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Pretty man
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E-book286 pagine3 ore

Pretty man

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Info su questo ebook

Helena Woods è una scrittrice fallita di romanzi rosa, si sente tremendamente fuori posto e ha sempre la testa tra le nuvole. Vive a Cold Spring con la sua famiglia: una madre impicciona, la nonna stravagante ed un padre tifoso sfegatato dei Jets. 

Stephanie e Mary, sono la sua unica certezza. Amiche dai tempi del liceo ed inseparabili. Come ogni venerdì sera, si ritrovano al Doug’s pub per spettegolare e discutere delle loro disastrose vite amorose, finché Helena, una notte, non finisce sul sito “prettyman.com” e decide di prenotare un appuntamento con un gigolò, come un “esperimento sociale” per la stesura del suo nuovo libro.

Cameron Tale è il caporedattore della rivista di moda più famosa di New York: la “Tale mode”. È miliardario, sexy e determinato. Sembra avere tutto, eppure, manca qualcosa nella sua vita. 

Cos’avranno in comune due persone così diverse? 
Un incontro fortuito e un paio di semplici converse rosse potranno cambiare il destino di due anime?
LinguaItaliano
Data di uscita11 ott 2024
ISBN9791220709569
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    Anteprima del libro

    Pretty man - Sylvia L.

    1

    Il miglior specchio è un vecchio amico.

    George Herbert

    Helena

    25 ottobre

    Cold Spring, NY

    Esistono luoghi che non potranno mai essere cancellati dai nostri occhi. È quello che provo guardando l’incantevole paesaggio di Cold Spring fuori dalla mia finestra. Osservo la distesa di alberi pieni di foglie ormai secche che aspettano soltanto di cadere e ricominciare, proprio come me.

    È da tanto tempo che sono rinchiusa qui, nella mia stanza, con il computer acceso. La vista inizia ad annebbiarsi per aver fissato troppo a lungo la schermata bianca. Sono inerme, bloccata sempre allo stesso capitolo che non riesco a scrivere. Penso ai miei sogni, soprattutto a quelli che non ho avuto il coraggio di realizzare. Quando squilla il cellulare i miei pensieri si dissolvono. È Mary. Vorrà propormi di uscire insieme a Stephanie, come ogni venerdì sera.

    «Pronto?» cerco di rispondere con tono neutro, nonostante la mia frustrazione.

    Mary è sempre attenta a tutto, quindi devo ponderare bene ciò che dico e, soprattutto, come lo dico per risparmiarmi due ore di prediche e frasi motivazionali. Ridacchio tra me e me, sono davvero un’amica ingrata.

    «Ehi, come va? Concluso qualcosa oggi?»

    «Il nulla cosmico. Stavolta sento che non riuscirò a portare a termine il libro. Ne riparliamo stasera al pub?» rispondo anticipandola.

    «Certo, ci vediamo tra mezz’ora da Doug’s.»

    Riaggancio il telefono e do inizio all’inesorabile fase del cosa mi metto.

    Mi servirebbe una doccia ma in mezz’ora non riuscirei a farla, così passo allo step successivo e dopo qualche abbinamento fallimentare, perdo l’interesse e indosso la prima cosa che capita.

    Mi soffermo davanti allo specchio. Succede spesso ultimamente. Sento di essere fragile ma penso anche che l’esserne consapevole sia, senza dubbio, una forza.

    «Che brutta cera,» dico a quelle occhiaie e quegli occhi arrossati che mi fissano.

    Indosso un maglione rosa oversize, abbastanza lungo da poter sembrare un vestito, calze verdi e stivaletti bianchi. Dovrei rinnovare un po’ il guardaroba anche se, tutto sommato, non mi dispiace quello che vedo. Se non altro, questi colori fanno risaltare i miei occhi castani.

    Lancio un’occhiata all’orologio, il tempo è tiranno, quindi opto per zero trucco e i capelli legati in una semplice coda bassa raffazzonata, e scendo le scale in velocità.

    Prendo al volo la giacca e la borsa dall’appendiabiti vicino alla porta d’ingresso.

    «Helena, dove vai così di corsa?»

