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La nota perfetta
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E-book285 pagine3 ore

La nota perfetta

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Info su questo ebook

Per Elisabeth, in arte Melody, cantare è sempre stata una fonte di gioia e di piacere.
In una sera ventosa, scopre il padre in auto con l'amante, e da quel momento la musica diventa uno strumento di vendetta, una possibilità per lasciarsi alle spalle il dolore che prova.
Entra in una band e parte per la Scozia per partecipare a un festival musicale. È decisa a vincere, a non farsi distrarre da nessuno. Ma poi un paio di occhi blu oceano attraversano
la sua strada, e solo i preziosi consigli del nonno la aiuteranno a non perdere sé stessa.
LinguaItaliano
Data di uscita31 gen 2023
ISBN9791222058498
La nota perfetta

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    Anteprima del libro

    La nota perfetta - Marta Iside Riva

    Marta Iside Riva

    La nota perfetta

    UUID: 8d4a98fc-6ea5-495c-b050-91828b690629

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    https://writeapp.io

    Indice dei contenuti

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    Epilogo

    Ringraziamenti

    Marta Iside Riva

    LA NOTA PERFETTA

    " La musica ti salva quando sei depresso,

    anche quando vuoi dimenticarti di essere te stesso"

    Dydo

    Frasi di Cioccolato

    1

    » Elisabeth, arrivi? « Questa è la voce di mia madre che arriva dal piano di sotto, accompagnata da rumori di piatti, padelle e bicchieri che sbattono, segno che sta preparando la colazione.

    Mi stropiccio gli occhi, infastidita dalla luce che filtra attraverso le stecche delle persiane di legno, e mi alzo a fatica dal letto. Il risveglio non è mai stato il mio forte.

    Con un occhio aperto e uno chiuso cerco a tentoni dei vestiti dall'armadio e infilo una T-shirt nera spiegazzata, pantaloni a scacchi neri e grigi oversize, con una catena agganciata alla tasca sinistra, e un paio di sneakers. Mi avvicino allo specchio e mi guardo, strizzando gli occhi che anche oggi vantano due bei segni neri. Le urla di mia madre si fanno più insistenti ma le ignoro e mi trascino in bagno, sciacquo il viso e inizio ad applicare del trucco, pizzicandomi le guance e cercando di mascherare il pallore.

    Quando mi allontano dal mio riflesso, mi guardo con aria soddisfatta: fondotinta, correttore e mascara hanno ridato vita al viso, che ora appare riposato e fresco. Applico un leggero filo di lucidalabbra rosato, mando un bacio nell'aria immaginandomi su un palco gremito di fan in visibilio e scendo al piano terra prima che le urla mi traforino un timpano.

    Entro in cucina simulando energia e gioia di vivere nonostante le gambe pesanti, le palpebre pigre e le spalle curve.

    »Che faccia hai, tesoro? Hai dormito? « mi saluta dopo un'occhiata. A differenza di quel che pensavo, non ho un grande futuro come makeup artist.

    »Non tanto mamma, avevo caldo.»

    »Elisabeth, ti ho detto di accendere l 'aria condizionata quando ne senti la necessità. Anche se, in effetti, questo è un caldo atipico per essere maggio, tesoro.»

    Elisabeth. Ma quanto le ci vuole per capire che non voglio più essere chiamata così? »Mamma, puoi usare il mio nome d 'arte, per favore ?»

    »Ancora con questa storia? Hai un nome splendido, perché vuoi cambiarlo?»

    »Perché Melody fa figo « rispondo, alzando le spalle.

    «Come il piercing e i capelli rasati?»

    Il tono di voce sembra farsi più acuto a ogni sillaba. Eccola, ci risiamo. Adesso non smette di elencarmi tutti i miei difetti fino a quando non arriviamo a scuola.

    »Mamma, tu ti sei rifatta il seno e le labbra, ma io non sto sempre qui a dirti che sembri una Barbie di plastica « le dico in cagnesco.

    »Quando fai così sei davvero insopportabile.» Chiude la lavastoviglie con il piede quasi calciandola, facendo sbattere lo sportello.

