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1979
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E-book449 pagine6 ore

1979

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Info su questo ebook

Natale in Scozia, il periodo dell’anno che esalta la bellezza di questa terra selvaggia, punteggiata di distillerie di whisky e di guglie e castelli che ne fanno il tripudio del gotico. Ma i sussulti di un indipendentismo che ha origini antiche scuotono la struttura portante del Regno Unito, con il rischio di un referendum che rappresenterebbe un pericoloso precedente. Allie Burns, giovane reporter del Clarion, un quotidiano di Glasgow, sta tornando a casa in treno dopo le vacanze quando si imbatte in qualcosa di inaspettato: un parto in una carrozza. È Danny, collega di Allie a cui ha confessato di essere sul punto di scrivere un pezzo-inchiesta che gli cambierà la vita, a far sì che la nascita del bambino avvenga senza problemi grazie alla sua esperienza di infermiere volontario. E Allie si ritrova a scrivere a sua volta un reportage del lieto evento che avrà grande riscontro pubblico. Danny, da parte sua, è roso da dubbi e sensi di colpa, considerato che il suo articolo prende le mosse dai comportamenti poco limpidi del fratello adottivo, Joseph, un assicuratore disonesto nonché suo esatto opposto.

L’indagine giornalistica lo porterà a Nassau per smascherare un gioco di scatole cinesi concepito per evadere il fisco. Tra loschi figuri del mondo della finanza, terroristi dell’IRA a cui un gruppo di sedicenti indipendentisti scozzesi chiede armi per azioni dimostrative in patria e crisi di identità sessuale, Allie e Danny si ritroveranno a essere ben più di semplici cronisti in una Scozia celtica, fosca, fredda e respingente.

1979 è un noir di qualità sopraffina, un perfetto meccanismo a orologeria in grado di stupire e commuovere, un romanzo che si legge come una pagina di cronaca nera, ma che, tra echi di Ian Rankin e John Harvey, avvince e trascina. Val McDermid in patria ha già ereditato a buon diritto lo scettro di regina del noir da scrittrici come Agatha Christie e P.D. James.

"Tra i migliori autori di crime in attività! Adoro tutto ciò che ha scritto e questo romanzo dimostra che è in forma smagliante!" Jeffery Deaver, autore di Tempo di caccia e Il collezionista di ossa.

"McDermid resta senza rivali…Straordinaria." THE OBSERVER

"Ci sono pochi altri scrittori di crime in grado di giocare nello stesso campionato." THE WASHINGTON POST

"McDermid è al top della sua forma e i lettori saranno altamente ricompensati per aver intrapreso questo nuovo viaggio al suo fianco." CRIME READS

LinguaItaliano
Data di uscita4 giu 2024
ISBN9788830594142
1979
Autore

Helene Wecker

Helene Wecker grew up near Chicago, and received her MFA in Creative Writing from Columbia University in New York. Her work has been published in the online magazine Joyland, and she has read from her stories at the KGB Bar in New York and the Barbershop Reading Series in San Francisco. After a dozen years of moving around between both coasts and the Midwest, she now lives near San Francisco with her husband and daughter. The Golem and the Djinni is her first novel.

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    Anteprima del libro

    1979 - Helene Wecker

    1

    Era iniziato male e non aveva fatto che peggiorare. Bufere, scioperi, corpi esumati, interruzioni della corrente, minacce terroristiche e il Greatest Hits degli Showaddywaddy finito in cima alla classifica degli album più venduti: il 1979 era stato una successione ininterrotta di disastri. Sempre che, come Allie Burns, tu non fossi stata una giornalista. Per la sua tribù, le brutte notizie di qualcun altro erano l’inconfondibile suono di un’opportunità che bussava alla porta.

    Allie Burns fissò il biancore fuori dal finestrino della carrozza del treno, interrotto solo da una fila di pali del telefono. Erano ancora miracolosamente scuri da un lato, protetti dal vento aggressivo che sferzava i fiocchi con raffiche improvvise. Il treno era fermo, intrappolato a metà tragitto dai cumuli di neve che ostruivano i binari. Diede un’occhiata a Danny Sullivan, di fronte a lei. «Com’è che l’inverno porta sempre la Scozia a uno stallo totale?»

    Lui soffocò una risata. «È come in Assassinio sull’Orient Express. Bloccati a bordo di un treno, nella neve.»

    «Senza l’assassinio, però» sottolineò Allie.

    «Sì, senza l’assassinio.»

    «E il lusso. E i cocktail. E Albert Finney con la retina per capelli.»

    Danny fece una smorfia. «Esigente, esigente, esigente. Chiunque penserebbe che tu sieda al tavolo dei revisori a gingillarti con le mie virgole e i miei participi sconnessi.»

    Allie rise. «Non so nemmeno cosa sia un participio sconnesso. E dubito che lo sappia tu.»

