eventi effettivi. Limmaginazione dispone i propri contenuti su una realt parallela che non ha alcun punto di intersezione con la realt libera da virgolette. La tematica della neutralizzazione delle posizioni dessere con cui si apre una esposizione elementare delle caratteristiche dei contenuti immaginativi richiama in primo luogo lattenzione su una eterogeneit radicale.
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Osservazioni integrative: limmaginare e le anticipazioni della percezione Limmaginazione non la facolt del futuro Immaginare e supporre In tutto ci indubbiamente implicita una certa restrizione nelluso della parola immaginare. Essa pu ricorrere nei contesti del discorso corrente in una grande variet di accezioni; e certamente non sapremmo trarre alcun profitto da una analisi di questi modi di impiego che si riduca ad una loro elencazione cieca, che non sia guidata da alcun problema. Tuttavia pu esse Elementi di una dottrina dellesperienza
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re utile passare in rapido esame alcuni casi interessanti al fine di apportare qualche chiarimento ulteriore. Accenniamo anzitutto al problema delle anticipazioni percettive. Come gi sappiamo, in un atto percettivo qualcosa presente allistante, ma qualcosaltro viene sempre percettivamente anticipato. Quando il fucile puntato, si attende la detonazione. In un caso come questo saremmo forse tentati di ritenere che anticipare percettivamente una detonazione sia allincirca la stessa cosa che immaginarla. Qui il punto essenziale non tanto la questione terminologica, quanto la necessit di tenere chiaramente distinte situazioni fenomenologiche ben diverse. Se volessimo parlare delle anticipazioni come componenti immaginative, dovremmo sottolineare subito che esse sono integrate nellatto percettivo stesso. Questultimo non consta di percezioni e di atti del rivolgersi immaginativamente a qualcosa. proprio lintegrazione di questa componente immaginativa nel decorso percettivo che indica con chiarezza questa differenza: nel. percepire andiamo un poco oltre ci che vediamo, ma appunto nella forma di unattesa che pu essere confermata o non confermata. Sulla base del dato percettivo attuale unistanza viene posta sul decorso successivo. Ma limmaginare, nel nostro senso, non pone in generale alcuna istanza. Considerazioni analoghe valgono anche per ci che riguarda la connessione tra immaginare da un lato, prevedere e progettare dallaltro. Questa connessione viene spesso presentata in termini piuttosto ovvi. Limmaginazione sarebbe, in modo eminente, la facolt del futuro. La tripartizione classica tra percezione, memoria e immaginazione sembra si attagli a meraviglia alla tripartizione tra presente, passato e futuro. Si pu percepire solo al presente. E limmaginazione avrebbe a che fare con il futuro nello stesso senso in cui la memoria ha a che fare con il passato. Eppure si vede subito che le cose non possono stare cos. La formula pi semplice in cui si esprime un progetto potrebbe essere: Domani far cos. Una previsione, invece: Domani accadr cos. Nelluno come nellaltro caso le formule stesse mostrano che non abbiamo bisogno di chiamare in causa limmaginazione Elementi di una dottrina dellesperienza
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in un senso che possa essere ben definito. Secondo il nostro modo di impiegare il termine, limmaginazione interviene solo se, ad esempio, insieme al progetto, una scena immaginativa appare. Domani andr al mare. Ed ora mi immagino la scena: ecco il mare! Qui ed ora di fronte a me, e tutto si trova racchiuso tra le virgolette dellimmaginazione. Il caso della previsione, ed il modo in cui lo distinguiamo dallimmaginare, ha alcune analogie con questo. Prevedete significa allincirca fare una supposizione intorno ad un evento futuro. Ed il punto per noi essenziale che quando si fanno supposizioni si possono commettere errori. Una previsione mantiene la presa sulla realt. Come nel caso dei progetti. Un progetto non certo una supposizione sul mio comportamento futuro: alla sua base vi una decisione. Ma le decisioni possono essere mantenute o tradite, ed un altro pu sempre dire: Domani vedremo!. Del resto il futuro posto nel progetto o nella previsione non affatto un futuro immaginario domani proprio il giorno che segue ad oggi. Un problema parallelo presentano le forme del tipo: Se non fosse accaduto questo..., avrei potuto fare cos e cos... (ma intanto accaduto proprio questo; mi sono comportato in tuttaltro modo). Qui viene trasposta al passato quella apertura al possibile che spetta solo al presente. Enunciamo una possibilit che oggi chiusa, ma che ieri era effettivamente aperta. Ed vero che ieri avrei potuto fare questo e invece ho fatto questaltro. Quella possibilit era ieri altrettanto realizzabile, quanto quellaltra che invece stata realizzata. Che non ci si trovi di fronte ad alcuna operazione immaginativa autentica indicato a sufficienza dal fatto che una possibilit intesa in questo modo comunque una possibilit integrata nella realt effettiva. . Come nel caso precedente, il prospettarsi un passato diverso pu essere alla base di una immaginazione esplicita. Ma allora evidentemente si effettua una netta divaricazione di piani. Nellimmaginazione del tutto indifferente il riferimento al passato, al fatto che avrei potuto fare cos, che accaduto questo mentre sarebbe potuto accadere questaltro. Proprio nulla qui appartiene allambito delle supposizioni. Tuttavia la parola supporre non sempre impiegata in Elementi di una dottrina dellesperienza
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questo modo. Talvolta essa si presenta in contesti in cui pu essere sostituita con assumere, e addirittura con immaginare. Sembra allora che, volendo prescindere interamente dalle immagini mentali, dovrebbe essere importante per noi poter distinguere con chiarezza le immaginazioni dalle assunzioni. Se potessimo contare sulle immagini mentali la differenza sarebbe indubbiamente a portata di mano. Per assumere che qui ci sia un bicchiere si potrebbe osservare non si richiede che un bicchiere appaia effettivamente agli occhi della mente. Limmaginazione deve invece produrre fantasmi. Essa ha a che fare con pienezze intuitive, sia pure larvali. Se invece mettiamo da parte questa concezione, affidandoci interamente al filo conduttore del come-se, sembra che la distinzione diventi molto sfumata, che essa quasi si perda. Assumiamo che in questa stanza ci sia un elefante. Facciamo questa supposizione. Qui il termine non ha lo stesso senso di prima. Infatti sarebbe erroneo affermare che si tratta di una supposizione falsa. Al contrario, se si ode un barrito al di l di una porta chiusa, un tale potrebbe dire: suppongo che l dentro ci sia un elefante. Il fatto che allora ha senso andare a vedere se c; e lelefante che si cerca un vero elefante, un elefante autentico, anche se non ci fosse. pi giusto dire che un oggetto dellimmaginazione non lo si cerca nella realt, piuttosto che dire che non lo si trova. Ma se il supporre ha il senso dellassumere, e se prescindiamo dai fantasmi interiori di cui dichiariamo di non saperne nulla, qual il punto della distinzione? Pensiamo ai giochi dei fanciulli. Un albero ha ora il senso immaginativo di una nave che compie un lungo viaggio. Facciamo questo gioco. Facciamo come se fosse cos. Noi non vediamo i loro fantasmi, ma non abbiamo nemmeno alcun motivo di ritenere che per essi vi siano dei fantasmi. Qui la realt, nel suo essere e nelle sue determinazioni concrete, lasciata a se stessa e serve soltanto come rozzo sostegno per la produzione di contenuti immaginativa. Che non ci si trovi di fronte ad una supposizione nel senso di qualcosa che esiga una conferma, questo chiaro. Quanto alla seconda accezione del termine, in cui esso compare libero da posizioni dessere, in cui cio il supporre Elementi di una dottrina dellesperienza
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piuttosto un assumere perch non riconoscere senzaltro che esso non molto lontano da ci che noi vogliamo intendere con immaginare?t veramente necessario cercare il punto della distinzione? In fondo, anche in rapporto al gioco dellalbero, si potrebbe dire che in esso viene compiuta unassunzione. Se lespressione non ci sembra al suo posto, ci accade probabilmente perch si tratta di un gioco. Il contesto determina qui le preferenze nellimpiego del termine. Compiuta quellassunzione ha inizio un gioco, e non unargomentazione. Se consideriamo le cose da questo punto di vista potremmo arrivare a dire che limmaginare , tutto sommato, un assumere al di fuori di un contesto argomentativo. Quindi, un assumere in senso improprio, se vogliamo connettere le assunzioni alle argomentazioni.
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Lacontestualit dellimmaginazione Confronto con la struttura sintetica della percezione La fantasia come essenza dellimmaginazione La conclusione che abbiamo ritenuto di poter acquisire nella nostra prima presa di contatto con la tematica dellimmaginazione la seguente: considerando gli oggetti dellimmaginazione dobbiamo mettere in rilievo anzitutto la loro non integrabilit di principio rispetto al piano della realt o, come potremmo anche dire, pi semplicemente, rispetto al piano della percezione. Ci riguarda naturalmente soltanto la forma del rapporto entro cui si istituisce loggetto immaginativo. Questa non integrabilit non ha dunque nulla a che vedere con la circostanza secondo cui proprio di qui, dalla realt, limmaginazione trae i propri materiali. Noi diciamo soltanto che essa li trae di qui per disporli a mezzaria. Ma a mezzaria si trovano i prodotti dellimmaginazione, e non certo lattivit immaginativa, lesperienza dellimmaginare. Come esperienza, come vissuto, essa integrata con le altre esperienze soggettive del genere pi vario. Da esse, limmaginazione strettamente motivata. La tematica delle motivazioni porrebbe a sua volta, se venisse concretamente affron Elementi di una dottrina dellesperienza
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tata, tutto un complesso di nuovi problemi, senza tuttavia che sia necessario rimettere in questione il carattere di eterogeneit e di non integrabilit dei contenuti immaginativi nel senso qui inteso. Questo problema della non integrazione viene ulteriormente precisato e ribadito se consideriamo i rapporti dei contenuti immaginativi tra loro. In generale possiamo affermare che le scene immaginative sono acontestuali, non solo nel senso che non sono integrabili con le scene percettive, ma anche nel senso che esse non hanno bisogno di essere integrate con altre scene immaginative. Una scena immaginativa pu apparire, per cos dire, in un isolamento assoluto, ed una sequenza di scene immaginative, non deve sottostare ad alcuna forma di unificazione. Vogliamo fissare le nostre idee facendo riferimento alle sintesi della percezione. Come sappiamo, un decorso percettivo pu essere concepito come una sequenza di scene che si modificano gradualmente trapassando luna nellaltra. In questo senso potremmo dire che la sequenza aggregata, compatta. Con ci strettamente connesso il fatto che nessuna scena percettiva isolabile in senso assoluto. Il campo della percezione ovunque dominato da forme di unit e di coesione che rendono il dato percettivo sempre aperto a integrazioni possibili. Vi inoltre uno stretto legame tra la posizione percettiva di un oggetto come sussistente in se stesso e le concordanze sintetiche delle scene in cui esso si presenta nella molteplicit dei suoi aspetti. Attraverso la molteplicit viene determinata percettivamente unidentit e per questo necessario che i fenomeni siano attraversati da una norma. Non solo: necessario che questa norma si imponga sulla base dei fenomeni stessi, in modo tale che venga posta unoggettivit esistente in se stessa, al di l di essi: come una oggettivit che determina nel suo essere i propri modi di manifestazione. Le legalit della percezione invece non prescrivono nulla allimmaginazione. Anche in essa, certamente, loggetto pu essere costituito processualmente, ma ci gi il risultato di un intento immaginativo che si propone esplicitamente uno scopo imitativo. In generale, un oggetto immaginativo non ha affatto bisogno di presentarsi prospetticamente: questa circostanza Elementi di una dottrina dellesperienza
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tanto essenziale alle cose della percezione quanto essenziale linsussistenza di questo problema in rapporto alle cose dellimmaginazione. Se immagino un cubo, ci non implica che esso venga afferrato tutto intero in un colpo solo, e neppure che esso mi si presenti di scorcio, mentre gli altri lati sono nascosti. Semplicemente, immagino un cubo, e per adesso non mi pongo alcun problema. Se poi venissi interrogato intorno al suo aspetto, potrei eventualmente dare un senso a quella domanda attraverso una decisione immaginativa esplicita: Ora lo vedo dallalto. Lidentit della cosa viene prima della costituzione di essa, o pi precisamente: la cosa data indipendentemente da una costituzione processuale attraverso progressive concordanze. Perci non sono nemmeno prescritte delle attese. Si possono dare sequenze immaginative, ma non per questo debbono darsi regole di transizione tra esse. Limitazione della norma attraverso cui si ha una posizione costitutiva di oggetto nellambito della percezione pu solo appartenere alle possibilit dellimmaginazione, e proprio per il fatto che in essa, invece, tutto pu essere al di fuori di ogni norma. Potremmo del resto provarci ad invertire i termini del problema. Prendiamo le mosse da una situazione percettiva nella quale si inserisce un elemento di disgregazione. Ora accade proprio cos: apro la porta dellarmadio e, dentro, vedo il mare. Di ci non mi sorprendo. Penso piuttosto: limmaginazione si sta prendendo gioco di me. Ma che cosa mi fa pensare questo? Perch chiamiamo in causa proprio limmaginazione? Il fatto che mi si presentata or ora una incongruenza cruciale: e non semplicemente qualcosa di inatteso. Le attese possono anche non essere confermate: e quando non lo sono, di ci potrei anche sorprendermi. Ma la mancata conferma una non concordanza che tuttavia appartiene ad uno sviluppo di costituzione concordante e presuppone perci la permanenza di una tipicit che contiene ambiti di possibilit precostituite. In quello strano caso, invece, non si tratta di unattesa che non viene confermata, ma di un momento che disgrega la compagine dellesperienza stessa, superando cos la stessa dimensione della sorpresa. Questa incongruenza cruciale rappresenta una sorta di Elementi di una dottrina dellesperienza
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contrassegno dellimmaginazione, un segnale che ne denuncia la presenza. In questo modo, limmaginazione si tradisce. Di tutto ci potremmo approfittare per riproporre a modo nostro la distinzione tra immaginazione e fantasia che in qualche modo presente nelluso corrente dei termini. Talora preferiamo parlare di fantasia piuttosto che di immaginazione, e la sfumatura di senso che suggerisce la scelta riguarda proprio il modo in cui loggetto fatto, piuttosto che il modo in cui esso dato. Pur tenendo ferme le nostre considerazioni precedenti, dobbiamo dunque riconoscere che vi qualche ragione se, di fronte alla richiesta di indicare un esempio di prodotto dellimmaginazione, si pensa subito anzitutto ad un oggetto fuori dellordinario. Abbiamo la sensazione che limmaginazione operi secondo la sua natura proprio quando presenta un mondo stravolto. Qui entra in campo la fantasia. Cos possiamo dire di due storie che luna differisce dallaltra perch in essa prevale lelemento fantastico. Oppure, di due dipinti: luno presenta come laltro, ad esempio, una casa con una finestra aperta. Ma in uno di essi, dalla finestra sporge una mano enorme. In qualche modo si sempre saputo che utile distinguere tra fantasia e immaginazione e che tuttavia luna e laltra sono proprio la stessa cosa. Una volta si usava dire che la fantasia limmaginazione senza freni: limmaginazione che non si attiene ad alcuna norma e scopo, che si abbandona ad eccessi, sregolata e perversa. Ma secondo lo spirito delle nostre considerazioni dovremmo dire piuttosto che la fantasia lessenza dellimmaginazione.
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Acontestualit e indeterminazione temporale La problematica della temporalit in rapporto allimmaginazione ci utile non tanto per ampliare le considerazioni precedenti, quanto per ricomporle sotto un unico titolo. Diciamo senzaltro che, messo da parte il falso problema di una connessione interna tra limmaginazione e la dimensione temporale del futuro, ci Elementi di una dottrina dellesperienza
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che caratterizza i prodotti dellimmaginazione dal punto di vista temporale la loro indeterminazione. Nellindeterminazione temporale possiamo indicare una sorta di caratteristica riassuntiva a cui tutte le altre possono essere ricondotte. Anche in questo caso naturalmente importante distinguere con chiarezza lesperienza dellimmaginare come atto, come vissuto, dai contenuti immaginativi che sono i suoi correlati. Va da s che lesperienza dellimmaginare connotata temporalmente in modo altrettanto determinato quanto una qualunque esperienza di altro tipo. Possiamo dire ora immagino, cos come diciamo ora percepisco, ricordo, desidero, ecc. E tutti sappiamo che questo ora pu essere esteriorizzato e oggettivato, fissando un punto, identificabile da parte di tutti, sulla linea del tempo. Ora, e sono le cinque della sera. Le differenze sussistono invece se consideriamo le cose dalla parte dei correlati dei vissuti. Nel ricordo, si ricorda qualcosa che accaduto nel passato: levento ricordato ha una sua propria connotazione temporale, ovviamente non coincidente con quella che spetta allesperienza del ricordare. Bench questa localizzazione nel passato possa essere per me relativamente oscura, il punto essenziale comunque che si possa porre il problema della sua determinazione. Lora in cui ricordo e lora di ci che viene ricordato hanno a che vedere luno con laltro proprio in quanto sono riferibili a luoghi del tempo, come due punti sulla stessa retta. A questa immagine non intendiamo rinunciare, cos come del resto vogliamo ammettere senza discussioni il requisito della unicit del tempo che sta alla base delle nostre considerazioni, anche se ad alcuni esso potr sembrare una postulazione metafisica priva di giustificazioni. Si possono perci commettere errori nel ricordo, non soltanto nel senso che pu accadere che si ricordino le cose in modo diverso da come sono effettivamente andate, ma anche per ci che riguarda la localizzazione temporale obiettiva di un evento. Ci vale anche nel caso della percezione. Lerrore non pu concernere la determinazione soggettiva dellora, ma la sua fissazione oggettiva. Per il resto la determinazione temporale dellesperienza del percepire si estende, a differenza che nel caso Elementi di una dottrina dellesperienza
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del ricordo, sino ad abbracciare il correlato di essa. Non gi come se potessimo dire che il percepire sia simultaneo al percepito. Questo sarebbe un modo molto strano di presentare le cose. Ma nel senso che ci che ora percepisco alle cinque, c alle cinque. Supponiamo invece che io, mentre me ne sto seduto in una stanza, ora (alle cinque), immagini di camminare per una strada di campagna. Ora cammino per una strada di campagna. N luna n laltra descrizione si attaglia in qualche modo a questa nuova situazione. Perci saremmo propensi a parlare di indeterminazione. temporale dellimmaginazione. Se immagino di fare una passeggiata, la domanda quando? riferita allevento immaginato giunge comunque fuori luogo. Potremmo rispondere: questo non affatto importante. Oppure: proprio ora. Questa seconda risposta non molto diversa dalla rima, e luna e laltra equivalgono ad un modo di alzare le spalle. Il carattere, in certo senso, sorprendente della domanda Quando accade questo nel caso di un evento fantastico, dipende dal fatto che in essa si pretende di operare unintegrazione nel tempo oggettivo. In realt, la tematica dellacontestualit pu essere interamente ricondotta sotto il titolo dellindeterminazione temporale. Pensiamo al classico inizio delle fiabe: cera una volta . Questa una formula temporale che rinvia ad un passato lontano. Il quale, tuttavia, non soltanto relativamente e accidentalmente indeterminabile, ma indeterminabile essenzialmente e assolutamente. Ci che si racconta effettivamente una storia, quindi una successione di eventi: e restando allinterno di essa, possiamo distinguere ci che avvenuto prima da ci che avvenuto poi. Vi dunque qualcosa di simile ad un ordinamento temporale. Ma se uno comincia una fiaba dicendo: Cera una volta, allora un altro non pu chiedergli: e prima che cosa cera? E cos non possiamo chiedere che cosa accadde dopo il felice matrimonio. La fiaba sbuca dal nulla e torna nel nulla una formula che richiama indubbiamente lacontestualit dei prodotti dellimmaginazione. La fiaba ha un inizio ed una fine assoluti. Con Elementi di una dottrina dellesperienza
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ci ripetiamo, in altro modo, che essa acontestuale, ed tale proprio perch provvista di una temporalit meramente interna, una temporalit non esteriorizzabile: la storia che si racconta non un ritaglio nella Storia, un suo piccolo pezzo. Il tempo della fiaba tutto dentro la fiaba ed ogni fiaba ha un tempo, per cos dire, esclusivamente suo. Ma la problematica dellacontestualit si ripresenta anche in rapporto ai singoli eventi di cui la fiaba composta. Essa pu avere certamente uno sviluppo relativamente consequenziale, e vi sar perci ununit non solo nel senso di un succedersi ordinato di eventi luno dopo laltro, ma anche nel senso del dispiegarsi degli eventi luno dallaltro. Tuttavia non possiamo chiedere: se prima accaduto questo e poi questaltro, che cosa mai accaduto nel frattempo? Questa domanda non diversa da quella che chiedeva che cosa cera prima di quella volta. Se la sequenza di eventi ordinati luno dopo laltro immaginata, non vi alcun frattempo. E non come se si raccontassero solo le cose pi importanti e si trascurassero i dettagli come se si tacesse qualcosa. E neppure inversamente come se nella fiaba tutto fosse raccontato e nulla venisse taciuto. Tutto ci che vi da dire nella fiaba viene determinato dalla fiaba stessa. Lacontestualit rimane appresa ad una storia per quanto essa possa essere unitaria. Per questo motivo, laddove questa acontestualit si spinge sino alla sfrenatezza della fantasia, non vediamo altro che uno sviluppo dellimmaginazione secondo la tendenza che le propria fin dallinizio.
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Il problema dellindividuazione nel campo dellimmaginazione Breve discussione sulle nozioni di eguaglianza e di identit Leguaglianza come grado estremo della somiglianza Una diretta conseguenza dellindeterminazione temporale lo strano aspetto che assume la problematica dellindividuazione nel campo dellimmaginazione. Atteniamoci ancora allesempio delle fiabe bench qui naturalmente il contenuto della storia non abbia alcuna rilevanza. Nella fiaba, vi un protagonista, un eroe. Pollicino, ad esempio. Questi ha certe propriet ben determinate, certi modi di comportarsi quando si trova in certi frangenti, un certo stile, un carattere. E naturalmente, allinterno della fiaba, si tratta sempre dello stesso Pollicino che fa questo e quello. Egli appunto leroe della fiaba, ed in essa egli ha la sua individualit. Ma supponiamo che vi sia unaltra fiaba. Essa comincia allincirca nello stesso modo. Leroe si chiama ancora Pollicino: solo che fa cose abbastanza diverse, le sue gesta non si avvicendano nello stesso modo e, daltronde, qui vengono raccontate cose che nellaltra fiaba vengono taciute. Supponiamo infine che ci venga chiesto: il Pollicino della seconda fiaba veramente lo stesso Pollicino della prima? Naturalmente potremmo allora accingerci ad un confronto: ma, checch ne sia del risultato, questo confronto non pu certamente avere lo scopo di decidere la questione sollevata da quella domanda, come se potessimo in base ad esso arrivare alla conclusione: chiaro che si tratta dello stesso Pollicino. Oppure: non vi dubbio che si tratta di due persone ben diverse, solo che hanno lo stesso nome (e ci potrebbe trarci in inganno). Bench la direzione verso la quale puntiamo sia fin dora ben visibile, forse non inopportuno indugiare un poco su questo punto. Vogliamo cio spendere qualche parola sulla problematica dellindividuazione. In che cosa essa consiste? Come pu essere delimitata nel modo pi semplice? Elementi di una dottrina dellesperienza
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Anzitutto potremmo tentare di fissare una definizione, ad esempio: lindividualit di un oggetto in genere consiste in tutto ci che lo determina nel suo essere in modo tale che esso proprio quelloggetto, e non un altro. Ora, proviamoci a leggere ed a rileggere questa frase: e tanto pi essa ci apparir misteriosa. Alla fine forse corriamo il rischio di dubitare che almeno qualche volta, le definizioni servano a ben poco. Converr allora prendere il problema un poco pi alla lontana, cominciando con il notare che una discussione sullindividuazione chiama in causa la nozione di eguaglianza e di identit. Nel discorso corrente, questi termini possono talora essere usati nello stesso contesto senza mutamento di senso. Non cos per lespressione lo stesso. Se un bicchiere va in frantumi, potrei pregare qualcuno di procurarmi un bicchiere eguale ad esso o ad esso identico, ma non di procurarmi lo stesso bicchiere. Lo stesso, infatti, ormai andato in frantumi. Vogliamo approfittare della nostra libert di convenire sulluso dei termini, decidendo di riservare la parola identico per i contesti in cui impiegheremmo lespressione lo stesso. La distinzione a cui prima si accennava diventa allora, e in ci ci allontaniamo dalluso corrente, una distinzione tra eguaglianza e identit. In che cosa consiste leguaglianza? Anche in questo caso saremo forse tentati di lambiccarci il cervello per proporre fin dallinizio una definizione. Invece vogliamo fissare unaccezione esemplificativamente ben determinata delluso della parola eguale. Cosicch la domanda precedente potrebbe essere riformulata cos: in quali contesti diremmo che due cose sono eguali? Oppure: quando saremmo propensi a dire che questo bicchiere eguale a questaltro? Ci esprimeremmo cos io penso quando un bicchiere tanto simile ad un altro che, in certe circostanze, ci risulterebbe difficile distinguerli. Luno una sorta di equivalente indiscernibile dellaltro. Ma solo in certe circostanze. Se i bicchieri mi venissero posti di fronte, non sorgerebbe alcun problema. Supponiamo invece che vi sia un solo bicchiere sul tavolo e che io apra e chiuda gli occhi alternativamente.- affermer di vedere sempre lo stesso bicchiere, e semplicemente mi sbaglio se un amico, quando tengo gli occhi Elementi di una dottrina dellesperienza
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chiusi, lo sostituisce con un altro ad esso eguale. Diremo dunque eguali due cose quando sono tanto simili tra loro che, in certe circostanze, potremmo non distinguerle luna dallaltra, enunciando cos un falso giudizio di identit. A questo punto potremmo anche azzardare una definizione: leguaglianza il grado estremo della somiglianza. Ma essa non deriva dal pensare il concetto nel vuoto, argomentando altrettanto vuotamente sui termini: infatti quella definizione pu essere compresa solo se viene illustrata secondo i chiarimenti precedenti che riconducono limpiego della parola a situazioni di esperienza concretamente determinate. Annotazione Nella sua Psicologia del suono (op. cit., p. 111), Stumpf propone la seguente definizione di eguaglianza: Leguaglianza di fenomeni sensibili non altro che estrema somiglianza. Il non sussistere di questultima la differenza.Lampia discussione metodologica entro la quale Stumpf introduce questa definizione ha un particolare interesse dal nostro punto di vista. In essa infatti si intende polemizzare contro la tendenza a proiettare senzaltro nellambito intuitivo nozioni istituite in modo puramente logico-concettuale. Poich le indagini di Stumpf vertono intorno a giudizi che rinviano a comparazioni relative a fenomeni sensoriali, necessario chiarire in primo luogo che cosa si debba intendere, entro questo ambito, con somiglianza ed eguaglianza. Deve essere allora respinta anzitutto una concezione che subordini la prima alla seconda. In altri termini, assumendo un punto di vista logicizzante, la somiglianza dovrebbe risolversi nelleguaglianza di alcune parti e nella differenza di altre. Di conseguenza se due cose possono essere dette simili, esse dovranno anche essere composte, mentre tra oggetti semplici potr intervenire Soltanto un rapporto di eguaglianza o disuguaglianza (p. 112). Con la propria definizione, Stumpf intende invece istituire quelle nozioni tenendo conto della loro applica Elementi di una dottrina dellesperienza
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zione concreta nellambito dei giudizi di sensazione, Egli parla perci (p. 113) di valutazioni di somiglianza fondate a) sulleguaglianza di rapporti e b) sulleguaglianza di parti. In entrambi i casi leguaglianza presupposta, cos come presupposta la composizione degli oggetti. Tuttavia da essi deve essere distinta la valutazione di somiglianza relativa ad oggetti semplici. Bench le. nozioni di semplicit e di composizione non siano esplicitamente chiarire, gli esempi mostrano che esse non debbono essere intese in un senso astrattamente logico (come nel caso della concezione precedente), ma in un senso fenomenologico concreto. Cos un suono percepito nella sua singolarit pu valere come oggetto semplice e se sono dati tre suoni singoli A, B e C e B percepito come suono intermedio, A potr essere valutato pi simile a B che a C. Dove qui leguale e il diverso? (p. 115). una fatica vana andare ovunque alla ricerca di elementi eguali (p. 117). In particolare, nel caso delle successioni percettive di incremento e di decremento, landare alla ricerca di parti eguali comporta un assurdit manifesta. Stumpf rafforza le proprie considerazioni con il seguente argomento: se la serie A, B, C... avesse forma Xa, Xb, Xc..., dove X rappresenterebbe lipotetica parte eguale, la struttura della progressione dovrebbe essere ricercata nelle parti a, b, e..., con conseguente regresso allinfinito (p. 116). La definizione proposta deve perci essere ribadita, cos come la priorit della nozione di somiglianza rispetto a quella di eguaglianza e della valutazione di somiglianza tra semplici rispetto a quella tra composti. Ci richiede, inversamente, che si concepisca la differenza come una differenza di grado, cio come una distanza che pu essere aumentata e diminuita in modo continuo a partire da un contenuto dato. Se si considerano i 44-45 di Esperienza e giudizio si pu notare come questa discussione dovette avere per Husserl un significato metodologico esemplare. Che la somiglianza debba essere analizzata in una egua Elementi di una dottrina dellesperienza
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glianza di parti senzaltro escluso dal modo di porre il problema. Infatti si distingue qui tra somiglianza concreta(o totale) e somiglianza trasposta (o parziale) ( 45). Con la prima si intende la somiglianza riferita a due oggetti colti nella loro globalit. Nel secondo caso invece siamo colpiti anzitutto dalla somiglianza di due parti, e la valutazione di somiglianza viene poi trasposta agli interi corrispondenti. Perci si potr parlare, nello stesso senso, anche di eguaglianza totale e di eguaglianza trasposta o parziale. Questa differenza potrebbe sembrare irrilevante solo se non si tenesse conto del contesto strettamente fenomenologico in cui essa viene proposta, nel quale occorre dare risalto alle differenze nei modi soggettivi in cui si attua il processo del confronto. Inoltre chiaro che con somiglianza totale Husserl intende la somiglianza tra semplici nella terminologia di Stumpf e che leguaglianza andr intesa come una distanza che tende a zero.
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Lidentit e il principio di individuazione Gli individui immaginari non sono individui autentici Ritorniamo ora al problema dellindividuazione: in esso in questione lidentit delloggetto. Questo appariva chiaro persino dal nostro tentativo iniziale di definizione. Le propriet individualizzanti saranno appunto quelle propriet che contraddistinguono loggetto da ogni altro e che lo determinano dunque nella sua identit. Ed chiaro, anche, che in rapporto a queste propriet non sorgono problemi se non nel caso estremo della eguaglianza. Se un oggetto in tutto e per tutto eguale ad un altro, che cosa fornisce in questo caso il criterio della distinzione oppure, come potremmo dire pi sapientemente, il principium individuationis? Vogliamo allora proseguire la nostra discussione nello stesso modo in cui la abbiamo cominciata. Sul tavolo di fronte a Elementi di una dottrina dellesperienza
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me ci sono due bicchieri eguali. Ci significa: sarebbe molto difficile per me cogliere tra essi anche la pi piccola differenza, per quanto li osservi con cura. In certe circostanze, potrei incorrete in errore e formulare in rapporto ad essi un falso giudizio di identit. Tuttavia, ora un bicchiere si trova alla mia destra, laltro alla mia sinistra. E questo luogo che essi occupano pu valere come criterio della distinzione. Ma questa condizione sembra troppo debole. Vogliamo forse dire che se un bicchiere cambia di posto allora diventa un altro? Certamente no. Di fronte a questa possibile obiezione, faremmo ancora notate: che il bicchiere cambi di posto significa questo: il bicchiere che prima era alla mia destra, ora si trova alla mia sinistra. Agli indici spaziali, debbono essere giustapposti indici temporali. Il riferimento alla temporalit balza cos in primo piano come la determinazione individualizzante decisiva. Ancora una volta vogliamo sottolineare che tutto ci ha senso solo nella misura in cui lunicit e loggettivit del tempo esplicitamente presupposta. Di qui togliamo unovvia conseguenza nel campo dellimmaginazione: poich in esso vige unindeterminazione temporale, viene sospesa anche lazione del principium individuationis. La sensazione che fosse privo di senso chiedere se il Pollicino di una fiaba fosse veramente lo stesso Pollicino dellaltra era giustificato dal fatto che il mondo della prima, dunque il suo tempo, il suo spazio, gli eventi che accadono in esso, un mondo a s stante, che non ha nulla a che vedere con il nostro mondo, e nemmeno con quello di altre fiabe. Ogni fiaba sta per conto suo. Certo, questa pu sembrare, e del resto possiamo addirittura ammettere che lo sia senza rimetterci nulla, soltanto una versione sofisticata del tema elementare della libert dellimmaginazione. Il motto dellimmaginazione : Fa come vuoi!. Che una fantasia sia totalmente chiusa rispetto ad ogni altra, ed il modo in cui essa lo , ci consente di affermare, nello stesso tempo, che essa pu essere considerata come totalmente aperta. La mancanza di connessione, lacontestualit consiste appunto nellassenza di contesti, ma anche, che lo stesso, nella possibilit di istituire contesti a piacere. Elementi di una dottrina dellesperienza
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Alla domanda sullindividuazione siamo liberi di dare una risposta qualunque. Si tratta, nella seconda fiaba, dello stesso Pollicino? Ebbene, possiamo decidere che sia cos. La fiaba termina nel punto in cui termina, e termina assolutamente. Ma allora possiamo anche continuarla. Tutta la nostra tematica precedente mostra ora il suo rovescio. Abbiamo parlato di isolamento assoluto e di non integrazione. Ma allora possiamo integrare la fiaba in un modo qualunque. Due fiabe formano mondi a s stanti: ed allora possiamo congiungerle luna con laltra. Se si determinano incongruenze potremo sempre ricorrere a qualche accorgimento opportuno: ma pu essere anche che esse non ci disturbino affatto. Pollicino, ad esempio, nasce anche nella seconda fiaba. Ed un bambino potrebbe protestare: ma come! Non era gi nato? E noi possiamo rispondere: infatti, era gi nato. Qui c una ripetizione. Oppure: ora Pollicino nato unaltra volta. Del resto, tutto gi dentro lesempio del cavallo alato. I cavalli non hanno le ali. Questo, invece, ce le ha. Gli individui della fantasia non sono individui autentici e quindi non hanno propriet nello stesso senso in cui le hanno gli individui reali. Pollicino aveva una sorella? Questo la fiaba non lo dice. Ma non lo tace. Essa interamente priva di lacune ed attraversata da mille lacune. Per questo non possiamo dire di non sapere se Pollicino avesse o non avesse una sorella. Dobbiamo rinunciare alla certezza del tertium non datur .Almeno questo infatti dovremmo sapere: che, comunque stiano le cose, o Pollicino aveva una sorella o non laveva. Tuttavia di questo potremmo essere certi solo se Pollicino non fosse unevanescenza dellimmaginazione. Sarebbe comunque sbagliato ritenere che con ci verrebbe compromessa la generalit della logica. Viene invece messo in chiaro quello che potremmo chiamare il suo presupposto di mondo. Per lo stesso fatto che sono operanti nella logica i concetti di verit e di falsit, quando in essa parliamo di individui o di oggetti in generale, di propriet in generale, di eventi e di mondi possibili in generale, quando, nella logica, ci eleviamo alla massima generalit e oggettivit formale, in cui ogni riferimento alla nostra realt viene tolto, tuttavia qualcosa di questo Elementi di una dottrina dellesperienza
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riferimento deve continuare a sussistere. Il terreno delle posizioni dessere deve essere comunque presupposto. La logica presuppone che ci sia qualcosa. Annotazione Spunti consistenti per il contenuto dei 5-7, nel quadro del tema husserliano dalla neutralizzazione delle posizioni dessere, si trovano con particolare chiarezza nel 39-40 di Esperienza e giudizio. Di acontestualit (Zusammenhanglosigkeit) si parla, in particolare, nel 39. Mentre tutte le percezioni confluiscono in ununit in rapporto alle oggettivit in esse intenzionate e sono riferite allunit di un mondo, le oggettualit fantastiche cadono fuori da questa unit... (Erfahrung und Urteil, Hamburg, Claassen Verlag, 1964, p. 195). E tuttavia esse non hanno un nesso n tra loro, n con le percezioni. Il centauro che ora immagino e un ippopotamo che ho immaginato in, precedenza, ed inoltre il tavolo che percepisco or ora, non hanno alcun nesso tra loro, cio non hanno alcuna posizione temporale luno rispetto allaltro (p. 195). Ma una cosa manca necessariamente alla mera finzione, qualcosa che caratterizza gli oggetti realmente esistenti: la posizione temporale assoluta il tempo reale in quanto essere dato effettivamente e assolutamente una volta per tutte del contenuto individuale in forma temporale (p. 197). Formazioni unitarie della fantasia sono certamente possibili, ma non appartiene allessenza delle fantasie che esse debbano presentarsi in una concatenazione: Fantasie separate non hanno a priori alcun nesso necessario (p. 198). Nel 40 il tema dellacontestualit intrecciato con quello dellindividuazione. Nellessenza di due fantasie qualunque non affatto insito che esse richiedano lunificazione in una fantasia (p. 201). Infatti le cose, i processi, le realt in un mondo non hanno nulla a che vedere con Elementi di una dottrina dellesperienza
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quelli dellaltro (p. 201). In rapporto alle loro componenti possiamo parlare di eguaglianza e di somiglianza, ma mai di identit, cosa che non avrebbe alcun senso; e quindi non possono presentarsi incompatibilit stringenti, che presupporrebbero tale identit. Ad esempio, non ha alcun senso chiedere se Gretel in una fiaba e Gretel in unaltra sia la stessa Gretel, se ci che viene immaginato e detto per luna sia o non sia in accordo con ci che viene immaginato per laltra, ed anche se esse siano imparentate, ecc. Certo, io lo posso stabilire e lassumerlo gi uno stabilire, ma allora le due fiabe si riferiscono al medesimo mondo (p. 202). Nel mondo reale nulla resta aperto, esso come ... Nessuna fantasia si trova al termine... (p. 202). In ci che stato esposto implicito che lindividuazione e lidentit dellindividuale, cos come la possibile identificazione su di essa fondata possibile solo allinterno del mondo dellesperienza possibile, sulla base della posizione temporale assoluta (p. 203).
