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Esoterismo e fascismo: Immagini e documenti inediti
Esoterismo e fascismo: Immagini e documenti inediti
Esoterismo e fascismo: Immagini e documenti inediti
E-book641 pagine6 ore

Esoterismo e fascismo: Immagini e documenti inediti

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Info su questo ebook

Il primo libro che esamina esaustivamente i rapporti fra esoterismo e fascismo attraverso 37 saggi di 26 autori diversi e con l'aiuto di documenti spesso inediti, al di là di ogni sensazionalismo e fantasticheria ma in base a ricerche d'archivio secondo un metodo rigorosamente storico-scientifico.
Non è esistito un "esoterismo fascista" né un "fascismo esoterico", cioè una componente del fascismo che si basasse su conoscenze di questo tipo come avvenne invece per il nazismo, ma vi fu sicuramente un complesso rapporto fra alcuni ambienti e singole personalità che avevano interessi spiritualisti, occulti, esoterici e il regime fascista, che operarono accanto ad esso o anche al suo interno. Di questa poco indagata situazione si occupa il volume curato da Gianfranco de Turris che esce dopo un lavoro di circa tre anni: per la prima volta un gruppo di specialisti esamina complessivamente i collegamenti tra massoneria, teosofia, antroposofia, neopaganesimo, tradizione italica e fascismo tracciando anche i ritratti di personalità importanti e a torto considerate minori come Arturo Reghini, Julius Evola, Aniceto del Massa, Massimo Scaligero, Guido De Giorgio, il duca Colonna di Cesarò. Si analizza il mistero de "la Grande Orma" e di una rappresentazione teatrale come Rumon. Il campo d'indagine è anche allargato al culto della romanità, che non fu solo esteriore, descrivendo l'attività dell'archeologo Giacomo Boni, e quindi ai simboli che utilizzò il fascismo e al suo aspetto di "religione civile" con la Scuola di Mistica Fascista, alle teorie della razza a sfondo tradizionale ed esoterico, al retroterra culturale "spirituale" e "spiritistico" di scrittori, pittori, musicisti che operarano in quel periodo. Si traccia il profilo del d'Annunzio "occulto" e del suo architetto "massone" Moroni. Si parla della fondazione dell'IsMEO voluto da Giovanni Gentile e Giuseppe Tucci per una apertura alla spiritualità dell'Oriente. Si indaga sulla presenza di Crowley in Italia e sulle piste "esoteriche" degli attentati a Mussolini. Non manca un esame delle riviste e degli editori che si occuparono di questi argomenti, del cinema mitico del fascismo e della cosiddetta "archeologia misteriosa" durante il Ventennio.
Una panoramica mai effettuata prima con questa ampiezza che rivela caratteri inaspettati della cultura italiana fra le due guerre. Con due interviste a Giorgio Galli e Emilio Gentile.
LinguaItaliano
Data di uscita27 ott 2015
ISBN9788827226353
Esoterismo e fascismo: Immagini e documenti inediti
Autore

Gianfranco de Turris

Già Vice-caporedattore del Giornale radio Rai per la cultura, attualmente ricopre la carica di consulente editoriale per le Edizioni Mediterranee di Roma. È inoltre segretario della Fondazione Julius Evola per conto della quale cura tutte le ristampe dei libri del noto filosofo tradizionalista. È ideatore ed editorialista del programma di RAI Radio1 L'Argonauta, in onda dal 2004. Negli anni sessanta cura la sezione narrativa della rivista Oltre il cielo. Fin dagli anni settanta è autore di numerosi saggi e libri sulla letteratura fantastica, in particolare su J. R. R. Tolkien e H. P. Lovecraft, nonché direttore di L'Altro Regno, nota rivista di critica fantascientifica edita fino alla fine degli anni ottanta. È stato inoltre presidente del Premio J.R.R. Tolkien per tutte le tredici edizioni dal 1980 al 1992. La sua attività giornalistica comprende collaborazioni con L'Italiano, Linea, Secolo d'Italia, il Tempo, L'Italia che scrive, Roma, Dialoghi, Liberal, Giornale d'Italia, L'Indipendente, Prospettive nel Mondo, la Destra, Area e Intervento. Nell'ambito del fumetto collaborò per anni alla rivista Linus diretta da Oreste Del Buono.

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    Anteprima del libro

    Esoterismo e fascismo - Gianfranco de Turris

    Esoterismo e Fascismo

    Storia, interpretazioni, documenti

    a cura di Gianfranco de Turris

    con 24 illustrazioni e 19 documenti

    In copertina:

    Esoterismo e fascismo, contigui ma non coincidenti, vicini ma non sovrapponibili.