    «Un tempo lo sapevo. Se conta qualcosa…»

    Si zittirono di nuovo. Si erano incontrati per caso lungo il gelido binario della stazione di Haymarket il secondo giorno dell’anno, colleghi di ritorno al lavoro da Hogmanay – la notte di San Silvestro in Scozia –, trascorsa con le rispettive famiglie. Di colleghi scribacchini ce n’erano così tanti che, pur di evitarli, Allie sarebbe stata pronta a nascondersi dietro la colonna di una banchina, ma Danny era probabilmente il meno detestabile di tutti. Se era sessista, razzista e settario fino al midollo, era stato bravo a nasconderlo. E non si poteva negare che, dopo aver trascorso un po’ di tempo con i suoi genitori, Allie aveva una voglia matta di conversare con qualcuno del suo mondo. L’occasione più prossima si era presentata con gli articoli del primo giornale dell’anno sull’Anno Internazionale del Bambino, a proposito dell’imminente sciopero dei camionisti e delle camicette in saldo da Frasers.

    Aveva incontrato un paio di amiche della scuola per un drink nel pub del paese, ma la situazione non era affatto migliorata. Fin dall’inizio, la chiacchierata era stata impacciata e artificiosa, aveva sterzato verso il rassicurante terreno comune delle reminiscenze e poi si era nuovamente infilata nel vicolo cieco dei pettegolezzi su persone che lei non ricordava o non aveva mai incontrato. Era come se gli ultimi anni l’avessero disgiunta dalle sue vecchie conoscenze.

    Quando il treno era partito da Kirkcaldy, nella prima tappa del viaggio di ritorno a Glasgow, Allie aveva avvertito la leggerezza della tregua. Aveva debitamente salutato con la mano i genitori, che stazionavano sulla banchina innevata. L’avevano accompagnata in macchina dall’ex villaggio di minatori di East Wemyss in cui era cresciuta, a tredici chilometri da lì, e lei si era chiesta se avvertissero anche loro quella sensazione di sollievo.

    Non avevano nulla da dirsi: ecco il cuore del disagio che provava ogni volta che tornava a casa. Piano piano era giunta alla conclusione che non l’avessero mai avuto. Solo che, negli anni della crescita, quella mancanza di connessione era stata mascherata dalle routine giornaliere del lavoro e della scuola, delle guide scout e del circolo delle bocce, della Women’s Guild e della squadra di hockey. Poi, Allie aveva frequentato l’università in un altro paese ed era stata paracadutata nella vita da Marte. A Cambridge, ogni cosa era strana. Gli accenti, il cibo, le aspettative, le distrazioni. Era convinta di aver finalmente trovato la sua tribù. Si era integrata velocemente. Tre anni erano volati, ma poi era stata sbrigativamente abbandonata alla deriva.

    E ora, dopo aver passato due anni nel Nordest dell’Inghilterra a imparare un mestiere, eccola di nuovo in Scozia. Non era ciò che aveva pianificato. Aveva messo nel mirino Fleet Street e un quotidiano nazionale. Ma il capocronista nel suo ultimo tirocinio era un vecchio compagno di bevute del suo omologo presso il Daily Clarion di Glasgow. Ovvero un quotidiano nazionale, se si considerava la Scozia una nazione. Lo slogan del giornale recitava: "Un adulto su due in Scozia legge il Clarion". I buontemponi dell’ufficio avevano aggiunto: «L’altro non sa leggere». Qualcuno si era dato da fare, un’offerta era stata fatta. Non aveva potuto rifiutare.

    Per cinque anni era stata sufficientemente distante da ridurre al minimo le visite a casa, ma adesso sarebbe stato impossibile evitare le date significative. Compleanni. Celebrazioni di famiglia. E, siccome erano in Scozia, Hogmanay.

    Il che significava tre serate di film speciali e musical senza fine: Oliver!, My Fair Lady, Lo squattrinato. Avrebbe voluto guardare L’appartamento, con Jack Lemmon e Shirley MacLaine, ma, dopo che sua madre ne aveva letto il breve riassunto sulla rubrica degli spettacoli, era stato estromesso dal programma con decisione. Allie non intendeva rivisitare quella tortura e, dunque, si limitò a dire: «Com’è stato il tuo Capodanno?».

    Danny sbuffò. «Come ogni Capodanno di cui mi ricordi. Abbiamo un appartamento enorme, perciò vengono tutti da noi. Mio papà ha cinque sorelle: zia Mary, zia Cathy, zia Theresa, zia Bernie e zia Senga.»

    Allie fece una risatina. «Hai una zia Senga? Sul serio? Pensavo che Senga fosse solo un soprannome buffo…»

    «No. È Agnes al contrario. È stata battezzata Agnes, ma tutti la chiamano Senga. Qualsiasi cosa, dice, pur di non essere chiamata Aggie.»

    «Capisco. Dunque, sono venute a trovarvi le tue cinque zie?»

    Danny annuì. «Cinque zie, quattro zii e vari cugini assortiti.»

    «Solo quattro zii?»

    «Già, zio Paul è rimasto ucciso sul lavoro. È stato schiacciato da un barile di whisky nel deposito doganale giù a Leith.» Fece una smorfia. «Secondo mio papà, l’incidente potrebbe aver avuto a che fare con il quantitativo significativo di whisky che al tempo si trovava nella pancia di zio Paul.»