    «Scusa mamma, sono in ritardo.»

    «Un appuntamento galante?» allude con occhi languidi.

    «No, il solito venerdì sera con Stephanie e Mary.»

    Accenna un sorriso. «Per un momento ho sperato in una risposta diversa.»

    So che mia madre vorrebbe soltanto vedermi felice ma a volte, le sue aspettative, pesano sulle mie spalle come macigni.

    Vedo nonna Kate scendere adagio le scale con un libro di Agatha Christie tra le mani, li rilegge continuamente, anche se sa perfettamente chi sono gli assassini. Su ogni gradino ci sono zucche di varie dimensioni e candele profumate alla cannella. Spero che non le intralcino la strada. Adoriamo decorare la casa a tema. Ogni ottobre, tutto si colora d’arancione e insieme cuciniamo vellutate, pane e biscotti, rigorosamente alla zucca. Nonna Kate è la mia roccia, quindi, nonostante il ritardo, non posso uscire senza darle un bacio. Le corro incontro per aiutarla a scendere gli ultimi gradini.

    «Attenta alle decorazioni o stavolta ti uccideranno.»

    «Cara, sono perfettamente in grado di scendere queste scale da sola. Potrei riuscirci anche correndo, se solo ne avessi voglia!» Rido senza contraddirla. Mai sfidare nonna Kate.

    «Ho sentito che stai uscendo, mi raccomando ricordati di…»

    «Essere sempre gentile, perché il prossimo te ne sarà grato,» dico, terminando la frase al posto suo. Mamma sbuffa alzando gli occhi al cielo, è sempre stata un po’ gelosa del nostro rapporto, anche se non lo ammetterebbe mai.

    La ignoro di proposito, stampo un bacio sulla guancia della nonna ed esco di casa in tutta fretta, nella remota speranza di recuperare qualche minuto del mio ritardo strada facendo.

    Per fortuna il pub non è troppo lontano, così a metà strada cerco di ricompormi e assumere un’andatura più composta.

    Cold Spring è un paesino a misura d’uomo, dove ogni luogo è raggiungibile a piedi. In questo periodo dell’anno il caldo inizia a perdere la sua forza e l’aria diventa ogni giorno un po’ più fredda. Sento dei brividi attraversarmi la schiena e penso che forse avrei dovuto indossare una giacca più pesante. Alzo lo sguardo per capire se pioverà, ma con stupore scopro un cielo limpido e pieno di stelle.

    Faccio un respiro profondo. Questo è uno dei pochi momenti in cui mi sento grata della vita, tanto vale goderselo.

    Arrivata al pub, mi guardo attorno cercando le mie amiche. L’enorme bacheca all’ingresso cattura la mia attenzione. Sopra sono affisse alcune polaroid. Tra queste ce n’è anche una che ritrae me, Stephanie e Mary appena ventenni che brindiamo alzando in aria tre boccali di birra. Adoro riguardare questa fotografia, mi ritornano in mente tutte le emozioni e la spensieratezza di quegli anni. Nonostante la confusione del venerdì sera, trovo sempre un grande conforto nell’essere qui. È un po’ come ritornare a casa. Il locale è abbastanza grande e ospitale. Al centro c’è un lungo bancone bar in legno, dove le persone possono sorseggiare un drink prima di sedersi al tavolo a mangiare un panino, il migliore da queste parti.

    Sotto il soffitto, ci sono cascate di fiori che penzolano sopra ogni tavolo e i lampadari emanano una forte luce di colore rosa. Può sembrare strano ma è rilassante ed è questa la particolarità che rende unico il pub di Doug.

    «Helena, siamo qui,» riconosco la voce di Stephanie sopra la confusione e la vedo agitare una mano per farsi notare. Le raggiungo con una corsetta, cercando di non urtare nessuno. Più sono svelta e più la mia goffaggine aumenta.

    «Scusate il ritardo ragazze, oggi ho perso la cognizione del tempo,» dico accomodandomi.

    «Non è una novità, lo sappiamo dai tempi del liceo che sei una ritardataria,» commenta Stephanie, mentre mi aiuta ad agganciare la borsa alla sedia.