    »E tu, quando fai così, mi fai venire voglia di scappare di casa.» Esco sbattendo la porta. So che le dà fastidio, mi riprometto di metterci ancora più forzala prossima volta.

    Mi avvio a piedi verso scuola sapendo di farle un dispetto, adora il momento in cui può sfoggiare il macchinone del maiale, e mi addentro quasi correndo nella stradina pedonale. Così, non potrà raggiungermi con l'auto fino a quasi fuori dall'istituto. La sfilata per oggi è saltata.

    Sono davvero stanca delle sue filippiche. D a quando papà l 'ha lasciata, si veste come una quindicenne, fa l'oca con le amiche, torna a casa tardi e il chirurgo plastico è il suo nuovo idolo. Cavolo, sono io quella che ha il diritto di vergognarsi!

    Sblocco lo schermo del cellulare e lo imposto sulla fotocamera. La giro in direzione del mio volto e mi guardo. A parte le occhiaie, non vedo nulla di strano e volgare, come lei invece continua a rimarcare.

    E anche il piercing all 'ombelico non è niente di che: è mimal e delicato, due piccoli punti luce. L'ho fatto per sentirmi un po' più moderna, per avere anche io qualcosa da sfoggiare in costume, anche se temo non succederà mai visto che la mia vita sociale è ridotta praticamente a zero, grazie al capo famiglia e alla delusione che ha inflitto al mio cuore.

    Anche i capelli che lei non sopporta sono un semplice caschetto, con la nuca rasata. La parrucchiera ha sbagliato il taglio e mi ha pregato di non rovinarle la reputazione.

    Ho guadagnato una maschera nutriente gratis e qualche like in più su Instagram e sul mio canale YouTube. Li guardo, passo la mano sulla parte rasata e sorrido: la frangetta liscia e lucida fa risaltare i miei occhi verdi e le sopracciglia ad arco. Ancora proprio non riesce a piacermi lo stile alla Delevingne.

    Quanto vorrei essere cool davvero! Invece, mi sento una sfigata, e se non mi scrollo di dosso il mio modo di fare da provincialotta non avrò mai successo. Quando abitavo in campagna, nella bassa padana, non mi accorgevo di quanto non fossi per niente alla moda, ma ora che ho cambiato scuola e abitiamo a Milano mi sento fuori luogo: dall'accento al look, è tutto sbagliato.

    Metto le cuffie e seleziono la mia playlist preferita camminando con energia rinnovata. Le canzoni mi fanno sempre questo effetto e mi trasportano nel mio mondo, dove mi chiamo Melody. Da qualche mese pubblico le mie canzoni su un canale YouTube omonimo, che colleziona sempre più visualizzazioni e popolarità grazie all'incazzatura che ho nel cuore: a quanto pare molti miei coetanei si rispecchiano nelle mie parole.

    L'ho preso come un segno, come una via da seguire.

    Adesso, l'unica cosa che conta per me è la musica.

    2

    Sei mesi fa ho beccato mio padre mentre tradiva mia madre.

    È successo poco prima di Natale. Stavo tornando a piedi dall 'allenamento di pallavolo. Il mio amatissimo genitore mi aveva mandato un messaggio poco prima: non poteva venire a prendermi perché avrebbe fatto tardi con dei clienti giapponesi. Papà è uno di quegli uomini superricchi che non capisci che lavoro fanno ma sono sempre vestiti eleganti, viaggiano, incontrano gente in giro per il mondo e tornano spesso tardi dal lavoro. Li riconosci dalla faccia stressata e dalla pelle abbronzata per via delle lampade. Mamma era impegnata in una riunione con le sue amiche del Gruppo di sostegno ai bimbi in difficoltà, quindi non avevo avuto altra scelta che arrangiarmi da sola.

    Abitavamo da generazioni in una piccola e adorata frazione dove non c'era nulla se non tanta quiete, verde e mucche. Qualsiasi servizio si poteva raggiungere con facilità in auto o a piedi facendo una camminata di mezz'ora. Si attraversava il ponte dell'Adda, si girava a sinistra in mezzo alle stradine circondate da campi e infine si percorreva una ciclabile pedonale realizzata da poco grazie a un intervento fondamentale di mio nonno, il padre dell'uomo che quella sera ha distrutto la mia vita in pochi secondi.