    «Quindi fate una grande festa in famiglia?»

    «Già. La stessa cosa ogni anno. Le zie preparano ognuna le rispettive specialità. Theresa si fa prestare il pentolone dalla chiesa e prepara un tino di zuppa di lenticchie. Mary si occupa dei panini con lo stinco in gelatina. Cathy prepara i migliori sausage rolls di Edimburgo, mia mamma fa il polpettone, Bernie porta un dolce tipico scozzese, il black bun, che non mangia nessuno, oltre agli shortbread confezionati, e Senga il fudge di tre gusti diversi.»

    «Caspita, questo sì che è un banchetto.» Non pareva il tipo che seguisse una dieta tradizionale scozzese. Danny era slanciato come un levriero, con gli zigomi alti, il naso sottile e il mento appuntito di un asceta medievale. Solo la cascata di riccioli che gli lambiva le spalle lo faceva sembrare di questo tempo.

    Fece un sorrisino. «Altroché! In quella casa di Gorgie ce n’è a sufficienza per nutrire metà quartiere. E c’è abbastanza alcol per aprire un pub privato.»

    «Quindi, cosa fate? Mangiate, bevete e parlate a vanvera?»

    «Be’, mangiamo e beviamo, e poi ognuno contribuisce alle decorazioni. Il che ci tiene occupati finché è ora di accendere la televisione per il conto alla rovescia. E poi papà mette i Corries sul giradischi e l’atmosfera si fa ancor più chiassosa. Qualche vicino entra in casa per essere il primo a varcare la soglia nel nuovo anno, come vuole la tradizione scozzese.»

    «Mi pare una forma di autodifesa!»

    Danny fece spallucce. «È un finale cordiale. E voi?»

    Allie non fu costretta a rispondere perché la porta all’estremità della carrozza si aprì, sferragliando, e il capotreno entrò, barcollando, carico di coperte. Man mano che si avvicinava, le distribuì tra i pochi altri passeggeri. «Resteremo bloccati qui ancora per un po’» annunciò, con un pessimismo compiaciuto nella voce. «Dovremo attendere che lo spartineve giunga da Falkirk, e mi è stato detto che sta procedendo lentamente. E il riscaldamento si è spento. Scusate, ma almeno abbiamo qualche coperta.»

    Consegnò a ciascuno di loro una ruvida coperta grigia che pareva più adatta a un cavallo che a un essere umano. Allie se la avvolse intorno, arricciando il naso per l’odore di naftalina. «Hai freddo?» le chiese Danny.

    «In realtà, no. Ma ora che il riscaldamento è spento, impiegheremo pochissimo a perdere il nostro calore corporeo.»

    Lui la scrutò dallo spazio angusto tra i sedili. «Se venissi a sederti accanto a me, potremmo condividere le coperte. E il calore corporeo.» Le fece un sorrisone. «Non intendo minimamente provarci. Mi sto solo comportando da egoista. Guardami, non ho il fisico. Patisco il freddo.»

    Non si poteva negare che fosse intabarrato: scarpe da trekking, pantaloni di velluto a coste infilati dentro calzettoni di lana, grosso maglione a collo alto che spuntava dal cappotto pesante. Allie non pensava di aver mai visto nessuno meglio attrezzato per le basse temperature. Nemmeno suo nonno, un uomo che non poteva fare a meno di starsene all’aria aperta, a dispetto del clima. Una vita intera in una miniera di carbone poteva farti quello. «D’accordo» disse, fingendo una riluttanza che non avvertiva. Era probabilmente l’unico uomo della redazione che non emettesse vibrazioni da predatore. Di certo, bisognava avere l’istinto da predatore per essere un bravo giornalista. Ma era altrettanto vero che bisognava sapere anche quando spegnerlo.

    Allie cambiò posto. Trafficarono con le coperte finché non si furono creati intorno un duplice manto. «Qual è il tuo prossimo turno?» gli chiese.

    «Il diurno di domani. Il tuo?»

    Lei fece una smorfia. «Dovrei fare il turno di domani notte. Se quel dannato spartineve non si dà una mossa, sarò davvero nei guai.»

    «Sei in tempo. Sono appena le tre. E anche se non arrivi in tempo, non sarai l’unica. Stai lavorando a qualcosa oppure ti occuperai di quello che succede in tempo reale?» Lo disse con una disinvoltura che richiese una domanda come risposta.

    «Sono in attesa che arrivi la prossima notizia dell’ultim’ora. Sai come va nel turno di notte. E tu?»

    Danny sorrise. «Ne sto seguendo una grossa. Un’inchiesta. Ci sto lavorando da alcune settimane, tra una caccia a un’ambulanza e l’altra. Ho ricevuto una soffiata da qualcuno che non sapeva nemmeno quello che mi stava dicendo, e da allora ho cercato di andare a fondo. Soprattutto nel tempo libero. In teoria, i fantaccini come te e il sottoscritto non si occupano di storie simili. Dovrebbero passarle alla redazione e lasciare che a guidare la carica siano quelli a caccia di onori. A noi tocca fare il lavoro sporco ai margini, ma la nostra firma sotto il pezzo non compare.»

