La quarta via
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Info su questo ebook
Il grande merito di Ouspensky, e della sua opera in generale, è stato quello di aver saputo “organizzare” tutto l’insegnamento di Gurdjieff in modo chiaro e intellegibile. G. non ha mai chiamato il suo insegnamento la Quarta Via, lo fece appunto O. indicando con questa dicitura un’ulteriore via dopo quella del Fachiro, del Monaco e dello Yogi. La Quarta Via si fonda sull'uso equilibrato di tutte le funzioni attraverso il loro sviluppo simultaneo e diventa crocevia di differenti credenze. La Quarta via esige un grande lavoro su se stessi, un’analisi interiore che è per tutti e che senza un maestro non risulta possibile. Lavoro su corpo, essenza e personalità; autosservazione; lavoro sui molteplici “io”; riconoscere l'esistenza dei tre centri principali: intellettuale, emozionale, fisico, costituiscono alcuni degli elementi che O. propone come Quarta via e che sono in grado di condurre le persone ad un livello di coscienza più elevata. Usando numerosi simboli, tra cui l’enneagramma, O. ci offre uno modo alternativo di concettualizzare il mondo e il nostro posto in esso. La Quarta Via comunque non è per tutti, ma solo per coloro che accettano un duro lavoro su di sé e credono in un livello superiore di conoscenza e consapevolezza.
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Anteprima del libro
La quarta via - Petr D. Ouspensky
Petr D. Ouspensky
LA QUARTA VIA
Gli insegnamenti di G. I. Gurdjieff
gli Iniziati
KKIEN Publishing International
www.kkienpublishing.it
Prima edizione digitale: 2017
Ed. originale: The fourth way: teaching of G. I. Gurdjieff, 1957
Traduzione dall’inglese di Bruno Valli sull’edizione del 1971 di Random House USA Inc.
ISBN 9788833260044
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Table Of Contents
Capitolo 1
Di cosa trattiamo
Capitolo 2
L’uomo e la sua incompletezza
Capitolo 3
Studio del sé e miglioramento
Capitolo 4
Centro di gravità e ruolo delle scuole
Capitolo 5
Percezione e ricordo
Capitolo 6
Scopo, direzione e consapevolezza
Capitolo 7
I significati della parola io
Capitolo 8
Il posto dell’uomo nel mondo
Capitolo 9
Centri superiori
Capitolo 10
Lavoro su noi stessi
Capitolo 11
Una scuola per la Quarta Via
Capitolo 12
Conoscere se stessi
Capitolo 13
Le azioni umane e il ruolo dell’intelletto
Capitolo 14
Trasformare le emozioni negative
Capitolo 15
Esoterismo
Capitolo 16
Svegliarsi
Capitolo 1
Di cosa trattiamo
Prima di cominciare a spiegarvi in maniera generale gli argomenti di questo sistema e di parlare dei nostri metodi, desidero vi sia ben chiaro che le idee e i principi più importanti del sistema non mi appartengono.
Ciò è quanto li rende più validi perché, se essi mi appartenessero, sarebbero come tutte le altre teorie inventate da menti comuni: darebbero soltanto una visione soggettiva delle cose.
Quando nel 1907 cominciai a scrivere A New Model of the Universe, mi dissi chiaramente, come tanti altri hanno fatto prima e poi, che sotto la superficie della vita da noi conosciuta c’è qualcosa di molto più grande e importante. E aggiunsi che, finché non conosciamo maggiormente ciò che le sta dietro, tutta la nostra conoscenza della vita e di noi stessi è in realtà trascurabile. Ricordo una conversazione di quell’epoca, in cui affermai: Se fosse possibile accettare come provato che la consapevolezza - o, come la chiamerei ora, l’intelligenza - può manifestarsi indipendentemente dal corpo fisico, parecchie altre cose potrebbero essere dimostrate. Soltanto che ciò non può essere accettato come provato
. Mi resi conto che manifestazioni di psicologia supernormale, quali trasmissione del pensiero, chiaroveggenza, possibilità di conoscere il futuro, di vedere nel passato, e così di seguito, non sono state dimostrate. Perciò cercai di trovare un metodo per studiare queste cose e per parecchi anni lavorai in quella direzione. In quel modo trovai alcune cose interessanti, ma i risultati furono assai deludenti e, sebbene parecchi esperimenti avessero successo, era quasi impossibile ripeterli.
Nel corso di quegli esperimenti arrivai a due conclusioni. Prima: noi non conosciamo abbastanza la psicologia ordinaria; non possiamo studiare la psicologia supernormale perché non conosciamo la psicologia normale. Seconda: esiste una certa conoscenza reale; possono esserci scuole che sanno esattamente ciò che noi vogliamo conoscere, ma per una qualche ragione esse sono nascoste e questa conoscenza è occulta.
Perciò mi misi alla ricerca di queste scuole. Viaggiai attraverso Europa, Egitto, India, Ceylon, Turchia e Vicino Oriente; ma in realtà fu più tardi, quando avevo già compiuto questi viaggi, che durante la guerra mi imbattei in Russia in un gruppo di persone le quali stavano studiando un certo sistema che originariamente veniva da scuole orientali. Questo sistema cominciava con lo studio della psicologia, esattamente come avevo pensato dovesse essere.
L’idea principale di questo sistema era che noi non usiamo nemmeno una piccola parte dei nostri poteri e delle nostre forze. Abbiamo in noi, per così dire, un’organizzazione grandissima ed efficientissima, ma non sappiamo come usarla. In quel gruppo impiegavano alcune metafore orientali; essi mi dissero che abbiamo in noi una grande casa piena di magnifici mobili, con una biblioteca e parecchie altre stanze, ma viviamo nel seminterrato e nella cucina da cui non possiamo uscire. Se qualcuno ci dice ciò che questa casa ha sopra, non gli crediamo, o ne ridiamo, o chiamiamo le sue parole superstizione, fiabe o fantasie.
Questo sistema può essere diviso in studio del mondo, su determinati principi nuovi, e studio dell’uomo. Lo studio del mondo e lo studio dell’uomo includono un tipo di linguaggio speciale. Noi cerchiamo di usare parole comuni, quelle stesse che impieghiamo nella conversazione ordinaria, ma attribuiamo loro un significato leggermente diverso e più preciso.
Lo studio del mondo, lo studio dell’universo, è basato sullo studio di alcune leggi fondamentali che non sono generalmente note e riconosciute dalla scienza. Le due leggi principali sono la Legge del Tre e la Legge del Sette che spiegheremo in seguito. Incluso in esse, necessario da questo punto di vista, è il principio della scala: un principio che non fa parte del comune studio scientifico, o c’entra assai poco.
Lo studio dell’uomo è strettamente collegato all’idea della sua evoluzione, ma l’evoluzione dell’uomo deve essere intesa in maniera leggermente diversa dalla solita. Normalmente la parola ‘evoluzione’ applicata all’uomo, o a qualsiasi altra cosa, presuppone un tipo di evoluzione meccanica; intendo dire che determinate cose, per effetto di certe leggi note o ignote, si trasformano in altre, queste altre cose si trasformano a loro volta ancora in altre, e così di seguito. Ma dal punto di vista di questo sistema non c’è affatto una tale evoluzione: non parlo in generale, ma specificamente dell’uomo. L’evoluzione dell’uomo, se avviene, può essere soltanto il risultato di conoscenza e sforzo; finché l’uomo sa soltanto ciò che può sapere in maniera comune, per lui non c’è, e non c’è mai stata, evoluzione.
Lo studio serio comincia in questo sistema con lo studio della psicologia, cioè con lo studio di noi stessi, in quanto la psicologia non può essere studiata, come invece può esserlo l’astronomia, fuori di noi. L’uomo deve studiare se stesso. Quando ciò mi fu detto, vidi immediatamente che noi non abbiamo alcun metodo per studiarci e già abbiamo parecchie idee sbagliate circa noi stessi. Perciò mi resi conto che dobbiamo liberarci dalle idee sbagliate su noi stessi e tuttavia trovare metodi per studiarci.
Vi rendete conto quanto sia difficile definire il significato di psicologia?
Ci sono tanti significati, legati alle stesse parole in sistemi differenti, che è difficile avere una definizione generale. Perciò cominciamo col definire la psicologia come studio di noi stessi. Dovrete imparare determinati metodi e principi e, in accordo con questi principi e usando questi metodi, cercherete di vedervi da un punto di vista nuovo.