    Avevo fatto in tempo a prendere l'ultimo autobus ed ero scesa a una fermata abbastanza vicina a casa. Il tempo era peggiorato all'improvviso, e una raffica di vento bagnata di pioggia mi aveva fatto sussultare. Odio il vento, mi rende nervosa e quella sera avrei dovuto capire che non si trattava di un semplice temporale, ma di un tornado. Avrei dovuto immaginare che stava per succedere qualcosa di grave.

    All'ultimo momento, avevo deciso di allungare il tragitto e di passare da via Alessandro Manzoni, più riparata rispetto alla mia solita strada, anche se spaventosamente cupa. Papà sapeva quanto odiavo quella strada e che non l'avrei percorsa per nessuna ragione al mondo. Ecco perché aveva deciso di appartarsi con la segretaria proprio lì, per un ultimo atto d'amore prima di rientrare a casa dalla sua noiosa e scontata famiglia e sopportarla per tutte le ferie invernali. Avremmo dovuto partire per la montagna pochi giorni dopo, come da tradizione.

    Quando avevo visto la macchina, il pensiero era andato a l papà di Matilde, la mia compagna di banco, morto sul colpo per un infarto in garage. Non aveva fatto in tempo a rientrare in casa e farsi soccorrere, ed era morto da solo. Il pensiero che una cosa simile potesse capitare anche a mio padre, sempre così stanco, mi aveva spaventata più di una volta.

    Mi ero avvicinata all'auto, con il timore di scoprirmi orfana di padre. Il cuore mi batteva forte e le gambe erano pesanti. Avevo preso in mano il telefono convinta di dover chiamare l'ambulanza. Mentre mi avvicinavo lentamente all'Audi grigia, la scritta adesiva che aveva fatto realizzare al ritorno di una trasferta diventava sempre più riconoscibile. Elisabeth. Per avermi sempre con sé, così mi aveva detto. Un altro passo mi aveva permesso di mettere a fuoco l'interno della macchina. E, con esso, una chioma bionda.

    Mamma è castana e papà le ha sempre chiesto di non tingersi perché odia le donne vistose.

    Pian piano, avevo riconosciuto mio padre. Aveva sulla faccia una smorfia eccitata, era in ginocchio sul sedile, i pantaloni slacciati, il suo inturgidimento nella bocca della bionda, la testa che andava su e giù.

    Poco dopo mio padre si era irrigidito. Aveva spalancato gli occhi soddisfatto... per incontrare il volto di sua figlia, fuori dalla macchina, immobile davanti a lui.

    L 'ultima immagine che quella sera mi ha regalato è l'adesivo con il mio nome offuscato dalle lacrime con come sfondo il pene di mio padre ammosciato dopo l 'erezione. Prima di voltarmi ero riuscita a scattare una fotografia che ora si trova ben custodita nel mio computer, in attesa di essere usata per ricattarlo.

    Ero scappata via di corsa e, una volta rientrata in casa, mi ero chiusa a chiave nella mia stanza, ignorando i suoi tentativi di parlarmi prima che rincasasse mia madre.

    Se n’è andato la sera stessa, farfugliando una scusa idiota, tipo che l'amore era finito, e che non ci si poteva fare nulla e da quel giorno non l 'ho più voluto vedere.

    Non ho mai raccontato nulla a nessuno, e mio padre si è ben guardato dall'ammettere le sue responsabilità. Il risultato è che mia madre non mi capisce e incolpa sé stessa della fine del suo matrimonio perché pensa di essere invecchiata male e aver perso fascino.

    La verità, invece, è ben più grave e ogni giorno mi domando da chissà da quanto tempo il maiale fingeva di avere molto da lavorare mentre in verità si trastullava con la segretaria.

    3

    Da quando è successo l'incidente sono diventata cattiva. Più che cattiva, vendicativa.

    Quel maiale in seguito ha detto a mia madre che la loro relazione si era logorata, che gli serviva tempo per riflettere, ma ormai sono mesi che se n’è andato e abbiamo saputo che si è trasferito a casa della bionda.

