Diritto Sindacale Giugni 2010

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DIRITTO

SINDACALE GIUGNI 2010


CAPITOLO PRIMO INTRODUZIONE AL DIRITTO SINDACALE
Definizione del diritto sindacale Il diritto sindacale quella parte del diritto del lavoro contenente un insieme di norme, poste dallo Stato o dalle stesse organizzazioni di lavoratori ed imprenditori, che nelle economie di mercato disciplina il conflitto di interessi derivante dallineguale distribuzione del potere nei processi produttivi. Esso nasce insieme al movimento operario nel XIX secolo, quando la rivoluzione industriale da luogo ad una contrapposizione di interessi ben nota tra capitale e lavoro, ossia tra chi detiene i mezzi di produzione, e pertanto legittimato ad organizzarli ed utilizzarli a propria discrezione (gli imprenditori), e chi, non detenendoli, mette la propria forza-lavoro al servizio di chi li detiene (i lavoratori). Per lungo tempi si cercato un parallelismo tra il diritto autonomo dei gruppi professionali del Basso Medioevo ed il moderno diritto sindacale: tale paragone non pu esistere, in quanto le corporazioni medievali rappresentavano delle coalizioni di soggetti (artigiani o mercanti) con gli stessi interessi, mentre nel diritto sindacale si vanno a contemperare interessi opposti e confliggenti. Lorganizzazione sindacale nasce proprio, infatti, per contrastare lo strapotere degli imprenditori nei confronti dei lavoratori. Per conflitto industriale deve intendersi il conflitto tra capitale e lavoro, tipico dei sistemi produttivi moderni (non solo industriali). Esso considerato come elemento della lotta di classe tra chi ha la propriet dei mezzi di produzione e chi offre la propria forza-lavoro. In realt il conflitto in questione non riguarda solo chi detiene la propriet dei mezzi produttivi, ma soprattutto chi gestisce gli stessi, lautorit che ha il vero potere sui mezzi (pensiamo ad una societ in cui i dirigenti hanno un potere molto pi ampio rispetto agli azionisti). Il diritto sindacale si inquadra proprio allinterno del conflitto industriale, apprestando la massima tutela a favore dei lavoratori in esso coinvolti. Diritto sindacale e relazioni industriali Il diritto sindacale analizza gli stessi temi trattati dalla disciplina delle c.d. relazioni industriali, sviluppatasi per lo pi nei paesi anglosassoni, la quale ha ad oggetto linsieme delle relazioni intercorrenti tra imprenditori, lavoratori e pubblici poteri, le quali conducono allemanazione di norme dirette a regolare il sistema produttivo: quindi il sistema delle relazioni industriali prende in considerazione il contesto normativo (web of rules) dei rapporti tra interessi organizzati. Leffettivit nel diritto sindacale Un aspetto fondamentale del diritto sindacale lo ritroviamo nelleffettivit delle sue norme, che merita particolare attenzione. Il principio di effettivit di una norma (e del diritto in genere) prevede che ad essa sia data concreta esecuzione, in tutte le sue parti, quindi tanto per la disciplina ivi contenuta, quanto per le sanzioni previste in caso di inottemperanza. Per il diritto sindacale la situazione diversa. Lemanazione di una disciplina, che dovrebbe competere solo al potere legislativo come costituzionalmente previsto, si basa, molto spesso, su una mediazione politica che coinvolge anche le parti sociali (L.247/1997 preceduta da un protocollo sul Welfare, ossia da un accordo tra Governo e sindacati). Il diritto sindacale, infatti, per
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garantire losservanza spontanea delle norme ed evitare situazioni spiacevoli a livello sociale, si poggia proprio sul consenso sociale, garantendo cos la propria effettivit. Astensione legislativa e ruolo della dottrina Dopo labrogazione dellordinamento corporativo, in vigore dal 1926 sino al 1944, e dopo lemanazione della Costituzione repubblicana nel 1948, il legislatore italiano rimasto per lungo tempo muto in materia di rapporti sindacali e sordo ai bisogni dei lavoratori. Solo nel 1970, con la L.300 che ha introdotto lo Statuto dei lavoratori, si avuta la prima disciplina sindacale. Dopo altri 20 anni, inoltre, con la L.146/1990 si disciplinato lo sciopero nei servizi pubblici essenziali. Notiamo, quindi, come il silenzio normativo si sia protratto per lunghi periodi e come sia stato necessario molto spesso, ad opera della dottrina e della giurisprudenza, interpretare estensivamente le norme gi esistenti in base a valutazioni di carattere generale e sociale: si applicata, in sostanza, quella che molti definiscono come politica del diritto, attraverso la quale molti autori hanno potuto esprimere il proprio pensiero, non cadendo nellipocrita convinzione che il diritto dei giuristi sia neutrale. Lordinamento intersindacale Abbiamo gi detto che il sistema di relazioni industriali scaturisce dalle interazione tra imprenditori, organizzazioni dei lavoratori e pubblici poteri. Sotto il profilo giuridico-normativo possiamo affermare che le relazioni industriali sono rette da un ordinamento stabile, definito come ordinamento intersindacale, distinto dallordinamento statale. I due ordinamenti convivono allinterno del nostro sistema, regolando molto spesso le medesime materie: qualora confluiscano verso una stessa valutazione normativa, non si crea alcun problema, ma qualora differiscano tra loro la norma di un ordinamento sar ineffettiva nellaltro e viceversa. Altre volte le valutazioni normative dei due ordinamenti, pur essendo diverse, non entrano in contrasto: prendiamo ad esempio il contratto collettivo, che per lordinamento statale un semplice accordo tra le parti disciplinato dal codice civile, mentre per lordinamento intersindacale un atto fondamentale che regola i rapporti tra imprenditori e sindacati. Altro esempio quello degli accordi triangolari tra le parti sociali (sindacati ed imprenditori) ed il Governo, in forza dei quali questultimo si impegna a disciplinare legislativamente una determinata materia oggetto dellaccordo. In realt il Governo, secondo lordinamento statale, non pu obbligare il Parlamento in nessun modo ad approvare una legge, ma allinterno dellordinamento intersindacale un simile accordo assume una rilevanza notevole. Il ruolo della giurisprudenza La giurisprudenza, cos come la dottrina, ha contribuito notevolmente alla formazione del diritto sindacale, nonostante nel nostro sistema di civil law la decisione di un giudice, nellespletamento delle proprie funzioni, non abbia autorit vincolante. La giurisprudenza, per, molto spesso, con la costanza del proprio indirizzo di pensiero, ha colmato le lacune legislative ed indirizzato lo stesso legislatore nellemanazione di una disciplina. Basti pensare che il concetto di contratto collettivo, e la conseguente inderogabilit dello stesso, nasce proprio in ambito giurisprudenziale, cos come altri concetti di notevole rilevanza. Il diritto comunitario Il diritto comunitario risulta, ancora oggi, indifferente rispetto al diritto sindacale: ne troviamo prova nel nuovo TFUE (trattato sul funzionamento dellUnione Europea) il quale, allart.153, dopo aver riconosciuto il
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diritto alla rappresentanza ed alla difesa collettiva degli interessi dei datori di lavoro e dei lavoratori, nega che rientrino allinterno della competenza comunitaria temi quali il diritto di sciopero, di serrata ed il diritto di associazione. Eppure lintegrazione economica al quale lUnione giunta non pu prescindere da questi aspetti del diritto sindacale e tale concetto stato ribadito anche dalla Corte di Giustizia, che sembra orientata verso unintegrazione della materia sindacale nelle competenze dellUnione. Va aggiunto che con lentrata recente di Paesi pi poveri ed arretrati (anche per ci che concerne i diritti dei lavoratori) allinterno dellUE, stato attuato un sistema di concorrenza al ribasso (dumping sociale), ossia una tendenza delle imprese ad utilizzare le condizioni del mercato del lavoro di questi Paesi per poter ridurre i costi ed aumentare i guadagni. E, per ora, impossibile capire come la situazione si evolver, ma sicuro che diritto comunitario e diritto sindacale non potranno restare indifferenti ed indipendenti per molto tempo ancora. Le regole del conflitto ed il problema della loro stabilit Allinterno del diritto sindacale, nel nostro Paese, non sono ben definite regole per lindividuazione dei soggetti legittimati alla trattativa, alla composizione delle controversie, alla proclamazione ed allo svolgimento degli scioperi. Prima della nascita di sindacati autonomi nel ventennio 70-90 del secolo scorso, la tre grandi Confederazioni sindacali (Cisl, Uil e Cgil) non sentivano lesigenza di regole ben precise, in quanto un accordo, bene o male, lo si trovava nella maggior parte dei casi, anche con lesclusione della Cgil. In un secondo momento, per, sono venute meno le ragioni di compattezza tra i lavoratori, essendo venuti meno i conflitti ideologici precedenti inerenti la lotta di classe. Si sono posti, dunque, 2 problemi: quello della rappresentanza, inerente il rapporto tra il sindacato ed il gruppo professionale di riferimento, e quello inerente i rapporti tra base e vertice, tra lavoratori e dirigenti dei sindacati, soprattutto in riferimento agli strumenti di democrazia rappresentativa (elezione dei dirigenti) e democrazia diretta (assemblee e referendum). Infatti mentre da un lato la Cisl ha sempre privilegiato la tutela dei propri iscritti, adoperando il sistema dellelezione dei dirigenti, la Cgil ha sempre valorizzato strutture rappresentative elette da tutti allinterno di assemblee e referendum, coinvolgendo tutti i lavoratori, anche quelli non sindacalizzati. Il Protocollo del 23 luglio 1993 sembrava aver trovato una soluzione al suddetto problema, individuando i soggetti titolari dei poteri di rappresentanza e larchitettura della contrattazione collettiva. Laccordo quadro del 22 giugno 2009, invece, si mosso nellopposta direzione, allontanando la Cgil dalle regole della contrattazione collettiva e non vincolandola agli accordi.
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CAPITOLO SECONDO LA LIBERTA SINDACALE


Principio costituzionale della libert sindacale Lart.39 della nostra carta costituzionale sancisce che lorganizzazione sindacale libera, contrariamente a ci che era previsto allinterno del sistema corporativo fascista, il quale prevedeva che gli interessi collettivi fossero tutelati dallo Stato e che la partecipazione dei soggetti interessati non fosse libera. Il diritto di organizzarsi liberamente si manifesta sia sotto un profilo pubblico, inibendo allo Stato di compiere atti lesivi della libert del lavoratore, sia sotto un profilo privato, evitando che i datori di lavoro possano limitare la libert sindacale. In merito a questultimo fine, tra laltro, stato emanato lo Statuto dei lavoratori, per consolidare il diritto di cui allart.39 della Costituzione. Libert di organizzazione sindacale Abbiamo detto che la libert di organizzazione sindacale sancita dallart.39 della Costituzione. La pi generale libert di associazione, invece, tutelata allinterno dellart.18 Cost, ma questultima risulta vincolata, e pertanto non illimitata, nel caso in cui persegua fini vietati dalla legge penale. La libert sindacale priva, invece, di vincoli di qualsivoglia genere, in quanto la sua stessa previsione costituzionale ne legittima lesercizio. Inoltre va sottolineata la differenza tra i due termini: organizzazione ed associazione. Se il legislatore ha utilizzato la parola organizzazione in merito allattivit sindacale, vuol dire che essa pu essere esercitata sia in forma associativa, sia in altre forme (es. consigli di fabbrica). Oggetto del riconoscimento costituzionale quindi lorganizzazione sindacale, con essa intendendosi non solo lattivit svolta in forma collettiva e coinvolgente una pluralit di soggetti organizzati, ma anche la stessa attivit che a ci conduce ( lesempio di un soggetto singolo che promuove la costituzione di unorganizzazione sindacale). La normativa comunitaria Nonostante la Carta fondamentale dei diritti dellUnione Europea, proclamata a Nizza nel 2000, riconosca la libert sindacale come una semplice libert di associazione senza conferirgli il peso specifico che nel nostro ordinamento le viene attribuito dallart.39 della Costituzione, e nonostante il TFUE, allart.153, escluda la libert sindacale dalla competenza comunitaria, sia la previsione di un Comitato economico e sociale con funzioni consultive rispetto alle Istituzioni UE, sia il riconoscimento del ruolo della contrattazione collettiva previsto in molte norme dello stesso TFUE, ci fanno capire come sia inevitabile che il diritto sindacale assume una valenza comunitaria e venga disciplinato anche in ambito UE. Il principio di sussidiariet, uno dei principi cardini in materia di competenza dellUnione e degli Stati membri e previsto dallart.5 TUE, prevede che lUnione, nei settori di competenza concorrente, debba intervenire solo qualora ravvisi che un intervento sulla stessa materia dei singoli Stati membri sia insufficiente. Se, come abbiamo detto, il TFUE esclude tale competenza, vuol dire che lUnione ritiene che il livello qualitativo della disciplina sindacale dei singoli Stati sia sufficiente. Ma gli ordinamenti dei singoli Stati membri hanno validit ed efficacia solo allinterno dei territori degli stessi ed hanno, comunque, un effetto indiretto anche sullassetto comunitario, dovendo lUnione rispettare i diritti fondamentali comuni alla tradizione giuridica dei singoli Paesi: in poche parole il principio di sussidiariet stata applicato in maniera errata ed il principio di rispetto delle tradizioni giuridiche non stato rispettato. Il diritto sindacale
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riconosciuto, allinterno di tutti gli Stati, come diritto fondamentale, e pertanto un tale peso specifico dovrebbe assumere anche a livello comunitario. La libert sindacale nelle convenzioni internazionali Anche il diritto internazionale si spesso occupato della materia del lavoro, in particolare della libert sindacale e del diritto di sciopero. Rilevanti a riguardo sono le Convenzioni dellOIL (Organizzazione Internazionale del lavoro, nata nel primo dopoguerra e consolidatasi nel secondo in ambito ONU), in particolare la n.87 e la n.98, a cui lItalia ha dato attuazione tramite la L.367/1958: la prima di esse prevede una tutela della libert sindacale nei confronti dello Stato, sia per ci che concerne le organizzazioni dei lavoratori, sia per quelle dei datori di lavoro, su cui il potere statale non pu esercitare alcuna pressione; la seconda, invece, ha previsto una tutela della libert sindacale dei lavoratori nei confronti dei datori di lavoro, che non possono porre in essere condotte antisindacali. Altri documenti di valenza internazionale sono stati emanati in materia, sia a livello internazionale, sia europeo (Carta sociale europea) ed hanno riconosciuto, ancora una volta la libert sindacale, limportanza della contrattazione collettiva ed il diritto allo sciopero come massima forma di autotutela. Il divieto di atti discriminatori La normativa legislativa interna che pi di tutte tutela la libert sindacale sicuramente rappresentata dalla L.300/1970, contenente lo Statuto dei lavoratori, il cui titolo II dedicato, appunto , alla libert sindacale. Lo Statuto, in linee generali, persegue 3 obiettivi: Tutela della libert e della dignit del lavoratore allinterno dellimpresa: dato il potere di gestione e direzione del datore di lavoro, era necessario tutelare il prestatore di lavoro nel caso di atti lesivi dei valori suddetti (si pensi alla polizia privata nelle fabbriche, alle perquisizioni personali ecc); Vietare i comportamenti dellimprenditore lesivi della libert sindacale dei lavoratori sul posto di lavoro; Prevedere una legislazione di sostegno che promuova lattivit sindacale. Per ognuno dei 3 obiettivi suddetti sono previste norme distinte, che analizzate nel complesso tendono a rafforzare i 3 obiettivi contemporaneamente. Della tutela della libert e dignit del lavoratore si parler in seguito. Analizziamo ora il titolo II dello Statuto, dedicato appunto alla libert sindacale. Lart.14 tutela il diritto di costituire e aderire ad associazioni sindacali, nonch di svolgere attivit sindacale sul luogo di lavoro: si ribadisce, in pratica, quanto detto in precedenza in merito allart.39 della Costituzione, rafforzando leffettivit della norma. Lart.15 dello Statuto riproduce ed integra la Convenzione 98 OIL, prevedendo la nullit di qualsiasi atto discriminatorio, posto in essere dal datore di lavoro, che vincoli lassunzione del lavoratore alla partecipazione o meno ad associazioni sindacali e prevedendo sanzioni penali per limprenditore che ponga in essere un tal comportamento. Sempre lart.15 prevede la nullit anche di atti discriminatori volti a
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licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua affiliazione o attivit sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero: in tal caso non sono previste sanzioni penali, ma solo civili e possiamo notare come la dicitura recargli altrimenti pregiudizio ricomprenda, negli atti discriminatori, uno svariato numero di comportamenti del datore di lavoro, senza neanche la necessit di tipicizzarli tramite unelencazione. Lart.16 vieta, poi, i trattamenti economici discriminatori, che si configurano nel caso in cui un datore di lavoro, per la mancata partecipazione del lavoratore ad uno sciopero o per la mancata adesione ad unassociazione sindacale o per ladesione ad unassociazione sindacale specifica affine allimpresa, premi in un certo senso il lavoratore con un compenso in denaro o di altro tipo valutabile in termini economici (es. giorni di ferie). In tal caso il giudice, su domanda dei lavoratori lesi da tali trattamenti a favore di altri ed accertati i fatti, pu stabilire che il datore versi al Fondo pensioni INPS una somma pari ai trattamenti economici discriminatori di un anno. Inoltre gli artt.15 e 16 si applicano, in base anche a recenti modifiche legislative, a discriminazioni di tipo sessuale, politico, religioso, di razza o lingua, basate anche su motivi di handicap, di et, di orientamento sessuale o convinzioni personali. Non esiste, tuttavia, un apparato sanzionatorio unico, bench fosse stata disposta una delega al Governo in tal senso dalla L.246/2005. Sindacati di comodo Lart.17 dello Statuto vieta la costituzione dei c.d. sindacati gialli o di comodo, ossia di sindacati costituiti e sostenuti dai datori di lavoro o dalle loro associazioni. Ovviamente i comportamenti che possono far desumere un sostegno di tal genere non sono tipicizzati, ma devono manifestare uno stato di asservimento del sindacato al volere dei datori di lavoro (o loro associazioni). Ovviamente bisogna prestare attenzione al fatto che lasservimento non si manifesta con la semplice dialettica delle relazione industriali, bench essa possa comportare laccettazione di rivendicazioni del datore di lavoro. Tra laltro lintervento di un giudice sulla questione non comporta lo scioglimento del sindacato giallo, ma semplicemente il divieto per il datore di lavoro di continuare con la propria azione di sostegno, comunque si sia concretizzata. Libert sindacale negativa Allinterno dello Statuto nessuna norma, fatta eccezione per lart.15 lettera a, sembra tutelare il diritto del lavoratore a NON associarsi, cio a non aderire ad alcun sindacato. Solo larticolo suddetto precisa che siano vietati, e pertanto nulli, gli atti del datore di lavoro volti a subordinare loccupazione del lavoratore alla partecipazione o meno ad un sindacato. Tuttavia, sulla base di questa previsione, sembra essere implicito anche negli articoli precedenti e successivi al 15 che il lavoratore non possa essere discriminato per la mancata partecipazione ai sindacati. La Corte di Giustizia dellUnione Europea, inoltre, ha avuto modo di pronunciarsi riguardo ad un caso dapprima tipico allinterno del Regno Unito, ossia sulla necessaria iscrizione ai sindacati per poter proseguire o instaurare un rapporto di lavoro: la Corte ha previsto che una tale pratica violi la Convenzione sui diritti delluomo del 1950.
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Lorganizzazione sindacale dei militari e della polizia Per quanto concerne i dipendenti pubblici, in passato si avuta unaspra controversia circa il diritto di sciopero, mentre pi agevole risultato il riconoscimento della libert sindacale (L.860/1984), data anche lapplicazione alle pp.aa. dello Statuto dei lavoratori (art.51 D.Lgs.165/2001). Permangono dei limiti, invece, per ci che concerne i militari e gli appartenenti ai corpi di polizia. Per i militari la disciplina contenuta allinterno della L.382/1978, la quale riconosce i diritti costituzionalmente garantiti anche agli appartenenti alle Forze Armate, ma limita lesercizio di taluni diritti: essi non possono esercitare il diritto di sciopero, n aderire a/costituire associazioni sindacali; per essi sono previsti i Cocer, ossia i Consigli centrali di rappresentanza, composti da organi elettivi, i quali partecipano anche alla determinazione del trattamento economico e normativo. Alla Polizia di Stato, invece, dopo la smilitarizzazione della L.121/1981, stato riconosciuto il diritto di costituire sindacati, sebbene del tutto separati ed autonomi rispetto alle tre grandi Confederazioni (possono intrattenere, tuttavia, rapporti con le stesselimportante non unirsi ad esse), ed al proprio personale il diritto di aderirvi. Permane, comunque, il divieto di sciopero. Stessa disciplina vige per il Corpo forestale dello Stato. La Polizia penitenziaria, invece, non soggetta a limitazione alcuna. Libert sindacale degli imprenditori Un problema da analizzare quello inerente la libert sindacale degli imprenditori. In realt essi, nella soddisfazione dei propri interessi, possono agire, ed agiscono il pi delle volte, individualmente: pertanto manca quellinteresse collettivo, proprio della libert sindacale. Inoltre il titolo III della carta costituzionale, il quale comprende lart.39, dedicato esplicitamente alla tutela del lavoro, mentre della libert dimpresa si parla solo allart.41. Non va neanche dimenticato che il titolo II dello Statuto dei lavoratori inerisce alla libert sindacale dei soli prestatori di lavoro, non anche a quella dei datori. Ovviamente non pu essere esclusa la possibilit che gli imprenditori si riuniscano in associazioni, le quali tutelino gli interessi degli stessi, ma lo potranno fare in forza dellart.18 della Costituzione, inerente la libert di associazione, senza lampia tutela apprestata dallart.39 e dallo Statuto dei lavoratori. Tra laltro alcun documento internazionale tratta largomento, ivi compresi quelli scaturenti dallOIL. Libert sindacale dei lavoratori autonomi Di libert sindacale, per quanto riguarda i lavoratori autonomi, si pu parlare solo nel caso in cui nasca la necessit di svolgere attivit contrattuale collettiva a fronte di una controparte, finalizzata alla tutela degli interessi dei lavoratori autonomi in questione: il caso dei lavoratori parasubordinati o degli agenti di commercio. Qualora, invece, non vi sia alcuna controparte ( il caso degli avvocati) sar garantita la libert di associazione in forza dellart.18 Cost., ma non si potr parlare di libert sindacale.
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CAPITOLO TERZO IL SINDACATO