Se cominciamo a studiarci ci imbattiamo prima di tutto in una parola che usiamo più di ogni altra: la parola io. Diciamo ‘io sto facendo’, ‘io sto seduto’, ‘io sento’, ‘io amo’, ‘io non amo’, e così di seguito. Questa è la nostra principale illusione, in quanto il maggior errore che facciamo riguardo a noi stessi è quello di considerarci come uno; parliamo di noi stessi come io, e supponiamo di riferirci sempre alla stessa cosa, mentre in realtà siamo divisi in centinaia e centinaia di io differenti. In un certo momento, quando dico io, sta parlando una parte di me; e in un altro momento, quando dico io, è completamente un altro io che parla. Non sappiamo di non avere soltanto un io, ma parecchi io differenti, collegati con i nostri sentimenti e desideri, i quali non hanno un io che li controlla. Questi io cambiano continuamente; uno soffoca l’altro, uno rimpiazza l’altro, e tutta questa lotta forma la nostra vita interiore.
Gli io che vediamo in noi stessi sono divisi in vari gruppi. Alcuni di questi gruppi sono legittimi, appartengono alle giuste divisioni dell’uomo, mentre altri sono del tutto artificiali e sono creati da insufficiente conoscenza e da certe idee immaginarie che l’uomo ha di sé.
Per cominciare lo studio di sé è necessario studiare metodi di osservazione di sé, ma questa a sua volta deve essere basata su una certa comprensione delle divisioni delle nostre funzioni. La nostra idea ordinaria di queste divisioni è completamente errata. Conosciamo la differenza tra funzioni intellettuali ed emozionali. Per esempio, quando discutiamo le cose, ci riflettiamo sopra, le confrontiamo con altre, inventiamo spiegazioni o troviamo vere spiegazioni: questo è tutto lavoro intellettuale; mentre amore, odio, paura, sospetto e così via, sono emozionali. Molto spesso però, quando cerchiamo di osservarci, confondiamo addirittura funzioni intellettuali ed emozionali; quanto realmente sentiamo, chiamiamo pensare, e quanto pensiamo chiamiamo sentire. Ma nel corso dello studio apprendiamo in qual maniera questi differiscano. Per esempio, c’è un’enorme differenza di velocità, ma ne parleremo in seguito.
Ci sono poi altre due funzioni che nessun sistema di ordinaria psicologia divide e comprende in maniera giusta: la funzione istintiva e la funzione motrice. Quella istintiva si riferisce al lavoro interno dell’organismo: digestione del cibo, battiti del cuore, respirazione, queste sono funzioni istintive. Alle funzioni istintive appartengono anche i sensi ordinari: vista, udito, odorato, gusto, tatto, la sensazione di freddo e di caldo, cose del genere; e ciò in realtà è tutto. Tra i movimenti esterni, soltanto i riflessi semplici appartengono alla funzione istintiva, in quanto quelli più complicati appartengono alla funzione motoria. È facilissimo distinguere fra funzioni istintive e funzioni motorie. Non dobbiamo apprendere nulla di quanto appartiene alla funzione istintiva; siamo nati con le capacità di usare tutte le funzioni istintive. Le funzioni motorie, invece, devono tutte essere apprese: un bambino impara a camminare, a scrivere, e così via. Esiste un’enorme differenza tra le due funzioni in quanto non c’è nulla di inerente nelle funzioni motorie mentre quelle istintive sono tutte inerenti.
Quindi, nell’osservazione di sé, è necessario prima di tutto dividere queste quattro funzioni e classificare immediatamente tutto ciò che osserviamo, dicendo: Questa è una funzione intellettuale
, Questa è una funzione emozionale
e così di seguito.
Se praticherete questa osservazione per qualche tempo, vi potrà accadere di notare alcune cose strane. Scoprirete, per esempio, che la cosa realmente difficile nell’osservazione è che ve ne dimenticate. Cominciate con l’osservare, le vostre emozioni si mettono in relazione con qualche tipo di pensiero, e voi dimenticate di osservarvi.
Un’altra volta, dopo un pò di tempo, se continuerete nello sforzo di osservare, che è una funzione nuova non usata nella stessa maniera nella vita ordinaria, noterete un’altra cosa interessante: generalmente non ricordate voi stessi. Se poteste essere consapevoli di voi stessi tutto il tempo, sareste sempre capaci di osservare, o in ogni caso finché ne avete voglia. Ma poiché non potete ricordare voi stessi, non vi potete concentrare; questo è il motivo per cui dovrete ammettere di non avere volontà. Se poteste ricordare voi stessi, avreste volontà e potreste fare ciò che vi piace. Ma non potete ricordare voi stessi, non potete essere consapevoli di voi stessi e perciò non avete volontà. Qualche volta potrete avere volontà per breve tempo, ma questa si rivolge verso qualcosa d’altro e voi la dimenticate.
Questa è la situazione, lo stato di essere, lo stato da cui dobbiamo cominciare lo studio di noi stessi. Molto presto però, se continuerete, arriverete alla conclusione che proprio quasi fin dal principio dello studio di voi stessi dovrete correggere determinate cose in voi che non sono giuste, sistemare certe cose che non stanno al loro posto. Il sistema ha una spiegazione per ciò.
Siamo fatti in modo tale da poter vivere in quattro stati di consapevolezza, ma così come siamo, ne usiamo soltanto due: uno quando dormiamo, l’altro quando siamo ciò che chiamiamo ‘svegli’: cioè nello stato presente, quando possiamo parlare, ascoltare, leggere e così via. Ma questi sono soltanto due dei quattro stati possibili. Il terzo stato di consapevolezza è assai strano. Se qualcuno ci spiega cos’è il terzo stato di consapevolezza, cominciamo col pensare di averlo. Il terzo stato può essere chiamato consapevolezza di sé e la maggior parte delle persone, se interrogate, dice: Certo che siamo consapevoli!
. Occorre tempo sufficiente, o ripetuti e frequenti sforzi di osservazione di noi stessi, prima che riconosciamo il fatto di non esser consapevoli, di esserlo soltanto potenzialmente. Se ci viene chiesto, diciamo: Sì, lo sono
, e in quel momento lo siamo, ma il momento successivo cessiamo di ricordare e non lo siamo più. Quindi nel processo di osservazione di noi stessi ci rendiamo conto di non essere nel terzo stato di consapevolezza, di vivere soltanto in due stati. Viviamo o nel sonno o nella veglia; il che, nel sistema, è chiamato consapevolezza relativa. Il quarto stato, chiamato consapevolezza obiettiva, ci è inaccessibile perché può essere raggiunto solamente mediante consapevolezza di sé, divenendo cioè prima consci di noi stessi, in modo che in seguito possiamo riuscire a raggiungere lo stato obiettivo di consapevolezza.
Così, oltre che con l’osservazione di noi stessi, cerchiamo di essere consci di noi stessi mantenendo la sensazione di ‘io sono qui’: niente altro. Questo è il fatto che è sfuggito a tutta la psicologia occidentale, senza la minima eccezione. Sebbene parecchie persone vi siano giunte vicino, esse non hanno riconosciuto la sua importanza e non si sono rese conto che lo stato dell’uomo, come egli è, può essere cambiato: l’uomo può ricordare se stesso se ci prova a lungo.
Non è una faccenda di un giorno o di un mese. È uno studio lunghissimo, uno studio su come rimuovere gli ostacoli, perché noi non ricordiamo noi stessi, non siamo consapevoli di noi stessi, a causa di parecchie funzioni sbagliate nella nostra macchina, e tutte queste funzioni devono essere corrette e regolate. Quando la maggior parte di queste funzioni è stata corretta, questi periodi di ricordo di sé si faranno sempre più estesi, e se diverranno sufficientemente lunghi, acquisteremo due nuove funzioni. Con la consapevolezza di noi stessi, che è il terzo stato di consapevolezza, acquistiamo una funzione chiamata superiore emozionale, anche se è egualmente intellettuale, perché a questo livello non c’è differenza tra intellettuale ed emozionale, come al livello ordinario. E quando arriviamo allo stato di consapevolezza obiettiva acquistiamo un’altra funzione chiamata superiore mentale. Fenomeni di ciò che io chiamo psicologia supernormale appartengono a queste due funzioni; questa è la ragione per cui, quando io effettuai quegli esperimenti venticinque anni fa, arrivai alla conclusione che il lavoro sperimentale è impossibile, perché non è questione di esperimenti, ma di cambiare il proprio stato di consapevolezza.
