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Sguardo di Tenebra: Il Canto dei Nove
Sguardo di Tenebra: Il Canto dei Nove
Sguardo di Tenebra: Il Canto dei Nove
E-book403 pagine5 ore

Sguardo di Tenebra: Il Canto dei Nove

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Info su questo ebook

Una guerra è alle porte. Shaira, una giovane cacciatrice di taglie con una benda scura sugli occhi menomati, viene suo malgrado coinvolta negli intrighi di potere che stanno dilaniando i Regni di Mytharell. Lungo il suo sanguinoso percorso di vendetta, dovrà confrontarsi con antichi poteri e con eroi leggendari. I fantasmi del passato torneranno a torturare quello che rimane della sua anima dannata, andando a scavare nel suo tragico passato. Un'oscura scelta farà vacillare le sue convinzioni, costringendola a sacrificare tutto ciò che ha di più caro al mondo. I Nove Dei tirano le fila del fato, schierando i propri alfieri, in vista dello scontro finale. Primo volume di una serie epic dark fantasy che vi travolgerà, lasciandovi senza fiato.
LinguaItaliano
Data di uscita6 mar 2024
ISBN9791222734835
Sguardo di Tenebra: Il Canto dei Nove

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    Anteprima del libro

    Sguardo di Tenebra - Nicola Foschini

    Sommario

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    ​Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Capitolo 16

    Capitolo 17

    Capitolo 18

    Capitolo 19

    Capitolo 20

    Capitolo 21

    Capitolo 22

    Capitolo 23

    Capitolo 24

    Capitolo 25

    Capitolo 26

    Capitolo 27

    Capitolo 28

    Capitolo 29

    Capitolo 30

    Capitolo 31

    Capitolo 32

    Ringraziamenti

    Proprietà letteraria riservata

    Vol. 1 della serie Il Canto dei Nove

    ISBN: 979-12-22734-83-5

    © 2024 by Nicola Foschini

    Editing e Revisione a cura di

    Roberta e Annarita Calaudi

    In copertina:

    COVER DESIGN: © Ester Kokunja

    FOTO RAGAZZA: © Scott Betts

    MAPPA: © Fabio Porfidia

    ​www.scrignodicarter.it

    "Al crepuscolo,

    quando le tenebre avvolgono ogni cosa,

    i figli dell'oscurità si destano dal sonno

    dando inizio alla caccia...

    Verranno i giorni della vendetta,

    dove i soprusi saranno resi

    e il debito di sangue ripagato...

    L'Era degli Elfi Scuri è alle porte,

    e quando giungerà,

    calerà sul mondo la Notte Eterna..."

    Cit. La Fenditura

    Capitolo 1

    Una notte senza stelle

    La pioggia cadeva leggera, in quella notte illuminata solamente dal chiarore di una pallida luna. Lei era immobile, come una statua di marmo, in attesa della sua prossima vittima.

    Le piccole gocce si infrangevano sul cappuccio di pelle, creando una leggiadra melodia composta da note tutte uguali; rivoli d'acqua scendevano verso il basso, seguendo le sinuose curve del suo corpo per poi disperdersi sulle tegole dell'enorme edificio fatiscente, che troneggiava sulla piccola cittadina.

    Era inginocchiata sul tetto dell'antico edificio oramai da molto tempo; quell'attesa snervante, la lasciava sola con i suoi pensieri, ed era l'ultima cosa che voleva.

    Il minuscolo borgo, di cui non ricordava il nome, era uno dei tanti costruiti ai margini della Foresta Nera, abitato per lo più da boscaioli e falegnami, che si guadagnavano da vivere vendendo il prezioso legname. Era popolato per la maggioranza da mezzelfi scuri e da qualche umano, che si era spinto così a est per tentare fortuna con il commercio. Proprio uno di questi commercianti era il suo bersaglio. Sapeva che possedeva una grossa bancarella nella parte nord dell'abitato, si era imposto sul mercato locale con prezzi stracciati, spiazzando la concorrenza, ma aveva pestato i piedi alla persona sbagliata. Il resto della storia non la conosceva e non le importava, l'avevano pagata bene, e questo le bastava.