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Digressione: critica delle posizioni di Sartre A questo punto della nostra esposizione possiamo concederci una digressione sulla posizione espressa da Sartre nella sua opera giovanile dedicata allimmaginario, soprattutto perch essa ci fornisce un ottimo termine di confronto per dare maggiore forza ad alcuni aspetti caratteristici dellimpostazione che abbiamo seguito. Fra le ragioni di questo nostro interesse vi indubbiamente il fatto che Sartre ha fortemente posto laccento sulla posizione di Husserl e afferma senzaltro di condurre una ricerca intorno alla coscienza di immagine anzitutto con lausilio del metodo fenomenologico. La nostra insistenza su una descrizione fenomenologica orientata verso il rilievo di differenze strutturali, in contrapposizione ad ogni qualificazione psicologico introspettiva, appare allora assai meno ovvia di quanto possa Elementi di una dottrina dellesperienza
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sembrare ad un primo sguardo. Infatti, non necessario andare molto lontano nella lettura del testo di Sartre per rendersi conto che ci che egli chiama metodo fenomenologico e di cui rivendica la diretta ascendenza husserliana non che il vecchio metodo dellosservazione interna. Secondo Sartre, per introdurre il metodo baster distinguere tra coscienza riflessa e coscienza irriflessa ad esempio tra latto percettivo che ha come oggetto un albero e latto che ha come oggetto questa percezione. Cos se il problema quello di una fenomenologia dellimmaginazione, baster produrre unimmagine, ad esempio quella del nostro amico Pietro e riflettere su ci che accade nella nostra testa in quel momento. Secondo Sartre ci che otteniamo in questo modo sono dei dati che egli ritiene di poter senzaltro identificare con i dati fenomenologici evidenti di cui parlava Husserl, mentre lunica cosa realmente evidente che si tratta proprio dei dati dellintrospezione unespressione che del resto ricorre anche nel testo come equivalente a dati della riflessione[1]. La distinzione tra coscienza riflessa e coscienza irriflessa ha, daltro lato, le sue origini lontane nellempirismo classico e ci tanto pi merita di essere sottolineato per il fatto che Sartre ritiene di dover avviare la propria ricerca con la sua ben nota critica dellillusione di immanenza di cui egli vede il prototipo nella posizione di Hume. Il fatto strano che, mentre una critica dellillusione di immanenza pu essere fatta dipendere in Husserl dalla critica del fenomenismo e del metodo introspettivo, Sartre ben lontano dal sospettare lesistenza di una simile connessione e procede come se lerrore dipendesse soltanto da una lettura erronea dei dati della riflessione. Tuttavia, poich pi che al problema filologico, siamo qui interessati ad un confronto diretto intorno ai problemi, converr attirare lattenzione, non tanto sulla questione del metodo, quanto su alcune conseguenze della sua applicazione. Si rammenter che anche noi abbiamo parlato di quasiosservazione, impiegando un termine caratteristico di Sartre: la nostra intenzione era, tuttavia quella di contrassegnare non unaffinit, ma una contrapposizione. opportuno comunque non lasciare la cosa nel vago. Il tema della quasi-osservazione con Elementi di una dottrina dellesperienza
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nesso in Sartre alla critica dellillusione di immanenza. Se limmagine fosse una percezione rinascente, allora un cubo immaginato potrebbe essere osservato nello stesso modo di un cubo percepito. Invece non lo pu, e noi potremmo indicare la differenza tra il dato immaginato e il dato percepito dicendo: Limmagine non ci insegna nulla [2]. Nel contesto della nostra impostazione; la questione si riduce, come si visto, ad una questione di grammatica filosofica intorno al verbo osservare, strettamente dipendente dalla caratteristica generale della libera posizione di un contenuto nella forma del come-se. Altrimenti stanno le cose in Sartre. Se non riusciamo a contare il numero delle colonne del Partenone nella sua immagine, ci dipende anzitutto dalla qualit, dellimmagine stessa: essa si presenta come un contenuto sfuggente, non chiaramente articolato, che in luogo di presentarsi prospetticamente, offrendosi cos ad una percezione capace di prenderla in esame, si presenta globalmente allintuizione, offre in un colpo solo quello che [3]. Limmagine non tollera di essere vista pi da vicino, ed anche limmagine pi chiara diventa subito labile e confusa se tento di osservarla e di venire a sapere qualcosa da essa. del resto gi molto indicativo dellorientamento assunto dal problema il fatto che gli esempi che ricorrono fin dallinizio sono anzitutto esempi di immagini intese come riproduzioni mentali di qualcosa di ben conosciuto o che abbiamo visto poco fa. Ora vedo il foglio di carta bianca di fronte a me. Poi volgo la testa da un lato e cerco di immaginare proprio quel foglio. Sartre, in altri termini, in conformit con tutta una tradizione filosofica, considera limmaginazione come un titolo generale, sotto il quale si possono poi distinguere, come casi speciali, le immagini memorative e le immagini nel senso di contenuti liberamente prodotti, indipendentemente da un rimando memorativo. Ma questo modo di impostare il problema dipende direttamente da una nozione dellimmaginare inteso come una specie particolare di visualizzazione. Limmagine non altro che una debole allucinazione. Perci deve avere perfettamente senso non riuscire ad immaginare qualcosa altrimenti limmaginare non potrebbe essere distinto dal pensare, dalla comprensione vuota del si Elementi di una dottrina dellesperienza
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gnificato di una parola. Le nostre osservazioni intorno allimmaginare ed al supporre non potrebbero assolutamente risultare convincenti assumendo un simile punto di vista, ma proprio per il fatto che in esso ci si attiene strettamente ad una nozione di immagine connessa alla visualizzazione, e dunque intesa come un contenuto mentale di una certa specie. Perci Sartre non pu evitare di impiegare il termine di immagine mentale[4], sia pure circondandolo di qualche riserva concernente i possibili equivoci dellillusione di immanenza. Il problema della ricerca del cosiddetto rappresentante analogico, su cui si affaccenda lintera seconda parte dellopera di Sartre, sorge direttamente da questo modo di concepire limmagine. La discussione che induce alla posizione del problema comincia con la messa in questione del rapporto istituito dallimmagine intesa nel senso di raffigurazione. Questo inizio pu sembrare abbastanza curioso in unindagine che attribuisce tanto rilievo alla critica dellillusione di immanenza e dunque ad una critica di una concezione secondo cui loggetto immaginato sarebbe da intendere come un oggetto che si trova dentro la coscienza. Questa critica deve naturalmente respingere la stessa concezione anche nella sua forma pi debole: dentro la coscienza non vi nemmeno una copia della cosa data in immagine. Ci resta vero anche secondo limpostazione di Sartre. Le immagini mentali non sono ritratti delle cose presenti nella coscienza. Eppure ci non toglie che alla domanda se latteggiamento della nostra coscienza di fronte ai ritratti, alle fotografie, a ci che noi abbiamo chiamato raffigurazioni, sia assimilabile a quello che essa assume nel fenomeno dellimmagine mentale [5] si debba rispondere positivamente: il ritratto costituisce cos un riferimento esemplare per lindagine di Sartre. Abbiamo qui un fenomeno visivo-percettivo, nel quale possiamo chiaramente distinguere la rappresentazione raffigurativa ed una materia che serve come sua base. Questa circostanza, che dal nostro punto di vista potrebbe essere citata proprio come una caratteristica tendente a differenziare luna nozione di immagine dallaltra, diventa invece il tratto comune che tutte le immagini Elementi di una dottrina dellesperienza
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debbono avere: ci che caratterizza la loro essenza. Prendiamo dunque le mosse dal ritratto proprio perch in questo caso, possibile addirittura unapprensione che isoli il momento materiale il dato semplicemente percettivo dal momento raffigurativo. In altri casi pu accadere che questa distinzione non si presenti in modo cos netto e chiaro: e tuttavia essa deve essere comunque proposta per ogni specie di coscienza di immagine, quindi anche nel caso delle immagini mentali. Qui la materia certamente pi difficile da determinare; ma evidente che anche in essa ci deve essere una materia [6]. Lo sviluppo successivo determinato da questo inizio. A partire di qui, infatti ci accingiamo ad esaminare diversi tipi di immagini, scelti in modo tale da esibire un progressivo assottigliamento della materia. Le considerazioni relative alle raffigurazioni ci forniscono la concezione generale secondo la quale limmagine si d in un atto che concerne un oggetto assente o inesistente, attraverso un contenuto fisico o psichico che non si d in proprio, ma a titolo di rappresentante analogico delloggetto [7]. Quindi passiamo a considerare, dopo alcune notazioni sul segno e sullimmagine-raffigurazione, la coscienza delle imitazioni. Il caso del mimo rappresenta un primo esempio di immagine in cui la materia e impoverita. Nellimmagine prodotta dal mimo, i suoi gesti, la sua persona, i suoi movimenti, formano la materia percettiva dellimmagine stessa. Tuttavia si tratta di una materia pi povera che nel caso del ritratto perch il ruolo pi importante non pu essere svolto dalla somiglianza in senso letterale. Saranno allora messi in gioco contrassegni e rimandi schematici di vario tipo oltre che la capacit da parte del mimo di ridestare ci che Sartre chiama il senso effettivo di ci che viene imitato. Un ulteriore impoverimento si ha nel caso dei disegni schematici. Lorientamento introspettivo dellindagine diventa qui particolarmente evidente per il fatto che Sartre cerca una spiegazione per la formazione delle immagini, in particolare, nelle sensazioni interne di movimento. Per Sartre non c dubbio che, se prestiamo lattenzione necessaria, nella riflessione che stiamo compiendo, sentiamo ruotare i globi oculari nelle nostre orbite [8]. Queste sensazioni, insieme alle linee del Elementi di una dottrina dellesperienza
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disegno, svolgono quella funzione di rappresentanza analogica senza la quale non si darebbe alcuna immagine. Seguendo questa via, attraverso i casi dei volti visti attraverso le fiamme o nelle macchie dei muri e quelli delle immagini del dormiveglia, ci innalziamo sempre pi nella serie delle coscienze immaginative e la materia si impoverisce sempre pi. Al punto estremo di questa serie troviamo limmagine nel senso della rappresentazione mentale: in rapporto ad essa lanalisi fenomenologica (intesa persino come analisi introspettiva) non esibisce alcuna materia, per quanto povera e indeterminata. Questo fatto, che ci dovrebbe finalmente liberare dal problema, invece. per Sartre il punto della difficolt. Da un lato non riusciamo a reperire nessun rappresentante analogico delloggetto. immaginato. Dallaltro sappiamo che un rappresentante analogico ci deve essere, dal momento che limmagine mentale non va studiata a parte [9]. Il problema della materia deve dunque essere mantenuto: solo che esso non pu essere risolto sul piano fenomenologico. Di quella difficolt possiamo forse sperare di venire a capo proseguendo la nostra indagine sul terreno della psicologia sperimentale. Tutto ci sembra sufficiente per stabilire una chiara tendenza di lettura dellopera di Sartre. Naturalmente essa non pu prescindere dal punto di vista critico conseguente al nostro impianto teorico interamente diverso. Nello stesso tempo, lefficacia eventuale della critica rappresenterebbe una sorta di conferma indiretta dallimpostazione che abbiamo proposto. A questo scopo potrebbero naturalmente essere richiamati numerosi altri aspetti della tematica di Sartre, ed in particolare meriterebbero di essere discussi proprio quegli aspetti che sembrano portare molto vicino alle nostre tesi. Ad esempio, anche in Sartre si presenta la tematica della indeterminazione temporale e dellindividuazione. Gi nel trattare della coscienza delle imitazioni egli parla di una indeterminazione fondamentale delle immagini [10]. Ed accenna al fatto che di questa indeterminazione ce ne dovremo ricordare quando, pi oltre, studieremo le immagini mentali [11]. Ma egli allude qui al fatto che le qualit della persona imitata non possono che presentarsi, nella ricreazione imitativa operata dal mimo, in un modo relativamente va Elementi di una dottrina dellesperienza
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go e fluttuante. Tanto pi questa indeterminazione dovr ripresentarsi nel caso delle immagini mentali: qualunque cosa funga qui da rappresentante analogico, certamente essa non potr avere la consistenza di unesteriorit concretamente percepibile. A ci Sartre ricollega la mancanza di unindividualit autentica degli oggetti immaginativi: questi oggetti so no fantasmi, sono oggetti ambigui, sfuggenti, in parte loro stessi e altra cosa... [12]. Io credo che non ci si debba sorprendere se nonostante la critica iniziale dellillusione di immanenza, una filosofia dellimmagine che la propone anzitutto come una debole allucinazione, finisca con lattribuire ad essa parlando di continuo della povert essenziale, dellambiguit, dellopacit delle immagini caratteri di vaghezza e di labilit in un senso non molto diverso da quello in cui sono stati teorizzati dalla tradizione empiristica. Ma naturalmente non possiamo concludere la nostra digressione passando sotto silenzio il punto in cui la posizione di Sartre si approssima alla costruzione di un vero e proprio sofisma che destinato peraltro ad avere una fondamentale importanza nelle conclusioni dellopera e nel passaggio alla tematica esistenzialistica. Esso trova formulazione in ci che Sartre indica come terza caratteristica della coscienza di immagine questa pone il suo oggetto come un nulla [13]. Prendiamo le mosse dallaffermazione generale secondo cui allesistenza di un oggetto per la coscienza corrisponde noeticamente una tesi o posizione di esistenza, per sottolineare che la tesi della coscienza immaginativa radicalmente diversa dalla tesi di una coscienza realizzante [14]. Ma il fatto che, secondo Sartre, si tratta pur sempre di una tesi; e la differenza radicale consisterebbe in questo: nel primo caso vengono poste realt, nel secondo irrealt. Ecco allora che limmagine d il suo oggetto come un nulla dessere [15]. Ho unimmagine di Pietro equivale a dire non soltanto non vedo Pietro, ma anche non vedo nulla [16]. Il sofisma sta proprio in queste pretese equivalenze di senso. Per dipanarlo bastano certamente le poche cose che abbiamo osservato in precedenza: immaginare qualcosa non ha affatto il senso di porre qualcosa che non c. Immaginare Pietro non una sorta di giudizio implicito sullassenza di Pietro. Elementi di una dottrina dellesperienza
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Tanto meno possiamo dire, quando immaginiamo Pietro, di non vedere nulla. I filosofi sono talvolta simili a selvaggi diceva Wittgenstein che ascoltano parlare gli uomini civili senza capirne il linguaggio e di conseguenza fanno strane congetture [17]. Gli uomini civili siamo naturalmente tutti noi, quando non flosofiamo (come selvaggi). Ed allora, in quali circostanze noi, uomini civili, diremmo di non vedere nulla? Io penso: quando qualcuno, allimprovviso, spegne la luce. Invece, quel sofisma permette a Sartre di elevarsi ben al di sopra di queste piattezze per preparare le enfasi conclusive della coscienza che pone il Nulla che andr scritto, alla fine, proprio cos, con la lettera maiuscola; le enfasi sullimmaginazione come condizione di possibilit di una coscienza in generale [18]; il passaggio, infine, a partire da una tematica che avanza in pi di un punto la pretesa di volersi attenere al procedere sicuro dellindagine psicologica, ai motivi esistenzialisti che saranno alla base de LEssere e il Nulla.
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Passaggio ad un nuovo ambito di problemi: limmaginosit dellimmaginazione Una diversa accezione del termine immagine Richiamo allassociazione delle idee Introduzione della nozione di sintesi immaginativa Limmaginazione produce immagini. Ma fin qui con immagine abbiamo sempre inteso soltanto il correlato di un atto immaginativo. Tutti i nostri argomenti precedenti si aggiravano intorno ad un unico nucleo tematico: e questo era essenzialmente determinato dal riferimento dominante alle immagini in questa prima accezione. Tuttavia limmaginazione produce immagini anche in un altro senso, che deve essere nettamente distinto dal precedente e che portatore di una tematica volta in tuttaltra direzione. Nella terminologia relativa allimmaginazione, non disponiamo sol Elementi di una dottrina dellesperienza
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tanto dellaggettivo immaginario, ma anche dellaggettivo immaginoso. Potremmo dire allora che la tematica sviluppata fino a questo punto aveva a che fare con limmaginariet dellimmaginazione piuttosto che con la sua immaginosit. Per questo motivo, il nostro esame ha dato un rilievo centrale alla neutralizzazione delle posizioni dessere, e dunque allindeterminazione temporale, come caratteristica dominante dei contenuti immaginativi come tali. Con ci si metteva in risalto limmaginazione in quanto facolt che supera la dimensione sintetica dellesperienza sensibile. La possibilit di formare contesti nellambito dellimmaginazione rinvia essa stessa ad unacontestualit di principio. Se ora consideriamo limmaginosit dellimmaginazione il quadro stesso del problema muta completamente. Spesso ci accade di fare uso di espressioni immaginose: il nostro richiamo dunque diretto anzitutto a certi determinati fatti linguistici, che possono del resto essere di genere molto vario. Tuttavia non ad essi che intendiamo dedicare la nostra attenzione. Questo richiamo ci serve solo come un modo di introdurre la nostra nuova tematica. Le espressioni immaginose si chiamano cos perch contengono immagini, e basta una superficiale considerazione di esempi per rendersi conto che qui parliamo di immagini in un senso del tutto diverso dal precedente. Ci a cui ora siamo interessati il modo in cui si esplica la funzione dellimmaginazione in quanto produce immagini in questa seconda accezione. In rapporto ad esse forse pi che altrove pu sembrare appropriato il mettere in questione fin dallinizio lassociazione delle idee: la passione evoca il fuoco, e perci possiamo parlare di passione ardente oppure dellardere appassionato del fuoco. Per quanto si possano cercare esempi pi sofisticati, sembra tuttavia che alla base delle immagini, prescindendo dai loro modi di costruzione che possono essere altrettanto vari quanto sono varie le regole dellassociazione vi sono sempre nessi associativi. Tuttavia il termine di associazione in se stesso insegna ben poco: noi ne abbiamo gi fatto un uso, trattando della tematica della percezione e del ricordo un uso prudente proprio perch Elementi di una dottrina dellesperienza
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esso deve essere inteso di volta in volta in modo strettamente dipendente dal quadro dei problemi che siamo andati via via considerando. Talvolta abbiamo parlato di associazioni per indicare le sintesi in genere, le sintesi percettive cos come le sintesi che stanno alla base delle catene di ricordi oppure che dnno origine ad attese percettive ed alla formazione di abitualit. Il modo di proporre il problema rendeva giustificato questo impiego e toglieva di mezzo eventuali ambiguit. La stessa cosa accade ora nel riprendere questo tema in rapporto allimmaginazione. Potremmo parlare delle immagini, nella nuova accezione, richiamandoci senzaltro allassociazione delle idee, ma allora abbiamo bisogno di qualche chiarimento preliminare. Infatti, se intendiamo lassociazione come una pura e semplice giustapposizione di contenuti secondo connessioni motivazionali in un senso allincirca analogo a quello che veniva in questione nel caso delle catene di ricordi, indubbiamente ci muoveremmo in una direzione sbagliata. Pi giusto sarebbe il richiamo alla fusione della, scena memorativa nella scena presente, che induce in essa un arricchimento di senso, senza che vi sia alcun ricordo esplicito e dunque nemmeno un effettivo rapporto di connessione motivazionale nel quale si possa chiaramente distinguere tra lelemento motivante e lelemento motivato. In effetti limmaginazione, nel suo produrre immaginoso, non opera una semplice giustapposizione di contenuti, ma una vera e propria assimilazione reciproca. Nel fuoco vediamo, in trasparenza, la passione. Nella passione, il fuoco. Per questo, dal punto di vista da cui ci disponiamo, non sarebbe molto utile mettere senzaltro avanti la distinzione tra un senso proprio ed un senso immaginativo nella parola che fa da veicolo allimmagine. Questa distinzione naturalmente giusta: solo che non si vede in che modo essa possa apportare un effettivo chiarimento rispetto alla funzione immaginativa che qui in opera. Infatti laccento deve cadere sul trapassare dei contenuti luno nellaltro, sullindistinzione e sulla fusione. Indubbiamente abbiamo a che fare con una duplicit: ma essa non pu essere intesa come unambivalenza fortuita, come un divergere di significati nella Elementi di una dottrina dellesperienza
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stessa parola. I significati invece convergono nel punto in cui sorge limmagine. in questo punto il senso proprio diventa cangiante, e tuttavia deve essere ancora vivo, altrimenti limmagine stessa si spegne. Proprio perch lunificazione avviene in questo modo, forse opportuno riservare il termine di associazione di idee, solo alle strutture di concatenazione tra contenuti in genere, parlando invece delle immagini nellaccezione che ora prendiamo in considerazione come risultati di sintesi immaginative. In effetti, mentre la. problematica dellimmaginariet ci poneva di fronte al carattere antisintetico dellimmaginazione, la tematica dellimmaginosit pone in primo piano limmaginazione in quanto facolt di produrre sintesi che solo essa in grado di operare.
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Le cose della percezione in quanto sono vissute secondo una piega immaginativa Per cogliere la problematica elementare delle sintesi immaginative non dobbiamo considerare limmaginazione che unifica idee fluttuanti nel nostro universo mentale. Dobbiamo invece rimettere in questione il rapporto tra il terreno della percezione e quello dellimmaginazione. Fin qui abbiamo insistito soprattutto su uneterogeneit di principio che esclude il sussistere tra luno e laltro di qualunque punto di intersezione. Tuttavia, proprio al fine di chiarire la nozione di sintesi immaginativa e di mostrarne alcune, articolazioni problematiche diventa importante considerare le cose che ci stanno intorno in quanto non sono semplicemente percepite e poste come sussistenti in se stesse, ma in quanto sono vissute secondo una piega immaginativa. Pensiamo alla situazione del discendere in una cantina. Pu darsi il caso che nel discendere si provi un lieve senso di inquietudine. Un certo disagio: anzi, forse, soltanto passando dinanzi alla porta che conduce ad essa. Se dovessimo in qualche modo spiegare le ragioni di questo disagio, parleremo forse delloscurit della cantina; delle sue Elementi di una dottrina dellesperienza
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pareti umide e viscide, del fatto che essa si trova sottoterra e di altre cose ancora. Ma che ragioni possono essere queste? Di una cosa possiamo elencare le propriet, ma esse non possono fare altro che circoscriverla attraverso le determinazioni di cui consiste e che possono essere constatate. La cantina oscura. E con questo? Ammettiamo allora che limmaginazione deve svolgere qui un qualche ruolo. Ma sarebbe evidentemente un errore presentare le cose come se passando davanti alla porta della cantina ci immergessimo in strane fantasticherie. In realt non accade nulla di tutto questo. La differenza del punto di vista che ora abbiamo adottato e che ci. consente di mettere in rilievo un altro aspetto della tematica dellimmaginazione appare qui dal fatto che, se con immaginare intendiamo, come in precedenza uneffettiva produzione di scene immaginative, allora sarebbe giusto dire che, nel caso in questione, non stiamo immaginando nulla. Perci vogliamo parlare piuttosto di una piega immaginativa che la situazione percettiva assume in quanto essa compenetrata di immaginazione. Se poi andiamo alla ricerca delle ragioni di quel disagio e ci richiamiamo anzitutto alloscurit, sappiamo benissimo che non si tratta di rilevare un dato di fatto da cui possa derivare qualcosa. Loscurit pura e semplice non spiega nulla. In questo modo vorremmo piuttosto accennare ad un senso da cui la cosa tutta permeata ed in cui essa tende a dissolversi. Quella porta si apre sulloscuro conduce in esso. Perci non si tratta di una propriet che fissa la cosa nella sua determinatezza: loscurit qui una determinazione instabile, unidea che ci viene in mente e sulla quale si addensano in modo indeterminato altre idee. Ci sono dunque associazioni: ma ci non significa che vi siano idee concatenate luna allaltra e la mia mente non faccia altro che passare da questa a quella. Parliamo anzitutto delloscurit: ma in realt ci riferiamo ad essa come ad una sorta di indice di direzione immaginativa. Limmaginazione si innesta su questo punto, ma non propone, a partire di qui, altri contenuti, spostandosi da un punto ad un altro punto. Essa invece imprime Elementi di una dottrina dellesperienza
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alla cosa una tendenza al movimento, si impossessa di essa per proiettarla sul piano di un dinamismo latente. In questo modo viene imboccata la via che conduce allimmagine: la cosa si trova ora avvolta da un orizzonte indeterminato di sensi fantasmagorici, viene risucchiata in una prospettiva immaginativa nella quale tende a perdere stabilit e consistenza. Essa comincia a muoversi, secondo un movimento che fa tuttuno con lazione delle sintesi, con il peso di altre idee che si fanno sentire nella forma di un richiamo allusivo. In breve potremmo dire: alla cosa viene apposto un indice di direzione sintetica dellimmaginazione: ed essa assume cos il carattere di valore immaginativo.
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La funzione valorizzante dellimmaginazione Limmaginazione sta allorigine di valori: essa fa della cosa un valore immaginativo disponendola su un altro piano e superando cos la sua dimensione di cosa. Questa funzione valorizzante dellimmaginazione, che poggia sulle sintesi immaginative, spetta originalmente allimmaginazione stessa e non, pu essere ricondotta ad un altro fondamento. La vecchia frase: da fatti non possono sorgere valori pu ben essere rammentata a questo punto. Nessuna immagine pu sorgere da un semplice. accostamento di contenuti, ma da una loro, autentica sintesi. Alla luce di ci vogliamo riprendere e chiarire meglio la questione che in precedenza era stata appena accennata e lasciata subito in sospeso la questione, cio, del modo in cui si situa, allinterno del nostro tema, la problematica dellassociazione delle idee. Supponiamo che ci venga proposto di giocare un gioco il cui compito potrebbe essere formulato cos: io nomino una cosa e tu ne nomini unaltra, la prima che ti viene in mente. Allora pu accadere, ad esempio, che io dica cantina ed un altro dica tomba. Oppure che io dica cielo ed un altro risponda fulmine. Qui vediamo una connessione. Ma pu anche accadere Elementi di una dottrina dellesperienza
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che io dica cielo ed un altro risponda corvo. Qui, invece , non vediamo nessuna connessione. Questi nostri commenti intorno al sussistere ed al non sussistere di una connessione meritano qualche riflessione. Evidentemente, in essi si distingue tra il puro e semplice venire in mente di una cosa se ne data unaltra, ed il sussistere tra una cosa ed unaltra di una qualche forma di legame. Il gioco che abbiamo proposto potrebbe essere chiamato un gioco associativo, ma questa denominazione pu essere equivoca proprio perch il fatto che due contenuti siano associati nel senso che essi compaiano insieme nel gioco, non comporta che essi siano associati nel senso che siano connessi luno allaltro secondo un legarne interno. Naturalmente possiamo senzaltro ammettere, sulla base di considerazioni compiute a suo tempo, che non sia affatto un caso se, avendo io detto cielo, laltro ha risposto corvo. Anche qui si pu porre il problema dei motivi. Noi non vediamo nessuna connessione, ma una connessione per lui deve pur esserci. Ci debbono essere delle ragioni in base alle quali questi contenuti sono per lui concatenati. Di esse noi non ne sappiamo nulla, ma lui potrebbe saperne qualcosa. Sembra allora che si possa distinguere tra nessi associativi in rapporto alla cui istituzione sono determinanti le esperienze soggettive individuali e nessi associativi in rapporto ai quali il momento soggettivo pu essere considerato relativamente irrilevante, poich il contenuto stesso agisce senzaltro da motivo per il sorgere dellaltro. Anche in rapporto alla tematica delle associazioni orientata nel campo dei problemi dellimmaginazione, sembra dunque proporsi il problemi di un fondamento contenutistico. Altrimenti non sarebbe lecito dire, in rapporto al gioco associativo: qui non c nessuna connessione. Con ci assumiamo implicitamente che il Semplice fatto che proprio il contenuto B sia venuto in mente, essendo dato A, non in grado di istituire tra quelle cose, considerate per quello che sono) una connessione interna. Esse sono connesse appunto solo nel gioco, e si potr allora aprire eventualmente il problema delle motivazioni. soggettive. Inversamente, se c una connessione, essa non pu dipendere dal puro e semplice fatto che dato A, al mio amico sia Elementi di una dottrina dellesperienza
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venuto in mente B. In questa faccenda il mio amico non centra per nulla, e la connessione dipende proprio dal fatto che i contenuti in questione sono questi e non altri. Tuttavia, non ancora chiaro in che senso parliamo, in certi casi, dellinsussistenza di un legame associativo. Prescindendo dalle circostanze di fatto del gioco e quindi dalle motivazioni soggettive, noi diciamo che tra cielo e corvo non sussiste nessun legame. Ma come facciamo a saperlo? In generale possiamo sempre immaginare. un percorso che conduca dalluna allaltra idea, interpolando contenuti intermedi, secondo una concatenazione che sia evidente di passo in passo. Sembra allora pretestuoso parlare di un fondamento contenutistico e quindi, sia pure in un senso non troppo forte, di legami oggettivi dal momento che siamo sempre in grado di trasformare un elenco di contenuti in una catena associativa. Si tratta di unosservazione che contiene molte cose giuste, anche se lopinione che essa suggerisce secondo cui larbitrio domina nel campo delle associazioni in realt erronea. Senza dubbio, non possiamo parlare del sussistere o non sussistere di un nesso tra contenuti come se si trattasse di compiere su di essi una constatazione. Proprio il fatto che possiamo sempre immaginare un percorso che conduca da un contenuto ad un altro qualunque ci avverte che le cose non stanno cos. Qui il verbo immaginare non affatto usato a caso. Istituendo un percorso non formuliamo nessuna supposizione, non formuliamo nessuna ipotesi sullesistenza di contenuti intermedi. Sostenere che vi un fondamento contenutistico delle associazioni non significa affermare che vi sia nella nostra testa un percorso oggettivamente determinato: una sorta di geografia delluniverso in cui si aggirano le idee. Anche il parlare di una complicata rete di percorsi, come se questa rete fosse in qualche modo prestabilita, conduce ad equivoci orientati nella stessa direzione. Fa pensare al problema di una corrispondenza possibile tra i percorsi che noi istituiamo e i percorsi che ci sono oggettivamente da qualche parte, come se, insomma, i percorsi che noi istituiamo siano supposizioni che hanno, bisogno di una conferma, come se nellistituire questi percorsi non facessimo altro che indovinare i tracciati di una carta muta. Elementi di una dottrina dellesperienza
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Per questo motivo non c dubbio che possiamo liberamente trasformare un elenco qualunque di contenuti in una catena associativa. Attraverso lassociazione, limmaginazione pu correre a piacere da un capo allaltro delluniverso. Ma da queste considerazioni non s pu trarre una conclusione che dissolva il problema di un fondamento delle associazioni nelle cose stesse laspetto che vorremmo chiamare oggettivo. Infatti, in esse si mantiene ferma la distinzione di principio tra elenco e catena. Stabilire un percorso tra contenuti qualunque non vuol dire affatto stabilire un percorso in un modo qualunque: non significa cio cominciare con il contenuto A, far seguire ad esso contenuti arbitrari e, ad un certo punto, aggiungere il contenuto B. In tal caso infatti non vi sarebbe alcun percorso. Questultimo deve essere giustificato in ogni suo passo. Se consideriamo un elenco come una catena, il punto essenziale che debbano essere postulate delle lacune. E linterpolazione di contenuti intermedi deve soggiacere al requisiti richiesti dalla nozione di catena: se B istituisce un nesso tra A e C, non ha certamente senso asserire che tra luno e laltro ci sia proprio B, come se il percorso ci fosse gi e noli non dovessimo far altro che metterlo allo scoperto. Un altro contenuto potrebbe andare altrettanto bene, purch, come B, sia in grado di fungere da anello di congiunzione. Lassociare idee indubbiamente faccenda dellimmaginazione. Ma se intendiamo lassociare idee nel senso ristretto che abbiamo or ora illustrato, allora dobbiamo distinguere limmaginazione associativa limmaginazione, cio, in quanto istituisce catene associative dallimmaginazione sintetica. Istituire una catena non ancora la stessa cosa che produrre quella assimilazione immaginativa, quella sintesi valorizzante che noi abbiamo riconosciuto come lorigine delle immagini. La tematica della associazione, intesa in questo modo, si trova al di qua del problema della valorizzazione. Cos, nel gioco associativo, se io dico cantina, pu darsi che un altro dica tomba ed un altro ancora: morto. Ecco dunque un esempio di catena: le sue regole potrebbero essere la somiglianza, nel suo primo passo, e la continuit, nel secondo. Nellistituire questi nessi, tutto sommato, procediamo aderendo Elementi di una dottrina dellesperienza
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ai fatti. Anche la cantina si trova sottoterra. Cos il sole potrebbe essere associato ad un occhio: essi hanno effettivamente qualcosa in comune. Per giustificare i passi di una catena possiamo talvolta ricorrere a giudizi autentici. Ma la tematica della neutralizzazione delle posizioni dessere continua a essere presente, nonostante la riformulazione che essa deve subire per via della sua subordinazione al problema della valorizzazione. Valore immaginativo e posizione dessere si trovano luno contro laltra. Se attraverso la copula viene introdotta unimmagine, essa cessa di avere un senso predicativo autentico: altrimenti nessuna immagine viene introdotta. Non basta dunque che il sole sia connesso associativamente ad un occhio: ma limmagine comincia a vivere solo se, ad esempio, sentiamo il peso del suo sguardo, se ci sentiamo ovunque spiati da esso. Alla connessione associativa deve subentrare la sintesi pseudopredicativa dellimmaginazione: il sole locchio del cielo. Lessere trapassa nel valore. E questo trapassare consiste in una vera e propria compenetrazione tra oggetti: il risultato della sintesi un oggetto di genere interamente nuovo, un oggetto cangiante che un altro da quello che proprio perch quello che . N sole. n occhio ma luno e laltro insieme, e luno attraverso laltro. Tuttavia, dopo che si sottolineata lirriducibilit della funzione valorizzante dellimmaginazione importante notare che essa poggia anzitutto su associazioni. Una pietra effettivamente solida, dura, pesante. La pioggia viene proprio dal cielo, bagna la terra e senza di essa i semi non germinano. Il cielo effettivamente alto, altissimo addirittura, e luminoso. Di qui, da fatti, si traggono immagini.