SEZIONE A: IL FENOMENO STORICO I modelli Abbiamo gi avuto modo di dire che la funzione principale del diritto sindacale quella di contrastare e riequilibrare la disparit di potere esistente, allinterno del rapporto lavorativo, tra imprenditore e lavoratori. Tale fine viene perseguito tramite i SINDACATI, forme di organizzazione collettiva dei lavoratori, i quali garantiscono che le retribuzioni e le altre condizioni di lavoro siano tutelate. Storicamente i primi sindacati si formarono in Gran Bretagna e Stati Uniti, i Paesi inizialmente pi industrializzati, tramite un modello sindacale basato sui gruppi professionali: nacquero cos i sindacati di mestiere (craft union), allinterno dei quali figuravano soggetti esercenti lo stesso mestiere (tutti i muratori, tutti i falegnami, tutti i carpentieri ecc.). In seguito la produzione di massa altamente meccanicizzata, basata sul modello taylorista, impose una dequalificazione della manodopera: occorrevano molti lavoratori, ma senza particolare preparazione, e pertanto venne meno il criterio di differenziazione tra i vari modelli sindacali in base ai mestieri (in sostanza: non cerano pi mestieri, come facevano i sindacati ad essere organizzati per mestieri???). In poco tempo, dunque, si pass al modello dei sindacati per ramo industriale: lavoratori con qualifiche del tutto diverse, ma operanti allinterno del medesimo ramo produttivo, potevano aderire allo stesso sindacato (es. impresa metalmeccanica: operano allinterno di essa tanto periti chimici quanto esperti informatici, ma fanno entrambi parte dei metalmeccanici). In Italia, dopo una breve esperienza dei sindacati di mestiere, si passati rapidamente ai sindacati per ramo industriale. Inoltre gli impiegati, dapprima soggetti ad unorganizzazione separata, si sono uniti agli operai. Sono rimasti esclusi solo i dirigenti ed i lavoratori con professionalit elevate, che hanno dato vita a proprie organizzazioni, quali la Cida (Confederazione italiana dirigenti dazienda) e la Confedir (Confederazione dei sindacati dei funzionari direttivi dirigenti e delle elevate professionalit della funzione pubblica). Il proliferare, negli anni 70/80, di figure di lavoratori con funzioni professionali pi elevate e complesse, ha fatto in modo che nascessero nuove organizzazioni sindacali autonome, non aderenti a nessuna delle 3 grandi Confederazioni: nato il sindacato occupazionale, di cui tipici esempi sono i sindacati dei quadri dellindustria, dei medici ospedalieri, dei presidi delle scuole medie e superiori. Negli anni 90 e nei primi anni del nuovo millennio, poi, sono sorti modelli sperimentali di rappresentanza diversi dal sindacalismo industriale, che hanno segnalato la sempre minore importanza del settore produttivo: Sindacati multi-industriali o conglomerati, rappresentanti diverse organizzazioni di categoria preesistenti dopo unoperazione di fusione: si razionalizzata lorganizzazione dei micro-sindacati dapprima esistenti, con una diminuzione dei costi ed un miglioramento del servizio offerto ai lavoratori;
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Strutture di rappresentanza per specifiche categorie, come per esempio i pensionati e coloro soggetti ad un lavoro privo di stabilit (collaboratori a progetto, lavoratori somministrati, lavoratori occasionali ecc): questi ultimi, non potendo rientrare nei tradizionali sindacati di categoria, cambiando molto spesso settore produttivo ed azienda, sono ora rappresentati dalla Nidil-Cgil (Nuove Identit di Lavoro), dal Cpo-Uil (Coordinamento per loccupazione) e dalla Felsa-Cisl (Federazione lavoratori somministrati autonomi ed atipici). Lorganizzazione In Italia operano 3 Confederazioni sindacali di lavoratori: la Cgil (Confederazione generale italiana del lavoro), la quale conta quasi 6 milioni di iscritti, la Cisl (Confederazione italiana sindacati liberi), che conta 4 milioni e mezzo di iscritti, e la Uil (Unione italiana del lavoro), che conta poco pi di 2 milioni di iscritti. Esse si articolano in 2 linee organizzative: una verticale, che tiene conto delle categorie produttive delle imprese in cui operano i lavoratori, ed una orizzontale, basata sul criterio territoriale (provinciale e regionale) ed intercategoriale. Per ci che concerne la linea verticale, sono previste struttura sul luogo di lavoro, a cui i lavoratori possono accedere direttamente, strutture territoriali di categoria, strutture regionali di categoria e la struttura nazionale di categoria. In base alla linea orizzontale, invece, si tratta di strutture regionali e provinciali intercategoriali (definite come Camera del lavoro per la Cgil, Unione sindacale territoriale per la Cisl e Camera sindacale per la Uil). Le strutture regionali intercategoriali e le federazioni nazionali di categoria danno vita alla Confederazione. Sindacalismo unitario e pluralit di sindacati In alcuni Paesi europei, come Gran Bretagna e Germania, esistono confederazioni che raggruppano tutti, o quantomeno la maggior parte, dei sindacati esistenti: si parla in tal caso di sindacalismo unitario. Allinterno di altri Stati, come Francia e Italia, invece, si ha una pluralit di sindacati. In realt in Italia, gi nel 1944 quando la Liberazione non era ancora compiuta, la Democrazia Cristiana, il Partito Comunista e quello socialista siglarono il cosiddetto Patto di Roma, con cui crearono un'unica sindacata la Cgil, che avrebbe dovuto riunire tutti i lavoratori. In seguito, data la notevole diversit tra i partiti politici e tra le loro ideologie, dalla Cigl unitaria si staccarono la corrente democratico-cristiana e quella social-democratica e repubblicana, dando vita alla Cisl ed alla Uil. Le tre confederazioni, ancora oggi, sono le pi importanti nel nostro Paese. Col passare del tempo, nonostante le notevoli diversit, molto spesso le tre Confederazioni sono state accomunate da ununit di intenti e di azione. Si giunti, addirittura, ad ottenere una Federazione delle confederazioni nel 1972, poi disgregatasi nel 1984. Pi recentemente i governi di centro destra hanno legittimato gli accordi separati, in modo tale da giocare sulle divisioni sindacali per strappare condizioni pi convenienti allo Stato: molti accordi e contratti collettivi, infatti, hanno visto lesclusione della Cgil.
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Infine, va detto che negli ultimi anni si assistito ad una proliferazione di micro realt sindacali, interessate alladesione di specifiche categorie: il caso dei Cobas (Comitati di Base), sindacati a livello territoriale che nacquero inizialmente solo per il settore della scuola, diffondendosi, in seguito, in altri settori. Le affiliazioni internazionali Vi sono anche organizzazioni sindacali a livello internazionale che riuniscono i sindacati presenti nei vari Paesi: il caso della Ces (Confederazione europea dei sindacati), che svolge unintensa attivit nei confronti degli organi dellUnione Europea: ad essa aderiscono le tre Confederazioni italiane. Altro esempio la Cisl internazionale: anche ad essa aderiscono le nostre 3 Confederazioni. N.B. paragrafo inutile Lassociazionismo sindacale degli imprenditori Le associazioni rappresentative degli imprenditori nel nostro Paese sono maggiormente frammentate rispetto sia alla controparte sindacale, sia rispetto a ci che avviene negli altri Paesi europei. Il criterio organizzativo prevalentemente quello dei grandi settori economici (industria, commercio ecc), con una diversificazione ulteriore in base alle dimensioni delle imprese o alla natura, pubblica o privata, delle stesse. Le maggior organizzazioni sono Confindustria, per lindustria ed i servizi, Confcommercio, per il commercio, Confagricoltura, per il relativo settore e lAran, che rappresenta i datori di lavoro pubblici, le pubbliche amministrazioni. Altre organizzazioni, poi, rappresentano le piccole-medie imprese e sono la Confapi nellindustria, la Confesercenti nel commercio e la Coldiretti in agricoltura, la quale tutela appunto, insieme alla CIA (Confederazione italiana agricoltori), i coltivatori diretti. Vi sono poi una miriade di altre organizzazioni che rappresentano altri settori, quali quello bancario ed assicurativo, quello dei trasporti, quello dellartigianato ecc. (Non meritano di essere citati, in quanto inutili in ambito di esame) In passato esistevano anche organizzazione rappresentative di societ partecipate dallo Stato, poi sparite dopo il processo di dismissione delle partecipazioni. Un cenno particolare merita la gi citata Confindustria, nata nel 1910, la quale unassociazione di secondo grado, ossia una federazione di associazioni, articolate per territorio e settore produttivo. Le associazioni provinciali operanti in una regione costituiscono le 18 Confindustrie regionali, le quali hanno un importante funzione sindacale (sarebbe meglio dire di rappresentanza). Allinterno di Confindustria figurano, infine, Federmeccanica, Federchimica ecc. che rappresentano i vari settori produttivi. Vi sono anche organizzazioni rappresentative degli imprenditori a livello europeo, come la Business Europe per i privati e la Ceep per i datori di lavoro pubblici. Organizzazione sindacale non associativa Abbiamo gi specificato che lorganizzazione sindacale pu avvalersi di diverse forme organizzative e non esclusivamente di quella associativa. Gli stessi Cobas dei macchinisti delle ferrovie e degli insegnanti sono
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partiti come organizzazioni spontanee. Esistono poi formazioni tipo le delegazioni dei lavoratori ed i comitati di agitazione, che nascono per lo pi in momenti particolari, nei quali le tre grandi Confederazioni sembrano incapaci di rappresentare alcune categorie di lavoratori. SEZIONE B: LA REGOLAMENTAZIONE GIURIDICA Sindacato e categoria professionale e la libert di scelta tra i vari modelli organizzativi Abbiamo analizzato i vari modelli organizzativi tra i quali i sindacati possono scegliere. La scelta, appunto, inerisce alla categoria professionale di lavoratori da tutelare ed importante, anche sotto il punto di vista dello studio, in quanto ci fa capire quali interessi il sindacato andr a salvaguardare. La scelta del criterio organizzativo, allinterno del sistema corporativo fascista, era eteronoma, ossia imposta dallo Stato, che individuava le categorie e riconosceva un sindacato per categoria. Oggi, invece, la scelta, lo ribadiamo ancora una volta, del tutto priva di vincoli. Talune volte pu accadere che, proprio in forza di tale libert, lo stesso interesse sia tutelato da vari sindacati: la questione andr risolta o tramite un accordo tra gli stessi, o tramite il rapporto di forza di unorganizzazione rispetto allaltra. La mancata attuazione dellart.39 Cost. Lart.39 Cost., dopo aver previsto nel primo comma che lorganizzazione sindacale libera, e che quindi i sindacati possono regolarmente esercitare la propria attivit e prevedere, tramite la scelta dei lavoratori/categorie professionali da tutelare, quale sar il proprio campo di applicazione, prevede nei commi 2,3, e 4 che i sindacati siano sottoposti a registrazione, per la quale necessaria la democraticit degli statuti e che, in forza della registrazione, essi acquisiscano personalit giuridica, potendo stipulare contratti con efficacia ne confronti di tutti, erga omnes. Il disposto dellart.39 riflette anzitutto la volont di una parte politica che voleva salvare il sistema corporativo, modificandolo nel punto della libera elezione dei dirigenti, ed in secondi la volont di unopposta parte politica che non voleva intromissioni da parte dello Stato. I commi in questione, infatti, rimangono tuttora inattuati: essi, non essendo dotati di efficacia diretta nellordinamento, necessitavano di un intervento da parte del legislatore, intervento che non mai arrivato per una serie di ragioni: La registrazione avrebbe potuto essere un mezzo di intromissione dello Stato ed avrebbe comportato un controllo degli iscritti ai vari sindacati, il che avrebbe inciso, in una ipotetica fase di contrattazione, sulla rappresentanza negoziale del sindacato: la Cisl, a quel tempo minoritaria, avrebbe visto il proprio ruolo sminuito rispetto allantagonista di sempre, la Cgil, e pertanto si oppose alla allattuazione della norma costituzionale; Lidea, tipica del sistema corporativo, che un sistema sindacale di diritto dovesse prevedere obbligatoriamente la personalit giuridica dei sindacati e lefficacia erga omnes dei contratti, stata via via abbandonata;

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Il sistema sindacale di fatto esistente ha assunto sempre maggiore importanza, tramite lo strumento della contrattazione collettiva, e lo stesso legislatore ha, nella prassi, accettato lidea di un sistema di tal genere.

Bench i sindacati abbiano evitato, in forza della mancata attuazione dellintero articolo 39, di contarsi, cio di scendere in campo con il numero dei propri iscritti ben chiaro, essi hanno perso il potere, ben pi ampio rispetto alla mera contrattazione collettiva attuale, di stipulare contratti valevoli per le intere categorie rappresentate. N.B. leggendo poche pagine del libro o di questa rielaborazione si intuisce bene landamento pro sindacale dellautore ed il suo orientamento politico. Il sottoscritto, per, invita i propri colleghi studenti ad una riflessione che esuli dal proprio credo politico: lautore sottolinea, in linea con altri autori prima di lui, che lapplicazione data dellart.39 non costituisce inadempimento costituzionale. Basta leggere lart.39 al comma 2 per capire che le cose non stanno esattamente come ce le raccontano: il codice parla di obbligo dei sindacati alla registrazione, non di mera facolt per garantire la possibilit di stipulare contratti con efficacia erga omnes, come invece dice il libro. Il comma 2, infatti, si presenta indipendente rispetto al comma 4. Vi invito alla riflessione, al di l, ripeto, di quale sia la vostra idea politica ed al di l della simpatia che tutti nutriamo per i sindacati che spesso, ma non sempre, tutelano i lavoratori. La scelta privatistica Abbiamo visto come la scelta di non emanare una legge sindacale per la corretta attuazione dellart.39 Cost. sia stata il frutto di un compromesso tra, da un lato, le forze politiche e dallaltro quelle sociali. Tramite tale scelta si manifestata la volont di non collocare lattivit sindacale allinterno del diritto pubblico, ma di assoggettarla alla disciplina del diritto privato: lo Stato non deve interferire con lattivit autonoma dei gruppi. Lassociazione non riconosciuta I sindacati, dunque, al pari di ci che avviene per i partiti politici, operano allinterno del nostro ordinamento come associazioni NON riconosciute, non essendo soggette a registrazione ed essendo disciplinate dagli artt.36, 37 e 38 del codice civile. Il legislatore del 1942, infatti, non poteva in alcun modo immaginare che sindacati e partiti politici avrebbero assunto forme associative libere, in quanto in tal periodo lunico partito legittimo era il P.N.F. ed i sindacati erano inquadrati come personalit di diritto pubblico. E utile rammentare la disciplina codicistica in materia di associazioni non riconosciute: esse si costituiscono tramite un atto di volont dei propri fondatori ed in forza della propria struttura aperta, permettono ladesione ad uno svariato numero di soggetti. Lassociazione autonomo centro di imputazione, essendo un soggetto di diritto, ma non ha personalit giuridica, il che comporta unautonomia patrimoniale imperfetta: delle obbligazioni sociali risponde lassociazione con il proprio patrimonio, solidalmente con i soggetti che hanno agito in nome e per conto di essa. Il patrimonio dellassociazione non riconosciuta costituito dal c.d. fondo sociale, il quale cessa di esistere solo al momento dello scioglimento dellassociazione. Gli associati godono del diritto di recesso, ma nel momento in cui scelgono di esercitarlo, non hanno diritto ad alcuna quota sul fondo sociale: ricordiamo, infatti, che le
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associazioni non riconosciute sono enti senza finalit economiche, disciplinati dal libro I del codice, che pertanto non possono attuare un sistema di ripartizione degli utili, pur potendo esercitare (la disciplina originaria non lo prevedeva) attivit dimpresa. Le associazioni, in giudizio, sono rappresentate dalle persone del presidente o del direttore. Disciplina costituzionale e disciplina del codice civile La dottrina, il cui apporto in materia stato determinante, ha comunque previsto che alle associazioni non riconosciute, e pertanto ai sindacati, vadano applicate, laddove compatibili e non inerenti alla personalit giuridica, le norme previste in materia di associazioni riconosciute: ci comporta che i conflitti inerenti lapplicazione di norme interne allassociazione, possano essere risolti anche in giudizio. La questione ha generato dei conflitti, allinterno della stessa dottrina, tra chi sostiene che i sindacati siano assoggettati alle norme del diritto comune, e pertanto al controllo giudiziale, e chi sostiene la tesi contraria. La disciplina delle forme organizzatorie non associative Abbiamo gi avuto modo di specificare che i sindacati possono utilizzare forme organizzative diverse da quella associativa. In tali casi, essi rimangono pur sempre soggetti di diritto, anche se operano attraverso delegazioni occasionali che rappresentano gli interessi dei lavoratori. Esaurito il proprio mandato, per, la delegazione si scioglie, non godendo della stabilit dellassociazione non riconosciuta. Questo ci porta a capire che esse operino, per lo pi, sotto il profilo giuridico come veri e propri comitati (artt.39 e ss. C.c.) e sotto il profilo interno, nei rapporti con i lavoratori, in forza di un mandato collettivo. Anche tra i datori di lavoro si possono avere, tra laltro, delegazioni temporanee che tutelino la categoria, come avvenne nel 1958, quando le societ a partecipazione statale si sganciarono dalle organizzazioni dei datori di lavoro privati per dar vita ad una propria delegazione intersindacale, almeno fino a quando non venne costituita unassociazione apposita, lIntersind, venuta meno in seguito al processo di dismissione da parte dello Stato delle partecipazioni. Interessi collettivi, individuali e generali I sindacati, quindi, sono portatori di un interesse collettivo, per tale intendendosi NON la somma degli interessi individuali dei lavoratori, ma la combinazione di tali interessi, che risulta, tra laltro, indivisibile, ossia pu essere soddisfatto solo da un unico bene che soddisfi il bisogno della collettivit. Vediamo, dunque, come linteresse collettivo sindacale vada tenuto distinto dallinteresse individuale dei lavoratori, ma anche dallinteresse generale della societ, del quale portatore unico lo Stato. I sindacati, infatti, anche qualora siano numerosi, sono pur sempre rappresentativi di una parte della societ, non di tutta, e pertanto tendono a tutelare pur sempre un interesse di parte, linteresse collettivo appunto. Tuttavia, essendo linteresse collettivo indivisibile, i sindacati non possono tutelare solo le prerogative dei propri iscritti, ma anche quelle di coloro che hanno scelto di non aderirvi: il sindacato dei metalmeccanici, per esempio, non potr salvaguardare linteresse dei soli metalmeccanici iscritti, ma dovr tutelare anche i non iscritti. Tra laltro questa forma di tutela totale giova anche allo stesso sindacato: i datori di lavoro, infatti, qualora fossero tutelati solo gli interessi dei lavoratori iscritti ai sindacati, preferirebbero sicuramente assumere lavoratori, di uguale categoria professionale, che non godono di tali diritti.
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CAPITOLO QUARTO RAPPRESENTANZA E RAPPRESENTATIVITA SINDACALE


Rappresentanza e rappresentativit Il sindacato altro non , ed abbiamo avuto modo di precisarlo, che un gruppo organizzato portatore di un interesse collettivo: il gruppo diverso dalla somma degli individui che lo compongono, al pari dellinteresse collettivo, che diverso dalla somma degli interessi individuali. Il legame, quindi, intercorrente tra lavoratori e sindacato non si fonda sul mandato con rappresentanza disciplinato dal codice: in tal caso, infatti, il rappresentante agisce in nome e per conto del rappresentato, mentre i sindacati agiscono in nome proprio, perseguendo linteresse collettivo di cui sono titolari. Nel linguaggio corrente, comunque, si parla ugualmente di rappresentanza, ma non sotto il profilo codici stico, quanto sotto il profilo del consenso di cui gode un sindacato da parte dei lavoratori. Differente invece il concetto di rappresentativit, definibile come la capacit di un sindacato di ottenere un comportamento uniforme da parte dei lavoratori. E stato lo stesso legislatore ad introdurre tale concetto, prevedendo che taluni diritti siano riconosciuti solo ai sindacati che godono di rappresentativit, e non anche a tutte le organizzazioni sindacali che non hanno alcuna influenza sulle categorie professionali. SEZIONE A: MAGGIORE RAPPRESENTATIVITA NELLO STATUTO DEI LAVORATORI La ratio della selezione tra i sindacati Allinterno del Titolo III dello Statuto dei lavoratori, introdotto nel nostro ordinamento con la L.300/1970, viene trattata lattivit sindacale. Il legislatore, in tale titolo, riconosce alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative una serie di diritti che favoriscono i rapporti tra le stesse organizzazioni ed i lavoratori, imponendo di fatto una serie di imposizioni a carico dellimprenditore: basti pensare allobbligo di mettere a disposizione dei lavoratori dei locali per le assemblee. Proprio perch in molti casi va imposto un sacrificio allimprenditore, i diritti sindacali sono riconosciuti solo alle associazioni sindacali pi rappresentative: se infatti le organizzazioni in questione non godessero di rappresentativit, non ci sarebbe motivo di imporre sacrifici, in tal caso superflui, allimprenditore. I criteri di selezione Lart.19 dello Statuto, rubricato come costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali, nella sua formulazione originaria, attribuiva la titolarit dei diritti sindacali sia alle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale, sia alle associazioni sindacali, non affiliate alle predette confederazioni, che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell'unit produttiva. Occorreva, quindi, che un sindacato facesse parte di una delle tre grandi Confederazioni o che avesse concluso contratti collettivi nazionali o provinciali, in quanto in caso contrario non poteva godere di alcun diritto. Il primo criterio viene definito come della rappresentativit storica, in quanto basato sul dato storico delleffettiva maggiore partecipazione delle confederazioni, o anche della rappresentativit presunta, in quanto il fatto stesso di basarsi su un fatto storico, delinea il fatto che non ci sia nessun dato quantitativo di maggiore rappresentativit.
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Sono indici di maggiore rappresentativit di un sindacato: La consistenza del numero di iscritti; La presenza in vari settori produttivi e territoriali; Svolgimento di unattivit di contrattazione con continuit e sistematicit.

Anche la legge di riforma del CNEL, organo consultivo allinterno del nostro ordinamento, ha previsto che siano i sindacati pi rappresentativi, in base ai criteri suddetti, a designare i rappresentanti dei lavoratori nel Consiglio Nazionale dellEconomia e del Lavoro. Giurisprudenza costituzionale sullart.19 prima del referendum del 1995 In molti avevano sollevato obiezioni circa la costituzionalit dellart.19 rispetto allart.39 ed allart.3: lattribuzione di determinati diritti alle sole confederazioni o a sindacati che avessero stipulato contratti collettivi nazionali o provinciali, infatti, sembrava violare la libert sindacale attribuita dallart.39 ed il principio di eguaglianza, previsto allinterno dellart.3. La Corte costituzionale, in pi sentenze, ha avuto modo di precisare due concetti importanti: lart.19 attribuisce diritti e poteri aggiuntivi che vanno oltre la libert sindacale, ma non vieta in alcun modo la stessa; il riconoscimento di maggiori diritti, inoltre, non lesivo del principio di eguaglianza, in quanto per configurarsi una tale lesione, occorra una disparit di trattamento priva di giustificazione e che non risponda a criteri di ragionevolezza, non essendo sufficiente la sola diversit di trattamento generata da ragioni plausibili e consapevoli, espresse dal legislatore. Il referendum del 1995 Lart.19 stato oggetto di 2 referendum abrogativi l11 giugno del 1995: il primo di essi, che prevedeva labrogazione di entrambi i criteri selettivi, ha avuto esito negativo, mentre il secondo ha avuto esito positivo, prevedendo che lattribuzione dei diritti sindacali in azienda sia concessa alle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nellunit produttiva, eliminando di fatto la lettera a dellart.19, inerente le confederazioni, ed eliminando la dicitura nazionali e provinciali della lettera b dellarticolo. Oggi, quindi, laccesso ai diritti del Titolo III dello Statuto non pi riservato ai sindacati che abbiano concluso accordi almeno a livello provinciale, essendo previsto che anche coloro che operano in una sola azienda, possono usufruire di tali diritti. Tuttavia le associazioni sindacali che non abbiano mai concluso un contratto collettivo, non possono in alcun modo accedere ai diritti di cui al Titolo III dello Statuto. Il criterio della rappresentativit presunta lascia il posto ad un criterio fondato su un fatto accertabile, la conclusione di un contratto collettivo nellunit produttiva in cui pretende di costituire la propria RSA. La giurisprudenza costituzionale sullart.19 dopo il referendum La Corte costituzionale stata chiamata a sindacare sulla legittimit dellart.19 anche dopo il referendum del 1995, sempre per contrasto con la libert sindacale sancita dallart.39 ed il principio di eguaglianza dellart.3 Cost. Il nuovo testo avrebbe attribuito, secondo molti, al datore di lavoro la facolt di riconoscere
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la rappresentativit o meno di un sindacato, accettandolo o meno come controparte contrattuale. La Corte ha respinto entrambe le eccezioni riguardo la costituzionalit dellart.19. SEZIONE B: ULTERIORI IPOTESI DI RILEVANZA DELLA MAGGIORE RAPPRESENTATIVITA Le altre leggi che dispongono una selezione tra i sindacati Una selezione tra i vari sindacati, simile a quella descritta fin ora, attuata anche da leggi ordinarie in due casi: nel caso di organi collegiali, come ad esempio il CNEL di cui abbiamo gi parlato, o nel caso di legittimazione a stipulare contratti collettivi o contratti con particolari effetti. Gli interventi legislativi in questi due sensi sono stati molteplici, ma gli esempi del CNEL nel primo caso e della rappresentativit nel settore pubblico nel secondo, sono sufficienti a rendere lidea. La rappresentativit ponderata nel settore pubblico Una riforma attuata negli anni 90 ha introdotto, per i rapporti di lavoro alle dipendenze dello Stato e degli altri enti pubblici, una particolare disciplina della rappresentativit sindacale. Per le relazioni sindacali nelle pubbliche amministrazioni, tra laltro, la nozione di sindacato maggiormente rappresentativo non serve solo per individuare i soggetti che godono di diritti sindacali (come avviene nel settore privato), ma soprattutto per individuare quei sindacati abilitati alla contrattazione collettiva nazionale, sulla base non di una rappresentativit presunta, ma di una rappresentativit basata su dati numerici: sono ammessi ai tavoli di trattativa per contratti collettivi solo quei sindacati che abbiano un indice di rappresentativit del 5% calcolato in media sul dato associativo (quanti iscritti ha quel sindacato) e sul dato elettorale (voti espressi in favore di quel sindacato). Superata la soglia del 5% i sindacati si ritrovano sullo stesso piano allinterno della contrattazione. LAran, lagenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni, deve comunque acquisire il consenso di tanti sindacati che rappresentino almeno il 51% dei lavoratori, calcolato sul dato associativo e su quello elettorale, o quantomeno il 60% dei lavoratori tenuto conto del solo dato elettorale, per poter stipulare contratti nazionali. SEZIONE C: LA CRISI DELLA MAGGIORE RAPPRESENTATIVITA PRESUNTA Maggiore rappresentativit presunta o ponderata? La Corte costituzionale, confermando quanto abbiamo detto in questo capitolo, ha confermato nella sentenza 54/1974 che una selezione tra i sindacati possibile nel momento in cui si attribuiscano maggiori poteri e diritti ad alcune organizzazioni sindacali indipendentemente dalla libert sindacale che spetta a tutti, e nel momento in cui la selezione giustificata da motivi ragionevoli, per non entrare in contrasto con lart.3 inerenti il diritto di eguaglianza. Da un altro punto di vista, fatta eccezione per i sindacati dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, i criteri di selezione sono rimasti, nel tempo, ancorati ad indici presuntivi e non numerici di fatto (rappresentativit presunta). La stessa Corte Costituzionale ha ribadito la necessit, negli ultimi anni, di passare ad un modello che rifletta realmente ladesione dei lavoratori a tali sindacati, tramite un intervento del legislatore, che ancora, a distanza di molto tempo, non arrivato. N.B. per lo studente: sarebbe bastato che i sindacati fossero registrati secondo la previsione costituzionale per eliminare il problema.
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CAPITOLO QUINTO LA RAPPRESENTANZA DEI LAVORATORI SUI LUOGHI DI LAVORO