    Un sinuoso ruscello attraversava la cittadina tagliandola in due, e molti ponticelli di legno si ergevano lungo tutto il suo corso, in modo da garantire il passaggio. Oran, il commerciante, usciva ogni notte per un momento di intima solitudine, fumando la pipa sotto uno dei ponticelli coperti.

    Lei lo stava attendendo.

    Sapeva che anche quella notte non avrebbe fatto eccezione, le abitudini erano dure a morire.

    Era accucciata sopra il grande edificio, come un predatore pronto a sferrare l'attacco fatale. Sentiva che il momento era prossimo, si accostò più vicino al limite del tetto, osservando l'ingresso dell'abitazione di Oran.

    Fasciata completamente da un abito di pelle scura, era tutt'uno con la notte. Era molto giovane, e aveva dei bei lineamenti, come la maggior parte dei mezzelfi. Una fascia nera le copriva gli occhi menomati, stringendosi dietro la nuca, dove una folta chioma di lunghi e lisci capelli color ebano era raccolta in una coda alta. La pelle violacea aveva le tonalità del prugna, ed era del tutto ricoperta da tatuaggi più scuri. Aveva stretto nel pugno il suo arco, che aveva personalmente costruito. Era ricavato da un raro legno che cresceva nel cuore della Foresta Nera.

    La sinfonia della pioggia fu rotta all’improvviso dal cigolio di un pesante portone. Anche se si era fatta attendere, alla fine, la sua preda era uscita allo scoperto. Il commerciante affrettò il passo, riparandosi il prima possibile sotto il ponte di legno. Era un ometto tarchiato, di mezz'età, con paffute guance rossicce, completamente calvo. Era tutto preso nell'accendere la sua pipa, resa umida dalla pioggia.

    La cacciatrice si posizionò per il tiro, sfilò dalla faretra una freccia scura, e la incoccò nell'arco. Il bersaglio era almeno a trecento passi dalla sua posizione, un tiro quasi impossibile per la maggior parte degli arcieri di tutta Mytharell. Grazie al suo innato potere vedeva la scena nitidamente, l'oscurità non le era di intralcio, se si sforzava, poteva intravedere il cuore pulsante della sua vittima. Tutta la scena era intrisa di una fluorescenza violacea.

    Con una calma maniacale, afferrò con le dita la corda bagnata, e con una lentissima inspirazione estese l'arco. Stava mirando dritto al cuore, ancora pochi attimi e avrebbe rintoccato per l'ultima volta. Sentiva il suo stesso cuore batterle nel petto, calmo e freddo.

    Stava attendendo l'istante perfetto.

    Inspiegabilmente, il piccolo uomo guardò in alto verso l'oscurità, come per incrociare lo sguardo del suo assassino. In quel preciso istante, la freccia venne scoccata. Perforò l'aria, facendosi strada tra la pioggia e l'oscurità, conficcandosi nel petto della vittima. Oran cadde all'istante sul ponte in un tonfo sordo.

    La pioggia continuò a cadere, e si udì solo il perpetuo picchiettio sui tetti del villaggio. L'assassina aveva già lasciato il luogo del delitto, cavalcando in direzione della foresta. Mentre era aggrappata all'animale lanciato al galoppo, ripensò agli istanti appena trascorsi.

    Aveva ucciso ancora una volta.

    Un altro fantasma avrebbe tormentato le sue notti insonni.

    Era un mondo violento, e lei era divenuta violenta a sua volta, non poteva fare altro, uccideva per sopravvivere, come fanno le bestie selvagge.

    Era una cacciatrice di uomini.

    Sentiva il respiro dell'animale farsi sempre più impetuoso, percepiva l'aria di casa e voleva raggiungerla il prima possibile, era un buon cavallo, ma non sopportava il buio della notte. Lei, al contrario, era figlia delle tenebre. Al crepuscolo i suoi occhi riprendevano a vedere, come se improvvisamente le barbarie che aveva subìto fossero state cancellate. Durante il giorno era cieca e vulnerabile. Cercava di cavarsela come poteva, rimanendo nascosta e attendendo trepidante il tramonto, per trasformarsi in quello che era veramente.