    Era la mera verità. C’era una schiera di reporter che avevano i titoli: corrispondente per la cronaca nera, capocronista, corrispondente per l’istruzione, corrispondente per la cronaca giudiziaria e un’altra mezza dozzina. Quando i gradi inferiori scoprivano una storia importante, veniva immediatamente sottratta loro da uno dei tizi che poteva accampare diritti su quello che riteneva un suo feudo. «E quindi come hai fatto a tenertela stretta?»

    «Non ne ho ancora parlato a nessuno» si limitò a dire Danny. «La terrò per me finché le cose non si saranno spinte troppo avanti perché qualcuno possa fregarmela. Ma è dinamite.»

    Allie avvertì uno spasimo di gelosia. Non nei confronti di Danny, però. Piuttosto, era un anelito a una storia importante per lei stessa. «Di cosa si tratta? Quando sarà pronta?»

    «Presto. Tutto quello di cui ho bisogno è l’ultima tessera del puzzle. Il prossimo weekend lungo devo fare un viaggetto giù al Sud e trovare ciò che manca per finire il cielo.»

    Dunque, non tra molto. Il personale del Clarion lavorava in quattro lunghi turni settimanali, un programma strutturato in maniera tale da concedere loro cinque giorni consecutivi di riposo ogni tre settimane. Allie non aveva ancora del tutto capito in che modo sfruttare tale tempo al meglio, anche se, prima dell’arrivo dell’inverno, aveva sviluppato una passione per le passeggiate in collina. Ma stava tentando a fatica di comprare un appartamento e nel suo futuro vedeva un’infinità di lavori per migliorare la casa e decorarla. «Buon per te. Se hai bisogno di una fantaccina…»

    La porta sferragliò di nuovo. Stavolta, il capotreno era rosso in viso e agitato. «Tra voi c’è un dottore?» Si guardò intorno, disperato. «O un’infermiera?»

    Prima che qualcuno potesse rispondere, il grido di una donna fendette l’aria alle sue spalle. «Porca puttana, ti ammazzo, bastardo.»

    2

    Allie scattò in piedi, a bocca aperta. I suoi occhi incrociarono quelli di Danny e, senza dire una parola, entrambi si lanciarono verso la porta. Danny scostò il capotreno, gridando: «Sono un operatore di primo soccorso». Allie sfruttò il suo slancio per proiettarsi dietro di lui. Una donna giaceva, scomposta, su una delle sedute a tre posti, con i pantaloni della tuta abbassati alle caviglie, le cosce imbrattate del sangue che stava impregnando anche la grezza imbottitura felpata. Un uomo le stazionava davanti, con le labbra tese in una smorfia. Allie si bloccò.

    Il suo primo pensiero fu che la donna fosse stata vittima di un’aggressione. Dopodiché, notò il gonfiore pallido della sua pancia. «Sta per avere un bambino.» Come succede con i commenti superflui, se ne rese conto mentre lo articolava.

    Danny, invece, seguitò ad avanzare finché non fu al fianco della donna. «Sono un operatore di primo soccorso. Capito, amico?» disse all’uomo, che fece un paio di passi malfermi all’indietro, annuendo come uno di quei gadget a forma di cane che certi vecchi sistemano sulla cappelliera dell’auto.

    La donna non aveva smesso di strepitare e gridare da quando avevano messo piede nella carrozza e nulla lasciava intendere che avesse intenzione di farlo. Danny si spostò per vedere cosa stesse succedendo tra le gambe della signora e poi alzò gli occhi verso Allie. Nonostante la sua ostentata sicurezza, lei notò l’apprensione nel suo sguardo. «Tienile la mano» le disse. «Cerca di calmarla.»

    Terrorizzata di fronte a tale responsabilità, Allie si sporse leggermente in avanti e afferrò una mano agitata scompostamente dalla donna. In qualche modo, era al tempo stesso madida di sudore e appiccicaticcia per il sangue. Si rivolse all’uomo, la cui espressione si era fatta commovente. «Come si chiama?»

    «J-J-Jenny» balbettò lui. Poi, con maggior decisione: «Jenny. Il parto non era previsto prima di altre due settimane». Pescò un pacchetto malconcio di No. 6 dai jeans, estrasse con dita tremanti una sigaretta e la accese, inalando una lunga boccata di fumo nei polmoni.

    «Il bambino ha intenzioni completamente diverse» brontolò Danny, liberandosi del cappotto e rimboccandosi le maniche.

    Allie strinse con forza la mano di Jenny e si protese per scostarle i folti capelli neri dalla faccia sudata. «Andrà tutto bene, Jenny.»

    «Fanculo, come cazzo fai a saperlo?» gridò lei.

    «Il mio amico sa quello che sta facendo.» Allie rivolse uno sguardo implorante a Danny.