    Non voglio vederlo e lui per fortuna non insiste, sa di essere dalla parte del torto, anche se ha sempre evitato di ammettere che aveva una relazione prima andarsene di casa. L'altro giorno ho origliato una conversazione tra i miei genitori e l'ho sentito dire a mia madre che lui e io non parlavamo più per colpa della mia immaturità e incapacità di affrontare la vita vera.

    Lo odio.

    Ho la sua carta di credito, me l'ha lasciata mia madre qualche settimana fa, e da allora sto spendendo tutti i suoi soldi per la musica: ho comprato microfono, mixer, casse e cuffie.

    Lui si lamenta, ma mi lascia fare perché ha la coda di paglia.

    Di notte non dormo e sogno di vederlo andare in bancarotta, distrutto dal dolore, senza più la sua fidanzata ventenne che, ovviamente, sta con lui per via dei suoi soldi.

    Ogni giorno mi domando se avrei dovuto capirlo prima, ma non riesco a trovare un momento preciso, a ricordare un indizio che avrebbe potuto farmi sospettare che mio padre avesse un'amante. I miei non sono mai stati espansivi o affettuosi l'uno con l'altra e, chissà, magari non si sono mai amati. Forse quella notte gli ho fatto trovare il coraggio di liberarsi di noi. Da una parte sono contenta, ogni tanto mi dico che mamma, una volta ripresa dallo shock, potrebbe trovare un nuovo compagno e rifarsi una vita. Dall'altra avrei tanto voluto non essere andata a pallavolo quel giorno e non assistere a quella scena. Avrei preferito continuare a vivere nell'ignoranza, perché la mia esistenza è cambiata. Abbiamo lasciato la nostra casa, perché mia madre aveva bisogno di stare lontana da tutto per riprendersi. Io ho perso le mie amiche, e la possibilità di vedere il nonno quando voglio. Adesso posso incontrarlo solo ogni quindici giorni, quando andiamo a trovarlo alla domenica e passiamo dal cimitero a salutare la nonna.

    È tutto così diverso, penso mentre cambio canzone. Oggi sento di aver bisogno di rock, sono arrabbiata.

    Sprofondo nel divano, dove mi metto di solito per ascoltare la mia amica più fidata. Ormai non faccio altro. La musica non fa male e non tradisce mai.

    «Elisabeth, è arrivato un corriere. Hai comprato ancora qualcosa?» Accidenti, oggi mamma non ha lezione di fitness, non l'avevo preventivato. Si affetta verso la porta per rispondere al gentil signore in divisa gialla e blu che ormai frequenta la mia casa quasi ogni giorno.

    «È una maglietta mamma, era in saldo» farfuglio mentre mi alzo di corsa, ignorando il formicolio al piede destro. Afferro la scatola dalle mani del corriere e salgo al piano di sopra, evitando così fastidiose domande.

    Mi chiudo in camera, appoggio il pacchetto sul letto e lo scarto, strappando i lembi di cartone con le dita. Rido mentre afferro il mio nuovo gioiellino – un pezzo per registrare i provini che costa un capitale – e ne verifico la consistenza. Vorrei vedere la faccia del mio ex eroe quando gli arriverà l'estratto conto. So che prima o poi mi taglierà i fondi, ma per ora ne approfitto.

    Mi siedo al mio tavolo di lavoro e inizio a montare il pezzo mancante per il mio piano di fuga. Nel corso degli anni ho scritto molte canzoni che non ho mai avuto il coraggio di registrare, e questo perché i miei genitori mi hanno sempre sconsigliato di seguire la carriera artistica e di dedicarmi a qualcos'altro, di più sicuro, ed ecco perché sono all'ultimo anno di Liceo Linguistico che tanto odio, anche se devo ammettere che mi ha regalato una ricca cultura letteraria, che sfrutto ogni giorno per i miei testi.

    Se la mia vita non fosse stata stravolta, ora starei pianificano di andare in qualche noiosa università imposta da loro per poi iniziare una carriera ricca di riunioni e grattacapi, ma, siccome gli adulti della famiglia hanno pensato bene di rovinarmela, ho deciso che una volta diventata maggiorenne farò a modo mio, inizierò a presentarmi nei locali per cantare. Voglio che il mondo conosca la mia musica, voglio che le mie canzoni siano il biglietto per uscire per sempre da questa casa.