    Di notte si sentiva capace di qualsiasi cosa, nulla la spaventava, nemmeno la paura della morte. Alcune notti invece la bramava, in modo da cancellare per sempre il continuo assillo delle ombre del passato. Le accadeva poi di ripensare a tutto ciò che aveva dovuto sopportare, ai giorni trascorsi a tenersi stretta la vita con i denti e con le unghie, allora non si era lasciata andare e non l'avrebbe fatto neanche adesso.

    Ogni sera l'ignoto potere si risvegliava in lei, donandole la forza per ripagare col sangue le atrocità subite.

    Forse l'odio la teneva ancora in vita, oppure il desiderio di vendetta.

    L'animale frenò di colpo, erano giunti al limite della Foresta Nera. Scese lentamente, ancora assorta dai suoi pensieri, e lo fece allontanare con una pacca sul posteriore. L'avrebbe richiamato una volta che ne avrebbe avuto di nuovo bisogno. Era una bestia intelligente e sapeva cavarsela da sola, ma all'interno della foresta non sarebbe sopravvissuta un singolo giorno.

    Prima di addentrarsi verso quella che considerava la sua casa, si destò riprendendo la concentrazione. Doveva essere sveglia. Solo i più forti sopravvivevano all'interno della Selva Nera.

    Era notte fonda, i troll erano a caccia.

    Capitolo 2

    La mano della Madre Notte

    Imbracciò l'arco e lentamente si addentrò nella foresta. I fitti alberi dalle lussureggianti foglie verde scuro dominavano la scena, asfissiando con i loro rami contorti ogni altra forma di vegetazione e donando alla selva un aspetto di lugubre maestosità. La maggior parte degli abitanti dei villaggi limitrofi non rischiavano di avventurarvisi. Atroci storie, più che altro leggende, avvolgevano quel luogo, venivano tramandate da secoli, di generazione in generazione, e in ognuna di esse era nascosto un fondo di verità.

    La cacciatrice avanzava con cautela, ma con passo sicuro. Oramai conosceva la foresta palmo per palmo, ed era consapevole di tutti i pericoli che potevano attenderla. Per mezzo del suo potere, riusciva a percepire la presenza di qualsiasi forma di vita, ogni cosa le appariva come permeata da una fluorescenza violacea, mentre gli esseri viventi emanavano un bagliore ancor più intenso.

    L'aria era fresca e le riempiva piacevolmente il petto, la pioggia stava calando di intensità, mentre il silenzio la faceva sempre più da padrone.

    A un tratto, ci fu un fruscio di foglie, e un lupo grigio sgattaiolò fuori da un arbusto, stringendo tra le zanne una grossa lepre. Era molto magro, le sagome spigolose delle ossa quasi fuoriuscivano dalla pelliccia malconcia. L'animale si voltò, incrociando per un istante lo sguardo della figura incappucciata, per poi riprendere il passo verso il cuore della foresta.

    Alla cacciatrice scappò un sorriso.

    Io e te siamo uguali, soli, infreddoliti, con solo l'oscurità delle tenebre come egida sicurapensò tra sé e sé, seguendo il lupo con lo sguardo addentrarsi nel fitto della foresta.

    Quella era una notte particolarmente calma, sembrava che i feroci troll avessero sancito una tregua con le bestie della selva.

    Era giunta a metà strada, quando notò una creatura appollaiata su un albero. Si girò di scatto, scrutando lo strano figuro. Era immobile, avvolto in un lungo mantello nero. Un pesante cappuccio gli copriva il capo, lasciando intravedere solo il bagliore degli occhi, illuminati dal chiaro di luna.

    La creatura scostò piano il cappuccio e la cacciatrice colta di sorpresa fece un passo indietro. Una cascata di capelli color argento gli ricoprì le spalle, e la flebile luce che dapprima illuminava il suo sguardo, divenne un fuoco vivo. L'arciera strinse l'impugnatura dell'arma, sentiva i muscoli contrarsi in preda a scariche di adrenalina. Il cuore le pulsava così forte da farle male, sentì una goccia di sudore freddo scenderle dalla fronte, rigandole la guancia.

    All’improvviso, un forte rumore di rami spezzati catturò la sua attenzione, un'enorme creatura dal manto completamente nero sbucò dal folto della foresta.