    In alto, la Composizione n. 19 (olio su tela, Collezione Menna), uno dei quadri alchemici dipinti da Julius Evola fra il 1918 e il 1920, simboleggia la Grande Opera ermetica, la cottura nell’ Athanor con le fasi della Nigredo, dell’ Albedo e della Rubedo. In basso, una rivisitazione del fascio, ormai simbolo anche politico, operata da Gino Severini per il Foro Mussolini (oggi Foro Italico), realizzata in forma di mosaico nel 1937.

    ISBN 978-88-272-2635-3

    © Copyright 2006-2015 by Edizioni Mediterranee - Via Flaminia, 109 - 00196

    Roma

    Versione digitale realizzata da Volume Edizioni S.r.l.

    Indice

    Introduzione: Una ipotesi di lavoro

    di Gianfranco de Turris

    Storia e simbologia del Fascio Littorio

    di Massimiliano Vittori

    Documenti: Il fascio littorio dal VII secolo a.C. al 1943

    Il Fascio e la Squadra

    di Aldo Alessandro Mola

    Documenti: La legge contro la Massoneria (1925)

    Massoni e rosacruciani… a regime

    di Aldo Alessandro Mola

    Esoterismo neopagano nel Regime Fascista

    di Alessandro Giuli

    La Teosofia di fronte al Fascismo

    di Marco Rossi

    Documenti: Impressioni sulla visita di Tagore in Italia, di Roberto Assagioli (1926)

    Roberto Assagioli, dalla Teosofia alla Psicosintesi

    di Marco Rossi

    Documenti: Roberto Assagioli negli anni Dieci e Settanta

    Krishnamurti nell’occhio della polizia politica

    di Michele Beraldo

    Documenti: Lettera di protesta contro la campagna diffamatoria del presidente della Società Teosofica Internazionale (1937)

    L’Antroposofia e il suo rapporto con il Regime Fascista

    di Michele Beraldo

    Documenti: Informativa sull’appartenenza di Violet Gibson alla Società Antroposofica (1926)

    Informativa sul possibile coinvolgimento di Colonna di Cesarò nell’attentato a Mussolini (1926)

    Circolare alle Prefetture per lo scioglimento dei gruppi antroposofici (1941)

    Se il Duce avesse letto Steiner

    di Luigi Capano

    L’Aquila e il Fascio Littorio, simboli cosmici

    di Mariano Bizzarri

    Documenti: Il Littorio dalla Preistoria al Regime Fascista, di Antonio Baldacci (1933)

    L’enigma della Grande Orma

    di Stefano Arcella

    Documenti: La Grande Orma, di Ekatlos (1929 e 1971)

    Quando il Gruppo di Ur cercò d’influenzare il Fascismo

    di Renato Del Ponte

    Documenti: Mussolini temeva l’influsso della magia?, di Julius Evola (1954)

    Julius Evola e Arturo Reghini, un sodalizio occulto

    di Angelo Iacovella

    Aniceto Del Massa: le tentazioni esoteriche di un anarchico di destra

    di Angelo Iacovella

    Documenti: Diari esoterici, di Aniceto Del Massa (1923-1933)

    Aniceto Del Massa negli anni Venti

    Il mistero di Rumon: un rito sacro per rifondare Roma

    di Stefano Arcella

    Documenti: Rumon, Carme Terzo, di Ignis (1929)

    Giacomo Boni, l’archeologo-vate della Terza Roma

    di Sandro Consolato

    Documenti: Ara graminea allestita da Boni sul Palatino nel 1917

    Il secondo millenario di Virgilio, di Giacomo Boni (1923)

    Letteratura, spiritualismo, occultismo tra le due guerre

    di Simona Cigliana

    Documenti: L’uomo futurfascista, di Arnaldo Ginna (1933)

    Aleister Crowley in Italia

    di Claudio Mauri

    Il duca Colonna di Cesarò, ministro antroposofo

    di Michele Beraldo

    Documenti: Lettera di Mussolini a Colonna di Cesarò (1924)

    Tre attentati al Duce: una pista esoterica

    di Claudio Mauri

    Documenti: La foto ritoccata di Violet Gibson mentre spara a Mussolini (1926)

    René Guénon in Italia tra politica ed esoterismo

    di Salvatore Santangelo

    Guido De Giorgio e il Fascismo Sacro

    di Angelo Iacovella

    Documenti: Lettera di De Giorgio a Scaligero (1940)

    Guido De Giorgio negli Anni Cinquanta

    L’Eurasismo di Giuseppe Tucci e dell’Is.M.E.O.