    4

    La musica non ha sempre fatto parte della mia vita.

    Tutto è iniziato circa otto anni fa. Ero in giardino seduta sotto il portico, annoiata perché i miei amici erano andati a farsi un giro in bicicletta. Io avevo declinato l'invito, qualche settimana prima ero caduta e non mi ero ancora ripresa dallo spavento. E dire che non stavo neppure pedalando!

    Mio cugino Patrick era su di giri per aver ricevuto in regalo una bicicletta per il compleanno: aveva voluto mostrarmela, e aveva iniziato a vantarsi di quanto riuscisse ad andare veloce grazie ai cambi che aveva montato. Era una bella giornata di sole, indossavo solo un piccolo giacchino, una felpa leggera e dei pantaloni della tuta. Mi aveva fatto sedere sul portapacchi per mostrarmi l'eccezionalità del suo nuovo mezzo, e si era messo a pedalare con foga. Man mano che procedeva, prendeva velocità. Io ridevo e fischiavo. Mi sentivo immensa, senza confini, mai avrei immaginato di finire a terra.

    Dovevo aver sbagliato qualcosa perché il piede si era infilato nei raggi della ruota e il risultato era stato un volo pazzesco, seguito da una caduta sull'asfalto.

    Mio cugino se l'era cavata con qualche botta, io con una bella sbucciata di ginocchia e un ematoma gigante su di un fianco. Al Pronto Soccorso ci avevano detto che non era niente di grave, ma che avrei dovuto stare a riposo per un po'. In realtà, faceva più male di quanto non volessi dimostrare ed è per quello che avevo preferito stare a casa, non ero ancora in grado di pedalare.

    I miei pensieri erano stati interrotti dal rumore della forbice per siepi e dalle sferzate energiche di nonno, che stava mettendo in ordine il giardino: canottiera con l'alone di sudore sotto le ascelle e sul collo, pantaloni marroni, bretelle e cappello di paglia. A quel tempo era ancora più grosso di oggi, la vecchiaia lo ha asciugato un po', ma in quel momento era in piena forma... rotonda.

    Una volta, a scuola, mi avevano chiesto di disegnarlo e avevo fatto una specie di uovo, aggiunto braccia e gambe, cintura e bretelle e un cappello di paglia.

    È strano il nonno. Non parla molto ed è sempre burbero. In realtà è un grande artista, un compositore e direttore d'orchestra di fama mondiale ora in pensione, anche se non passa giorno senza esercitarsi al suo piano nero. Vi trascorre ore e ore, e ha anche degli allievi che lo adorano.

    Sfinita dalla noia, avevo preso un vecchio stereo trovato in cantina, infilato una cassettina anch'essa trovata in uno scatolone e avevo schiacciato play.

    Mozart.

    Non era proprio quello che mi ero aspettata.

    La cassettina riportava la scritta: Copia in omaggio con il Corriere della Sera. Doveva essere della nonna, e il nonno si era premurato di conservarla, assieme a molte altre cose.

    Improvvisamente nella testa la melodia si era trasformata in parole, che erano uscite prepotenti dalla mia bocca. Mi ero lasciata andare, l'aria usciva dai polmoni libera e potente. Quel suono mi piaceva tanto, era una voce quasi irriconoscibile e ben più matura della mia età.

    Guardando il cielo, avevo avuto la sensazione di cantare per le stelle e di aver trovato il mio ruolo nel mondo.

    Cantavo mentre la cassetta riproduceva il suono, fantasticavo... un attimo che mi sembrò durare per sempre.

    Ma la musica presto terminò, e in quel momento nonno si era voltato e si era avvicinato. La fronte sudata, si era tolto il cappello, mi aveva guardata e mi aveva detto: «Che bella voce. Chi è la cantante?»

    «Sono io, nonno.»

    «Tu?»

    «Sì.»

    Aveva aggrottato la fronte bagnata. «Pensavo venisse dalla registrazione. Sai, da grande potresti cantare nel mio coro come

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