    Era una pantera oscura, esseri con l'abilità di divenire invisibili al calar delle tenebre. Non battevano quei luoghi ormai da molto tempo e non ne aveva mai incontrata una prima d’allora. La fiera aveva una profonda cicatrice su un occhio, e stretta tra le fauci, teneva quello che rimaneva del corpo di un grosso troll.

    La cacciatrice lo riconobbe, lo chiamavano Rokus il Grigio, per l'insolito colore della pelle, una delle più feroci creature della selva. Era un grosso essere bipede dalla forma umanoide con la schiena e le braccia ricoperte da ispido pelo. Non l'aveva mai incrociato durante il giorno, come tutti i suoi simili, era costretto a ripararsi dalla luce per non divenire di pietra. Il gigantesco felino lo stringeva tra le zanne, come se fosse una consumata bambola di pezza.

    Da predatore a preda pensò. I casi della vita.

    Istintivamente aveva incoccato una freccia, tenendo sotto tiro l'enorme quadrupede.

    «Punta quell'affare verso di me, se lo farai arrabbiare, non garantisco per la tua vita.» La voce cupa proveniva dalla figura dai capelli d'argento che si trovava sopra di lei. La fece sobbalzare, e subito gli puntò l'arma contro.

    «Quando scatena la sua furia, nemmeno i miei ordini possono fermarlo, e ora che è eccitato dalla caccia, è ancora più irascibile.» Con un agile balzo, scese dal ramo su cui era appollaiato.

    Ora poteva vederlo con più chiarezza. Aveva dei bei lineamenti, orecchie a punta, occhi di un viola profondo, sembravano due stelle gemelle, in contrasto con la pelle scura.

    È sicuramente un elfo.

    Aveva tatuaggi su tutto il viso, proprio come i suoi, ma risplendevano di una strana fluorescenza, come se pulsassero di vita propria.

    «Il mio nome è Nox, e quello è Skool» asserì indicando la pantera. La bestia nera era intenta a divorare ciò che restava della sua preda, osservando ogni tanto la scena con i suoi brillanti occhi gialli.

    «Qual è il tuo nome?» gli chiese tranquillamente lo strano figuro.

    La cacciatrice non rispose, la sua attenzione era indirizzata sull'arco che l'elfo teneva a tracolla, dapprima non l'aveva notato, e stava cercando la faretra, ma non riusciva a vederla.

    «Ti hanno strappato anche la lingua insieme agli occhi?»

    A quelle parole la cacciatrice tese l'arco, puntando il cuore dell'elfo.

    Chi è costui? Come ha fatto a trovarmi?

    Un'infinità di domande le annebbiarono i pensieri.

    «Su, avanti, scocca quella freccia, cosa aspetti?» esclamò Nox avanzando di un passo.

    Il braccio aveva incominciato a bruciarle per lo sforzo. Il bersaglio era distante una ventina di passi.

    Non può schivarla da questa distanza, perché vuole farsi colpire?

    Non sapeva che fare, improvvisamente l'agile elfo avanzò di altri due passi. Scoccò la freccia.

    Nel tempo di un istante, il dardo venne ridotto in briciole, avvolto da un lampo violaceo; seguendo l’istinto, l'arciera si riparò il volto dalle schegge.

    Quando scostò la mano, vide l'elfo in piedi dinanzi a lei con impugnato l'arco. Una freccia di energia oscura era incoccata nella sua strana arma, una finissima catena nera era ancorata a uno dei flettenti e si saldava direttamente sul braccio dell'arciere, come se carne e metallo fossero ormai una cosa sola. Dal braccio dipartivano piccole scariche luminose, che percorrevano l'arma fino a raggiungere la freccia mistica, pulsante di energia.

    L'arco era composto da un inconsueto metallo nero, ricoperto da simboli antichi, ricordante nella parte dell'impugnatura, una testa di pantera con le fauci spalancate. I flettenti si allungavano, arcuandosi verso l'esterno, e assottigliandosi finemente verso le punte. Il bordo interno sembrava tagliente al pari di un rasoio, come due perfette falci da guerra.

    Non aveva mai visto niente del genere, nessun arciere nell'intera Mytharell poteva estrarre e scoccare una freccia nel tempo di un singolo respiro, ma Nox lo aveva appena fatto.