    di Alessandro Grossato

    Documenti: Tucci e Mussolini (1942)

    Tucci a una conferenza (1942)

    Alla ricerca della Tirrenide perduta

    di Marco Zagni

    Documenti: La Tirrenide secondo Arecchi, Cattoi e la geologia ufficiale

    Gabriele d’Annunzio, Vate e sciamano

    di Attilio Mazza

    Documenti: D’Annunzio e Mussolini sul Lago di Garda (1925)

    Il caso di Giancarlo Maroni,

    l’architetto massone del Vittoriale

    di Carlo Fabrizio Carli

    Documenti: D’Annunzio e Maroni (1937)

    Il Fascismo e la sacralizzazione della politica

    di Riccardo Paradisi

    La religione civile della Scuola di Mistica Fascista

    di Tomas Carini

    Documenti: Decalogo dell’italiano nuovo, di Arnaldo Mussolini (1931-1940)

    Massimo Scaligero oltre la maya politica

    di Andrea Federici

    Razzismo ed esoterismo

    di Marco Rossi

    Documenti: La razza dello spirito e il razzismo scientifico, di Julius Evola (1942)

    Il veggente e il dittatore: Gustavo Rol e Mussolini

    di Maurizio Bonfiglio

    Documenti: Rol durante la seconda guerra mondiale

    Suggestioni esoteriche nelle SS italiane

    di Alfonso Piscitelli

    Documenti: Il distintivo delle SS italiane ideato da Pio Filippani-Ronconi (1944)

    L’editoria esoterica negli anni del Fascismo

    di Andrea Marcigliano

    Le riviste spiritualiste, occultiste ed esoteriche durante il Regime

    di Michele Beraldo

    La corona di ferro di Alessandro Blasetti: fantasia e simbolo

    di Fabio Melelli

    Documenti: Blasetti sul set del film (1941)

    Gli autori

    Indice dei nomi

    Introduzione Una ipotesi di lavoro

    A quasi novant’anni dalla fondazione dei Fasci di combattimento e a oltre sessanta dalla sconfitta del fascismo alla conclusione della seconda guerra mondiale, il movimento politico e quindi il regime fondati da Benito Mussolini continuano ad essere fra gli argomenti di maggior presa per l’editoria italiana: non passa praticamente giorno che non esca un libro che si riferisca ad essi, ai suoi protagonisti, alle strutture create, agli eventi di cui furono partecipi in due decenni, che sembrano essere per noi (ma non soltanto per noi) il centro, il nocciolo duro del Novecento. Ogni volta si pensa che non ci sia più nulla da dire, eppure ogni volta che viene pubblicata una ennesima interpretazione o testimonianza si scopre qualcosa di nuovo e inaspettato o almeno poco indagato. Per non parlare della pubblicistica: quotidiani, settimanali e mensili si occupano di fascismo (e di nazismo) spessissimo e gli addetti ai lavori sanno che copertine con immagini di Mussolini o Hitler fanno vendere più di quelle con fanciulle ammiccanti e discinte. Per non parlare delle enciclopedie a dispense, di quelle con videocassette e quindi DVD anch’esse con al centro gli identici argomenti o altri collaterali (la guerra, le armi, i discorsi, eccetera). Per non parlare della televisione, nei cui programmi storici delle emittenti pubbliche e private il tema fascismo/Mussolini/guerra è tra i più trasmessi.

    Insomma, il mercato editoriale e più genericamente massmediale sembrerebbe ormai saturo, e invece non è affatto così: il pubblico, con il passare delle generazioni, non si dimostra ancora sazio dell’argomento, gli autori scrivono o filmano, gli editori pubblicano, le tv trasmettono. Di tutto: opere e programmi importanti ed opere e programmi decisamente mediocri, studi scientifici e testi o filmati faziosi, biografie dei protagonisti principali ma anche di personaggi assolutamente minori o sconosciuti, testimonianze dirette, diari inediti, ricostruzioni vere, verosimili e false. Tutto entra nel grande calderone in cui si rimesta un fenomeno (non solo politico) che continua peraltro ad essere oggetto della riprovazione ufficiale, ma che rimane indubbiamente sulla cresta dell’onda dell’interesse e della curiosità degli italiani, nonostante siano trascorse due o tre generazioni dalla conclusione sanguinosa dell’era fascista nel corso delle quali – si scopre l’acqua calda a dirlo – la demonizzazione è stata la regola, e quindi una ripulsa incondizionata doveva esserne il risultato.