    Mary sembra piuttosto esaurita, non è più la stessa da quando ha divorziato. Gira nervosamente l’ombrellino colorato nel suo drink, poi alza gli occhi. «Non vedevo l’ora di incontrarvi stasera, ho proprio bisogno di ricaricarmi. Tra i bambini e il lavoro al bar, non ho mai del tempo da dedicare a me stessa. È davvero snervante.»

    «Quelle piccole pesti, come stanno?» Cerco di stemperare la tensione.

    «Oh, loro benissimo, le maestre, invece, scommetto che preferirebbero addestrare scimmie urlatrici in Brasile.»

    Con una meritata risata, ci lasciamo ufficialmente alle spalle una settimana difficile. Tale è il potere di un semplice sorriso.

    «Steph, raccontaci le tue avventure da hostess di volo, così almeno potrò scrivere un libro avvincente sulla tua vita,» la esorto.

    «Inizia a scrivere che il mio capo è uno stronzo. Continua a darmi turni estenuanti e, purtroppo, dovrò lavorare anche il giorno di Halloween.»

    «Non può farlo! Abbiamo una tradizione da rispettare. Film dell’orrore e dolcetti, come ogni Halloween da quando abbiamo quattordici anni!» dico lamentandomi.

    «Credi che non lo sappia? Ho provato a insistere, ma non ha voluto sentire ragioni. Almeno avrò il turno con Harry…»

    «Harry? Santo cielo, quell’uomo è fidanzato! Mi spieghi come fai a impelagarti sempre in queste situazioni e ricadere negli stessi errori?» Mary è famosa per non avere peli sulla lingua.

    «Harry non è un errore. Sì, ha una ragazza ma non è sposato. C’è una bella differenza, no? E poi sono solo poche settimane che stanno insieme. Per me ha fatto un grosso, anzi, grossissimo sbaglio a mettersi con…»

    Stephanie si blocca, la voce quasi rotta dal pianto. Io e Mary ci lanciamo un’occhiata, interdette. Forse, non avevamo capito quanto tenesse a lui.

    «Sei stata tu a rifiutarlo, per ben tre volte se non erro…» le ricordo.

    «Non sono pronta per una relazione seria, lo sapete anche voi che ho bisogno dei miei spazi e della mia libertà. In questo momento sono concentrata sulla carriera.»

    «Allora lascia che viva la sua storia d’amore, quando avrai le idee chiare potrai parlarne con lui,» dice Mary accarezzando con dolcezza il viso di Stephanie.

    «Hai ragione. Sperando di essere pronta prima che sia troppo tardi…»

    Amo le mie amiche, senza mi sentirei persa. Da sempre, ci lega un patto di assoluta sincerità. Loro sono i miei specchi, non mi giudicano, riflettono solo la realtà.

    Poco dopo, mentre siamo intente a studiare il menù per ordinare qualcosa di diverso dal solito, vedo entrare nel pub Jane Harper, l’arpia. Si è aggiudicata questo simpatico soprannome ai tempi del liceo, per ottimi motivi.

    «Arpia a ore dieci,» comunico sussurrando in codice.

    Chiudo il menù esibendo un finto sorriso, con la coda dell’occhio la vedo camminare spedita verso il nostro tavolo.

    «Guarda guarda chi si vede, il trio delle zitelle.»

    Ormai siamo abituate alle sue battutine provocatorie. In silenzio, ascoltiamo la sua voce fastidiosa, sperando che se ne vada quanto prima.

    «Io e le mie amiche siamo venute qui per festeggiare il mio nuovo contratto di lavoro. Presto andrò a Parigi, non è magnifico?» continua lei.

    «Oh, wow, siamo super contente per te…» commento ironica.

    «Già m’immagino a dedicarmi allo shopping tra le strade di Parigi o mentre sorseggio champagne nei locali più in della città circondata da uomini ricchi e potenti. Finalmente mi lascerò alle spalle questo posto insignificante e privo di opportunità.»

    «È davvero fantastico… ma se ci lasciassi continuare la nostra cena, te ne saremmo grate…» dico, sperando che si renda conto di non essere gradita.