    Lei rimase immobile, impietrita, attendendo la fine. Il suo sguardo era concentrato sulla cuspide di quel dardo impregnato di energia oscura, ne era come ipnotizzata, abbagliata dalla sua rabbuiante bellezza.

    Inspiegabilmente, il suo avversario rilassò la corda, puntando l'arma verso il terreno, e la freccia mistica si smaterializzò in una dissolvenza cupa.

    «Se avessi voluto ucciderti lo avrei fatto quando ti stavi arrampicando su quell'edificio diroccato» disse guardandola diritto negli occhi. «Ma non sono qui per questo.»

    Si rimise a tracolla l'arco, continuando a fissare con intensità l'arciera.

    «Io sono la mano della Madre Notte, eseguo i suoi ordini, per mantenere l'equilibrio nelle forze che governano questo mondo. Ogni cosa accade per un motivo prestabilito, anche il tuo dono non è stato un caso. Qual è il tuo nome?» chiese ancora il guerriero.

    Com'è a conoscenza del mio potere? Chi è costui?

    «Shaira, e sono l'unica artefice del mio destino.»

    «Non fai parte della Fratellanza Oscura?» gli domandò il guerriero con calma glaciale.

    «Non l'ho mai sentita nominare» rispose secca.

    In realtà aveva sentito voci che descrivevano la Fratellanza come la più grande confraternita di assassini operante nella parte orientale di Mytharell, ma purtroppo o per fortuna, non era mai stata coinvolta da così vicino, per dire di conoscerla veramente.

    Meglio che non sappia nulla di me.

    «Si fanno chiamare uomini-corvo, seguono un credo tutto loro, creato da menti deviate. Una setta devota al Dio delle Tenebre. Strano che tu non la conosca, ogni cacciatore di taglie, prima o poi, o viene ucciso o si unisce a loro...» Un nodo alla gola attanagliò la giovane. «Sai che cosa vedo io?» continuò il guerriero elfico abbassando lo sguardo su di lei. «Una piccola bambina spaventata, che cerca di vendicarsi delle crudeltà della vita, uccidendo inconsciamente, per dare giustizia ai torti subiti. Questo non ti aiuterà. Per ogni anima che mieterai, cadrai sempre più in basso, in un baratro senza fondo dal quale non riuscirai più a sfuggire. Sei destinata a qualcosa di ben più grande di te, che non riesci neanche a comprendere, e che forse non capirai mai.» Quelle parole pesavano come macigni, e lo sguardo del guerriero si faceva strada nel profondo della sua anima, portandola allo scoperto.

    «Da dove deriva il tuo potere?» domandò con un filo di voce la cacciatrice, indicando l'arco che per poco non l'aveva uccisa, nell'intento di sviare il discorso.

    «Questa è l'arma dei prescelti, Albanera è il suo nome. Da questa scaturisce la mia forza. Il dono di Nyxar, la dea della Notte, la sacra protettrice degli elfi scuri. È legata a me fino a quando lei lo vorrà, o quando avrò finito il mio tempo su queste terre.

    I segni di qualcosa di più grande ti circondano, basta solo avere il coraggio per riuscire a scorgerli. Presto verrai posta davanti a un bivio, che cambierà la tua vita e quella di molti altri, per sempre. Spero solo che tu sia pronta per scegliere la via giusta da percorrere. Le scelte che farai segneranno il futuro dell'intera Mytharell. Il tuo destino è stato scritto da quando il potere che avevi celato dentro di te si è risvegliato, e ora non puoi più sottrarti alle responsabilità che esso comporta. Addio giovane guerriera, che Nyxar possa guidare la tua mano...»

    Con un fischio richiamò la pantera e agilmente le balzò in groppa, poi si dileguò nel fitto della Selva Nera.

    Shaira rimase immobile, con solo la compagnia della sua solitudine. Era stata scossa nel profondo da quell'incontro, si sentiva indifesa, vulnerabile, come un nervo scoperto.

    Da molto tempo si interrogava sul motivo legato al risveglio del suo potere, ma non aveva mai trovato risposta, e in cuor suo non l'aveva mai cercata.

    Ma ora tutto era cambiato.