    Fra i temi meno indagati, o indagati solo superficialmente o, al contrario, in maniera sfacciatamente eclatante quanto goffa, c’è l’esoterismo. Ma su questo termine ed il suo rapporto col fascismo in quanto ideologia e regime politico si deve essere molto chiari a causa delle tante sciocchezze, strumentalizzazioni e mercificazioni che sono state compiute, dette, scritte.

    Infatti, se si può parlare, senza troppo sbagliare, di un esoterismo nazista, dati i molteplici documenti venuti alla luce dopo le clamorose ma generiche rivelazioni de Il mattino dei maghi di Louis Pauwels e Jacques Bergier (1960), non si può invece parlare – checché ne possa pensare qualcuno – di un esoterismo fascista, vale a dire di una dimensione esoterica né ufficiale né ufficiosa del fascismo: le personalità che ne erano a capo, la loro cultura e la loro predisposizione spirituale (nonostante i molteplici contatti con la massoneria) non risultavano tali da poter dare vita ad una dimensione esoterica, occulta né tantomeno tradizionale del fascismo, o da creare al suo interno, nei vertici del potere, un’élite o una qualche corrente capaci di muovere il fascismo o una parte di esso verso interessi esoterici allo scopo di raggiungere una spiritualità superiore e non convenzionale. Cosa che invece si può dire del nazismo, come è stato documentato ormai al di là delle esagerazioni e delle approssimazioni che tendono ad ingigantirsi col tempo.

    Perché? Perché il retroterra culturale e religioso era assai diverso tra Germania e Italia. Ostava da noi soprattutto il cattolicesimo, religione di tutta la nazione nonostante i noti fatti risorgimentali e la questione romana, e, dal 1929, il rapporto privilegiato istituito dallo Stato (ormai fascistizzato) con il Vaticano attraverso il Concordato e i Patti Lateranensi. Il nazismo osteggiava e combatteva la Chiesa e il cattolicesimo anche se in modi non sempre espliciti, il fascismo invece ne fece la religione di Stato anche se con l’intenzione di utilizzarlo come instrumentum regni, e anche se si scontrò poi con esso in varie occasioni, soprattutto per quanto riguardava l’inquadramento della gioventù e la sua educazione.

    Precisato questo, oggi possiamo ben dire con cognizione di causa che vi furono però all’interno del fascismo, sia movimento ma soprattutto regime (se vogliamo utilizzare la terminologia di Renzo De Felice), personalità e anche correnti spirituali e di pensiero, che all’esoterismo si rifacevano, ma non per tanto riuscirono a influenzare il modo di essere di questa ideologia. Tali personalità e correnti ebbero varie sorti e traversie, e soprattutto varia e diseguale importanza, ma in genere furono di notevolissimo spessore culturale e spirituale, e non caddero affatto nel farsesco come qualcuno vorrebbe far credere sol perché ritiene l’argomento esoterismo qualcosa di ridicolo in sé. Di si dice sulla personalità e gli interessi di Mussolini e di alcuni importanti esponenti del regime su questo fronte ve ne sono innumerevoli, ma (a parte i comprovati rapporti con la massoneria) ancora si aspettano prove ineccepibili, testimonianze valide, documenti concreti. Finché non si troveranno, ci dobbiamo limitare a quel che si sa e non inoltrarci in ipotesi azzardate, né denigratorie né esaltatorie, in ricostruzioni del tutto ipotetiche e spesso risibili.

    Questo aspetto del fascismo, nonostante le migliaia di libri e saggi dedicati alle sue molteplici sfaccettature e innumerevoli protagonisti, come si è detto è stato sino ad oggi nella sostanza ignorato o al massimo sfiorato. Certo esistono opere che se ne sono genericamente occupate, o che ne hanno lambito i contorni, ma nessuna specificatamente dedicata ad esso e di una certa profondità. Inoltre, le molteplici diramazioni del tema (che non è unitario, nonostante le apparenze) difficilmente possono essere affrontate da un unico autore: s’intrecciano non solo esoterismo-occultismo-magia, non solo politica, ma anche varie forme di arte, storia delle religioni, archivistica, diplomazia, archeologia, cinema, teatro, letteratura, architettura e così via. Da qui la necessità di affidarsi ai vari esperti e specialisti.