    «Come sei scortese Helena, potresti mostrare un po’ più di entusiasmo nei miei confronti, in fondo non ho mica interrotto una cenetta romantica per due… Anche se lo vorresti tanto, non è così?»

    «Basto a me stessa, grazie.» Mento. Non desidero altro che trovare l’amore. «Forse sei tu che per sentirti realizzata nella vita hai bisogno di una relazione alla quale aggrapparti,» insinuo, con un sorrisetto malvagio stampato in faccia. Uno a zero per me, vecchia stronza.

    Jane, sbotta in una risata isterica, cercando di non apparire turbata agli occhi delle sue amiche, in piedi a qualche passo di distanza da noi.

    «Cara, tu potresti avere una relazione con un uomo soltanto se lo pagassi. Continua a vivere nel tuo mondo fatto di libri e fantasie.»

    Jane assume un’espressione di goduria, come se avesse appena segnato il goal vincente di una partita. E cazzo se l’ha fatto, perché resto immobile senza riuscire a ribattere. Ha toccato un nervo scoperto, il mio punto debole, la paura di non essere mai amata. La solitudine non sempre è un luogo di pace interiore. Forse, dovrei prima imparare ad amare me stessa, così da poter dare a chi mi starà accanto un amore autentico.

    «Buona serata, vi lascio alla vostra cenetta.»

    Prima di andare via mi lancia un’ultima occhiataccia. Nella mia testa si accende una lampadina che non riesco a ignorare e un sorriso mi si disegna sul volto.

    Che idea geniale.

    Non vedo l’ora di tornare a casa per attuare il mio piano.

    2

    La moda è ciò che segui quando non sai chi sei.

    Quentin Crisp

    Cameron

    25 ottobre

    New York City

    Apasso svelto, con lo sguardo basso sulle mie Converse gialle, cerco di raggiungere l’ufficio, sperando che nessuno mi fermi per propormi qualche altro strambo cappello per lo shooting di domani. Siamo in America, perché dovremmo proporre come must have del mese, dei cappelli che non metterebbe nemmeno la regina Elisabetta a una festa di Halloween?

    A volte gli stilisti della nuova generazione si sentono i Picasso della moda. La luce che attraversa le vetrate del grattacielo illumina tutto il piano, un ampio open space privo di muri. A volte ho come la sensazione di essere in un acquario. Da lontano noto Sarah, la mia segretaria, seduta alla sua scrivania mentre sorseggia il primo cappuccino della giornata, o almeno credo, non sono mai riuscito a contarli tutti.

    «Buongiorno Sarah, ti trovo bene stamattina.» Nel salutarla mi accorgo dei suoi nuovi sgargianti occhiali da vista fucsia. Una scelta singolare data la sua seriosa personalità.

    «Buongiorno capo, la ringrazio.»

    «Sarah, quante volte ti avrò chiesto di darmi del tu? Vuoi farmi innervosire?»

    «No capo, ha ragione.»

    «Ti prego di non assecondarmi costantemente e per la centesima volta, non chiamarmi capo. Cameron andrà benissimo.»

    «Scusi capo! Ecco il suo caffè, nero e senza zucchero.»

    Rassegnato, mi massaggio le tempie che pulsano.

    «Grazie…»

    Per un attimo mi soffermo a leggere la targhetta affissa alla porta del mio ufficio. Ho la sensazione che serva a ricordarmi ogni giorno chi sono: "Cameron Tale, caporedattore di Tale Mode".

    Spalanco la porta seguito da Sarah che, impacciata, cammina sulle punte dei piedi cercando di non infastidirmi con il rumore dei suoi tacchi. In realtà, in questo modo, non fa altro che aggravare la situazione.

    «Gli appuntamenti di oggi?» le chiedo, accomodandomi sulla mia poltrona di pelle nera.

    «Dunque.» Si sistema gli occhiali, euforica che sia arrivato il suo momento. «Alle ore dieci ha una riunione con Lionel White per rivalutare i contenuti della prossima uscita della rivista. Alle due, il suo allenamento giornaliero in palestra. E infine, alle sette, è in programma una call con la stilista Sophie Mussot per lo shooting di novembre.»