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La nozione dellunit e del contrasto immaginativo Equivalenza e polivalenza di valori immaginativi Le anticipazioni dellimmaginazione Se consideriamo la nozione dellunit e del contrasto immaginativo, la distanza che separa la cosa e il valore immaginativo apparir con chiarezza anche maggiore. Come abbiamo osservato or ora, lassociazione delle idee sta in ogni caso alla base delle sintesi immaginative, anche se limmaginazione sintetica caratterizzata in primo luogo da una funzione di valorizzazione. Indubbiamente, in questo modo si fa valere la necessit di un appiglio della stessa funzione valorizzante nelle determinazioni materiali delle cose. importante anche per limmaginazione che una cosa abbia certe propriet piuttosto che altre. Ad esse infatti essa appone i propri indici di direzione. Tenendo conto di ci, il campo dellimmaginazione appare attraversato da direzioni di movimento che entrano in complessi rapporti di unit e di contrasto. Ovunque si fanno valere relazioni di reciprocit o di equivalenze immaginative; i contenuti valorizzati si organizzano in sistemi di valori definiti, nella loro unit, dalla convergenza delle direzioni immaginative. Ma pu accadere anche che si diano conflitti e contrasti, modi pi o meno complessi di intersezione tra sistemi di valori che rimandano a loro volta al divergere delle direzioni immaginative. Queste tensioni interne al campo delle immagini sono un portato della stessa funzione valorizzante e in nessun modo esse possono essere ricondotte al terreno, per cos dire, sottostante delle esistenze fattuali. Su questo terreno ha senso parlare dellunit delle propriet di una cosa solo in riferimento allunit della cosa stessa di cui esse sono le propriet. Vi qui un accordo, che tuttavia solo un accordo congiuntivo che rimanda alloggettivit costituita nel suo essere nella predicazione. Nella cosa coesistono queste e queste altre propriet. Tuttavia la cosa non entra nel campo dellimmaginazione nella totalit delle sue determinazioni concrete, Se abbiamo dato Elementi di una dottrina dellesperienza
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un senso immaginativo ad uno specchio, non per questo abbiamo dato di conseguenza un senso immaginativo alla sua cornice. Qualcosa del nostro discorso sulla disaggregazione immaginativa continua a restare alla base. anche della tematica delloperare sintetico dellimmaginazione. In rapporto allunit della consistenza fattuale delle propriet nella cosa, limmaginazione opera anzitutto una scissione essa si appiglia ad un aspetto della cosa per risolverla in questa sua determinazione valorizzata. Tutto il resto, tutto ci che c nella cosa e intorno ad essa, non conta per limmaginazione. Oppure, se conta, allora abbiamo altre direzioni possibili di valorizzazione. Sugli aspetti della cosa, che formano in essa una unit, si aprono molteplici prospettive dellimmaginazione. La cosa si scinde nei suoi valori immaginativi. Da questa polivalenza limmaginazione pu trarre profitti, mettendo in gioco questa molteplicit di prospettive in quanto esse, a loro volta, sono disposte secondo rapporti di unit e di contrasto immaginativo. Ma ci non significa affatto che allimmaginazione quel che pi importa sono proprio le determinazioni contraddittorie delle cose. Quasi che limmaginazione avesse una logica sua propria che deve essere contrapposta alla logica dei ragionamenti. Ben pochi, parlando della polivalenza, rinunciano a speculare su di essa, ammiccando intorno con laria di chi accenna ad un grande mistero. Mentre chiaro che nelle cose non vi sono affatto determinazioni contraddittorie e se parliamo di un contrasto, di una contraddizione, allora abbiamo gi adottato il punto di vista dellimmaginazione. Perci non vi dubbio che se da un lato ha senso parlare di una logica dellimmaginazione, dallaltro non avrebbe affatto senso contrapporre questa logica alla logica dei ragionamenti. Nel caso delle equivalenze e delle polivalenze immaginative, tetto si riduce al riconoscimento che la differenza nellessere non pu decidere nulla sullunit del valore immaginativo; e inversamente, pu essere solo un caso se il sussistere di un legame di fatto rappresenti un legame anche per limmaginazione. Pu accadere, ad esempio, che una persona sia intelligente e alta di statura. Ma per limmaginazione questa congiunzione si risolve nella fusione che caratterizza le sintesi immaginative. Elementi di una dottrina dellesperienza
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Lintelligenza immaginativamente inclusa nellalta statura, e inversamente luna sta nelle pieghe immaginative dellaltra. E beninteso, indipendentemente da ogni. esperienza passata nessuno, penso, vorr sostenere che questo legame derivi di qui. In questo limmaginazione autenticamente produttiva in un senso che da un punto di vista empiristico sarebbe del tutto incomprensibile: qui infatti la tematica dellassociazione, anzich essere orientata secondo il problema della valorizzazione immaginativa, conduce ad una concezione dellimmaginazione come facolt meramente combinatoria che ha il solo vantaggio di essere coerente con gli assunti di principio. Talvolta simili legami assumono la forma di attese paradossali. Ci che giace nella piega immaginativa viene anticipato nella determinazione valorizzata: e lanticipazione pu essere delusa o confermata. Apprezzeremo tanto pi lintelligenza di una persona se oltretutto, essa alta. Pu accadere invece che la situazione opposta ci deluda, che in essa si colga leffetto di un contrasto [19]. Nella valorizzazione di un contenuto abbiamo in effetti a che fare con qualcosa di simile alle protenzioni della percezione. La differenza la si coglie nel risultato della conferma. Nel caso delle sintesi della percezione le conferme stabilizzano loggetto che si costituisce in esse nella sua identit dessere, mentre nel caso delle sintesi immaginative la conferma assume essa stessa un carattere paradossale: da un lato essa. avviene sul piano delle posizioni dessere, sul piano delle constatazioni e degli accertamenti; dallaltro ci che viene constatato anticipato soltanto come valore immaginativo. Ci che viene rafforzato dalla conferma non dunque loggetto nella sua identit di cosa, ma la sua appartenenza al campo dei valori immaginativi. La consistenza di fatto di aspetti che stanno fra loro in un rapporto di reciproca inclusione immaginativa consolida la sua evanescenza di immagine. Nel disagio di fronte alla porta della cantina, forse ci attendiamo il morto. Ma tanto pi quella cantina appartiene allimmaginario se sappiamo che in essa realmente seppellito un morto.
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Riconsiderazione della tematica delle sintesi immaginative in rapporto al problema del simbolismo Una prima accezione del termine simbolo La differenza rispetto ai contrassegni ed alle raffigurazioni Vi sono vari elementi nella tematica delle sintesi immaginative che suggeriscono la possibilit di riconsiderarla dal punto di vista del problema del simbolismo. Per impostare questa discussione secondo la prospettiva che qui ci interessa utile far riferimento ad una prima accezione del termine simbolo che potremmo formulare cos: con simbolo intendiamo un peculiare rapporto rappresentativo tra una cosa ed unaltra che ha alla sua base un nesso associativo. In questa definizione si attira lattenzione anzitutto sul fatto che, quando parliamo di simboli in questa prima accezione, dobbiamo essere in grado di distinguere con chiarezza da un lato la cosa che funge da rappresentante, dallaltro la cosa rappresentata. Da un lato il simbolizzante, dallaltro il simbolizzato. Ma naturalmente non ci possiamo limitare a questo: dobbiamo precisare in che cosa consista la peculiarit del rapporto simbolico di cui si parla nella definizione. In particolare, potremo ritenere di aver operato una caratterizzazione sufficiente ai nostri scopi se riusciremo a contraddistinguere la relazione rappresentativa che vogliamo chiamare simbolica rispetto alla relazione di raffigurazione ed a quella di contrassegno. Delluna e dellaltra abbiamo parlato a suo tempo, ed alcune delle nostre osservazioni debbono essere richiamate a questo punto. Di una certa figura in un dipinto possiamo dire che essa raffigura un vecchio, guardando il dipinto vediamo senzaltro di che si tratta e non abbiamo bisogno di altre spiegazioni. Nel caso dei contrassegni, invece, il sussistere di una relazione rappresentativa deve essere il risultato di una stipulazione esplicita. Se una cosa assunta a contrassegno di unaltra, di ci dobbiamo essere informati. La cosa stessa non ci d, a questo proposito, alcuna informazione. Elementi di una dottrina dellesperienza
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Supponiamo ora di trovarci di fronte ad un dipinto che raffigura un vecchio. E qualcuno ci informa che il vecchio, qui, rappresenta la saggezza. un simbolo di essa. Ci non lo avremmo potuto capire da noi. In questo dunque il simbolo si contraddistingue dalle raffigurazioni: il simbolizzante non esibisce senzaltro il simbolizzato. Deve esserci una stipulazione e prima di essa il simbolo non sussiste. Naturalmente pu anche accadere che, indipendentemente da uninformazione esplicita che ci viene dallesterno, noi giungiamo alla conclusione che una certa figura debba essere intesa come un simbolo. Pu accadere, ad esempio, che la scena rappresentata nel dipinto risulti incongruente se consideriamo le figure come pure e semplici raffigurazioni mentre, interpretandole come simboli, essa mostri di avere un senso. Ci non muterebbe tuttavia la sostanza delle cose, dal momento che quando diciamo che il rapporto simbolico deve essere il risultato di una stipulazione, e di essa dobbiamo essere informati, intendiamo essenzialmente sottolineare che il simbolizzato non si mostra senzaltro nel simbolizzante. E dunque pu essere necessaria uninterpretazione. Con ci approssimiamo la relazione simbolica a quella di contrassegno. La differenza dei simboli rispetto ai contrassegni tuttavia altrettanto netta, ed essa potrebbe essere formulata cos: in rapporto a ci che noi vorremmo chiamare simbolo ha senso chiedere che listituzione del nesso venga giustificata. Se ci viene detto che il vecchio, nel dipinto, rappresenta la saggezza, abbiamo il diritto di chiederne le ragioni. Il modo in cui si risponde alla domanda non in realt molto importante: infatti ci che contraddistingue il simbolo dal contrassegno sta nel diritto alla domanda pi che nel contenuto della risposta. Una simile domanda sarebbe infatti fuori luogo nel caso dei contrassegni, proprio perch si tratta solo di contrassegni. Con ci questa distinzione assume indubbiamente una certa relativit soggettiva: e non converr tentare di forzare questa relativit cercando la differenza nelle cose stesse, perch potrebbe accadere di dover rinunciare interamente ad essa. La definizione proposta sembra dunque fornire una caratterizzazione del rapporto simbolico che in grado di contraddistinguerlo dalle raffigurazioni e dai contrassegni. La distinzione Elementi di una dottrina dellesperienza
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tra simbolizzante e simbolizzato consente di parlare di un rapporto rappresentativo, mentre la peculiarit di questo rapporto sta nel fatto che il simbolizzato non esibito dal simbolizzante (a differenza delle raffigurazioni) e la domanda intorno alla giustificazione in ogni caso legittima (a differenza dei contrassegni). Notiamo infine che la definizione abbastanza ampia da comprendere sia i casi in cui il simbolizzato astratto, come nellesempio proposto, sia quelli in cui il simbolizzato esso stesso concreto, come il simbolizzante.
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I valori immaginativi come simboli in una seconda accezione Vogliamo ora rammentare i termini iniziali della discussione con cui si apre lesposizione della forma darte simbolica nelle lezioni hegeliane sullestetica [20] . Qui ci viene spiegato anzitutto che i simboli sono caratterizzati da due circostanze notevoli: in primo luogo, data una cosa non possiamo sapere se essa un simbolo; ed in secondo luogo, qualora sappiamo che essa un simbolo, non sappiamo ancora che cosa propriamente simbolizzi. Su di ci non si pu che concordare. Abbiamo notato or ora che dobbiamo essere informati o dobbiamo comunque ricorrere a operazioni interpretativi pi o meno complesse intorno al fatto che una figura in un dipinto sia soltanto una raffigurazione o anche un simbolo. Ed anche se sappiamo che un vecchio, in un dipinto, un simbolo, dobbiamo ancora essere informati su che cosa propriamente simbolizzi. Infatti, potrebbe simbolizzare varie cose. Forse, la saggezza. Ma perch non la demenza? Tuttavia sarebbe troppo affrettato ritenere che entrambe le osservazioni possano essere riportate entro il nostro contesto, come se Hegel avesse di mira, nelle sue considerazioni introduttive la nozione di simbolo nella nostra prima accezione. Egli pensa infatti di poter trarre da esse che la caratteristica del sim Elementi di una dottrina dellesperienza
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bolo autentico sia proprio la dubbiosit che si traduce senzaltro per lui nellallusivit del simbolo, nellintrasparenza e nellindeterminatezza del simbolizzato. In realt questa conclusione non solo non sembra possa essere tratta da quelle osservazioni, ma ci pu anche apparire profondamente paradossale. Cos pu accadere che visitando i templi di una civilt scomparsa, notiamo la ricorrenza di una figura incisa sulle pareti, e vari indizi ci fanno sospettare che essa abbia una funzione simbolica: bench si tratti solo di un sospetto, e non sapremo per il momento nemmeno dire con chiarezza che cosa essa propriamente simbolizzi. Ma la stranezza dellargomento di Hegel, stranezza che pu essere portata sino al paradosso, sta in questo: su questa base, sulla base dei nostri dubbi, delle nostre incertezze dovremmo concludere che qui ci troviamo di fronte ad un simbolo autentico! Sembra, in altri termini, che proprio la circostanza per la quale io dubito che una cosa sia un simbolo e, eventualmente, di che cosa lo sia, divenga il motivo per asserire che essa effettivamente un simbolo, e addirittura nellaccezione autentica del termine. Naturalmente, se si guarda al modo in cui questo inizio viene di fatto impiegato allinterno dello sviluppo problematico hegeliano, il nostro paradosso pu sembrare costruito in un modo, ad un tempo, troppo semplice e artificioso. Resta certamente il fatto che si tenta di operare un passaggio che la dubbiosit del simbolo non pu giustificare; ma proprio questo tentativo ricco di senso, perch tende a proporre una nozione di simbolo in cui messa in questione la stessa struttura del riferimento rappresentativo, Attraverso la dubbiosit, viene posta in primo piano la tematica dellallusivit che diventa dominante nellesposizione delle figure fenomenologiche della forma darte simbolica. Perci in realt gi un errore il mettere a confronto le determinazioni hegeliane con la nozione di simbolo nella nostra prima accezione. Esse richiamano piuttosto la tematica della valorizzazione immaginativa. Vogliamo dunque chiamare simboli in una seconda accezione del termine ci che fin qui abbiamo chiamato valori immaginativi. La differenza pi rilevante, rispetto ai simboli in prima accezione sta proprio nel momento della rappresentazio Elementi di una dottrina dellesperienza
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ne. Un contenuto valorizzato non un contenuto posto in una determinata relazione rappresentativa con un altro. Qui non possiamo distinguere tra il simbolizzante da un lato e il simbolizzato dallaltro. Sotto la presa dellimmaginazione, la cosa viene avvolta da una rete di allusioni. E sarebbe, un errore sia far dipendere questa allusivit dalla molteplicit possibile di riferimenti rappresentativi, sia intenderla come una relazione rappresentativa il cui riferimento resterebbe indeterminato. Ci che invece le due nozioni hanno in comune il rimando allassociazione delle idee. Il simbolo nella prima accezione pu sorgere dalla semplice istituzione di un nesso associativo posto nella forma di una relazione rappresentativa o dal dispiegamento in questa forma di una sintesi dellimmaginazione. Annotazione Ecco alcune citazioni hegeliane, per confronto: Simbolo in generale una esistenza esterna che immediatamente presente o data allintuizione, ma che non deve essere presa in base a essa stessa, cos come immediatamente si presenta, bens in un senso pi ampio e pi universale. Quindi nel simbolo vanno subito distinti due lati: il significato e la sua espressione (op. cit., p. 344). Il simbolo anzitutto un segno. Ma nella semplice designazione la connessione reciproca che vi fra il significato e la sua espressione un legame dei tutto arbitrario (ivi). Diversamente stanno le cose per il segno che deve essere un simbolo (ivi, p. 345). Nel caso dei simboli le esistenze sensibilmente date hanno gi nel proprio esserci quel significato per la cui rappresentazione ed espressione esse sono impiegate (ivi). Cos un cerchio non pu simbolizzare la stessa cosa e nello stesso modo di una linea retta, ed un triangolo pu rappresentare lidea di Dio quando si vuole dar numero alle determinazioni che la religione coglie in Dio (ivi). Questo accordo tuttavia solo parziale, dal momento che il simbolizzante come lesistenza concreta ha in s pi determinazioni attraverso cui pu essere simbolo ed inversamente il contenuto rima Elementi di una dottrina dellesperienza
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ne indifferente nei riguardi della forma che lo rappresenta e la determinatezza astratta che esso pu egualmente essere presente in infinite altre esistenze e figurazioni (ivi, p. 346). Dio possiede certamente propriet interamente diverse da quelle che possono essere colte in un numero (ivi). Dalla possibilit per una stessa cosa di simbolizzare una molteplicit di contenuti e inversamente dalla possibilit di uno stesso contenuto di essere simbolizzato da una molteplicit di cose, Hegel pensa di poter concludere: Di qui deriva che il simbolo, secondo il suo concetto, rimane essenzialmente ambiguo(ivi). In primo luogo la vista di un simbolo fa in generale subito sorgere il dubbio se una figura debba essere considerata come simbolo o no, anche se trascuriamo lambiguit ulteriore circa il contenuto determinato che una forma deve esprimere quando vi sono pi significati di cui la si pu spesso usare come simbolo mediante connessioni pi remote ( ivi). Questa mancanza di sicurezza noi la incontriamo ora non gi in casi limitati, ma in domini molto estesi dellarte, nel contenuto anzi di una materia inesauribile, quello di quasi tutta larte orientale. Perci nel mondo delle figurazioni e delle produzioni dellantica Persia, dellIndia, dellEgitto, ci sentiamo a disagio, non appena ci accostiamo ad esso. Sentiamo di muoverci tra problemi... ( ivi, p. 349).
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Digressione: la nozione di simbolo in Freud interessante notare che entrambe le nozioni di simbolo or ora introdotte possono essere utilmente richiamate in rapporto alla discussione sul simbolismo che rappresenta uno dei punti certamente non marginali di divergenza tra Freud e Jung. Lampiezza e la portata del dibattito vanno ampiamente oltre lambito a cui
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intendiamo attenerci. E tuttavia non vogliamo rinunciare a dirne qualcosa. noto che in Freud lammissione i simboli nei sogni si present particolarmente problematico, dal momento che essa per molti versi equivale ad una vera e propria messa in questione del metodo e del concetto stesso di interpretazione. Cerchiamo di mettere brevemente in chiaro questo punto. Il sogno, in primo luogo, non solo non si presenta senzaltro come prodotto dellimmaginazione, ma nemmeno si presenta per cos dire da se stesso come se richiedesse uninterpretazione. Il problema sorge invece da un atteggiamento generale nei confronti dei fatti della vita psichica che assume che ovunque in essa debbano esserci ragioni sufficienti. Se qualcosa accade, nella vita di coscienza, essa deve avere un motivo. Cos di fronte al sogno possiamo reagire dicendo: ecco che cosa fa limmaginazione senza freni! Oppure possiamo chiederci: come mai proprio io ho sognato proprio questo? Possiamo considerare la forma di questa domanda come determinante non solo ai fini della posizione del problema di uninterpretazione sogno, ma anche della delimitazione del concetto di interpretazione qui in questione. In quella domanda non si avanza il sospetto che il sogno racconti in modo coperto una storia di cui si dovrebbe cercare la chiave. Essa pone invece il problema del sussistere di una connessione tra le scene del sogno e lesperienza complessiva del sognatore. Non si tratta dunque del fatto che la storia si presenta stravagante e strana, e proprio per questo come un enigma che chiede di essere risolto. Talora le storie dei sogni sono effettivamente stravaganti e strane. Ma non sempre cos. Un tale, ad esempio, sogna: Tra due imponenti palazzi c, un po retrostante, una casetta le cui porte sono chiuse. Mia moglie mi accompagna per un tratto di strada fino alla casetta, sfonda la porta e poi io penetro svelto e leggero allinterno di un cortile che sale obliquamente [21]. Ebbene, che cosa c qui di strano? Sono cose che possono accadere ogni giorno. Potremmo tuttavia trovare strano che proprio lui abbia sognato proprio questo. Elementi di una dottrina dellesperienza
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Perci linterpretazione non dovr procedere trasversalmente attraverso le scene del sogno, come se il nostro compito fosse quello di ricomporle in una unit in se stessa coerente, ma perpendicolarmente, dalle scene del sogno alle esperienze del sognatore. Il metodo delle associazioni libere dipende strettamente da questa nozione di interpretazione ed ha appunto il carattere di una procedura perpendicolare: la storia del sogno viene segmentata, ed ogni segmento viene sottoposto al gioco delle associazioni, fungendo, da primo elemento di catene associative, intese ovviamente in un senso pi ampio di quello al quale ci siamo attenuti in precedenza. In esse non interverranno solo contenuti come tali, ma esperienze in genere, dunque ricordi di eventi passati, fantasie, preoccupazioni, timori, ecc. Il sogno potr dirsi interpretato se, attraverso le catene associative, si riesce a rendere ragione delle , peculiari formazioni immaginative del sogno, se cio stato istituito un complesso di connessioni tra il sogno e le esperienze del sognatore in modo tale che, allinterno di esso, tornino i conti, In questo senso, come sarebbe sbagliato ritenere che le associazioni ripercorrano allinverso il processo di formazione del sogno, cos sarebbe giusto affermare. che nellinterpretazione dei sogno non si fanno ipotesi. Il noto paragone con il rebus illustra con chiarezza proprio questo aspetto. Mentre non si attaglia su un punto importante: gli elementi sulla cui base il rebus deve essere interpretato sono tutti nel rebus stesso. Di esso cerchiamo la soluzione tentando di dare congruenza ad un complesso di figure e di parole incongruenti. Nellinterpretazione del sogno bisogna invece procedere in direzione del sognatore, lasciando da parte ogni preoccupazione di congruenza interna della storia. Di conseguenza la storia stessa avr di norma un significato di volta in volta particolare, e proprio per questo della sua interpretazione , in ultima analisi, responsabile il sognatore stesso (anche se ci pu essere affermato solo in via di principio). Le stesse procedure tipiche del lavoro onirico, ed in particolare lo spostamento e la condensazione, sono indubbiamente Elementi di una dottrina dellesperienza
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da considerare come procedure generali, ma i loro prodotti sono di volta in volta particolari e potranno essere analizzati e risolti solo attraverso il metodo delle associazioni. Attenendoci a questo concetto di interpretazione potremo parlare di un linguaggio del sogno in senso abbastanza debole. Il metodo delle formazioni oniriche sarebbe sufficientemente determinato, ma non certamente i loro materiali. Disporremo di qualcosa di simile ad una grammatica, ma nulla di simile ad un vocabolario. Il problema muta se ammettiamo che tra le varie formazioni del sogno intervengano anche simboli. Naturalmente, nella stessa misura in cui distinguiamo tra contenuto manifesto e contenuto latente, potremmo dire che la storia nel suo insieme ha un significato simbolico, in unaccezione abbastanza lata e generica del termine. Tuttavia in Freud il termine simbolo non viene impiegato cos. Con simboli Freud intende oggetti che compaiono nel sogno in luogo di altri e come rappresentanti di essi. Ci che li contraddistingue rispetto alle altre formazioni del sogno proprio il fatto che metodo delle associazioni libere non in grado, di norma, di venire a capo della loro analisi. come se essi fossero a disposizione del lavoro onirico gi provvisti del loro riferimento simbolico ed il lavoro onirico non facesse altro che impiegarli nel contesto del sogno. Le implicazioni critiche che questa ammissione comporta sul concetto e, di conseguenza, sul metodo dellinterpretazione sono particolarmente rilevanti: ci che tende a venir meno , in primo luogo, proprio quella del problema dellinterpretazione che rappresenta quella particolarizzazione del problema dellinterpretazione che rappresenta il centro da cui il problema stesso nasce e riceve unimpostazione. Infatti qui ci troviamo di fronte a oggetti che sembrano provvisti di un significato permanente o prefissato, che indipendente dalle esperienze del sognatore. Lanalogia con il linguaggio diventa particolarmente forte: ora potremmo forse disporre anche di un vocabolario. Portando allestremo la tendenza implicita nellammissione di simboli si arriverebbe a prospettare uninterpretazione senza il sognatore, quindi un concetto di interpretazione completamente diverso, essenzialmente fondato Elementi di una dottrina dellesperienza
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sulla traduzione di simboli. Si comprende dunque la cautela con la le Freud circonda lammissione della presenza del simbolismo nel sogno e le condizioni restrittive che egli stesso propone allinterpretazione intesa come traduzione: il metodo dominante dellinterpretazione deve restare quello delle associazioni e con ci si ribadisce il concetto di interpretazione che deve restare dominante mentre la traduzione dei simboli deve intervenire soltanto come mezzo ausiliario. Questo cenno sommario pu essere considerato sufficiente ai nostri scopi. Ci che deve essere chiaramente sottolineato che, in ogni caso, la definizione di simbolo che abbiamo a suo tempo proposta, in prima accezione, abbastanza ampia e nello stesso tempo sufficientemente precisa da comprendere laccezione freudiana, sebbene naturalmente non ne ricopra la problematica specifica. Bench Freud non presenti nessuna definizione esplicita di simbolo, limitandosi ad osservare che i simboli sono peculiari rappresentazioni indirette che si differenziano da altre, bench non si riesca ancora a cogliere con chiarezza le loro caratteristiche distintive[22], tuttavia risulta dal contesto che le oscurit a cui si allude riguardano, piuttosto che il concetto stesso di simbolo, il problema della sua genesi e della sua funzione psicologica. Se stiamo invece agli esempi, essi mostrano che, comunque ne sia del suo impiego nel sogno, con simbolo Freud intende appunto un rapporto rappresentativo fra una cosa ed unaltra che ha alla sua base un nesso associativo. Possiamo dunque sempre distinguere con chiarezza il simbolizzante dal simbolizzato; e talvolta la base associativa evidente di per se stessa. Quando ci non accade, ha comunque senso il problema di una giustificazione associativa del nesso.
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Confronto con Jung A questa posizione di Freud, Jung ne contrappone unaltra che, nonostante le oscurit da cui viene subito avvolta, pu essere considerata a sua volta sufficientemente precisa. Secondo Jung, la nozione di simbolo impiegata da Freud una nozione impropria. Egli dice che Freud intende i simboli semeioticamente, cio come puri e semplici segni [23]. Stando a Freud il rapporto simbolico consisterebbe unicamente in un rapporto elementare di riferimento in cui una cosa ben determinata sta per unaltra cosa ben determinata. Perci non vi sarebbe una sostanziale differenza tra i simboli nel senso di Freud e, come noi diremmo, i contrassegni. Come abbiamo visto, una differenza invece c, e sufficientemente precisa. Ma anche il mettere in rilievo questo punto non toglie la critica di Jung, dal momento che, in tutta evidenza, ci che egli intende criticare, nellaccezione freudiana di simbolo, essenzialmente il suo carattere rappresentativo, ed indubbiamente questo il tratto che hanno in comune i simboli e i contrassegni. Il simbolo in senso proprio ed autentico invece, secondo Jung, una espressione indeterminata, anzi polisensa, che indica qualcosa di difficilmente definibile, cio non pienamente conosciuta [24]. Nel simbolo si manifesta unentit sconosciuta, difficile da riconoscere e in definitiva non mai precisabile completamente [25]. Accanto a citazioni come queste se ne possono proporre molte altre, allincirca dello stesso tenore. In esse vi sono due aspetti che meritano di essere sottolineati:, essi si presentano in Jung in un rapporto di stretta interdipendenza che rappresenta in realt il punto del problema. In primo luogo vi lindeterminatezza del simbolo in essa possiamo riconoscere il tema hegeliano dellallusivit. E possiamo dunque richiamare la nostra nozione di simbolo in seconda accezione. In effetti, se consideriamo limponente lavoro documentario ed analitico che Jung ha compiuto in questo campo, Elementi di una dottrina dellesperienza
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ci rendiamo conto che esso orientato dallintento non gi di istituire i rappresentanti dei simboli, ma di delineare i loro campi di azione, di ricreare i percorsi e i dinamismi che connettono in forme complesse i contenuti immaginativamente valorizzati. Abbiamo qui sempre a che fare con strutture di reciprocit, con equivalenze immaginative, con varianti simboliche, dove lequivalenza non deve essere intesa come fondata dallidentit delloggetto simbolicamente denotato di cui i simboli sarebbero solo rappresentazioni tra loro sostituibili, ma nel senso di quellunit che poggia sullinclusione immaginativa. Se si parla in questo contesto, ad esempio, della madre come simbolo della materia si intende proporre non gi un rapporto rappresentativo, ma una connessione immaginativa secondo cui un contenuto sta nella piega immaginativa dellaltro. Cos, in rapporto alla sfera della sessualit, ci che conta non il fatto sessuale, ma il suo valore immaginativo e i simboli che rinviano a questa sfera non dovranno essere intesi come indicatori di azioni corporee o di parti del corpo, ma dovranno essere interpretati secondo una portata allusiva che li riconduce ed organizza in sistemi dinamici di equivalenze e polivalenze immaginative. Ma vi anche un altro aspetto, ben presente nelle citazioni precedenti, che rappresenta in realt lavvio di una speculazione che la chiarificazione della nozione di valore immaginativo non dovrebbe rendere possibile. In precedenza abbiamo posto laccento proprio su questo punto: nella valorizzazione immaginativa di un contenuto non vi in generale alcun rapporto rappresentativo, e ci significa tuttaltra cosa dalleventuale indeterminatezza delloggetto della rappresentazione. Se riferiamo lallusivit del simbolo allo sfuggire del contenuto in una direzione immaginativa, non possiamo poi dire che non sappiamo che cosa propriamente il simbolo simbolizzi. Non possiamo fare di esso una cifra dellignoto. Jung invece insiste proprio sulla difficolt di determinare a che cosa i simboli autentici si riferiscono. Insiste sul fatto che, mentre il simbolo-segno denota una cosa conosciuta, il simbolo autentico rinvia a qualcosa di sconosciuto e di inconoscibile. La speculazione ha inizio di qui. Il simbolo si riferisce ad uno sfondo che resiste tenacemente ad ogni formulazione concettuale; a qualcosa che pu essere afferrata solo Elementi di una dottrina dellesperienza
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se la si considera assai di lontano, ed anche, allora soltanto sotto la forma di unidea vaga. Perci essa ha bisogno di un simbolo [26]. Nulla di tutto ci potrebbe essere affermato se ci atteniamo alla nozione di valore immaginativo cos come noi labbiamo proposta. Le varianti immaginative non possono in alcun modo essere intese come una progressiva approssimazione ad un contenuto, che pu essere comunque sempre soltanto colto di lontano, per cos dire, appena intravisto. Non possiamo intrecciare in questo modo le due nozioni di simbolo: come se, dopo aver esclusa la struttura stessa del riferimento, potessimo ancora contare su qualcosa che resiste ad ogni formulazione concettuale a cui il simbolo autentico comunque si riferirebbe. Seguendo questa via dobbiamo certo arrivare a concludere che c effettivamente qualcosa di inconoscibile, e proprio per questo abbiamo bisogno di simboli: per poter almeno alludere ad esso. Limmaginazione simbolica assume su di s responsabilit metafisiche. Come spesso accade, lerrore concettuale solidamente radicato dentro un quadro ideologico: il modo in cui questa impostazione del problema si innesta nellirrazionalismo esplicito di Jung anche troppo chiaro, e non necessario perci indugiare oltre su questo punto. Vogliamo invece dedicare un cenno conclusivo al problema dellinterpretazione da cui abbiamo preso le mosse. Come abbiamo visto, lammissione di simboli nel sogno rappresentava in Freud un momento critico in rapporto alla impostazione complessiva del problema. Lintroduzione di questa diversa accezione di simbolo recide questo nodo, e il problema dellinterpretazione muta interamente. Certamente non si tratter di chiarire il senso dei simboli andando alla ricerca degli oggetti che essi denotano. La chiarificazione del senso dei simboli dovr essere operata ricostruendo la trama dei rimandi interni in cui ogni simbolo intessuto. Perci abbiamo bisogno di una conoscenza il pi possibile approfondita delle immagini, delle loro possibilit di organizzazione, dei loro intrecci una conoscenza che possiamo acquisire passando al vaglio materiali attinti al mito, alla Elementi di una dottrina dellesperienza
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religione, al folklore, allarte in genere. Queste cognizioni non potranno che tornare utili, per linterpretazione del sogno, mentre nessun aiuto ci pu venire dalle associazioni libere: esse ci fanno probabilmente penetrare sino ai complessi del sognatore, ma per ottenere questo risultato basterebbero associazioni operate su materiali qualunque, ad esempio su manifesti o brani di giornale. Ci che ci occorre appunto la conoscenza di un peculiare linguaggio del linguaggio dei simboli: Con le associazioni libere non giunger allo scopo: come se volessi interpretare con associazioni una iscrizione ittita [27] . Di conseguenza viene anche abbandonata la distinzione tra contenuto manifesto e contenuto latente nellaccezione freudiana: stando ad essa, potremmo affermare che il contenuto latente non appartiene alla storia narrata dal sogno, ma al sognatore stesso. Perci non ha senso, dal punto di vista di Freud, isolare il contenuto manifesto pretendendo di dare di esso uninterpretazione. Oggetto dellinterpretazione non il sogno, ma il sognatore. Altrimenti stanno le cose per Jung: certo anche per lui il sogno ha un contenuto nascosto che deve essere portato allo scoperto. Ma esso si trova nascosto nel sogno stesso, ed nascosto unicamente dal linguaggio arcaico ed enigmatico dei simboli. Perci il sogno pu essere considerato nel suo insieme come provvisto di un senso sufficientemente generale da poter essere inteso indipendentemente dalle particolarit del sognatore. Se poi vogliamo tener conto delle circostanze di vita del sognatore, di cui siamo in qualche modo venuti a conoscenza, non dovremmo avere difficolt a determinare questo senso in direzione del sognatore, come quando concretizziamo riferendola a noi stessi, una favola con la morale.