    «È vero, Jenny.» Scoppiò in una risata nervosa. «Sono cresciuto con la soap opera Emergency Ward 10. Devi fare qualche respiro profondo, cara. Vedo la testa del bambino, il tuo piccino è determinato a uscire e a venire al mondo. Ma il piccolo ha bisogno del tuo aiuto. Ha bisogno che tu la smetta di opporti.» Si sporse in avanti. Allie non aveva voglia di pensare a ciò che lui stava facendo. La semplice idea di quel sangue viscoso e di qualsiasi altra cosa ci fosse là sotto le stava rivoltando lo stomaco.

    Si girò nuovamente verso Jenny, che stava strabuzzando gli occhi come un cavallo spaventato in un film western. «So che fa male» disse delicatamente. «Ma presto sarà tutto finito, Jenny. E a quel punto avrai il tuo piccolo tra le braccia. Sarai una mamma orgogliosa e tutto questo non sarà altro che un brutto sogno. Davvero.»

    Jenny fu scossa da uno spasmo improvviso e urlò di nuovo, strizzando la mano di Allie nella sua. «Così va bene, Jenny» riuscì a dire Danny. Ora sudava tanto quanto Jenny. «Spingi di nuovo.» Attese. «Ora inspira. Un bel respiro profondo per me. Vedo una spalla. Adesso spingi di nuovo, cara. Puoi farcela.»

    I venti minuti successivi trascorsero come in una macchia indistinta di sangue e sudore, lamenti di Jenny, incoraggiamenti di Allie, occhiate ansiose di Danny e una sigaretta dietro l’altra del futuro padre. Allie seguitò a ripetere le stesse frasi senza senso. «Stai andando benissimo», «Sei una star, Jenny», «Ci siamo quasi». Era conscia delle altre persone che avevano formato un capannello intorno a loro. Poi, d’un tratto, Danny si ritrovò un fagottino viola tra le braccia e il flebile pianto di un neonato fece da contrappunto ai lamenti di Jenny.

    «Ottimo lavoro, sei stata bravissima» disse Allie.

    «È un maschietto.» Danny si rivolse con un sorriso all’uomo dietro di lui, a cui cedettero le ginocchia mentre sprofondava su un sedile. Le lacrime gli schizzarono fuori dagli occhi.

    «Ti amo, Jenny» gridò, con voce velata e roca.

    «E io continuo a odiarti, cazzo» singhiozzò lei. Ma non c’era più rabbia nella sua voce.

    Uno degli altri passeggeri offrì una salvietta. Allie mantenne la faccia rivolta verso Jenny, determinata a evitare ciò che stava avvenendo all’altra estremità. La aiutò a mettersi a sedere, spingendola sul sedile per consentirle di appoggiarsi al finestrino. A quel punto, Danny passò il bambino alla madre. Era avvolto nel telo e la sua faccina era accartocciata, come per proteggersi dall’aggressione delle immagini, dei rumori e delle sensazioni.

    Il padre si alzò in piedi a fatica e si aprì un varco fino a posizionarsi accanto a Jenny. Si inginocchiò accanto a loro e baciò suo figlio e poi la neomamma. «Sei incredibile, Jenny» disse. «Ti amo. Vuoi sposarmi?»

    Jenny lo scrutò dall’alto e, in quel momento, Allie vide un luccichio di acciaio dietro i suoi occhi esausti. «Merda, Stevie. Se avessi saputo che era tutto quello che ci voleva per spingerti a chiedermelo, mi sarei fatta mettere incinta un’eternità fa.»

    Danny si sporse verso Allie, mugugnando: «Citazione fantastica. Un sottotitolo, se ne ho mai sentito uno». Notò l’espressione sorpresa sul suo viso. «È come minimo da prima pagina, Allie. Forse, addirittura un’apertura.»

    «Se lo è, è il tuo pezzo» gli disse Allie. «Hai risolto una situazione complicata.»

    Lui scosse la testa. «È una storia da donne. Sai che è quello che diranno i grandi capi.»

    Aveva ragione. Allie stava iniziando ad abituarsi alla logica contorta dietro l’allocazione delle storie. Le donne avevano impiegato anni e anni per poter mettere piede nelle redazioni dei tabloid nazionali. Alla fine, i capi avevano capito che certe storie traevano vantaggio da quello che chiamavano un tocco femminile. Allie comprendeva perfettamente la motivazione per la quale era stata assunta. Il che, però, non significava dovervisi adeguare in silenzio. «Hai fatto nascere il bambino, dannazione» protestò.

    Danny si guardò mestamente le mani chiazzate di sangue e le macchie sul maglione e sui pantaloni. «Esatto. Ho sofferto abbastanza. Sai che razza di prese per il culo subirò dai ragazzi della redazione? Cose tipo: Ooh, l’ostetrica, come finire in un film della serie Carry On ogni volta che giro le spalle. Inoltre, vorranno la foto con il nome del giornalista sul posto e questo potrebbe fottere il lavoro sotto copertura che sto svolgendo. Non appena avrò reso pubblica questa cosa che ho per le mani, avrò la chance di scrivere pezzi investigativi importanti. Senti, Allie, ti basterà dire che si trattava di un uomo misterioso che si è rifiutato di comunicare il proprio nome.»