Vi ho dato appena qualche idea generale. Cercate di dirmi ora quello che non comprendete, ciò che desiderate vi spieghi meglio. Fatemi qualsiasi domanda vi pare, sia in relazione a quanto ho detto che a problemi vostri. Così sarà più facile cominciare.
D. Per raggiungere lo stato superiore di consapevolezza è necessario essere permanentemente consci di sé?
R. Non possiamo raggiungerlo, perciò non è questione di essere permanentemente consci. Ora possiamo parlare soltanto del principio. Dobbiamo studiarci, in connessione con questa divisione di funzioni differenti, quando possiamo - quando ci ricordiamo di farlo - perché in ciò dipendiamo dal caso. Quando ricordiamo, dobbiamo cercare di essere consci di noi stessi. È tutto quanto possiamo fare.
D. Dobbiamo essere capaci di essere consci delle nostre funzioni istintive?
R. Soltanto dei sensi. Il lavoro istintivo interno non ha bisogno di divenir conscio. È conscio di sé, indipendentemente dalla funzione intellettuale, e questa non necessita aumento. Dobbiamo sforzarci di diventare consci di noi stessi come ci vediamo, non delle nostre funzioni interiori. Dopo un po’, possiamo divenir consci di alcune funzioni interiori di cui è utile essere consci; ma non ancora. Vedete, noi non acquisiamo alcun sentimento nuovo. Semplicemente classifichiamo meglio le nostre impressioni ordinarie, le cose ordinarie che otteniamo dalla vita, dalla gente, da tutto.
D. È corretto dire che quando impariamo una cosa qualsiasi, per esempio a guidare una macchina, la funzione intellettuale dice alla funzione motoria ciò che deve fare e che, quando ne è capace, la funzione motoria lavora da sé?
R. Giustissimo. Potete osservare parecchie cose come questa. Prima apprendete mediante la funzione intellettuale.
D. Quanto importante è la conoscenza acquisita osservando le nostre azioni fisiche? E puramente un esercizio per osservare la nostra mente?
R. No, è importantissima perché noi confondiamo parecchie cose e ignoriamo le cause di parecchie cose. Possiamo comprendere le cause soltanto mediante l’osservazione costante protratta a lungo.
D. Possiamo aver istruzioni su come lavorare in ciascuna delle quattro funzioni?
R. Tutto ciò sarà spiegato; per il momento, e per parecchio tempo, potete soltanto osservare.
D. Sarebbe un esempio di differenti io operanti quando uno che va a letto tardi decide assolutamente di andare a letto presto la notte seguente e, quando questa viene, si regola diversamente?
R. Proprio così: un io decide e un altro deve eseguire.
D. Come cominciamo a cercare di essere più consapevoli di noi stessi?
R. È una cosa facilissima da spiegare, sebbene difficilissima da attuare. Non ci sono metodi indiretti. Uno stato migliore può essere ottenuto soltanto con lo sforzo diretto, proprio col cercare di essere più consci, col chiedere a se stessi quanto più spesso è possibile: Sono conscio o no?
.
D. Ma come si raggiunge una qualsiasi certezza che il nostro metodo è giusto?
R. Semplicemente col confrontare una osservazione con l’altra. E poi conversiamo quando ci incontriamo. La gente parla delle proprie osservazioni; le confronta; io cerco di spiegare ciò che essa non può comprendere; c’è altra gente che mi aiuta; in tal modo si diventa certi delle cose comuni, proprio come si sa che l’erba è verde. In tutto ciò non c’è questione di fede o di credo. Proprio al contrario, questo sistema insegna alla gente a non credere esattamente in nulla. Dovete verificare tutto ciò che vedete, udite e sentite. Soltanto in questo modo potete arrivare a qualcosa. Tuttavia, dovete rendervi conto che la nostra macchina funziona tutt’altro che perfettamente; e ciò, a causa di parecchie funzioni sbagliate, sicché un’importantissima parte dello studio di sé è connessa con lo studio delle funzioni sbagliate. Dobbiamo conoscerle al fine di eliminarle. E una delle funzioni particolarmente sbagliate, che a volte ci piace in noi, è l’immaginazione. In questo sistema ‘immaginazione’ non significa pensiero consapevole o intenzionale su qualche soggetto, o visualizzazione di qualcosa, ma immaginazione che muta senza alcun controllo o senza alcun risultato. Essa sottrae molta energia e indirizza il pensiero in una direzione sbagliata.
D. Quando voi dite ‘immaginazione’, intendete immaginare che qualcosa è vero, non il creare delle immagini?
R. L’immaginazione ha parecchi aspetti; può essere semplicemente comune sogni ad occhi aperti, o per esempio, immaginare poteri inesistenti in noi stessi. E la stessa cosa, funziona senza controllo, corre da sola.
D. Ognuno di essi è illusione?
R. Uno non la prende come illusione: egli immagina qualcosa, poi ci crede e dimentica che era immaginazione.
Studiando l’uomo nel suo stato presente di sonno, assenza di unità, meccanicità e mancanza di controllo, troviamo varie altre funzioni sbagliate che sono il risultato del suo stato: in particolare, il mentire a se stessi e agli altri costantemente. La psicologia dell’uomo qualunque potrebbe addirittura essere chiamata lo studio del mentire, perché l’uomo mente più di qualsiasi altra cosa; in realtà, egli non può dire la verità. Non è tanto facile dire la verità; bisogna apprendere a farlo, e a volte ciò richiede moltissimo tempo.
D. Vi dispiacerebbe spiegare cosa intendete per mentire?
R. Mentire è pensare o parlare di cose che non si conoscono; questo è l’inizio del mentire. Non significa mentire intenzionalmente: raccontare delle storie, come per esempio che c’è un orso nell’altra stanza. Si può andare nell’altra stanza e vedere che non c’è un orso. Ma se prendete tutte le teorie che la gente avanza su qualsiasi dato argomento, senza saperne nulla, vedrete dove comincia il mentire. L’uomo non si conosce, non conosce nulla, tuttavia ha teorie su quasi tutto. La maggior parte di queste teorie è menzogna.
D. Vorrei conoscere la verità che è bene per me sapere nel mio stato presente. Come faccio a scoprire se è una bugia?
R. Per qualsiasi cosa che sapete avete metodi di verifica. Ma prima dovete sapere ciò che potete sapere e ciò che non potete. Questo aiuta la verifica. Se cominciate con ciò, presto vi accorgerete delle bugie, anche senza pensare. Le bugie hanno un suono diverso, particolarmente le bugie sulle cose che non possiamo sapere.
D. Per quanto riguarda l’immaginazione, se pensiamo invece di immaginare, dobbiamo essere costantemente consci dello sforzo?
R. Sì, ne sarete consci: non tanto dello sforzo, quanto del controllo. Sentirete che controllate le cose, che queste non accadono da sole.
D. Quando dite ricordate voi stessi
, intendete con ciò il ricordare dopo esserci osservati, o ricordare le cose che sappiamo essere in noi?
R. No, esso va completamente separato dall’osservazione. Ricordare se stesso significa la stessa cosa che essere conscio di se stesso: Io sono
. Qualche volta ciò viene da sé; è una sensazione stranissima. Non è una funzione, né un pensiero, né un sentimento; è uno stato di consapevolezza diverso. Da sé viene soltanto per brevissimi momenti, generalmente in ambienti completamente nuovi, e allora uno si dice: Che strano. Sto qui
. Questo è ricordare se stesso; in quel momento ricordate voi stessi.
Successivamente, quando cominciate a distinguere questi momenti, arrivate ad un’altra interessante conclusione: vi rendete conto che quanto ricordate della vostra infanzia sono barlumi di ricordi di voi stessi, in quanto tutto ciò che sapete dei momenti ordinari è che le cose sono accadute. Sapete che eravate là, ma non ricordate nulla con esattezza; mentre, se c’è quel lampo, allora ricordate tutto quello che circondava quel momento.
D. Mediante l’osservazione si può essere consapevoli di non aver determinate cose? Bisogna osservare le cose dal punto di vista che tutto è possibile?