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Valorizzazione immaginativa e tematica dellespressivit La nozione di valorizzazione immaginativa pu essere richiamata non soltanto in una direzione di sviluppo che conduce ai simboli ed alle immagini in genere, ma anche in rapporto al problema delle potenzialit espressive dei materiali percettivi. Consideriamo, ad esempio una melodia. Essa ci piace. La risentiremmo volentieri. Ci dice qualcosa (anche se non sapremmo dire chiaramente che cosa). La troviamo espressiva. Daltra parte, una melodia non altro che una composizione di suoni disposti secondo un certo ordine: e tra i quali intercorrono determinati rapporti. I suoni singoli di cui essa composta, considerati indipendentemente da questo modo di composizione, potrebbero essere indicati come i suoi materiali. Allora potremmo chiedere: lespressione qualunque cosa si voglia intendere con essa sorge soltanto con la melodia stessa? Oppure vi un qualche senso legittimo in cui possiamo dire che gi i suoi materiali sono carichi di espressione? Sembra abbastanza naturale propendere per una risposta affermativa a questultima domanda. Dagli stessi suoni pu essere tratto un gran numero di melodie, variando le possibilit di ordinamento e i rapporti reciproci; ma sarebbe assai strano se il materiale grezzo, il materiale cio inteso come esso si presenta prima del problema di una messa in forma compositiva, fosse in se stesso espressivamente neutro. Ma che cosa significa questa ammissione? Restando allesempio dei suoni, un buon filo conduttore per tentare una risposta soddisfacente ci offerto dalle distinzioni elementari che valgono in questo campo e dalla terminologia che corrisponde ad esse. Si parla, ad esempio, di suoni gravi e acuti. E cos anche di un movimento sonoro di ascesa dalla regione grave alla regione acuta. Ed allora notiamo subito: un suono non pu essere grave, se questo termine significa pesantezza; e nemmeno pu essere Elementi di una dottrina dellesperienza
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acuto se con ci indichiamo lacuminatezza di una punta. E daltro lato come possono i suoni muoversi, e addirittura scendere e salire? Qui usiamo il linguaggio dei corpi e lo trasponiamo a cose che non sono corpi. Ci troviamo dunque di fronte ad espressioni immaginose. A dire il vero, poich si tratta di una terminologia che di fatto in uso, prima di decidere qualcosa intorno a quelle espressioni dovremmo documentarci accuratamente sulla loro origine e sulla loro formazione. Per semplificare le cose ed anche per evitare obiezioni giustificate, vogliamo supporre che quei termini siano nostre invenzioni. Ci assumiamo cos la responsabilit delle immagini contenute in essi e diamo per scontato che, al loro posto, avremmo potuto inventarne altri, e non necessariamente tali da contenere immagini. Ad esempio, anzich di suoni gravi potremmo parlare di suoni che appartengono alla prima regione; potremmo indicare i suoni che stanno tra i gravi e gli acuti come suoni appartenenti alla seconda regione e i suoni acuti come suoni appartenenti alla terza regione. Un residuo di operazione immaginativa resta certo ancora appreso alla parola regione, mentre chiaro che le designazioni primo, secondo e terzo possono essere considerate puramente convenzionali ed il loro modo di impiego potrebbe essere invertito. Cos, invece di parlare di un movimento ascendente, potremmo parlare di una sequenza di suoni dalla prima alla terza regione o dalla terza alla prima secondo la convenzione prescelta. Potremmo insomma inventare una terminologia relativa alle strutture sonore che ci consenta una descrizione tecnicamente adeguata e che tuttavia sia del tutto, o quasi, priva di una portata immaginativa. Con ci il nostro problema riceve un risalto anche maggiore. Infatti, quando ci serviamo di espressioni immaginose intendiamo proprio descrivere limpressione che il suono ci fa, e non possiamo ritenere che la pura e semplice possibilit di stabilire una terminologia immaginativamente neutra abbia come conseguenza che i suoni si presentino con la stessa indifferenza che quei termini dimostrano. La differenza, beninteso, prima ancora che immaginativa, anzitutto semplicemente percettiva. Uneventuale inversione della denominazione tecnica non conduce a Elementi di una dottrina dellesperienza
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nessuna modificazione nelle qualit percettive dei suoni. E sulla base di una differenza percettiva si innestano diverse direzioni di movimento dellimmaginazione. La connessione tra il problema dellespressivit dei materiali percettivi e quello della valorizzazione immaginativa risulta a questo punto del tutto chiara. Parliamo di suoni gravi, e in ci contenuto, non un rimando semplicemente associativo alla pesantezza dei corpi, ma una vera e propria fusione immaginativa. La gravit si presenta come valore di gravit, quindi come indice di una direzione sintetica dellimmaginazione. In essa messa in questione non la pesantezza soltanto, ma anche, ad esempio, la lentezza, lopacit, lo spessore; lidea di qualcosa di massiccio, di voluminoso, eventualmente di profondo e forse anche di oscuro, di tenebroso. Tutte queste idee si implicano reciprocamente per limmaginazione. Esse formano una unit immaginativa. Lo stesso potremmo dire dei suoni che appartengono alla terza regione. Essi sarebbero per noi acuti anche se la terminologia corrente non li chiamasse cos. Questo termine lo abbiamo inventato or ora, proprio perch ci sembra che questa acuminatezza si addica ad essi, nello stesso modo in cui la gravit ai suoni della prima regione. Ed anche in questo caso si tratta per noi di un vettore immaginativo: in questa stessa direzione potremmo trovare la leggerezza, la velocit, la trasparenza, la sottigliezza, la chiarezza, la luminosit, ecc. Ed allora del tutto logico che si parli del movimento dal grave allacuto come di un movimento di ascesa. Il luogo della gravit, per limmaginazione, si trova sotto, e non sopra; cos il luogo della sottigliezza , della leggerezza lo stesso luogo della luce: si trova in alto e non in basso. Il nostro spazio sonoro si presenta cos articolato in una zona inferiore, che sta sotto che pesante ed oscura; una zona intermedia, vorrei dire, grigia, ed infine una zona superiore, che sta in alto, ed leggera e lucente. Queste caratterizzazioni qualitative rimandano ad una valorizzazione immaginativa ed essa che conferisce al materiale una capacit espressiva. Questa espressivit fa tuttuno con la capacit allusiva del materiale. Nel materiale vi unimmaginazione nascosta. Elementi di una dottrina dellesperienza
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A questo punto sarebbe forse il caso di chiedersi se con tutto ci non siamo andati oltre i limiti prescritti dalla nostra stessa impostazione di metodo. Abbiamo preso le mosse da considerazioni relative ai modi di descrivere verbalmente i suoni ed abbiamo ammesso esplicitamente, al di l di ogni considerazione relativa agli impieghi correnti dei termini, la presenza di immagini. Perci se si obiettasse che la terminologia non ha nulla a che vedere con i fatti stessi, questa obiezione sarebbe certamente tolta dal modo stesso di impostare il problema. Tuttavia, anche se ammettiamo che queste parole rendano in qualche modo limpressione che il suono ci fa, questo rimando dal linguaggio allesperienza evidentemente non pu garantire nulla in rapporto ad una possibile generalizzazione. Lo stesso parlare di unimpressione non forse equivoco? Si allude qui ad un modo di vivere, di sentire il suono: ad un sentimento del suono. E qui entriamo indubbiamente nellambito delle relativit soggettive. Altri potrebbero sentire i suoni in modo del tutto diverso, addirittura opposto. E se ammettiamo che il linguaggio possa essere talora uno specchio dellesperienza, ci potrebbe alla fine giocare a sfavore di quanto andiamo sostenendo: se noi riteniamo che la parola grave, intesa nella sua portata immaginativa, si addica al suoni della prima regione altri potrebbero ritenere che essa si addica molto meglio ai suoni della terza regione. Si potrebbe allora concedere che il problema della espressivit riconduca a quello della valorizzazione immaginativa. ma le direzioni della valorizzazione debbono essere lasciate interamente aperte. Se consideriamo una simile osservazione dal nostro punto di vista, non difficile prevedere in che modo reagiremmo ad essa. Naturalmente non potremo che essere lontani dal negare lapertura delle direzioni di valorizzazione. Tuttavia, la nostra insistenza sulla base associativa delle sintesi immaginative, il modo in cui abbiamo presentato in questo contesto la tematica della associazione delle idee mostra che in realt non saremmo affatto disposti ad operare quella dissoluzione delle resistenze del materiale che insita in un atteggiamento storicisticoempiristico coerentemente sviluppato. I dati percettivi non sono mai informi nemmeno se li consideriamo dal punto di vista dellimmaginazione. Un contenuto qualunque non pu essere Elementi di una dottrina dellesperienza
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valorizzato in una direzione qualunque. Allapertura delle direzioni di valorizzazione deve essere imposto, per cos dire, un preciso limite inferiore. E di fronte ad un atteggiamento che toglie ogni limite, tenderemo a ribadire il nostro oggettivismo fenomenologico: a mettere laccento sul fatto che, la stessa natura fenomenologica del suono pone il suono stesso come sfuggente sul piano immaginativo proprio in quella direzione. Come se potessimo dire: questi suoni sono proprio pesanti, quegli altri invece sono proprio svelti e leggeri: anche se sappiamo benissimo che ci troviamo di fronte ad una specie di imbroglio. Annotazione 1. Allargomento dei suoni gravi e acuti Stumpf dedica uninteressante ed ampia discussione nel 11 della sua Psicologia del suono (op. cit., I, pp. 189-226). In esso si pone il problema se il simbolismo spaziale che talora viene impiegato per indicare queste differenze sia dato immediatamente nel fatto sonoro oppure se si tratti di qualcosa di estrinseco. Dopo aver notato che non qui in questione limpiego di relazioni spaziali ad uno scopo puramente illustrativo, e nemmeno dellapplicazione estrinseca di modelli di rappresentazione spaziale (come nel caso del corpo cromatico che soltanto una escogitazione teorica), Stumpf discute in modo dettagliato vari esempi di usi linguistici (pp. 192-199), giungendo alla conclusione, che nessuno di essi sembra potere provare laccidentalit dellassociazione. Piuttosto occorre riconoscere che vi sono caratteristiche ben determinate nel fenomeno sonoro che sono tali da motivare la possibilit di immagini spaziali. Ai suoni gravi, ad esempio, viene riconosciuta una minore levigatezza o brillantezza rispetto ai suoni acuti, e nello stesso tempo una maggiore estensione. Essi si muovono con difficolt, sono in certo senso, proprio perch pi estesi, anche pi lenti e pesanti. A ci si aggiunge una maggiore difficolt di differenziazione percettiva. Soprattutto per questo motivo la pratica musicale fa procedere il basso non solo lentamente ma Elementi di una dottrina dellesperienza
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anche a larghi passi, disponendo i pedali e altre note tenute preferibilmente nella regione grave, gli sviluppi cromatici e simili nella regione acuta (p. 220). Per indicare questi caratteri Stumpf parla di un sentimento del suono (Tongefhl) (p. 202) che tuttavia egli considera essenzialmente come un dato di fatto psicologico, piuttosto che da un punto di vista puramente fenomenologico. Di conseguenza egli tende a porre laccento sulla soggettivit del sentimento del suono ed a demandare la sua determinazione ad accertamenti di ordine sperimentale. 2. Un altro buon esempio per illustrare il nostro tema rappresentato dalla distinzione tra consonanza e dissonanza. ormai diventato un luogo comune affermare che questa distinzione rimanda a relativit storicoculturali e che essa non ha dunque nessun fondamento nelle cose stesse. Ma in realt, quando si fanno affermazioni come queste occorre prestare attenzione a non confondere due piani nettamente diversi di discorso. In generale, attenendoci ad un terreno fenomenologico, ci che sembra possibile affermare solo che questa distinzione potrebbe risultare in certi casi relativamente indeterminata. Se adottiamo il criterio di istituite la nozione di consonanza e di dissonanza sulla base della maggiore o minore difficolt di discriminazione della molteplicit di suoni nellaccordo (Stumpf), non vi dubbio che accanto ai casi estremi nei quali la difficolt di discriminazione massima, come nel caso dellunisono o dellaccordo di ottava, oppure minima, come nel caso dellintervallo di seconda, vi saranno casi intermedi, e dunque casi di relativa indeterminazione. Questa relativit riguarda tuttavia il materiale percettivo e, sia nei casi estremi come nei casi intermedi, possiamo parlare di una tipicit che caratterizza il materiale percettivo e in rapporto ad essa possiamo proporre differenze che riguardano il nostro modo di sentire tanto poco quanto riguardano il nostro modo di vedere il fatto che certe figure ci si presentano come triangolari piuttosto che come quadrate o grosso modo Elementi di una dottrina dellesperienza
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circolari. Proprio per questo ha indubbiamente senso affermare che lindice di valorizzazione immaginativa non pu essere affatto indifferente nelluno come nellaltro caso. Leffetto espressivo che si pu ottenere con una consonanza non lo si pu ottenere con una dissonanza questo sembra ovvio, eppure merita qualche riflessione. Infatti, se cos, nellaffermare la storicit di quella distinzione, e quindi in primo luogo la sua relativit soggettiva, dobbiamo essere pi precisi. Gi la via seguita da Schnberg, che allinizio del suo Manuale di armonia impiega la teoria degli armonici per mostrate che la dissonanza non altro che una consonanza pi lontana, cos da difendere (in nome della consonanza!) i diritti al suo impiego libero da restrizioni, pu far inclinare nellerrore di ritenere che non sussista qui alcuna differenza percettivo-immaginativa che non sia riducibile ad un dato di fatto culturale. Invece non bisogna confondere le diversit intrinseche del materiale, che fondano suggestioni immaginative altrettanto intrinseche ad esso, con problemi di tuttaltro genere relativi allaccettabilit di questo o quel modo di composizione di suoni come mezzo di espressione. Del resto lo stesso Schnberg, nel suo Manuale, ben cosciente di questa differenza dal momento che molto lontano dallattenersi alle conseguenze di quello spunto iniziale, per orientarsi invece secondo una tendenza accentuatamente strutturalistica che cerca ovunque di giustificare le regole dellarmonia classica nelle legalit interne del materiale sonoro.
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I pensieri che orientano limmaginazione Alle spalle dellimmaginazione vi debbono essere altre istanze Discussione di un esempio: le suggestioni immaginative del punto Kandinsky e Klee La possibilit di mettere in questione la tematica della valorizzazione immaginativa in rapporto ad una trattazione, sia pure iniziale, dellespressivit dei materiali percettivi mostra indubbiamente che nella impostazione del problema ci siamo mossi in una direzione densa di implicazioni e di possibilit di sviluppo. Nellarricchimento immaginativo indotto sul dato percettivo nessuna immagine intesa come risultato di sintesi immaginative viene effettivamente prodotta. Ma la valorizzazione immaginativa sta alla radice della potenzialit espressiva dei materiali percettivi cos come della produzione di simboli. In entrambi i casi il contenuto viene colto secondo protenzioni in un senso affatto nuovo, che non rinvia ad integrazioni che irrigidiscono la cosa nella determinatezza chiusa del suo essere, ma la aprono nelle direzioni dellimmaginazione. In coerenza con la nostra impostazione di principio per noi importante insistere sul fatto che questa animazione immaginativa del dato non venga intesa come una sorta di proiezione estrinseca, ma scaturisca dal suo interno, come se in esso fosse nascosto un potenziale di immagini che debbono essere attualizzate. Eppure se io segnassi un punto su questo foglio di carta e vi chiedessi di mettere allo scoperto le immagini che sono nascoste in esso, probabilmente vi guardereste intorno disorientati. Ed giusto che sia cos. Infatti noi non siamo motivati da alcun intento espressivo. Nessun pensiero ci attraversa la mente che sia in grado di orientare limmaginazione. Finora si taciuto su questo punto essenziale: nessuna considerazione del materiale puro e semplice pu offrire allim Elementi di una dottrina dellesperienza
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maginazione quellorientamento di cui essa ha bisogno per cominciare ad operare. Abbiamo assunto tacitamente un punto di vista secondo cui i processi di valorizzazione sono comunque in corso: allora abbastanza naturale arrivare a sostenere Che, considerando i materiali, si riesce a rendere conto dei modi in cui quel processi sono stati effettuati. Ma se qualcuno ci avesse polemicamente fatto notare fin dallinizio che per rendere conto di quel disagio che pu accadere di provare di fronte alla porta della cantina non basta parlare di cantine, noi gli avremmo dato pienamente ragione. Vi deve essere una intelaiatura di esperienze che determina il fatto stesso che proprio qui limmaginazione ha potuto far presa. Un momento irriducibilmente soggettivo finisce dunque con il rivendicare tutti i suoi diritti. Ed insieme ad esso riprende i suoi diritti il fattore storico che le nostre considerazioni pongono a distanza solo per dare ad esso, nel luogo giusto, tutto il suo risalto. In rapporto al nostro problema ci non significa soltanto che limmaginazione non opera nel vuoto e nemmeno semplicemente che si deve dare un ampio spazio alle relativit soggettive; ma significa soprattutto che essa non pu essere concepita come una facolt chiusa in se stessa, che comincia da se stessa per ritornare continuamente in se stessa. Vi sono motivi ed intenti che orientano limmaginazione: ed essi debbono trovarsi tutti al di fuori di essa , per cos dire alle sue spalle. Lo sfondo a partire dal quale limmaginazione diventa attiva ed eventualmente si dirige sul materiale per realizzare scopi espressivi non pu essere fatto a sua volta di fantasie. Alla sua base vi sono altre istanze, nelle quali anchessa si misura con la nostra realt e di fronte alla quale essa prende posizione. In questo consiste anzitutto la dimensione storico-soggettiva dellimmaginazione. Noi tenteremo di mettere a fuoco questo aspetto tanto importante del nostro problema, riducendolo ad una dimensione microscopica. Abbiamo chiesto allinizio: quali sono le direzioni immaginative di un punto? In che cosa consiste la sua espressivit, ammesso che ne abbia una? Come abbiamo osservato, quella domanda era sbagliata. Ad essa non ce la siamo sentiti di dare Elementi di una dottrina dellesperienza
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una risposta. Non ci viene in mente nulla. Ma proprio sul punto possiamo documentare le immaginazioni esplicite di due grandi artisti del nostro tempo. Vogliamo perci realizzare un breve confronto. Il punto geometrico cos dice Kandinsky allinizio del suo libro intitolato Punto, linea, superficie un ente invisibile. Esso deve essere definito anche come un ente immateriale. Dal punto di vista materiale, il punto equivale ad uno zero. In questo zero sono per celate varie propriet umane Ai nostri occhi questo zero il punto geometrico associato alla massima concisione, ossia al massimo riserbo, che per parla [28]. Si attira dunque lattenzione anzitutto sulla immaterialit del punto. Lavvio rappresentato dal punto geometrico : ma questo riferimento naturalmente gi proposto allinterno delle ambiguit di una dimensione immaginativa. Se ci disponessimo effettivamente dal punto di vista della geometria, non avremmo certamente particolari ragioni per caratterizzare il punto come invisibile: nella geometria, infatti, non abbiamo a che fare n con entit visibili, n con entit invisibili, ma con entit astratte. Tuttavia, proprio il punto considerato in questa astrazione suggerisce a Kandinsky questa prima transizione immaginativa: poich il punto inesteso, esso non, deve essere considerato anzitutto come una entit percepibile su un foglio di carta. Esso invisibile, dunque immateriale. A questa prima transizione dellimmaginazione, ne segue immediatamente unaltra: la massima concisione del punto, il suo riserbo. Limmaginazione si sposta qui dalla geometria al linguaggio: o meglio, al luogo che il punto occupa nel linguaggio. Se con linguaggio intendiamo il discorso vivente e non la scrittura allora il punto certamente non appare in esso, non occupa nessun luogo. E tuttavia appartiene al linguaggio, come silenzio della parola in mezzo alle parole. Ci che nella scrittura rappresentiamo con un punto, quindi con un segno materialmente percepibile, invece, nel discorso vivente, il suo respiro. Nella scrittura il punto si materializza e diventa un segno usato in modo pratico, recante in s lelemento praticofunzionale che noi impariamo da bambini. Una cosa dunque che abbiamo imparato ad usare cos. Io vado al cinema Dopo Elementi di una dottrina dellesperienza
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cinema devi mettere punto. E perch? Perch si fa cos: perch in questo modo si separa una frase dallaltra. Il punto serve a questo: per indicare che la frase terminata. E noi mettiamo punto. Questo segno pratico, svolge una funzione. Ed ora nel punto non rimasto pi nulla di ci che esso era nel discorso vivente: la sua anima silenziosa, il suo respiro. Dal discorso vivente alla scrittura, il simbolo si degradato a segno: Il segno esterno diventa una abitudine e vela il suono interiore del simbolo. Linteriorit viene murata dallesteriorit[29]. I pensieri che orientano limmaginazione cominciano cos a farsi avanti. Il punto invisibile e immateriale, la cui origine si trova nel discorso, di cui esso il respiro, diventa una figura concentrata, un simbolo della vita interiore, di una spiritualit che non pu che essere compromessa non appena entra in rapporto con lesteriorit delle cose, con i loro valori pratici, con lutilit in genere. A loro volta questi pensieri contengono una precisa presa di posizione. Cos, poco oltre, leggiamo: Siamo assoggettati mortalmente allelemento pratico-funzionale. E questo giudizio sullepoca. Ovunque, oggi, linteriorit murata dallesteriorit. E questo giudizio sullepoca si ribalta anche nella delineazione dei compiti e della concezione della pittura. Anchessa deve contribuire alla riacquisizione dei valori della spiritualit contro il materialismo dominante. Il primo passo dellimmaginazione deve consistere allora nella liberazione del punto dalla scrittura e nella sua proiezione nel libero spazio del mondo pittorico in cui il punto pu essere considerato in se stesso e il suo simbolismo spirituale pu dispiegarsi in tutta la sua autonomia. Cerchiamo cos di impiegare il punto, ancora racchiuso nella frase scritta, in modo antifunzionale, antipratico. Oggi io vado. Al cinema. Ma qui il punto ha ancora la funzione di una sottolineatura enfatica. Oggi io. Vado al cinema. Non basta ancora. Si potrebbe pensare ad un refuso, ad un segno di interpunzione usato in modo sbagliato. Ed allora scriviamo il punto sopra, sotto la frase, in un luogo qualunque del foglio. Cancelliamo addirittura la frase. Ora il punto campeggia sul foglio di carta, comincia a vi Elementi di una dottrina dellesperienza
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vere unicamente nella sua densit espressiva. Le immagini iniziali possono essere riprese e sviluppate in tutta la loro ricchezza di richiami. La silenziosit del punto, la sua riservatezza, diventa introversione. Il punto chiuso in se stesso. Perci potremmo dire che concentrico. Quindi anche essenzialmente statico, privo di dinamismo. Esso non presenta la minima tendenza al movimento, in nessuna direzione, n orizzontale, n verticale. Il punto non avanza n retrocede. In questo simile al quadrato. Nella staticit del punto la dimensione temporale tende annullarsi: Lelemento tempo quasi totalmente escluso dal punto[30] . Eppure basta che i punti si moltiplichino sul foglio perch questa latenza espressiva muti interamente di segno. Nella semplice ripetizione del punto sorge gi un ritmo: qui il punto battito, pulsazione, come la percussione breve del tamburo o i colpi di becco di un picchio in natura[31]. Ed ancora: agglomerati di punti: ammassi stellari. Una tempesta di sabbia nel deserto: un immane scatenamento di punti. Oppure: nel punto, la tensione di un movimento raggiunge il suo estremo accumulando in esso la forza da cui il movimento scaturito. Per Kandinsky il punto anzitutto conciso; per quanto poi ci allontaniamo da questa immagine iniziale, tuttavia, essa che conferisce senso allintero percorso immaginativo successivo. Per Klee, invece, il punto anzitutto grigio. Questa differenza manifesta in una enorme concentrazione e condensazione tutta la differenza tra luno e laltro autore. Ci che colpisce in primo luogo il riferimento cromatico. Fin dallinizio, Klee pensa al possibile colore dei punto [32] . E naturalmente qui non si tratta del colore vero e proprio, ma del colore che il punto deve avere per limmaginazione. Il grigio, abbiamo detto. Ma per rendere conto di questa determinazione immaginativa dobbiamo immergerci in una dimensione metafisica. Cominciamo, cio, ad interrogarci sulla contrapposizione tra il cosmo ed il caos. Del caos potremmo proporre unimmagine. Ad esempio, questa:
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Un confuso e inestricabile agglomerato di linee. Ma in questo modo della rappresentazione, vediamo anche in che senso questa idea del disordine, di ci che confuso e caotico, sia una idea indiretta e inautentica. In essa il cosmo presupposto: luniverso in quanto attraversato da un ordine. Il disordine qui soltanto unantitesi. In realt possiamo, formarci anche unaltra idea del caos: non come ci che sorge dalla rottura di un ordine, ma come ci che sta prima dellordine stesso, prima della differenza, ed allorigine di essa. Questo caos primigenio certamente qualcosa di imponderabile e incommensurabile, di inconcepibile e tuttavia anche per esso disponiamo di una rappresentazione. Il punto pu essere il suo simbolo [33] . Il punto allude al caos inteso come indistinzione e indifferenza primigenia. Limmagine che comincia a diventare dominante quella del punto come origine. Anche qui, come in Kandinsky, vi sono richiami allastrazione del punto, al punto geometrico nella trasvalutazione compiuta dallimmaginazione. Questi richiami hanno tuttavia un significato diverso. Ci che ci colpisce lassenza di dimensioni del punto: dunque il suo essere qualcosa che nulla o un nulla che qualcosa, la contraddittoriet del punto, il suo essere sospeso tra il divenire e lo svanire. Ma esso privo di dimensioni anzitutto perch origine delle dimensioni. Non Elementi di una dottrina dellesperienza
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appena un punto diventa visibile, non appena esso posto anche le dimensioni sono poste. Lordine ha preso vita: sopra, sotto, a destra, a sinistra. Davanti. Dietro. Il punto come origine qui proprio il punto origine delle coordinate cartesiane, bench naturalmente sottratte al contesto idealizzante della geometria e riferite ad un soggetto concreto che guarda. Il punto orienta lo spazio, e perci ha carattere di centro. Una volta stabilito, il punto trapassa nella sfera dellordine [34] . Ma perch il punto deve essere grigio? Perch dimensioni cromatiche e dimensioni spaziali fanno tuttuno. Lo spazio colore. Le direzioni dello spazio sono direzioni del colore. Sopra, in alto: verso il bianco; sotto: verso il nero; a sinistra: verso lazzurro; davanti: verso il verde e il giallo e cos via. Ed al centro deve esserci proprio il grigio: perch il grigio non n bianco n nero, ovvero perch sia bianco che nero. grigio perch non n sopra n sotto, ovvero perch sia sopra che sotto. Grigio perch non n caldo n freddo, grigio in quanto punto adimensionale, in quanto punto tra le dimensioni[35] . Cos procede la fantasia di Klee sul punto: essa, come in Kandinsky, prende lavvio dal punto come entit percettiva su cui pesa ambiguamente lidealit astratta del punto geometrico: ma si sviluppa poi in unimmaginazione metafisico-cosmogonica che tuttavia non abbandona nemmeno per un istante il materiale stesso come materiale concreto che deve essere inserito in un progetto espressivo. Questa differenza risulta particolarmente chiara proprio l dove le immagini sembrano comuni. Il punto viene detto concentrico anche in Klee [36]. Ma questo termine che, geometricamente parlando, privo di senso, ha ora tuttaltra portata immaginativa. Ora non si tratta dellintroversione del punto, del fatto che il punto chiuso in se stesso: limmagine dellintroversione, in Kandinsky, solidale con quella della taciturnit e della riservatezza. In Klee invece limmaginazione non si orienta in primo luogo verso le propriet umane del punto: ci che viene subito colto invece il prendere forma di uno spazio a cui il punto d origine in quanto ha valore di centro. Su questo Elementi di una dottrina dellesperienza
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valore si addensano le immagini della latenza primordiale: ha valore di centro ci che prima di ogni differenza contiene tutte le differenze. Attraverso il punto traspare la mitica immagine delluovo cosmico [37] . Intorno al punto gravitano cos, fin dallinizio, fantasie della nascita, del germinare, della crescita, dello sviluppo. Quale elemento originario, il punto cosmico. Ogni germe cosmico [38]. Concepito astrattamente, ci troviamo qui di fronte al punto stimolato in quanto energia latente. Il punto in procinto di abbandonare alla minima occasione la sua latenza motoria, di muoversi, di assumere una direzione o pi direzioni. Di farsi cio linea. In una metafora concreta: il seme mette radici, la linea dapprima si dirige verso terra, non per viverci ma per ritrarre energie onde emergere al regno della luce [39]. Dietro queste immagini ci sono molti pensieri. Ma non si tratta di pensieri che, in luogo di seguire uno sviluppo argomentativo, assumono forma di immagini: come se vi fosse un nucleo intellettuale che esse si limiterebbero a rivestire. Il problema, infatti, non anzitutto quello di comunicare dei pensieri, ma di far emergere le tensioni immaginative interne ai materiali. Quindi non vi anzitutto un modo di pensare, ma un modo di sentire. Ad esempio: un modo di sentire la linea: come un movimento di espansione e di dilatazione del punto. Per questo la linea che sorge dal punto ha anzitutto la forma di una spirale:
Si tratta, ancora una volta, di unimmagine di un concrescere organico stesso che allude alla generazione di un universo infinito. Di questo universo infinito ogni essere contiene la proiezione, e perci pu assumere a forma un fiore o una foglia, ma anche un uomo o una astratta figurazione geometrica. E tuttavia pro Elementi di una dottrina dellesperienza
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prio qui si pu innestare un ribalta nella direzione immaginativa. La spirale anche un vortice che verso il suo centro in una angosciosa ritmica accelerazione verso la fine [40]. Dalluniverso infinito siamo riportati indietro alla dimensione terrestre, allimperativo statico della nostra esistenza terrena, nella quale noi, episodio nellambito del tutto, siamo appiccicati alla crosta terrestre, proprio perch vi un punto che ci attrae a s:
Il valore di centro del punto richiama la terra, la forza di gravit, il filo a piombo che ci obbliga con la forza di un comandamento che si risolve nelle opposte direzioni delluovo e della morte [41]. La concentricit del punto ha ora il senso di un richiamo allandamento concentrico di un movimento che si dirige sempre pi rapido verso il fondo dellimbuto [42]: il richiamo, dunque, ad una dimensione esistenziale circondata da immagini che rimandano ad un equilibrio instabile, alla possibilit sempre presente di una caduta. In queste differenze di orientamento che determinano le direzioni delle sintesi immaginative non in questione limmaginazione soltanto, ma si confrontano istanze che stanno al di l di essa e in rapporto alle quali possiamo cominciare a misurare il divergere del progetto pittorico. In Kandinsky, lassenza di dimensioni del punto conduce senzaltro alla sua immaterialit e questa viene intesa come risonanza lontana di una interiorit prigioniera. Cos, in generale, il segno grafico, la figura , in Kandinsky, in primo luogo una cifra dello spirito. In Klee, invece, una cifra della natura. In Kandinsky lopera deve attingere i propri contenuti sprofondando allinterno di una spiritualit non contaminata dallesterno. In Elementi di una dottrina dellesperienza
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Klee, invece, lopera imita gli stessi processi organici della natura proprio per il fatto che in quei processi anchessa affonda le proprie radici.
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Le opere dellimmaginazione ci dnno da pensare Siamo giunti cos alle soglie di altri problemi. Non appena ci accingiamo a prendere in esame qualche esempio particolare di produzione immaginativa, non possiamo arrestarci alla superficie delle immagini, ma dobbiamo spingerci sino ai pensieri che sono in esse intessuti e che indicano la via per una comprensione pi profonda. Cominciamo con il ricostruire la coerenza interna delle immagini: ma questo inizio deve essere proseguito con lintento di rintracciare quei punti di ancoramento la cui presenza, al di l del piano immaginativo, annunciata dalle stesse confluenze dellimmaginazione. Proprio allinterno di una impostazione di tipo fenomenologico, questo punto merita di essere particolarmente sottolineato. Infatti ci si spesso richiamati alla fenomenologia in direzione di una difesa dellautonomia e dellautosufficienza dei prodotti dellimmaginazione, facendo valere una tendenza alla costruzione di tipologie nella quale la giusta esigenza di una comprensione inattingibile ad un orientamento empirico-positivo non viene tuttavia integrata dalla consapevolezza della necessit della specificazione storica. Da questo punto di vista gi abbastanza significativa, anche in rapporto ad una problematica pi ampia, la tendenza presente, in varie forme nella letteratura fenomenologica ad una ripresa di alcune fondamentali posizioni kantiane nellambito dellestetica. Ci che attrae in questa direzione sembra essere in primo luogo il fatto che in Kant si rivendica lautonomia dellesperienza estetica e dunque delloggetto che in essa deve essere attinto. Una ricerca fenomenologica, giunta alle soglie di questi problemi, sembra infatti doversi muovere tra rompicapi Elementi di una dottrina dellesperienza
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concernenti lessenza delluna e l essenza dellaltro. Senza pretendere di aprire proprio ora un nuovo fronte di problemi, possibile tuttavia aggiungere a quanto si gi esposto qualche indicazione ulteriore di orientamento. In effetti innegabile che vi qualcosa nei nostri discorsi che pu richiamare in qualche modo la posizione di Kant. Pensiamo in particolare alla tematica della neutralizzazione delle posizioni dessere. Nel trattare delle sintesi immaginative questo tema stato lasciato un poco ai margini. ma esso pu in realt essere riproposto, in forma un po modificata, proprio nel momento in cui si mostra la connessione tra la tematica della valorizzazione immaginativa e quella dellespressivit. A differenza dei fantomatici contenuti immaginativi da cui abbiamo preso le mosse, i prodotti dellimmaginazione sono ora anzitutto cose che si trovano tra le se del nostro mondo circostante. Da esse si distinguono perch limmaginazione ha fatto presa sul materiale organizzandolo in vista di uno scopo espressivo. Ma allora, affinch questa differenza possa essere colta, necessario in primo luogo la restituzione della cosa allimmaginazione di cui essa appunto un prodotto. Ci non significa soltanto che, nel prendere in considerazione, ad esempio, un ritratto, non possiamo essere interessati alla sua consistenza materiale ed alle varie utilit che potremmo trarre da essa. Ma questo il lato pi ovvio del problema. La restituzione della cosa allimmaginazione richiede che essa sia sottratta ai contesti che la vincolano con le altre cose stanno intorno, ma questi vincoli possono ancora essere ben saldi se consideriamo il ritratto proprio come un ritratto come una raffigurazione. Essa infatti pu essere intesa anzitutto come unattestazione delle fattezze di una persona: come una sorta di equivalente visivo ad una descrizione verbale che potrebbe essere impiegata, e persino con maggior efficacia, per identificare una persona che non conosciamo. Inteso cos il ritratto pu attestare il falso. In esso si possono commettere errori. In questo modo si ripresenta ora il tema delle posizioni dessere e di conseguenza quello della loro neutralizzazione. Infatti, un dipinto comincia con lessere restituito allimmaginazione quando la sua eventuale portata di attestazione viene neutralizzata. Elementi di una dottrina dellesperienza
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Basta poi introdurre qualche variazione inessenziale per mostrare che lo stesso problema si ripresenta anche nel caso dei dipinti non raffigurativi o addirittura delle composizioni di suoni. Pensiamo ai suoni in senso ampio: sono suoni non soltanto le note suonate da un violino o da un flauto, ma anche il fischio di un treno, lo squillo del telefono, il rumore di un bicchiere che cade a terra. Ed allora notiamo questa differenza: sento il fischio di un treno passato il treno delle cinque. Suonano alla porta: ci deve essere qualcuno. E del resto, udendo il suono di un violino, un tale potrebbe chiedere: Chi stato?, come se fosse caduto a terra un bicchiere. Il suono qui anzitutto un segnale. Annuncia qualcosa. Il treno che passa. Qualcuno alla porta. Talora esso impartisce un ordine imperioso: debbo rispondere al telefono. In tutto ci vi indubbiamente qualcosa di simile alle attestazioni, anche se non certamente la stessa cosa. Levento sonoro oggettivamente connesso con altri eventi e si trova ad essi strettamente integrato. La neutralizzazione del carattere di segnale o di attestazione recide i nodi di questa integrazione. Talora potremmo esprimerci cos: Mentre ero in ascolto di quella melodia, il trillo del campanello mi ha richiamato bruscamente alla realt. E prima doveri? E non posso affatto rispondere dicendo che ero trasportato nella particolare realt della musica, nel suo tempo affatto speciale, che non ha nulla a che vedere con la temporalit quotidiana, in quel mondo di trilli di violini e di flauti che non ha niente a che fare con il trillare dei campanelli. A meno che non si voglia con ci contrassegnare rozzamente la differenza tra unapprensione posizionale e unapprensione non posizionale. Infatti la frase: Mi richiama bruscamente alla realt, lallusione cio ad una realt parallela, nella quale possiamo accedere o dalla quale possiamo uscire, per ritornare alla nostra, solo in modo brusco, resta comunque anche per noi abbastanza significativa. Contiene unanalogia con il sonno e il risveglio. Il campanello mi richiama al fatto che l c una porta e pu essere venuto qualcuno. In questo piccolo incidente, il mondo intero si fa avanti. Le scene sonore, invece, ri Elementi di una dottrina dellesperienza
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spetto a questo mondo, se ne stanno a mezzaria, prive di relazioni con tutto il resto, come i nostri sogni. Eccoci dunque ad un passo dalla contemplazione disinteressata di cui parlava Kant per indicare la peculiarit dellesperienza estetica. Ed invece noi abbiamo accennato a questo argomento per mostrare che questo legame del tutto infondato e che anzi a partire di qui si intravede la possibilit di una critica. Quando si tratta di giudicare se una cosa bella scrive Kant in un passo della sua Critica del giudizio non si vuol sapere se a noi o a qualcun altro importi o anche soltanto potrebbe importare della sua esistenza: ma come noi la giudichiamo contemplandola semplicemente [43] . Ci che Kant intende dire viene illustrato da un esempio che segue immediatamente la frase or ora citata. Supponiamo, egli dice, di essere in presenza di un palazzo. Ne vediamo la facciata. Essa ci piace. Enunciamo il giudizio: bella. Supponiamo ancora che questo palazzo sia il frutto di una allucinazione. Esso non esiste. In forza di questa sua inesistenza, di cui noi ad un certo punto potremmo diventare consapevoli, la sua facciata diventa meno bella? Se ci dovesse accadere evidente che siamo interessati allimpiego della casa, alle sue comodit. Pensiamo in qualche modo, anche se non abbiamo formulato nessun pensiero esplicito in proposito, di abitarla, di trovarla ampia e spaziosa. Ma togliendo di mezzo lesistenza, togliamo di mezzo in un colpo solo, tutto le utilit della cosa e gli interessi pratici a collegati. Di un palazzo immaginario non sapremmo che cosa farcene. Se il giudizio: La tal cosa bella poggia su utilit, esso avrebbe solo lapparenza di un giudizio estetico, mentre si ha un giudizio estetico solo quando possiamo dire: Giudicheremmo bella quella cosa, se essa non esistesse. Questa illustrazione esemplificativa che Kant stesso propone chiarisce varie cose e mostra in particolare che noi ci muoviamo in tuttaltra direzione. In primo luogo noi non abbiamo parlato di esistenza o di inesistenza, ma di posizione di esistenza e della sua neutralizzazione, spiegando inoltre questultima deve ora essere intesa in un senso piuttosto particolare. Non si tratta dunque dellassunzione della cosa a titolo di oggetto immaginario. Certamente, Elementi di una dottrina dellesperienza
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non si renderebbe giustizia alla formulazione kantiana se la si riducesse a quello che abbiamo indicato or ora come il pi ovvio del problema. Tuttavia, non appena ci allontaniamo da questa ovviet e pretendiamo di scorgere qualcosa di pi profondo, come certamente giusto fare, diventa subito abbastanza dubbia la stessa connessione tra assunzione di inesistenza e lesclusione di interessi pratici nel mantenimento di una intenzione estetica. Se un bicchiere ci pare bello per la sua forma, pu essere che in ci abbia il suo peso anche il piacere pregustato di bere in un bicchiere fatto cos. Se supponiamo poi che il bicchiere non esista, ci toglie soltanto la possibilit di bere in quel bicchiere, ma non le intenzioni pratiche che continuano a valere in rapporto ad esso, sia pure esse stesse in una modificazione immaginativa. Il bicchiere, anche quando non esiste, ci appare ancora bello, ma esattamente per i motivi di prima. La stessa cosa pu darsi naturalmente per una bella architettura. Questi dubbi assumono poi un orientamento abbastanza preciso se, riconsiderando la nostra impostazione, notiamo che in essa non si fa parola di un atteggiamento estetico, di una particolare esperienza che si chiama estetica perch essa capace di afferrare un oggetto altrettanto particolare, nel quale la bellezza assume un aspetto visibile. Evidentemente il nostro scopo era diverso: volevamo soltanto mettere in rilievo la connessione interna tra la neutralizzazione dei riferimenti posizionali della cosa e lapprensione di essa come carica di espressione. Tra luna e laltra vi un rapporto di opposizione: quanto pi la cosa viene liberata dai suoi caratteri di segnale o di attestazione tanto pi prende risalto la sua portata espressiva. Se mostriamo un ritratto ad un amico ed egli ci chiedesse: Chi ?, forse risponderemmo: guarda piuttosto come sorride. Il ritratto devi limitarti ad osservarlo. Ma ci non ha nulla a che fare con la contemplazione disinteressata di Kant: devi limitarti ad osservarlo, per cominciare a vedere come in esso limmaginazione si sia messa allopera e per giungere di qui a comprendere i suoi pensieri. Linclinazione erronea dellimpostazione di Kant non dipende tanto dalla presenza di un passaggio privo di giustificazioni, come potrebbe risultare da una critica letterale della formulazione che egli propone, quanto dal fatto che quella formu Elementi di una dottrina dellesperienza
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lazione circoscrive latteggiamento estetico nel presupposto di un determinato canone della bellezza. Secondo Kant, alle spalle dellimmaginazione non ci sono pensieri. La subordinazione dellimmaginazione alla norma dellintelletto, che ha tanta parte nella filosofia kantiana e che rappresenta un aspetto cos caratteristico del suo stile complessivo, si fa valere essenzialmente nella funzione epistemologica che Kant assegna ad essa. Diversamente stanno le cose se consideriamo loperare dellimmaginazione nei prodotti dellarte. Anche qui limmaginazione deve certamente guardarsi dalle perversioni della fantasia, e quindi deve soggiacere a norme. Ma queste norme essa le trae unicamente da se stessa. E si tratta di norme che sono tutte dirette alla ricreazione di interne armonie: nellopera limmaginazione deve realizzare la coesione organica delle parti in un intero che basta a se stesso. Lobbiettivo deve essere dunque la produzione di belle forme nelle quali non si debbono cercare pensieri, il puro arabesco a cui conviene una contemplazione che non pu che essere disinteressata. Nelle nostre e considerazioni invece non in questione in alcun modo un qualche canone della bellezza, anche solo presupposto alla lontana. Pi importante ci sembra il fatto di poter dire che alla radice dellimmaginazione ci sono molti pensieri e che proprio per questo le sue opere ci dnno da pensare.