Lorganizzazione sindacale sui luoghi di lavoro I lavoratori, per tutelare i propri interessi, si organizzano sia allinterno dei luoghi di lavoro, sia allesterno ed il movimento sindacale non rappresenta altro che il rapporto intercorrente tra questi due livelli. La rappresentanza dei lavoratori pu essere a CANALE DOPPIO, qualora coesistano due organismi, uno elettivo di rappresentanza generale, ed uno associativo, a rappresentanza volontaria e con potere negoziale, esplicazione dei sindacati esterni nei luoghi di lavoro, o a CANALE UNICO, in cui la struttura di rappresentanza sindacale/associativa tanto allinterno quanto allesterno dei luoghi di lavoro. Le Commissioni interne, le sezioni sindacali aziendali, i delegati ed i Consigli di fabbrica In Italia, almeno inizialmente, il movimento operaio, allinterno dei luoghi di lavoro, aveva una struttura tipicamente territoriale, distante dalle tre confederazioni sindacali ed organizzata in base a strutture elettive di rappresentanza di tutti i lavoratori, le Commissioni Interne. Esse furono regolate per a prima volta nel 1906 da un accordo tra FIOM e la fabbrica di automobili Itala, per poi essere soppresse durante il periodo fascista e ripristinate subito dopo lo stesso, per essere regolate nel 1947 da un accordo i, interconfederale, con il quale, per, li vennero sottratto il potere contrattuale dapprima detenuto. Le CI venivano elette a suffragio universale su liste presentate da qualsiasi gruppo di lavoratori e le elezioni si svolgevano a collegio elettorale unico, corrispondente allunit produttiva, con ripartizione dei seggi tramite metodo proporzionale. Negli stessi anni delle CI, la Cisl tent di costituire nei luoghi di lavoro delle sezioni sindacali aziendali (SAS), che rappresentassero il sindacato esterno, riproducendone larticolazione associativa ed il fondamento volontario di rappresentanza: esse avrebbero dato luogo, insieme alle CI, ad un sistema a canale doppio, cosa che non avvenne perch la diffusione delle SAS fu piuttosto scarsa. Durante il biennio 1968-69, le CI furono sostituite da nuove forme di rappresentanza, quali i delegati ed i Consigli di fabbrica. Il delegato era eletto da un gruppo omogeneo di soggetti, con stessi interessi, appartenenti ad uno stesso gruppo del processo produttivo. Non era formalmente previsto che egli fosse iscritto ad un sindacato esterno. Linsieme di tutti i delegati di unimpresa (o unit produttiva) dava luogo al Consiglio di fabbrica (o dei delegati). Inizialmente tali forme di rappresentanza sindacale furono contrastate dalle tre grandi confederazioni, per poi, in un secondo momento, essere inglobate allinterno delle stesse. Le RSA dellart.19 dello Statuto dei lavoratori Con lemanazione dello Statuto dei lavoratori nel 1970, il legislatore non ha, in alcun modo, voluto regolare la rappresentanza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, prescrivendone forma e struttura. Egli, pi che altro, ha voluto garantire la presenza, nelle unit produttive, dellorganizzazione sindacale. Lo stesso art.19, come abbiamo visto, prevede che possano accedere ai diritti di cui al Titolo III dello Statuto, le RSA (rappresentanze sindacali aziendali) costituite ad iniziativa dei lavoratori ed operanti allinterno delle organizzazioni sindacali pi rappresentative: deve, quindi, sussistere un collegamento tra RSA e sindacati, tale che i secondi quanto meno riconoscano i primi. Per tal motivo le RSA potranno essere delle SAS o dei Consigli di fabbrica.
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La crisi dei Consigli e le rappresentanze sindacali unitarie nel settore privato La rottura del patto federativo tra Cgil, Cisl e Uil nel 1984 e le conseguenti revoche di riconoscimento di molti Consigli di fabbrica da parte di uno o pi sindacati per costituire delle proprie RSA, lassenza in molti settori degli stessi Consigli, il venire meno dellelevata omogeneit di interessi tra i lavoratori allinterno delle aziende, hanno rappresentato le cause principali della crisi dei Consigli di fabbrica che ha portato, di l a poco, alla nascita delle RSU (rappresentanze sindacali unitaria) allinterno del Protocollo tra Governo e parti sociali del 1993. In tale patto stato previsto che i vari sindacati firmatari, nelle imprese con pi di 15 dipendenti, rinuncino a formare delle proprie RSA e costituiscano delle RSU, partecipando alle relative elezioni. Le RSU subentrano, quindi, alle RSA nei diritti di cui al titolo III dello Statuto dei lavoratori, laddove abbiano stipulato laccordo originario o vi abbiano aderito in seguito. Tra laltro, al contrario di ci che avveniva per i Consigli di fabbrica, ai quali i vari sindacati potevano revocare il riconoscimento per costituire autonome RSA, per le RSU previsto che un sindacato possa revocare il riconoscimento solo dando disdetta dellintero accordo interconfederale, in tal modo precludendosi di partecipare alle elezioni delle RSU in tutti gli altri luoghi di lavoro (e non solo in uno specifico come avveniva per i Consigli dei delegati) e costituendo delle proprie RSA negli stessi. Laccordo RSU, tra laltro, aperto a tutti i sindacati, anche a quelli che non firmatari del contratto nazionale, purch essi abbiano un proprio statuto ed un proprio atto costitutivo e raccolgano un numero di firme non inferiore al 5% dei lavoratori, escludendo cos i gruppi occasionali di lavoratori. Le associazioni sindacali, tuttavia, mantengono dei mezzi di controllo e di raccordo sulle stesse RSU, in quanto 2/3 dei seggi disponibili sono ripartiti tra tutte le liste in base ai voti conseguiti, mentre laltro terzo viene ripartito tra le liste presentate dai sindacati firmatari del ccnl (contratto collettivo nazionale) applicato nellunit produttiva. In questo ulteriore terzo, tra laltro, i seggi vengono assegnati dai sindacati ai soggetti che essi stessi scelgono, al di l che fossero inclusi o meno nella lista presentata. Le RSU hanno il potere di contrattare, inoltre, a livello aziendale, ma sempre nel rispetto del contratto nazionale, non da sole, ma unitamente alle strutture territoriali dei sindacati ( un ulteriore forma di controllo da parte de sindacati). Le RSU, come notiamo, risultano meno indipendenti rispetto ai Consigli di fabbrica dallinfluenza delle organizzazioni sindacali; tuttavia esse sono pi stabili ed hanno un ventaglio pi ampio di poteri. Le rappresentanze sindacali unitarie nelle pubbliche amministrazioni Limpegno a costituire in tutti i luoghi di lavoro le RSU, contenuto nel Protocollo del 1993, si estendeva anche al lavoro pubblico. Tuttavia unapposita disciplina legislativa, contenuta nel D.Lgs.165/2001, ha regolato la materia in tema di lavoro pubblico, prevedendo anche in questo settore la possibilit per i sindacati maggiormente rappresentativi di costituire delle proprie RSA, cos come anche lobbligo di costituire delle RUP (rappresentanze unitarie del personale), ossia delle vere e proprie RSU, negli enti o amministrazioni con pi di 15 dipendenti. Il legislatore, tra laltro, ha voluto incentivare la partecipazione dei sindacati alle elezioni delle RSU, data la loro facolt di prendervi parte o meno, prevedendo che i sindacati che non parteciperanno a tali elezioni, dovranno avere una percentuale di almeno il 10% dei lavoratori per poter essere ammessi alle trattative per i contratti nazionali.
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La disciplina delle RSU private e pubbliche differisce solo in alcuni punti. Ricordiamo, anzitutto, che la costituzione delle RSU private stata prevista da un Protocollo particolare, mentre la disciplina delle RSU pubbliche contenuta in una legge. Per le RSU pubbliche impossibile una ripartizione dei seggi in base al metodo proporzionale che ne conceda un terzo ai soli sindacati firmatari del contratto collettivo, il che significa che tutti i seggi verranno ripartiti in base ai voti ottenuti. Inoltre mentre per partecipare alle elezioni delle RSU private occorre, ai soli sindacati non firmatari del ccnl, la sottoscrizione da parte del 5% dei lavoratori aventi diritto, per le RSU pubbliche tale sottoscrizione, sebbene richieda percentuali inferiori, necessaria per tutti i sindacati. La partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese Lart.46 della nostra carta costituzionale stabilisce che <<la Repubblica il diritto dei lavoratori a collaborare , nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge, alla gestione delle aziende>>. Sembra, quindi, configurarsi un ulteriore diritto dei lavoratori, oltre a quello inerente lorganizzazione sindacale: si tratta della possibilit di partecipare alle decisioni dellimpresa, tramite linclusione di rappresentanti dei lavoratori allinterno di organi decisionali. In realt lart.46 rinvia espressamente alla legge la disciplina in materia: la normativa in materia, purtroppo, non mai stata emanata, sia perch gli imprenditori non concordano con intromissioni, nel loro potere di gestione, dei lavoratori, sia perch originariamente la Cgil temeva che un coinvolgimento nelle responsabilit gestionali vincolasse lattivit sindacale alle condizioni economiche e produttive dellimpresa. In Germania, invece, sin dal secondo dopoguerra, stato introdotto un modello di cogestione, dapprima nel solo settore siderurgico, in seguito per le imprese con pi di 2000 dipendenti. La norma costituzionale, sebbene non possa operare autonomamente, non necessita obbligatoriamente di una previsione legislativa: la partecipazione dei lavoratori potrebbe benissimo essere attuata tramite la contrattazione collettiva e loperato dei sindacati: lart.46, infatti, non entra in alcun modo in contrasto con lart.39 inerente la libert sindacale, in quanto lattuazione del primo articolo non deve limitare lattivit prevista dal secondo. Lattivit di impresa, inoltre, coinvolge diversi interessi, sia quello dellimprenditore, sia quello dei lavoratori, nonch quello di tutti gli stakeholders, ossia di tutti i soggetti coinvolti (consumatori, finanziatori ecc): non quindi un affare privato dellimprenditore. Non sarebbe pertanto impossibile creare dei mezzi di cogestione, anche allinterno del nostro Paese, tramite la contrattazione collettiva. Bisogna, in questo caso, distinguere tra partecipazione debole dei lavoratori e partecipazione forte: la prima prevede che il dissenso dei lavoratori non impedisca al management di prendere una decisione, la seconda, invece, avrebbe leffetto contrario e si dovrebbe realizzare tramite loperato dei sindacati. Gi i diritti di informazione, consultazione e di esame congiunto, previsti dalla contrattazione collettiva in alcuni casi (es. in materia di eccedenze di personale), sono un piccolo esempio di coinvolgimento dei lavoratori. Per attenzione a non fare confusione: non vanno ricompresi, nellapplicazione dellart.46, i casi di incentivi, previsti dai manager a favore dei lavoratori, in caso di raggiungimento delle finalit aziendali: in tal caso il lavoratore non partecipa alle decisioni, ma semplicemente collabora con limprenditore per una maggiore realizzazione dei fini imprenditoriali, contribuendo con il proprio operato e conseguendo benefici economici. N tanto meno sono da considerarsi applicazione dellart.46 i casi in cui un lavoratore divenga
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socio di una qualsivoglia societ in cui presta il proprio lavoro: in tal caso si vengono a creare due rapporti distinti, regolati dalle varie norme di legge sul lavoro e sulla partecipazione agli utili del socio lavoratore. I comitati aziendali europei ed i diritti di informazione e di consultazione nella materia comunitaria Abbiamo detto che limpresa non un fatto privato dellimprenditore, ma coinvolge una serie di interessi di altri soggetti, primi fra tutti i lavoratori. Di ci si occupato il legislatore comunitario, al fine di introdurre una disciplina che permetta alle rappresentanze dei lavoratori di influenzare le decisioni dellimpresa, senza vincolare tali rappresentanze a forme particolari. Anzitutto il legislatore comunitario, con la direttiva 94/45, ha disciplinato il diritto allinformazione ed alla consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese comunitarie. Per imprese comunitarie si intendono quelle imprese che hanno almeno 1000 lavoratori sparsi nel territorio di vari Stati membri e che siano presenti significativamente in pi di uno Stato. Si ha, invece, un gruppo di imprese quando unimpresa dominante esercita un potere di controllo su altre imprese. Ecco che quindi si configura la previsione di un organo di rappresentanza dei lavoratori, il CAE (comitato aziendale europeo), i cui componenti sono eletti o designati a seconda delle decisioni dei vari Stati membri, istituito tramite accordo scritto tra la direzione dellimpresa ed una delegazione speciale di negoziazione, che rappresenti uniformemente i lavoratori di tutti gli Stati membri coinvolti. Listituzione del CAE, tra laltro, non obbligatoria, essendo possibile prevedere ulteriori procedure dinformazione e consultazione dei lavoratori. LItalia ha attuato la direttiva tramite il D.Lgs.74/2002, prevedendo che i componenti italiani del CAE siano designati per un terzo dalle organizzazioni sindacali che abbiano stipulato il ccnl e per 2/3 dalle RSU. Il legislatore comunitario, poi, con il regolamento 2157/2001 ha preso in considerazione lipotesi di Societ europee, ossia societ di capitale disciplinate a livello europeo e non vincolate agli ostacoli del diritto commerciale dei vari Stati membri. Anche in tal caso previsto un coinvolgimento dei lavoratori, tramite un accordo tra i vertici societari ed una delegazione speciale di negoziazione, che costituisca un organo di rappresentanza dei lavoratori per le procedure dinformazione e consultazione. Una terza direttiva, la 2002/14, ha previsto, infine, che in tutte le imprese operanti allinterno del territorio dellUnione, gli Stati membri, tramite un proprio intervento attuativo, assicurino il diritto dinformazione e consultazione dei lavoratori. Lo Stato italiano, con il D.Lgs.25/2007 ha affidato tale compito alle RSU, rinviando ai contratti collettivi la determinazione delle modalit di esercizio. Il rappresentante per la sicurezza Unulteriore forma di rappresentanza dei lavoratori stata attuata tramite il D.Lgs.626/1994, sostituito recentemente dal D.Lgs.81/2008 in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro, il quale prevede listituzione del rappresentante per la sicurezza: egli non rappresenta solo i lavoratori subordinati, ma tutti i lavoratori al di l del proprio rapporto contrattuale, ivi compresi coloro che svolgono unattivit formativa. La rappresentanza per la sicurezza deve essere istituita a livello territoriale, nonch a livello di sito produttivo.
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La presenza di un rappresentante per la sicurezza obbligatoria in tutte le aziende, senza limiti dimensionali, mentre differente il metodo per la loro nomina a seconda che si tratti di aziende con meno di 15 dipendenti, ed in tal caso saranno gli stessi lavoratori ad individuare il proprio rappresentante, o di aziende con pi di 15 dipendenti, ed in tal caso il rappresentante andr individuato nellambito delle rappresentanze sindacali aziendali, tramite elezione o designazione. Ovviamente pi grande lazienda, pi rappresentanti occorreranno: la legge stabilisce un numero minimo, ma la contrattazione collettiva pu aumentare tale numero. Vi poi la figura del rappresentante di sito produttivo, il quale viene nominato qualora allinterno di uno stesso luogo operino pi imprese, il cui operato cumulativo, di fatto, fa aumentare i rischi di sicurezza: i rappresentanti per la sicurezza aziendali individuano uno di loro per coordinare le proprie attivit.I rappresentanti per la sicurezza hanno un ruolo fondamentale: devono ricevere copia del documento di valutazione dei rischi, conoscere la materia legislativa sulla sicurezza e controllarne lapplicazione da parte dellazienda, hanno diritto a permessi retribuiti in funzione del loro operato, possono accedere liberamente a luoghi di lavoro ed a documenti inerenti lapplicazione delle misure di sicurezza. E comunque la contrattazione collettiva nazionale ad individuare le modalit di esercizio di tali poteri, escludendo quella aziendale, pi soggetta alle pressioni dei datori di lavoro e pertanto assoggettabile alla volont degli stessi.
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CAPITOLO SESTO ATTIVITA SINDACALE NEI LUOGHI DI LAVORO


SEZIONE A: I DIRITTI SINDACALI Lo statuto dei lavoratori come legislazione di sostegno Abbiamo a lungo parlato della libert sindacale garantita allinterno del Titolo II dello Statuto dei lavoratori, il quale impone un obbligo allimprenditore di astenersi dal ledere tale libert. Il titolo III, per garantire una maggior efficacia della libert sindacale, non si limita ad imporre un divieto, a carico dellimprenditore, di interferire nelle attivit sindacali, ma, tramite una legislazione che viene definita di sostegno, limita di fatto il diritto dello stesso ad ottenere la prestazione lavorativa, per poter garantire ai prestatori di lavoro di esercitare i propri diritti. Abbiamo avuto modo di analizzare come lart.19, che apre il titolo III, attribuisca tali diritti SOLO alle rappresentanze sindacali aziendali (RSA) che, sebbene costituite dai lavoratori, operino nellambito dei sindacati selezionati secondo quanto dispone lo stesso articolo. Lassemblea Primo diritto sancito dal Titolo III dello Statuto che prendiamo in considerazione quello relativo allassemblea, previsto dallart.20 ed inerente la possibilit dei lavoratori di riunirsi. Anzitutto limprenditore deve garantire dei locali per effettuare tali assemblee, lenergia elettrica in tali locali, il libero accesso ad essi anche per quanto concerne lavoratori in CIG, in sciopero o sospesi. Le assemblee devono avere ad oggetto materie di interesse sindacale e del lavoro, il che ricomprende uno svariato numero di temi inerenti lattivit lavorativa. In realt, in forza dellart.1 dello Statuto inerente la possibilit di manifestare il proprio pensiero ed in applicazione del quale stato previsto lart.20, le assemblee potrebbero avere ad oggetto anche altri temi, senza godere, per, della tutela apprestata dallart.20. Le assemblee devono svolgersi fuori dallorario di lavoro o comunque allinterno di esso nel limite di 10 ore annue normalmente retribuite (ridotte a 3 per il settore privato), e devono essere convocate dalle RSA individuate dallart.19, nonch dalle organizzazioni sindacali, ossia dalle RSU, che ricordiamo essere la forma assunta dalle RSA dei sindacati aderenti. Ovviamente occorre un preavviso, inerente lassemblea, dato al datore di lavoro, il quale non pu prendere parte, se non previo invito, allassemblea, alla quale invece possono partecipare dirigenti sindacali, anche provinciali e di confederazioni. La contrattazione collettiva, infine, pu derogare, solo in meglio, la disciplina legale per ci che concerne la fruibilit del diritto e la possibilit di esercitarlo, anche se possibile, talune volte, andare incontro alle necessit dellimprenditore, come avvenuto nellAccordo 7 agosto 1998, il quale ha consentito allamministrazione di differire lassemblea in caso di condizioni eccezionali e motivate.
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Il referendum Ai lavoratori , poi, concesso il diritto allo svolgimento di referendum inerenti lattivit sindacale: essi devono, secondo quanto prevede lart.21, svolgersi al di fuori dellorario di lavoro ed essere indetti da tutte le RSA unitariamente. Limprenditore, tra laltro, deve collaborare per la disponibilit dei locali, laccesso agli stessi, luso dei servizi e cos via. Altri referendum possono essere svolti, ma senza tale collaborazione. I permessi sindacali I dirigenti delle RSA hanno diritto, in forza dello Statuto dei lavoratori, a permessi sindacali per lo svolgimento della propria attivit sindacale, ossia hanno diritto ad assentarsi dal posto di lavoro entro i limiti consentiti dagli artt.23 e 24 dello stesso Statuto, i quali attuano una distinzione tra permessi retribuiti e permessi non retribuiti. I dirigenti di cui si parla, tra laltro, sono quelli nominati secondo le procedure previste dalla statuto dellorganizzazione al quale sono riconducibili: tale nomina deve essere comunicata anche al datore di lavoro. La contrattazione collettiva, tra laltro, ha previsto che possano godere di tali diritti anche i componenti delle RSU. Lart.23 disciplina i permessi retribuiti, prevedendo che essi siano concessi ai dirigenti per lespletamento del loro mandato, ossia per lo svolgimento di tutte quelle attivit inerenti le RSA (rappresentanza, partecipazione a trattative, funzioni organizzative). Il dirigente che voglia esercitare il proprio diritto deve comunicarlo al datore di lavoro almeno 24 ore prima. Il numero dei dirigenti che pu esercitare tale diritto varia in base alle previsione dellart.23: un dirigente solo per le unit produttive con 200 dipendenti, un dirigente ogni 300 dipendenti per ogni RSA in unit produttive fino a 3000 dipendenti, un dirigente ogni 500 dipendenti per ogni RSA in unit produttive con pi di 3000 dipendenti. Nel primo caso viene garantita unora allanno di permesso retribuito, negli altri due casi 8 ore mensili. . Lart.24 disciplina, poi, i permessi non retribuiti, prevedendo che essi vengano riconosciuti per la partecipazione a trattative sindacali o a congressi/convegni di natura sindacale, in misura non inferiore ad 8 giorni allanno e con un preavviso di almeno 3 giorni. Nella prassi sono le RSA richiedenti a scegliere tra i due tipi di permessi. I lavoratori chiamati a ricoprire cariche sindacali nazionali o provinciali possono essere posti in aspettativa non retribuita per tutta la durata del proprio mandato, dando luogo ad unipotesi di sospensione del rapporto di lavoro: la norma si applica a tutti i dirigenti e non solo a quelli delle organizzazioni sindacali pi rappresentative. Gli artt.31 e 32 dello Statuto garantiscono medesimi diritti anche a coloro che ricoprono cariche politiche. Le tutele per i dirigenti sindacali Ai dirigenti delle RSA, nominati in base allorganizzazione interna sindacale e la cui nomina conosciuta o pervenuta dal/al datore di lavoro, apprestata una tutela particolare, proprio per la maggiore esposizione degli stessi a ritorsioni da parte dellimprenditore, in materia di licenziamenti e trasferimenti. Lart.18 dello Statuto prevede una procedura giudiziale di reintegrazione immediata in caso di licenziamento, senza attendere la sentenza definitiva.
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Lart.28 pone una tutela sul piano della condotta antisindacale. Lart.22 prevede che il trasferimento di tali soggetti ad altra unit produttiva debba avvenire previo nulla osta delle associazioni sindacali alle quali gli stessi appartengono. I trasferimenti allinterno della stessa unit produttiva non ricevono pari tutela, ma sono comunque illegittimi se configuranti un atto discriminatorio ed una condotta antisindacale. Diritti di affissione e diritto alluso di locali Lart.25 dello Statuto disciplina il diritto delle RSA di affiggere, allinterno delle unit produttive, manifesti, testi e pubblicazioni inerenti la materia sindacale e del lavoro (unico limite imposto). I datori di lavoro, quindi, devono mettere a disposizione di ogni RSA spazi per laffissione, accessibili a tutti e non soggetti a limiti di transito. Egli non deve autorizzare laffissione, in quanto non ne ha il potere, n tanto meno pu rimuovere testi e pubblicazioni, neanche qualora configurino un reato: in tal caso dovr rivolgersi alle stesse RSA ed allautorit giudiziaria, per lindividuazione dei soggetti responsabili. Lart.27, poi, attribuisce alle RSA il diritto di avere locali adibiti allesercizio delle proprie attivit: nel caso di unit produttive con pi di 200 dipendenti, tali locali devono essere messi a disposizione dallimprenditore permanentemente allinterno della stessa unit produttiva, o nelle immediate vicinanze; nel caso di aziende con meno di 200 dipendenti, i locali saranno messi a disposizione su richiesta delle RSA per le riunioni delle stesse, volta per volta. Libert di proselitismo e contributi sindacali Lart.26 dello Statuto, al primo comma, garantisce ai lavoratori (a tutti i lavoratori, quindi lunico articolo del Titolo III che non rispetta il carattere selettivo imposto dallart.19 per laccesso a tali diritti)la libert di svolgere opera di proselitismo, ossia unopera volta alla propaganda, orale o scritta, alla raccolta di contributi ed iscrizioni ecc., allinterno dei luoghi di lavoro, sebbene da essa non debba scaturire un pregiudizio per il normale svolgimento dellattivit azienda. Si tratta in tal caso di un pregiudizio concreto e non astratto, che incida notevolmente sullo svolgimento dellattivit lavorativa. Lo stesso art.26 tratta il tema dei contributi sindacali, ossia di quelle quote che ciascun lavoratore iscritto al sindacato deve a questultimo, in forza della propria adesione. Un tempo essere venivano raccolte dai c.d. collettori di azienda, praticamente degli esattori dei sindacati che raccoglievano le quote tra gli iscritti, sullo stesso posto di lavoro. In seguito stato attuato un meccanismo diverso: il contributo sindacale viene trattenuto alla fonte dallimprenditore, che poi lo gira alle associazioni sindacali. Sebbene ci fosse previsto gi allinterno dello Statuto, un referendum abrogativo del 1995 che ebbe esito positivo, elimin tale previsione legislativa, senza effetti nella pratica, in quanto tale meccanismo opera anche in forza della contrattazione collettiva. Il campo di applicazione del titolo III dello Statuto Abbiamo visto come le norme del titolo II pongano in capo allimprenditore un generale divieto di ostacolare la libert sindacale, mentre le norme del titolo III prevedono un comportamento positivo dellimprenditore. Tale comportamento, in realt, in forza dellart.35 dello Statuto, deve essere posto in
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essere solo allinterno di imprese medio-grandi, non essendo possibile pretendere dai piccoli imprenditori tali comportamenti positivi. Lintero titolo III, fatta eccezione per lart.26 di portata generale e per lart.27 per cui sono previsti limiti numerici, si applica solo alle unit produttive: si usa questo termine per indicare sedi, stabilimenti, filiali, uffici e reparti autonomi con pi di 15 dipendenti. Si fa riferimento, quindi, alle dimensioni delle singole unit produttive, non allimpresa unitariamente considerata. Lart.35, tuttavia, prevede che i diritti del titolo III possano essere esercitati anche da una pluralit di piccole unit produttive operanti allinterno dello stesso territorio comunale. Facendo riferimento, inoltre, alle unit produttive di imprese, lart.35 esclude dallapplicazione del titolo III i non imprenditori, il che stato, ingiustamente, ritenuto plausibile dalla stessa Corte costituzionale, la quale ha fatto riferimento allinstabilit delle organizzazioni di tendenza con fini ideologici. In realt non tutte le organizzazioni non imprenditoriali sono organizzazioni di tendenza. Diritti sindacali nel pubblico impiego Il D.Lgs.165/2001 che ha privatizzato il pubblico impiego, ha previsto che i rapporti di lavoro pubblici siano soggetti alle norme legislative sul lavoro subordinato, compresa quindi la L.300/1970. Le norme del titolo III, quindi, si applicano anche al lavoro pubblico, tra laltro senza il limite dei 15 dipendenti. Tuttavia sussistono delle differenze: anzitutto i diritti ai permessi di cui agli artt.23, 24 e 30, sono ripartiti, invece che tra tutte le RSA nella stessa misura, tra i diversi sindacati in proporzione al grado di rappresentativit (rappresentativit ponderata, e non presunta come avviene ancora per il settore privato). Inoltre il lavoratore dipendente pubblico, che ricopre una carica sindacale, ha diritto al distacco sindacale, in forza del quale egli non lavora ma continua a percepire la propria retribuzione, a differenza di ci che avviene nel settore privato, dove viene attuata laspettativa non retribuita. SEZIONE B: LA REPRESSIONE DELLA CONDOTTA ANTISINDACALE Lart.28 dello Statuto Lart.28 dello Statuto dedicato alla repressione della condotta antisindacale: se il titolo II garantisce la libert sindacale ed il titolo III contiene una legislazione di sostegno che permette lesercizio dellattivit sindacale, il titolo IV, che si apre con larticolo suddetto, mira ad individuare un apparato processuale e sanzionatorio per rendere effettive le norme di cui abbiamo gi parlato, nonch per far rispettare il diritto di sciopero. Le regole processuali (cenni) Lart.28 dispone che dinanzi ad un comportamento del datore di lavoro mirato ad impedire o a limitare la libert sindacale e/o lattivit sindacale, nonch il diritto di sciopero, gli organismi locali delle associazioni sindacali possano fare ricorso dinanzi al giudice del lavoro del Tribunale del luogo in cui si concretizzato il comportamento in questione. Dinanzi a tal giudice, il procedimento si divide in 2 parti, la seconda delle
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quali meramente eventuale: durante la prima il giudice convoca le parti e predispone un contradditorio tra le stesse; una volta accertati i fatti, pu, con decreto, stabilire che ci sia stata una condotta antisindacale, ed in tal caso prevederne la rimozione degli effetti, o che non ci sia stata. Le parti, comunque, entro 15 giorni potranno impugnare il decreto, ed in tal caso si addiverr ad un procedimento ordinario, suscettibile di ricorso in appello ed in Cassazione, che si concluder in tutti e tre i gradi con una sentenza, e non con un decreto. Il decreto della prima fase, tuttavia, non perde efficacia sino al passaggio in giudicato della sentenza. La condotta antisindacale La condotta antisindacale si configura come un comportamento lesivo della libert sindacale, dellattivit sindacale o del diritto di sciopero. Essa pu essere attuata tanto dal datore di lavoro, tanto da soggetti che, allinterno dellimpresa, esercitino i poteri dellimprenditore (dirigenti, capi reparto ecc). Il comportamento antisindacale viene individuato non in base alla sua struttura, bens in base alla lesione degli interessi tutelati. Tra laltro, anche un comportamento posto in essere nei confronti del singolo, e che abbia a che fare con la libert/attivit sindacale, pu configurare un caso di violazione dellart.28: in tal caso il singolo potr intraprendere unazione giudiziaria in solitudine, mentre il sindacato potr esperire lazione giudiziaria privilegiata prevista dallart.28. E il caso della c.d. plurioffensivit del comportamento, che si concretizza quando un atto del datore di lavoro, bench rivolto al singolo, colpisce anche linteresse collettivo (es. trasferimento punitivo di un sindacalista, come se il datore stesse dicendo trasferisco lui, ma attenti voi). Lantisindacalit, su cui il testo si sofferma fin troppo, si ha nel momento in cui il comportamento dellimprenditore mira a reprimere la libert sindacale o lattivit sindacale, e non semplicemente a contrastarla; mira, cio, ad evitare il conflitto con i sindacati (licenziamento, allontanamento, negazione dellassemblea), piuttosto che muoversi dentro il conflitto: rifiutare una trattativa con i sindacati non condotta antisindacale, perch il datore di lavoro sta semplicemente manifestando che su quel particolare tema non c nulla da discutere; negare unassemblea in cui si discuter della trattativa, invece, un comportamento antisindacale. Lantisindacalit di alcuni comportamenti, inoltre, spesso prevista specificatamente dalla legge. Legittimazione attiva Legittimato attivamente, nellazione giudiziaria di cui abbiamo parlato, il sindacato. Esso, per poter esperire tale azione, deve essere un organismo locale di unassociazione nazionale. Sono pertanto esclusi i singoli lavoratori e le organizzazione prive di valenza nazionale, che potranno ricorrere alle azioni giudiziarie ordinarie. Ribadiamo che, secondo lart.28, sufficiente che si tratti di unassociazione sindacale nazionale, non gi di una che abbia stipulato un contratto collettivo applicato nellunit produttiva, requisito richiesto, invece, dallart.19. La Corte costituzionale, inoltre, stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimit costituzionale dellart.28 nella parte in cui non permette ai singoli ed alle associazioni prive di un peso nazionale di ricorrere al procedimento accelerato di cui allart.28: la Corte ha precisato come tali diritti siano solo ulteriori ed
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aggiuntivi rispetto a quelli concessi ai singoli ed alle associazioni sindacali non nazionali. Esse potranno ricorrere agli strumenti di tutela apposti dallordinamento, ma non vi discriminazione priva di fondamento. Linteresse ad agire Lart.28 dispone che il ricorso possa essere presentato dalle associazioni che vi abbiano interesse. Tuttavia va notato come raro che un interesse a ricorrere, in tali casi, sia assente. Legittimate allinteresse, infatti, possono essere anche associazioni sindacali diverse da quella cui abbiano aderito i lavoratori lesi. La tutela dellart.28, infatti, riguarda tutti i lavoratori, non lavoratori aderenti a determinati sindacati e difendibili solo dagli stessi. La carenza di interesse si avr nellunico caso in cui il ricorrente sia un sindacato tipico di un gruppo professionale, come ad esempio quello dei metalmeccanici, per sollevare lantisindacalit di un comportamento posto in essere nellambito di un diverso gruppo professionale, come ad esempio i chimici. Lapparato sanzionatorio Abbiamo visto come il decreto nella prima fase del procedimento dinanzi al giudice del lavoro, cos come leventuale sentenza durante la seconda fase, mirano a far cessare il comportamento antisindacale ed a rimuoverne gli effetti. Tuttavia il datore di lavoro potrebbe non adeguarsi a tale decisione. Data la complessit di un eventuale processo di esecuzione, per far rispettare la sentenza lo stesso art.28 ha introdotto una sanzione penale a carico del datore di lavoro che non rispetti la decisione del giudice: oggetto del reato linottemperanza, non lazione antisindacale, punibile con lammenda o con larresto fino a tre mesi. Inoltre ultimamente stata prevista un ulteriore sanzione: vengono meno tutte le agevolazioni fiscali di cui il datore di lavoro godeva in merito alla nuova occupazione. La condotta antisindacale delle pubbliche amministrazioni Anche le pubbliche amministrazioni, in forza del D.Lgs.165/2001 sono soggette allapplicazione delle norme dello Statuto dei lavoratori e pertanto anche allart.28.
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CAPITOLO SETTIMO IL CONTRATTO COLLETTIVO