    «Cosa? E beccarmi una sfuriata in redazione per essere tornata con una storia incompleta?»

    Danny scrutò gli astanti e vide il capotreno tenersi a prudente distanza dal gruppo di persone che si stavano complimentando con la nuova famiglia. Si fece avanti, verso di lui. «Sono un reporter del Clarion» iniziò.

    Il capotreno indietreggiò. «Non ho mai fatto niente di male» si affrettò a dire.

    «No, amico, nessuno intende insinuarlo. Ma se scrivessimo un pezzo su di me che ho fatto nascere un bambino a bordo di un treno bloccato nel mezzo di una bufera di neve sembrerebbe che vogliamo stare sotto le luci della ribalta. E se, invece, il protagonista dell’articolo fosse lei? Sarebbe l’eroe del momento. E non è che non sia venuto a chiedere aiuto, giusto?»

    Il capotreno sembrava confuso. «Ma tutte queste persone hanno visto cos’è successo realmente.»

    «Se ne scorderanno del tutto, si limiteranno a raccontare agli amici di aver visto nascere un bambino su un treno. Sarà la mia collega» disse, indicando Allie, «a scrivere il pezzo. A Jenny e Stevie… non importa chi si prende il merito.» Allie dovette ammettere che aveva un sorriso accattivante.

    «Non so…» Il capotreno stava vacillando.

    «Forse, addirittura, riceverà un encomio o un aumento di stipendio, o che so.» Tornò a rivolgersi ad Allie. «Hai una macchina fotografica con te?»

    Lei annuì. «Nella borsetta.» Si portava sempre appresso la sua Olympus Trip 35 compatta: il suo primo caporedattore le aveva insegnato a non uscire di casa senza. «Non c’è mai un dannato fotografo nei paraggi quando te ne serve uno» aveva detto.

    «Va’ a prenderla» le disse Danny. «Vorranno delle foto.»

    3

    Allie tirò fuori la velina finale del suo pezzo dalla macchina per scrivere e separò con cura il foglio superiore e le copie, accartocciando i malridotti fogli di carta carbone nera e gettandoli nel cestino. Copia in cima per la redazione, seconda copia per il revisore, terza copia per la redazione fotografica e il foglio rosa sbiadito per il cassetto della sua scrivania.

    Infilò ciascuna pagina in fondo alla sua pila e poi fece un’ultima rilettura scrupolosa.

    Ieri il personale della stazione di Glasgow ha ricevuto una sorpresa quando è giunto un treno con un passeggero inatteso a bordo.

    Jenny Forsyth è entrata in travaglio sul treno Waverley-Queen Street delle 14.00 che era rimasto bloccato a causa di un cumulo di neve.

    Ma grazie al rapido intervento del capotreno, Thomas Mulrine, 47 anni, Jenny è arrivata alla stazione di Queen Street come neomamma di un vivace maschietto.

    Jenny, 23 anni, e il suo fidanzato Stephen Hamilton, 25 anni, stavano tornando alla loro casa in White Street, Partick, quando il dramma si è scatenato.

    Una forte nevicata aveva ostruito la linea tra Falkirk High e Linlithgow, bloccando il treno.

    Prima che lo spartineve liberasse i vagoni intrappolati, il piccolo Craig ha deciso di fare prematuramente la sua comparsa. Allertato dalle grida di dolore di Jenny, il signor Mulrine ha preso la situazione in mano e ha fatto nascere suo figlio tra gli applausi degli altri passeggeri.

    E come se la situazione non fosse stata sufficientemente drammatica, Stephen era così felice del parto senza complicazioni di suo figlio da inginocchiarsi e chiedere a Jenny di sposarlo.

    Jenny, entusiasta, ha risposto: «Se avessi saputo che era tutto quello che ci voleva per spingerti a chiedermelo, mi sarei fatta mettere incinta un’eternità fa».

    L’orgoglioso papà ha affermato: «La nascita di Craig non era prevista prima di altre due settimane, perciò avevamo pensato che non sarebbe stato un problema andare a Edimburgo per festeggiare l’anno nuovo insieme alla mamma e al papà di Jenny. Non avrei mai immaginato che avrebbe finito per partorire sul treno. Non so cosa sarebbe successo se il capotreno non fosse entrato in azione. È stato l’eroe del momento».

    Ma il signor Mulrine ha negato di aver compiuto un gesto eroico. «È mio dovere prendermi cura dei passeggeri. Però, non mi era mai capitato di far nascere un bambino. E spero di non doverlo fare mai più. Grazie a Dio, mia moglie ha partorito uno dei nostri tre figli a casa, dunque un’idea del da farsi l’avevo. Ma è stata una grossa responsabilità. Sono solo felice che le cose siano andate come sono andate.»

    Finalmente, mezz’ora più tardi, i binari erano stati ripuliti e il treno ha completato il suo viaggio verso Glasgow senza ulteriori sorprese.

    Il signor Mulrine aveva comunicato la notizia via radio e così ad attenderli c’era un’ambulanza che ha portato di corsa madre e neonato alla vicina Glasgow Royal Infirmary, dove il personale medico li ha visitati e dichiarati entrambi in ottima salute.