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Note
[1] J.P. Sartre, LImaginaire, trad. it. di E. Bottasso con il titolo Immagine e coscienza, Einaudi, Torino 1964, p. 11. [2] ivi. p. 23. [3] ivi [4] ivi, p. 28. [5] ivi, p. 34. [6] ivi, p. 36. [7] ivi, p. 39. [8] ivi, p. 56. [9] ivi, p. 39. [10] ivi, p. 51. [11] ivi. [12] ivi, p. 105. [13] ivi, p. 39. [14] ivi, p. 56. [15] ivi, p. 39. [16] ivi, p. 29. [17] L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, op. cit., oss. 194, p. 105. [18] J.P. Sartre, op. cit., p. 287. [19] Perci, raccomanda Kant, non prudente di una persona, che per la prima volta si introduce in societ, fare in precedenza grandi lodi; ci pu essere piuttosto un cattivo scherzo di un furbacchione per farsi beffa di lei. Talune idee di oggetti conducono spesso ad attribuire involontariamente ad essi unimmagine spontaneamente prodottasi (in forza dellimmaginazione produttiva). Se si legge o si sente raccontare la vita e le imprese di un uomo grande per talento, per meriti o per posizione sociale, si comunemente condotti ad attribuirgli nellimmaginazione unimponente statura, e viceversa a dare una forma piccola e delicata ad una figura descritta come dolce e fine di carattere (Antropologia pragmatica, op. cit., pp. 58-59). [20] G.W.F. Hegel, Estetica, trad. it. a cura di N. Merker, Einaudi, Torino 1972, pp. 343-349. [21] S. Freud, Linterpretazione dei sogni, trad. it. di E. Fachi Elementi di una dottrina dellesperienza
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nelli e di H. Trettl Fachinelli, Torino, Boringhieri, 1971, p. 365. [22] ivi, p. 323. [23 ] Cfr. C.G. Jung, Simboli della trasformazione, trad. it. di R. Rabo e L. Aurigemma, Torino, Boringhieri, 1976, p. 128 e Tipi psicologici, trad. it. di C. Musatti e L. Aurigemma, Torino, Boringhieri, 1927, p. 525. [24] C.G. Jung, Simboli della trasformazione, op. cit., p. 128. [25] C.G. Jung, Lapplicabilit pratica dellanalisi dei sogni , in Realt dellanima, trad. it. di P. Santarcangeli, Torino, Boringhieri, 1975, p. 73. [26] ivi, p. 76. [27] ivi, pp. 65-66. [28] W. Kandinsky, Punto, linea, superficie , trad. it. di L. Sosio in Tutti gli scritti, I, Milano, Feltrinelli, 1973, p. 15. [29] ivi. [30] ivi, pp. 19-20. [31] ivi, p. 20. [32] Le illustrazioni contenute in questo paragrafo sono suggerite dai disegni di P. Klee, riprodotta nel volume Teoria della forma e della figurazione. I, trad. it. di M. Spagnol e R. Shapper, Feltrinelli, Milano 1959, p. 2. [33] ivi. [34] ivi, p. 4. [35] ivi, p. 3. [36] ivi, p. 4. [37] ivi. [38] ivi, p. 9. [39] ivi, II, p. 29. [40] ivi, p. 414. [41] ivi, I, p. 5. [42] ivi, II, p. 417. [43] I. Kant, Critica dei giudizio, trad. it. di A. Gargiulo, rev. di V. Verra, Laterza, Bari, 1960, p. 44.
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Capitolo Quarto
Il pensiero
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Pensare e fare ragionamenti Concatenare pensieri Il pensiero e la proposizione In che modo deve essere inteso il richiamo al linguaggio La nostra aspirazione sarebbe ora quello di discorrere intorno al pensiero. Certo, non possiamo nascondere lattrazione che esercita su di noi un lontano modello classico. Abbiamo parlato della percezione, del ricordo e dellimmaginazione ed ora, come rinunciare a dire qualcosa intorno al pensiero? Eppure, non si pu negare che persino la pura e semplice enunciazione del terna suoni in questo caso piuttosto sconcertante. Se qualcuno dice che intende discorrere, ad esempio, sulla percezione o sulla immaginazione, la nostra attenzione di ascoltatori si orienta in ogni caso in una direzione sufficientemente determinata. Ma di quale argomento tratter chi si propone di parlare del pensiero? Vorr forse indagare intorno ai lampi misteriosi che attraversano incessantemente il nostro cervello? Naturalmente la nostra prevedibile prima mossa lo esclude. Abbiamo gi deciso una volta per tutte di non immischiarci in questioni di ordine psicologico introspettivo, e ci varr certamente anche in rapporto al nostro nuovo problema. Tuttavia si vede subito che anche questa prima mossa, a meno che non sia accompagnata da qualche chiarimento, non ci conduce molto lontano. Per avviare la nostra trattazione della tematica dellimmaginazione potevamo dire: immaginate questo e questaltro avanzando implicitamente la pretesa di indicare un compito sufficientemente determinato. Questa pretesa deve ora essere lasciata cadere. Ci non dipende tuttavia da qualche difficolt intrinseca alla natura della cosa, ma solo dal fatto che in realt limpiego quotidiano del termine fluttua entro margini pi ampi che negli altri casi.. Cos in precedenza abbiamo potuto parlare dei pensieri dellimmaginazione proprio approfittando dellindeterminatezza del termine che era anche, nel nostro contesto, ricchezza e pregnanza di senso: con pensieri dellimmaginazione Elementi di una dottrina dellesperienza
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intendevamo infatti tutto ci che determina un modo di pensare e che ha quindi le sue radici in un modo di essere, in un modo di vivere la realt e di confrontarsi con essa. Talora invece il termine pensare viene impiegato in modo pi ristretto e allincirca analogo a effettuare ragionamenti. Del resto potremmo inversamente illustrare questultima espressione dicendo che il ragionare consiste nel concatenare pensieri. Proprio tenendo conto di ci possiamo cominciare con il circoscrivere un ambito sufficientemente determinato di problemi, entro il quale la nostra prima mossa comincia con il diventare significativa. Il miglior modo di giocarla sta poi nel considerare le concatenazione di pensieri nella misura in cui esse prendono forma in concatenazioni di proposizioni. In luogo di pensieri, parleremo di proposizioni ed in questo modo ci si libera di colpo da discussioni che possono prendere in ogni momento uninclinazione psicologistica. Lidea, certo, non nuova e non nemmeno particolarmente moderna. Anche senza voler risalire troppo oltre nel tempo, potremmo indubbiamente richiamare ancora una volta la posizione di Kant. A parte ogni altra considerazione pi precisamente attinente al sistema filosofico che egli propone, non c dubbio che la distinzione cardinale tra esperienza sensibile e intelletto sia operata proprio a partire dal presupposto che la facolt del pensare si esplichi nella produzione di giudizi, e che dunque il pensiero, in unaccezione sostantiva del termine che ammette il plurale, non sia altro che la proposizione. In rapporto al giudizio dovr inoltre, secondo Kant, essere introdotta la nozione di concetto: I concetti egli dice si riferiscono, come a predicati di giudizi possibili, a qualche rappresentazione di un oggetto ancora indeterminato [1]. In questo modo viene fissata una delle possibili accezioni del termine facendo riferimento alla costanza del predicato nella libera variazione del soggetto, presupponendo cos, nella definizione, la forma stessa della proposizione. Si osserver subito che la sostituzione del pensiero con la proposizione sembra stabilire una stretta connessione tra pensiero e linguaggio e che di conseguenza una discussione filosofica che abbia a che fare con questo ambito difficilmente potr fare a Elementi di una dottrina dellesperienza
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meno di prendere in considerazione determinati fatti linguistici, se non addirittura convertirsi integralmente in una discussione che ha il linguaggio come proprio tema esclusivo. Prima di prendere una simile posizione converr tuttavia andare cauti, dal momento che essa pu rivelarsi pi densa di problemi di quanto possa apparire ad un primo sguardo. Lo stesso Kant, del resto, che ha cos chiaramente impostato il problema su questo versante, non ha affatto posto laccento proprio su questo punto, non ha cio considerato la riflessione sul linguaggio come la principale via daccesso ai problemi del pensiero. Dobbiamo forse senzaltro ritenere che ci dipenda da una qualche ingenuit filosofica che dovremmo considerare ormai superata o comunque da superare? E opportuno allora precisare in che senso si pone per noi questa connessione, cominciando con il dare per acquisito che la terminologia del pensiero possa essere tradotta in una terminologia che rimanda a fatti linguistici, diciamo molto semplicemente: a parole ed a configurazioni di parole. Ma per noi non pu essere affatto irrilevante lo scopo che vogliano perseguire nelloperare una simile conversione. La nostra intenzione infatti quella di mettere fuori gioco un equivoco psicologistico che sembra inerente alla terminologia del pensiero. Spieghiamo, ad esempio, che con concetto non devi intendere niente altro che un predicato possibile. Per questo termine potremmo anzi proporre unaccezione molto pi ampia, forse anche troppo ampia, ma che comunque mantiene il riferimento linguistico che qui il punto essenziale. In generale, i concetti non sono altro che i significati intesi nelle parole. In questo modo liberiamo il terreno da processi ed entit mentali che non sapremmo poi in che modo possano essere considerati pi da vicino. Cos noi abbiamo la sensazione che abbia senso parlare di operazioni e di procedure intellettuali, se non altro in contrapposizione alle operazioni rivolte agli oggetti concretamente dati negli atti di esperienza. E tuttavia, non appena tentiamo di rendere esplicita in qualche modo questa sensazione, essa diventa sempre pi nebulosa. La stessa contrapposizione tra operazioni intellettuali e operazioni concretamente rivolte alle cose che ci stanno intorno Elementi di una dottrina dellesperienza
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non ci fornisce altro che limmagine di un operare aereo e sottile su materie enigmaticamente sfuggenti. Il riferimento al linguaggio ci deve invece insegnare qualcosa. Ad esempio spieghiamo che un cubo pensato vogliamo proprio esprimerci cos non altro che il significato inteso in quella parola. In questo senso, laver di mira nel pensiero questo o quelloggetto tuttaltra cosa che averlo di mira nella percezione, nel ricordo o nellimmaginazione. Impiegato in questo modo il richiamo al linguaggio mostra la via per apportare chiarimenti essenziali. Ma il nostro scopo pedagogico sarebbe interamente compromesso se quel richiamo - non fosse compreso nel conte sto che lo moriva e inducesse a ritenere che il luogo di tutti i nostri problemi fosse dentro il linguaggio. E che quindi al centro della nostra indagine dovrebbero essere posti determinati dati di fatto linguistici. In effetti se portiamo la possibilit di quella conversione terminologica fino ad una vera e propria identificazione ci troviamo immediatamente di fronte alla circostanza che non appena parliamo del linguaggio non possiamo, a quanto sembra, fare a meno di considerare questa nozione, al plurale. Una qualunque proposizione sar espressa in una lingua determinata; una parola qualunque appartiene in ogni caso ad un determinato vocabolario. Ed a questo dato di fatto ne sono connessi ovviamente molti altri. Dovremmo dunque ritenere che il richiamo critico allambito linguistico coro orti come conseguenza ovvia che da questi fatti linguistici si debbano prendere senzaltro le mosse e che ad essi ci si debba in ogni caso attenere nellintero corso della nostra discussione come il suo tema autentico? In realt come siamo sempre disposti a mostrare che laddove interviene la terminologia del pensiero possiamo sempre operare una conversione che sottolinei il riferimento a parole ed a configurazioni di parole, cos dovremmo essere altrettanto disposti a seguire il percorso inverso dalla terminologia del linguaggio a quella del pensiero. I nostri problemi non si aggirano nellempiria delle lingue. Vogliamo parlare proprio di determinate procedure e metodi intellettuali e non di questioni concernenti la grammatica di questa o quella lingua. E se il far notare che un concetto non altro che il significato inteso nella parola inducesse nellerrore di ritenere che solo Elementi di una dottrina dellesperienza
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della parola si tratta, allora dovremmo ritornare sui nostri passi, sottolineando inversamente che ci interessiamo proprio del concetto, di questo prodotto del pensiero, rispetto al quale la parola non che un veicolo che pu essere considerato importante solo in rapporto ad altri problemi.
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Tra il pensiero e lesperienza vi sono connessioni Lautonomia del pensiero Vari modi di intendere questa autonomia Perch in rapporto a questo problema, qualcosa ci attrae in un atteggiamento di tipo empiristico Abbiamo osservato che proprio il riferimento allambito linguistico ci utile per cominciare a rendere chiara la contrapposizione tra il Pensiero da un lato e, dallaltro, la percezione, il ricordo e limmaginazione a titolo di esperienze. Con ci intendiamo evidentemente sottolineare che sarebbe un errore proseguire la discussione secondo il nostro stile consueto. Percezione, memoria e immaginazione possono infatti essere subordinate ad un titolo comune. Questa possibilit si traduce in un modo di approccio omogeneo, dal momento che si sempre trattato, in precedenza, di mettere in evidenza differenze nella struttura del rapporto con il dato, di chiarire modalit diverse di presentazione dei contenuti. Ora chiaro che il significato inteso nella parola non pu essere concepito come un oggetto o un contenuto che si presenta secondo una modalit eventualmente da mettere in chiaro. Gi per questo fatto la tematica del pensiero si situa al di fuori dellambito di unesposizione come la nostra che ha come temi i primi elementi di una dottrina dellesperienza. Tuttavia vi almeno un aspetto rilevante secondo cui essa pu essere messa in questione anche allinterno di questo ambito, In primo luogo possiamo notare che vi sono connessioni tra il pensiero e lesperienza, e proprio nel senso pi ovvio suggerito dalla nostra stessa impostazione. Se un pensiero non altro che una proposizio Elementi di una dottrina dellesperienza
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ne, allora vi sono certamente proposizioni che significano stati di cose percettivamente accertabili: il significato in esse inteso viene saturato da un atto di esperienza percettiva. In generale potremmo dire che vi sono talvolta intuizioni corrispondenti ai concetti. Tuttavia vi sono anche casi in rapporto ai quali pu essere dubbio in che senso si parli di corrispondenza intuitiva, e addirittura pu essere escluso lo stesso sussistere di una connessione. Vi sono dunque, impiegando la vecchia terminologia, concetti puri. Vi sono cio significati chiari e distinti rispetto ai quali potrebbe noti avere nemmeno senso tentare di correlare oggetti dati intuitivamente; e qualora una simile correlazione potesse in qualche modo essere proposta, essa non sarebbe in grado di aggiungere o togliere nulla alla chiarezza e distinzione del concetto. Nellintendere attraverso la parola non siamo affatto vincolati al terreno intuitivo le possibilit del pensiero superano da ogni lato le possibilit dellintuizione. Sembra allora abbastanza naturale riconoscere che proprio quando il pensiero opera in questa autonomia e purezza, esso dispiega la propria azione autentica. Si impone cos lidea di una sfera del pensiero che attinge le proprie regole, i propri strumenti e i propri materiali unicamente da se stessa. Tutto ci dovrebbe soltanto rafforzare lestraneit della problematica del pensiero rispetto ai temi di una dottrina dellesperienza, se non accadesse invece, come del resto inevitabile, che vi sono diversi modi di intendere questa autonomia e in essi viene messo in questione, insieme a problemi di impianto filosofico generale, lo stesso configurarsi nel suo interno della nostra tematica specifica. Pensiamo al caso esemplare della posizione che la logica assume nel razionalismo classico: limportanza attribuita alla metodologia argomentativa strettamente connessa con il deprezzamento del mondo nella sua dimensione fenomenologica. Il nostro mondo, la realt ha una struttura profonda che si trova al di l delle apparenze, dei fenomeni, e non vi nessuna via che conduce dal mondo di esperienza, dal mondo cos come ci appare al mondo cos come esso in se stesso. Proprio perch il pensiero opera in una rigorosa autonomia rispetto allesperienza, ci Elementi di una dottrina dellesperienza
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consentito, attraverso il suo esercizio, di accedere a questa struttura profonda e deve essere dunque la logica, il pensiero puro, a porgere, attraverso precisi canoni argomentativi, i mezzi necessari che debbono consentire la realizzazione della nostra metafisica. La rottura del nodo tra logica e metafisica ad opera del trascendentalismo kantiano, modifica indubbiamente limpostazione del problema, ma in una direzione non meno densa di implicazioni speculative. Infatti, il modo in cui si stabilisce un limite al pensiero sopprime la pretesa metafisico-costruttiva del razionalismo, mantenendone tuttavia integralmente il presupposto di fondo: la realt ha veramente una struttura profonda, solo che essa imperscrutabile. Ci che vi di veramente nuovo nella filosofia trascendentale la posizione del problema della connessione tra il pensiero e lesperienza. Di qui deriva loscura invenzione kantiana di una logica trascendentale. Quella logica formale che la concezione razionalistica propone come capace di porci di fronte alle profonde verit che concernono lessenza del mondo, si presenta invece come in linea di principio incapace di superare il vuoto della forma. Tuttavia il pensiero non attivo solo su questo terreno, ma in primo luogo nella capacit formatrice di contenuti fenomenici. A considerazioni logico-formali, che sono prive di una portata contenutistica, debbono dunque subentrare considerazioni logico-trascendentali, secondo le quali il pensiero non potr pi essere inteso come un apparato di regole e di concetti che rispecchia nella sua oggettivit e nella sua purezza lorganizzazione della realt nel suo essere in se stessa, ma come un pensiero organizzatore che unifica, attraverso principi autonomi, la molteplicit disparata dei materiali fenomenico-sensoriali. La stessa nozione di esperienza deve allora essere riformulata ponendo in luce la sua articolazione interna in componenti sensibili e componenti intellettuali. Questo propriamente il compito dellanalisi filosofica: essa interviene per districare criticamente queste componenti e nello stesso tempo per legittimare lanteriorit di principio delle forme intellettuali. In una simile impostazione non pu che essere proposta, per rendere conto di questa autonomia, ancora qualche cosa di simile ad una Elementi di una dottrina dellesperienza
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preformazione: lintelletto deve essere gi dato a se stesso come apparato predisposto allunificazione. Nello stesso tempo viene qui a mancare il vincolo che lega loggettivit del pensiero alloggettivit della realt ma deve essere il pensiero stesso, con il suo ineliminabile rimando alla soggettivit, a garantire la stessa possibilit di una realt oggettiva. Il problema metafisico finisce cos con il presentarsi due volte: dalla parte dellin s autentico, della realt transfenomenica, e dalla parte della soggettivit trascendentale. In entrambe queste prospettive filosofiche, il tema dellautonomia del pensiero viene affrontato da un punto di vista che propone una concezione dellesperienza orientata in una direzione pi o meno apertamente speculativa. A quanto sembra, quel tema non pu essere elaborato senza implicare anche decisioni sullaltro versante sul versante, appunto, di una dottrina dellesperienza. Cominciamo cos a indicare entro quali limiti intendiamo proporre alcune questioni anche in questa direzione. Si tratta di chiarire in che modo possa essere posto il tema dellautonomia entro il contesto dellimpostazione filosofica che abbiamo fatto valere fino a questo punto, di illustrare quali istanze si presentino anche in rapporto a questo problema a partire da un impianto filosofico fenomenologico. Gli accenni precedenti bastano certamente per spiegare che non possiamo che essere molto lontani da una direzione nazionalistica, cos come da una direzione trascendentale nel senso kantiano del termine. Qualcosa ci attrae, invece, in un atteggiamento di tipo empiristico. In rapporto ad esso manteniamo intatta la nostra critica di carattere generale ed anzi lecito prevedere che la distanza che separa la nostra impostazione da una impostazione empiristica verr ancor pi approfondita in questa nostra ultima estensione della discussione. Tuttavia, il rifiuto di un punto di vista di carattere generale, non toglie certo la possibilit di accogliere lo spunto di un problema. Si noter subito che proprio in rapporto al tema dellautonomia, assumendo un. atteggiamento empiristico, ci troviamo in realt di fronte a due possibilit alternative che si trovano in conflitto aperto e che sembrano imporre una decisione preliminare. Elementi di una dottrina dellesperienza
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In primo luogo sembra coerente con una posizione empiristica la pura e semplice soppressione dellautonomia del pensiero: ogni produzione intellettuale deve poter essere integralmente risolta entro lambito intuitivo, sia pur attraverso la mediazione di determinate procedure astrattive. Di fronte ad ogni questione che concerne la sfera del pensiero dovremmo in ogni caso, come empiristi, proporci il problema di chiarire una connessione con il terreno sottostante dellesperienza. Tuttavia, anche allinterno di un impianto filosofico empiristico, la purezza del pensiero sembra poter essere proposta e difesa, purch si accentui la vuotezza delle nozioni e delle procedure intellettuali. In rapporto alla logica metteremo laccento sul suo carattere formale, quindi sullassenza di contenuto, ed allora va da s che essa, non solo non pu oltrepassare il piano dellesperienza in direzione di una pretesa struttura metafisica della realt, ma non vincolata a questo piano per il semplice fatto che in essa non si parla di nulla. Il passaggio al problema di unaltra logica che in Kant era motivato, ad un tempo, dal tentativo di superare il punto di vista empiristico e di salvare le istanze di fondo del razionalismo classico, pu essere considerato come privo di giustificazioni. Sia che si segua la prima via come la seconda evidente che, almeno nelle intenzioni, si fa tabula rasa di ogni impostazione speculativa: ma ci che forse merita qualche riflessione consiste piuttosto nella forma alternativa che quelle vie tendono ad assumere. Sembra qui che la posizione dellautonomia tolga ogni connessione e che inversamente la posizione della connessione tolga ogni autonomia. Se consideriamo la prima direzione di discorso, essa propone in modo del tutto generale che di fronte alla pretesa purezza del concetto si ponga il problema della sua base esperienziale. Ogni assunzione di preformazione viene messa da parte: di ogni procedura intellettuale possiamo e dobbiamo rendere conto vogliamo aggiungere, ad un primo livello nel quadro di una problematica interamente inscritta dentro lambito di una dottrina dellesperienza. Si tratta di un problema a cui sembra assai difficile rinunciare se si vuole evitare che la teorizzazione dellautonomia del pensiero non comporti conseguenze, sia pure indirette, che si trovano in netto contrasto con una nozione di esperienza elaborata da un punto di Elementi di una dottrina dellesperienza
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vista fenomenologico. Daltro lato, noto. che nella realizzazione di questa via secondo lo stile empiristico si afferma un riduzionismo manifestamente insostenibile. Sembra addirittura che i diritti della purezza del pensiero ricevano maggior forza proprio tenendo conto dei risultati a cui mette capo la loro negazione. Ci su cui occorre riflettere tuttavia se questa posizione di connessioni che toglie ogni autonomia metta in questione leffettiva sussistenza del problema della base esperienziale, e non invece i canoni di una dottrina empiristica dellesperienza. Il richiamo alla base esperienziale deve infatti servire anzitutto a liberare il terreno dallimmagine di una sfera del pensiero conclusa in se stessa, ma anche a mettere in risalto il fatto che, a partire dallesperienza, qualcosa di effettivamente nuovo accade nel pensiero. Di qui linteresse che riveste anche il secondo polo dellalternativa: laccentuazione della vuotezza del pensiero, lindicazione del terreno formale come lambito delle operazioni intellettuali rappresenta indubbiamente una indicazione preziosa. Non meno che nel caso precedente lecito chiedersi se vi sia un passaggio realmente conseguente tra laccentuazione di questa dimensione formale e la rescissione di ogni nodo con il terreno dellesperienza. Sembra che questa contrapposizione possa essere sostenuta soltanto sulla base di una concezione pregiudiziale secondo la quale il contenuto si troverebbe tutto dalla parte dellesperienza e da questa parte si troverebbero solo contenuti. Sappiamo gi che questa concezione erronea. Nellesperienza non ci sono solo contenuti, ma anche modi di organizzazione e di strutturazione di essi. Ma se cos, possiamo forse tentare di mostrare che entrambe le direzioni suggerite da un atteggiamento empiristico possono saldarsi luna allaltra e che lautonomia del pensiero pu essere difesa senza rinunciare al fondamentale problema della sua connessione con lesperienza.
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La problematica della base esperienziale dei concetti Un esempio tratto dalla Filosofia dellaritmetica di Husserl: il concetto di numero Vogliamo subito fornire un esempio di ci che intendiamo parlando del problema della base esperienziale facendo assumere, nello stesso tempo, alla nostra discussione un andamento pi pronunciatamente espositivo. In rapporto alla nozione di fenomenologia nella forma teorizzata da Husserl, questo problema assume unimportanza per molti versi centrale. Esso si trova in modo particolarmente evidente allinizio ed al termine dellitinerario filosofico di Husserl. Ne La crisi delle scienze europee, infatti, il tema principale rappresentato dalla necessit di una ricomposizione tra la scienza in genere ed il mondo della vita, avendo di mira come obiettivo polemico da un lato limmagine positivista della ragione e dallaltro lesplicito irrazionalismo della filosofia esistenziale. In questo contesto si presenta in modo consistente, e precisamente in connessione con la critica della matematizzazione della natura, la tematica della base esperienziale delle formazioni intellettuali. Poich il tramite della matematizzazione storicamente rappresentato dallesemplarit della geometria, la discussione di Husserl si orienta in questa direzione, sottolineando che alla formazione della geometria come scienza presiedono determinate procedure di idealizzazione che hanno la loro origine nellesperienza. Alluniverso delle forme concretamente intuitive si contrappone luniverso delle forme geometrico-ideali: e tuttavia questa contrapposizione deve essere illustrata proprio attraverso lindicazione di una connessione, attraverso lesibizione di processi che conducono dalle prime alle seconde. Nel quadro complessivo di quellopera tuttavia difficile rendersi conto delleffettiva portata teoretica del problema, dal momento che le preoccupazioni ideologiche orientate in direzione di una presa di posizione sul piano propriamente culturale sono nettamente dominanti. Daltro lato, lo stesso problema vie Elementi di una dottrina dellesperienza
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ne proposto, indipendentemente da quelle preoccupazioni ideologiche ed in una forma che ha di mira una tematica pi specifica, ai primi inizi dello sviluppo della filosofia di Husserl, in una fase anteriore alla stessa teorizzazione della nozione di fenomenologia. Perci vogliamo togliere il nostro esempio dalla Filosofia dellaritmetica. Il principio entro il quale essa si muove, un principio che ricorda da vicino un atteggiamento di tipo empiristico, pu essere formulato semplicemente cos: Nessun concetto pu essere pensato senza fondazione in unintuizione concreta [2]. Ci deve valere naturalmente anche per il concetto di numero, bench ci si trovi qui di fronte proprio ad uno degli esempi che potrebbero essere citati per indicare quanto talvolta possa essere problematico il parlare di intuizioni corrispondenti ai concetti. Tuttavia anche in questo caso deve essere possibile indicare i fenomeni concreti a partire dai quali, attraverso determinate procedure astrattive, il numero si forma. Questa indicazione della genesi deve nello stesso tempo fornire una risposta soddisfacente alla domanda stilla natura del numero. Questo il primo punto su cui occorre attirare lattenzione. Se chiediamo: Che cosa il numero? la forma stessa della domanda sembra esigere una definizione. In essa si presuppone una sorta di essenza del concetto, e la domanda verte su di essa. Attraverso la definizione, una nozione che, considerata nei suoi impieghi quotidiani e correnti, pu forse essere ritenuta ovvia e ben nota e che tuttavia si oscura non appena su di essa si rivolga la riflessione, deve essere portata a piena chiarezza. Invece noi ci accingiamo in realt ad operare uninterpretazione della domanda che conduce ad una sua riformulazione. Non devi chiederti . anzitutto che cosa sia il numero, ma in che modo abbia origine questa nozione. Alla richiesta di una delimitazione definitori deve subentrare la richiesta relativa alla formazione del concetto ed in questa conversione della domanda non si effettua il passaggio ad un altro problema, ma si orienta lo stesso problema nella sua direzione corretta. Il prodotto viene chiarito chiarendo il modo della sua produzione. Certamente, ponendo le cose in questo modo, tendiamo ad accentuare fin dallinizio il carattere di chiarificazione filosofica Elementi di una dottrina dellesperienza
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di unimpostazione genetica, tacendo sullequivoco psicologistico dentro il quale lopera giovanile di Husserl interamente situata. Che lanalisi logica e la ricerca psicologica debbano collaborare ai fini di una chiarificazione filosofica per Husserl un presupposto ovvio, in rapporto al quale non si intravede alcuna difficolt di principio. Nella Filosofia dellaritmetica in realt ben presente lobiezione che pu essere rivolta gi alla semplice enunciazione del suo sottotitolo: ricerche logiche e psicologiche. Qui si unifica ci che deve invece essere tenuto chiaramente distinto. In rapporto al concetto di numero possono essere riferiti due compiti molto diversi, quanto ai loro metodi ed ai loro problemi. Da un lato, si tratta di determinare ci che logicamente contenuto nel concetto, di compiere di esso una sorta di analisi logica. Dallaltro, potremmo invece essere interessati al processo di formazione e poich con ci sembra noti si possa intendere altro che il modo in cui ha origine nella nostra testa il concetto di numero, allora dovremo piuttosto ricorrere ai metodi di unindagine psicologicamente orientata. Lo statuto psicologico del concetto non deve essere confuso con quello logico: di conseguenza la domanda che chiede che cosa il numero non solo non trova la sua formulazione corretta nella domanda intorno alla sua genesi, ma lima nettamente irriducibile allaltra ed esse esigono campi di indagine del tutto separati [3] . Di questa obiezione Husserl perfettamente consapevole e ritiene tuttavia che essa non meriti di essere tenuta in conto [4], mentre, come sappiamo, la preoccupazione di liberate il campo dallequivoco psicologistico si trova alla base della prima posizione dellidea di analisi fenomenologica. Questo atteggiamento ha dalla propria parte almeno un buon motivo: la convinzione fondamentale da cui muove Husserl nella filosofia dellaritmetica riguarda infatti la portata chiarificativa di indagini intuitivamentc orientate anche in rapporto alla sfera del pensiero, i concetti non hanno una essenza, ma una storia. Perci la loro chiarificazione deve prendere la via del processo di formazione. Se poi si ammette che il problema della formazione sia un problema psicologico, allora la ricerca psicologica deve essere Elementi di una dottrina dellesperienza
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importante proprio per chiarire lo statuto logico del concetto e ad essa non possibile rinunciare. Ci che in seguito viene a cadere quellammissione ovvia e la conseguenza altrettanto ovvia che se ne trae. Non invece il criterio metodico della chiarificazione genetico-intuitiva. La superficie psicologistica pu anche essere abbandonata senza con ci intaccare il nucleo profondo del problema. Perci possiamo cominciare con il trarre il nostro esempio proprio di qui.
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Numero e molteplicit Il numero come concetto formale o categoria La nozione di collegamento collettivo e la sua interpretazione psicologistica La direzione in cui verr sviluppato il problema dellorigine del concetto di numero gi ampiamente decisa da due osservazioni che si presentano nel primo capitolo della Filosofia dellaritmetica. Assumendo come indizio significativo limpiego quotidiano del termine, si fa notare anzitutto che vi un legame interno tra la nozione di numero e quella di molteplicit. Possiamo servirci della parola numero semplicemente per, indicare molte cose; quanto ai numeri determinati, attraverso di essi una molteplicit pu essere specificata. Inoltre viene sottolineata la generalit del numero, da intendere come generalit contenutisticamente incondizionata della sua applicazione. Se sappiamo che due cose sono azzurre, sappiamo anche che tipi di cose sono a quale regione dellessere appartengono, mentre nulla sappiamo di ci se sappiamo soltanto che sono due. Per questo parliamo di generalit formale e del numero come esempio di concetto formale oppure, secondo lespressione usata da Husserl come esempio di categoria [5]. Sulla base della prima di queste due osservazioni, lindagine si sposta dal problema del numero a quello della nozione di molteplicit e della sua origine. In questo modo la via senzaltro aperta verso considera Elementi di una dottrina dellesperienza
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zioni intuitive. Non gi nel senso che il rifiuto della ricerca di una definizione, rifiuto che naturalmente andr ribadito anche in rapporto alla chiarificazione della nozione di molteplicit, debba essere sostituito da vaghi richiami a idee oscure che si trovano gi nella nostra testa, secondo un impiego della parola intuizione molto pi vicino al discorso corrente che alla tradizione filosofica. Certamente, qui parliamo di molteplicit di cose, ed eventualmente di insiemi, di aggregati o di collezioni, presupponendo che ognuno sappia che cosa si intenda con queste espressioni [6]. Ma questa presupposizione non fondata a sua volta nella convinzione che nella nostra mente si trovi una qualche idea approssimativa di molteplicit che attenda di essere purificata e rigorizzata. Non si tratta affatto di questo. Presupponiamo soltanto che ognuno sappia, in circostanze appropriate, applicare correttamente quelle espressioni. In particolare, le circostanze a cui vogliamo fare riferimento mettono in questione lintuizione per il semplice fatto che in esse una molteplicit di cose si trova direttamente sotto il nostro sguardo. I fenomeni concreti a cui dobbiamo risalire sono dunque le molteplicit concretamente percepite. Tuttavia la nostra seconda osservazione pone una condizione molto precisa che la nozione di molteplicit che, per cos dire, ci conduce sulla via del problema del numero, deve in ogni caso soddisfare. Le molteplicit in genere, ed anche le molteplicit percettive, o come potremmo anche dire, gli interi in unaccezione lata del termine, possono essere di diverso tipo. La differenza del tipo dipender in generale dalla differenza della forma di collegamento tra le parti dellintero. Nel caso che ci interessa tale collegamento deve poter sussistere indipendentemente dalle qualificazioni contenutistiche concrete delle parti. Nel primo capitolo della Filosofia dellaritmetica, per indicare una simile forma di collegamento si parla senzaltro di collegamento collettivo [7]: ma non si va oltre la pura e semplice introduzione del termine. Le spiegazioni giungono invece con la posizione della distinzione tra relazioni primarie e relazioni psichiche, proposta nel capitolo terzo. Questa discussione merita di essere sommariamente riferita perch essa presenta gi alcuni spunti che si ri Elementi di una dottrina dellesperienza
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veleranno di, importanza fondamentale per il futuro impianto del discorso propriamente fenomenologico. Con relazioni primarie intendiamo, detto in breve, le relazioni che poggiano sulle caratteristiche contenutistiche degli elementi posti in relazione. Nellindicazione di esempi potremo fare riferimento, in particolare, a interi percettivi. Ogni distribuzione spaziale di elementi nel campo visivo, cos come ogni relazione dipendente dalla forma o dalle qualit cromatiche degli oggetti potr essere richiamata per illustrare la nozione di relazione primaria. Cos una superficie che presenti una successione graduale di sfumature di colore pu essere indicata come un intero che determinato nel suo tipo dal modo in cui, in rapporto ad esso, possiamo parlare di parti e dalla forma fenomenologica concreta del loro essere insieme. A differenza degli interi composti di parti discrete, qui possiamo parlare di parti soltanto nel senso che sul piano percettivo si presentano settori differenziabili fra i quali tuttavia non vi alcuna netta linea di demarcazione. Perci, se consideriamo dei tratti abbastanza vicini della superficie vi sar tra esse una relativa indistinzione cromatica. Dal punto di vista percettivo questa situazione irriducibile al caso della discretezza e la sua eventuale interpretazione come un caso particolare di essa sarebbe appunto soltanto uninterpretazione. Ammetteremo invece di trovarci qui in presenza di una specie particolare di intero caratterizzato da un modo peculiare di collegamento tra le parti che vogliamo chiamare collegamento di continuit [8]. La riconduzione del tipo di intero al modo di collegamento tra le parti importante perch ci consente di affermare che la relazione deve essere intesa come una componente sensibile dello stato di cose percepito. Nello stesso tempo essa libera tale tipicit dal vincolo ad un campo sensoriale determinato. Lo stesso tipo di intero caratterizzato dalla continuit tra le parti, che possiamo illustrare con lesempio delle transizioni cromatiche, pu ripresentarsi nel campo dei suoni. Infatti, come possiamo avere configurazioni sonore costruite sulla discretezza percettiva delle parti, cos possiamo avere vere e proprie transizioni sonore che sarebbe erroneo interpretare come giustapposizione di punti di suono. Elementi di una dottrina dellesperienza
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Questa possibilit di trasposizione della nozione di intero da un campo sensoriale allaltro non ovviamente da intendere come se il fattore di integrazione fosse indipendente dal materiale percettivo e venisse imposto ad esso a titolo di componente intellettuale. Sono infatti in ogni caso le relazioni primarie, e quindi i contenuti direttamente percepita, che decidono la tipologia degli interi; mentre la possibilit della trasposizione rappresenta piuttosto un indizio della possibilit di operare concettualizzazioni su questa base di esperienza. Considerazioni analoghe valgono per ogni forma di ordinamento seriale, per ogni rapporto di somiglianza e di contiguit, come in generale per ogni configurazione percettiva. Non evidentemente difficile riconoscere nella nozione di relazione primaria una delle idee guida della tematica propriamente fenomenologia. In essa viene in questione, sia pure nel quadro di una tematica che ha di mira tuttaltri problemi, una concezione dei processi percettivi come processi di integrazione che poggiano su sintesi direttamente proposte dal materiale. Lidea della passivit delle sintesi qui gi presente come uno spunto destinato ad assumere grande rilievo in futuro. Cosicch assume per noi particolare significato la precisa critica che si trova gi nella Filosofia dellaritmetica nei confronti della posizione kantiana: Kant trascur il fatto che ci sono dati molti collegamenti contenutistici nei quali non si pu notare nemmeno una traccia di attivit sintetica che crea i legami [9] . Alle relazioni primarie si contrappongono le relazioni che Husserl chiama psichiche; ed inutile dire che nella scelta di questo termine cos come nelle spiegazioni particolari intorno a questo punto si fa sentire direttamente lincerta metodologia psicologistica dellopera. Per questo converr insistere sulla contrapposizione indicata, piuttosto che sullimpiego di quel termine. In rapporto ad uno stato di cose relazionale colto percettivamente, dalla relazione fondata nei suoi elementi (che sar dunque una relazione primaria) distingueremo certamente latto percettivo in cui essa viene appresa. La percezione, tuttavia, quindi latto soggettivo (o come si esprimerebbe ora Husserl: latto psichico) non determina il sussistere della relazione stessa. Viceversa pu darsi il caso che due oggetti siano osti in relazione e Elementi di una dottrina dellesperienza
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che tuttavia per rendere conto di essa sia essenziale il rimando a determinati atti soggettivi. Ci accade, ad esempio, quando due oggetti, indipendentemente dal fatto che tra essi sussistano o meno relazioni primarie, sono oggetti della volont o del desiderio di qualcuno. il rimando soggettivo allora essenziale per rendere conto del modo in cui essi sono collegati. Il sussistere di modi primari di collegamento tra gli oggetti non pu evidentemente rappresentare una condizione per la posizione di una relazione psichica; e daltra parte sarebbe una forzatura evidente interpretare il sussistere di una relazione psichica come se fra gli oggetti posti in relazione intercorresse una sorta di flusso psichico. Di fatto ci che si vuol dire unicamente che vi sono tipi di relazioni che, a differenza di altre, sono prive di fondamento contenutistico. Questa possibilit di attenuare linflessione psicologistica dellimpostazione del problema non significa tuttavia che essa non abbia conseguenze rilevanti nella trattazione di Husserl. Ci appare chiaro proprio nel passaggio alla discussione del problema del collegamento collettivo rispetto al quale la distinzione tra relazioni primarie e relazioni psichiche ha uno scopo puramente introduttivo. Come abbiamo osservato, il collegamento che abbiamo deciso di chiamare collettivo deve essere indipendente dai contenuti collegati nella molteplicit. E poich intendiamo riportate le nostre illustrazioni sul terreno dei fenomeni concreti, ci troviamo subito di fronte al fatto che ogni molteplicit concretamente percepita presenta in ogni caso collegamenti primari di vario genere tra i propri elementi. Ci troveremmo allora di fronte ad una ovvia difficolt se non potessimo contare sulla nozione di relazione psichica. Il collegamento collettivo infatti non pu che essere annoverato tra le relazioni psichiche. Perci possiamo prescindere dalle relazioni primarie, e quindi dalle determinazioni contenutistiche degli elementi della molteplicit, senza che in questa astrazione venga soppressa la molteplicit stessa. Pu ancora esserci un atto psichico che abbraccia unitariamente gli elementi della molteplicit. In altri termini, affinch oggetti qualunque siano collegati collettivamente si richiede soltanto che ad essi sia diretto un interesse unitario. Elementi di una dottrina dellesperienza
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Una soluzione della difficolt indubbiamente significativa, ma ben poco convincente. Tanto pi che, Husserl proprio per spiegare questo punto ricorre esplicitamente come in realt accade di rado nellopera allesperienza interna: La prima conferma della nostra concezione egli scrive offerta ancora una volta dallesperienza interna. Se chiediamo in che cosa consista il collegamento quando, ad esempio, pensiamo ad una pluralit di cose tanto disparate come il rosso, la luna e Napoleone, allora riceviamo la risposta che noi pensiamo insieme questi contenuti, che li pensiamo in un unico atto [10]. Li pensiamo insieme; in un unico atto. Ma che cosa vuol mai dire questo? Quale voce interiore ci offre questa risposta? E se per me le cose non stessero affatto cos? Quanto pi ci penso a ci che accade nella mia testa quando dico il rosso, la luna e Napoleone tanto pi avverto una gran confusione [11] . Vi tuttavia in Husserl unindicazione solo apparentemente marginale e che mostra invece la consistenza del problema e nello stesso tempo la necessit di ridiscuterlo in tuttaltra direzione. Egli osserva che quella particolare relazione che chiamiamo collegamento collettivo ha la sua espressione nel linguaggio di ogni giorno nella paroletta e[12]. In realt si sarebbe forse dovuto cominciare ad impostare il problema a partire di qui: dal suggerimento che la relazione in questione si trova espressa anzitutto in una componente formale del giudizio; che essa non senzaltro data nellesperienza, anche se ci non esclude ogni rapporto con essa.