SEZIONE A: IL CONTRATTO COLLETTIVO La determinazione delle condizioni di lavoro Scopo primario del movimento sindacale sempre stato quello di ottenere maggiori diritti, economici e normativi, a favore dei lavoratori. Per giungere a tale risultato, il movimento sindacale molto spesso ha dovuto fare pressione sugli organi legislativi, mentre altrettante volte si dedicato ad una contrattazione, con le associazioni degli imprenditori, mirata alla determinazione delle condizioni di lavoro. Inizialmente tali contrattazioni riguardavano solo le retribuzioni (concordati di tariffa), mentre in un secondo momento hanno abbracciato un numero sempre maggiore di diritti. Le prime riflessioni giuridiche sul contratto collettivo Avremo sicuramente capito che il contratto collettivo quel particolare contratto, inerente le condizioni di lavoro, stipulato tra le associazioni degli imprenditori ed i sindacati. Sin dalla prima comparsa dei contratti collettivi, si present il problema di rendere gli stessi inderogabili al momento della stipulazione dei contratti individuali. Le parti, infatti, e soprattutto i datori di lavoro, avrebbero potuto discostarsi da quanto previsto dai contratti collettivi: ecco perch in Francia ed in Germania, gi nel biennio 1918-1919, il problema venne risolto dallintroduzione di una disciplina legislativa, la quale avrebbe imposto il rispetto dei contratti collettivi, prevedendo un sistema sanzionatorio in caso di inottemperanza. In Italia tale disciplina arriv solo nel 1926, con la legge che pose le basi del sistema corporativo. NellItalia pre- corporativa, invece, in assenza di una disciplina di legge, vennero elaborate diverse teorie per rendere inderogabile la disciplina dei contratti collettivi: la pi importante fu quella di Giuseppe Messina, grande civilista del tempo. Egli riprese la teoria di un altro giurista, lo svizzero Lotmar, il quale aveva previsto che linderogabilit dei contratti collettivi provenisse dal fatto che i sindacati (soggetto collettivo) stipulassero tale contratto in rappresentanza dei lavoratori: egli, per, si espose da subito alle critiche di chi, conoscendo bene il diritto del tempo, obiett che se tale contratto fosse scaturito da soggetti rappresentanti degli imprenditori e dei lavoratori, le parti del contratto individuale (e quindi sempre imprenditore e lavoratore) avrebbero potuto derogare quanto pattuito a livello collettivo. Messina, proprio prendendo in considerazione questa obiezione, introdusse la teoria secondo cui le clausole apposte nel contratto collettivo, figurando come obbligatorie, in caso di inottemperanza, avrebbero fatto strada ad unazione risarcitoria, alternativa rispetto ad una sostituzione automatica. Il contratto collettivo corporativo Nel 1926 venne introdotto il sistema corporativo. Esso prevedeva che ogni categoria di datori di lavoro, lavoratori, artisti o professionisti, avesse una propria associazione, riconosciuta come persona giuridica di diritto pubblico tramite un decreto di riconoscimento da parte dello Stato. I contratti collettivi avevano valore per tutti, iscritti e non iscritti ai sindacati e potevano essere derogati dalle parti solo in meglio e mai in peggio. Qualora, tra laltro, le parti non raggiungessero un accordo, a ci suppliva la Magistratura del lavoro. Notiamo, quindi, come il problema dellinderogabilit dei contratti collettivi non esistesse, essendo obbligatoria la loro osservanza. Il codice del 1942, inoltre, rafforz questidea ponendo le norme
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corporative tra le fonti del diritto. Il venire meno del sistema corporativo, tuttavia, non priv i lavoratori dei diritti sino ad allora riconosciuti. Il contratto collettivo e lart.39 Cost. Una volta venuto meno lordinamento corporativo, venne subito ristabilita la libert sindacale e si ripropose nuovamente il problema dellinderogabilit del contratto collettivo stipulato dalle parti sociali. Il legislatore costituente, in realt, credeva di aver risolto tale problema tramite la previsione del comma 4 dellart.39 Cost., il quale prevedeva che i sindacati registrati potessero stipulare contratti collettivi con efficacia erga omnes per lintera categoria rappresentata. In realt la mancata attuazione dellintera norma costituzionale, per i motivi gi esaminati, port non pochi problemi, in quanto limitava di fatto il potere del legislatore ordinario. La legge 741/1959 (legge Vigorelli) Lobiettivo da raggiungere, quindi, era quello di far assumere unefficacia generale ai contratti collettivi, i quali sarebbero stati applicati nei confronti di tutti i lavoratori di una categoria, non soltanto di quelli iscritti ai sindacati firmatari di un determinato contratto. In altri Paesi europei, come Francia e Germania, il problema venne risolto tramite lemanazione di una disciplina legislativa in materia. In Italia, la rigidit dellart.39, limitava il potere del legislatore, di fatto impedendogli di rendere i contratti collettivi applicabili a tutti. Un modo di aggirare la norma costituzionale venne trovato dalla legge Vigorelli, la 741/1959, la quale concesse una delega al Governo per emanare, entro il periodo di tempo di un anno, decreti legislativi che fissassero i trattamenti minimi salariali e normativi per ciascuna categoria lavorativa, dovendo rifarsi obbligatoriamente ai contratti collettivi in materia. I decreti furono pi di mille, ma ben presto ci si rese conto che i contratti collettivi apparivano molto lontani dalla tecnica legislativa e pieni di ambiguit e lacune. Alla scadenza del periodo di delega, essa venne prorogata per 15 mesi ed estesa ai contratti collettivi stipulati nei 10 mesi successivi alla proroga. Alcuni principi costituzionali sul contratto collettivo La Legge Vigorelli venne da subito posta al vaglio della Corte Costituzionale, la quale pur affermando la costituzionalit della legge, sanc lincostituzionalit della legge di proroga (1027/1960)nella parte in cui estendeva la delega ai contratti collettivi stipulati nei 10 mesi successivi alla proroga stessa. La Corte costituzionale, in tal modo, sanc alcuni principi fondamentali, tra i quali ne emerse uno di maggiore importanza: la procedura prevista nellart.39 per far acquisire efficacia generale ai contratti collettivi non poteva essere sostituita o affiancata da un metodo diverso, che sarebbe risultato illegittimo. SEZIONE B: IL CONTRATTO COLLETTIVO DI DIRITTO COMUNE Rilevanza e natura giuridica Abbiamo visto come, successivamente alla caduta del sistema corporativo, sia stata ripristinata la libert sindacale e, con essa, la natura privatistica dei sindacati e dei contratti collettivi, data anche la mancata attuazione dellart.39. Inoltre i decreti delegati emanati in attuazione della L.741/1959 sono divenuti, col tempo, obsoleti ed i contratti corporativi ancora in vigore sono limitatissimi. Questo fa si che lunico contratto collettivo che possiamo prendere in considerazione quello definito di diritto comune o post-
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corporativo, ossia il contratto posto in essere dallautonomia collettiva grazie al potere di autoregolamentazione dei soggetti di diritto privato (ricordiamo che si tratta pur sempre di associazioni non riconosciute nella maggior parte dei casi). Il contratto collettivo di diritto comune non pu, come invece avveniva per i contratti corporativi, n avere natura pubblicistica (abbiamo ribadito come sia frutto dellautonomia privata), n tanto meno essere preso in considerazione come fonte del diritto, almeno sotto il punto di vista strutturale. Sotto il punto di vista funzionale, infatti, lo stesso legislatore lo qualifica molto spesso come fonte del diritto: il caso del D.Lgs.40/2006 che ha introdotto, tra i motivi di ricorso per cassazione, oltre alla violazione o falsa applicazione delle norme di diritto, anche la violazione o la falsa applicazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro. Notiamo, quindi, come i contratti collettivi siano, in questo caso ma non lunico, equiparati alle norme di diritto. La funzione normativa Il contratto collettivo, per la sua importanza in ambito sociale, pur non godendo di una disciplina codicistica specifica, ha assunto un ruolo fondamentale allinterno del nostro ordinamento. Inizialmente esso serviva a fissare solo e solamente le condizioni minime normative ed economiche da applicare nei contratti individuali di lavoro. Per questo sempre stato definito come contratto normativo, ossia come contratto che fissa i contenuti di una futura produzione contrattuale, vincolando le parti ad attenersi a quanto concordato. Unaltra parte della dottrina, invece, ha sempre visto il contratto collettivo come un contratto tipo, ossia come un contratto che fissa delle clausole ordinatamente raccolte in uno schema. Sembra pi plausibile la teoria del contratto normativo, in quanto il contratto tipo non obbliga le parti ad attenersi allo schema di clausole previsto, prevedendo una possibilit di deroga. Linderogabilit in pejus Abbiamo visto come il contratto collettivo fissi, quindi, delle clausole normative ed economiche generali alle quali il contratto individuale dovr attenersi. Il rapporto tra contratto collettivo ed individuale regolato dal meccanismo dellINDEROGABILITA IN PEJUS DI NATURA REALE: qualora le parti, nella stipulazione del contratto individuale, dovessero prevedere un trattamento economico/normativo peggiore per il lavoratore rispetto a quello previsto dal contratto collettivo di riferimento, vedrebbero disapplicati i propri accordi, che verrebbero sostituiti automaticamente dalle clausole del contratto collettivo. Ci vuol dire che linderogabilit ha natura reale, conducendo alla sostituzione automatica, e non semplicemente obbligatoria, il che comporterebbe una mera obbligazione risarcitoria. Per molto tempo la dottrina si scervellata su come fornire una motivazione alloperativit della natura reale dellinderogabilit, senza addivenire, nonostante lapporto di vari autori di notevole rilievo, ad una conclusione (pagina 136 e 137 se vi interessano le varie teorie). Il problema dellinderogabilit in pejus ha trovato, finalmente, una precisa definizione legislativa con la modifica dellart.2113 c.c. ad opera della L.533/1973 di riforma del processo del lavoro: allinterno di tale articolo previsto che le rinunzie e le transazioni, che hanno ad oggetto diritti inderogabili del lavoratore attribuiti allo stesso dalle legge o DAI CONTRATTI COLLETTIVI concernenti i rapporti di cui allart.409 c.p.c., non sono valide. Il legislatore, quindi, ha sancito linvalidit degli atti con i quali il prestatore dispone di propri diritti riconosciuti dagli accordi collettivi.
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La derogabilit in melius Mentre nel contratto individuale prevista linderogabilit in pejus delle clausole del contratto collettivo, esiste la possibilit che le parti, allinterno del proprio accordo, stabiliscano clausole di maggior favore per il lavoratore rispetto a quelle del contratto collettivo. Una previsione di tal genere possibile non solo in forza dellart.2077 c.c. che lo prevede esplicitamente, ma anche in forza dellart.2113 c.c. che prevede linderogabilit in pejus. Di difficile soluzione , invece, il problema della comparazione dei trattamenti: pu capitare, infatti, che nel confronto tra contratto collettivo e contratto individuale, si riscontrino alcuni elementi di maggior favore per il lavoratore ed altri peggiori rispetto al contratto collettivo. In tal caso la dottrina, per trovare una soluzione a come si debba operare in questo caso, si divide tra i sostenitori della tesi del conglobamento, secondo cui occorre tener conto del trattamento complessivo del lavoratore, ed i sostenitori della tesi del cumulo, secondo cui andrebbero raffrontate la varie clausole e dovrebbero prevalere solo le migliori per il lavoratore. Sono state prese in considerazione, inoltre, soluzione mediane, che non tengano conto n dei trattamenti complessivi, n delle singole clausole, ma solo dellambito di ciascun istituto. Efficacia soggettiva e categoria contrattuale Un problema del contratto collettivo di diritto comune quello dellefficacia soggettiva, la quale si estende solo agli iscritti alle associazioni stipulanti: solo chi aderisce ad un sindacato o ad unassociazione dimprenditori, infatti, conferisce il c.c. mandato rappresentativo, ossia il mandato a stipulare contratti collettivi. Efficacia soggettiva nella giurisprudenza Lefficacia soggettiva del contratto collettivo di diritto comune impone che le condizioni previste nello stesso siano applicabili solo ai soggetti aderenti alle associazioni firmatarie. Tuttavia, negli anni, ad opera tanto della giurisprudenza quanto del legislatore, lambito di applicazione del contratto collettivo stato esteso anche a coloro non iscritti ad alcun sindacato o associazione di imprenditori. Anzitutto la Cassazione ha stabilito che il datore di lavoro, aderente ad unassociazione firmataria di un contratto collettivo, deve obbligatoriamente applicare le condizioni di tale accordo a tutti i contratti individuali, non potendo attuare una discriminazione tra lavoratori iscritti ai sindacati e lavorato non iscritti. Il problema, invece, si pone nel caso di imprenditori non aderenti ad alcuna associazione. Se limprenditore che stipula il contratto individuale formula un richiamo alla contrattazione collettiva o, tramite un proprio comportamento concludente, preveda lapplicazione di condizioni previste dai contratti collettivi, il problema non si pone, anche se egli non aderisce ad alcuna associazione firmataria di contratti collettivi. Limprenditore, per, potrebbe tranquillamente, non avendo aderito ad alcuna associazione, non dare attuazione alle condizioni previste nel contratto collettivo di categoria. La Cassazione, per, richiamando gli artt.36 della Costituzione, inerente il diritto ad una retribuzione proporzionata al lavoro e sufficiente per unesistenza libera e dignitosa, e 2099 c.c. comma 2, inerente la determinazione della retribuzione da parte del giudice secondo equit in mancanza di accordo tra le parti, ha previsto che qualora limprenditore fissi
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una retribuzione che non rispetti lart.36 Cost., essa non pu ritenersi valida ed il giudice chiamato a stabilirla secondo equit, dovr rifarsi quasi obbligatoriamente alla contrattazione collettiva. Lestensione dellefficacia soggettiva nella legislazione Anche il legislatore, al pari della giurisprudenza, si preoccupato di estendere lefficacia soggettiva del contratto collettivo, affinch esso possa regolare lintero mercato del lavoro. Un intervento diretto del legislatore, tuttavia, sarebbe inammissibile, in quanto risulterebbe lesivo dellunica procedura per ottenere una funzione di tal tipo del contratto collettivo, quella prevista dallart.39 Cost. Il legislatore, quindi, ha dovuto muoversi diversamente, anzitutto prevedendo, allinterno dellart.36 dello Statuto, che le amministrazioni e gli enti pubblici, allinterno di provvedimenti di concessione di agevolazioni e benefici finanziari e creditizi a favore di imprenditori e nei capitolati dappalto di opere pubbliche, debbano obbligatoriamente prevedere una clausola che imponga allimprenditore o allappaltatore di applicare, nei confronti dei propri lavoratori, condizioni normative ed economiche non inferiori a quelle previste dai contratti collettivi. In tal modo potranno beneficiare dei benefici di cui sopra solo coloro che si attengano alla contrattazione collettiva e qualora ci non avvenga, un provvedimento della pubblica amministrazione revocher i benefici e, nei casi pi gravi, escluder il responsabile da agevolazioni ed appalti per un periodo di tempo fino a 5 anni. Il legislatore, inoltre, allinterno del D.Lgs.163/2006 in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, ha previsto che limprenditore che stipuli contratti di tal tipo con la pubblica amministrazione, sia tenuto ad osservare il trattamento economico e normativo, nei confronti dei propri dipendenti, previsto dalla contrattazione collettiva. Egli risulta, tra laltro, responsabile in solido con i sub-appaltatori qualora essi non si attengano a tale previsione. Mentre, quindi, con lart.36 dello Statuto viene posto un obbligo a carico della pubblica amministrazione di inserire una clausola, in questo caso lo stesso imprenditore che deve attenersi al rispetto del contratto collettivo. La Corte di Giustizia dellUnione Europea ha, per, espresso parere negativo nei confronti di una legge simile allinterno dello Stato tedesco: la Corte ha precisato che, in tal caso, ci sarebbe una violazione delle norme in tema di libera circolazione di servizi, in quanto unimpresa di uno Stato membro non potrebbe applicare, ai propri lavoratori, le condizioni economiche e normative di maggior favore del proprio Paese dorigine, ritrovandosi cos a dover applicare le condizioni del contratto collettivo. In realt sia la dottrina, quanto il PE, si sono opposti a tale pronuncia giudiziale: va sottolineato come, se si dovesse osservare la previsione della Corte, si andrebbe incontro ad un regime discriminatorio, in quanto limpresa dello Stato membro si troverebbe ad osservare le condizioni del contratto collettivo, mentre limpresa di uno Stato diverso potrebbe continuare ad applicare una normativa maggiormente favorevole. Le altre funzioni, in particolare quella obbligatoria Abbiamo visto come causa principale del contratto collettivo sia quella NORMATIVA, ossia quella che mira allimposizione di condizioni economiche e normative minime, le quali devono essere osservate dai contratti individuali. Ma non si pu dire che la funzione normativa sia lunica del contratto collettivo: esso, molto spesso, instaura rapporti obbligatori che non fanno capo alle parti del contratto individuale, bens ai soggetti collettivi. Ecco, quindi, che il contratto collettivo assume unaltra funzione, quella OBBLIGATORIA: il caso del rinvio da un livello contrattuale ad un altro per la negoziazione di determinati istituti. Mentre i
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problemi inerenti la funzione normativa riguardano solo il rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale, linadempimento delle clausole obbligatorie comporta una responsabilit dei soggetti collettivi (per esempio la responsabilit dellassociazione sindacale a livello provinciale, cui era stato deferito un compito, poi non assolto). Non rare, recentemente, sono anche le clausole del contratto collettivo che prevedono listituzione di enti bilaterali per la gestione di alcuni istituti contrattuali (es. Casse edili): si parla in tal caso di funzione ISTITUZIONALE. Quando, invece, laccordo sindacale va a risolvere un singolo problema di gestione aziendale, si parla di funzione GESTIONALE. In sintesi, il contratto collettivo non pu e non deve avere solo una funzione normativa. Il dovere di pace sindacale ed il dovere di influenza Laccordo interconfederale tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil del 15 aprile 2009, inerente lattuazione dellAccordo quadro sulla riforma degli assetti contrattuali del 22 gennaio 2009, ha introdotto un obbligo di pace sindacale, il quale prevede che, nei sei mesi precedenti la scadenza del contratto nazionale e nel mese successivo, le parti non assumano iniziative unilaterali, n diano luogo ad azioni dirette. Questo vuol dire che, con la conclusione del contratto collettivo, le parti si obbligano, solo e solamente per le materie concernenti il contratto in discorso, ad attuare una tregua, ossia a far cessare lo stato di conflitto. Ovviamente tale stato potrebbe ripristinarsi per una diversa ragione. Va sottolineato come gli effetti delle clausole di tregua si ripercuotano solo sulle parti stipulanti, ossia sui sindacati e sulle associazioni degli imprenditori, e non direttamente sui lavoratori, che conservano tutti i diritti a loro concessi, ivi incluso quello di sciopero. Tali clausole, quindi, hanno un effetto obbligatorio ed in alcun modo normativo. Altro dovere concernente la stipula di un contratto collettivo quello di influenza: le parti firmatarie devono fare in modo che i propri associati applichino il contratto, senza discostarsene in alcun modo. La c.d. procedimentalizzazione dei poteri dellimprenditore ed il contratto gestionale Abbiamo gi detto che clausole contrattuali di natura obbligatoria (che fanno nascere un diritto in capo alle parti firmatarie) possono condurre alla conclusione di un contratto collettivo gestionale, ossia di un contratto che miri a risolvere un problema di gestione aziendale (es. licenziamenti o momentanea crisi). Non abbiamo, per, visto in che modo tali clausole possano comportare la conclusione di un contratto gestionale. Lapposizione di clausole di natura obbligatoria pu comportare lobbligo, per limprenditore, di consultare le rappresentanze sindacali prima di prendere un provvedimento con il quale eserciter il proprio potere di gestione: egli non solo ha lobbligo di informazione nei confronti dei sindacati, ma deve anche, su richiesta degli stessi, accettare un incontro per esaminare il problema: durante tutto il periodo di esame da parte dellimprenditore e dei sindacati, il potere del datore di lavoro sospeso, ma qualora non si dovesse raggiungere un accordo, esso ritorner integro e limprenditore potr benissimo esercitarlo. Latto, dunque, risulta illegittimo solo se non vengono rispettati gli obblighi previsti dai contratti collettivi o dalla
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legge, ma risulta pienamente valido se esercitato dopo lespletamento di tutti i doveri. Quindi non detto che sempre si giunga alla conclusione di un contratto gestionale con cui risolvere il problema. La complicazione del processo decisionale dellimprenditore, per far si che i sindacati possano intervenire prima che un atto del potere gestionale venga posto in essere, prende il nome di procedimentalizzazione del potere imprenditoriale. Lefficacia soggettiva del contratto gestionale Quindi il contratto azienda pu avere anche una funzione gestionale, ossia con esso pu essere concordato un provvedimento di gestione del personale che vada a risolvere un problema dellazienda, o quanto meno ad attenuarlo. Tale tipo di contratto (quello gestionale) non comporta, il pi delle volte, benefici per i lavoratori, ma solo sacrifici (es. riduzione dellorario lavorativo e della retribuzione pur di non andare incontro ai licenziamenti), derogando molto spesso a quanto previsto dai contratti collettivi: in tal caso il contratto collettivo non ripercuote i propri effetti su quelli individuali. N.B. a mio parere non molto chiaro il paragrafo o, causa febbre, possibile che sia io a non averlo ben compreso. Mi scuso con i colleghi studenti. Contratti collettivi espressamente previsti dalla legge La disciplina del contratto collettivo assume rilevanza giuridica in forza dellart.1322 c.c. inerente lautonomia contrattuale delle parti. Diversamente rilevanza giuridica pu essere riconosciuta dalla stessa legge. In molti casi, infatti, il legislatore, nel disciplinare la materia del lavoro, pu prevedere espressamente un rinvio ai contratti collettivi per ci che concerne deroghe, sostituzioni o integrazioni della disciplina legislativa emanata, o addirittura prevedere che i datori di lavoro possa usufruire di taluni istituti o rapporti, solo laddove raggiunga un accordo con le organizzazione sindacali (funzione autorizzatoria della contrattazione collettiva). Un esempio lo ritroviamo in tema di orario lavorativo, il quale non pu superare le 40 ore settimanali, salvo che i CONTRATTI COLLETTIVI NON PREVEDANO che tale quantit sia una media di pi settimane. Ecco quindi che il legislatore prima fissa la norma e poi ne permette la deroga. Ovviamente tale potere spetta solo ai sindacati maggiormente rappresentativi, e ci non viola lart.39 Cost, n tanto meno il principio di eguaglianza di cui allart.3 Cost., perch, come abbiamo visto in precedenza, il legislatore attribuisce maggior poteri alle organizzazione sindacali pi rappresentative, ma non lede in alcun modo la libert sindacale delle organizzazioni minori. Quando la legge rinvia al contratto collettivo per la deroga di una determinata fattispecie, si pu parlare di RINVIO PROPRIO; quando, invece, il legislatore si astiene totalmente dal disciplinare una fattispecie, rimettendola alle decisioni della contrattazione collettiva, si parla di RINVIO IMPROPRIO: in realt, imprenditori e sindacati, in forza della stessa libert di contrattazione collettiva, potrebbero accordarsi sulla materia, anche in assenza di unautorizzazione del legislatore. Va detto, per, che tale potere deve essere garantito a tutte le organizzazioni sindacali, anche a quelle minori, perch qualora fosse garantito solo a quelle pi rappresentative, tale attribuzione sarebbe incostituzionale, violando la libert sindacale di porre in essere una contrattazione.
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CAPITOLO OTTAVO LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA


SEZIONE A: EVOLUZIONE STORICA; SOGGETTI, LIVELLI E PROCEDURE Premessa Per contrattazione collettiva sintende il processo attraverso il quale i sindacati dei lavoratori e le associazione dei datori di lavoro (o i singoli datori), luno difendendo le prerogative dei lavoratori, laltro resistendo alle pressioni sindacali, definiscono la regolamentazione dei rapporti, individuali o collettivi, di lavoro. Nel contratto collettivo che ne scaturisce, dunque, vengono contemperati i vari interessi in gioco nel conflitto industriale. La contrattazione collettiva pu ricomprendere solo la stipulazione del contratto in se stesso, ed in tal caso si parla di contrattazione statica, oppure pu anche prevedere la disciplina di attuazione del contratto, e si parla di contrattazione dinamica. La contrattazione collettiva, inoltre, si svolge a pi livelli organizzativi dei soggetti collettivi: si parla in tal caso di struttura contrattuale. Solitamente i livelli sono 3 e portano a diversi tipi di accordi: Accordo interconfederale: con esso vengono disciplinati singoli istituti quando si renda necessaria una regolamentazione unitaria da applicare a tutti i lavoratori di diverse categorie produttive. Prendono parte a tale accordo le tre grandi Confederazioni sindacali e, solitamente, Confindustria; Contratto collettivo nazionale di categoria (ccnl): viene stipulato con periodicit fissa, solitamente ogni 3 o 4 anni, e riguarda singole categorie produttive. In esso vengono fissati i trattamenti minimi economici e normativi da applicare in quel settore, oltre ad essere previste le relazioni tra stipulanti e loro articolazioni organizzative; Contratto decentrato: si tratta di un contratto stipulato dai soggetti collettivi a livello territoriale, solitamente provinciale o regionale, oppure, addirittura, di un contratto stipulato a livello aziendale, che vada ad integrare e completare la disciplina dettata nel contratto collettivo di categoria. Una struttura contrattuale, quindi, si dice centralizzata o decentrata quando vi una ripartizione pi o meno ampia di competenze e di materie trattate rispetto allambito di applicazione; al contrario una struttura si dice bipolare, quando entrambi i livelli dellambito di applicazione hanno funzioni rilevanti e distinte. Ovviamente facile dedurre che quanto pi in crisi il mondo del lavoro, tanto pi occorrer una centralizzazione della contrattazione, per far fronte ai problemi di crisi dellindustria, di disoccupazione, di recessione economica, di arretratezza tecnologica; se, invece, il mondo del lavoro procede nel migliore dei modi, o comunque riesce a mantenersi stabile in un determinato arco di tempo, si attuer maggiormente un sistema decentralizzato.
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Evoluzione della contrattazione collettiva. Dal dopoguerra ai primi anni 60: la contrattazione articolata Dopo la caduta del sistema corporativo, sappiamo bene che venne ristabilita la libert sindacale, che operava, inizialmente, tramite una struttura contrattuale del tutto centralizzata: essa tendeva, pi che altro, a fissare i trattamenti minimi ed essenziali a livello economico e normativo dei rapporti di lavoro. Si trattava, appena il caso di dirlo, di una contrattazione meramente interconfederale, che dur fino allinizio degli anni 60, quando il contratto nazionale di categoria inizi a diventare, grazie anche al boom economico, il perno centrale della contrattazione collettiva. Tuttavia rimaneva un po isolata la contrattazione a livello aziendale, attuata dalle sole commissioni interne. Il livello aziendale venne del tutto riconosciuto allinterno di un apposito Protocollo del 5 luglio 1962, firmato dalle federazioni di categoria dei metalmeccanici, dallIntersind e dallAsap (associazioni che rappresentavano aziende a partecipazione statale), che diede luogo alla c.d. contrattazione articolata, fondata su una struttura contrattuale composta da 3 livelli, quello nazionale di categoria, quello di settore e quello aziendale. Il contratto nazionale di categoria avrebbe dovuto fissare le materie e gli istituti di competenza dei livelli inferiori, tramite apposite clausole di rinvio; il secondo livello, quello inerente il settore, non venne mai applicato; il terzo livello, quello aziendale, era rappresentato dal sindacato provinciale di categoria, e non pi dai lavoratori interni dellazienda. Il riconoscimento del livello azienda comport laccettazione delle c.d. clausole di tregua, per tenere a bada gli imprenditori ed accontentarli. Il ciclo 1968-1973 e la contrattazione non vincolata Nel 1967, sulla spinta del movimento operaio, si avvi un nuovo ciclo contrattuale: i lavoratori avevano bisogno di rappresentanze aziendali in grado di tener conto della propria situazione a livello specifico e di migliorarla. Nascevano rivendicazioni contrattuali del tutto nuove, quali la parificazione normativa tra operai ed impiegati, la riduzione dellorario e dello straordinario. Nel contratto nazionale metalmeccanico del 1969 non si riusc a raggiungere alcun accordo in merito alle competenze della contrattazione aziendale, e ci fece venire meno il sistema della contrattazione articolata, permettendo lintroduzione della contrattazione NON VINCOLATA, nella quale i due livelli, aziendale e nazionale di categoria, avrebbero goduto di autonomia. La contrattazione aziendale divenne, quindi, del tutto assestante, fungendo nella maggior parte dei casi da locomotiva di quella nazionale ed eliminando, per molti anni, il livello interconfederale. Le nuove rappresentanze aziendali, costituite dai delegati e dai consigli di fabbrica, introducevano allinterno delle grandi imprese una sempre crescente tutela del lavoratore; spettava, poi, alla contrattazione nazionale estendere tali conquiste a tutti i settori ed a tutte le imprese. Si attu, in poche parole, un sistema bipolare, in cui la contrattazione aziendale e quella nazionale godevano di una propria indipendenza. Si tocc il punto massimo di decentramento contrattuale. Gli anni dal 1975 al 1990: ricentralizzazione e nuovo decentramento La crisi petrolifera dei primi anni 70 coinvolse lintera economia mondiale, riversandosi soprattutto sulloccupazione e pretendendo dei profondo mutamenti tecnologici ed organizzativi del sistema produttivo. La politica sindacale divenne politica di mantenimento delloccupazione e la crisi in atto comport una nuova centralizzazione della contrattazione collettiva e della struttura contrattuale. Il livello interconfederale divenne nuovamente lattore principale degli accordi contrattuali, gettando nellombra, per un periodo consistente, sia la contrattazione nazionale di categoria, sia quella aziendale. Il Protocollo
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del 22 gennaio 1983, che introdusse la c.d. contrattazione triangolare (Stato, sindacati ed imprese), introdusse il principio di non ripetibilit della contrattazione aziendale, il quale impediva a questultima una contrattazione su materie gi regolate ad altri livelli. Solo nella seconda met degli anni 80 fu possibile favorire nuovamente il decentramento contrattuale, in quanto la necessit di reggere la concorrenza internazionale port ad una forte flessibilit organizzativa e ad una riduzione della rigidit nella regolazione dei rapporti di lavori (deregulation). Il Protocollo 23 luglio 1993 e la riforma della struttura contrattuale Allinizio degli anno 90 sono stati stipulati due accordi di fondamentale importanza tra il Governo e le parti sociali (accordi triangolari): quello del 31 luglio 1992, che ha abolito la c.d. scala mobile introdotto da un accordo interconfederale del 1975 e che prevedeva lindicizzazione dei salari al costo della vita, e quello del 23 luglio 1993, il quale ha ridisegnato completamente la struttura contrattuale e previsto una nuova politica dei redditi e delloccupazione (per la sua importanza stato definito come la carta costituzionale delle relazioni industriali). Ci occupiamo, in questo capitolo, delle sole innovazioni a livello di struttura contrattuale introdotte dal secondo dei due Protocolli citati. Nel Protocollo del 1993 vennero confermati i due livelli di contrattazione, quello nazionale offerto dai contratti di categoria e quello aziendale/territoriale. La durata dei contratti venne prolungata da 3 a 4 anni sotto il profilo normativo, ma venne previsto un adeguamento biennale per la parte retributiva: venendo meno il sistema della scala mobile, infatti, occorreva, ogni due anni, adeguare le retribuzioni allinflazione programmata per il biennio successivo ed a quella passata, qualora non fosse stata in linea con le previsioni del precedente adeguamento. Alla contrattazione decentrata, alla quale era imposta la clausola di non ripetibilit, venne riconosciuto un compito di integrazione delle retribuzioni: essa avrebbe dovuto prevedere i c.d. premi di risultato, in base ai quali laumento delle retribuzioni sarebbe dipeso dai miglioramenti della produttivit. Era comunque il contratto nazionale di categoria ad occuparsi della ripartizione delle competenze tramite le gi citate clausole di rinvio. Vennero, per, previste due ulteriori clausole: la prima prevedeva che, ai sindacati firmatari del contratto nazionale di categoria, spettassero un terzo dei componenti delle RSU; la seconda attribuiva il potere di contrattazione aziendale alle RSU e, contemporaneamente, alle strutture territoriali dei sindacati firmata del contratto nazionale di categoria. Quindi, se da un lato la contrattazione decentrata si trovava in una posizione gerarchicamente inferiore alla contrattazione nazionale, in quanto era questultima ad attribuirle delle competenze, da un altro punto di vista la contrattazione decentrata assumeva una propria autonomia di competenza su determinati punti e materie: si trattava del modello di struttura contrattuale fondato sul decentramento controllato e coordinato della contrattazione collettiva. Per snellire il procedimento di rinnovo dei contratti, inoltre, venne previsto che, nei 3 mesi precedenti la scadenza del contratto e fino ad un mese dopo, il sindacato non potesse proclamare uno sciopero e che, qualora ci fosse stato qualche ritardo, sarebbe stata prevista unindennit di vacanza contrattuale a favore dei lavoratori.
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In realt la nuova struttura contrattuale mostr da subito qualche lacuna in merito al ruolo della contrattazione aziendale/territoriale: solo nelle medie-grandi imprese si ottenevano degli aumenti delle retribuzioni come premi di risultato, mentre nelle piccole e piccolissime imprese, che comprendevano la maggior parte dei lavoratori italiani, tale sistema non riceveva applicazione, per lassenza o la scarsa forza delle rappresentanze sindacali. Accordo quadro del 22 gennaio 2009 Ricapitoliamo le lacune del sistema previsto dal Protocollo del 1993: i contratti non venivano rinnovati secondo le scadenze e molto spesso il tasso di inflazione programmata risultava molto distante dalla reale inflazione; la contrattazione decentrata era limitata alle sole grandi o al massimo medie imprese, mentre risultava assente o impotente nelle piccole imprese, di fatto comportando unassenza anche del premio di risultato e, di conseguenza, un mancato adeguamento delle retribuzioni. Questi motivi hanno condotto ad un nuovo negoziato sulle regole di contrattazione collettiva, costituito dallAccordo quadro del 22 gennaio 2009, inerente la riforma degli assetti contrattuali e non firmato dalla Cgil (si tratta di un accordo separato): con tale accordo si sperimenter, per un periodo di 4 anni, un nuovo modello contrattuale comune al settore privato ed a quello pubblico, sebbene con qualche differenza. La durata dei contratti viene riportata a 3 anni, ma permangono i due livelli di contrattazione, nazionale di categoria ed aziendale/territoriale, con la previsione da parte di quello nazionale delle competenze di quelli territoriali. Tra laltro la clausola di ripetibilit viene estesa alla totalit degli istituti e non solo a quelli retributivi, come avveniva in precedenza. Per ci che concerne le retribuzioni, si abbandona il tasso di inflazione programmata come indicatore di crescita dei prezzi al consumo, e si prende in considerazione un nuovo indice previsionale, stabilito da un soggetto terzo ed estraneo alle parti sociali, costruito sulla base dellIPCA (indice prezzi al consumo armonizzato in ambito europeo per lItalia). Tale IPCA, per le amministrazioni pubbliche, assume il ruolo di mero parametro di riferimento. Vengono confermati i premi di risultato o per obiettivi, previsti dai contratti decentrati, ma viene previsto che la contrattazione nazionale definisca lelemento economico di garanzia, una somma che le aziende devono erogare in mancanza della previsione di un premio di risultato. Alla contrattazione decentrata viene concesso il potere di derogare in pejus la disciplina economica e normativa prevista dai contratti nazionali, qualora ci sia necessario per fronteggiare situazioni di crisi territoriali o aziendali (clausole di uscita o di apertura). Il processo di stipulazione e di rinnovo del contratto collettivo Compito della contrattazione nazionale di categoria e di quella decentrata il rinnovo dei contratti collettivi, per tale intendendosi la stipulazione di un nuovo contratto che aggiorni la disciplina del precedente. Le trattative tra le parti sociali (da un lato i sindacati e dallaltro gli imprenditori o le associazioni di imprenditori) iniziano qualche mese prima della scadenza del contratto: le organizzazioni sindacali presentano la c.d. piattaforma rivendicativa, in cui sono contenute le richieste di modifica del contratto in scadenza e la quale stata approvata da varie assemblee sindacali. Qualora le trattative si prolunghino oltre il periodo di tregua sindacale, le organizzazioni sindacali possono proclamare degli
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scioperi ed in base alla partecipazione dei lavoratori agli stessi, si potr constatare la necessit di accettare le rivendicazioni dei sindacati (qualora laffluenza di lavoratori sia stata consistente) o la necessit di ridurre le pretese sindacali. Se il conflitto degenera e diventa particolarmente aspro, possono intervenire al tavolo delle trattative componenti del Governo (il ministro del lavoro o quello competente in materia) o componenti degli enti territoriali, qualora si tratti di contrattazione decentrata. Una volta raggiunto laccordo tra le parti, lo stesso viene sottoposto allapprovazione dei lavoratori tramite assemblee o, addirittura, referendum (democrazia di ratifica), almeno che non si tratti di accordo separato, a cui non hanno preso parte tutte e tre le confederazioni. Pu capitare, talune volte, che gli stessi sindacati entrino in contrasto tra loro, o perch si dichiarano rappresentativi della medesima categoria, o perch vi un conflitto di giurisdizione, qualora vi sia dissenso sulla definizione dellambito del contratto: in tal caso il conflitto andr risolto o tramite un accordo tra i sindacati, o tramite il riconoscimento, da parte degli imprenditori, della reale controparte contrattuale, perch pi forte in termini di rappresentativit. Qualora sia stato concluso, tra laltro, un contratto collettivo separato, a cui quindi non tutte le confederazioni hanno preso parte, la confederazione esclusa potr decidere di aderirvi in un secondo momento: ma si tratter di un contratto per adesione, in quanto non potr essere apportata alcuna modifica allaccordo. SEZIONE B: RAPPORTI TRA I CONTRATTI COLLETTIVI Premessa Un rapporto di lavoro, oltre ad essere regolato da norme di legge e dal contratto individuale , come abbiamo avuto modo di capire, regolato anche dai contratti collettivi, di natura e di livello diversi tra loro. Inoltre, come abbiamo precisato, i contratti collettivi hanno una propria scadenza, al verificarsi della quale si attua un rinnovo, il che pu dar luogo a problemi di disciplina contrattuale, inerenti lapplicazione di una disciplina piuttosto che di unaltra. Successione di contratti collettivi nel tempo Analizziamo il problema della successione dei contratti collettivi. Esso non si pone nel caso in cui il contratto collettivo di rinnovo vada solo e solamente a migliorare la disciplina del precedente. Diversamente pu capitare che il nuovo contratto collettivo detti una disciplina pi severa, restrittiva o sfavorevole per il lavoratore ed in tal caso si pone il problema di capire se il lavoratore abbia diritto allapplicazione dei diritti sanciti nel precedente contratto, oppure debba attenersi alla disciplina del nuovo contratto collettivo. Anzitutto precisiamo che per i contratti collettivi non trova applicazione la disciplina dellart.2077 c.c., in quanto essa inerisce allimmodificabilit in pejus dei contratti individuali rispetto alle previsioni dei contratti collettivi, ma non centra nulla con i rapporti tra contratti collettivi. Una tesi assai diffusa quella dellincorporazione delle clausole del contratto collettivo allinterno del contratto individuale: il nuovo contratto collettivo non pu modificare in peggio i contratti individuali gi
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posti in essere, ma solo quelli successivi alla propria stipulazione. In realt la precedente disciplina prevale se e solo se ne siano fonte disposizione inderogabili di legge, perch se lunica fonte il contratto collettivo precedente, la nuova disciplina dovr obbligatoriamente prevalere. Neanche la teoria dei diritti quesiti aiuta in tal senso: sono intangibili i diritti del lavoratore entrati nel patrimonio di questultimo, questo un dato certo. Non altrettanto certo e vero che le semplici normative collettive pi favorevoli siano da considerarsi durevoli nel tempo. Il libro, seppur in maniera confusionaria, porta lesempio delle maggiorazioni per il lavoro straordinario: il lavoratore ha diritto a percepire tali maggiorazioni per il lavoro gi svolto, e questo ovvio essendo un suo diritto quesito; non ha altrettanto diritto al mantenimento di tale maggiorazione anche nel contratto collettivo successivo, che ben potr prevedere una riduzione. Lefficacia nel tempo del contratto collettivo Qualora un contratto collettivo sia scaduto e non si sia provveduto allimmediato rinnovo, vi un periodo di vacanza contrattuale. Sebbene sia il Protocollo del 1993, sia lAccordo quadro del 2009 abbiano previsto una copertura economica per far fronte a tale periodo, ci non impedisce che ci siano ritardi. Quindi nel periodo di vacanza contrattuale, il datore di lavoro potrebbe applicare una disciplina peggiorativa rispetto ai trattamenti minimi, senza ovviamente intaccare i diritti acquisiti (o quesiti) del lavoratore. Una parte della dottrina sostiene lultrattivit del contratto collettivo, secondo cui questultimo opererebbe sino alla stipulazione del nuovo contratto: tale ultrattivit prevista dallart.2074 c.c., ma solo per i contratti corporativi e non per il contratto collettivo di diritto comune. Quindi tale ultrattivit pu operare solo qualora disposta allinterno degli specifici contratti collettivi, ma non in altri casi. Per ci che concerne, poi, la retroattivit delle clausole dei nuovi contratti collettivi, essa possibile, tra laltro anche qualora sia peggiorativa dei trattamenti minimi, senza per intaccare i diritti quesiti del lavoratore. Il concorso-conflitto tra contratti collettivi di diverso livello Un altro problema inerente i rapporti tra i contratti collettivi pu essere determinato dal contrasto tra un contratto collettivo nazionale ed un contratto collettivo territoriale o aziendale, ossia dal contrasto che pu nascere tra contratti collettivi di livelli diversi, per il mancato rispetto delle clausole di rinvio o per mancanza della ripartizione di competenze. Pu capitare, infatti, che i diversi contratti vadano a disciplinare la medesima materia. In tal caso bisogna individuare quale debba prevalere ed in che modo. Anzitutto tale contrasto non si crea quando la stessa legge a prevedere che la disciplina di un istituto o di una materia debba essere dettata da un contratto nazionale di categoria: in tal caso il contratto decentrato risulter invalido ed inefficace. Non vi contrasto nemmeno nellipotesi in cui il contratto nazionale prevede delle clausole di uscita, ossia clausole che permettono, in determinati e specifici casi, al contratto aziendale/territoriale una deroga rispetto alla disciplina dello stesso contratto nazionale.

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Il contrasto, invece, esiste qualora non ricorrano i casi di cui sopra. La giurisprudenza degli anni 70 credeva che i conflitti andassero risolti tramite lapplicazione dellart.2077c.c. contenente il principio dellinderogabilit in pejus; in seguito, a partire dagli anni 80, la stessa giurisprudenza ha previsto che dovesse prevalere il contratto posteriore nel tempo, fosse esso di livello superiore o inferiore, migliorativo o peggiorativo, fatti salvi i diritti quesiti dal lavoratore. Per risolvere il problema del conflitto di regolazione ( questo il nome dei conflitti tra contratti di diverso livello) venne elaborata anche una teoria dottrinale: avrebbe dovuto prevalere il contratto pi speciale, ossia quello pi vicino alla situazione da regolare. Ci sarebbe stato possibile, per, solo nel caso di contratto decentrato stipulato dalle medesime organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo nazionale, perch solo in tal caso il contratto decentrato avrebbe assunto il carattere di specialit. A partire dal Protocollo del 1993, tuttavia, la giurisprudenza ha ritenuto che la generalizzazione delle clausole di rinvio e la previsione di una clausola di non ripetibilit, renda invalido il contratto decentrato contenente disposizioni in contrasto con quello nazionale di categoria. In realt una parte consistente della dottrina non riconosce una tale efficacia reale alle clausole di rinvio, il che comporterebbe la piena validit del contratto decentrato. Inoltre va tenuto conto della mancata partecipazione della Cgil allAccordo quadro del 2009, il che comporta che la suddetta confederazione rimane ancora alle previsioni del Protocollo del 1993: non trattandosi, quindi, di una disciplina unitariamente condivisa, quella del 2009 non pu considerarsi come definitivo criterio di giudizio del conflitto-concorso tra contratti collettivi di diverso livello. SEZIONE C: LA CONTRATTAZIONE E LA LEGGE Linderogabilit unilaterale della legge La regolamentazione del rapporto di lavoro, oltre a dipendere dai contratti individuali e collettivi, i cui rapporti sono gi stati descritti, dipende anche, e soprattutto, dalle norme di legge. Esse si rapportano alla contrattazione collettiva ponendosi in una linea gerarchicamente superiore, cosicch, in linea generale, i contratti collettivi non potranno mai prevedere una disciplina pi sfavorevole per il lavoratore rispetto a quella fissata dalla legge. In sostanza, nellottica del favor per il lavoratore e dellinderogabilit in pejus, la clausola contrattuale peggiorativa delle condizioni poste dalla legge, risulta nulla. Talune volte, per, il legislatore ha fatto in modo che ci fosse una deroga a tale principio, prevedendo o che il contratto collettivo potesse integrare, sostituire o derogare in pejus quanto stabilito dalla stessa legge, o fissando dei tetti oltre i quali non poter disporre trattamenti migliorativi (inderogabilit in melius). Rinvii legali alla contrattazione collettiva Qualora il legislatore assicuri alla contrattazione collettiva la possibilit di integrare, sostituire o derogare in pejus quanto dalla legge stabilito, si parla di garantismo collettivo, attuato: O garantendo alla contrattazione collettiva la possibilit di derogare ad una norma di legge;

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O permettendo ad una norma suppletiva di legge di operare solo in caso di mancanza dellaccordo collettivo; O permettendo alla contrattazione collettiva di integrare (e non derogare) le norme legali; O permettendo alla contrattazione collettiva di derogare o integrare una norma legale, ma prevedendo, in mancanza di un accordo collettivo, che lintegrazione venga disposta dal Ministro del lavoro (il che in taluni casi pu anche disincentivare il ricorso alla contrattazione collettiva); O permettendo alla contrattazione collettiva la regolamentazione di una materia, prevedendo che in assenza di tale contrattazione intervenga unautorit amministrativa indipendente (la quale, in realt, interviene anche per vigilare sulla conformit delloperato dei contratti collettivi rispetto alle previsioni legislative); I limiti legali alla contrattazione collettiva Abbiamo gi accennato che il legislatore ha il potere di limitare la derogabilit in melius della contrattazione collettiva. Una prima ipotesi di tal genere si ebbe con il D.L.12/1977: a quel tempo era in vigore il c.d. sistema delle scale mobili, che prevedevano lindicizzazione dei salari al costo della vita; il legislatore, con il decreto sopra citato, imped ai contratti collettivi di utilizzare le c.d. scale mobili anomale, ossia sistemi di indicizzazione diversi da quelli previsti per legge, recependo tra laltro la volont dei sindacati. Sul tema vennero subito richieste delle pronunce della Corte costituzionale, in quanto una limitazione del potere della contrattazione collettiva veniva configurato, da molti, come una limitazione alla libert sindacale di cui allart.39 Cost, sebbene il legislatore avesse tramutato in legge proprio la volont dei sindacati. La Corte respinse lillegittimit costituzionale, ma senza chiarire il dubbio: giudic, infatti, data la mancata attuazione dellart.39, di non potersi pronunciare a riguardo. Tuttavia, col tempo, emerso che non esista una riserva normativa in favore della contrattazione collettiva che limiti, di fatto, il potere del legislatore di intervenire su materie regolate dai contratti collettivi, sebbene essi siano espressione del principio di libert sindacale espresso dallart.39 Cost. Lautore, e chiunque abbia ben inteso la situazione, ha ben capito che la Corte sar chiamata nuovamente a pronunciarsi su questioni simili, dato che il dubbio non stato risolto del tutto. Molto spesso la legge, nellultimo decennio, ha previsto che alla contrattazione collettiva sia negata la disciplina di alcune materie: sul punto molti autori concordano sullillegittimit costituzionale di una tale previsione, in quanto limitativa della libert contrattuale.
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CAPITOLO NONO LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA NEL LAVORO PUBBLICO