    Questo volume ha origine in una iniziativa di alcuni anni fa, quando nell’ottobre 2003 come allegato al n. 44 del mensile Hera, apparve un fascicolo intitolato Esoterismo e Fascismo, la cui idea iniziale di Stefano Arcella, accettata dal direttore della rivista Adriano Forgione, venne ampliata dal sottoscritto. Con esso si compiva un primo tentativo di una certa organicità in questa direzione e proprio in quanto tale non era esente da mende e lacune: vennero pubblicati diciassette interventi, mentre altri, pur realizzati, furono esclusi per mancanza di spazio. Questo volume ne ospita trentacinque: oltre a recuperare gli esclusi, molti di nuovi ne appaiono e quelli già editi sono pubblicati in versione integrale (tagli dovuti sempre a motivi di spazio), aggiornati, ampliati ed in alcuni casi totalmente riscritti. In più, a praticamente tutti si è posta una breve bibliografia orientativa. In molte occasioni sono stati aggiunti in appendice ai singoli interventi documenti di vario tipo a integrazione e spiegazione del testo. Comunque, non tutti quelli che si sarebbero potuti inserire, a ragione dell’elevato numero di pagine già raggiunto.

    In base all’assunto iniziale, che cioè non esiste un vero e proprio esoterismo fascista, ma che all’interno del fascismo convissero (almeno sino ad un certo punto, che poi è quello del 1929-1930 quando caddero tutte le illusioni di far prevalere, o almeno far accettare al fascismo-regime, una spiritualità non cattolica o non solo cattolica) personalità e correnti esplicitamente esoteriche e, qui si può aggiungere, spiritualiste, nelle pagine seguenti i lettori troveranno dei contributi che esaminano, secondo un ordine che cerca di avere una sua coerenza logico-cronologica, queste correnti e personalità, spesso intrecciate fra loro sia per interessi che per tempi (e da qui qualche inevitabile sfalzamento e qualche sovrapposizione). Già nel fascicolo di Hera c’era di sicuro non solo l’essenziale, ma certamente più di quanto fosse stato mai detto in precedenza tutto in una volta: in questo volume c’è più del doppio, essendone stati ampliati anche gli orizzonti eterodossi.

    Da un lato l’aggiunta del termine spiritualista ci ha consentito di occuparci anche di alcuni aspetti della cosiddetta religione laica o civile o politica che fu propria del fascismo, quale, in un certo senso sia interiore che esteriore, volle essere questa ideologia. Da un altro lato si è cercato di esplorare (forse per la prima volta insieme), con panoramiche generali o profili particolari, correnti e personalità che mescolarono l’esoterismo e l’arte (letteratura, architettura, eccetera) offrendo un quadro essenziale di quelle che furono durante il Ventennio l’editoria e la pubblicistica esoterica e spiritualista, anche non direttamante collegate alla politica, che vi furono e non minori. Insomma, l’epoca fascista, non essendo una parentesi come anche è stata considerata, fa parte della storia culturale del Novecento e quindi ne risente di gli influssi.

    Infine, si sono rievocati episodi singoli che hanno visto l’incontro, anche se effimero, tra politica ed esoterismo, mentre – e forse a qualcuno potrà sembrare poco pertinente – si sono affrontati alcuni temi ed argomenti eterodossi non necessariamente collegati all’esoterismo che però sono identificabili e rintracciabili nella cultura a margine del fascismo, così come (anche se a livello più diffuso e intenso) avveniva in altre nazioni nello stesso periodo, in specie nella Germania nazionalsocialista. Insomma, esistettero ricerche e interessi fuori dell’ordinario pure a quei tempi, anche se pressoché sconosciuti, il che pone quel periodo storico sotto una luce assai diversa da quella nota.

    Mi pare il caso di sottolineare l’aspetto del tutto innovativo di alcune delle ricostruzioni qui effettuate (massoneria, teosofia, antroposofia, Gruppo di Ur, l’enigma della Grande Orma, gli attentanti a Mussolini, il razzismo) e il quadro estremamente complesso che ne emerge: il sovrapporsi tumultuoso degli eventi e delle persone negli anni Venti ha obbligato alcuni autori a ripercorrere in parte i passi di altri qui presenti, ma più che di sovrapposizioni si tratta di precisazioni, o anche della stessa vicenda osservata da punti di vista diversi o con analisi e deduzioni diverse. Il che offre al lettore e allo studioso ampia materia di riflessione, soprattutto perché si riportano notizie e dati in genere ignorati o trascurati. Un punto di partenza per indagini più approfondite soprattutto per l’enigmatico groviglio di eventi che si produssero e delle personalità che agirono nel decennio 1919-1929.