    Forse il suo destino era davvero collegato a qualcosa che non riusciva ancora a comprendere. Ricordi lontani la raggiunsero, annebbiati e polverosi, le invasero con prepotenza la mente. Sembrava la voce di suo padre, sì, era proprio la sua, ne era certa. Le aveva sempre detto che la vita, a volte, può portare su una strada inaspettata, ma che in fondo c'è sempre una scelta, una via per la redenzione, anche se è ardua e pericolosa, basta trovare il coraggio di percorrerla.

    Non era sicura di riuscire a trovarlo, in fondo, era solo una giovane ragazza orfana, senza più nessuno a cui appoggiarsi. Tutto il suo mondo le era stato strappato via, la sua famiglia, la sua casa, i suoi occhi, con il solo lascito di una ferita profonda, che non si sarebbe mai più rimarginata.

    Capitolo 3

    Il sussurro della pioggia

    La foresta era divenuta più cupa. Mano a mano che si inoltrava nel fitto della selva, ombre e spauracchi sembravano attenderla ad ogni angolo, pronti ad assalirla. A un tratto, tutto le sembrò terrificante. La sua casa era divenuta un taciturno e irrequieto mostro, celato nell'ombra, pronto a divorarla.

    Forza, devo farcela, io non ho paura...

    Improvvisamente, sentì il rumore di rami spezzati: subito incoccò una freccia e si acquattò a terra, pronta a guizzare contro il nemico.

    Con il palmo sfiorava il terreno umido, mentre le foglie cariche d'acqua le accarezzavano il volto. Poteva quasi sentire il calmo respiro della foresta, con il solo rumore delle gocce di pioggia ad accompagnare l'inoltrarsi della notte.

    «Calmati, mia signora, cosa ti turba in questa splendida notte?» chiese sghignazzando un piccolo figuro appollaiato su un albero.

    «Sei tu, piccolo bastardo, per poco non ti conficcavo una freccia in mezzo alla fronte!» Riconobbe la voce, ma in particolare l'odore nauseabondo che emanava le tolse ogni dubbio. Era Gromal, l'insolente, sudicio goblin, che le commissionava i lavori.

    «Seratina storta, mia signora? Parliamo di cose importanti, com'è andata?» Vedeva i suoi piccoli, avidi, occhietti gialli brillare sotto il cappuccio.

    «Bene...» rispose spazientita la cacciatrice.

    Shaira osservava con disgusto quel piccolo essere dalle braccia troppo lunghe grattarsi la verdastra pelle bitorzoluta. Le gambe erano corte e tozze, come se fossero state prese in prestito da un'altra creatura. Teneva la schiera arcuata, e nonostante fosse avvolto dal mantello, non poteva nascondere quella gobba opulenta che la maggior parte di essi sviluppava con l'avanzare dell'età. Di tutte le creature che abitavano la Foresta Nera quella era sicuramente una delle meno aggraziate.

    «Lo sapevo. Tu non deludi mai...» seguì un'altra risata sghignazzante.

    Più grande dell'avidità dei goblin è la loro felicità nell'apprendere le disgrazie altrui, in particolar modo, quando qualcuno perde la vita per causa loropensò la guerriera.

    «Tu mi devi qualcosa?» gli disse Shaira con voce ferma.

    «Questa è la metà di quello che ti spetta» grugnì lanciandole un sacchetto di pelle nera. La cacciatrice lo afferrò al volo, facendone tintinnare il prezioso contenuto.

    «Il resto l'avrai quando sarò sicuro della riuscita del lavoro, non che non mi fidi…»

    «Ovviamente!» rispose lei. Sudicio goblin!

    Sapeva che avrebbe tenuto fede alle sue parole, l'aveva sempre fatto. Anche se non gli andava a genio, era certa di poter contare sulla sua smisurata fame di ricchezza. Il suo istinto le diceva, in ogni caso, di stare allerta e di non abbassare la guardia.

    «Bene, ti saluto mia signora, mi farò vivo per saldare il mio debito. Nel frattempo, riposati e ricorda che c'è una guerra alle porte, ciò significa tantissimo guadagno per noi. Quando tornerò, avrò una lista molto lunga di cose da farti fare, o meglio da ammazzare!» Se ne andò ghignando, in groppa al suo fetido pipistrello gigante.