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Spiegazioni intorno alla formula proposta da Husserl per indicare la nozione di molteplicit Necessit di distinguere tra un piano pre-aritmetico e laritmetica vera e propria Conseguenze di questa distinzione Operazioni pre-aritmetiche e operazioni di calcolo Nonostante gli equivoci richiami allesperienza interna, ci che Husserl intende sostenere che, sulla base delle molteplicit percettive, possibile operare unastrazione il cui risultato un intero i cui elementi sono connessi dalla forma di collegamento espressa sul piano linguistico dalla congiunzione. Di conseguenza, gli elementi della molteplicit diventano irrilevanti nelle loro qualificazioni concrete: ognuno di essi viene inteso unicamente come qualcosa in generale.Ci significa che la relazione in questione permane nella libera variazione delle determinazione contenutistiche dei suoi termini. Lespressione qualcosa indica dunque loggetto in quanto variabile: loggetto inteso in senso matematico-formale o, come potremmo dire pi brevemente, loggetto matematico. La possibilit di intendere una molteplicit concreta di oggetti come una molteplicit di oggetti matematici sta alla base della costituzione del concetto di numero. Questo il senso effettivo della semplice formula proposta da Husserl per indicare la nozione di molteplicit istituita dal collegamento collettivo: Qualcosa e qualcosa e qualcosa ecc.. Oppure: Uno e uno e uno ecc.. Ed ancora, e forse pi chiaramente: Un... e un... e un... ecc.: infatti, la seconda formulazione deve essere intesa sulla base delle spiegazioni che illustrano la prima. Perci luno che compare in essa non affatto il numero 1, ma larticolo indeterminato e ad esso potremmo far seguire dei punti di sospensione. Del resto la e non sta qui in luogo di un segno di somma, ma indica proprio la relazione espressa dalla congiunzione. In realt in questa formula, apparentemente cos povera, vi Elementi di una dottrina dellesperienza
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sono tutti gli elementi per orientare una filosofia dellaritmetica in una direzione ben determinata. Ci che in essa va sottolineato in primo luogo che la nozione di numero, proposta a partire da quella di molteplicit, viene costituita indipendentemente dal problema di un sistema numerico, cio dal problema di un metodo di notazione per le specie determinate di molteplicit. Numero, nella prima accezione di cui limpostazione genetica cerca di rendere conto, la molteplicit stessa intesa come una molteplicit di oggetti matematici. Cos, se parliamo del numero degli elementi di una molteplicit non ci riferiamo a qualcosa di diverso dalla molteplicit e nemmeno ad una sua qualche propriet, ma alla molteplicit. in quanto essa si specifica in quel numero. Risulta allora importante una distinzione che, in un diverso contesto di discorso, potrebbe apparire del tutto irrilevante: in effetti noi dobbiamo distinguere tra molteplicit direttamente percepite nel numero dei loro elementi e molteplicit in rapporto alle quali la determinazione del numero pu essere fissata solo attraverso una procedura indiretta attraverso il contare. In questultimo caso un sistema numerico deve essere presupposto: deve essere cio presupposto un sistema di segni che indichino chiaramente le distinzioni tra i concetti specifici di numero, senza tuttavia che ad essi possa corrispondere la chiarezza in senso intuitivo-percettivo. Diciamo semplicemente: una molteplicit costituita da due oggetti pu essere riconosciuta e chiaramente differenziata sul piano percettivo da una molteplicit costituita da quattro oggetti. A molteplicit di questo tipo possiamo anche assegnare un nome (due, quattro), ma ci non richiede che il nome sia, per cos dire, integrato in un sistema di nomi. La differenziazione percettiva viene ovviamente meno in rapporto a molteplicit pi ampie. Di esse si pu avere una chiara nozione, e quindi eventualmente una chiara denominazione, ma nessun corrispondente intuitivo diretto. Se sappiamo contare soltanto fino a cinque, e tutto il resto cadesse per noi sotto il titolo generico dei molti non sapremmo affatto contare. A questo punto si impone una netta differenziazione tra un livello che potremmo chiamare pre-aritmetico, nel quale lidea di numero si presenta in stretta connessione con lidea di molte Elementi di una dottrina dellesperienza
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plicit, ed un livello propriamente aritmetico a cui si accede soltanto ed in primo luogo attraverso la posizione di un metodo segnico notazionale per la designazione di concetti numerici. Questo il nodo effettivo della tematica di Husserl nella Filosofia dellaritmetica: la distinzione tra laritmetica vera e propria e il piano pre-aritmetico deve essere saldamente fissata, e nello stesso tempo unanalisi filosofica effettiva della nozione di numero deve regredire dal piano propriamente aritmetico a quello pre-aritmetico. Questo nodo pu essere reso pi chiaro e significativo richiamando almeno due punti della discussione di Husserl. Il primo riguarda laccenno precedente alla formula della molteplicit. In essa, luno, non affatto il numero l. Ma ora vogliamo rafforzare questa affermazione: ll non affatto un numero. E tanto meno lo zero. Non potremmo evidentemente attenderci unaltra conclusione in unimpostazione che comincia con il proporre la nozione di numero a partire da quella di molteplicit. Daltra parte, una simile conseguenza potrebbe valere come una palese dimostrazione della debolezza dellimpostazione proposta. Per dirla con le parole di Frege: E non si pretenda che 0 e 1 non siano numeri nello stesso senso in cui lo sono 2 e 3! Il numero risponde alla domanda: Quanti?; e se, ad esempio, si chiede: quante lune ha questo pianeta? si pu dare sia la risposta 0 oppure 1 cos come 2 oppure 3, senza che muti il senso della domanda. Certo, il numero 0 ha qualcosa di particolare e cos anche l1; ma ci vale in fondo di ogni numero intero; solo che nel caso dei numeri pi grandi ci appare sempre meno evidente. del tutto arbitrario proporre qui una differenza di specie. Ci che non si addice allo 0 o all1 non pu essere essenziale al concetto di numero [13] . Ci che si pu accettare in questa osservazione questo il tenore della risposta di Husserl che cita e discute il passo di Frege che mediante un numero rispondiamo alla domanda intorno alla quantit. Ma anche in questo caso, come nel caso di ogni domanda, vi sono risposte positive e risposte negative. Con ll e lo 0 si risponde negativamente a quella domanda. Qui non vi nessuna molteplicit, ma solo un oggetto; oppure: e nem Elementi di una dottrina dellesperienza
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meno un oggetto. Un oggetto non un collettivo di oggetti; perci lenunciato secondo cui c qui una cosa non un enunciato numerico. E anche nessun oggetto un collettivo e perci lenunciato secondo cui qui non c nessun oggetto non un enunciato numerico [14] . Ma dietro lovviet di questa risposta unovviet, naturalmente, se la si considera in rapporto allimpostazione iniziale del problema del numero attraverso il suo spostamento a quello della molteplicit vi la questione pi profonda dellindividuazione del terreno propriamente aritmetico sul piano delle rappresentazioni indirette del numero, cio sul piano segniconotazionale. Lo 0 e ll non sono numeri se consideriamo la nozione di numero come costituita sul terreno pre-aritmetico. Inversamente, la considerazione dell1 e dello 0 come numeri, rinviando ad un metodo di notazione, assume un senso esemplare perch rappresenta la prima decisiva estensione del concetto di numero nel campo dellaritmetica autentica, dellaritmetica come linguaggio, come algoritmo. Linsistenza di Husserl su una giustificazione intuitiva del concetto di numero si ribalta dunque nella rivendicazione di una filosofia dellaritmetica che ponga al proprio centro il fatto che laritmetica installata sul piano del simbolismo. Il secondo punto che intendiamo richiamare per illustrare la distinzione in questione e la problematico di ordine generale ad essa sottesa riguarda la nozione di operazione. Anche nel caso delle operazioni dovremo distinguere tra operazioni compiute su molteplicit concrete intese come numeri direttamente rappresentati e le operazioni propriamente aritmetiche, che sono invece operazioni di trasformazione di simboli numerici, cio di rappresentazioni indirette di molteplicit. Addizionare numeri non pu avere nelluno e nellaltro caso lo stesso senso. Sul terreno pre-aritmetico, addizionare pu avere solo il senso elementare di formare da due o pi aggregati un unico aggregato. E qui si tratta, beninteso, proprio dellaritmetica dei sassolini, che non affatto il caso di disprezzare pi del necessario. Peraltro, questo rimando alla concretezza non ci impone affatto di prendere in considerazione il modo, di volta in volta ben determinato, in cui viene operata una simile unifica Elementi di una dottrina dellesperienza
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zione. Ci dipender appunto dalle circostanze concrete, e queste sono del tutto irrilevanti. Anche i sassolini sono qui intesi come oggetti matematici. Di conseguenza irrilevante il modo in cui spostiamo i sassolini (se li spostiamo) per formare di due mucchietti. un unico mucchietto. importante invece notare che questa connessione additiva una operazione interamente diversa dalla connessione collettiva. La congiunzione non addizione la e non ha lo stesso senso del +. Unificare singoli oggetti in una molteplicit non la stessa cosa che unificare aggregati in un unico aggregato. La seconda operazione presuppone logicamente la prima, il concetto di somma presuppone quello di collezione di unit [15] : e si noti come ci abbia poco o nulla a che vedere con una questione di ordine psicologico. Che poi laddizione di unit possa essere intesa come un caso particolare di addizione ed ogni numero come risultato di essa, questo indubbiamente un passo che ci conduce da una nozione diretta di operazione ad una nozione di operazione che nuovamente istituita sul piano della aritmetica vera e propria. Ancora pi significative sono, da questo punto di vista, le considerazioni di Husserl sulloperazione inversa delladdizione intesa come operazione concretamente realizzata su molteplicit intuitive. Qui non converr affatto pensare senzaltro alla sottrazione! Infatti, se con addizione intendiamo lunificazione di pi aggregati, loperazione inversa consister nella separazione [16] di un aggregato in pi aggregati. Questa indicazione significativa - anche per il fatto che nellaritmetica non conosciamo nessuna operazione che si chiami cos. Daltro lato, la sottrazione pu essere considerata come un caso particolare di separazione, cos come, addirittura (e ovviamente), la divisione. Facendo riferimento a insiemi concreti, entrambe le operazioni sono infatti formulabili come modi di risolvere compiti che richiedono una procedura di separazione. Quanto pi ci muoviamo su questo terreno, tanto pi dobbiamo tuttavia sottolineare che le operazioni intese in questo senso non sono affatto autentiche operazioni di calcolo. Se diciamo che laritmetica un linguaggio, allora ci che chiamiamo terreno pre-aritmetico pu essere indicato come un terreno pre-linguistico nel quale abbiamo a che fare con i numeri Elementi di una dottrina dellesperienza
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stessi, cio con molteplicit concrete intese nellastrazione presupposta dal collegamento collettivo, e non con simbolizzazioni di numeri, con rappresentazioni indirette di essi. Le operazioni aritmetiche saranno invece operazioni di trasformazioni di simboli. Certamente proprio per il fatto che i simboli sono anzitutto segni sensibili percettivi, non solo il momento intuitivo si ripresenta anche sul piano della aritmetica autentica, ma lo stesso rimando simbolizzante pu venir meno, pu essere cio interamente soppresso il rinvio concettuale alle molteplicit rappresentate. 1 simboli aritmetici possono essere considerati formalisticamente come segni privi di significato. Ma non per questo abbiamo a che fare con pure e semplici molteplicit percettive. Ci che importa, in una caratterizzazione delle operazioni propriamente aritmetiche, la forma sensibile del segno in quanto determinata allinterno di un soste ma di regole di trasformazione. Come muta sul piano aritmetico la nozione di operazione, cos muter anche quella di operazione inversa. Su questo piano del tutto fuori questione una nozione di inversione nella quale sia direttamente implicata la nozione di molteplicit. Si tratter piuttosto di considerare la connessione tra simboli numerici e simboli operazionali: ci che prima era base della operazione diventa ora, nella trasformazione inversa, il suo risultato. Annotazione Molto significative, per il punto di vista adottato, sono le considerazioni sulla moltiplicazione. La moltiplicazione realmente soltanto un caso speciale di addizione? Si sarebbe fortemente tentati di rispondere affermativamente. Ma intanto non si indicano somme del tipo a+a, a+a+a, a+a+a+a... come moltiplicazioni o prodotti. Solo contando i membri delladdizione, otteniamo il moltiplicatore e con ci la possibilit dei prodotti 2a, 3a, 4a... Qual ora lo scopo di una simile distinzione tra somma e prodotto? Perch mai oltre i conteggi relativi ai singoli numeri, si contano anche questi stessi numeri? La risposta sembra chiara: come i numeri in genere fungono da segni gene Elementi di una dottrina dellesperienza
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rali abbreviativi per semplificare il nostro pensiero e il nostro linguaggio, cos essi fungono anche da moltiplicatori. Come per abbreviare nomi complessi di forma A e A e A e A diciamo quattro A, cos per abbreviare 3+3+3+3 diciamo quattro volte tre, coimplicando tacitamente laddizione. Di conseguenza, tutta la differenza tra moltiplicazione e addizione sembra consistere in nuovo modo di designazione che possibile nel caso di particolari forme di addizione. Il prodotto offre una comoda devozione e rappresentazione simbolica abbreviata di particolari. forme di somme, nelle quali gli addendi sono eguali; essa viene resa possibile attraverso il conteggio di questi addendi eguali. Ma se le cose stanno cos, perch si parla di una particolare operazione di moltiplicazione? Un modo di designazione abbreviato pu essere come tale molto comodo e utile, ma esso non comunque unoperazione. Esso simbolizza brevemente e con precisione il modo in cui il numero deve essere formato: ma con ci esso formula solo il compito, non esibisce la soluzione. Per ottenere effettivamente il numero inteso, non vi altra via che eseguire effettivamente le addizioni che si trovano alla base della simbolizzazione; ma queste non si distinguono in nulla da altre addizioni qualsiasi. Numeri eguali non vengono addizionati in altro modo dei numeri tra loro diversi. Ed allora resta per noi oscuro perch i matematici parlino della moltiplicazione come di una nuova fondamentale operazione aritmetica (pp. 185186).
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Il senso della polemica contro le definizioni e la critica nei confronti di Frege Se alla luce di questa indicazione sommaria dellimpianto problematico della Filosofia dellaritmetica riesaminiamo le nostre
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osservazioni iniziali, saremo forse in grado di dare di esse una giustificazione pi motivata. Abbiamo infatti cominciato con il dare rilievo allaspetto di chiarificazione filosofica a cui tende lindagine di Husserl ponendo in secondo piano limpostazione psicologistica entro cui essa viene sviluppata. Come abbiamo visto questa impostazione non certo priva di conseguenze n in rapporto allimpianto complessivo dellopera n ai suoi sviluppi ed elaborazioni particolari. Tuttavia sarebbe indubbiamente una forzatura che non potrebbe trovare alcun riscontro testuale ritenere che essa abbia come oggetto il problema della formazione psicologico-fattuale del concetto di numero. Lobiettivo perseguito resta in ogni caso unindagine sullorigine che ha di mira la natura del concetto. Ci che non viene chiarito e questo mancato chiarimento dipende indubbiamente da equivoci di ordine metodologico che lorigine di cui si parla unorigine in senso ideale: la processualit che viene messa in questione una processualit, per cos dire, interna al concetto. Tenendo conto di tutto ci e nello stesso tempo dei lineamenti di una filosofia dellaritmetica che seguendo questa via cominciano a prendere forma, la conversione della domanda iniziale sulla natura del concetto in una domanda sulla sua formazione non affatto connessa in modo inscindibile allequivoco psicologistico, ma ad un punto di vista che pu essere riformulato in modo interamente libero da quellequivoco. Ci che si esclude, anzitutto, nella conversione della domanda, che il numero abbia unessenza fissabile definitoriamente una volta per tutte. La polemica contro le definizioni che si ripresenta in vari luoghi della Filosofia dellaritmetica vale anzitutto, come abbiamo visto, in rapporto al terna del numero che il suo oggetto principale di indagine. Ma essa non potrebbe essere intesa nel suo senso effettivo e nella sua portata se non si vedesse la sua connessione con un determinato modo di approccio ai problemi filosofico-aritmetici che ha molto meno a che vedere con limpostazione psicologistica di quanto ne abbia con una concezione dei compiti specifici di una chiarificazione filosofica. Secondo questo modo di approccio tanto importante escludere unessenza precostituita del numero, quanto lo am Elementi di una dottrina dellesperienza
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mettere che tale nozione abbia comunque delle radici: di essa possiamo perci cominciare a fornire una delimitazione primaria a partire dallesperienza. Di qui il rilievo che viene ad assumere da un lato la tecnica della simbolizzazione, dallaltro la problematica conseguente che considera ledificazione dellaritmetica come un processo di progressive estensioni che interessano nella stessa misura il lato propriamente linguistico come quello concettuale. Se invece ponessimo fin dallinizio laccento sulle definizioni, tali estensioni potrebbero essere ammesse solo a titolo di dati di fatto che richiedono in ogni caso di essere legittimate nellessenza del numero. Ora chiamiamo numeri cose che una volta non avremmo chiamate cos. Ma allora la nostra preoccupazione. fondamentale deve essere quella di trovare una nuova definizione, perch solo da essa quella estensione pu essere resa legittima. Nello stesso tempo, la nuova definizione non potr essere intesa come una sorta di adeguazione al movimento del numero il numero, infatti, in se stesso, non ha alcun movimento ma come la sostituzione con una definizione giusta di una definizione sbagliata. In un simile atteggiamento la storia della matematica non potr rappresentare il farsi della matematica stessa, ma la vicenda terrena in cui luniverso matematico, nella sua infinita perfezione, imperfettamente si rivela. Proprio perch la Filosofia dellaritmetica ha alla propria base un atteggiamento contrapposto a questo, un largo spazio viene dedicato ad una critica diretta e indiretta alle posizioni di Frege. Inversamente, la confutazione esemplare di Frege di quellopera esemplare anche per il modo in cui non coglie nel segno. Il rifiuto dello psicologismo di Husserl non pu non misurarsi a fondo con la portata di chiarificazione dellimpostazione genetica. I due problemi non sono coincidenti. La riprova di ci del resto rappresentata dal fatto che il problema dellorigine solo provvisoriamente destinato ad eclissarsi nella serrata e decisiva critica dello psicologismo condotta da Husserl nelle Ricerche logiche.
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Annotazione In rapporto a ci che ho chiamato polemica contro le definizioni, ecco alcuni riferimenti particolarmente significativi. Si pu definire solo ci che logicamente composto. Non appena ci imbattiamo nei concetti ultimi, elementari, ogni definire ha termine. Nessuno pu definire concetti come qualit, intensit, luogo, tempo, ecc. Lo stesso vale per le relazioni elementari e per i concetti su di essi fondati. Eguaglianza, somiglianza, rapporti di incremento, intero e parte, molteplicit e unit, ecc., sono concetti che si sottraggono interamente ad una definizione logico-formale (p. 119). Il capitolo sesto, dedicato alla discussione dei problemi delleguaglianza e della differenza, si apre con losservazione seguente: Dal tempo in cui gli Elementi di Euclide hanno ottenuto un valore di modello di esposizione scientifica, i matematici seguono il principio fondamentale di non considerare i concetti matematici come pienamente giustificati finch essi non sono stati chiaramente distinti mediante rigorose definizioni. Questo principio fondamentale, senza dubbio utilissimo, non di rado ha tuttavia condotto a esagerazioni ingiustificato... (p. 97). Poche pagine prima, a proposito del togliere e aggiungere in rapporto a insiemi concreti ed alle differenze del pi e del meno tra essi, si sottolinea che ci che qui si intende si pu solo mostrare e non definire(p. 91). Questa distinzione rammenta anche troppo da vicino la distinzione tra mostrare e dire nel Tractatus di Wittgenstein. Nonostante le differenze profonde, che sono anzitutto differenze di atteggiamento intellettuale e di stile filosofico, tuttavia non si pu non notare laspetto comune, nellambito della filosofia dellaritmetica, rappresentato dalla polemica antilogicista che stabilisce alcune singolari convergenze sulle quali occorrerebbe riflettere. Ci vale naturalmente soprattutto per il Wittgenstein delle Osservazioni sui fondamenti della matematica e delle Ricerche filosofiche. Del resto, sarebbe opportuno sottolineare che la distinzione tra mo Elementi di una dottrina dellesperienza
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strare e dire al di l delle posizioni del Tractatus alle quali gli interpreti sono soliti vincolarla si trova alla base anche della formulazione del metodo dei giochi linguistici. In esso infatti si tratta sempre di mostrare e mai di definire. In realt, la portata metodica della nozione di gioco linguistico pu essere esaustivamente riproposta nei termini di ci che Wittgenstein chiama una volta metodo degli esempi, sottolineando significativamente che questo metodo non da intendere come un metodo indiretto di spiegazione in mancanza di un metodo migliore (Ricerche filosofiche, oss. 133, trad. it. cit. p. 71). Insistere su questo punto potrebbe tra laltro essere utile per contestare limmagine stereotipa e fuorviante di Wittgenstein analista del linguaggio.
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Labbandono del punto di vista psicologistico e il ripresentarsi del problema dellorigine sul terreno fenomenologico La proposizione come filo conduttore per unindagine intorno alle operazioni del pensiero La distinzione tra soggetto e predicato. Esempi di discussioni che conducono ad un vicolo cieco Il falso problema delle compromissioni ontologiche Facendo riferimento alla Filosofia dellaritmetica abbiamo cominciato con il fissare le idee sulla tematica della base esperienziale dei concetti, nonostante il fatto che in essa siano ben riconoscibili i tratti di un atteggiamento empiristico, a cui del resto collegata la sua inclinazione psicologistica. Certamente, a nostro avviso, in unanalisi approfondita dellopera, si dovrebbe dare il massimo rilievo allemergenza di elementi problematici orientati in tuttaltra direzione. Ci non vale solo per gli aspetti direttamente connessi con la tematica del numero, ma anche per altri il cui legame con quella tematica molto debole, come certamente il caso di quellampia digressione che conduce Husserl Elementi di una dottrina dellesperienza
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alla formulazione della nozione di momento figurale. Dalla questione del rapporto del numero con i fenomeni concreti, Husserl indotto ad una pi precisa analisi dei fenomeni concreti stessi: cosicch egli dedica un largo spazio alla percezione di molteplicit, andando evidentemente oltre i limiti della problematica filosofico-aritmetica specifica e mettendo nello stesso tempo in questione alcuni assunti fondamentali della psicologia associazionistica. In realt, la tematica di unindagine sulle forme e modalit dellesperienza comincia ad imporsi nella sua autonomia e per di pi secondo una tendenza strutturalistica che certamente oltrepassa un atteggiamento empiristico in una direzione la cui importanza per gli sviluppi futuri pu difficilmente essere sottovalutata [17]. La proposta di una metodologia fenomenologica conduce infine alla posizione generalizzata di una tematica relativa alle strutture dellesperienza in unaccezione ampia del termine che irriducibile allindicazione di condizioni empirico-fattuali. In questo quadro, il problema della base esperienziale delle categorie pu essere riconfermato e riproposto, avendo tuttavia di mira il giudizio come momento intorno al quale le operazioni del pensiero possono, per cos dire, essere raccolte sistematicamente. Ritorniamo cos alla nostra tematica iniziale. La terminologia del pensiero pu essere illustrata facendo riferimento a parole ed a configurazioni di parole. E tuttavia ci non ci impegna. affatto a seguire la via di indagini linguistiche empiriche, e nemmeno ad attenerci ad un metodo puramente argomentativo. Tuttavia solo ora forse siamo in grado di renderci conto meglio della portata di questa posizione di principio che in precedenza ci siamo limitati solo ad enunciare. Ad un primo sguardo, sembra qui ci si imbatta in un nodo di problemi che tende sempre pi ad aggrovigliarsi. Non appena parliamo di proposizione e ci accingiamo anche soltanto ad una classificazione delle sue possibili forme, sembra che dobbiamo prendere le mosse da quella articolazione elementare della proposizione che abbiamo imparato a indicare parlando della distinzione tra soggetto e predicato. Questa distinzione tuttavia labbiamo attinta in primo luogo dalla grammatica della nostra lingua. E qui ci impigliamo in una prima difficolt. Infatti, affin Elementi di una dottrina dellesperienza
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ch essa possa fungere da filo conduttore per lidentificazione delle forme del pensiero, dobbiamo attribuirle unautentica rilevanza logica, mentre sembra legittimo il dubbio che essa appartenga alle accidentalit della lingua nella quale siamo stati educati. In che modo allora potremmo prendere una decisione qualora questo dubbio fosse sollevato? A ci si aggiungono obiezioni dipendenti da questioni di filosofia generale. A molti sembra infatti che una simile decisione vada molto al di l delle modeste apparenze del problema. Il linguaggio parla del mondo. E non appena abbiamo preso la via dellanalisi del linguaggio, cominciamo con il temere compromissioni metafisiche, opzioni ontologiche pi o meno implicite. Una decisione sulla forma della proposizione che conferisca dignit logica ad una distinzione come quella tra soggetto e predicato gi, volenti o nolenti, una decisione sulla forma del mondo. Cominciamo con lammettere che larticolazione fondamentale della proposizione sia rappresentata dalla distinzione in questione: ma poi dovremo ammettere che ci sono sostanze e attributi. Inversamente se, daccordo con la vecchia critica lockiana che mantiene nonostante tutto un certo suo fascino, critichiamo lidea di un misterioso sostegno delle qualit, avremmo alcune buone ragioni filosofiche per negare a quella distinzione una effettiva consistenza logica. Daltra parte, ad essere sinceri, dobbiamo riconoscere che intorno a questa forma proposizionale non abbiamo le idee molto chiare. Se prendiamo un esempio di proposizione che esprime una relazione tra due oggetti, non sarebbe certo difficile mostrare che larticolazione tra soggetto e predicato ancora presente e che pertanto la forma predicativa la vera forma fondamentale, mentre la forma relazionale solo un suo caso particolare. Purtroppo vi sono ragioni altrettanto buone per sostenere linverso. E potremmo infine essere presi dal dubbio che sia invece la forma a soggetto-predicato una variante da subordinare alla proposizione relazionale. Sembra poi che questultima soluzione possa essere appoggiata da considerazioni filosofiche di rinforzo: lammissione che ci siano veramente soggetti e predicati ci porta diritti filati ad una metafisica sostanzialistica che prospetta, pi o meno di lontano, una concezione monistica della Elementi di una dottrina dellesperienza
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realt. Se diamo maggior importanza alla forma relazionale, opteremmo invece per unontologia pluralistica. Ed vero che unontologia pluralistica resta pur sempre unontologia: ma potrebbe darsi che si possa ritenere unopzione in questa direzione meno arrischiata di una opzione in quellaltra. Laspirazione pi profonda sarebbe quella di compromettersi il meno possibile con il mondo: se di ci non si pu proprio fare a meno, si cercher di orientarsi. verso lopzione pi prudente. Su tutto ci domina poi il dubbio pi tormentoso di tutti: che la lingua che parliamo in ogni caso ci tradisca e che, se giusto riportare il problema delle funzioni del pensiero a quello della forma della proposizione, questa dovrebbe essere proposta prescindendo interamente da ci che sappiamo intorno ad essa a partire dal linguaggio di ogni giorno. Potremmo rovesciare il 1 modo in cui viene in questione il problema ontologico. Se siamo convinti che il linguaggio rispecchi il mondo e che possa rispecchiarlo in modo sbagliato, decidiamo allora anzitutto come il mondo fatto, a rigor di logica. E da ci sar deciso anche come deve essere fatto il linguaggio, se deve rispecchiarlo nel modo giusto.