R. Non credo sia necessario usare una parola come ‘tutto’. Limitatevi ad osservare, senza mai congetturare, e osservate soltanto ciò che potete vedere. Per moltissimo tempo dovrete soltanto osservare e cercare di scoprire tutto quel che potete circa le funzioni intellettuali, emozionali, istintive e motorie. Da ciò potrete arrivare alla conclusione che avete quattro menti ben definite: non una sola, ma quattro menti diverse. Una mente controlla le funzioni intellettuali, un’altra mente completamente diversa controlla le funzioni emotive, una terza controlla quelle istintive, e una quarta, anch’essa del tutto diversa, controlla le funzioni motorie. Noi le chiamiamo centri: centro intellettuale, centro emotivo, centro motorio e centro istintivo. Essi sono completamente indipendenti. Ciascun centro ha la propria memoria, la propria immaginazione e la propria volontà.
D. Nel caso di desideri contrastanti, suppongo che se uno avesse sufficiente conoscenza di sé, sarebbe capace di fare in modo che essi non fossero in conflitto?
R. La conoscenza da sola non è sufficiente. Uno può sapere e i desideri possono ugualmente essere in contrasto, in quanto ciascun desiderio rappresenta una volontà diversa. Ciò che chiamiamo la nostra volontà nel senso comune non è altro che la risultante di desideri. La risultante qualche volta arriva a una linea d’azione precisa, altre volte non può giungere a nessuna linea definita, perché un desiderio va da una parte e un altro dall’altra e noi non possiamo decidere cosa fare. Questo è il nostro stato normale. Indubbiamente il nostro scopo futuro deve essere quello di arrivare alla unità, invece di essere molti come ora siamo, perché per fare qualsiasi cosa giustamente, per conoscerla esattamente, per arrivare a qualsiasi cosa, dobbiamo diventare uno. È uno scopo molto lontano e non possiamo cominciare ad avvicinarglisi finché non ci conosciamo, perché, nello stato in cui siamo ora, la nostra ignoranza di noi stessi è tale che, quando la vediamo, cominciamo ad essere terrorizzati di non poter trovare da nessuna parte la nostra strada.
L’essere umano è una macchina complicatissima e va studiato come una macchina. Ci rendiamo conto che allo scopo di controllare qualsiasi tipo di macchina, come ad esempio un’automobile o una locomotiva, dobbiamo cominciare con l’imparare. Non possiamo controllare queste macchine istintivamente; eppure per qualche motivo, pensiamo che l’istinto comune sia sufficiente a controllare la macchina umana, sebbene questa sia tanto più complicata. Questa è una delle prime supposizioni sbagliate: non ci rendiamo conto che dobbiamo apprendere, che il controllo è una questione di conoscenza e di abilità.
Bene, ditemi ciò che vi interessa maggiormente in tutto questo e quello su cui vorreste sentire di più.
D. Mi interessa la faccenda dell’immaginazione. Suppongo significhi che, nell’impiego comune della parola, si stava usando il significato sbagliato?
R. Nel significato comune di immaginazione manca il fattore più importante, mentre nella terminologia di questo sistema cominciamo con ciò che è più importante. Il più importante fattore in ogni funzione è: Sta sotto il nostro controllo o no?
. Perciò, quando l’immaginazione è sotto il nostro controllo, non la chiamiamo nemmeno immaginazione; le diamo vari nomi: visualizzazione, pensiero creativo, pensiero inventivo; possiamo trovare un nome per ciascun caso speciale. Ma quando questa viene da sola e ci controlla, sicché siamo in suo potere, allora la chiamiamo immaginazione. Ancora una volta esiste un altro aspetto dell’immaginazione che ci sfugge nella comprensione ordinaria. Esso è che immaginiamo cose inesistenti: per esempio, capacità inesistenti. Ci attribuiamo poteri che non abbiamo, immaginiamo di essere consci di noi stessi sebbene non lo siamo. Abbiamo poteri immaginari, immaginaria consapevolezza di noi stessi, e immaginiamo di essere un io unico, mentre in realtà siamo tanti io differenti. Esistono parecchie cose del genere che immaginiamo di poter ‘fare’, di avere una scelta; non abbiamo scelta, non possiamo ‘fare’: le cose semplicemente ci accadono. Perciò, in realtà, immaginiamo noi stessi. Non siamo ciò che ci immaginiamo di essere.
D. C’è qualche differenza tra immaginazione e sogno ad occhi aperti?
R. Se non potete controllare il sognare ad occhi aperti ciò significa che esso fa parte dell’immaginazione; ma non tutto. L’immaginazione ha parecchi aspetti diversi. Immaginiamo stati inesistenti, possibilità inesistenti, poteri inesistenti.
D. Mi potreste dare una definizione di immaginazione negativa?
R. L’immaginare ogni genere di cose spiacevoli, il tormentare se stessi, l’immaginare tutte le cose che possono accadere a voi o ad altri, roba di questo genere; essa prende forme diverse. Alcune persone immaginano svariate malattie, altre immaginano incidenti, altre ancora immaginano sventure.
D. Il controllo delle nostre emozioni è uno scopo ragionevole?
R. Il controllo delle emozioni è cosa difficilissima. È una parte assai importante dello studio di sé, ma non possiamo cominciare col controllo delle emozioni perché non comprendiamo abbastanza circa le emozioni. Mi spiegherò: ciò che possiamo fare proprio fin dal principio dell’osservazione della funzione emozionale è cercare di arrestare una particolare manifestazione in noi stessi. Dobbiamo cercare di arrestare la manifestazione di emozioni sgradevoli. Per molta gente questa è una delle cose più difficili perché le emozioni spiacevoli vengono espresse così rapidamente e così facilmente da non poterle afferrare. Eppure, se non ci provate, non potete veramente osservare voi stessi; perciò, proprio fin dall’inizio, quando osservate le emozioni, dovete cercare di arrestare l’espressione di emozioni spiacevoli. Questo è il primo passo. In questo sistema diamo a tutte queste sgradevoli, violente e deprimenti emozioni, il nome di emozioni negative.
Come ho detto, il primo passo sta nel cercare di non esprimere queste emozioni negative; il secondo passo è lo studio delle emozioni negative stesse, facendone elenchi, scoprendo le loro relazioni - in quanto alcune sono semplici e alcune complesse - e cercando di comprendere che sono assolutamente inutili. Può sembrare strano, ma è importantissimo comprendere che tutte le emozioni negative sono assolutamente inutili; non servono ad alcuno scopo utile; non ci danno la conoscenza di cose nuove e non ci portano più vicini a cose nuove; non ci danno energia, non fanno altro che consumare energia e creare illusioni spiacevoli. Arrivano persino a rovinare la salute fisica.
In terzo luogo, dopo una certa quantità di studio e di osservazione è possibile arrivare alla conclusione che possiamo liberarci delle emozioni negative, che non sono obbligatorie. Qui il sistema è di aiuto perché mostra che in realtà non esiste un centro reale per le emozioni negative, ma che esse appartengono ad un centro artificiale in noi, che noi creiamo nell’infanzia imitando persone con emozioni negative da cui siamo circondati. Alcuni addirittura insegnano ai bambini ad esprimere emozioni negative. Poi i bambini apprendono ancora di più con l’imitazione, essi imitano bambini più anziani; questi imitano gli adulti e così, già in età giovanissima, divengono professori di emozioni negative.
È una gran liberazione quando cominciamo a comprendere che non esistono emozioni negative obbligatorie. Siamo nati senza di esse, ma per qualche ignota ragione insegniamo a noi stessi emozioni negative.
D. Per essere liberi dalle emozioni negative, dobbiamo essere capaci di impedire che sorgano?
R. Questo è sbagliato, perché non possiamo controllare le emozioni. Ho già parlato della diversa rapidità di funzioni differenti. La funzione intellettuale è la più lenta. Poi vengono 1^ funzione motoria e istintiva, che hanno una velocità approssimativamente uguale, e che è enormemente più rapida di quella intellettuale. La funzione emotiva dovrebbe essere ancora più veloce, ma generalmente funziona pressappoco alla stessa velocità di quella istintiva. Quindi le funzioni motorie, istintive ed emozionali sono assai più rapide del pensiero ed è perciò impossibile cogliere le emozioni col pensiero. Quando ci troviamo in uno stato emotivo, esse si succedono così rapidamente da non darci il tempo di pensare. Ma possiamo avere un’idea della differenza di rapidità confrontando le funzioni del pensiero con quelle motorie. Se, effettuando qualche rapido movimento, cercate di osservare voi stessi, vedrete che non potete. Il pensiero non può seguire il movimento. O dovete fare il movimento lentissimamente o non potete osservare. Questo è un fatto certo.