Diritto pubblico e rapporto di pubblico impiego La privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, allinterno del nostro ordinamento, si avuta solo a partire dagli anni 90 del secolo scorso. Fino ad allora era prevalsa lidea che i lavoratori pubblici, essendo alle dipendenze delle pubblica amministrazione chiamata a garantire interessi di tutti i cittadini, dovessero essere sottoposti a norme di diritto pubblico ed alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo. Il rapporto di lavoro pubblico non veniva visto in termini contrattuali, bens in termini di supremazia ed autorit dellamministrazione sui propri dipendenti. Eppure gi unautorevole dottrina amministrativistica degli anni 70 aveva attuato una netta distinzione tra il rapporto organico ed il rapporto di servizio, individuando il primo come il rapporto di preposizione allufficio del lavoratore, il quale deve essere regolato obbligatoriamente secondo norme di diritto pubblico, in quanto tali norme sono poste a tutela dellinteresse pubblico per cui lufficio stato creato, ed il secondo come il rapporto di scambio tra attivit lavorativa e retribuzione. Bisognava, semplicemente, attuare una distinzione tra lattivit dellamministrazione pubblica ed i singoli atti dei dipendenti, i quali non potevano essere assoggettati a norme pubblicistiche: eppure anche il Consiglio di Stato, nel parere fornito nel 1992 sul primo progetto di riforma, evoc lart.97 Cost. contenente norme in materia di pubblici uffici, non comprendendo la distinzione pocanzi descritta. Accordi sindacali e disciplina del rapporto attraverso il loro recepimento in atti regolamentari Il rapporto di lavoro pubblico, quindi, non aveva natura contrattuale e la P.A. datrice di lavoro aveva un ruolo di supremazia tale da non ammettere che il rapporto fosse disciplinato da una fonte contrattuale e privatistica, il contratto collettivo. Tuttavia, sulla spinta dei dipendenti pubblici e delle associazioni rappresentative degli stessi, nel 1968 il legislatore riconobbe il ruolo degli accordi sindacali (praticamente la contrattazione collettiva), ma non come autonome fonti di disciplina del rapporto di lavoro, ma come momento di un procedimento amministrativo che avrebbe portato la P.A. allemanazione di un atto regolamentare, che avrebbe a sua volta disciplinato il rapporto di lavoro. La legge quadro sul pubblico impiego del 1983 conferm questo schema, in cui laccordo sindacale rappresentava semplicemente un punto di partenza da tenere in considerazione. Negli anni 90, per, questo sistema mostr tutte le proprie lacune, determinando una riflessione sulla natura contrattuale del rapporto di lavoro pubblico, al pari di quello privato. Va sottolineato come il modello della L.93/1983 stato, di recente, adottato per alcuni casi specifici: personale diplomatico, forze di polizia e forze armate, corpo dei vigile del fuoco. Il particolare vincolo gerarchico di queste amministrazioni spiega la ratio di tale adozione. Contrattualizzazione del rapporto di pubblico impiego La concezione pubblicistica del rapporto di lavoro nelle pubbliche amministrazione venne sovvertita, inizialmente dalla legge delega 421/1992, la quale confer al Governo il potere di ricondurre i rapporti di impiego con le P.A. sotto la disciplina del diritto civile e di regolarli mediante contratti individuali e collettivi. Tutti gli atti legislativi successivi in materia sono stati incorporati dal T.U. previsto dal
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D.Lgs.165/2001, modificato a sua volta anche di recente, in seguito allAccordo quadro del 22 gennaio 2009 e della conseguente Intesa del 30 aprile. Allinterno del D.Lgs. 29/1993, attuativo della legge delega 421/1992, fu prevista la distinzione tra organizzazione pubblicistica degli uffici, che rimase sotto la disciplina del diritto pubblico, e organizzazione privatistica del lavoro, assoggettato per la prima volta alle norme del lavoro subordinato nellimpresa, incontrando i soli limiti posti dallo stesso decreto. Una disciplina successiva, tra laltro, previde che solo gli atti di macro-organizzazione dovessero essere disciplinati dal diritto pubblico, ossia gli atti inerenti lorganizzazione degli uffici, i modi di conferimento degli uffici di maggior rilevanza e le dotazioni organiche complessive, mentre il resto degli atti, quelli di micro-organizzazione, sarebbero stati ricondotti sotto la disciplina del diritto civile, senza atti amministrativi, ma ponendo in essere atti negoziali di natura privatistica. In conclusione possiamo dire che oggi il rapporto di pubblico impiego un rapporto fondato su un contratto di diritto privato, che conserva caratteri pubblicistici solo in caso di deroghe legali. La Corte costituzionale, in pi occasioni, ha specificato la legittimit di tale riforma e la conformit allart.97 della nostra Costituzione. Recentemente ha, poi, chiarito che anche i rapporti di lavoro con enti locali, quali le Regioni, rientrano nella competenza legislativa dello Stato, in quanto soggetti al diritto privato del lavoro. Contrattazione collettiva e lavoro pubblico Dopo la privatizzazione del pubblico impiego, gli accordi sindacali, di cui avevamo gi parlato, si sono trasformati in veri e propri contratti collettivi, potendo disciplinare direttamente la materia del rapporto di lavoro pubblico, senza un provvedimento da parte della P.A., la quale potr intervenire, nello stesso limite previsto per il datore di lavoro privato, solo nel momento in cui non sia stato raggiunto un accordo e senza poter corrispondere trattamenti economici superiori rispetto a quelli previsti dai contratti collettivi. La contrattazione collettiva stata, per, ridimensionata da un recente intervento del legislatore: il D.Lgs.150/2009, noto come riforma Brunetta ed attuativo della L.15/2009 in materia di ottimizzazione della produttivit del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza nelle pubbliche amministrazioni, ha disciplinato direttamente alcuni aspetti del rapporto di lavoro pubblico, che appartenevano alla competenza della contrattazione collettiva. Il processo di delegificazione iniziato con la L.421/1992 si , quindi, interrotto per dar luogo ad una rilegificazione. E stato previsto, inoltre, che i contratti collettivi possano regolare diversamente la materia del rapporto di lavoro pubblico solo su espressa autorizzazione della legge. Dettagliatamente sono stati, poi, regolati i meccanismi di valutazione dei dipendenti, di incentivazione della produttivit e della qualit delle prestazioni lavorative ai fini della progressione in carriera, nonch la responsabilit disciplinare del dipendente. La struttura del sistema contrattuale Abbiamo gi avuto modo di specificare come la contrattazione collettiva nel settore pubblico non tragga la propria legittimazione dal riconoscimento dell'autonomia privata dellart.1322 c.c., bens dalla disciplina contenuta nel D.Lgs.165/2001.
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Perno principale del sistema contrattuale il contratto nazionale di comparto, paragonabile nel settore privato al contratto nazionale di categoria: i comparti, infatti, sono settori omogenei o affini di amministrazioni pubbliche individuati da appositi accordi tra le confederazioni sindacali rappresentative e lAran (agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni); la legge stabilisce, soltanto, che i comparti non possano essere pi di 4, cos come 4 sono le aree contrattuali autonome previste per i dirigenti. Qualora sia necessaria, tra laltro, una disciplina uniforme per tutti i comparti, potranno essere stipulati, anche nel settore pubblico, Accordi quadro. Le pp.aa. possono attivare anche autonomi livelli di contrattazione collettiva integrativa, ossia una forma di contrattazione decentrata, sebbene essa debba attenersi alle regole di competenza fissate dalla contrattazione nazionale, altrimenti i contratti integrativi saranno nulli. Essi hanno il compito di dettare e prevedere una disciplina della retribuzione incentivante: il D.Lgs.150/2009 ha, per, previsto tale disciplina, sottraendo, quindi, gran parte dei compiti, alla contrattazione integrativa. I soggetti della contrattazione: rappresentanza dei lavoratori Nellambito del settore pubblico, possono sedersi al tavolo delle trattative per la conclusione dei contratti collettivi solo i sindacati maggiormente rappresentativi, ossia quelli che realizzano un indice di rappresentativit non inferiore al 5%, calcolato come media tra il dato associativo e quello elettorale. Per la conclusione del contratto collettivo, inoltre, occorre che a sottoscriverlo siano tanti sindacati che realizzino un indice di rappresentativit pari almeno al 51%, come media tra dato associativo e dato elettorale, ovvero al 60% se si assume solo il dato elettorale. Legittimati alla contrattazione integrativa, invece, sono la RSU, insieme alle rappresentanze dei sindacati firmatari del contratto nazionale qualora questultimo abbia cos disposto: sempre, quindi, il contratto nazionale di categoria a stabilire i poteri della RSU e dei sindacati firmatari del contratto nazionale, proprio come avviene nel settore privato. I soggetti della contrattazione: la rappresentanza delle amministrazioni Chiarito a chi spetta la rappresentanza dei lavoratori nellambito di accordi contrattuali sia nazionali che decentrati, dobbiamo sottolineare cha la rappresentanza delle amministrazioni pubbliche spetta, a partire dal 1992 e dalla riforma dello stesso anno, allAran, agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni. In precedenza, invece, spettava a particolari delegazioni formate da rappresentanti politici di governo, molto spesso incompetenti e sottoposti a pressioni di tipo elettoralistico. LAgenzia, invece, rappresenta tutte le pubbliche amministrazioni nella conclusione di contratti nazionali ed assiste le singole amministrazione nella conclusione di contratti integrativi (solo le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano hanno diritto a costituire proprie agenzie). LAran, per, nella sua azione non libera del tutto, in quanto vincolata ad atti di indirizzo dei comitati di settore: il primo comitato costituito nellambito della Conferenza delle Regioni, per ci che concerne le stesse Regioni, gli enti regionali ed il Servizio Sanitario nazionale; il secondo comitato, invece, costituito nellambito dellAnci (associazione nazionale comuni italiani), dellUpi (unione province italiane) e dellUnioncamere, per ci che riguarda gli Enti locali, le Camere di commercio ed i segretari
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comunali/provinciali; il terzo comitato rappresentato dal Presidente del Consiglio dei Ministri tramite il Ministro per la pubblica amministrazione e linnovazione, di concerto con il Ministro delleconomia, che rappresenta tutte le altre amministrazioni pubbliche. Inoltre lAran, per sottoscrivere definitivamente un contratto collettivo, deve ottenere il parere favorevole del comitato di settore interessato sullipotesi di accordo, ossia sullaccordo gi predisposto a cui manca soltanto la firma. Il procedimento contrattuale Per ci che concerne la contrattazione nazionale, vi una fase preliminare alla vera e propria contrattazione, che consta di 3 momenti: La legge finanziaria stabilisce gli oneri di spesa per lo Stato, mentre quelli a carico delle altre amministrazioni vengono fissati dai propri bilanci; Il comitato di settore o il Presidente del Consiglio impartiscono gli indirizzi allAgenzia; Si individuano i sindacati abilitati alla trattativa. Spetta, poi, allAran portare avanti la trattativa con i sindacati e trovare un accordo, su cui dovr esprimere parere favorevole il comitato di settore interessato (trattasi di parere favorevole e non di autorizzazione, in quanto lAran ed il comitato curano il medesimo interesse). Per sottoscrivere il contratto collettivo, tra laltro, lAran non necessita SOLO del parere favorevole di cui sopra, ma anche della certificazione di compatibilit dellaccordo con il bilancio, emessa dalla Corte dei conti, che in poche parole va a verificare la copertura finanziaria del contratto. In caso di esito negativo, lAran deve riaprire il tavolo delle trattative con i sindacati per ridurre i costi; in caso di esito positivo, invece, pu sottoscrivere il contratto. Per ci che concerne, invece, i contratti integrativi, la disciplina rimessa interamente alla contrattazione nazionale ed il controllo sui costi viene svolto dal collegio dei revisori dei conti o dai servizi interni. Lefficacia soggettiva del contratto collettivo Il contratto collettivo pubblico , anchesso, un atto di autonomia privata e pertanto si pone, anche in questo caso, il problema della sua efficacia soggettiva (ossia: verso chi produce i propri effetti?). LAran, come abbiamo detto, rappresenta tutte le pubbliche amministrazioni e pertanto facilmente intuibile che il contratto collettivo, da essa stipulato, produca direttamente i propri effetti nei confronti delle amministrazioni, che tra laltro non possono corrispondere trattamenti economici inferiori rispetto a quelli dedotti nel contratto collettivo. Dal punto di vista dei lavoratori, invece, bisogna precisare che egli ha accettato un contratto individuale, il quale necessariamente opera un rinvio alla contrattazione collettiva: pertanto il contratto collettivo riprodurr i propri effetti anche su quello individuale, e quindi sul lavoratore.
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Ulteriori garanzie di controllo della spesa Sappiamo, grazie a quanto detto sinora e grazie al fatto che non siamo delle teste di cazzo, che risulta di fondamentale importanza la copertura economica di un contratto collettivo. Per tale motivo previsto che in contratti integrativi che non rispettino i limiti di bilancio, siano nulli. Unaltra norma prevede che lo stesso contratto collettivo debba contenere una previsione che permetta di prorogarne lefficacia o di sospenderne gli effetti, in caso di travalicamento dei limiti di spesa. Infine, qualora sorgano controversie circa linterpretazione di un contratto collettivo, le parti possono definire esse stesse il significato della clausola controversia e tale interpretazione retroagir al momento della stipulazione del contratto. Si tratta di uninterpretazione autentica (ricordiamo che si definisce autentica l'interpretazione delle legge effettuata dal medesimo organo che ha posto in essere l'atto normativo). Qualora a decidere sullinterpretazione del contratto collettivo sia chiamato un giudice, egli dovr sospendere il giudizio e permettere alle parti di fornire linterpretazione di cui sopra.
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CAPITOLO DECIMO SINDACATI E SISTEMA POLITICO


SEZIONE A: LA CONCERTAZIONE Lazione politica del sindacato ed il ruolo dei pubblici poteri nelle relazioni industriali Il sindacato nasce come forma organizzativa di pi soggetti per garantire le condizioni minime economiche e normative ai lavoratori, in modo da ottenere una vasta tutela soprattutto sotto il profilo della retribuzione. Col tempo, per, il concetto di sindacato, ed i poteri ad esso connessi, sono accresciuti, affiancando allazione economica quella politica. Possiamo distinguere due modelli sindacali: il sindacalismo economico/negoziale (business unionism), tipicamente statunitense, che privilegia gli obiettivi di carattere economico, senza avere rapporti di alcun tipo con il potere politico, e che sfrutta come unico strumento la contrattazione collettiva; ed il sindacalismo competitivo (competitive unionism), tipicamente britannico ed italiano, che pone in essere unazione tanto economica quanto politica, intrattenendo relazioni con i partiti politici e con i vari governi, e che auspica riforme di carattere economico-sociale. A partire dalla crisi petrolifera degli anni 70, come abbiamo gi detto, si ebbe una crisi dellintero mercato del lavoro, soprattutto sotto il punto di vista occupazionale. Lo Stato, pertanto, necessitava dellappoggio delle associazioni sindacali per portare avanti una politica socio-economica volta a risanare la situazione di crisi: per tal motivo, pian piano, esso assunse la veste di terza parte negoziale, assumendo in tal modo impegni politici allinterno della contrattazione, un tempo svolta solo tra le parti sociali (nacquero i c.d. accordi triangolari). La concertazione delle politiche economico-sociali Con lespressione concertazione sociale sintende il nuovo metodo di contrattazione triangolare delle scelte di politica economico-sociale. Esistono due concetti di concertazione, riferibili nel caso italiano, a due periodi diversi. Il primo concetto vede la concertazione come uno scambio politico fra lo Stato, da un lato, e le parti sociali, dallaltro: le parti sociali acconsentono a sacrifici immediati (contenimento delle retribuzioni, mancato miglioramento delle condizioni lavorative ecc.) per garantire il raggiungimento di determinati obiettivi, mentre lo Stato cerca di garantire compensazioni future, di carattere fiscale o ai fini delloccupazione: il verbo cerca, in tal caso, manifesta lassenza, talune volte, di tali compensazioni, magari per il mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati, nonostante la collaborazione delle parti sociali. Questo concetto di concertazione comporta un alto grado dinstabilit, in quanto i lavoratori potrebbero far venire meno il proprio appoggio ai sindacati, non riscontrando alcun beneficio in tali accordi triangolari. Il secondo concetto vede la concertazione come un vero e proprio metodo decisionale degli obiettivi economico-sociali comuni, cui partecipano tanto lo Stato, quanto le parti sociali, cui viene, pertanto, attribuita una quota di autorit e di responsabilit. Tale concetto, quindi, prevede un sistema di co- partecipazione alla vita del Paese, il che lo rende pi stabile: lo Stato, in tal caso e differentemente dal

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concetto precedente, non deve disporre di risorse economiche da scambiare, il che rende tale concertazione pi stabile. Il primo tipo di concertazione si avuto in Italia negli anni 80, mente nel decennio successivo si concretizzato il secondo tipo. Talune volte lo Stato italiano giunto, addirittura, alla consultazione delle parti sociali prima dellapprovazione di un provvedimento, e si parlato in tal caso di leggi negoziate, o ad autorizzare il contratto collettivo alla deroga o allintegrazione della disciplina legislativa, e si avuta la c.d. contrattazione delegata. Allinterno della XIV legislatura (2001-2006), si assistito alla creazione di un nuovo modello di dialogo sociale, pi che altro di matrice comunitaria: gli obiettivi di politica economico-sociale non sono pi pattuiti consensualmente dalla Stato con le parti sociali, bens sono fissati dallo Stato stesso, che si impegna solo alla consultazione ed allinformazione delle parti sociali (presentazione del Libro Bianco sul mercato del lavoro del 2001 e conseguente consultazione). Levoluzione storica della concertazione: gli anni 70 e 80 La prassi della concertazione, come abbiamo detto, inizi negli anni 70, in seguito alla notevole crisi che comport laumento dellinflazione e del deficit della spesa pubblica. Gi allinterno dellaccordo interconfederale del 26 gennaio 1977, lo Stato, pur rimanendo formalmente estraneo, si impegn a porre in essere provvedimenti legislativi in materia di occupazione, ricevendo in cambio una moderazione delle rivendicazioni salariali. Negli anni 80, invece, la situazione si complic notevolmente, in quanto le parti sociali (sindacati ed imprenditori) non riuscivano a modificare il sistema di indicizzazione dei salari al costo della vita, ossia il c.d. sistema della scala mobile. Lo Stato, questa volta, intervenne attivamente, impegnandosi ad emanare provvedimenti legislativi in materia di assegni familiari e di fiscalizzazione degli oneri previdenziali a carico delle imprese, e ricevendo in cambio una modificazione del sistema della c.d. scala mobile. Si ebbe, cos, il primo accordo triangolare il 22 gennaio 1983, chiamato Protocollo Scotti dal nome del Ministro del Lavoro dellepoca. Lanno successivo, nel 1984, un decreto del Governo Craxi, in seguito convertito in legge, conseguente ad un accordo con Cisl e Uil, tagli 4 punti percentuale della scala mobile, provocando linsurrezione della Cgil e del Pci guidato da Berlinguer, il quale promosse un referendum abrogativo, che per ebbe esito negativo. Per un periodo di tempo, vennero interrotte le prassi concertative, a causa dellaccordo che aveva escluso la Cgil. Il Protocollo del 23 luglio 1993 e la politica dei redditi Allinizio degli anni 90 il metodo concertativo venne recuperato, soprattutto a causa della previsione, in ambito UE, di un contenimento della crisi economica ed occupazionale tramite la fissazione di parametri che i Paesi europei avrebbero dovuto rispettare per partecipare allunione monetaria. In Italia vennero firmati due accordi triangolari di notevole importanza: il Protocollo Amato del 31 luglio 1992, che abol definitivamente il sistema della scala mobile, ed il Protocollo Ciampi/Giugni del 23 luglio 1993, con il quale, per la prima volta, Stato e parti sociali fissarono degli obiettivi comuni di politica dei
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redditi, legata cio allaccrescimento dei salari sulla base dellaumento della produzione e degli utili dimpresa. Secondo tale politica sarebbero stati fissati dei limiti allinflazione, tramite la previsione di un tasso dinflazione programmato entro il quale contenere la stessa, per conseguire una crescita occupazionale ed uno sviluppo economico tramite lallargamento della base produttiva ed una maggiore competitivit delle imprese. Il confronto con le parti sociali sarebbe stato preventivo rispetto ai processi decisionali, anche se il Governo avrebbe dovuto tenere conto dellesito del confronto. Il Protocollo del 93, quindi, non si basava sullo scambio politico tra vincoli (previsti per le parti sociali) e benefici (erogati dallo Stato), ma coinvolgeva le parti sociali nelle decisioni di politica economica, sulla base di obiettivi condivisi. Il Patto del 98: istituzionalizzazione e decentramento della concertazione In seguito al Protocollo del 93, la concertazione si rafforz sempre pi, sino ad arrivare al Patto sociale per lo sviluppo e loccupazione del 22 dicembre 1998 (Patto di Natale), allinterno del quale il metodo della concertazione venne rafforzato, assicurando autonomia e responsabilit tanto allo Stato quanto alle parti sociali. Venne previsto che anche le Regioni e gli Enti locali partecipassero alle procedure di concertazione, in merito, soprattutto, allesercizio dei compiti e delle funzioni devolute dallo Stato ai poteri locali, tramite sia una partecipazione alla concertazione nazionale dei vari livelli di governo locale, sia una concertazione territoriale vera e propria. Inoltre venne introdotta una duplice procedura concertativa: per le materie di politica sociale che comportassero un impegno di spesa a carico del bilancio dello Stato, era prevista una consultazione delle parti sociali ma la decisione finale spettava al Governo ed al Parlamento sovrano; per le materie di competenza delle parti sociali, che non comportassero un impegno di spesa a carico del bilancio dello Stato, la concertazione diveniva pi articolata, sulla base anche dellAccordo sulla Politica Sociale di Maastricht: Governo e parti sociali avrebbero dovuto confrontarsi sugli obiettivi da raggiungere e ci avrebbe comportato uniniziativa legislativa del Governo o, addirittura, un negozio bilaterale in merito allintervento da realizzare, tramite anche un procedimento in via negoziale e non legislativa. Praticamente il Patto del 98 confermava la concertazione come un metodo di condivisione degli obiettivi di politica economico-sociale, che assicurava alle parti autonomia e responsabilit e si fondava sul rispetto delle prerogative e dei diritti costituzionalmente garantiti, attribuendo una propria indipendenza e responsabilit alle parti sociali stesse in caso di attuazione delle politiche concertate nelle materie di propria competenza. N.B. molte parti di questo paragrafo sono state interamente riprese dal testo per limportanza delle materie trattate e delle definizioni fornite Il c.d. dialogo sociale ed il Patto per lItalia del 2002 Nel 2001 stato introdotto il metodo del dialogo sociale, in sostituzione di quello concertativo, il quale prevede che, nelle materie che non comportano un impegno di spesa a carico del bilancio dello Stato, ossia nelle materie di competenza delle parti sociali, questultimo ascolti preventivamente i sindacati e le organizzazioni rappresentative degli imprenditori, per poi addivenire ad un negoziato che si trasformi in un intervento legislativo del Governo o delle Regioni. Qualora laccordo non si raggiunga, il Governo (o la
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Regione) provveder autonomamente a disciplinare la materia. Il nuovo metodo, tra laltro, auspica un ritorno dellaccordo tra le sole parti sociali, separando la contrattazione collettiva dal potere legislativo, e facendo in modo di riconoscere a questultimo un ruolo sostitutivo della contrattazione. Inoltre il Libro Bianco, di cui abbiamo gi parlato, prevede una sostituzione della regola dellunanimit per la conclusione di accordi triangolari, sostituendola con quella maggioritaria, ma non inerente la rappresentativit delle organizzazione sindacali, bens il numero delle 3 confederazioni (non importa, quindi, se una confederazione rappresenta il 51% dei lavoratori e le altre 2 il restante 49%...importa soltanto che almeno 2 su 3 confederazioni siano daccordo), il che si concretizzato allinterno del Patto per lItalia Contratto per il lavoro del 5 luglio 2002, al quale hanno preso parte il Governo, la Cisl e la Uil, ma non la Cgil, considerata portatrice di degli interessi dei partiti politici di opposizione. In seguito al Patto suddetto, il Governo avvi la consultazione dei sindacati sugli interventi legislativi di maggior rilievo, quali lo schema di decreto attuativo della legge delega 30/2003, il progetto di riforma delle pensioni, lattuazione del D.Lgs.276/2003, in merito ai quali le parti sociali non ebbero alcun peso, tanto da svuotare di significato lo stesso Patto e provocare linsurrezione degli stessi sindacati, Cisl e Uil, che avevano preso parte ad esso. Il Protocollo del 23 luglio 2007 Il Protocollo su previdenza, lavoro e competitivit per lequit e la crescita sostenibili, del 23 luglio 2007, stato il frutto del ritorno al modello concertativo e dellabbandono del modello di dialogo sociale. A porre in essere tale ritorno stato il Governo Prodi, la cui legislatura stata breve per contrasti allinterno della compagine governativa, ma intensa per ci che concerne la concertazione. Il Protocollo, infatti, ha messo daccordo tutte le parti sociali ed ha toccato i temi pi importanti, i temi caldi inerenti il mercato del lavoro: il sostegno alla competitivit delle imprese, lattenuazione del cuneo fiscale (per chi non lo sapesse il cuneo fiscale o contributivo la differenza tra quanto il datore di lavoro paga a titolo di retribuzione al lavoratore e quanto il prestatore realmente percepisce, per le ingenti trattenute da parte dello Stato), lincentivazione della contrattazione di secondo livello (quella decentrata ed integrativa), il sistema previdenziale e gli ammortizzatori sociali, tutti temi di fondamentale importanza per il Paese. Lintesa in merito a questi argomenti, dopo una lunga trattativa, stata raggiunta e la legge che recepiva laccordo stata approvata, ma nel mese di gennaio 2008 il Governo entrato in crisi e la legislatura terminata. N.B. per lo studente: ragazzi mi raccomando, ricordate di mettere da parte le vostre idee politiche e di analizzare i fatti, nonostante i miei riassunti, essendo inerenti al libro di testo, manifestino idee politiche evidenti. Al di l del colore politico, infatti, molte cose fatte dal centro-sinistra ed altrettante poste in essere dal centro-destra sono meritevoli di attenzione. Il libro non la pensa cos, ma voi avete una vostra testa. Essere di sinistra o di destra non significa catalogare come negativi tutti i provvedimenti posti in essere dalla fazione opposta, altrimenti diventeremmo uguali ad Hitler o a Stalin, le due pi grandi teste di cazzo della storia recente (sebbene entrambi abbiano portato anche elementi positivi). Natura giuridica dei protocolli triangolari e problemi di legittimit costituzionale La Corte costituzionale, specie negli anni 80, ha avuto modo di pronunciarsi sulla legittimit delle concertazioni, specificando che esse non risultano lesive delle norme costituzionali, in quanto esse
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perseguono finalit di carattere pubblico e non prevedono vincoli giuridici per il potere sovrano che si manifesta tramite la volont, pur sempre, del Parlamento. Fino a che le concertazioni tenderanno a contemperare i vari interessi in gioco e non limiteranno il perseguimento degli interessi pubblici, non entreranno in alcun modo in contrasto con la nostra Costituzione. Inoltre la concertazione, al pari della contrattazione collettiva, e quindi gli accordi triangolari al pari dei contratti collettivi, sono manifestazioni dellautonomia sindacale collettiva, apparendo come due species di uno stesso geenus (lautonomia collettiva sindacale). SEZIONE B: IL DIALOGO SOCIALE NELLORDINAMENTO DELLUNIONE EUROPEA Unione europea e attivit negoziale delle organizzazioni sindacali Abbiamo visto come, in Italia ed in altri Paesi europei, sia cresciuta, col tempo, lesigenza dei poteri pubblici di ottenere lappoggio delle parti sociali per la propria azione politica di carattere economico- sociale. Tale esigenza stata avvertita anche a livello europeo e ci ha indotto il legislatore comunitario a riconoscere alle organizzazioni sindacali ed a quelle degli imprenditori un ruolo importante nella formazione delle politiche europee in materia sociale. Tuttavia, mentre nei vari Paesi europei, stata la forza delle organizzazioni sindacali ad ottenere riconoscimenti nellambito della contrattazione collettiva, prima, e della procedura di concertazione, poi, in ambito comunitario avvenuto un processo inverso: stato lo stesso legislatore comunitario a chiedere la partecipazione delle organizzazioni rappresentative alla politica sociale dellUnione. Ci non ha incontrato pochi ostacoli: le stesse organizzazioni sindacali dei vari Stati membri hanno tentennato per lungo tempo nellattribuire dei propri poteri ad organizzazioni, dello stesso genere, sovrannazionali. Inoltre per lungo tempo mancato un riconoscimento giuridico dei diritti sociali fondamentali, che invece si avuto con la Carta dei diritti fondamentali dellUnione europea del 2000 e, pi concretamente, con il Trattato di Lisbona del 2007, entrato in vigore il 31 dicembre 2009. Il dialogo sociale europeo, superando gli ostacoli di cui sopra, si comunque sviluppato dallalto verso il basso, a differenza del dialogo sociale interno a singoli Stati. Tuttavia, dobbiamo comunque ricordarci che lart.153 TFUE nega la competenza dellUnione in materia sindacale, come abbiamo avuto modo di dire nel secondo capitolo. Il dialogo sociale e gli accordi sindacali europei: procedure ed attuazione secondo il diritto dellUnione europea Al dialogo tra le parti sociali, e tra queste e le Istituzioni, sono dedicati gli artt.151-155 TFUE in materia di politica sociale. Lart.151 TFUE sottolinea come il dialogo sociale, al pari della promozione delloccupazione, del miglioramento del tenore di vita, dellaumento delloccupazione e dello sviluppo delle risorse umane, sia uno degli obiettivi principali di politica sociale dellUnione.