    Man mano che si procedeva all’ampliamento del fascicolo originale si andavano scoprendo nuovi filoni, nuovi fatti, nuovi personaggi. Ad un certo momento è stato deciso di mettere un punto fermo, altrimenti il libro sarebbe diventato di una mole maggiore di quanto non sia già. Non è detto che non vi possano essere ulteriori aggiunte e correzioni in futuro su un tema che, si sottolinea ancora, non era mai stato affrontato prima con tanta ampiezza e profondità. Senza cadere nel sensazionalistico e nelle affermazioni tanto eclatanti quanto gratuite, ma anzi documentando sempre il più possibile quel che si viene affermando (inserendo anche in appendice ai testi materiale scritto e fotografico inedito o raro, rintracciato in alcuni casi grazie alla collaborazione e al consiglio degli autori stessi), riteniamo di aver dato un contributo inedito, anticonformista, inusuale, ma non per questo meno serio di una qualsiasi ricerca storica ortodossa, per la comprensione di un periodo del Novecento su cui si indaga accanitamente fin nei minimi particolari e che, a quanto pare, sembra ancora influire tanto, ancorché indirettamente, sulla nostra vita.

    Il curatore ringrazia gli autori (ben venticinque) che hanno collaborato all’iniziativa, da lui spesso perseguitati per ottenere il rispetto dei tempi di consegna e sollecitati a migliorare i loro contributi con varie stesure, nonché l’editore che ha creduto in un progetto così complesso. Si spera che il risultato sia all’altezza della fatica che ha comportato.

    GIANFRANCO DE TURRIS

    Roma, gennaio 2006

    Storia e simbologia del Fascio Littorio

    di Massimiliano Vittori

    Dal VII secolo a.C. al 1943

    Il diritto positivo deriva in larga misura da norme religiose, da una concezione sacrale del diritto, quale emanazione della volontà divina o attuazione della medesima. La prima redazione scritta di norme, conosciuta come la Legge delle XII tavole, in Roma, cade, secondo la tradizione, negli anni 451-450 a.C. Gli antichi la esaltano come una codificazione generale e completa del diritto pubblico e privato romano; Livio (III, 34) la individua come il "fons omnis publiciprivatique iuris" e Cicerone (Orationes, I, 43) afferma che essa abbraccia "totam civile scientiam". L’inosservanza delle regole di condotta, che lo Stato impone per il raggiungimento dei fini comuni, comporta la pena, la sanzione. Così in Roma venne introdotto il fascio littorio, simbolo del potere statale e della giustizia (punitrice e riparatrice), insegna e strumento sacrale del potere coercitivo dei magistrati romani (potere che si faceva valere con la pena della fustigazione e della decapitazione); superiore, quindi, alle contingenze ed alle passioni della vita. Il fascio (fascis) – insignia imperii – era composto da un insieme di 12 verghe di olmo o di betulla, lunghe circa 150 cm, tenute insieme da corregge di cuoio rosse (simbolo del coraggio e dell’amore), nelle quali era inserita, lateralmente o sopra, una scure. Veniva portato sulla spalla sinistra dai littori (lat. lictor, forse da licére, citare in giudizio), che erano degli ufficiali subalterni al servizio dei magistrati romani e di alcuni sacerdoti. I littori erano sempre di scorta al proprio magistrato e quando usciva in pubblico lo precedevano. Il fascio littorio romano deriva dal fascio della dodecapoli etrusca (VII secolo a.C.), come è provato dal rinvenimento della tomba del littore a Vetulonia nel 1898 per merito dell’archeologo Isidoro Falchi. Molti segni della civiltà etrusca, del resto, si ritrovano a Roma, a cominciare proprio dalla lupa capitolina, fusa in bronzo da artefici della scuola di Vulci a Veio.

    La storia del fascio etrusco che reca al centro, sovrastante, un’ascia bipenne è anche l’emblema rivelatore, attraverso i millenni, di quella civiltà solare originaria che raccoglie nel segno del littorio una serie di popoli e civiltà affini, contrassegnate da stessi simboli e culti. È il caso della civiltà cretese-micenea o pre-ellenica, che ebbe come centro Creta anteriormente al 1000 a.C.; tanto è vero che il palazzo di Cnosso fu indicato nelle posteriori leggende con il nome di edificio della Labrys, parola che negli antichi dialetti asiatici significa bipenne. La bipenne, inoltre, simbolo della divina potenza, quindi della somma giustizia, era l’attributo di un dio supremo, predecessore dello Zeus dei Greci, del Tinia degli Etruschi, del Giove dei Romani. Ma anche a Roma, tutto ciò che è riconducibile alla ritualità ed alla simbologia appare inscindibile da ogni istituzione e da ogni manifestazione della vita, sia individuale che collettiva. Per questo alcuni eventi centrali nella storia dell’Urbe nascono con l’auspicio dei dodici segni fondamentali o serie sacra (il numero dodici nella simbologia tradizionale incarna la completezza e la perfezione): Romolo fondò Roma dopo aver visto in volo dodici avvoltoi sul colle Palatino; a lui si deve, quasi certamente, l’istituzione di dodici littori spettanti al re. Dodici sono pure gli ancilia o scudi sacri che Numa Pompilio nascose nella propria reggia (gli oracoli avevano predetto che all’ancile era legato il destino di potenza della città eterna) e dodici, come quelle greche, sono le massime divinità romane. Nella Roma repubblicana si affermò la consuetudine, in riconoscimento della sovranità popolare, di togliere le scuri dai fasci all’interno della città, poiché qui il potere del magistrato (ius necis) era limitato dal diritto di appello al popolo (provocatio) e dinanzi all’assemblea popolare, in riconoscimento della sua sovranità, il magistrato faceva abbassare i fasci che, appunto per il loro alto significato, venivano spezzati quando vi era l’infamia della destituzione di un magistrato o quando vi era l’onta di una sconfitta o di una discordia intestina. I fasci di un magistrato repubblicano vittorioso e acclamato imperator venivano coronati con rami di lauro.