    Un portavoce della compagnia ferroviaria British Rail ha dichiarato: «Siamo felicissimi che Craig sia nato sano. Doneremo a questo specialissimo bambino un abbonamento ferroviario gratuito a vita».

    Tredici paragrafi. Un po’ lunghetto, ma era una giornata senza grandi notizie, quindi forse l’avrebbe fatta franca. Aveva scattato mezza dozzina di fotografie alla famiglia felice, con e senza l’imbarazzato Thomas Mulrine, e aveva consegnato il rullino alla redazione fotografica non appena era arrivata in ufficio. Aveva già dovuto subire i pesanti sfottò del photoeditor e dei suoi tirapiedi. «Perlomeno, hanno tutti gli occhi aperti» le aveva detto a denti stretti, dopo essersi fatto beffe delle immagini della festa di Natale che occupavano la prima metà del rullino.

    Allie distribuì il suo articolo e stava per tornare alla sua sedia quando Gavin, il caporedattore del turno di notte, la chiamò a gran voce. Lei si riavvicinò con cautela alla serie di scrivanie disposte a U in cui i capiredattori tenevano corte. Gavin Todd era un ometto mingherlino addosso a cui gli abiti parevano appesi come se le spalle ossute fossero delle grucce. Ogni cosa in lui era un lavoro in corso, per quanto non nella direzione giusta: i capelli erano sempre più radi e più grigi, la schiena si era ingobbita ulteriormente nei pochi mesi in cui Allie era stata lì e la quantità di whisky rispetto al tè nel thermos che si portava in ufficio sembrava in costante aumento. Tutte le sere iniziava a bere dieci minuti dopo che quelli del turno diurno erano usciti. Alle nove in punto se ne andava al pub per la sua pausa. Lei ci era stata qualche volta e lo aveva osservato tracannare cinque abbondanti bicchieri di whisky – gioiellini, li chiamava – in poco più di un’ora. Dopodiché, si comprava una bottiglia di un quarto di litro che gli bastava finché non andava via tra l’una e le due del mattino.

    Lo scrutò con circospezione, avvicinandosi a lui. All’inizio del turno, Gavin appariva come un normale, ragionevole caporedattore. E ciò significava che avere a che fare con lui era un po’ come giocherellare con una granata la cui linguetta stava per cadere sul pavimento. Ma non appena il whisky faceva effetto, la sua voce e il suo cervello iniziavano a incepparsi e la sua frustrazione si trasformava in piagnucolose lagnanze. «Quest’articolo» disse.

    «Sì?» Meglio non ribattere finché non sapevi con certezza con quale Gavin avresti avuto a che fare.

    «Eri presente, vero? Eri lì sul posto?»

    Allie annuì. «Già, ero lì.»

    «E allora cos’è ’sta roba?» Sbatté i fogli sul bordo della scrivania. «Perché allora non un pezzo autoreferenziale? Dovresti sfruttarlo, Burns. A quest’ora, gli altri giornali disporranno della storia. L’unica cosa che la renda esclusiva è la tua presenza sul posto.»

    «Ma non è la mia storia, Gay. Il dramma… riguarda interamente Jenny, il capotreno e la proposta di matrimonio.» Avvertì una pressione sul petto. Avrebbe mai capito come funzionavano le cose? Sembrava che tutti gli altri agissero di istinto, un istinto che lei non possedeva.

    Prima che Gavin potesse insinuarsi di nuovo nella sua cassa toracica, il direttore del turno di notte si materializzò accanto a lui. Arnie Anderson era praticamente l’opposto di Gavin: corpulento e gioioso, chioma e barba nere, le sue pause le faceva alla mensa aziendale e non al pub, rimpinzandosi di zuppa e pasticci fatti in casa che erano costantemente sul menu. «Bell’articoletto, Burns» tuonò.

    «Avrebbe dovuto essere un pezzo autoreferenziale» gemette Gavin. «La ragazza era presente. È quella l’esclusiva.»

    «Gavin, Gavin.» Arnie emise un sospiro esagerato di disappunto. Indicò con un ampio movimento del braccio muscoloso la redazione fotografica. «Le foto: l’esclusiva sta in quelle. Ecco il colpo da maestro. Qualcosa di allegro invece degli infiniti, maledetti articoli sulla tormenta di cui tutti si sono già stancati. La fotografia che pubblicheremo occuperà cinque colonne. Ma per farci stare l’intero l’articolo dovremo farlo finire a pagina 2. Il che significa che ci sarà lo spazio per un’integrazione di cinque paragrafi sul tuo drammatico viaggio in treno, Burns.» La congedò agitando le dita. «Sei ancora qui?»

    Allie si ritirò, lasciando Arnie, chino su una spalla di Gavin, a frugare tra gli articoli nel cestino. Inserì una velina nuova nella macchina per scrivere e fissò la pagina bianca con un misto di terrore e odio. «Mi serve per le nove» le gridò Arnie, voltandosi verso il banco posteriore, dove si prendevano le decisioni su impaginazione e contenuti.