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Lart.152 TFUE riconosce, poi, valore istituzionale al Vertice sociale trilaterale per la crescita e loccupazione, organo formato dai rappresentanti dei lavoratori, degli imprenditori e del Consiglio, assicurandogli un ruolo di partecipazione attiva alle azioni comunitarie. Lart.153 TFUE indica, invece, le materie di competenza concorrente con gli Stati membri dellUnione, escludendone alcune di ampia rilevanza, quali il diritto allo sciopero, la serrata, il diritto di associazione e le retribuzioni. Solo nelle materie indicate da questo articolo sar ammesso un intervento dellUnione. Lart.154 TFUE attribuisce alla Commissione il compito di consultare le parti sociali a livello europeo, sia prima che durante la formulazione di una proposta legislativa da presentare in seguito al Consiglio (ricordiamo che la Commissione listituzione con potere diniziativa legislativa); sulla proposta le parti sociali esprimeranno una raccomandazione, sebbene non vincolante. Lart.155 TFUE prevede, poi, la facolt delle parti sociali, sulla materia oggetto di proposta, di comunicare alla Commissione che esse stesse intendono regolare la materia tramite la contrattazione collettiva, il che congela lazione della Commissione per un periodo di nove mesi. Gli accordi raggiunti in fase di consultazione o quelli posti in essere, autonomamente, dalle parti sociali, possono essere attuati tramite due procedure diverse: una prima procedura, definita come debole e che da luogo ad accordi liberi, prevede che allattuazione della disciplina provvedano gli Stati membri, il che ci fa ben capire che la stessa non risulter semplice, dato che dovranno provvedervi 27 Paesi diversi; la seconda procedura, definita come forte e i cui accordi sono definiti vincolati, prevede unazione dellUnione, tramite una proposta della Commissione e lapprovazione da parte del Consiglio (trattasi di procedura abbreviata, in cui il Parlamento non ha alcun ruolo), che provvede allemanazione di una decisione, che nella prassi viene considerata una direttiva. Lattuazione delle direttive attraverso la contrattazione collettiva Lart.153.3 TFUE prevede che gli Stati membri abbiano la facolt (non lobbligo) di affidare alle parti sociali, e pertanto alla contrattazione collettiva, su loro richiesta, lattuazione di direttive comunitarie emanate con procedura legislativa (ex procedura di coodecisione) o con procedura speciale per gli accordi collettivi vincolati. Laddove il contratto collettivo abbia efficacia erga omnes tale strumento pu essere adoperato senza problemi, mentre nel nostro ordinamento, dove tale efficacia, in forza della mancata attuazione dellart.39 Cost., non riconosciuta ai contratti collettivi, ladozione di tale strumento di difficile attuazione. Il Patto sociale del 1998 ha previsto, pertanto, che in tali casi si avvii una concertazione tra Stato e parti sociali, allinterno della quale le stesse parti devono emanare lavviso comune, ossia un parere in merito allattuazione della direttiva. Ricordiamo che lo Stato membro non obbligato a seguire tale procedura e potrebbe dare attuazione diretta alla direttiva comunitaria.
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Gli sviluppi pi recenti del dialogo sociale: nuove tecniche regolative e contrattazione collettiva europea Abbiamo visto come i vari articoli del TFUE promuovano lo strumento del dialogo sociale allinterno della politica sociale dellUnione. Il modello sociale europeo include tanto un dialogo sociale settoriale, che ha visto la trasformazione dei vecchi comitati paritetici in Comitati di dialogo settoriale, i quali hanno funzione consultiva su tutti i processi europei con effetti sociali, quanto lintervento del Fondo sociale europeo in materia di rafforzamento della coesione economica e sociale dellUnione. Inoltre stato previsto tutto un apparato di riconoscimento delle relazioni industriali transnazionali, realizzate tramite la contrattazione transnazionale collettiva, la quale esula dalloperato delle istituzioni.
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CAPITOLO UNDICESIMO LAUTOTUTELA ED IL DIRITTO DI SCIOPERO


Lautotutela degli interessi collettivi Lautotutela degli interessi collettivi la manifestazione di gran lunga pi importante delloperato sindacale. Essa pu manifestarsi tramite lo sciopero dei lavoratori, che la forma pi importante e tipica, ma vi sono tutta una serie di altre forme che analizzeremo nellultimo capitolo, sia dei lavoratori sia dei datori di lavoro. Grazie allautotutela una parte del conflitto sindacale riesce a far pressione sullaltra e manifesta, in tal modo, il proprio potere allinterno delle trattative (pensate allo sciopero dei lavoratori ILVA nei confronti del proprio datore di lavoro per rivendicare alcuni diritti: se a tale sciopero partecipa il 70%/75% dellILVA, il datore di lavoro potr riconsiderare la propria posizione. Se egli nota, invece, che a tale sciopero prende parte un numero modesto di lavoratori, egli non far altro che rafforzare il proprio potere al tavolo delle trattative). Tuttavia lo sciopero pu essere mirato a far pressione anche su un soggetto diverso, lo Stato, per spingerlo ad unazione di Governo pi rapida o migliore. Tra laltro vi sono forme di autotutela che formano oggetto di un diritto, addirittura costituzionalmente garantito, sebbene esercitato entro i limiti legali. Vi sono altre forme che costituiscono espressione della mera libert di una parte (pensiamo alla serrata dei datori di lavoro) ed infine vi sono manifestazioni di autotutela che configurano un illecito civile, amministrativo e nel peggiore dei casi penale. N.B. la parte che segue di fondamentale importanza, quindi se fino ad ora avete studiato mettendoci il 60% del vostro impegno, siete invitati, per vostro stesso interesse, ad aumentare tale percentuale nellanalisi dei capitoli dallundicesimo al quattordicesimo. Il diritto sindacale anzitutto diritto di sciopero. Senza di esso i sindacati non avrebbero alcun potere e non avrebbero, storicamente, acquisito alcun diritto. Sciopero e diritto: lineamenti storici Fino allemanazione del codice penale Zanardelli nel 1889, lo sciopero, di pari passo con lorganizzazione sindacale, veniva considerato come reato penale. Allinterno del suddetto codice, invece, lo sciopero non fu catalogato quale reato, purch posto in essere senza violenza e minacce. Tuttavia la giurisprudenza del tempo, molto spesso, tendeva a reprimere lo sciopero. Con lavvento dellordinamento corporativo nel 1926, lo sciopero venne nuovamente catalogato come reato penale, sebbene non per reprimere lorganizzazione sindacale, gi sotto il controllo del regime, ma per garantire loperativit della magistratura del lavoro. Lo stesso codice penale Rocco del 1931, quello ancora in vigore oggi, sanzionava come reati contro leconomia pubblica e contro la pubblica amministrazione tutti i mezzi di lotta sindacale, sia nel settore privato, sia in quello pubblico in merito, soprattutto, ai servizi essenziali. La L.146/1990 ha abrogato definitivamente le norme penali riguardanti lo sciopero nei servizi pubblici essenziali, disciplinando direttamente la materia.
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Lo sciopero nella Costituzione Il diritto di sciopero garantito, nellambito delle leggi che lo regolano, dallart.40 della nostra Costituzione. Il diritto di sciopero uno strumento di effettivit della libert sindacale: tramite tale strumento le organizzazioni sindacali possono far sentire il proprio peso e non confinare, ad un urlo pressoch muto, le proprie pretese (questa bellissima eh, non so neanche io come mi venuta). Lo sciopero, inoltre, un mezzo di partecipazione dei lavoratori non solo allattivit sindacale, ma alla vita economico-sociale del Paese: come se il lavoratore diventasse ununica cosa con il sistema di cui fa parte. Inoltre, di fondamentale importanza la connessione, ribadita anche dalla Corte costituzionale, tra lart.39 e lart.40 della Costituzione: la libert sindacale ed il diritto allo sciopero sono strettamente collegati, di modo che la prima non possa esistere senza il secondo. La Corte ha, inoltre, ribadito che la norma contenuta nellart.40 Cost. norma precettiva, da subito operante allinterno dellordinamento senza la necessit di un intervento legislativo, ipotizzata (la necessit), fino alla pronuncia della stessa Corte nel 1960 con la sentenza 29, da gran parte della dottrina. La sentenza in questione dichiar incostituzionale lart.502 c.p. che qualificava sciopero e serrata per fini contrattuali come delitti. A proposito della serrata, occorre precisare che mentre lo sciopero un diritto, la stessa soltanto unesplicazione della libert del datore di lavoro: non in alcun modo posta sullo stesso piano dello sciopero, proprio in considerazione della situazione di sottoprotezione sociale del lavoratore e della necessit di una maggiore tutela dello stesso. Lo sciopero nel diritto dellUnione europea La Carta dei diritti fondamentali dellUnione europea, proclamata nel 2000 e meglio conosciuta come Carta di Nizza, riconosce, nel vasto elenco di diritti tutelati, quello alla contrattazione collettiva ed allo sciopero, visto come mezzo dazione per la difesa degli interessi in caso di conflitti. La Carta in questione stata parificata ai Trattati solo a partire dal Trattato di Lisbona del 2007 entrato in vigore il 31 dicembre 2009. Sebbene vi sia un riconoscimento di tale importanza, lart.153 TFUE ha escluso il diritto di sciopero dalle materie di competenza concorrente tra Unione e Stati membri, affidando a questi ultimi, in via esclusiva, la disciplina del diritto in questione (ricordiamo che sono escluse anche altre materie: retribuzioni, diritto di associazione e serrata). Lo sciopero come diritto: conseguenze Data loriginaria scissione tra diritto pubblico e privato, lo sciopero, diritto costituzionalmente garantito, venne per un lungo periodo definito come diritto pubblico di libert, ossia operante nei confronti dello Stato, che non avrebbe in alcun modo potuto emanare provvedimenti in contrasto con tale diritto. Si comprese ben presto che il diritto di sciopero operasse anche nei confronti del datore di lavoro: la L.604/1966 sui licenziamenti individuali, dichiar nullo il licenziamento consecutivo allesercizio di libert sindacali, ivi compreso lo sciopero. La L.300/1970 (Statuto dei lavoratori) rafforz tale idea, sancendo come illeciti tutti i comportamenti discriminatori del datore di lavoro nei confronti dei lavoratori scioperanti.
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Si comprende come, nel passaggio dallo Stato liberale allo Stato sociale, lo sciopero si sia trasformato da una semplice libert in un vero e proprio diritto, il cui esercizio non punibile in alcun maniera (il libro riporta il principio qui iure so utitur, neminem laedit, ossia colui che esercita un diritto, non lede nessuno). Ovviamente ci comporta, comunque, la sospensione momentanea del rapporto di lavoro, facendo venir meno il sinallagma che lega le prestazioni oggetto del contratto di lavoro: quindi previsto che alle giornate di sciopero corrisponda una mancata retribuzione da parte del datore di lavoro, non essendoci prestazione lavorativa. Titolarit del diritto di sciopero La titolarit del diritto di sciopero non spetta alle organizzazioni sindacali, bens ai lavoratori. Si tratta, infatti, di un diritto individuale ad esercizio collettivo, ossia di un diritto che vada esercitato per tutelare interessi collettivi e non individuali: anche un solo soggetto pu scioperare per difendere dei diritti collettivi, cos come, al pari, possono scioperare una moltitudine di lavoratori senza dar luogo ad uno sciopero, perch magari mirano a tutelare interessi individuali. Gli scioperi dei lavoratori parasubordinati e le astensioni degli autonomi Varie sentenze della Corte costituzionale e lappoggio da parte della dottrina, hanno permesso di qualificare come titolari del diritto di sciopero non solo i lavoratori subordinati, ma anche coloro che, nonostante un diverso contratto, si trovano in una situazione di sottoprotezione sociale. Per tal motivo, godono del diritto di sciopero anche i lavoratori autonomi parasubordinati (ossia coloro che mettono la propria attivit autonoma al servizio di un datore di lavoro). Lastensione dal lavoro autonomo, invece, non costituisce esercizio del diritto di sciopero tutelato dallart.40 Cost.: in tal caso, infatti, non si ha alcuna sottoprotezione sociale tutelabile, limitandosi tale astensione ad integrare una manifestazione della libert associativa, di cui allart.18 Cost. ( il caso dellastensione dalle udienze degli avvocati). Natura giuridica del diritto di sciopero Prima di riassumere questo paragrafo, ripetiamo insieme alcune nozioni del diritto privato, giusto per rinfrescarci la memoria. Per diritto potestativo sintende una situazione giuridica soggettiva che attribuisce al titolare il potere di agire per la tutela di un proprio interesse, cui si contrappone la situazione di soggezione del soggetto nei cui confronti esercitato il diritto: questultimo non potr far nulla per impedire lesercizio del diritto potestativo. Per negozio giuridico sintende una dichiarazione di volont con la quale vengono enunciati gli effetti perseguiti ed alla quale lordinamento giuridico ricollega effetti (giuridici) conformi al risultato voluto. Si tratta di dichiarazioni di volont con le quali i privati esprimono la volont di regolare in un determinato modo i propri interessi, nellambito dellautonomia a loro riconosciuta dallordinamento. Per fatto giuridico sintende qualsiasi avvenimento al quale lordinamento ricolleghi conseguenze giuridiche.
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Date le definizioni, analizziamo la natura giuridica del diritto di sciopero. Una dottrina molto accreditata lo aveva definito come diritto potestativo da esercitare nei confronti del datore di lavoro, posto quindi in uno stato di soggezione. Tale definizione comportava, per, che il diritto di sciopero potesse essere esercitato SOLO nei confronti del datore di lavoro, per rivendicare interessi che lo stesso era in grado di soddisfare. Si tratta della teoria della disponibilit della pretesa. Messa da parte tale teoria, prendiamone in considerazione unaltra, la quale vedeva il diritto di sciopero come un negozio giuridico: in realt non pu essere condivisibile, in quanto nel lavoratore non vi alcun intento negoziale, che semmai potrebbe esistere nelle organizzazioni sindacali qualora esse concedessero unautorizzazione allo sciopero. Titolari del diritto, per, sono i lavoratori e non le organizzazioni sindacali: pertanto, tale teoria, inaccettabile. Il diritto di sciopero , in realt, un mero fatto giuridico: la difesa dellinteresse collettivo assume rilevanza per lordinamento, che vi ricollega leffetto giuridico della sospensione del rapporto di lavoro (se guardate la definizione generale vedrete come combacia perfettamente con il caso specifico). Sciopero e retribuzione Abbiamo gi detto che lo sciopero, sospendendo lattivit lavorativa oggetto del contratto di lavoro, fa venire meno anche la controprestazione retributiva del datore di lavoro. Ad essere sospesa, in base alla durata dello sciopero, la retribuzione nella sua interezza, ossia comprensiva di tutti gli elementi accessori, quali la tredicesima mensilit, altre mensilit aggiuntive, premi ecc. Inoltre lo sciopero comporta anche la diminuzione delle ferie: se esse rappresentano la possibilit per il lavoratore di recuperare le energie spese durante un anno di lavoro, non potranno essere erogate totalmente qualora il lavoratore non abbia speso alcun energia, appunto scioperando. Una dottrina meno accreditata, prevede invece che lo sciopero non debba ricadere n sulle ferie, n sugli elementi accessori della retribuzione, il che, per, non concepibile alla luce della sospensione dellattivit lavorativa. Caso particolare quello degli scioperi brevi, ossia quelli di durata inferiore alla giornata di lavoro. In tal caso bisogna tener conto dellunit tecnico-temporale infrazionabile della prestazione lavorativa, prevedendo che una sospensione della retribuzione in tal caso, inerente lintera giornata lavorativa, concepibile solo nel momento in cui lattivit lavorativa perda di significato: al di sotto dellunit tecnico- temporale, infatti, sar ammessa la sospensione della retribuzione. N.B. non mi sono soffermato sul concetto di unit tecnico-temporale in quanto lo ritengo superfluo ai fini dellesame. Basta comprenderlo in linee generali. Le attivit strumentali allesercizio dello sciopero Oltre allo sciopero, legittime sono anche tutte quelle attivit strettamente collegate allo stesso, quali la propaganda, volta alla promozione dello sciopero, le pubbliche manifestazioni, per far si che anche il resto dei cittadini solidarizzi con i lavoratori scioperanti, i cortei interni, sebbene non debbano essere occasione per la commissione di atti illeciti e il picchettaggio, ossia lorganizzazione di una vigilanza allingresso dei luoghi di lavoro, volta a non far entrare neanche coloro che non aderiscono allo sciopero e considerata illecita qualora posta in essere con violenza o minacce.
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CAPITOLO DODICESIMO LIMITI AL DIRITTO DI SCIOPERO


La tecnica definitoria Lart.40 Cost. recita:<< Il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano>>. Va precisato, per, che tale enunciato non presuppone che lo sciopero possa essere attuato solo in presenza di una legislazione a riguardo, bens che lo sciopero, presto o tardi, avrebbe meritato una tutela legislativa in aggiunta al dettato costituzionale, in assenza della quale avrebbe a ci supplito la giurisprudenza. In effetti fino al 1980 si utilizzata la cosiddetta tecnica definitoria, dando appunto una definizione di sciopero limitata da alcuni elementi: lattinenza ad un rapporto subordinato, la continuit dellastensione (non a singhiozzo) ecc. Tutti elementi, dunque, in assenza dei quali non si poteva applicare la tutela costituzionale e non si poteva parlare, a livello giuridico, di sciopero. Con la sentenza 711/1980 della Cassazione, la linea interpretativa giurisprudenziale cambi drasticamente, avvicinandosi a quella dottrinale: la Corte chiar che parlando di sciopero si dovesse prendere in considerazione il significato della parola allinterno del contesto sociale, ossia nella prassi, e non la nozione fornita dalla tecnica definitoria, ovviamente senza fare in modo che per sciopero sintendesse qualsiasi manifestazione di lotta che i soggetti designassero come tale (per esempio loccupazione di fabbrica). Fino a tale sentenza, per, sussistita la distinzione tra limiti interni dello sciopero, dati dal coordinamento e dal contemperamento dei vari valori costituzionali, e limiti esterni dello sciopero, argomentati tramite la tecnica definitoria. Tale distinzione, ovviamente in forza della sentenza di cui sopra, stata superata. SEZIONE A: GLI INTERVENTI DELLA CORTE COSTITUZIONALE SULLE NORME PRECOSTITUZIONALI INCRIMINATRICI DELLO SCIOPERO Sciopero-diritto e sciopero-reato Abbiamo gi avuto modo di precisare come, anteriormente alla Costituzione, fossero in vigore norme del codice penale che definivano lo sciopero come reato, residuo dellordinamento corporativo fascista. In realt tali norme rimasero in vigore anche dopo lemanazione della Costituzione, entrando cos in contrasto con lart.40. La L.146/1990, che ha disciplinato lo sciopero nei servizi pubblici essenziali, ha abrogato gli artt.330 e 333 c.p. che vietavano lo sciopero in tali servizi. Sono rimasti, per, in vigore gli artt.502 al 508 c.p. Solo lart.502 venne dichiarato incostituzionale dalla Corte , il quale puniva la serrata e lo sciopero per fini contrattuali, ma la Corte non ha esteso, pur potendo farlo, lillegittimit ai successivi articoli, limitandosi alla manipolazione degli stessi, attraverso dichiarazioni dincostituzionalit parziale. Lo sciopero politico Soffermiamoci ora sugli art.503 e 504 del codice penale. Il primo prevede il reato di sciopero politico, mentre il secondo prevede il reato di sciopero volto a costringere lautorit ad emanare o a non emanare un provvedimento, o comunque ad influire su di essa. Secondo la tecnica definitoria giurisprudenziale sopra descritta e in forza dellorientamento dottrinale secondo cui lo sciopero potesse essere posto in essere solo come diritto potestativo nei confronti del datore di lavoro, gli artt.503 e 504 c.p. erano
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pienamente legittimi e compatibili con lart.40 Cost. In seguito, per, abbiamo visto come sia lorientamento dottrinale di questo genere, sia la tecnica definitoria, siano venuti meno, dando luogo ad una nuova linea dottrinale che concep la distinzione tra sciopero politico in senso stretto, ossia inerente alle linee politiche generali di un Governo in materie differenti da quelle del lavoro, e sciopero economico- politico, posto in essere al fine di rivendicare i diritti dei lavoratori e riguardante le condizioni socio- economiche degli stessi. Inizialmente la Corte costituzionale abbracci questa nuova teoria, prevedendo che legittimo fosse lo sciopero politico posto in essere al fine di tutelare gli interessi collettivi dei lavoratori, per spingere, quindi, lo Stato ad intervenire su una materia o ad evitare interventi sulla stessa. In seguito si comprese come anche lo sciopero politico puro (non solo, quindi, economico-politico), sebbene non fosse direttamente tutelato dallart.40 Cost., fosse ugualmente un mezzo di partecipazione allorganizzazione politica, sociale ed economica del Paese, al pari di quanto previsto in tema di uguaglianza sostanziale dallart.3 comma 2 Cost., e che quindi fosse comunque una libert, sebbene non un diritto. Si giunse, quindi, a dichiarare quasi totalmente incostituzionale lart.503 c.p.: la Corte costituzionale lo lasci in vigore per i soli casi in cui lo sciopero politico avesse tentato di sovvertire lordinamento costituzionale o laddove, oltrepassando i limiti di una legittima forma di pressione, avesse impedito il libero esercizio dei diritti e poteri nei quali si manifesta la sovranit popolare. La questione rimane, tuttora, incerta, in quanto non si ben capito, in quanto non precisato, quale siano i limiti di una legittima forma di pressione e cosa debba intendersi per impedimento del libero esercizio, laddove sarebbe necessario anche il dolo degli scioperanti (es. sciopero del settore dei trasporti impedisce una riunione parlamentare: non c dolo, quindi il reato non dovrebbe sussistere). Il medesimo ragionamento, comunque, venne adottato anche per lart.504 c.p. Concludiamo dicendo che, comunque, i due articoli sono ancora in vigore allinterno del nostro ordinamento, sebbene particolarmente manipolati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale. Lo sciopero di solidariet Allinterno del nostro ordinamento risulta ancora in vigore lart.505 c.p., il quale vieta il c.d. sciopero di solidariet. La Corte costituzionale, con la sentenza 123/1962 ha legittimato tale sciopero, che ricorre quando alcuni lavoratori scioperino senza avanzare pretese inerenti il proprio rapporto di lavoro, ma semplicemente per solidarizzare con le rivendicazioni di altri gruppi oppure contro la lesione di interessi di un singolo lavoratore, solo nel caso in cui vi sia una comunanza di interessi, ossia degli interessi condivisi, tra chi sciopera e chi vede lesi i propri diritti/interessi. Qualora questa comunanza manchi, si applica lart.505 c.p. SEZIONE B: SCIOPERO E LIBERTA DINIZIATIVA ECONOMICA Le c.d. forme anomale di sciopero Analizziamo ora limpatto che lesercizio del diritto di sciopero ha sullattivit imprenditoriale. Fino al 1980, anno in cui fu emanata la sentenza 711 della Corte di Cassazione che segn labbandono della tecnica definitoria e dei conseguenti limiti imposti alla definizione di sciopero, la giurisprudenza ha ritenuto illegittime alcune forme anomale di sciopero, tra cui gli scioperi a singhiozzo, ossia quelli che prevedono unastensione dal lavoro frazionata nel tempo in periodi brevi, e gli scioperi a scacchiera,
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ossia quelli che prevedono lalternanza dellastensione dal lavoro di gruppi di lavoratori in tempi diversi. Si parla, in tali casi, di sciopero articolato, il quale richiede unampia forza di coesione tra i lavoratori, che permette agli stessi di limitare al minimo le perdite retributive. Sciopero articolato e danno ingiusto Abbiamo visto come per tecnica definitoria sintendesse la definizione aprioristica della nozione di sciopero, la quale avrebbe dovuto contemplare alcuni elementi, tra cui la totalit dello sciopero, intesa sia come astensione contemporanea di tutti gli scioperanti dallattivit lavorativa, sia come continuit temporale dellastensione. In base a questa concezione, la giurisprudenza elabor la teoria del danno ingiusto o della corrispettivit dei sacrifici, secondo cui lo sciopero articolato (a scacchiera o a singhiozzo) causava al datore di lavoro un danno ingiusto, non proporzionato al mancato pagamento della retribuzione. In realt la stessa giurisprudenza non definiva il danno ingiusto. I lavoratori, inoltre, non devono sottostare ad alcuna proporzione tra il danno causato e la mancata retribuzione, in quanto lo sciopero posto in essere proprio al fine di rendere il pi efficace possibile il danno stesso, per la tutela degli interessi collettivi. Sciopero e responsabilit aquiliana In realt il danno ingiusto si verifica solo nel caso in cui venga leso linteresse del datore di lavoro alla conservazione dellorganizzazione aziendale, non al mero svolgimento dellattivit produttiva: solo in tal caso si potrebbe avere una responsabilit aquiliana (extracontrattuale) dei lavoratori. Tale teoria venne elaborata dalla dottrina (Ghera, qualcuno lo avr gi sentito nominare) ed accettata dalla giurisprudenza della Cassazione nella sentenza 711/1980, la quale neg che la legittimazione o meno di uno sciopero dipendesse dalla distribuzione temporale o della partecipazione allo stesso. Il danno alla produttivit La decisione della Cassazione nella sentenza 711/1980 segn labbandono della tecnica definitoria e dei limiti interni allo sciopero, ossia quelli inerenti alla sua nozione, ma conferm come lo stesso sciopero potesse incontrare dei limiti riscontrabili allinterno di altre norme costituzionali: si trattava, in sostanza, di contemperare linteresse tutelato dallart.40 Cost. ed altri interessi costituzionali. Uno di questi interessi, che possono limitare lesercizio del diritto di sciopero, quello inerente la libert diniziativa economica dellimprenditore, contenuto allinterno dellart.41 Cost. Lo sciopero, in pratica, non deve recare un DANNO ALLA PRODUTTIVITA, ossia non deve pregiudicare irreparabilmente la produttivit, la capacit di produrre dellazienda, ossia la possibilit per limprenditore di continuare a svolgere la propria attivit economica. Non si tratta, quindi, di una DANNO ALLA PRODUZIONE, ossia alla possibilit di trarre ricavo/guadagno dalliniziativa economica, che invece pu essere arrecato proprio per danneggiare limprenditore al fine di ottenere una maggior tutela dei diritti dei lavoratori. Distinzione tra danno alla produzione e danno alla produttivit Tuttavia talune volte pu capitare che un danno alla produzione, che riguarda i mancati utili dellimprenditore, si trasformi, in situazioni particolari, in un danno alla produttivit, ossia alla capacit
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dellimprenditore di continuare ad esercitare la propria attivit economica. Il confine, quindi, segnato dalla sentenza 711/1980 pu divenire molto sottile. Particolari sono i casi dellindustria siderurgica e chimica, in cui alcuni impianti non possono essere fermati senza degradare gli stessi o senza che il materiali si deperisca. In queste situazioni vengono previste le c.d. comandate, ossia degli accordi tra sindacati e datori di lavoro che permettano la continuazione dellattivit da parte di alcuni prestatori, in maniera tale da non arrecare alcun danno alla produttivit (immaginate un danno ad un altoforno dellILVA). Anche in mancanza di tali accordi, gli stessi lavoratori devono predisporre, in caso di sciopero, un piano di lavoro per alcuni prestatori, onde evitare di incorrere nella responsabilit extracontrattuale, a norma dellart.2043 c.c., di cui parlavamo prima. I limiti al diritto di sciopero nella giurisprudenza della Corte di giustizia europea In questo paragrafo lautore prende in considerazione il rapporto tra libert economiche previste allinterno dellUnione europea e diritto di sciopero, analizzando due differenti decisioni della Corte di Giustizia dellUnione europea. Analizziamo prima i due casi specifici e poi prendiamo in considerazione le due decisioni a riguardo. Caso Viking (mi sento come quelli di Matrix o di altri programmi che descrivono laccaduto): una societ di trasporti finlandese, la Viking appunto, al fine di applicare la contrattazione collettiva di un altro Paese membro e di poter retribuire in maniera inferiore i propri dipendenti, cambia bandiera alle proprie navi, registrandole in Estonia. I sindacati e la Federazione internazionale dei lavoratori nel settore dei trasporti (ITF) avviano unazione sindacale, invitando gli affiliati della stessa ITF a non avviare trattative con la Viking. Il caso finisce dinanzi ad un giudice inglese, che sospende il giudizio e chiede alla Corte di Giustizia di pronunciarsi sulla possibilit di unazione sindacale di impedire ad un datore di lavoro di avvalersi della libert di stabilimento. Caso Laval: una societ lettone, la Laval appunto, distacca alcuni dipendenti in Svezia presso unaltra societ, controllata al 100% dalla Laval. I sindacati chiedono di applicare il contratto collettivo svedese a tali lavoratori, ma non si riesce a concludere laccordo. I sindacati, allora, bloccano laccesso delle merci in cantiere ed impediscono ai lavoratori lettoni di entrarci. In seguito il sindacato svedese degli elettrici, tramite unazione di solidariet, impedisce alle imprese di installatori elettrici di fornire servizi alla Laval. Questultima ricorre dinanzi ad un giudice, che sospende il giudizio e rimette la decisione inerente la compatibilit dellazione sindacale con la libera prestazione di servizi, nelle mani della Corte di Giustizia. La Corte di Giustizia, dopo aver riconosciuto il diritto allo sciopero come principio fondamentale del diritto comunitario, permette alle libert economiche in questione (libert di stabilimento e libera prestazione di servizi) di prevalere sul diritto di sciopero, il quale pu limitare le libert economiche, a detta della Corte, soltanto se persegue un obiettivo legittimo compatibile con il Trattato e solo a patto che sia giustificato da ragioni dinteresse generale, qualora, tra laltro, risulti impossibile una diversa azione volta allo stesso scopo e non limitativa delle libert economiche, in quanto questa stessa azione (lo sciopero) potrebbe travalicare ci che necessario per raggiungere lo scopo. In poche parole lo sciopero va posto in essere per limitare tali libert solo entro certi limiti e solo in casi estremi.
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Punto primo: quale Trattato attribuisce alla Corte di Giustizia il potere di limitare il diritto di sciopero, dato che lUnione Europea non ha competenza in materia, proprio in forza dellart.153 TFUE???e detto ci, la Corte non dovrebbe esprimersi solo sullosservanza delle norme del Trattato e dei principi generali comunitari, ma solo nelle materie di competenza, esclusiva e concorrente, dellUnione? Punto secondo: perch viene dato per scontato che la Viking stia esercitando semplicemente la libert di stabilimento e non stia manipolando la stessa per un fine distorto o fraudolento??? Punto terzo: perch la Corte di Giustizia, pur ponendo sullo stesso piano le libert economiche e la libert di intraprendere azioni collettive (come lo sciopero), permette alle seconde di prevalere??? Punto quarto e di maggiore importanza: perch la Corte di Giustizia, data la mancanza di competenza in materia dellUnione per espressa previsione del legislatore comunitario, NON SI FA I CAZZI SUOI E CI EVITA DI STUDIARE 4 PAGINE DI LIBRO PESANTISSIME, CHE MAGARI ALLESAME NON CI CHIEDERANNO MAI, MA CHE COMUNQUE DOBBIAMO FARE PERCHE ABBIAMO PAURA DI UNIPOTETICA DOMANDA SU QUESTO ARGOMENTO?PERCHE LA CORTE DI GIUSTIZIA NON SE NE VA A FARE IN CULO??? N.B. scusate ragazzi ma mi scappata lultima osservazione. N.B.2. Mi raccomando non tenetene conto in fase di studio e soprattutto non portatela allesame.
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CAPITOL TREDICESIMO SCIOPERO E SERVIZI ESSENZIALI