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Che cosa una proposizione non Introduzione della nozione di rappresentazione strutturale Raffigurazioni, contrassegni e rappresentazioni strutturali La proposizione non una particolare specie di rappresentazione strutturale Perci il fatto sorge con la proposizione Uno dei vantaggi dellimpostazione che intendiamo illustrare proprio il fatto che ci consente di tagliar corto con tutto questo. Si taglia corto anzitutto con la finzione che tutti questi dubbi hanno in comune: di saperne ben poco intorno a che cosa una proposizione o addirittura di non saperne nulla. E nello stesso tempo con le pretese implicazioni ontologiche delle decisioni relative alla forma proposizionale. Elementi di una dottrina dellesperienza
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Naturalmente non pu essere chiesto proprio a noi di dire che cosa una proposizione. Ma poich intorno a questo punto sorgono difficolt che potrebbero dar luogo, volendo, a discussioni senza fine, forse utile chiarire almeno che cosa una proposizione non . Con ci sar forse possibile mostrare anche che, pi che entrare alla cieca nel merito di quelle discussioni, necessario invece operare un consistente spostamento dellasse del problema. Anzitutto una proposizione appartiene allambito delle rappresentazioni indirette, unimmagine nel senso ampio del termine: mediante parole si rappresenta un fatto. A suo tempo noi abbiamo discusso una particolare specie di rappresentazione indiretta che abbiamo chiamato raffigurazione. Come sappiamo una raffigurazione va distinta da un puro e semplice contrassegno. Ma va anche distinta da unaltra specie di rappresentazione indiretta a cui finora non abbiamo fatto cenno e che potremmo chiamare rappresentazione strutturale. Su di ci conviene spendere qualche parola. Come esempio di rappresentazione strutturale potremmo indicare una rappresentazione grafica di una successione di suoni che sia conforme ad un metodo. Possiamo cos fissare una prima differenza notevole tra raffigurazioni e rappresentazioni strutturali. In rapporto a queste ultime la posizione del problema di un effetto raffigurativo del tutto priva di senso, cos come, di conseguenza, il parlare di un movimento di progressiva approssimazione della copia rispetto alloriginale. Stando allesempio, ci risulta particolarmente evidente per il fatto che il rappresentante e il rappresentato appartengono a campi sensoriali eterogenei. Questa circostanza non essenziale per la delimitazione della nozione di rappresentazione strutturale, mentre essenziale il fatto che possano darsi rappresentazioni strutturali nelle quali il rappresentato eterogeneo dal punto di vista sensibile-percettivo al rappresentato. In questi ultimi casi pu anche accadere che qualcosa di simile ad un effetto raffigurativo abbia luogo, poich possiamo approfittare, nella posizione del metodo della rappresentazione, della possibilit di investimenti immaginativi che conferiscono agli elementi della rappresentazione una portata simbolica nellaccezione discussa a suo tempo in con Elementi di una dottrina dellesperienza
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nessione con il problema della valorizzazione immaginativa. Cos un movimento di discesa sonora sar pi chiaramente rappresentato da un movimento di discesa figurale nella rappresentazione grafica, esattamente come un movimento di ascesa dei prezzi potr essere pi chiaramente rappresentato da una linea ascendente nel grafico corrispondente (che, naturalmente, come ogni altro grafico per la rappresentazione di una relazione funzionale tra grandezze, un buon esempio di ci che intendiamo qui con rappresentazione strutturale). Tuttavia, nellistituzione del metodo, di questa possibilit potremmo anche non tener conto. Verrebbe allora meno la chiarezza simbolico-intuitiva della rappresentazione, ma non la sua adeguatezza che vincolata unicamente alla forma dei rapporti che sussistono tra gli oggetti della rappresentazione. Lesclusione di un effetto raffigurativo e linessenzialit di eventuali momenti simbolico-intuitivi sono elementi sufficienti per contraddistinguere le rappresentazioni strutturali dalle raffigurazioni. A ci si potrebbe aggiungere che la stessa distinzione tra copia e originale pu diventare dubbia nel caso delle rappresentazioni strutturali. Le ragioni per le quali propenderemmo a considerare lo spartito come qualcosa di analogo alla copia piuttosto che alloriginale, meriterebbero qualche riflessione. Se teniamo poi conto del fatto che una successione di suoni pu essere la rappresentazione strutturale di unaltra evidente che vi sono casi in cui tra rappresentante e rappresentato si proporrebbe una reciprocit che cancella, per cos dire, linteresse della distinzione copia e originale. Il riferimento ad un metodo della rappresentazione invece importante per differenziare la nozione di rappresentazione strutturale da quella di contrassegno. Indipendentemente da ogni metodo, indubbiamente possibile fornire una rappresentazione grafica di una successione sonora, cos come possibile rappresentate numeri mediante segni indipendentemente da un sistema di notazione. Ma si tratter allora soltanto di rappresentazioni mediante contrassegni: stabiliamo regole singole che istituiscono tra una cosa ed unaltra un rapporto rappresentativo. Invece le figure che entrano in una rappresentazione strutturale non possono essere considerate in questo modo, come se per ognuna Elementi di una dottrina dellesperienza
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di esse fosse stipulata una regola apposita. Vi sono indubbiamente delle convenzioni iniziali, e queste sono il risultato di una nostra decisione che avrebbe potuto anche essere diversa. Ma esse debbono essere tali da istituire un vero e proprio sistema di rappresentazioni possibili. Nel caso delle rappresentazioni strutturali fondamentale losservazione secondo cui quando una convenzione segnica posta, altre convenzioni seguono necessariamente [18]. Insieme a regole di corrispondenza debbono dunque essere poste regole per la composizione dei segni. Il momento della determinazione di una sintassi pu essere anzi considerato prioritario: quando una sintassi predisposta lassegnazione di un corrispondente rappresentativo ad un elemento del sistema implica lassegnazione di un corrispondente rappresentativo ad ogni elemento del sistema. Proprio per questo potremmo parlare in rapporto ad un metodo di rappresentazioni strutturali di un linguaggio, cos come abbiamo fatto in precedenza in rapporto al sistema per la notazione dei numeri. Ma bisogna prestare attenzione al fatto che vi sono molte accezioni della parola linguaggio e che potrebbe essere forse pi interessante indicare le differenze che intercorrono tra esse piuttosto che andare alla ricerca della propriet comune. Quando parliamo di linguaggio aritmetico opportuno sottolineare che laccezione in cui impieghiamo quella parola strettamente vincolata alla nozione di rappresentazione strutturale; ed in particolare che, in rapporto ad un linguaggio in questa accezione, sarebbe certamente appropriato parlare di un rapporto di specularit: il rappresentante rispecchia il rappresentato. A questo punto possiamo tornare finalmente alla proposizione. Ci potremmo chiedere anzitutto se la proposizione sia una specie autonoma di rappresentazione indiretta, da caratterizzare per differenza rispetto alle raffigurazioni ed alle rappresentazioni strutturali oppure se essa sia riconducibile sotto luno o laltro titolo. Naturalmente sussistono affinit di vario genere rispetto a entrambe le nozioni. Vi sono proposizioni che sembrano dire esattamente tanto quanto raffigura un dipinto o un disegno. Tant che possiamo comprendere una frase composta in parte Elementi di una dottrina dellesperienza
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di parole e in parte di immagini vere e proprie che stanno in luogo di parole. Certuni pensano addirittura che sia particolarmente educativo insegnare limpiego delle parole ricorrendo a simili stratagemmi. Presentiamo ad un bambino limmagine di una mela sul tavolo e lo invitiamo a dire che cosa vede. Sembrerebbe quasi che il dire non consista in altro che nel verbalizzare una raffigurazione, assumendo che in questa verbalizzazione non avvenga alcun mutamento essenziale. Tuttavia anche vero che in una frase si percepiscono solo parole e il loro significato deve essere conosciuto cos come deve essere conosciuto il metodo della loro connessione. Ci ci fa pensare piuttosto a qualche affinit con le rappresentazioni strutturali. Ora, se si, trattasse di richiamare lattenzione su queste affinit solo per agitare le acque del problema, ne prenderemmo certamente nota. Ma in ogni caso noi ci accingeremmo a segnalare le affinit proprio allo scopo di evitare che si facciano confusioni. Penso che non sia necessario insistere troppo sul fatto che una proposizione tuttaltra cosa che una raffigurazione. Se citiamo il caso delle scritture pittografiche, sarebbe opportuno ricorrere ad esse per mostrare che la parola scritta potrebbe imitare la parola parlata, piuttosto che la cosa significata. Analogamente, nel caso della strana scrittura mista di cui si diceva, composta in patte di parole e in parte di raffigurazioni, il punto importante non che alla parola si possa sostituire limmagine della cosa, ma proprio il fatto che a questa immagine si possa sostituire la parola. Le parole ci consentono di fare a meno delle immagini. Quanto alle rappresentazioni strutturale, ogni differenza potrebbe essere esibita facendo riferimento al punto accennato per ultimo, alla possibilit di presentare il rapporto tra rappresentante e rappresentato come un rapporto di rispecchiamento. Se assumiamo che la proposizione sia una particolare specie di rappresentazione strutturale, dovremmo anche assumere che, come ci sono da un lato successioni di suoni e dallaltro grafici che le rispecchiano, cos ci saranno da un lato, in generale, dei fatti e dallaltro le proposizioni come loro immagine speculare. Elementi di una dottrina dellesperienza
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La nozione di fatto sarebbe dunque indipendente da quella di proposizione, nello stesso senso in cui una successione di suoni indipendente dal grafico che la rappresenta. Invece gi le nostre considerazioni sulla tematica della percezione dovrebbero insegnarci che le cose non stanno affatto cos. Ancora una volta siamo interessati alla differenza tra il percepire e il constatare di cui cogliamo ora una ulteriore e importante conseguenza. Se entriamo in una stanza e volgiamo lo sguardo intorno, vedremo presumibilmente tavoli, sedie, mele e varie altre cose e naturalmente anche una mela sul tavolo, se sul tavolo c una mela. Ma potremmo dire per questo di essere attorniati da fatti di cui le proposizioni fornirebbero una sorta di grafico verbale? Certamente, se mi si ponesse la domanda: Che cosa c sul tavolo? risponderei che sul tavolo c una mela: e questo un fatto. Ma n il tavolo n la mela contengono la domanda e tanto meno la risposta. Se qualcuno mi mostra un oggetto, non sono affatto obbligato a dirne qualcosa. Solo la domanda pone il problema, e deve proporlo in modo sufficientemente determinato da orientare la risposta. Perci non ha affatto senso presentare stati di cose o immagini di essi, pretendendo di ottenerne una sorta di trasposizione in parole. Inversamente, dire qualcosa di un oggetto non la stessa cosa che presentarne un altro, anche se questo la sua raffigurazione fedele o la sua rappresentazione strutturale adeguata. Di ci che abbiamo or ora udito possiamo dire che si trattava di una successione di terze, ma le nostre parole non si trovano in un ordinamento che rispecchia la forma del rapporto di una successione di terze. Esse sono invece ordinate secondo una strutturazione logica, in unaccezione del termine che propria soltanto del linguaggio fatto di parole, quindi di una nozione di linguaggio strettamente vincolata alla proposizione come una peculiare specie di rappresentazione indiretta. Perci noi affermiamo senzaltro che il fatto sorge con la proposizione. Ci non significa che la strutturazione logica della proposizione sia in qualche modo antecedente rispetto allesperienza, riproponendo nello stesso tempo dubbi e interrogativi sul versante linguistico del problema. Infatti, quando connettiamo in questo modo il fatto con la proposizione, pensiamo anzi Elementi di una dottrina dellesperienza
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tutto alle proposizioni che dnno espressioni a constatazioni. Il nostro problema pu subire cos uno spostamento che ci conduce ad una riconsiderazione della tematica dellesperienza che pu lasciare ai suoi margini considerazioni di ordine linguistico. Se attraverso la proposizione abbiamo in realt di mira le constatazione, il problema dellorganizzazione logica della proposizione pu essere riportato a quello della struttura della constatazione, intesa come una modalit dellavere esperienza del mondo. La via che attraversa il linguaggio pu anche non essere percorsa dal momento che le constatazione non sono fatti linguistici come del resto moltissime altre cose. In questo spostamento dellasse del problema non potremmo certamente imbatterci in quel groviglio di questioni mal poste a cui abbiamo alluso in precedenza. In particolare viene meno lidea che una decisione sulla forma logica della proposizione implichi decisioni sul piano ontologico: essa dipende in generale dallerrore di assumere in modo pi o meno, esplicito che la proposizione sia una specie particolare di rappresentazione strutturale. Si impone allora la tesi di specularit che fa del mondo una sorta di correlato oggettivo del linguaggio: come se potesse esserci per noi un mondo senza lesperienza che abbiamo di esso [19] .
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Passaggio allesposizione di alcuni temi di Esperienza e giudizio La struttura dellosservare in quanto in esso si effettuano constatazioni. I processi di esplicitazione e la distinzione tra sostrato e determinazione Ribaltamento sul terreno predicativo Gli elementi di discussione che abbiamo or ora proposto possono essere considerati come una libera introduzione ad alcuni dei temi di Esperienza e giudizio [20]. in questopera infatti che assume una forma concreta quella tematica delle strutture ante Elementi di una dottrina dellesperienza
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predicative che, pur essendo abbastanza nota nelle sue linee generali, secondo linclinazione che essa riceve nella Crisi delle scienze europee, lo invece assai meno nella sua elaborazione specifica. Il passo che pu essere considerato iniziale e fondamentale in essa compiuto proprio quello di fornire una giustificazione della distinzione tra soggetto e predicato come una distinzione che fa parte, vorremmo dire, del concetto stesso di proposizione. Abbiamo gi visto in quali difficolt e paradossi si imbatta un modo di approccio che si muova sul piano di considerazioni puramente logiche o logico-linguistiche. Esse vengono invece meno se si riporta il problema al terreno intuitivo-esperienziale, quindi se si fa riferimento anzitutto alle constatazioni. Con terminologia pi propriamente husserliana, potremmo parlare di osservazione [21] ed il filo conduttore della nostra riflessione sar dunque la struttura dellosservare in quanto in esso si effettuano constatazioni. Anche in questo caso il nostro compito sar anzitutto quello di indicare certe caratteristiche, illustrando certe differenze. La differenza tra losservare e il semplice percepire sta, come gi sappiamo, nel fatto che nellosservare un interesse verso la cosa deve essere presupposto, e dunque debbono essere presupposti anche i processi percettivi nei quali la cosa si costituisce come un risultato sintetico, come una polarit identica dei suoi fenomeni. Il modo in cui questa differenza pu essere chiarita tenendo conto delluso husserliano dei termine tenere sotto presa [22] per indicare il permanere di qualcosa come tema di un interesse osservativo, in realt molto significativo anche dal punto di vista di una corretta comprensione della metodologia che qui viene messa in opera. In se stesso questo termine potrebbe essere impiegato anche in rapporto alle sintesi semplicemente percettive: nelludire un suono che perdura, noi manteniamo la presa su di esso potremmo anche esprimerci cos, per indicare la ritenzione [23]. Analogamente, potremmo dire che, nella sintesi che attraversa un decorso percettivo, le scene percettive sono tenute sotto presa nel suo sviluppo, e ci rappresenta una condizione necessaria Elementi di una dottrina dellesperienza
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(bench non sufficiente) per il costituirsi di un riferimento unitario. Invece noi intendiamo riservare questo modo di espressione per illustrare una nozione di sintesi processuale di genere interamente diverso. La presa di cui si parla la presa di un interesse ed chiaro che non vi alcuna implicazione diretta tra leffettuazione di sintesi percettive e leffettuazione di constatazioni in rapporto ai loro prodotti. In questultimo caso, ai fenomeni ritenzionali, che hanno comunque luogo, si sovrappone un processo nel quale qualcosa permane in un riferimento unitario, ma nella forma di sostrato di possibili determinazioni. Potremmo forse parlare, per spiegarci di una costituzione di primo livello, nella quale loggetto si mostra nella sua identit e tuttavia solo secondo una tipicit relativamente vaga, in uno sguardo dinsieme, che, considera la cosa allingrosso, trascorrendo sui dettagli. Ad essa ora volgiamo (per qualche motivo) la nostra attenzione al fine di portare a chiarezza quelle determinazioni che sono date soltanto implicitamente. Parleremo perci dellosservare che effettua constatazioni come di un processo di esplicitazione [24]. Un richiamo alla nozione della sintesi si impone certamente anche in questo caso, ed anche a quel momento dialettico, nellaccezione elementare del termine di cui abbiamo gi fatto un uso prudente trattando delle sintesi percettive in genere. Nel processo viene infatti mantenuta lidentit del tema nella progressiva differenziazione operata dalla sua esplicitazione. Tuttavia qui non si tratta di un processo di unificazione di aspetti parziali che si sviluppa ritenzionalmente secondo regole di associazione contenutistica che si realizzano passivamente, ponendo infine loggetto nella sua identit come un risultato. Nel caso delle sintesi esplicitative vi invece unidentit presupposta e intesa come una unit di parti la cui articolazione tuttavia oscura: la differenziazione un progressivo chiarirsi delle parti e della loro articolazione, in cui lintero attivamente mantenuto sotto presa come ci che deve essere reso esplicito. Nella distinzione tra sostrato e determinazione, nella dialettica peculiare delle sintesi esplicitative, sta tutto lenigma della distinzione tra soggetto e predicato. Elementi di una dottrina dellesperienza
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Nellesperienza, qualcosa pu assumere carattere di sostrato. Qui importante in primo luogo che questo carattere non sia inerente al dato considerato in se stesso, ma che esso dipenda dal riferimento ad un interesse soggettivo. Di qui deriva la relativit essenziale di questa nozione: qualunque cosa, nellesperienza, pu ricevere questo carattere, perch non dipende dal dato in se stesso che esso sia o non sia tema di un interesse. La nozione di sostrato non ha, almeno fino a questo punto, nulla a che vedere con quella di sostanza. Ci che qui deve valere a titolo di oggetto infatti interamente risolto in una modalit specifica di riferimento soggettivo. Se ora guardiamo alla forma logica del soggetto nella proposizione, appare subito chiaro che la nozione di oggetto che essa mette in questione del tutto diversa. In nessun caso tale nozione potrebbe essere caratterizzata attraverso il rimando ad un interesse soggettivo, che per di pi impone una limitazione ai dati della percezione. Certamente, noi intendiamo stabilire una connessione tra esplicitazione e predicazione nel senso indicato da una impostazione genetica. Ma ci non significa affatto operare una riduzione della seconda alla prima, come se si dovesse a tutti i costi scorgere nella proposizione la presenza di un riferimento soggettivo che sta al di l di essa e che essa addirittura celerebbe nel suo presentarsi come una pura descrizione di stati di cose. Al contrario, vi una differenza essenziale che deve essere indicata proprio nella completa liberazione, nellarticolazione predicativa, dai vincoli del riferimento ad una soggettivit concreta che opera constatazioni, e quindi dai vincoli determinati dal rapporto con lesperienza in genere. Ci che la predicazione estrae dalla esplicitazione unicamente la forma del processo. Perci la nozione di oggetto che essa propone rimanda alla forma di sostrato e pu essere indicata come la nozione di un vuoto qualcosa in generale come polo identico di riferimento di predicati possibili. Ritroviamo cos quella nozione di oggetto matematico che era gi presente nella Filosofia dellaritmetica. Gi nel quadro di quellopera essa doveva certamente essere inclusa tra i concetti formali o categorie. Questa inclusione viene tuttavia solo ora giustificata non gi attraverso richiami piuttosto generici a Elementi di una dottrina dellesperienza
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procedure astrattive di indubbia risonanza empiristica, ma mediante il suo coordinamento alla forma logica del soggetto proposizionale, alla struttura della predicazione. Questa, a sua volta, non deve essere intesa, nelle sue articolazioni formali possibili, come una sorta di dispositivo intellettuale predisposto, che viene a calarsi entro il materiale dellesperienza, ma come un ribaltamento su un nuovo terreno di forme di rapporti che sono gi presenti sul piano dellesperienza stessa. Lesplicitazione pu essere considerata la base esperienziale della predicazione. La distinzione tra soggetto e predicato ha la sua origine ideale nella distinzione tra sostrato e determinazione. La sua messa in questione come distinzione logica comporterebbe la messa in questione, non gi di determinati fatti linguistici, ma di questa possibilit di strutturazione dellesperienza. Se poi il parlare di origine in un senso ideale sembrasse oscuro, in realt potremmo farne a meno, dal momento che il punto essenziale sta unicamente nelladozione di una metodologia che poggi su chiarificazioni intuitive. Proponiamo una discussione sulla distinzione tra soggetto e predicato, che troviamo anzitutto, nella nostra lingua, come una ben nota distinzione grammaticale. E cominciamo poi a parlare delle constatazioni.
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Risposta alla domanda se vi siano veramente le cose e le loro propriet. Considerazioni sulle nozioni di molteplicit e di oggetto semplice I passi ulteriori che intendiamo compiere mostreranno io penso ancora pi nettamente lo scopo di chiarificazione di una impostazione genetica.La nozione logico-matematica (come ora potremmo dire) di oggetto viene ricondotta alla forma di soggetto nella struttura della proposizione: essa, a sua volta, viene giustificata e chiarita attraverso il rimando alla nozione di so Elementi di una dottrina dellesperienza
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strato. La relativit essenziale del sostrato, dipendente dal riferimento alla soggettivit che effettua lesplicitazione, la si ritrova, sul piano delloggettivazione operata dalla predicazione, come generalit formale, come identit nella variabilit delle qualificazioni contenutistiche. Ci si chieder allora se in nessun caso possa essere giustificato un impiego di questi termini cosa o oggetto oppure, correlativamente, propriet o qualit cos come essi vengono normalmente impiegati nel discorso corrente. Diciamo che intorno a noi ci sono cose, e con ci pensiamo proprio a tavoli, sedie, lampadari. E cos eventualmente parliamo delle loro propriet. Anche il colore di una superficie , in generale, qualcosa cio, un sostrato per possibili determinazioni. Ma in rapporto ad esso impiegheremo preferibilmente il termine di propriet. Qui la distinzione non sembra affatto dipendere da un riferimento relativo-soggettivo. Sembra invece che il contenuto in questione si proponga come un contenuto che ha bisogno di un sostegno, anche se poi questo non deve essere necessariamente tanto misterioso quanto ci pu forse apparire se intorno ad esso cominciamo a speculare. Si tratta dunque di porre il problema di accertare se questa sensazione della necessit di proporre ulteriori distinzioni dipenda soltanto da consuetudini derivanti dalla forma grammaticale della nostra lingua ad esempio, dalla distinzione tra sostantivo e aggettivo oppure se si possa dare ad essa un autentico fondamento. Nel cercare una risposta a questo interrogativo, vogliamo ritornare sulla tematica dellesplicitazione, proponendo di distinguere tra esplicitazione semplice (o lineare) ed esplicitazione ramificata [25]. Come gi chiaro dai termini, nel secondo caso intendiamo un processo di esplicitazione che si articola in processi di esplicitazione un interesse principale si differenzia in interessi ad esso subordinati. Tenendo conto di questa distinzione, perveniamo in modo abbastanza spedito a proporre la nozione di determinazione assoluta [26]. Diremo assoluta una determinazione la cui esplicitazione , in via di principio, il ramo di un processo di esplicita Elementi di una dottrina dellesperienza
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zione. Inversamente, sostrati assoluti saranno quei contenuti che non mettono in questione, in via di principio, la nozione di esplicitazione ramificata. Appare chiara qui la duplice intenzione, da un lato di riportare la distinzione ingenua o di senso comune tra cosa e propriet entro il nostro contesto filosofico, dallaltro di mostrare che essa, in questo contesto, pur avendo certamente ancora a che fare con una strutturazione soggettiva dellesperienza nella stessa misura in cui il richiamo ai processi di esplicitazione resta determinante, tuttavia risulta libera dalle relativit degli orientamenti soggettivi dellinteresse. Lorientamento dellinteresse pu rendere qualunque cosa un sostrato; ma lassolutezza o la non assolutezza del sostrato non pu dipendere da ci. Se oltre a diventare un sostrato, un contenuto anche un sostrato assoluto, ci dipende dal contenuto stesso. Cosicch in generale va proposta sia in rapporto ai sostrati che alle determinazioni una nozione ampia ed una nozione pi ristretta. Nellaccezione pi ristretta con sostrati si intendono propriamente i sostrati assoluti, con determinazioni le determinazioni assolute. Se ora parlassimo di cose o di oggetti e di propriet o di qualit, non intenderemmo pi ci che intendevamo in precedenza parlando in generale di sostrato e di determinazione. Se lidea di sostanza pu essere in qualche modo rammentata nellambito delle nostre considerazioni, il richiamo pi appropriato cade proprio a questo punto. La forma di soggetto mantiene nel suo carattere meramente formare quellampiezza di applicazione che rimanda alle relativit soggettive delle posizioni tematiche. Nel caso dei sostrati assoluti, invece, queste relativit vengono a cadere. Ci che importa tuttavia il fatto che continuiamo ad attenerci strettamente entro il campo di problemi di una dottrina dellesperienza. Perci, se si volesse impiegare il termine di sostanza per indicare i sostrati assoluti, vi sarebbe ben poco da obiettare: si dovrebbe solo far notare che quando affermiamo che vi sono sostanze, quindi cose con le loro propriet, questa affermazione non affatto il risultato di unargomentazione logica che ci deve condurre al di l delle apparenze, ma essa non fa altro che fissare una circostanza che appartiene ai modi di presentazione di Elementi di una dottrina dellesperienza
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dati fenomenologici. Infatti, va comunque messo in rilievo il fatto che una simile articolazione data nellesperienza solo nelle condizioni poste da un processo di esplicitazione in corso. Che qualcosa abbia questa o quella propriet non pu essere semplicemente percepito, ma deve essere constatato. La distinzione tra cosa (sostrato assoluto) e propriet (determinazione assoluta) non sorge dallesplicitazione, ma la nozione di esplicitazione presupposta dalla chiarificazione di quella distinzione. Laccezione pi ristretta di sostrato una specificazione della nozione pi ampia. Dalla distinzione tra determinazioni assolute e sostrati assoluti, ottenuta attraverso il rimando a quella tra esplicitazione semplice e esplicitazione ramificata, possiamo ancora ottenere unulteriore distinzione che concerne re i processi di esplicitazione. Distingueremo dunque tra processi di esplicitazione che rendono esplicite determinazioni assolute e processi di esplicitazione che rendono espliciti sostrati assoluti. Ci va rammentato se non altro per mostrare fino a che punto le nostre considerazioni siano indipendenti da considerazioni linguistiche, e quanto poco possano essere illuminanti le chiarificazioni sulla struttura della predicazione che facciano ogni sforzo di riflessione sulla paroletta . In effetti se questa distinzione, in s del tutto legittima, viene ribaltata sul terreno predicativo, dovremo distinguere due forme, per cos dire, ugualmente originarie, di predicazione. Potremmo dire che nel primo caso comparir nel predicato un sostantivo, nel secondo un aggettivo. Ma questi termini hanno per noi ormai, pi che un significato grammaticale relativamente indeterminato dal punto di vista logico, soltanto un significato logico che va illustrato mediante la sua riconduzione al terreno intuitivo. Laggettivo rinvia ad una determinazione assoluta, cos come il sostantivo ad un sostrato assoluto. La differenza sta dunque ancora nella forma della predicazione. Se ci esprimiamo, adottando la terminologia di Husserl, parlando rispettivamente di giudizi in essere e giudizi in avere [27], qui ci aiutiamo con il linguaggio per esprimere mediante esso una differenza che sta al di fuori e prima di esso. Se diciamo che una certa cosa rossa, potremmo con ci dare un esempio di giudizio in essere, non gi Elementi di una dottrina dellesperienza
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per il fatto che usiamo il verbo essere, ma per il fatto che la determinazione acquista nel processo una determinazione assoluta. Inversamente, se diciamo che una certa figura composta da un triangolo e da un rettangolo, con ci diamo un esempio di giudizio in avere, indipendentemente dal fatto che in esso si impieghi come potremmo anche fare, il verbo avere. Le parolette e ha sono espressioni della copula nello stesso modo, se con la copula intendiamo la predicazione in genere, e dunque la sintesi di esplicitazione. A proposito dei giudizi in avere si potrebbe forse obiettare che in realt si tratta di esempi di proposizioni relazionali. Ma questa non pu essere una questione da decidere a occhio e croce. Di fatto qui vi un sostrato ed una esplicitazione ad esso diretta. Qualora lesplicitazione dia luogo a determinazioni che sono sostrati assoluti, indubbiamente possiamo dire che il sostrato che tema dellesplicitazione un sostrato plurale, una molteplicit che consta di queste e quelle parti. Ma il tema dellinteresse comunque lintero e daltro lato abbiamo bisogno di precisazioni intorno allimpiego del termine molteplicit che esigono una chiara distinzione tra giudizi in essere e giudizi in avere. Alla questione abbiamo in realt gi accennato trattando della tematica della percezione. Di un quadrato diciamo che esso una cosa, bench abbia quattro segmenti. Ma diciamo che una cosa anche di un cerchio, bench esso consti di circonferenza, superficie e colore. La distinzione tra sostrato assoluto e determinazione assoluta diventa indispensabile per spiegare perch ci si riferisca a cose di questo genere come singolarit. Naturalmente siamo liberi di parlare di molteplicit anche in casi come questi, ma con ci non faremmo altro che passare dalla nozione pi ristretta della cosa alla nozione pi ampia, e corrispondentemente ad una nozione ampia di molteplicit, non vincolata a quella di sostrato assoluto. Laccezione .pi ristretta di molteplicit richiede invece questo vincolo e per illustrarla faremo riferimento a quelle situazioni fenomenologiche nelle quali si presentano contenuti indipendente (sostrati assoluti). E ci non basta ancora: come abbiamo spiegato a suo tempo, si richiederanno anche determinate condizioni percettive di separazione. Elementi di una dottrina dellesperienza
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Un quadrato si presenta come una cosa singola perch tra i segmenti di cui consta intercorrono determinati rapporti. Dal punto di vista da cui ora ci disponiamo, essi sono comunque determinazioni del quadrato che sono sostrati assoluti ed il processo che li rende espliciti mette capo a giudizi in avere. Bench ci non implichi che la percezione in questione sia da considerare come percezione di una molteplicit. Nel caso del cerchio, lapprensione di esso come una singolarit decisa invece dal fatto che la sua esplicitazione mette capo a determinazioni che sono determinazioni assolute. Qui sono possibili solo giudizi in essere. Con ci disponiamo di una nozione di singolarit ultima o, se vogliamo, di oggetto semplice, intuitivamente chiara. Beninteso, la nozione di semplicit non ha affatto bisogno di questa chiarezza intuitiva per essere compresa ci vale in generale per ogni concetto nel suo impiego formale-categoriale. Lespressione qualcosa che non ha parti la comprendiamo altrettanto bene quanto lespressione qualcosa che ha parti. Sembra invece che problemi particolarmente oscuri sorgano se si chiede, oltre questa chiarezza intellettuale, anche una chiarezza intuitiva. Ogni difficolt si dissolve se assumiamo un modo di approccio fenomenologico. Allora il concetto formale della parte deve essere ricondotto a quello di determinazione, cos come quello di intero a quello di sostrato. La distinzione tra sostrato e determinazione in senso assoluto esibisce allora una nozione di singolarit ultima, cio di singolarit che non pu essere esplicitata in determinazioni che sono sostrati assoluti e che pu essere direttamente esemplificata sul piano dei dati dellesperienza. Perci non andremo alla ricerca di enti che sono in s indivisibili, ma di cose che ci appaiono cos, dove la divisibilit definita dal fatto che la cosa appare percettivamente priva di determinazioni indipendenti. Un segmento consta di punti solo se punteggiato. Altrimenti un buon esempio di oggetto semplice quanto lo il punto [28] . In margine a tutto ci possiamo osservare infine che il vecchio principio secondo cui ogni oggetto composto analizzabile in oggetti semplici a cui la logica tradizionale ha conferito un cos grande rilievo al fine delle esplorazioni metafisiche Elementi di una dottrina dellesperienza
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a cui essa era subordinata tanto discutibile come principio logico-intellettuale quanto poco lo come principio che rinvia alla struttura dellesperienza sensibile. Considerandolo da questo punto di vista, esso deve naturalmente essere interamente riformulato ed assume perci tuttaltro senso. Il composto qui ci che appare composto; ed allora possiamo indubbiamente affermare che ogni composto, nella percezione, rinvia necessariamente a singolarit ultime, che non sono ulteriormente divisibili. Nellambito dellesperienza, la divisibilit infinita esclusa, ma non nel senso che ci si richiami qui a qualche procedura concreta di divisione che, qualora venga messa in opera, incontri un limite di fatto invalicabile. La semplicit non ha nulla a che vedere con la straordinaria piccolezza; ma semplice pu essere detta una cosa qualunque in rapporto alla quale sia possibile un processo di esplicitazione che metta capo soltanto a determinazioni assolute. Essa non ha una molteplicit di parti, ma di propriet: non consta di determinazioni indipendenti, ma di determinazioni essenzialmente integrate nellintero e inseparabili da esso. Del resto la mente acuta di Leibniz si rese conto di poter ammettere la molteplicit nella monade, dopo averne proposto la semplicit proprio a partire da quel principio assunto nella sua validit logica indiscussa.
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Risposta alla domanda se vi siano veramente le relazioni Un punto delle nostre osservazioni precedenti merita di essere ripreso, perch ci consente di accennare ad un nuovo problema. Abbiamo distinto due forme del giudizio il giudizio in essere e il giudizio in avere. Sul piano predicativo si deve ritrovare la differenza tra propriet e parte, in un accezione illustrata dal rinvio alle determinazioni dipendenti e indipendenti. Si poneva allora la domanda: nel giudizio in avere non gi posta in questione la nozione di relazione? Oppure, pi in generale: che ne della distinzione tra proposizioni a soggettopredicato e proposizioni relazionali? Elementi di una dottrina dellesperienza
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Di ci Husserl si occupa nel capitolo terzo della sezione prima di Esperienza e giudizio [29]. Di esso converr dare un breve schizzo che ne mantenga i tratti essenziali, ricollegandoci al problema or ora indicato. In un processo di esplicitazione mettiamo in risalto determinazioni che sono sostrati assoluti dunque parti (e non propriet). E non questo gi un constatare una relazione? La nostra risposta negativa punta tutte le sue carte sulle relativit soggettive dei processi di esplicitazione. Come abbiamo gi notato, ci che qui importa che ununica cosa sia tenuta sotto presa e che le parti vengano rese esplicite come articolazioni interne che la determinano pi da vicino.Lesplicitazione chiarifica adottiamo anche qui la terminologia di Husserl lorizzonte interno della cosa. Altrimenti starebbero le cose se linteresse verso lintero venisse meno e si volgesse invece ad una sua parte, intesa nella sua indipendenza, per accertare in quale relazione essa si trovi con unaltra, essa stessa considerata nella sua indipendenza. In tal caso muta non soltanto lorientamento dellinteresse, ma la forma stessa di questo orientamento. Linteresse si dirige ora verso le altre cose che stanno intorno, verso il suo orizzonte esterno. Ma come potremmo sperare di essere compresi in questa distinzione tra orizzonte interno e orizzonte esterno, se non ci ponessimo decisamente sulla strada, cos dubbia per una cos larga parte della filosofia accademica, delle spiegazioni intuitive? Con ci non si intendono affatto spiegazioni date alla buona: si tratta invece di un vero e proprio metodo di chiarificazione che si avvale di rimandi esemplificativi a contesti di esperienza. Ecco qui, sul tavolo, un foglio di carta: e accanto ad esso c un altro foglio. molto strano che, raggiunte le altezze del pensiero puro, si ritenga di non essere ormai pi in grado di operare simili distinzioni. Se invece, nonostante tutta la confusione che pu esserci nella nostra testa intorno ai concetti di propriet e di relazione, ammettiamo ancora di saper fare quella distinzione sul piano dellesperienza concreta, allora dovremmo anche essere in grado di riportare un po di ordine in tutta quella confusione. Elementi di una dottrina dellesperienza
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Se consideriamo il foglio che si trova alla nostra destra, interessandoci alla sua forma, ai segni che sono tracciati in esso, al grado di finezza della carta di cui. fatto e cos via, allora ci muoviamo, come noi diremmo, nel suo orizzonte interno. Se invece procediamo nellesplicitazione da questo foglio a quellaltro per metterne a confronto le dimensioni, allora ci muoviamo verso il suo orizzonte esterno. Losservare ha qui mutato senso ed in Husserl questa differenza merita di essere contrassegnata anche terminologicamente. Il termine di esplicitazione viene riservato ai processi orientati verso lorizzonte interno del sostrato, mentre si parla di osservare relazionante [30] per indicare i processi diretti verso lorizzonte esterno. Ancora una volta si esemplifica qui lunit del metodo e dello scopo perseguito. Relazione un concetto formale, una categoria, un prodotto del pensiero puro. E come tale pu essere teoreticamente elaborato, indipendentemente da ogni sostegno intuitivo. Nello stesso tempo, ogni categoria deve essere riportata sotto il titolo tematico del giudizio e il problema della base esperienziale delle categorie deve essere affrontato attraverso una sorta di deduzione delle forme del giudizio dellesperienza . che, considerata dal punto di vista di questa problematica, potr essere qualificata come esperienza antepredicativa. Di qui deriva lorientamento soggettivo dellindagine, la messa in rilievo cio di differenze che non appartengono senzaltro alle cose stesse, ma che sorgono da certi modi di correlazione soggettiva che esibiscono determinate caratteristiche strutturali. Una differenza logica viene cos giustificata (e in questo senso: dedotta) da differenze di struttura che possono essere esibite sul terreno antepredicativo. Cos la differenza logica tra una proposizione come A rosso e A si trova alla destra di B non viene evidentemente meno per il solo fatto che si possa parlare del trovarsi a destra di B come di una propriet di A. Questo lo diamo per scontato. Semmai si tratta di una circostanza che ci invita ad una riflessione orientata in tuttaltra direzione. Nel constatare relazioni, pu essere che la direzione dellinteresse si muova dalloggetto A alloggetto B che sta nel suo orizzonte esterno. Qui il sostrato principale il soggetto della proposizione A. Ma potremmo Elementi di una dottrina dellesperienza
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indifferentemente muovere anche da B verso il suo orizzonte esterno nel quale si trova A. Comunque venga formulato verbalmente uno stato di cose relazionale, gi il proporsi antepredicativo della nozione di relazione mostra che vi una caratteristica di reversibilit che fa parte delle condizioni descrittive dellesperienza del constatare relazioni. Passando sul terreno delle considerazioni formali, potremo affermare allora che per ogni relazione data, vi sempre una relazione inversa. E in che modo giustificheremo questo sempre? Sulla base di quale evidenza? Qualcuno, avvezzo alla prudenza, potrebbe dire: io mi limito a supporre che le cose stiano cos, e di una simile evidenza non voglio nemmeno sentir parlare. Un altro, pi spericolato, ci assicura invece che si tratta di una circostanza che appartiene al concetto di. relazione, che contenuta analiticamente in esso. Ebbene, dove si trova questo concetto? Chi lo ha mai visto? I concetti non si trovano da nessuna parte e nessuno li pu vedere. Si possono vedere solo, ad esempio, le relazioni. Unanalisi del concetto pu essere compiuta anzitutto come analisi della sua origine: in questo modo otteniamo una delimitazione che poggia su chiare differenze nella forma delle constatazioni. Nel caso dellesplicitazione, i passi di cui consta il processo possono anche essere discontinui, a differenza delle sintesi percettive; mentre deve essere soddisfatta una condizione di continuit in rapporto alloggetto tematico. Nel constatare che istituisce relazioni anche questa condizione pu essere lasciata cadere, dal momento che possiamo procedere da A verso B oppure da B verso A [31]. Di questi riferimenti soggettivi, come di ogni rimando contenutistico, non resta alcuna traccia sul piano predicativo, anche se proprio su di essi poggia la delimitazione del concetto.
