Aspidochelone

mostro marino leggendario
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La balena-isola, nota anche come zaratan o aspidochelone (composto dalle parole greche aspis "serpente" o "scudo", e chelone "tartaruga"), è un leggendario mostro marino, con la forma di un'enorme balena o tartaruga. È caratterizzato da dimensioni tali che i marinai che navigano nelle sue vicinanze possono scambiarlo per un'isola, e sbarcarvi sopra; inoltre, se rimane a lungo a fior d'acqua, il suo dorso può coprirsi di vegetazione, arrivando a sviluppare nel corso del tempo persino una foresta.

L'equipaggio di San Brendano "sbarca" sulla balena-isola

Origini

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Il mito di un mostro marino grande come un'isola, e che poteva essere scambiato per tale dai naviganti, risale almeno alla mitologia norrena (la Saga di Oddr l'arciere e il Konungs skuggsjá) e accomuna Zaratan ad altri mostri marini celebri, in particolare il Kraken. Il Kraken tuttavia non viene in genere rappresentato come un pesce, ma come una piovra o un granchio.

Plinio il Vecchio nella Naturalis historia racconta la storia di un pesce gigante, che chiama pristis, sul quale sbarcano dei marinai, che si accorgono della vera natura dell'animale quando esso si immerge.[1] L'allegoria della balena-isola si ritrova anche in sant'Isidoro di Siviglia nelle Etymologiae.[2]

 
Illustrazione della balena-isola su un bestiario dell'inizio XV secolo conservato alla Danish Royal Library.

Una balena-isola compare nei racconti di Sindbad il marinaio, durante il suo primo viaggio. All'incirca alla stessa epoca, ovvero al IX secolo, risale il primo riferimento a questo mostro in un'opera non di fantasia. Al-Jahiz, zoologo arabo, annotava nel proprio Libro degli animali:

«Per quanto concerne lo Zaratan, non ho mai incontrato nessuno che l'abbia visto con i propri occhi. Ci sono marinai che asseriscono di essersi spinti verso certe isole, vedendo valli boscose e spaccature nella roccia, e di essere sbarcati per accendere un gran fuoco; e che quando il calore delle fiamme ebbe raggiunto la spina dorsale dello Zaratan, questo abbia iniziato a immergersi nell'acqua con loro sopra di lui, e con tutte le piante che vi crescevano, fino a che solo quelli capaci di nuotare furono in grado di salvarsi. Questo supera persino la più coraggiosa e fantasiosa delle finzioni.»

Il racconto di Al-Jahziz si ritrova in numerose altre fonti successive. Un episodio praticamente identico viene raccontato dal cosmografo persiano Zakariyya al-Qazwini nel XIII secolo nella sua opera Le meraviglie delle creazione; in questo caso, tuttavia, il mostro è indubbiamente una tartaruga.

L'episodio entrò anche a far parte del mito irlandese di San Brendano, narrato nella Navigatio sancti Brendani[3]. Ludovico Ariosto riutilizzò l'idea nell'Orlando furioso[4]. Numerose altre fonti citano episodi di questo tipo; per esempio, la Storia dei popoli settentrionali (Historia de gentibus septentrionalibus) di Olao Magno (1555), Il Fisiologo[5], il Bestiario d'amore e il Baldus di Teofilo Folengo (libri XVIII-XX).

Attorno alla figura di Zaratan come balena gigantesca si svilupparono alcuni dei temi che Herman Melville avrebbe in seguito ripreso nel suo Moby Dick. Più recente è la menzione di Zaratan-tartaruga da parte di Peter Prescott, nel saggio Incontri con la cultura americana. Anche Jorge Luis Borges ha incluso lo Zaratan nel suo Manuale di zoologia fantastica.

Il mito nella cultura di massa

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  1. ^ Plinio, Historia Naturalis, IX, 4
  2. ^ Isidoro di Siviglia, Etymologiae XII:6
  3. ^ Anonimo, Navigatio sancti Brendani abbatis, ch. 11, 23.
  4. ^ Canto VI, Stanza 37: Ch'ella sia una isoletta ci credemo
  5. ^ Est belua in mare quae dicitur graece aspidochelone, latine autem aspido testudo; cetus ergo est magnus, habens super corium suum tamquam sabulones, sicut iuxta littora maris. Haec in medio pelago eleuat dorsum suum super undas maris sursum; ita ut nauigantibus nautis non aliud credatur esse quam insula, praecipue cum uiderint totum locum illum sicut in omnibus littoribus maris sabulonibus esse repletum. Putantes autem insulam esse, applicant nauem suam iuxta eam, et descendentes figunt palos et alligant naues; deinde ut coquant sibi cibos post laborem, faciunt ibi focos super arenam quasi super terram; illa uero belua, cum senserit ardorem ignis, subito mergit se in aquam, et nauem secum trahit in profundum maris (cap. 17)

Bibliografia

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  • Willene B. Clark, A medieval book of beasts: the second-family bestiary, Boydell Press, 2006 ISBN 0851156827, 9780851156828
  • C. C. Coultrer, The "Great Fish" in ancient and medieval history, in "Transactions and proceedings of the American Philological Association" LVII (1926)
  • Wilma B. George, William Brunsdon Yapp, The naming of the beasts: natural history in the medieval bestiary, Duckworth, 1991 ISBN 0715622382, 9780715622384
  • Carol Rose, Giants, Monsters, and Dragons: An Encyclopedia of Folklore, Legend, and Myth, Norton, 2001 ISBN 0-393-32211-4

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