    La sua presenza era quasi intollerabile. Ogni volta che lo sentiva ridacchiare, le prudevano i palmi. Ma purtroppo, aveva moltissime conoscenze, teneva le sue mani bitorzolute in pasto in quasi tutti i luoghi corrotti della zona orientale di Mytharell, come la maggior parte dei suoi simili. Conosceva bene i bersagli, le forniva ogni informazione riguardante le vittime: dove abitavano, le persone che frequentavano, quali fossero la loro routine e i loro vizi. Conosceva ogni cosa, fino al dettaglio più banale.

    Non avrebbe mai potuto fare tutto da sola, senza correre il rischio di esporsi in prima persona. Nessuno l'aveva mai vista in faccia, e questa, probabilmente, era la ragione per cui era ancora viva.

    Continuò a camminare con passo distratto, inoltrandosi nel cuore della foresta silenziosa, ancora immersa nei suoi pensieri. A un certo punto decise di fare una deviazione, d’altronde, la notte era ancora lunga, e il momento del riposo non ancora giunto.

    Imboccò uno stretto sentiero che nessuno batteva ormai da molto tempo, la via da seguire era divenuta quasi irriconoscibile.

    Quella parte di foresta le era familiare, e le faceva tornare in mente ricordi amari.

    Era la strada che conduceva al luogo dove aveva trascorso la sua breve infanzia.

    Il luogo dove anni addietro si ergeva la sua casa, ormai ridotta in un cumulo di macerie carbonizzate.

    Ricordava quando, insieme a suo padre, percorrevano quello stesso sentiero, trasportando il legname verso casa, dove si trovava il laboratorio. Suo padre era un abilissimo falegname, specializzato nella lavorazione del raro legno nero degli alberi dei morti che crescevano nel fitto della foresta. Restava incantata interi pomeriggi nel vedere il muovere ritmico dei macchinari, e delle capaci mani di suo padre accarezzare il legno, modellandolo.

    Ogni volta rimaneva ammaliata quando da un ceppo nodoso nasceva una statuetta levigata, raffigurante un lupo, un cavallo o un cervo.

    Da suo padre aveva imparato a intagliare, e si divertiva a creare archi e frecce, sempre più curati e precisi.

    Vivevano in una piccola casa, ai margini della foresta, insieme a sua madre e alla nonna, la quale anche se molto anziana, era ancora in gamba. Ogni sera davanti al camino, le raccontava storie leggendarie. La prendeva sulle ginocchia e le narrava di castelli dalle alte mura, di draghi sputa fiamme e di eroici condottieri. Ogni notte sognava di essere uno di loro e di vivere mille avventure straordinarie. Al mattino giocava al combattimento col padre, e si allenava instancabilmente con l'arco, il ruolo della candida donzella non le era mai piaciuto un gran che, preferiva essere l'eroina impavida, pronta a difendere i più deboli.

    Mi mancate tutti tantissimo...

    La pioggia aveva ricominciato a cadere.

    A un tratto, raggiunse quello che rimaneva dell’abitazione. L'incendio l'aveva completamente divorata, lasciandone solo la macabra carcassa scheletrica.

    Si sedette su un ramo di un albero incrinato dal passare degli anni, e cercò di ricordare il volto dei suoi genitori.

    Non ci riuscì.

    Era come se quella parte di ricordi le fosse stata strappata via.

    Le affiorarono alla mente solo gli occhi folli dei suoi aguzzini, e il volto contorto di sua madre, riversa sul pavimento in una pozza di sangue. Un brivido le scese lungo la schiena, facendola raggelare, quando ricordò il rumore del chiavistello della porta saltare via, e le urla disperate di sua madre nel vedere il corpo del marito venire martoriato da brutali colpi d'ascia.

    Lei stava in piedi, paralizzata, come una statua di marmo, cercando di urlare, ma le grida le si strozzavano in gola.

    Aveva visto i due uomini violentare sua madre, mentre il terzo arraffava tutto quello che poteva, gettandolo in un grosso sacco di iuta. Sua nonna era inginocchiata a terra, si premeva il petto con entrambe le mani, respirando a fatica e provando a urlare con tutto il fiato che aveva ancora in corpo. Uno di loro l’aveva zittita con un rapido fendente di lama. L’aveva vista accasciarsi a terra lentamente, con ancora le mani strette al petto.