    In età moderna, il simbolo del fascio romano ricompare, alla fine del XVIII secolo, in alcuni stemmi gentilizi e biglietti da visita come allegoria dell’autorità e della giustizia. Con la Rivoluzione Francese il fascio littorio ritorna ad essere comunemente raffigurato secondo un’iconografia repubblicana, antimonarchica e anticlericale. Durante i giorni del Terrore il significato principale che si volle attribuire al fascio fu quello dell’autorità e della sovranità popolare, che in tempi eccezionali promulga leggi eccezionali, decide della vita e della morte degli uomini nel nome della res publica e della ritrovata libertà. Quindi il fascio littorio repubblicano in qualche modo racchiude nella sua simbologia quegli ideali della redenzione umana (liberté, egalité, fraternité) che la Repubblica francese intendeva incarnare per mezzo della rivoluzione, contro ogni forma di assolutismo reazionario. Ideali che sanciranno la nascita del concetto moderno di Stato o nazione e la nascita dell’era politica vera e propria. Per certi versi, questo simbolo della giustizia rappresenta una sorta di testimone della svolta radicale che ha permesso all’umanità l’approdo all’Evo contemporaneo, attraverso l’affermazione dell’indipendenza di pensiero e di ideali, attraverso la rivendicazione del diritto individuale di crearsi da sé, liberamente, la legislazione della propria attività e della propria vita.

    Durante i moti risorgimentali il fascio littorio compare talvolta con un esplicito richiamo agli ideali della Rivoluzione Francese, nel senso, quindi, di aspirazione all’unità nazionale ed alla libertà, ovvero come affermazione dell’ideale repubblicano contrapposto alla monarchia ed al papato, ma soprattutto come affermazione della volontà popolare contro qualsiasi forma di restaurazione. E nel pensiero mazziniano devono essere ravvisati quei propositi mistici, che saranno propri di movimenti politici aventi caratteristiche di religiosità laica. Mazzini, infatti, concepì la vita come missione, in quanto aspirazione alla conquista della libertà; libertà dell’individuo nella libertà del popolo. Il problema del Risorgimento italiano, secondo Mazzini, era fondamentalmente un problema etico e religioso, e solo l’ispirazione ad un ideale universale poteva formare l’anima del popolo e garantire una solida base all’autorità politica ed alla vita dello Stato. Il fascio ricomparve nella effimera luce della Repubblica Romana, prima nel 1799 e poi nel 1848-1849, come vessillo sacrale della ritrovata libertà. Con decreto n. 54 del 22 febbraio 1849, emanato dall’Assemblea costituente, il Triumvirato lo inserì nell’emblema dello Stato: Lo stemma della Repubblica Romana avrà nel mezzo l’aquila circondata di corona civica, e i fasci consolari fra gli artigli. Il legame de’ fasci consolari formerà una benda cadente, che avrà il motto: Legge e Forza.