D. Per movimenti, voi intendete movimenti fisici?
R. Sì, cose comuni, come guidare una macchina o scrivere; non potete osservare nulla del genere. Potete però ricordare, e ciò in seguito dà l’illusione di osservare. In realtà non potete osservare movimenti rapidi.
Vedete quindi che, come siamo ora, la vera lotta contro le emozioni negative è un problema del futuro: non un futuro molto lontano, ma ci sono parecchie cose che dobbiamo prima sapere e metodi che dobbiamo studiare. Non esiste via diretta; dobbiamo apprendere metodi indiretti su come attaccarle.
Innanzitutto, dobbiamo cambiare parecchi nostri atteggiamenti mentali che sono più o meno in nostro potere; intendo atteggiamenti intellettuali, o punti di vista. Abbiamo troppi punti di vista sbagliati sulle emozioni negative; le troviamo necessarie, o belle, o nobili; le esaltiamo e così di seguito. Ci dobbiamo liberare di tutto questo. Dobbiamo perciò ripulire la nostra mente per quanto riguarda le emozioni negative. Quando la nostra mente sarà giusta per quanto concerne le emozioni negative, quando avremo cessato di esaltarle, allora poco a poco troveremo un modo per combatterle, una ad una. Una persona trova più facile lottare contro una particolare emozione negativa, ad un’altra riesce più facile con un’altra. Dobbiamo cominciare con la più facile, e ciò che per me è più facile, può essere la cosa più difficile per voi; perciò dovrete trovare la più facile da voi stessi per poi arrivare alla più difficile.
D. Questo spiega perché io associ alcune mie emozioni negative con persone che ricordo dall’infanzia?
R. Molto probabilmente, perché parecchie emozioni negative vengono apprese per imitazione. Altre però possono essere essenzialmente nella nostra natura perché anche la nostra natura ha inclinazioni diverse in un senso o in un altro. Le emozioni possono essere divise in gruppi; una persona può essere più incline per un gruppo e un’altra per un altro gruppo. Per esempio, alcuni hanno un’inclinazione per diverse forme di paura, altri per varie forme di rabbia. Ma esse sono diverse e non provengono dall’imitazione.
D. Sono queste le più dure contro cui combattere?
R. Sì, ma generalmente sono basate su qualche tipo di debolezza, perché alla base delle emozioni negative c’è generalmente un tipo di indulgenza verso se stessi: uno fa concessioni a se stesso. E se uno non si concede paure, si concede rabbia; se non si concede rabbia, si concede compassione di sé. Le emozioni negative sono sempre basate su qualche tipo di licenza. Ma prima di arrivare a problemi così complicati come la lotta con le emozioni negative, è assai importante osservarci nelle piccole, quotidiane manifestazioni della funzione motoria e anche in quelle che possiamo osservare della funzione istintiva, cioè le nostre sensazioni di piacevole e spiacevole, caldo e freddo: sensazioni come queste che passano sempre attraverso di noi.
D. Non avete parlato dell’identificazione. Posso fare una domanda su di essa?
R. Prego. Ma non tutti i presenti ne hanno sentito parlare, perciò spiegherò un po’. Vedete, quando cominciamo a osservare in particolare le emozioni, ma in realtà anche tutte le altre funzioni, troviamo che tutte le nostre funzioni sono accompagnate da un certo atteggiamento: diveniamo troppo assorbiti dalle cose, troppo persi nelle cose, specialmente quando compare anche il più piccolo elemento emotivo. Ciò è chiamato identificazione. Ci identifichiamo con le cose. Non è una parola molto esatta, ma in inglese non ce n’è una migliore. L’idea di identificazione esiste negli scritti indiani e i Buddisti parlano di attaccamento e non attaccamento. Queste parole mi sembrano ancor meno soddisfacenti perché, prima di incontrare questo sistema, le ho lette e non le ho comprese, o piuttosto ho compreso, ma ho colto l’idea intellettualmente. Compresi perfettamente soltanto quando trovai la stessa idea espressa in russo e in greco da primitivi scrittori cristiani. Essi hanno quattro parole per quattro gradi di identificazione, ma ciò non è ancora necessario per noi. Noi cerchiamo di comprendere l’idea non mediante la definizione ma mediante l’osservazione. È una certa qualità di attaccamento: essere perduti nelle cose.
D. Si perde il senso dell’osservazione?
R. Quando si diviene identificati non si può osservare.
D. Comincia di solito con l’emozione? C’entra in questo la possessività?
R. Sì. Parecchie cose. Essa comincia prima con l’interesse. Siete interessati in qualche cosa e il momento dopo siete in essa e non esistete più.
D. Ma se si pensa e si è consci dello sforzo di pensare, ciò salva dall’identificazione? Non si possono fare le due cose assieme, vero?
R. Sì, ciò salva per un momento, ma il momento successivo arriva un altro pensiero e vi porta via. Non c’è quindi garanzia. Dovete stare sempre in guardia contro di essa.
D. Quali emozioni negative è più facile esaltare?
R. Alcuni sono molto orgogliosi della loro irritabilità o eccitabilità o qualcosa del genere. Amano essere ritenuti dei durissimi. Non esiste praticamente emozione negativa che non possiate godervi e questa è la cosa più difficile di cui rendersi conto. In realtà alcune persone ricavano ogni loro piacere da emozioni negative.
L’identificazione in rapporto alla gente prende una forma speciale che, in questo sistema, è chiamata considerare. Ma considerare può essere di due tipi. Quando consideriamo i sentimenti degli altri e quando consideriamo i nostri. Consideriamo principalmente i nostri sentimenti. Li consideriamo soprattutto nel senso che la gente in qualche modo non ci stima abbastanza o ci sottovaluta, o non è troppo riguardosa con noi. Troviamo parecchie parole per dirlo. Questo è un importantissimo aspetto dell’identificazione da cui è difficilissimo liberarsi; alcuni sono totalmente in suo potere. Comunque, è importante osservare il considerare.
Per me personalmente, all’inizio, l’idea più interessante era quella del ricordare se stessi. Proprio non potevo capire come alla gente potesse sfuggire una cosa del genere. A tutta la filosofia e psicologia europea era sfuggito questo punto. Ne esistono tracce in vecchi insegnamenti, ma sono così ben occultate e poste tra cose meno importanti che non potete afferrare l’importanza dell’idea.
Quando cerchiamo di tenere a mente queste cose e di osservare noi stessi, arriviamo alla ben definita conclusione che nello stato di coscienza in cui ci troviamo, con tutta questa identificazione, considerare, emozioni negative e assenza di ricordare se stessi, siamo veramente addormentati. Immaginiamo di essere svegli. Perciò, quando cerchiamo di ricordare noi stessi, ciò significa una sola cosa: cerchiamo di svegliarci. E ci svegliamo per un secondo ma poi ricadiamo nel sonno. Questo è il nostro stato di essere, quindi in realtà siamo addormentati. Ci possiamo svegliare soltanto se correggiamo parecchie cose nella macchina e se lavoriamo tenacemente e per molto tempo sull’idea del risveglio.
D. Il forte dolore fisico falsa le nostre idee mentali?
R. Certamente. Questo è il motivo per cui non possiamo parlarne. Quando parliamo dell’uomo, parliamo dell’uomo nel suo stato normale. Poi possiamo parlare dell’ottenere queste nuove funzioni, consapevolezza, ecc. I casi eccezionali non possono essere presi in considerazione in quanto falsano tutto il quadro.