    Aveva provato a fuggire, ma le gambe erano rimaste immobili, come se fossero state staccate dal corpo. Si era lasciata scappare solo un grido, quando uno dei tre aveva tagliato la gola di sua madre da orecchio a orecchio, gettandola sul pavimento a pochi passi da lei.

    Aveva sentito il sangue ancora caldo bagnarle i piedi.

    Poi era toccato a lei.

    Uno di loro l’aveva afferrata con la sadica promessa di atroci supplizi, ma inspiegabilmente, il capobanda aveva tentato di fermare il suo scagnozzo. Tuttavia, non ci era riuscito, e alla fine, aveva deciso di andare via insieme all’altro inutile tirapiedi, lasciandola in balìa del suo perfido aguzzino. Questi le aveva strappato i vestiti e l’aveva violentata.

    Ricordava solo il dolore, così forte da annebbiarle la vista.

    Aveva provato la più grande sensazione di impotenza di tutta la sua vita.

    Poi, aveva sentito la fredda lama del coltello premerle contro la gola.

    Aveva chiuso gli occhi attendendo la fine.

    Quando li aveva spalancati, aveva visto quel sudicio essere, con un attizzatoio rovente stretto nella mano, avvicinarsi a lei.

    Le aveva bruciato gli occhi, lasciandola nuda e inerme, in quella casa intrisa dell'odore del sangue dei suoi stessi genitori.

    Aveva osservato tutti e tre così intensamente, da stamparsi le loro luride facce nella testa, per sempre.

    Non hanno avuto il coraggio di uccidermi pensò. O forse l’hanno fatto per gioco, credendo che non sarei sopravvissuta un solo giorno, da sola, nel mezzo della foresta.

    La pioggia continuava a cadere, le sembrò di sentire un sussurro in mezzo a quell'insieme di note tutte uguali, forse la voce di sua madre.

    Si sforzò di piangere, ma nessuna lacrima poteva più scendere dai suoi occhi menomati.

    Si scostò il cappuccio e guardò il cielo, carico di nubi scure. Le gocce di pioggia le scorrevano sul viso, imperlandole il collo e scendendole in mezzo ai seni.

    Strinse i pugni così forte da sentire le unghie ledere la carne, si alzò di scatto urlando contro il firmamento, con tutto il fiato che aveva in corpo.

    Le avevano inferto delle ferite così profonde che mai si sarebbero rimarginate. Anche ora poteva sentire il sangue fuoriuscire dalla sua anima, incapace di trattenerlo.

    Ritornò in sé, tentando a fatica di scacciare gli spauracchi del passato.

    L'alba era ormai prossima e la selva si stava lentamente svegliando, scrollandosi di dosso la pioggia della notte appena trascorsa.

    Il suo istinto le suggeriva di rialzarsi, a breve si sarebbe trasformata nella creatura cieca e vulnerabile che così tanto detestava. Al sopraggiungere dell'alba, le sembrava di ritornare in qualche modo bambina, incapace di difendersi, incapace di urlare, paralizzata dalla paura.

    Capitolo 4

    La visione

    Era notte fonda, quando la flebile luce della lampada danzante ebbe come un sussulto, un'incertezza. In quel preciso istante due occhi color dell'oro si spalancarono, destati da uno strano presentimento. Si guardarono intorno, scrutando palmo a palmo l'interno della stanza, debolmente illuminata dalla lanterna dorata fluttuante a mezz'aria.

    All'improvviso, la sagoma di una figura incappucciata prese forma dal nulla, generata dalle ombre stesse. La luce le illuminò appena il viso, ma non si intravedevano occhi sotto al cappuccio tetro.

    La figura senza volto scivolò nella stanza, senza emettere alcun suono, come sollevata da fili invisibili. Si avvicinò piano al bordo del letto, e un sorriso macabro si disegnò sul volto menomato. Il Re degli elfi si mise a sedere, appoggiandosi allo schienale d'oro.

    Provò a urlare, per avvertire le sentinelle a guardia della stanza, ma le grida gli si soffocarono in gola. Provò di nuovo, poi ancora una volta, senza alcun risultato. Si portò una mano al collo, le corde vocali erano come atrofizzate. Scostò le lenzuola di seta argentata e tentò di scendere dal letto, ma

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