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Ci che si tenta. di fare una vera e propria deduzione delle categorie, dallesperienza al giudizio La congiunzione e lecceterazione come esempi di sintesi intellettuali Il nostro gran parlare di rimandi alla concretezza dellesperienza non deve tuttavia trarre in inganno il lettore di Esperienza e giudizio: in quellopera si tenta, in realt, unelaborazione piuttosto sofisticata che segue un proprio filo conduttore di cui sarebbe indubbiamente opportuno sottolineare lastrattezza. Ci appare tra laltro dallordine seguito dalla esposizione, ordine a cui noi non ci atteniamo strettamente essendo guidati pi da scopi interpretativi che letteralmente esegetici, ma non al punto di renderne confusi i tratti. Questo ordine pu apparire per molti versi artificiale, ma, ad uno sguardo pi approfondito, esso si rivela nello stesso tempo strettamente coerente con limpostazione generale del problema. In primo luogo ci siamo occupati della struttura della predicazione delle distinzioni fondamentali che dobbiamo proporre in rapporto ad essa. Di qui deve scaturire tutto il resto: facendo costante riferimento alla nostra metodologia, dobbiamo essere in grado di dispiegare le funzioni intellettuali di operare una vera e propria deduzione delle categorie. Lintelletto non un complesso di dispositivo predisposti da proiettare sullesperienza, ma ha le sue radici nellesperienza stessa in quanto essa si auto-organizza nelle forme di correlazione necessaria tra i dati della sensibilit e la soggettivit concreta che li riceve. Alla via trascendentale-kantiana che procede dal giudizio allesperienza contrapponiamo una via che procede dallesperienza al giudizio senza con ci ricadere in forme di riduzionismo empirista. Ma il dispiegamento delle funzioni, categoriali deve svilupparsi secondo un ordine determinato dallimpostazione stessa del problema. Cominceremo cos con il distinguere stadi di complessit crescente dei processi di esplicitazione, secondo un criterio per la valutazione della complessit che, se appare ovvio Elementi di una dottrina dellesperienza
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entro limpostazione proposta, risulterebbe invece incomprensibile se ci disponessimo senzaltro dal punto di vista del giudizio [32].Anzitutto parleremo di una maggiore elementarit della esplicitazione lineare rispetto allesplicitazione ramificata e, a titolo di forma elementare di esplicitazione lineare, indicheremo lesplicitazione che termina nella prima determinazione acquisita. La forma del processo che mettiamo in questione per seconda sar dunque lesplicitazione che termina dopo aver acquisito pi di una determinazione [33]. Forse ci si chieder che cosa ci possa essere mai di tanto degno di interesse in una differenza cos insignificante. Prima constatiamo che una certa cosa rossa. Ora constatiamo che essa rossa e rotonda. La congiunzione ha fatto la sua comparsa dalla parte del predicato. Questo interessante. Pensiamo al modo, equivoco e denso di problema, in cui il problema della congiunzione si presentava nella Filosofia dellaritmetica. Cercavamo allora un particolare tipo di relazione che stesse alla base di quella nozione astratta di molteplicit di cui avevamo bisogno per illustrare lorigine del concetto di numero. Abbiamo parlato di collegamento collettivo ed abbiamo ritenuto significativo un rapido cenno di Husserl alla congiunzione come il segno che, nel linguaggio, indica quel collegamento. In realt, quel cenno poteva essere significativo per noi solo tenendo conto del punto di vista dal quale ci disponiamo ora e che, al tempo della Filosofia dellaritmetica, non era certamente acquisito. Se il collegamento collettivo quella relazione indicata dalla congiunzione, allora per sapere di che si tratta non dobbiamo seguire la via dellindagine psicologica, ma dobbiamo segnalare fin dallinizio la natura intellettuale-categoriale di quella relazione proponendo di essa uninterpretazione che sia conforme alla problematico dellorigine. La congiunzione intesa come funzione interna dei processi di esplicitazione non fa altro che mantenere lunit del processo riconducendo le determinazioni via via acquisite nel campo di azione della copula, alla quale essa dunque strettamente subordinata. Dalla parte del predicato sorge cos una molteplicit anzitutto come molteplicit di determinazioni rese via via esplicite nel processo, ma questa molteplicit pu a sua volta essere resa Elementi di una dottrina dellesperienza
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sostrato e poich disponiamo di una nozione logico-matematica di oggetto, sono allora date, insieme alla congiunzione tutte le funzioni intellettuale per la costituzione di una nozione di molteplicit intesa come unoggettivit intellettuale di nuovo genere. data cio la possibilit di una nozione di insieme in rapporto alla quale possibile elaborare una teoria sistematica e formale che si muova interamente sul piano del pensiero puro [34]. In questa reinterpretazione del problema ogni rischio psicologistico resta certamente escluso, bench non possano sfuggire le connessioni con la posizione espressa a suo tempo. Ora non facciamo pi laffermazione, in realt profondamente oscura, secondo cui il segno di congiunzione sarebbe il segno di una particolare relazione sia pure solo psichica o anche soggettiva. E ci liberiamo anche dallequivoco rinvio allatto del pensare insieme, fissando eventualmente il senso effettivo di quella espressione in rapporto al fatto che la connessione in questione appunto unautentica sintesi intellettuale, cio una sintesi di cui non possiamo in nessun modo rendere conto restando sul terreno della semplice percezione. Se parliamo di ci a cui si riferisce la paroletta e come di una relazione allora questa non potr essere intesa nello stesso modo di quelle relazioni che si impongono nella passivit delle sintesi percettive in forza delle determinatezze contenutistiche dei materiali dellesperienza sensibile. Il fatto che ci siano momenti dellesperienza da cui possono essere estratte forme logiche, non toglie che queste siano poi da caratterizzare in contrapposizione ad essi. Nel constatare che qualcosa che ci sta di fronte ha una certa propriet e poi anche unaltra, non vi dubbio che con ci sia fissato un ordine in senso temporale. Tuttavia il passaggio dallesplicitazione alla predicazione un passaggio oggettivante nel quale ogni riferimento a processi resta escluso. La temporalit del processo di esplicitazione non resta appresa alla struttura predicativa in modo per cos dire implicito. Nel caso della congiunzione pu essere interessante notare piuttosto che, gi sul piano antepredicativo, lordine inessenziale al processo. Ci dipende dalla caratteristica di discontinuit che potrebbe essere indicata come uno dei momenti che differenziano le sintesi esplicitative in genere dalle sintesi percettive. Come abbiamo gi Elementi di una dottrina dellesperienza
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osservato, mentre loggetto si costituisce percettivamente nella sua identit proprio perch i contenuti percettivi si dispiegano secondo un certo ordine, e non secondo un altro, nel caso delle sintesi d esplicitazione lunica condizione che deve essere soddisfatta la continuit rispetto al sostrato. Lordine dei passi in cui essa si sviluppa invece indifferente. Questa indifferenza allordine si ritrova sul piano predicativo e appartiene alle regole che definiscono la congiunzione nel suo impiego logico. Per quelle regole vi sono dunque delle giustificazioni, ed questo lo scopo verso cui orientato lintento di stabilire una correlazione tra piani che debbono comunque essere mantenuti nella loro contrapposizione. Il terzo passo che intendiamo compiere si impone in modo piuttosto naturale. Se come primo passo abbiamo preso in considerazione lesplicitazione che termina nella prima determinazione acquisita e come secondo lesplicitazione che termina dopo lacquisizione di pi di una determinazione, consideriamo allora come terzo passo quello dei processi di esplicitazione il cui progresso rimane aperto [35]. Bastano poche parole per spiegare che cosa vogliamo intendere con ci. Abbiamo parlato in precedenza di un possibile termine del processo di esplicitazione, assumendo che questo concludersi del processo non abbia bisogno di ulteriori spiegazioni. In realt, almeno una precisazione si rende necessaria. Il processo sorge dalla parte della soggettivit e non da quella delloggetto: questultimo diventa tema appunto nella misura in cui vi un interesse ad esso rivolto. Il termine del processo dovr perci essere inteso come un esaurirsi dellinteresse, e non come un esaurirsi delloggetto nella totalit delle sue determinazioni. Se teniamo conto delle nozioni di orizzonte interno ed esterno, della possibilit di istituire relazioni e della possibile ramificazione dellesplicitazione, chiaro che ogni processo di esplicitazione si muove in un campo di aperta determinabili del suo tema. Ci significa soltanto che lesplicitazione pu proseguire liberamente, e naturalmente questa possibilit non pu essere affatto convertita nellaffermazione che le determinazioni di una cosa sarebbero infinite e addirittura lo sarebbero in modo necessario [36]. Una simile affermazione avrebbe tanto poco Elementi di una dottrina dellesperienza
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senso quanto il compito di addurre di esse un elenco completo. Ci che lapertura del campo di determinabilit mostra che il sostrato, a differenza della nozione di oggetto proposta sul piano predicativo che esattamente ci che si dice di esso, si trova sempre entro contesti e dunque, come potremmo esprimerci in generale, entro un orizzonte di mondo. Questo orizzonte lo sfondo passivamente presupposto nellisolamento tematico operato dallinteresse ed appartiene alle condizioni dellesperienza tematizzante. Il venir meno di esso sul piano predicativo non toglie tuttavia che la possibilit di proseguire nellesplicitazione al di l dellultima determinazione acquisita possa essere inclusa nella forma stessa del giudizio. Anche in questo caso, come in precedenza, per indicare lapertura nellambito della predicazione potremmo servirci di una espressione linguistica assai poco vistosa: la paroletta eccetera fa proprio al caso nostro. C ancora bisogno, dopo tutto ci, di ribadire che non stiamo affatto spiegando il vero significato della parola eccetera, come se essa avesse un significato nascosto che deve essere messo allo scoperto? Stiamo invece introducendo, secondo una particolare metodologia e seguendo un ordine da essa determinato, una vera e propria nuova funzione intellettuale che ha una fondamentale importanza tra le procedure che dnno luogo a oggettivit intellettuali. Ci che ci interessa lidentificazione della possibilit di operare ecceterazioni al di fuori e indipendentemente dai problemi che, chiamano in causa lorizzonte di mondo dei dati tematici dellesperienza. Se poi parliamo di origine dellecceterazione da una determinata tipologia dei processi di esplicitazione, questo modo di procedere deriva in primo luogo dallintento di mostrare come le funzioni intellettuali in genere siano per cos dire condensate nellunit del giudizio e possano essere dispiegate da essa. Anche lecceterazione nella sua introduzione primaria potremmo forse esprimerci cos si presenta subordinata alla copula, come la congiunzione. Ma ci pu essere chiaramente mostrato solo attraverso una classificazione delle forme del giudizio che segua il filo conduttore dei processi di esplicitazione. Tutto il resto risulta di conseguenza e va valutato secondo i criteri ormai consueti. Nel giudizio ecceterante nessun presupposto di mondo direttamente o indiretta Elementi di una dottrina dellesperienza
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mente implicato: si tratta appunto soltanto dellapertura, inclusa nella forma del giudizio, delloperazione predicativa. E va da s che come la congiunzione non cosa che riguardi solo le proposizioni, cos anche lecceterazione non una funzione che debba necessariamente esercitarsi solo nellambito delle sintesi predicative. Del resto si pensi ancora una volta alla formula proposta da Husserl per indicare la forma della molteplicit nella Filosofia dellaritmetica. La funzione intellettuale dellecceterazione ad essa essenziale non meno del collegamento collettivo e dellunit intesa come qualcosa in generale.
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La modificazione attributiva della proposizione Interpretazione dei giudizi di identit Si sar notato che, parlando del secondo caso che abbiamo preso in considerazione, si sarebbe potuto forse argomentare in tuttaltro modo. Di fronte ad una proposizione che presenta nel predicato due aggettivi, potremmo pensare che essa sia in realt da intendere come il risultato della fusione di due proposizioni in una sola: essa dunque deve essere analizzata e per certi scopi proprio questa analisi ci interessa. Ci vale in generale anche nei casi in cui la molteplicit sta dalla parte del soggetto: oppure in altri casi di complicazioni interne della proposizione, in particolare quando si presentano in essa nomi accompagnati da aggettivi, proposizioni principali e subordinate, e cos via. Anche in questi casi, ai fini di un trattamento logico, si proporr unanalisi tendente a proporre una articolazione logico-grammaticale di base semplice e chiara, che faccia a meno di complessit che sono, per gli scopi perseguiti, del tutto superflue. Per quale ragione dovremmo mantenere una forma del tipo: la tal cosa rossa e rotonda, se possiamo dire invece: la tal cosa rossa e la tal cosa rotonda? In queste possibili riduzioni della forma complessa della proposizione, tuttavia, abbiamo appunto di mira scopi molto diversi rispetto a quelli propriamente interpretativi che Elementi di una dottrina dellesperienza
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ora stiamo perseguendo. O se vogliamo, inversamente: la diversit degli scopi pu essere illustrata proprio sottolineando il fatto che noi diamo una particolare importanza proprio a quegli aspetti che appaiono, per altri versi, come complicazioni superflue. Se, ad esempio, proponiamo lanalisi di una proposizione che presenta un predicato plurale in due proposizioni congiuntivamente connesse in cui il predicato singolare, possiamo senzaltro ammettere che luna e laltra unit proposizionale hanno un identico senso logico e che pi conveniente per noi adottare la seconda in luogo della prima. Perci parliamo in rapporto ad essa di unanalisi (talvolta invece ci si esprime come se questa riduzione analitica rappresentasse un vero e proprio passaggio ad una pretesa forma logica reale della proposizione analizzata, e questo certamente un errore). Daltro lato, nellidentit di senso logico possono celarsi differenze significative nellinterpretazione che riconduce la struttura proposizionale ai processi antepredicativi. In rapporto allesplicitazione della seconda specie, in. effetti, si tratta proprio di un unico processo di esplicitazione che procede oltre la prima determinazione, e non vi nessun motivo per ritenere che i processi, in realt, siano due. Qualora i processi siano due, e nello stesso tempo venga mantenuto dalluno allaltro la consapevolezza dellidentit del sostrato, allora abbiamo a che fare con una situazione fenomenologica di nuovo genere che sposta la nostra attenzione dalla struttura interna dei processi alle loro possibili relazioni. Se diciamo: la tal cosa rossa e la stessa cosa rotonda, riconducendo questa formulazione dal piano logico-linguistico al piano delle constatazioni chiaro che in rapporto ad essa noi parleremmo di una maggiore complessit, proprio per il fatto che ad un processo di esplicitazione ne segue un altro che si connette al precedente per via dellidentit del sostrato. La continuit del tenere sotto presa deve essere stata interrotta ed a questa interruzione subentrata una ripresa dellinteresse nella consapevolezza che il sostrato ora lo stesso di prima. E si badi bene: qui non si tratta di dare uninterpretazione psicologizzante della frase, per il semplice fatto che la frase nel suo senso logico del tutto fuori questione. Elementi di una dottrina dellesperienza
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Del resto questa osservazione pu essere considerata come unosservazione preliminare alla trattazione dei giudizi di identit. Come orientate in questa direzione possono essere intese le osservazioni di Husserl sulla differenza tra proposizione principale e subordinata e sulla forma attributiva [37], bench naturalmente esse si situino nel quadro pi generale di una deduzione antepredicativa delle categorie che deve, tra laltro, fornire lambito delle nozioni fondamentali per lelaborazione di una teoria delle forme possibili del significato nel senso illustrato dalla Quarta ricerca logica (problema che in Esperienza e giudizio sempre chiaramente presente). Se consideriamo ancora il caso della esplicitazione lineare Che procede oltre la prima determinazione acquisita, non si tiene evidentemente conto in essa di possibili differenze di grado nellinteresse verso le determinazioni della cosa che vengono via via dispiegate. Invece pu accadere che vi sia una distribuzione ineguale dellinteresse, pu accadere cio che linteresse verso la prima determinazione acquisita sia minore che verso la seconda. Anche una distinzione tanto inappariscente merita di essere presa in considerazione, proprio perch essa pu essere considerata come la base di una differenza formale nella struttura della predicazione. Qui infatti possiamo indicare lorigine della distinzione tra proposizione principale e proposizione subordinata [38]. Pi precisamente, ci di cui si vuole rendere conto ora la modificazione della proposizione che Husserl chiama attributiva. La struttura semplice della predicazione S p assume la forma S, che p proponendosi come una parte che deve essere integrata in una predicazione completa: S, che p, q. La stessa forma di modificazione pu naturalmente essere introdotta anche in altro modo, dalla parte del predicato, ricorrendo alla nozione di esplicitazione ramificata. In luogo di distribuzione ineguale dellinteresse sulle determinazioni acquisite, parleremo piuttosto di unarticolazione vera e propria dellinteresse in un interesse principale e in interessi subordinati. Come abbiamo gi spiegato, pur mantenendo la presa sul sostrato iniziale. ora viene resa sostrato una sua determinazione, e nel ribaltamento sul piano predicativo otteniamo la forma: S p, che q. Elementi di una dottrina dellesperienza
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Anche in questo caso sar opportuno far notare che vi potrebbero essere ragioni per fare a meno di. queste complicazioni interne della proposizione operando la loro eliminazione analitica. Dal nostro punto di vista invece non vi sono motivi per assumere che la proposizione sia il risultato di una fusione di pi proposizioni ovvero, considerando il piano antepredicativo, che la forma in questione, proposta in un modo o nellaltro, presupponga una pluralit di processi. Al contrario, in entrambi i casi, si tratta di un unico processo che presenta soltanto un maggiore grado di complessit rispetto ai casi considerati in precedenza. Diversamente stanno le cose in rapporto alla tematica dellidentit, argomento con il quale si conclude il capitolo sulla struttura generale della predicazione [39] .Ad esso vogliamo dedicare un cenno perch forse qui pi che altrove appare con chiarezza il fatto che lintera tematica genetica proposta da Husserl non ha nulla a che vedere con una interpretazione psicologizzante, ma si risolve essenzialmente in una metodologia di chiarificazione filosofica. La questione dellidentit viene anzitutto riportata al problema dellinterpretazione del giudizio di identit, cio del giudizio di forma: S identico (lo stesso che) a S. La difficolt centrale nellinterpretazione di una simile forma giudicativa stata indicata in modo esemplarmente semplice da Wittgenstein: in essa si asserisce di due cose che esse sono una sola [40]. Vogliamo proporre questo problema alla prova del nostro metodo: e cominciamo con lo spostare il discorso dalla forma giudicativa ai processi di esplicitazione. Quando allora si pone il problema dellidentit? Questo punto stato or ora brevemente anticipato. Esso non si pone in rapporto ad un unico processo di esplicitazione: che il sostrato permanga come lo stesso qui una circostanza ovviamente presupposta. Linteresse continua ad essere rivolto a quelloggetto che esso tiene sotto la sua presa. Affinch sorga il problema deve intervenire uninterruzione dellinteresse ed uninterruzione che sia tale che, nelleventuale ripresa del processo di esplicitazione rivolto allo stesso oggetto, di questa identit potremmo anche non saperne nulla. Vi Elementi di una dottrina dellesperienza
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dunque prima un sostrato determinato secondo p e poi un altro sostrato determinato secondo q. Il senso dellessere-altro sta allora anzitutto, e cio prima ancora che nella differenza delle determinazioni, nella differenza dei processi. Perci lidentificazione dei sostrati non affatto equivalente allaffermare di due cose che esse sono una sola, ma assolve una funzione di unificazione di una molteplicit ,di processi. La constatazione S identico a S sottintende la molteplicit dei processi di esplicitazione a partire dalla quale essa si pone come problema. In S sottinteso: che p; in S sottinteso: che q. I giudizi di identit sono dunque giudizi di forma autonoma che fanno da ponte come si esprime Husserl ed esplicano proprio per questo una funzione conoscitiva fondamentale. Alla luce di queste considerazioni si mostra subito quanto sia peregrina la domanda se lidentit esprima una propriet di una cosa o una relazione tra cose. Da un punto di vista puramente formale, il problema potrebbe essere considerato irrilevante come del resto pu essere considerata irrilevante la distinzione tra giudizio determinativo e giudizio relazionale. Lidentit un predicato a due posti. E tutto finisce li. Se daltronde facciamo riferimento alle nostre fissazioni concettuali, ci potremmo trovare, accettando la domanda, in un certo imbarazzo. Poich identico connette un sostrato S ad un altro sostrato S, potremmo pensare che la forma proposizionale in questione sia una forma relazionale, che lidentit sia dunque una relazione tra cose. Tuttavia, laltro sostrato non appartiene affatto allorizzonte esterno del primo, dal momento che si tratta proprio dello stesso sostrato. Cosicch manca la condizione essenziale per il concetto di relazione. Supponiamo allora che la forma proposizionale sia da qualificare come determinativa e di conseguenza lidentit come una propriet della cosa. Ma allora dovrebbe accadere che nel corso del processo del processo, fra le propriet, della cosa si presenti anche la propriet alquanto singolare di essere identica a se stessa. Un simile andamento paradossale della discussione non pu che ricondurci ad una riflessione critica sulla domanda, che Elementi di una dottrina dellesperienza
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daltra parte pu avere qualche efficacia solo se la nozione vuota dellidentit viene chiarita attraverso rimandi esemplificativi a contesti esperienziali. Seguendo la metodologia interpretativa indicata, appare chiaro che la sintesi espressa dal giudizio di identit non una sintesi determinativa e nemmeno una sintesi relazionale, ma una sintesi di nuovo genere che unifica rispetto ad un unico sostrato determinazioni acquisite in processi differenti. Il giudizio di identit dunque una formazione predicativa del tutto peculiare e ad essa non pu essere attribuito un carattere elementare, nella nostra accezione. Quanto alla posizione di Wittgenstein nel Tractatus a cui abbiamo accennato in precedenza essa coerente con il quadro complessivo di quellopera, con lesclusione della tematica dellesperienza e di ogni punto di vista dinamico-processuale. Se non viene in questione alcun processo, non vi sono nemmeno ponti da gettare tra processi. Lidentit viene perci sottratta allambito della predicazione e pu presentarsi soltanto come una regola del simbolismo. In luogo di questo segno puoi usare questaltro. Daltronde Frege, proponendo la propria interpretazione a cui Wittgenstein intende contrapporsi, poneva al centro della questione la portata conoscitiva dei giudizi di identit. Ci che conosciuto come stella della sera non necessariamente conosciuto anche come stella del mattino. Non si identificano dunque due oggetti, ma si riferiscono determinazioni acquisite in differenti processi ad un unico oggetto. Nella propria interpretazione, Husserl evidentemente vicino alla posizione di Frege. Tuttavia non pu sfuggire la radicale differenza nel metodo. Per Frege ogni riflessione intorno alla logica deve situarsi sul piano del linguaggio. Ad esempio: oggetti saranno quelle cose designate dai nomi, anche se poi non sappiamo quali cose siano veramente nomi. La questione dellidentit dovr essa stessa proporsi necessariamente nellambito dei problemi della designazione. Nello stesso tempo, Frege intendeva con le proprie spiegazioni riportare a tutti i costi sotto il concetto della proposizione la nozione di equazione. chiaro allora che Wittgenstein, sottraendo il problema dellidentit allambito della predicazione, mirava a colpire essenzialmente questo punto: e forse aveva molte buone ragioni dalla propria parte. Elementi di una dottrina dellesperienza
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Tematica delle modalizzazioni Un breve cenno alle modalit del giudizio potr essere interessante, pi che per approfondire una problematico cos complessa, per illustrare la connessione tra lidea di una genealogia della logica e il metodo fenomenologico di approccio alla tematica dellesperienza in genere. Questa connessione, che presente anche negli esempi discussi fino a questo punto, risulta indubbiamente con particolare chiarezza proprio in rapporto al problema delle modalizzazioni. Il terreno per la sua trattazione gi stato infatti ampiamente preparato nellambito di considerazioni che non avevano ancora di mira il giudizio, ma che erano interamente interne allillustrazione dei decorsi percettivi in genere. In particolare dobbiamo occuparci ancora una volta delle anticipazioni percettive di cui abbiamo parlato trattando del ricordo. Vi qui un aspetto su cui ora dobbiamo attirare lattenzione perch mostra in che senso si possa parlare di modalizzazione, ovviamente in unaccezione peculiare, gi nellambito dellesperienza percettiva. In essa loggetto posto percettivamente secondo un senso che, nella stessa misura in cui rinvia ad esperienze passate, determina attese interne al decorso percettivo. Proprio perch lattesa una sorta di prolungamento della percezione, e non una supposizione che derivi da una riflessione su ci che ci sta di fronte, in essa. si prolunga anche quella certezza senza problemi che caratterizza la posizione percettiva delloggetto. Ora vediamo un uomo e ci propone, nella percezione, attese percettive ben determinate. Il carattere della certezza si prolunga nellattesa proprio per il fatto che ci che ci si attende soltanto una conferma. Ma lattesa pu andare delusa e la percezione, di conseguenza, diventare dubbia. Nel primo capitolo di Esperienza e giudizio [41] in cui questa tematica viene rammentata in vista della trattazione del problema della modalit sul terreno predicativo si parla di questo insorgere preriflessivo del dubbio come di un freno o di Elementi di una dottrina dellesperienza
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un impedimento interno al decorso percettivo, in coerenza con la concezione di esso come di un processo di continua autoconferma che si sviluppa sul piano di una certezza senza problemi. Questa dovr dunque essere intesa non gi come una delle possibili modalit della percezione, ma come la dimensione fondamentale rispetto alla quale ogni altra modalit pu essere presentata come una modificazione. Questa nozione di certezza ingenua nella quale non difficile cogliere una raffinata ripresa della nozione humeana del belief deve perci essere distinta dalla certezza che sorge dopo il dubbio e nella quale esso eventualmente si risolve. La situazione del dubbio percettivo diventa cos la situazione fenomenologica nodale per lintroduzione della tematica della modalit sul piano dei decorsi percettivi. Nello stesso tempo, gi su questo piano, appare chiaro che la discussione intorno alle nozioni modali in senso stretto certezza, possibilit, necessit strettamente connessa con la problematico dellaffermazione e della negazione che la logica tradizionale riconduceva invece sotto il titolo autonomo di qualit del giudizio [42]. Vogliamo chiederci anzitutto in che modo sorga il dubbio percettivo. Accade qui che una tesi proposta in unanticipazione percettiva vuota viene soppressa da ci che si presenta nella pienezza del decorso percettivo successivo. Occorre sottolineare che la tesi deve riguardare un aspetto della cosa e non la cosa stessa, dal momento che ununit di senso oggettivo deve mantenersi attraverso il flusso delle manifestazioni successive [43] come condizione di possibilit del contrasto. Tuttavia, nella soppressione della tesi, quellunit pu diventare a sua volta fluttuante nel suo senso. La nuova percezione agisce retroattivamente sulle percezioni anteriori, mettendole in questione in quanto in esse si costituito un senso che ora diventato dubbio. Nel dubbio, si oscilla tra possibilit disgiuntive. Se si tratti di questo o di questaltro non ancora stato deciso: lesperienza successiva contrasta con lanticipazione, ma non esclude ancora il senso che in precedenza la percezione ha attribuito allunit della cosa. Nel proseguimento del processo percettivo vi saranno altre istanze che determineranno propensioni di diverso grado nelluna o nellaltra direzione, o che decideranno senzaltro per Elementi di una dottrina dellesperienza
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luna direzione, piuttosto che per laltra. La credenza che segue il dubbio nel gioco delle propensioni e che pu eventualmente tradursi nella certezza fondata sul peso delle istanze evidentemente qualcosa di completamente diverso dalla credenza nel senso della certezza senza problemi. Daltro lato, la nozione di possibilit che viene fissata qui risulta definita dal fatto che essa viene proposta in rapporto alle disgiunzioni operate dal gioco delle istanze e delle controistanze. Husserl parla a questo proposito di possibilit problematico o presuntiva osservando che in rapporto ad essa pu essere impiegata la parola probabilit. Ad essa contrappone unaltra nozione di possibilit che egli chiama possibilit aperta. La differenza tra luna e laltra si chiarisce nel diverso modo in cui esse si rapportano ai processi percettivi. La possibilit problematico direttamente radicata nella struttura ritenzionale-protenzionale del processo, e di conseguenza essenziale qui il riferimento a propensioni fondate su istanze. Tuttavia, indipendentemente da ci, ogni cosa percepita, in quanto appare determinata secondo un tipo, data entro un ambito di possibilit disgiuntive che non hanno a che fare con il processo stesso, ma che dipendono unicamente dalla sua tipicit. Una superficie deve avere un colore, ma questo pu essere, indifferentemente, rosso o verde o giallo... Lindifferenza qui non pu indicare un equilibrio tra le istanze e pu accadere che si effettuino varie argomentazioni erronee fondate su questa confusione. Nel caso della possibilit aperta un principio di indifferenza va ammesso proprio perch si tratta di possibilit aperta. Nella possibilit problematico scrive Husserl vi sono inclinazioni alla credenza in conflitto le une con le altre, che sono motivate dalla situazione percettiva. Vi una possibilit a favore della quale qualcosa parla, che ha di volta in volta un proprio peso. Nella possibilit aperta non vi niente di simile ad un peso. In essa non vi sono alternative, poich allinterno dellambito determinato di generalit sono aperte nello stesso modo tutte le particolarizzazioni possibili. La modalizzazione consiste qui nel fatto che una intenzione generale indeterminata, che ha essa stessa il modo della certezza , porta in s implicitamente, in certo senso, un indebolimento di questa certezza in rapporto a tutte le particolarizzazioni pensabili [44]. Elementi di una dottrina dellesperienza
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Bench tutto ci contenga vari motivi di interesse, il loro impiego ai fini della problematico attinente al giudizio non affatto immediatamente a portata di mano. Fin qui infatti abbiamo messo in rilievo, da una particolare angolatura, certi aspetti di una problematico strettamente attinente alla struttura dei decorsi percettivi, senza dedicare nemmeno un cenno al constatare che, come sappiamo, rappresenta il nostro filo conduttore per la problematico che conduce alla struttura della predicazione. Ma se ora consideriamo le cose da questo lato, si vede subito che non possiamo trasporre direttamente le nostre considerazioni precedenti intorno alle anticipazioni percettive riferendole alle constatazioni. In effetti, da esse possiamo trarre qualche profitto solo se nel trattare la questione delle modalizzazioni presupponiamo constatazioni gi acquisite. Anche in questo caso lordine dellesposizione strettamente interno alla natura del problema ed al modo della sua impostazione. La nozione di giudizio categorico che potremmo far corrispondere al concetto primario della certezza senza problemi deve essere trattata per prima (come effettiva ed unica forma fondamentale) dal momento che le modalizzazioni non sono altro che modificazioni di essa [45] . Nello stesso tempo il riferimento a constatazione gi acquisite, a giudizi gi enunciati, esige la posizione dei giudizi stessi come intenzioni giudicative dirette a stati di cose inattuali, quindi come intenzioni vuote, mentre fino a questo punto il constatare era sempre ovviamente per noi un constatare alla presenza diretta delloggetto. La vuotezza dellintenzione giudicativa tiene qui il ruolo assolto in precedenza dalle anticipazioni della percezione. Il giudizio gi acquisito proposto a vuoto, e si presenta allora come una vera e propria presa di posizione che pu essere messa in dubbio e che pu di conseguenza essere accettata o rifiutata. Nella tematica della modalizzazione il riferimento al momento soggettivo diventa particolarmente sensibile e significativo. Al di l della descrizione che il giudizio presenta dello stato di cose, al di l dunque del puro e semplice accertamento che ripete sul piano della spontaneit predicativa ci che dato passivamente, il giudicare si richiama alle prese di posizione del soggetto, alla sua capacit di decisione. Laffermazione e la ne Elementi di una dottrina dellesperienza
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gazione, considerate anzitutto come accettazione e rifiuto, stanno quindi, in certo senso, al di fuori della proposizione, e non possono essere considerate come sue qualit. Da questa nozione dellaffermare e del negare occorrer allora distinguere le constatazioni in quanto sono soltanto accertamenti e come tali possono accertare tanto lessere quanto non essere possono cio essere. accertamenti positivi cos come accertamenti negativi. Il non ovvero ci che non entra allora nel contenuto dellaccertamento. Di conseguenza il concetto del giudizio pu essere inteso anche come se esso abbracciasse esclusivamente loperare accertamenti dessere e ci che non come Momento che fa parte del contenuto di questi accertamenti, per dir cos, come non essere che . Di fatto la logica e la scienza riducono tutto a giudizi che operano accertamenti e con buone ragioni. Cos per quanto si operino negazione, negli enunciati delle teorie, non vi nulla della negazione nel senso del rifiuto (Leugnung), ma essi accertano ora che le cose stanno cos, ora che le cose non stanno cos, ecc. Di conseguenza, il concetto primario del giudizio quello che ammette come valida solo una qualit, laccertamento [46]. Nel capitolo terzo della seconda sezione non si aggiunge poi nulla di essenzialmente nuovo intorno alla problematico della modalit del giudizio nel senso stretto, La distinzione tra possibilit problematico e possibilit aperta viene riproposta ed in particolare impiegata per differenziare la nozione di certezza empirica dalla nozione di probabilit. Mentre questultima richiede il sussistere di controistanze che si fanno comunque valere, diciamo certo empiricamente un fatto quando ogni controistanza stata soppressa. Questa soppressione tuttavia non implica la soppressione dellambito di possibilit aperte entro il quale il dato empirico situato. La cosa che ora vedo certamente rossa, e non lo solo ad un grado molto elevato di probabilit. Ma avrebbe potuto avere un altro colore, anzi potrebbe averlo. Questa nozione di possibilit chiamata in causa dalla certezza empirica ovviamente la nozione di possibilit aperta. In contrapposizione alla certezza empirica potrebbe infine essere caratterizzata una nozione di certezza apodittica di necessit, a cui viene dedicato tuttavia solo un rapidissimo cenno [47] . Elementi di una dottrina dellesperienza
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Per il resto occorre osservare che proprio nella tematica della modalit, allo sforzo di chiarificazione teoretica si associa uninclinazione ideologica che diventa in pi di un punto nettamente percepibile. Lemergere in primo piano del momento soggettivo, la tematica della decisione e delle prese di posizione, il rinvio ad acquisizioni conoscitive passate, alle convinzioni che debbono essere sottoposte alla crisi del dubbio, lo stesso tema della certezza come un obiettivo che deve essere perseguito per superare la scissione operata dal dubbio, scissione che penetra e minaccia il soggetto stesso [48], tutto ci allude, sia pure alla lontana, ad un altro ambito di problemi.
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Note
[1] I. Kant, Critica della ragione pura. Analitica trascendentale, Libro I, Cap. 1, Sez. I, trad. it. a cura di G. Gentile e di G. Lombardo-Radice, Laterza, Bari, , 1949, p. 110. [2] E. Husserl, Philosophie der Arithmetik (Husserliana, XII), a cura di L. Eley, Den Haag, Nijhoff, 1970, p. 79. [3] Cfr. la recensione di Frege alla Filosofia dellaritmetica di Husserl in Logica e aritmetica, scritti raccolti a cura di C. Mangione, Torino, Boringhieri, 1965, pp. 418-437. Come appare chiaro dalla nostra esposizione, non ci sembra che si possa in alcun modo ritenere che la recensione di Frege possa aver avuto quella portata determinante che di solito si attribuisce ad essa per la successiva svolta fenomenologica di Husserl. [4] E. Husserl, Philosophie der Arithmetik, op. cit., p. 119: ... non possiamo trovare in s nulla di riprovevole se i matematici, al culmine dei loro sistemi, in luogo di dare una definizione dei concetti di numero, descrivono il modo in cui si perviene a questi concetti: si richiede soltanto che queste descrizioni siano corrette ed assolvano al loro scopo. [5] ivi, p. 84. [6] ivi, p. 15. kollektive Verbindung. [8] Kontinuierliche Verbindung, cfr. ivi, p. 19. [9] ivi, p. 61. [10] ivi, p. 74. [11] Frege, ad esempio, reagisce cos: Debbo confessare che non mi riuscita di formarmi un aggregato secondo le istruzioni dellautore. Col collegamento collettivo, i contenuti debbono venir pensati o rappresentati semplicemente insieme, senza che venga rappresentata una loro qualunque relazione o un loro qualsiasi nesso. A me questo non possibile. Non riesco a rappresentarmi contemporaneamente il rosso, la luna e Napoleone senza alcun collegamento fra loro; per esempio, il rosso di un villaggio che brucia, dal quale si stacchi la figura di Napoleone, illuminato a destra dalla luna (op. cit. , pp. 427-428). [12] Per via della natura elementare del collegamento collettivo naturale che esso abbia trovato la sua espressione anche nella Elementi di una dottrina dellesperienza
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lingua corrente. Sotto questo riguardo basta a tutti i bisogni pratici la paroletta sincategorematica e. In s e per s essa priva di significato; ma quando essa connette due o pi nomi, essa indica il collegamento collettivo dei contenuti denominati. Che la lingua comune non possegga alcun nome autonomo per il concetto di collegamento collettivo, non pu destare la nostra meraviglia; ad esso ci si interessa solo eccezionalmente e per motivi scientifici. Gli scopi consueti del pensare e del parlare richiedono appunto soltanto la fissazione linguistica della circostanza secondo cui certi contenuti possono essere connessi in modo collettivistico, e ci quanto opera, nella nostra lingua, in modo pienamente adeguato, la congiunzione e (Philosophie der Arithmetik, op. cit. , pp. 75-76). [13] G. Frege, I fondamenti dellaritmetica, in Logica e aritmetica, op. cit. , pp. 279280. Il passo citato da Husserl a p. 130. [14] Philosophie der Arithmetik , op. cit., p. 131. Frege risponde esplicitamente a questa osservazione di Husserl nella sua recensione, op. cit.., pp. 432-433. [15] ivi, p. 184. [16] Teilung. [17] Cfr. in questo stesso testo Cap. I, 14, Annotazione. [18] Cfr. L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, prop. 3.342 (trad. it. a cura di A.C. Conte, Einaudi, Torino 1964, p. 19). [19] Questo errore si trova allorigine del Tractatus di Wittgenstein. [20] Erfahrung und Urteil, a cura di L. Landgrebe, Claassen Verlag, Hamburg 1964. [21] Betrachtung. [22] Im-Griff-behalten. [23] Sulla distinzione tra ritenzione e tenere-sotto-presa, ivi, pp. 121-122. [24] ivi, 24, pp. 124 sgg. [25] ivi, 28, pp. 147 sgg. [26] ivi, 29, pp. 151 sgg. [27] ivi, 52, pp. 261 sgg. [28] Sulla tematica qui in discussione, considerata in rapporto alla Terza ricerca logica, cfr. G. Piana, La tematica husserliana Elementi di una dottrina dellesperienza
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dellintero e della parte, Introduzione a E. Husserl, Lintero e la parte (Terza e Quarta ricerca logica), Il Saggiatore, Milano 1977. Reperibile in http://www.lettere.unimi.it/Spazio_Filosofico [29] op. cit. , pp. 171 sgg. [30] Beziehendes Betrachten. [31] ivi, 34 b, p. 177. [32] ivi, 49, pp. 241-242. [33] ivi, 51 a, pp. 255-256. [34] ivi, 61, pp. 292 sgg. [35] ivi, 51b, pp. 257-259. [36] ivi, p. 259. [37] ivi, 55, pp. 270-276. [38] Queste espressioni, sottolinea esplicitamente Husserl, non indicano primariamente alcunch di linguistico, ma il modo di sintesi categoriale che d significato allespressione linguistica e che pu, ma non deve necessariamente essere espressa, nellipotassi linguistica, secondo i modi consentiti dalla struttura di una lingua (ivi, p. 271). Analogamente, parlando della sintesi copulativa: Con ci non si asserisce affatto che tutte le lingue debbano essere capaci di un simile modo di espressione...(ivi, p. 254; cfr. anche p. 266 e p. 249). [39] ivi, pp. 280-282. [40] Cfr. Tractatus logico-philosophicus, prop. 4.243 (trad. it. cit., p. 34). [41] 21, pp. 93 sgg. [42] ivi, p. 328. [43] ivi p. 95. [44] ivi, p. 108. Il termine Alternative viene usato da Husserl in questo contesto soltanto in rapporto alla nozione di possibilit problematico. Verso la fine del passo citato, ho corretto Abschichtung che compare nel testo con Abschwchung, correzione che resa legittima dal confronto con Analysen zur passiven Synthesis, op. cit., p. 43. [45] ivi, pp. 352-353. [46] ivi, pp. 353-354. [47] ivi, p. 371. [48] Cfr. 71 p. 349 e pp. 351-352. Inoltre: 78-79 (pp. 371 sgg.). Elementi di una dottrina dellesperienza