Esistono parecchie cose interessanti in relazione a ciò. Il gruppo da me incontrato a Mosca usava metafore e parabole orientali, e una delle cose di cui essi amavano parlare era la prigione: quell’uomo sta in prigione, cosa gli può quindi piacere, cosa può desiderare? Se è un uomo più o meno sensibile, egli può volere soltanto una cosa: evadere. Ma ancor prima che egli possa formulare questo desiderio, che desidera evadere, deve divenir conscio di essere in prigione. Poi, quando formula questo desiderio, egli comincia a rendersi conto delle possibilità di fuga, e comprende che, da solo, non può evadere perché è necessario scavare sotto i muri e cose del genere. Egli si rende conto che, prima di tutto, deve avere qualche persona che desideri fuggire con lui: un piccolo gruppo di persone. Egli si rende quindi conto che un certo numero di persone può forse fuggire. Ma non tutti possono evadere. Uno non lo può e tutti non lo possono: un piccolo numero di persone sì. Di nuovo, in quali condizioni? Egli arriva alla conclusione che è necessario avere aiuto. Senza di esso, non possono fuggire. Devono avere mappe, lime, strumenti e così di seguito, perciò devono avere aiuto dall’esterno.
Questa è esattamente, quasi alla lettera, la posizione dell’uomo. Non possiamo apprendere ad usare le parti non usate della nostra macchina. Questa prigione significa in realtà che viviamo nella cucina e nel seminterrato della nostra casa e non ne possiamo uscire. Uno ne può uscire, ma non da solo. Senza scuola non può farcela. Scuola significa che o sono persone che stanno già evadendo o che, in ogni caso, si stanno preparando a evadere. La scuola non può cominciare senza l’aiuto di un’altra scuola, senza l’aiuto di quelli che sono fuggiti prima. Da loro possiamo prendere determinate idee, determinati piani, una certa conoscenza: questi sono i nostri strumenti. Ripeto, non tutti possono fuggire. Esistono parecchie leggi contro ciò. Per dirla in parole povere, ciò sarebbe troppo osservabile e produrrebbe immediatamente una reazione da parte delle forze meccaniche.
D. Il desiderio di evadere è istintivo, non è vero?
R. No, Soltanto il lavoro interiore dell’organismo è istintivo. Deve essere intellettuale o emotivo, perché la funzione istintiva appartiene in realtà alle funzioni inferiori, quelle fisiche. Tuttavia, in qualche occasione, ci può essere un desiderio fisico di evasione. Supponiamo che faccia troppo caldo nella stanza e che sappiamo che fuori fa fresco; indubbiamente possiamo desiderare di uscirne. Ma il rendersi conto di essere in prigione, e che esiste la possibilità di evadere, richiede ragione e sentimento.
D. Sembra difficile, senza maggiore osservazione di sé, sapere quale sia il vostro obiettivo nell’evadere?
R. Sì, certamente. La prigione è solamente un esempio. Per noi la prigione è il nostro sonno e, senza metafore, desideriamo svegliarci quando ci rendiamo conto di essere addormentati. Ci si deve render conto di ciò emotivamente. Dobbiamo comprendere di essere impotenti nel sonno. Può accadere qualsiasi cosa. Possiamo vedere immagini di vita, scorgere perché le cose accadono in una maniera o in un’altra - sia cose grandi che piccole - e renderci conto che ciò succede perché la gente è addormentata. Naturalmente essa non può far nulla nel sonno. Vedete, in relazione a queste idee e a questi metodi, viviamo in un certo senso in un tempo piuttosto strano, perché le scuole stanno rapidamente scomparendo. Trenta o quarantanni fa, avreste potuto trovare parecchi tipi di scuole che oggi praticamente non esistono o che sono molto difficili da trovare.
D. Queste stanno scomparendo in Oriente come in Occidente?
R. Mi riferivo all’Oriente, è chiaro. In Occidente hanno cessato di esistere da lungo tempo.
Ma, per quanto riguarda le scuole, credo sia meglio parlarne separatamente. È un argomento interessantissimo in quanto non sappiamo come fare le giuste divisioni. Esistono diversi tipi di scuole.
D. Quando all’inizio si cerca di osservare è meglio scegliere una quantità di brevi occupazioni oppure essere coinvolti in occupazioni lunghe? C’è differenza?
R. No. Dovete cercare di osservare voi stessi in differenti condizioni, non soltanto nelle stesse condizioni.
D. È bene, quindi, analizzare dopo?
R. No. Parlando in generale; al principio e per parecchio tempo, non ci dovrebbe essere analisi. Per analizzare occorre conoscere le leggi; perché le cose sono accadute in quel modo e non potevano avvenire in altra maniera. Perciò è bene non cercare di analizzare prima di conoscere le leggi. Bisogna limitarsi ad osservare le cose come sono e cercare di classificarle più o meno in funzioni intellettuali, emozionali, istintive e motorie. Ciascuna di queste funzioni ha il proprio centro, o mente, attraverso cui si manifesta.
L’uomo, in relazione alle funzioni e agli stati di consapevolezza e dal punto di vista della sua possibile evoluzione, è diviso in sette categorie. Le persone nascono soltanto in una delle prime tre categorie. Una persona in cui predomina la funzione istintiva o motoria, e in cui le funzioni intellettuali ed emozionali sono meno sviluppate, è chiamata uomo n. 1; ma se la funzione emozionale predomina sulle altre funzioni, è chiamata uomo n. 2; e, se predomina la funzione intellettuale, egli è uomo n. 3. Oltre questi tre tipi di uomo, ma non nato come tale, c’è l’uomo n. 4. Ciò significa l’inizio del mutamento, principalmente nella consapevolezza, ma anche nella conoscenza e capacità di osservazione. Poi viene l’uomo n. 5 che ha già sviluppato in se stesso il terzo stato di consapevolezza, cioè la consapevolezza di sé, ed in cui agisce la funzione emozionale superiore. Poi viene l’uomo n. 6, ed infine l’uomo n. 7, che ha piena consapevolezza obiettiva e nel quale opera la funzione intellettuale superiore.
D. Come si fa a riconoscere un uomo superiore a noi stessi se non si sa come cercare?
R. Quando sappiamo meglio ciò che manca in noi, quali cose attribuiamo a noi stessi ma non possediamo, cominceremo a vedere qualcosa di questo, anche se attualmente possiamo distinguere le persone di livello superiore soltanto dal loro sapere. Se esse sanno qualcosa che noi non sappiamo, se ci rendiamo conto che nessun altro la sa, e che non potrebbe essere appresa in nessuna maniera ordinaria, ciò può servirci da guida.
Cercate di riflettere un po’ sulle caratteristiche di queste sette categorie di uomo. Per esempio, quali potrebbero essere le caratteristiche generali dell’uomo 1, 2, 3? Prima di tutto il sonno. L’uomo 1, 2 e 3, prima di cominciare a studiare se stesso in collegamento con qualche sistema che gli dia la possibilità dello studio di sé, trascorre tutta la sua vita nel sonno. Egli ha l’aspetto di uno che è desto, ma in realtà non è mai sveglio, oppure occasionalmente si sveglia per un momento, si guarda attorno e ricade nel sonno. Questa è la prima caratteristica dell’uomo 1, 2 e 3. La seconda caratteristica sta nel fatto che, sebbene egli abbia parecchi io differenti, alcuni di questi io non si conoscono nemmeno tra loro. L’uomo può avere atteggiamenti ben definiti, convinzioni precise, punti di vista ben definiti e d’altra parte può avere convinzioni affatto differenti, punti di vista completamente diversi, simpatie e antipatie completamente diverse, e uno di essi non conosce l’altro. Questa è una delle principali caratteristiche dell’uomo 1, 2 e 3. Gli uomini sono assai divisi ma essi non lo sanno e non possono saperlo perché ciascuno di questi io conosce soltanto determinati io in cui s’imbatte per associazione; altri io rimangono completamente ignoti. Gli io sono divisi in base alle funzioni; ci sono io intellettuali, emozionali, istintivi e motori. Attorno a loro stessi, conoscono qualcosa ma oltre a ciò non sanno nulla, perciò finché l’uomo non comincia a studiare se stesso con la conoscenza di questa divisione, non può mai arrivare ad una giusta comprensione delle sue funzioni o reazioni.