    «Cazzo» brontolò. Come tutti i suoi colleghi tirocinanti, aveva letto Tom Wolfe e Joan Didion, Nick Tomalin e Truman Capote. Aveva sognato di ingrossare le file del Nuovo Giornalismo. Ma lavorare prima in un giornale della sera locale e ora in un tabloid quotidiano era stato un brusco risveglio. Persino gli autori degli articoli di approfondimento scrivevano in tabloidese, un bizzarro gergo fatto di cliché e di abbreviazioni. Chiunque avesse il cancro lottava strenuamente; qualsiasi donna al di sopra dei cinquant’anni era una nonnina battagliera; al di sotto dei cinquanta, era probabile che fosse una bionda strepitosa. Era pronta a scommettere una sterlina contro un orologio d’oro che, una volta che i revisori avessero terminato di lavorare sul suo articolo, Craig sarebbe stato un piccolo miracolo. Dunque, dove si sarebbe collocato il suo pezzo autoreferenziale in quella modesta pozzanghera?

    Allie rifletté sul consiglio che un collega più anziano le aveva dato all’inizio, quando si era occupata di tribunali civili e riunioni del consiglio comunale a Newcastle. «Come lo racconteresti ai tuoi amici al pub?» le aveva chiesto. «Nove volte su dieci, ti fornisce l’intro.»

    "Non avrò mai un figlio" fu quello che le balzò in mente. Non aveva bisogno di sentirsi dire da un revisore che quello non era il modo per cominciare un articolo del Clarion. Malgrado le opinioni anticattoliche che alimentavano tuttora la politica di assunzioni della testata, le madri erano Madonne nell’universo giornalistico.

    Allie cercò le sigarette nella sua borsetta: Silk Cut, le preferite di chiunque fingesse di voler perdere il vizio del tabacco optando per la dose più blanda di tutte. Provava a limitarsi a dieci al giorno e perlopiù ci riusciva. Quella sera forse non ce l’avrebbe fatta, ammise con una smorfia, utilizzando un accendino usa e getta. Un altro elemento di finzione: non le dava l’aspetto di continuare a lungo come uno Zippo avrebbe alluso. Fece un tiro profondo, coprendo volutamente i fori concepiti per consentire a una parte del fumo tossico di dissiparsi prima di raggiungere il fumatore. Chi stava cercando di ingannare?, si chiese.

    Durante la pausa di riflessione offertale dalla sigaretta, riuscì a farsi venire in mente qualcosa con cui magari l’avrebbe sfangata. Doveva essere un normalissimo viaggio in treno. Invece ieri, sui binari tra Edimburgo e Glasgow, ho assistito a un miracolo dell’anno nuovo. Si odiava già.

    Scrisse altri quattro paragrafi che iniziavano con un grido, continuavano con una mano che ne teneva un’altra e terminavano con quella che lei pensava fosse l’unica frase decente dell’articolo. I miei buoni propositi per il nuovo anno? Frequentare un corso di primo soccorso.

    Mentre batteva a macchina le ultime parole, Gavin si avvicinò furtivamente a lei e diede una sbirciata da dietro le sue spalle. «Hai quasi finito? Una fortuna per te che non ci sia praticamente nessun’altra notizia. Arnie ti sta dando una grossa chance: il titolo a caratteri cubitali e l’articolo che si conclude nella pagina seguente.»

    Allie tirò fuori bruscamente la velina dalla macchina per scrivere. «Finito.»

    Gavin gliela strappò di mano e si allontanò rapidamente, pronto a prendersi il merito per averla consegnata in tempo per la chiusura della prima edizione. Alla fine della sequenza di scrivanie, si voltò nuovamente verso di lei. «Non startene lì con le mani in mano, Burns. Renditi utile. Fatti portare da un’autista a fare un giro di visite. Ricordati: l’unica cosa che conta è il tuo ultimo titolo da prima pagina.»

    4

    Allie non era l’unica giornalista del Clarion che quella notte stesse faticando a scrivere un pezzo. Sulla sponda opposta del fiume, nell’appartamento al primo piano delle case a schiera di Pollokshields, Danny Sullivan stava cercando di mettere insieme una bozza grezza dell’articolo di giornalismo investigativo che era convinto gli avrebbe svoltato la carriera, trasformandolo da scribacchino di bassa lega a professionista da prendere sul serio. Da quando, tre anni prima, aveva assistito, rapito, a Tutti gli uomini del presidente in una calda serata estiva, sognava di diventare una versione scozzese di Woodward o di Bernstein. Avrebbe preferito essere Robert Redford, più affascinante e ammodo, ma, sotto sotto, sapeva di essere più simile a Dustin Hoffman, che correva da un posto all’altro in abiti della taglia sbagliata, lavorando instancabilmente sul più piccolo indizio finché non rivelava tutti i suoi segreti. Ma sapeva anche di essere simile sia a Woodward sia a Bernstein in un elemento chiave: si rendeva conto di avere per le mani un pezzo formidabile. Dargli la massima visibilità sulla pagina era la parte difficile. Soprattutto perché c’erano ancora un paio di buchi

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