Premessa Lesercizio del diritto di sciopero allinterno di servizi pubblici essenziali, oltre a causare un danno al datore di lavoro al pari di ci che avviene per altri tipi di rapporti lavorativi, causa un danno anche allutenza, ossia a tutti i cittadini che sfruttano e necessitano di tali servizi. Ed anzi, talune volte, il fine di questo tipo di scioperi proprio quello di provocare una reazione degli utenti. La materia, per la sua importanza, stata disciplinata dalla L.146/1990, poi modificata dalla L.83/2000, primo esempio legislativo di disciplina del diritto di sciopero. La giurisprudenza costituzionale sugli artt.330 e 333 c.p. Prima della L.146/1990 la materia era disciplina dagli artt.330 e 333 c.p., i quali prevedevano il reato di abbandono collettivo ed individuale di un pubblico servizio. Talune leggi speciali, invece, vietavano o limitavano il diritto di sciopero in alcuni casi specifici (es. L.121/1981 inerenti il divieto di sciopero per la Polizia di Stato). Fatti salvi i divieti della normativa speciale, la legge 146/1990 ha previsto che siano classificati come servizi pubblici essenziali solo quelli funzionali allesercizio di diritti costituzionalmente garantiti di rango superiore o paritario; inoltre il legislatore ha previsto che in tali settori il diritto di sciopero possa essere esercitato, ma senza impedire leffettivo godimento dei diritti di cui sopra e contemperando il diritto di sciopero e laltro diritto costituzionale, garantendo dei servizi minimi anche in costanza dello sciopero stesso. I servizi essenziali Sono servizi essenziali secondo lart.1 della L.146/1990 quelli volti a garantire i diritti della persona costituzionalmente tutelati, enunciati nello stesso articolo, ossia il diritto alla vita, alla salute, alla libert ed alla sicurezza, alla libert di circolazione, allassistenza ed alla previdenza sociale, allistruzione ed alla libert di comunicazione. Sempre lart.1 precisa che la definizione di servizi essenziali esuli dalla natura giuridica del rapporto di lavoro, pubblico o privato. Lart.2 contiene, poi, un elenco esemplificativo dei servizi essenziali. Lastensione dal lavoro dei lavoratori autonomi Abbiamo avuto modo di dire, nei precedenti capitoli, che titolare del diritto di sciopero non solo il lavoratore subordinato, ma anche quello parasubordinato, con lesclusione dei lavoratori autonomi. Nella L.146/1990 vi era gi la volont del legislatore di estendere la normativa oltre il confine del lavoro subordinato, ma il legislatore non era stato abbastanza chiaro ed esplicito, nonostante in seguito la dottrina lo avesse appoggiato. La Corte Costituzionale, in una sentenza del 1994, aveva ribadito come fosse necessaria unintegrazione della disciplina legislativa, dato che la L.146 comprendeva solo il diritto di sciopero, di cui non godevano (e non godono) i lavoratori autonomi. In una successiva pronuncia, due anni pi tardi, la Corte aveva ritenuto
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incostituzionali due commi dellart.2 della legge 146, prevedendo che un congruo preavviso inerente lastensione dallattivit lavorativa dovesse essere dato anche da coloro che non godevano del diritto di sciopero, sebbene erogassero servizi essenziali. La L.83/2000 ha colmato la lacuna della legge 146, prevedendo dei limiti anche allastensione dalla propria attivit di lavoratori autonomi esercenti servizi pubblici essenziali. Il preavviso e lobbligo di indicare la durata Gi la L.146 nel suo testo originario, antecedente alla modifica del 2000, prevedeva tre limiti al diritto di sciopero per i servizi pubblici essenziali: Obbligatoriet del preavviso; Indicazione preventiva della durata dello sciopero; Previsione di misure per garantire i servizi indispensabili. La L.83/2000 ha inserito un ulteriore limite: Obbligo di esperire una procedura di raffreddamento e di conciliazione prima della proclamazione dello sciopero, secondo quanto previsto dai contratti collettivi (il che obbligherebbe solo gli iscritti ai sindacati firmatari) o, in assenza, secondo quanto previsto dalla stessa legge. In costanza della procedura non possibile n proclamare lo sciopero, n per i datori di lavoro adottare delle contromisure. Abbiamo citato lobbligo di preavviso. La durata minima, derogabile dai contratti collettivi, di 10 giorni ed il preavviso deve essere contenuto in una comunicazione scritta, indicante la durata, le modalit e le motivazioni dello sciopero, da consegnarsi allimpresa/amministrazione che eroga il servizio ed allautorit competente alla precettazione, che la trasmetter alla Commissione di garanzia. Le imprese/amministrazioni, invece, almeno 5 giorni prima dello sciopero, devono comunicare allutenza come il servizio continuer ad essere erogato ed in quali tempi. Importante, per ci che concerne lo sciopero allinterno dei servizi pubblici essenziali, il c.d. effetto annuncio: una gran parte dellutenza, avuta notizia dello sciopero, tende a non utilizzare proprio quel servizio nei giorni previsti, il che comporta un potere maggiore delle organizzazioni sindacali, le quali potrebbero, senza ricorrere allo sciopero, ottenere ugualmente il soddisfacimento delle proprie pretese. Tuttavia la L.83/2000 ha previsto che la revoca dello sciopero, una volta che ne stata data notizia allutenza, costituisce una forma sleale di azione sindacale, almeno che non sia giustificata da un accordo specifico tra le parti o un impegno a riprendere le trattative, oppure da una richiesta della Commissione di garanzia o dellautorit competente per la precettazione. Sono previste, tuttavia, delle deroghe allobbligo di preavviso in due casi ben distinti: Sciopero in difesa dellordine costituzionale: situazione estrema in cui la minaccia dellordine costituzionale provoca la reazione dei lavoratori tramite lo sciopero;
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Sciopero di protesta per gravi eventi lesivi dellincolumit e della sicurezza dei lavoratori. Essendo casi eccezionali, infatti, non ipotizzabile un preavviso che svuoterebbe di significato lazione di sciopero. Le prestazioni indispensabili Uno dei limiti imposti al diritto di sciopero, in ambito di servizi pubblici essenziali, costituito dallobbligatoriet di garantire i servizi indispensabili anche in costanza dello sciopero: si parla, in tal caso, di prestazioni indispensabili. Il compito di individuare le prestazioni indispensabili e di organizzarle spetta alla contrattazione collettiva, per ci che concerne i lavoratori subordinati, ed ai codici di autoregolamentazione delle associazioni di categoria, per ci che riguarda i lavoratori autonomi, i professionisti ed i piccoli imprenditori. Sia gli accordi che i codici di autoregolamentazione devono, non solo, individuare le prestazioni indispensabili, ma anche prevedere delle misure per lerogazione delle stesse: pu trattarsi di misure che prevedano lo sciopero solo di alcune quote di lavoratori, con lesercizio dellattivit lavorativa da parte di altri, oppure di misure che prevedano unerogazione periodica dei servizi nella loro totalit ed un assenza in altri periodi. Non va dimenticato, inoltre, lobbligo di rarefazione, il quale prevede che gli accordi debbano indicare periodi minimi di tempo tra uno sciopero e laltro, onde evitare una mancata continuit dei servizi pubblici. Va sottolineato come tali accordi si applichino anche ai lavoratori non iscritti ai sindacati firmatari dellaccordo collettivo inerente le prestazioni indispensabili. Tra laltro, un organismo appositamente costituito, ossia la Commissione di garanzia dellattuazione della legge, deve valutare lidoneit dellaccordo e la sua conformit alle previsioni legislative, oltre a poter prevedere regole provvisorie in mancanza dellaccordo stesso. La regolamentazione provvisoria della Commissione di garanzia A stabilire modalit di esercizio degli scioperi nei servizi pubblici essenziali e ad identificare le prestazioni indispensabili, interviene lautonomia collettiva, che in tal caso, per, si presenta come unautonomi guida e controllata. Gi la legge del 1990 aveva, infatti, istituito unautorit amministrativa indipendente, la Commissione di garanzia per lattuazione della legge, composta da 9 membri, esperti in materia di diritto costituzionale, del lavoro e sindacale, designati dai Presidenti delle Camere e nominati dal Presidente della Repubblica, la quale non risponde al Governo n a nessunaltra autorit, essendo i suoi membri inamovibili, ed il cui compito di gran lunga pi importante costituito dalla valutazione dellidoneit degli accordi collettivi a realizzare il giusto contemperamento di interessi tra il diritto di sciopero e gli altri diritti costituzionalmente garantiti e determinanti allinterno dei servizi pubblici essenziali. Qualora laccordo tra le parti sociali non venga raggiunto o risulti inidoneo al suo scopo, la Commissione formula essa stessa una proposta, che qualora non venga accettata, opera comunque provvisoriamente. Le parti sociali potranno, tra laltro, interrompere tale operativit tramite un accordo, pur sempre adeguandosi alle linee guida della Commissione, per poter ottenere un proprio parere vincolante positivo sullaccordo stesso.
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Le sanzioni La Commissione di garanzia per lattuazione della legge possiede, inoltre, un elevato potere sanzionatorio, accresciuto dalla modifica apportata dalla L.83/2000. Essa, anzitutto, pu valutare il comportamento delle parti di un conflitto sindacale ed aprire, nei loro confronti, un procedimento, dufficio o su istanza di una delle parti; tale procedimento va notificato alle parti, che hanno trenta giorni per chiedere di essere sentite. Entro e non oltre 60 giorni, comunque, la Commissione deve pronunciarsi sul comportamento della parte sociale interessata, deliberando una sanzioni ed indicando un termine entro il quale la decisione deve essere eseguita. Per ci che concerne i lavoratori aderenti ad uno sciopero illegittimo, la Commissione pu deliberare sanzioni in proporzione allinfrazione, escluso, per, il licenziamento. I dirigenti dellamministrazione/impresa per cui lavorano tali lavoratori devono eseguire la decisione della Commissione, dovendo una somma pecuniaria, a titolo di sanzione, per ogni giorno di ritardo nellapplicazione. Nei confronti, invece, delle organizzazioni sindacali che proclamino uno sciopero in violazioni delle disposizioni inerenti il preavviso, la comunicazione scritta, lindicazione della durata e delle modalit dello sciopero, lesperimento obbligatorio della procedura di raffreddamento, la Commissione pu prevedere: La sospensione dei permessi sindacali retribuiti; Il mancato recepimento dei contributi sindacali, girati allINPS; Lesclusione dalle trattative; In assenza di benefici patrimoniali e di partecipazione alle trattative, pu essere prevista una sanzione amministrativa pecuniaria a carico dellorganizzazione sindacale. Anche per le organizzazioni dei lavoratori autonomi, dei professionisti e dei piccoli imprenditori, possono essere previste sanzioni in caso di violazione dei codici di autoregolamentazione o della regolamentazione provvisoria prevista dalla Commissione. Unico particolare, meritevole di essere citato, lo ritroviamo nel fatto che della sanzione rispondono solidalmente i lavoratori e le proprie organizzazioni: di fatto, quindi, qualora lorganizzazione dovesse adempiere al pagamento della sanzione, i lavoratori ne uscirebbero indenni. Le associazioni degli utenti A partire dalla fine degli anni 90, un considerevole e crescente numero di diritti viene riconosciuto alle associazioni che tutelano gli interessi degli utenti e dei consumatori, purch esse godano di una certa rappresentativit nazionale e siano iscritti in un apposito elenco. La L.83/2000, ovviamente, ha attribuito a tali associazione una serie di diritti in merito ai servizi pubblici essenziali. In particolar modo esse possono attivare la procedura per ottenere delle sanzioni dinanzi alla Commissione di garanzia , cos come possono fornire un parere alla stessa in merito allidoneit di accordi tra le parti sociali. Inoltre possono agire nei
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confronti delle organizzazioni rappresentative dei lavoratori, qualora esse abbiano revocato uno sciopero dopo la comunicazione allutenza o lo abbiano ugualmente effettuato dopo linvito della Commissione a differirlo, e nei confronti delle amministrazioni/imprese erogatrici di servizi pubblici essenziali, qualora le stesse non abbiano dato adeguata comunicazione delle modalit di esercizio del servizio nei periodi di sciopero. La precettazione: aspetti sostanziali La precettazione, in tema di astensione dal lavoro nei servizi pubblici essenziali, un provvedimento, o meglio unordinanza, adottata dal potere esecutivo (Presidente del Consiglio o suo Ministro, qualora ci sia rilevanza nazionale, il Prefetto in tutti gli altri casi) per interrompere uno sciopero, nel caso in cui, oltre a ricorrere i presupposti di cui allart.1 della L.146/1990, vi sia un pericolo grave ed imminente ai diritti della persona costituzionalmente garantiti. La precettazione, in realt, esisteva (ed esiste ancora) gi prima della regolamentazione della materia da parte della legge 146: il Prefetto, in alcune materie (edilizia, polizia locale ed igiene) e per motivi di sanit e di sicurezza pubblica, poteva emanare un provvedimento (unordinanza) urgente. In tal caso, per, non cera alcun legame con il diritto di sciopero. La precettazione: aspetti procedurali In ambito di servizi pubblici essenziali, legittimati alla precettazioni non sono solo le autorit di cui abbiamo parlato, ma anche la Commissione di garanzia: lautorit precettante, tra laltro, prima di emettere il provvedimento deve informare la Commissione; questultima, invece, pu segnalare scioperi o astensioni collettive che comportino un imminente pericolo per i diritti della persona, alle autorit in questione. Prima di emanare il provvedimento, comunque, lAutorit deve esperire un tentativo di conciliazione nel minor tempo possibile, ed in caso di esito negativo, pu emettere lordinanza contenente le misure necessarie per la tutela degli interessi in gioco, misure, tra laltro, mirate al contemperamento tra il diritto di sciopero e quello dei diritti costituzionali in pericolo, quindi effettivamente necessarie per il raggiungimento del fine. Il provvedimento va comunicato 48 ore prima dellastensione, portato a conoscenza degli interessati tramite comunicazione ed affisso nei luoghi di lavoro, nonch diffuso tramite mass-media. Lordinanza pu essere impugnata, dalle parti interessate, entro 7 giorni dalla comunicazione o dallaffissione, presso il TAR competente. Sono previste delle sanzioni pecuniari per chi non ottemperi al provvedimento di precettazione, irrogate dallAutorit precettante ed applicate dallispettorato del lavoro.
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CAPITOLO QUATTORDICESIMO ALTRE FORME DI LOTTA SINDACALE E LA SERRATA


SEZIONE A: ALTRE FORME DI LOTTA SINDACALE Premessa Vi sono tutta una serie di forme di lotta sindacale che non sono identificabili con lo sciopero, o perch vanno oltre di esso: Sciopero bianco; Occupazione di fabbrica; Blocco delle merci; o semplicemente perch non consistono in unastensione dal lavoro: Boicottaggio; Sciopero delle mansioni; Ostruzionismo; Rallentamento concertato della produzione; Non collaborazione. Nonostante si faccia spesso confusione, non confondiamo mai tutte queste forme di lotta sindacale con lo sciopero. Sciopero bianco ed occupazione di fabbrica Sia lo sciopero bianco, sia loccupazione di fabbrica, sono forme di lotta sindacale poste in essere durante uno sciopero ed a sostegno dello stesso. Entrambi i casi prevedono la permanenza dei lavoratori sul luogo di lavoro, ma mentre nel caso dello sciopero bianco i lavoratori non vogliono in alcun modo intralciare lattivit di gestione dellimprenditore, nel caso delloccupazione di fabbrica il fine proprio quello, e talune volte si pu tramutare in uno sciopero alla rovescia, che si ha nel momento in cui i lavoratori continuano, contro la volont dellimprenditore, nella propria attivit lavorativa. Limprenditore, in tali casi, pu esperire lazione di manutenzione a tutela del possesso, per cui ricordiamo non essere necessario, come nellazione di spoglio, uno spoglio n violento n clandestino. Lart.508 c.p., inoltre, punisce coloro che, col solo scopo di impedire e turbare il normale svolgimento del lavoro, occupino ed invadano laltrui azienda agricola o industriale. Sullapplicazione di tale norma, tra laltro, la giurisprudenza appare molto divisa: la Corte costituzionale ha previsto che loccupazione di fabbrica differisca notevolmente dallo sciopero, reputando costituzionalmente legittima la norma; i vari giudici di merito, per, talune volte hanno riscontrato lassenza del dolo specifico, della SOLA volontariet di impedire e turbare lo svolgimento del lavoro, mentre altre volte hanno applicato lart.508. Tuttavia risulta palesemente escluso, dallapplicazione del suddetto articolo, lo sciopero bianco.
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Talune volte, inoltre, sono state applicate altre norme del codice penale, come quella contenuta nellart.614 c.p., riguardante il reato di violazione di domicilio, norma ricompresa tra i delitti contro libert individuale e pertanto palesemente incompatibile col caso in questione. Il blocco delle merci Unaltra forma di lotta sindacale costituita dal blocco delle merci, attuabile in due maniere diverse: Tentando di non far trasportare fuori dal magazzino le merci, tramite unopera di convincimento e di propaganda nei confronti dei trasportatori: ed in tal caso trattasi di comportamento lecito; Impedendo ai trasportatori di accedere allazienda per depositare merci, anche ricorrendo alla violenza: in tal caso il comportamento deve cessare e possono ricorrere gli estremi per lapplicazione dellart.610 c.p. (violenza privata). Le forme di lotta sindacale con offerta della prestazione Analizziamo ora le forme di lotta sindacali che nulla hanno a che fare con lo sciopero e che non comprendono lo stesso, non godendo, quindi, della tutela apprestata dallart.40 Cost. e regolate dal diritto civile: Rallentamento concertato della produzione, anche detto sciopero del rendimento: consiste nel rallentare lattivit lavorativa e produttiva, prestando una diligenza inferiore a quella normale: ci pu dar luogo a provvedimenti disciplinari, al risarcimento del danno ed, addirittura, al licenziamento per notevole inadempimento. Inoltre il datore di lavoro potrebbe non avere interesse a ricevere, in quel modo, la prestazione e sospendere la retribuzione. Non pu, per, diminuirla, in quanto essa non proporzionata al rendimento, ma allorario di lavoro; Non collaborazione: consiste nellesecuzione dello stretto necessario per ci che concerne lattivit lavorativa e costituisce inadempimento contrattuale, in forza dellart.1374 c.c. inerente lintegrazione del contratto, secondo cui lo stesso obbliga non solo a quanto in esso contenuto, ma a tutte le conseguenze derivanti dalla legge o dagli usi e dallequit; Sciopero delle mansioni: i lavoratori si rifiutano di svolgere alcuni compiti dovuti per contratto. Il rifiuto, pertanto, illegittimo e da luogo ad inadempimento; Ostruzionismo: consiste nellapplicazione continua e cavillosa dei regolamenti; ovviamente non pu dar luogo ad alcun provvedimento disciplinare, n tanto meno ad inadempimento, ma pu generare un abuso del potere discrezionale. Il boicottaggio Lultima forma di lotta sindacale, che esula dallo sciopero, che andiamo ad analizzare il boicottaggio: esso si attua quando, mediante propagando o valendosi della forza di gruppi sociali, si inducono una o pi persone a non stipulare patti di lavoro, e a non somministrare materie prime o strumenti necessari al lavoro, oppure a non acquistare gli altrui prodotto agricoli o industriali. La Corte costituzionale ha ritenuto legittimo lart.507 c.p. che punisce tale reato.
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SEZIONE B: LA SERRATA E LE ALTRE FORME DI AUTOTUTELA DEL DATORE DI LAVORO Il silenzio della Costituzione Allinterno della nostra Carta costituzionale non previsto, in alcun modo, la libert di serrata da parte dei datori di lavoro: esso consiste nella chiusura totale o parziale dellimpresa, rifiutando le prestazioni dei lavoratori e non corrispondendo le retribuzioni. E una forma di autotutela degli imprenditori. In realt la Costituzione lha volutamente esclusa, in quanto non voleva in alcun modo porre sullo stesso piano i datori di lavoro ed i lavoratori, tutelando in tal modo questi ultimi come categoria socialmente sottoprotetta e degna di un apposito strumento di autotutela. Serrata e mora del creditore Non essendo tutelata costituzionalmente, la serrata soggiace alle norme civilistiche in tema di mora credendi o accipiendi, ossia di mora del creditore (artt.1206 e ss) che rifiuta la prestazione lavorativa, ossia ladempimento della controparte contrattuale. Il datore di lavoro, in tal caso, secondo il codice civile, deve corrispondere il risarcimento del danno provocato al debitore, il quale, secondo una parte della dottrina, non pu essere inferiore alle retribuzioni che avrebbe dovuto corrispondere qualora avesse accettato la prestazione lavorativa. Inoltre dal risarcimento sarebbero detraibili i guadagni del lavoratore fatti altrove. Unaltra teoria dottrinale, invece, prevede che lobbligazione retributiva permanga anche in stato di mora credendi e, pertanto, il datore di lavoro dovrebbe ugualmente corrispondere le retribuzioni. La serrata di ritorsione Lart.1206 c.c., in tema di mora credendi, prevede che il creditore non sia in mora nel momento in cui rifiuta la prestazione per un motivo legittimo: il caso della c.d. serrata di ritorsione (o messa in libert), la quale si verifica quando venga posto in essere uno sciopero articolato (a singhiozzo o a scacchiera). Infatti nella prassi italiana la serrata non mai stata posta in essere per rivendicare qualcosa, ma solo come risposta a forme di lotta sindacale dei lavoratori. Si cercato in vari modi di giustificare la serrata dei datori di lavoro nel caso di sciopero articolato: un orientamento giurisprudenziale ha sostenuto che la legittimit della serrata derivasse dallillegittimit dello sciopero, di fatto prevedendo una responsabilit collettiva dei lavoratori che nel nostro ordinamento non esiste; un altro orientamento ha valutato la legittimit della serrata, precisando che, nel momento in cui al datore viene offerta la prestazione lavorativa, egli non ha interesse ad ottenerla in quanto non pi utilizzabile e non proficua: questo, per, comporterebbe il passaggio del rischio della produttivit sul lavoratore, da sempre, invece, gravante sullimprenditore. Possiamo concludere che la serrata di ritorsione ammissibile solo: Quando la prestazione, offerta nellintervallo di uno sciopero a singhiozzo, sia tanto breve da non consentire alla prestazione stessa di realizzare la sua minima unit tecnico-temporale: in sostanza la prestazione perde di significato, essendo diversa da quella contrattualmente prevista;

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Quando, in uno sciopero a scacchiera, lastensione di un gruppo di lavoratori, comporti limpossibilit degli altri di eseguire la prestazione: la prestazione diviene impossibile ed legittimo il rifiuto dellimprenditore. Il reato di serrata e la giurisprudenza costituzionale La sentenza della Corte costituzionale 29/1960, dichiarando incostituzionale lart.502.c.p., non abol solo il reato di sciopero per fini contrattuali, ma anche quello di serrata per fini contrattuali, incluso nello stesso articolo. La Corte ebbe modo di chiarire come la serrata, pur non ricevendo la stessa tutela costituzionale dello sciopero, rientrasse ugualmente nella libert sindacale di cui allart.39 Cost. e pertanto non fosse in alcun modo perseguibile penalmente. In modo del tutto opposto si pronunci in merito alla serrata di solidariet o di protesta nel 1967 con la sentenza 141, precisando che la libert di serrata si innestasse allinterno del rapporto datore-prestatore e che non avesse motivo di esistere al di fuori di esso, lasciando in vigore lart.505 c.p. che continua, tuttora, a vietarla. Stesso ragionamento vale per la serrata a fine politico, art.503 c.p., e per la serrata di coazione della pubblica autorit, art.504 c.p, i cui divieti continuano ad operare. La sostituzione dei lavoratori in sciopero Il datore di lavoro, infine, pu utilizzare metodi diversi dalla serrata di ritorsione per fronteggiare lo sciopero dei lavoratori, tra cui il pi importante la sostituzione degli stessi per lintera durata dellastensione. Egli pu attuare una simile soluzione, adoperando per esempio lavoratori non scioperanti o di altre unit produttive, ma chiamato al rispetto dellart.2103 c.c. in merito alle mansioni: si deve trattare di mansioni equivalenti, o qualora si tratti di mansioni superiori ci deve essere una diversa retribuzione; non pu mai trattarsi, tra laltro, di mansioni inferiori. Il datore di lavoro, inoltre, potrebbe sostituire i lavoratori in sciopero con prestatori di lavoro assunti a tempo determinato o tramite un contratto di somministrazione: le discipline degli specifici contratti, per, hanno, nel tempo, impedito una soluzione di tal genere. N.B. per gli studenti: questopera non solo un riassunto del GIUGNI (anche), ma una rielaborazione personale dei temi in esso trattati. Aver scartato alcune parti e sottolineato limportanza di altre, non fa di me un docente, ma semplicemente uno studente che fa delle valutazioni personali. Dal canto mio, con una minima vena di vanto ed arroganza, possono dirvi che le mie rielaborazioni mi hanno sempre portato a conseguire voti non inferiori al 27. Tuttavia doveroso, da parte mia, precisare che ognuno di noi portatore di una singolarit che gli permette di recepire le informazioni in maniera diversa, migliore o peggiore che sia. Quello che posso assicurare che, allinterno della mia rielaborazione, non ho trascurato nulla di rilevante, ma pur sempre dal mio punto di vista, che potrebbe differire da quello degli assistenti e del docente. Vi invito, pertanto, ad integrare gli argomenti trattati con il libro di testo, scritto da un docente e luminare in materia, qualora lesposizione non vi abbia soddisfatti, o anche a confrontare la mia rielaborazione con quella di altri colleghi. Mi scuso in anticipo, inoltre, qualora doveste riscontrare errori
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grammaticali, dovuti, vi assicuro, alla stanchezza ed al peso specifico della materia. Rielaborare non mai semplice, per questo motivo in alcune parti ritroverete pari pari le parole del testo, magari selezionate a mia discrezione, magari ricopiate e basta. In altre, invece, troverete elementi di diritto privato (o anche commerciale) che il testo da per scontato che voi abbiate appreso, ma che io ho voluto ricordarvi ugualmente, o troverete mie ricostruzioni personali o miei commenti. Spero davvero che questa mini-opera possa esservi daiuto. Vi auguro di prendere un buon voto allesame!!! Foxshark
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