Questo sonno dell’uomo, e assenza di unità di esso, creano un’altra importantissima caratteristica e questa è la sua completa meccanicità. L’uomo in questo stato, l’uomo 1, 2 e 3, è una macchina controllata da influenze esterne; non ha possibilità di resistere a queste influenze esterne e nessuna possibilità di distinguerle una dall’altra, nessuna possibilità di studiare se stesso fuori da queste cose. Egli si vede sempre in movimento e ha l’illusione, radicatasi in lui da molto tempo e fortissima, di essere libero di andare dove vuole, di potersi muovere in base ai propri desideri, di poter andare a destra o a sinistra. Egli non lo può fare, se va a destra, ciò significa che non poteva andare a sinistra. ‘Volontà’ è un’idea sbagliatissima; non esiste. La volontà può esistere soltanto nell’uomo che ha un io che controlla, ma finché ha parecchi io che non si conoscono tra loro, egli ha esattamente altrettante volontà diverse; ciascun io ha la propria volontà, non ci può essere altro io o altra volontà. Ma l’uomo può arrivare ad uno stato in cui acquisisce un io che controlla e in cui acquisisce la volontà. Può arrivare a questo stato solamente sviluppando la consapevolezza. Ecco i rudimenti e i principi di questo sistema.
Ora voglio dire soltanto un’altra cosa. Noi cominciamo con la psicologia: studio di se stesso, della macchina umana, stati di consapevolezza, metodi di correggere le cose e così di seguito; nondimeno una parte importante del sistema è dedicata a dottrine delle leggi generali del mondo: poiché non possiamo nemmeno conoscere noi stessi, se non conosciamo alcune delle leggi fondamentali che stanno dietro tutte le cose. La comune conoscenza scientifica non è sufficiente a ciò, perché, proprio come punti importanti quali l’assenza di ricordo di sé erano mancati alla psicologia, così la nostra scienza o ha dimenticato o non ha mai conosciuto le leggi fondamentali su cui si basa tutto.
Come ho detto, tutte le cose nel mondo, siano esse grandi o piccole, in qualsiasi scala, sono basate su due leggi fondamentali che in questo sistema sono chiamate la Legge del Tre e la Legge del Sette.
La Legge del Tre, per descriverla in breve, significa che tre forze entrano in qualsiasi manifestazione, in qualsiasi fenomeno ed in qualsiasi evento. Esse sono chiamate (ma queste sono soltanto parole perché non esprimono le loro qualità) positiva, negativa e neutralizzante; o attiva, passiva o neutralizzante; oppure, ancor più semplicemente, possono essere chiamate prima forza, seconda forza e terza forza. Queste tre forze intervengono in ogni cosa. In parecchi casi comprendiamo la necessità di due forze: che una sola forza non può creare un’azione, che c’è azione e resistenza. Ma, generalmente, non siamo consci della terza forza. Questa è connessa con lo stato del nostro essere, con lo stato della nostra consapevolezza. In un altro stato, ne saremmo consci in parecchi casi nei quali non la vediamo adesso. A volte possiamo trovare esempi di terza forza nel comune studio scientifico: per esempio, in chimica e in biologia, possiamo trovare la necessità di una terza forza nella creazione di eventi e fenomeni.
Cominciamo con lo studio della psicologia. Poi parleremo più a lungo delle tre forze e ci potranno capitare alcuni esempi della loro interazione. Ma è meglio essere preparati ad abituarci ora all’idea della necessità dello studio di queste tre forze.
Anche la Legge del Sette deve essere brevemente descritta. Essa significa che nessun processo nel mondo procede senza interruzioni. Per illustrare questa idea prendiamo un certo periodo di attività in cui le vibrazioni stanno aumentando; supponiamo che queste comincino con 1000 vibrazioni al secondo e aumentino a 2000 vibrazioni al secondo. Questo periodo è chiamato una ottava, perché questa legge venne applicata alla musica e il periodo venne diviso in sette note e una ripetizione della prima nota. L’ottava, particolarmente l’ottava maggiore, è in realtà un’immagine o formula di una legge cosmica perché, negli ordinamenti cosmici, entro un’ottava ci sono due momenti in cui le vibrazioni si abbassano da sole. Le vibrazioni non si sviluppano regolarmente. Nell’ottava maggiore ciò è evidenziato dai semitoni mancanti; questa è la ragione per cui ci viene detto che è un’immagine di una legge cosmica; ma questa legge non ha nulla a che vedere con la musica.
Il motivo per cui è necessario comprendere la Legge del Sette è che essa ha una parte importantissima in tutti gli eventi. Se non ci fosse la Legge del Sette ogni cosa nel mondo andrebbe alla sua conclusione finale, mentre per effetto di questa legge, ogni cosa devia. Per esempio, se cominciasse la pioggia essa proseguirebbe senza fermarsi, se cominciassero le alluvioni esse sommergerebbero tutto, se cominciasse un terremoto esso proseguirebbe indefinitamente. Invece essi si fermano per effetto della Legge del Sette, perché in ciascun semitono mancante le cose deviano, non vanno avanti in linee rette. La Legge del Sette spiega anche perché non esistono linee rette in natura. Ogni cosa nella nostra vita e nella nostra macchina è anch’essa basata su questa legge. La studieremo, quindi, nel funzionamento del nostro organismo; in quanto dobbiamo studiare noi stessi non soltanto psicologicamente, non soltanto in rapporto con la nostra vita mentale, ma anche in relazione con la nostra vita fisica. Nei nostri processi fisici troviamo parecchi esempi dell’azione di questa legge.
Contemporaneamente, la Legge del Sette spiega che, se sapete come farlo e in qual momento, potete dare uno shock addizionale a un’ottava e mantenere retta la linea. Possiamo osservare nell’attività umana come la gente cominci col fare una cosa e dopo un po’ ne faccia un’altra completamente diversa, pur continuando a darle lo stesso nome, senza notare che le cose sono completamente cambiate. Ma nel lavoro personale, particolarmente nel lavoro connesso con questo sistema, dobbiamo apprendere come impedire che queste ottave deviino, come mantenere una linea retta. Altrimenti non troveremo nulla.
È necessario continuare a tornare alla psicologia, anche quando stiamo studiando altri lati del sistema, perché solamente con l’aiuto dello studio psicologico potremo realmente accrescere la nostra conoscenza; senza di esso apprenderemo soltanto parole. Solamente quando sappiamo come studiarci psicologicamente, in relazione al funzionamento delle nostre menti, alle nostre cognizioni e così via, possiamo cominciare a comprendere qualcosa.
Cercherò di darvi alcuni esempi di come dovrebbe cominciare lo studio di noi stessi. Abbiamo già parlato del mentire e io ho dato una possibile definizione della psicologia come studio del mentire. Quindi una delle prime cose, e tra le più importanti per voi da osservare, è il mentire. Le nostre illusioni, convinzioni errate, punti di vista sbagliati e così via sono molto simili al mentire. Tutte queste devono essere studiate perché, finché non cominciamo a comprendere le nostre illusioni, non potremo mai vedere la verità. In ogni cosa dobbiamo fin dal principio separare le nostre illusioni dai fatti. Soltanto allora sarà possibile vedere se possiamo realmente apprendere qualcosa di nuovo.
Una delle più importanti e più difficili illusioni da debellare è la nostra convinzione di poter ‘fare’. Cercate di comprendere ciò che questo significa. Noi pensiamo di fare un piano, di decidere, di cominciare e finire ciò che ci pare, ma il sistema spiega che l’uomo 1, 2 e 3 non può ‘fare’, non può far nulla, ogni cosa gli accade. Ciò può parer strano, particolarmente ora che ognuno pensa di poter far qualcosa. Ma, a poco a poco, comprenderete come parecchie cose che siamo abituati a dire sull’uomo in generale potrebbero essere vere soltanto se dette sull’uomo di livello superiore e che non si applicano all’uomo del nostro basso livello. Se dite che l’uomo può ‘fare’, ciò sarebbe giusto nei riguardi dell’uomo n. 7 o n. 6. Persino l’uomo n. 5 può fare qualcosa in confronto a noi, ma noi non possiamo far nulla. Potreste dire anche che pensate che l’uomo ha consapevolezza. Ciò sarebbe giusto in relazione all’uomo n. 5, 6 o 7, cominciando dal n. 5; e se voi diceste che l’uomo ha coscienza, ciò sarebbe giusto in relazione all’uomo n. 4, ma non in relazione all’uomo n. 1, 2 e 3. Dobbiamo cominciare a distinguere a quale categoria di uomo si riferiscono le cose, perché alcune cose sono giuste in relazione ad una categoria ma errate in relazione ad un’altra.