    «Bene, a quanto pare la parte più eccitante di questa giornata sarà scegliere il gusto della mia bevanda energetica alla macchinetta della palestra…»

    «In realtà l’ho già comprata io capo, è nel suo borsone… insieme alla tuta,» dice con un filo di voce, quasi temendo di avermi rovinato i programmi.

    «E tanti cari saluti alla mia eccitazione giornaliera.» Rido. Sarah ha poco senso dell’umorismo e quando mi volto il suo viso è serio e accigliato.

    «Che allegria…» mormoro a mezza voce. Mi ricompongo con un colpo di tosse.

    «Bene, per il momento è tutto. Grazie Sarah.»

    La congedo il più in fretta possibile per poter avere un po’ di privacy. Anche oggi dovrò rimanere in ufficio fino a tardi, proprio come faceva mio padre, prima di me. Ora capisco perché a casa non c’era mai, eppure ogni sera, quando rincasava da una lunga giornata, entrava di soppiatto in camera mia per darmi il bacio della buona notte. Mi si stringe il cuore mentre ripenso a quei momenti. Cosa darei per poter tornare indietro e senza perdere un attimo dirgli: Papà, sono ore che ti aspetto, sono sveglio. Invece ho sempre preferito fare il bravo bambino. Fingevo di dormire per compiacerlo e così, ho perso. Ho perso i momenti che avrei potuto vivere insieme a lui. Ho perso baci, abbracci e carezze. Quante cose cambierei per non dover contare oggi, il numero dei miei rimpianti. Assaporo il caffè che stringo tra le dita, amaro come il passato. Guardo fuori dalla vetrata per poter ammirare, ancora una volta, Rockefeller center. Sono questi i posti che rendono magica New York.

    Dopo pranzo, faccio una pausa e vado in palestra a scaricare la tensione. Qualche piano in ascensore basta a liberarmi dalle scartoffie da firmare che Sarah ha lasciato sulla mia scrivania. Mentre corro sul tapis roulant indosso gli auricolari e mi isolo dal mondo, così da non dover scambiare inutili convenevoli con eventuali colleghi. La mia playlist si apre con Kryptonite dei 3 Doors Down, una canzone che mi riempie d’energia fin dalla prima nota.

    Tra meeting e brainstorming alla fine la mia giornata è volata. Sfinito rientro nella pace tanto bramata del mio appartamento alle nove di sera. Ho bisogno di qualche giorno di riposo per staccare la spina. Mi guardo intorno e per l’ennesima volta mi domando perché l’abbia fatto arredare con questo stile moderno, freddo e anonimo. Niente in questo appartamento parla di me, ma non mi prendo mai la briga di cambiare qualcosa. Il divano di pelle bianca è immacolato. Alle pareti sono appesi soltanto quadri astratti di pittori famosi, ma nessuna foto di un volto amico, nessun sorriso. La cucina in marmo è intonsa. Forse è finta, come quelle in esposizione da Ikea, e non me ne sono ancora accorto. Non cucino mai per me e la quantità di tempo che trascorro a casa è talmente infima da essere ridicola.

    Afferro il computer da dentro lo zaino e mi siedo sul divano per controllare le e-mail. Ci sono ben sette inviti per degli eventi ai quali non ho per nulla voglia di partecipare. Sempre le stesse facce, celate da maschere. Quasi nessuno a questo mondo riesce a mostrarsi per quello che è in realtà. Ma forse è colpa mia. Mamma lo diceva sempre: Cameron, tu pretendi troppo dalle persone.

    Sento il suono di un messaggio sul telefono. È George.

    George

    Ehi, sei a casa? Sono dalle tue parti, passo tra 20 minuti.

    Io

    Certo, se non mi addormento prima.

    George

    Resisti nonnetto, arrivo tra pochissimo!

    Mentre aspetto George ne approfitto per controllare che la cucina non sia davvero di legno compensato e per dedicarmi alla preparazione di un piatto di altissima cucina così da riempire il mio stomaco

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