È importantissimo comprendere che l’uomo non può ‘fare’ perché questa è la base della nostra visione di noi stessi, e persino quando diveniamo delusi di noi stessi pensiamo che altre persone possano ‘fare’. Non possiamo accettare completamente e pienamente che le cose accadano meccanicamente e che nessuno gli dia una spinta. All’inizio è difficile vedere ciò su grande scala, ma lo vedrete prestissimo in voi stessi. Nello studio di voi stessi, se cercate di fare determinate cose che generalmente non fate, per esempio se cercate di ricordare voi stessi, se cercate di essere consci di voi stessi, allora vedrete prestissimo se potete ‘fare’ qualcosa o no. E, nella maggioranza dei casi, vi accorgerete di non poterla fare.
D. Se non possiamo far nulla di noi stessi come uomini 1, 2 e 3, dobbiamo rivolgerci a qualche potere esterno per essere consci?
R. Non esistono poteri esterni cui possiamo rivolgerci perché siamo meccanici. Non possiamo far nulla, ma esistono differenze nel fare e l’osservazione di voi ve lo mostrerà; per esempio, possiamo dar prova di una certa resistenza. Possiamo avere qualche desiderio, qualche tendenza, ma possiamo opporle resistenza e possiamo continuare a resistere ogni giorno. In cose di piccolissima importanza abbiamo scelta, così, sebbene non possiamo ‘fare’ tra virgolette, ci sono parecchie piccole cose che ora possiamo fare. Per esempio, possiamo cercare di essere consci di noi stessi. Certamente non lo possiamo fare per lungo tempo. Ma ci proviamo o no? Questo è il problema. Osservando queste nostre diverse azioni vediamo che, come principio generale, anche se l’uomo 1, 2 e 3 non può ‘fare’ nulla, se è interessato in qualcosa, se comincia a desiderare qualcosa più delle cose comuni, allora egli non sta sempre allo stesso livello e può scegliere momenti in cui può cominciare a fare in un senso assai elementare.
Un altro importantissimo problema da considerare è l’idea di bene e di male in questo sistema, perché generalmente le idee della gente su questo argomento sono assai confuse ed è necessario che stabiliate da voi stessi come comprenderle. Dal punto di vista del sistema ci sono due cose soltanto che possono essere confrontate e viste nell’uomo: la manifestazione delle leggi meccaniche e la manifestazione della consapevolezza. Se volete trovare esempi di ciò che potete chiamare bene o male, per arrivare ad un certo standard, vedrete immediatamente che quanto noi chiamiamo male è sempre meccanico, non può mai essere consapevole; e ciò che chiamiamo bene è sempre consapevole, non può essere meccanico. Ci vorrà molto tempo prima di scorgere la ragione di ciò, in quanto queste idee di meccanico e di consapevole sono confuse nella nostra mente. Non le descriviamo mai nella maniera giusta, questo è quindi il prossimo punto che voi dovete considerare e studiare.
Inoltre, nei riguardi del problema di bene e male dobbiamo cercare di comprendere le posizioni relative di morale e coscienza. Cos’è morale e cos’è coscienza? Possiamo dire prima di tutto che la morale non è costante. È diversa in paesi diversi, in secoli diversi, in diverse decadi, in diverse classi, con gente di diversa educazione, e così via. Ciò che può essere morale nel Caucaso può essere immorale in Europa. Per esempio, in alcuni paesi la vendetta di sangue è cosa moralissima; se un uomo rifiutasse di uccidere qualcuno che ha ucciso un suo lontano zio, sarebbe considerato immoralissimo. In Europa invece nessuno la penserebbe così; in realtà la maggioranza delle persone considererebbe che per un uomo è profondamente immorale uccidere chiunque, persino un parente di qualcuno che ha ucciso suo zio. Perciò la morale è sempre differente, cambia sempre. La coscienza invece non cambia mai. La coscienza è un tipo di comprensione emotiva della verità in determinate relazioni definite, generalmente in rapporto al comportamento, alla gente, e così via. Essa è sempre la stessa; non può mutare e non può differire in una nazione o nell’altra, in un paese o nell’altro, in una persona o nell’altra.
Cercate di collegare nella vostra mente quanto ho detto circa lo studio di bene e male, meccanicità e consapevolezza, morale e coscienza, e poi ponetevi la domanda: È possibile il male conscio?
. Ciò richiederà studio e osservazione, ma dal punto di vista del sistema esiste un principio ben preciso che il male conscio è impossibile; la meccanicità deve essere inconscia.
D. L’idea del male che deve essere sempre inconscio è piuttosto difficile da comprendere. Ce la potete spiegare un po’ più diffusamente?
R. Ho detto, prima di tutto cercate di trovare da voi ciò che chiamate male, non mediante definizioni ma mediante esempi. Quando avrete un certo numero di esempi, domandatevi: Potrebbero questi essere consci? Possono cose cattive esser fatte consciamente?
. In seguito vedrete che possono esser fatte soltanto inconsciamente. Un’altra risposta è che tutto quanto chiamate male può accadere meccanicamente, e accade sempre meccanicamente, perciò non ha bisogno di consapevolezza.
Ho detto che voi dovreste studiare le idee di questo sistema principalmente in relazione all’evoluzione dell’uomo, e ho spiegato che per evoluzione dobbiamo intendere un processo cosmico e sforzi consci, continui e connessi. Non esiste evoluzione meccanica come è qualche volta intesa. L’evoluzione, se è possibile, può essere soltanto conscia e il principio dell’evoluzione è sempre l’evoluzione della consapevolezza, non può essere l’evoluzione di niente altro. Se la consapevolezza comincia ad evolversi, anche altre cose cominciano a crescere e ad evolversi. Se la consapevolezza rimane allo stesso livello, ogni altra cosa rimane allo stesso livello.
Ci sono varie cose che è importante comprendere fin dal principio per quanto riguarda l’evoluzione. Prima, che in una grandissima quantità di uomini 1, 2 e 3, soltanto pochissimi possono diventare n. 5, 6 e 7, o addirittura cominciare. Ciò deve essere ben compreso, perché se cominciamo a pensare che ognuno si può evolvere, cessiamo di comprendere le condizioni necessarie per il principio dell’evoluzione come ve le ho descritte nell’esempio dell’evasione dalla prigione.
D. Tutte le razze umane hanno la stessa possibilità di sviluppo?
R. Questa è una domanda interessantissima. Feci io stesso questa domanda quando iniziai questo lavoro e mi fu risposto che essa era stata discussa in scuole importantissime e in periodi importantissimi e che, dopo aver fatto tutti i possibili esperimenti in questo contesto, esse erano arrivate alla conclusione che, dal punto di vista del possibile sviluppo, non c’era differenza tra razza bianca, gialla, nera, scura o rossa. Nel momento presente, la razza bianca e gialla hanno il predominio, mentre probabilmente nel passato esso apparteneva a qualcuna delle altre. Per esempio, la Sfinge ricorda un nero, non un europeo.
D. In relazione a quanto avete detto sul bene e sul male, potrebbe un seguace di questo sistema prender parte a una guerra?
R. Questi sono fatti suoi. Non esistono proibizioni o condizioni esterne.
D. Ma potrebbe egli conciliare i due?
R. Anche qui sono fatti suoi. Questo particolare sistema lascia l’uomo liberissimo. Esso vuole creare consapevolezza e volontà. Né consapevolezza né volontà possono essere create seguendo determinate restrizioni esterne. Bisogna essere liberi. Dovete comprendere che le cose esterne sono le meno importanti di tutte. Le cose importanti sono quelle interne, la guerra interna.
D. Esistono parecchie cose che a me sembrano cattive che sono capace di commettere.
R. Non potete prendere voi stesso come esempio, perché potete prendere soltanto esempi di male che avete già commesso. Perciò è meglio prendere l’idea in generale. Cercate tutti gli esempi possibili - non intendo incidenti o errori, perché parecchi delitti sono accidentali - ma prendete tutto ciò che noi chiamiamo evidente male intenzionale
e vedrete che non ha bisogno di consapevolezza; è un’azione meccanica, e tutto accade.
D. Dà l’illusione della scelta.
R. Questa è la più grande illusione: l’illusione di ‘fare’ e l’illusione di scelta. Queste cose appartengono a un livello superiore. Cominciando dal n.