    In tempi a noi più vicini, il fascio littorio riappare come il simbolo del fascismo, nel momento della costituzione dei Fasci di Combattimento, il 23 marzo 1919 in Piazza San Sepolcro a Milano. Inizialmente il movimento fascista utilizzò il simbolo del fascio littorio nella foggia repubblicana, per rimarcare la propria concezione nazionale di derivazione risorgimentale. Secondo Mussolini, ciò che distingueva il movimento fascista dagli altri partiti non era il programma politico ma lo spirito animatore, cioè la fede, che era il diritto e dovere dei fascisti di difendere le ragioni dell’interventismo. Su quelle ragioni e su quelle convinzioni i fascisti avevano costruito la loro nuova ecclesia, che prevedeva rituali e celebrazioni tipiche di una moderna liturgia laica, dotata di una propria milizia armata, in grado di difendere ed affermare i valori di quella fede. Nella storia del fascismo e della sua successiva evoluzione in senso totalitario risulta centrale il passaggio che trasformò il movimento in partito, nel corso del 1921, anno in cui il fascismo entra nel parlamento. Il 1921 è l’anno della sua organizzazione sistematica su base provinciale e locale per mezzo di una più ordinata strutturazione militare e sindacale e rappresenta anche l’anno dell’avvicinamento alla monarchia ed al papato.

    Il culto del littorio fu istituzionalizzato per mezzo del regio decreto legislativo n. 2061 del 12 dicembre 1926, con il quale il fascio diventava emblema dello Stato ed in pratica veniva statuita la definitiva compenetrazione (fino alla identificazione) del fascismo nello Stato. Il decreto ne prescriveva pure la foggia ufficiale, costituita da un fascio di verghe e da una scure, uniti insieme da una cinghia o da una corda; la scure era collocata di lato con la lama rivolta verso l’esterno. La trasformazione del fascismo, da movimento rivoluzionario a partito restauratore dei valori nazionali, trovava sintomatico adattamento anche nella modificazione iconografica del suo simbolo, che per disposizione dello stesso Mussolini (a riprova della sua maniacale attenzione anche verso particolari a volte insignificanti), doveva ricollegarsi in maniera fedele al simbolo del littorio romano, escludendo tutti gli altri significati che il littorio di foggia diversa poteva evocare. Veniva momentaneamente accantonato il simbolo del fascio repubblicano, raffigurato nei manifesti e nelle cartoline ufficiali del PNF fino alle elezioni politiche del 1924. Dal momento che il regime fascista aveva sacralizzato questo simbolo della nuova era, il cui valore intimo spaziava ormai dalla tradizione all’attualità e abbracciava ogni risvolto della vita sociale, comprese le opere pubbliche realizzate dal fascismo, con un successivo decreto legislativo, il n. 2273 del 30 dicembre 1926, fu imposto specifico divieto di riproduzione, vendita, distribuzione e banalizzazione dei distintivi e delle insegne che raffiguravano l’emblema del fascio littorio e successivamente fu disposto che esso dovesse comparire a fronte degli edifici dei comuni, province, congregazioni di carità ed enti parastatali, oltre che nei loro atti ufficiali. Con un successivo decreto legge, il n. 504 dell’11 aprile 1929, i fasci littori furono inseriti pure nella foggia dello stemma e del sigillo dello Stato.

    Il regime fascista, già traballante per l’esito scontato della seconda guerra mondiale, crollò il 25 luglio 1943, a seguito di un atto che potremmo definire di democrazia interna. L’organo supremo del regime, il Gran Consiglio del fascismo, dietro iniziativa di alcuni gerarchi (Grandi, Bottai, Federzoni, Ciano e De Marsico), votò la sfiducia a Mussolini. L’ordine del giorno firmato da Dino Grandi passò con diciannove voti favorevoli, sette contrari, un astenuto. Mussolini fu destituito dal re e fatto imprigionare nel tardo pomeriggio del 25 luglio.

    Già durante la giornata del 26 la folla scese in piazza nelle maggiori città per abbattere i simboli del littorio dalle facciate degli edifici pubblici. A questa furia iconoclasta fece seguito il Rdl. 2 agosto 1943, n. 704, che sancì la soppressione del Partito Nazionale Fascista. Ma all’indomani dell’8 settembre, con la liberazione di Mussolini sul Gran Sasso, i fascisti iniziarono a riorganizzarsi per dare vita, nel Centro-Nord d’Italia, alla Repubblica Sociale Italiana. Il 24 settembre 1943, nella prima seduta del consiglio dei ministri, tra l’altro, fu stabilito che: La bandiera della RSI è tricolore col fascio repubblicano sulla punta dell’asta; la bandiera di combattimento per le forze armate è il tricolore con fregio e frangia marginale di alloro e ai quattro angoli il fascio repubblicano, una granata, un’ancora e un’aquila. Il 30 settembre successivo vennero rese note le caratteristiche del nuovo distintivo del partito che prevedeva il fascio littorio nella sua foggia repubblicana. Questo, simbolicamente, voleva significare un ritorno alle origini, al fascismo antemarcia. Lo stesso Mussolini, nel discorso di Monaco del 18 settembre precedente, aveva ribadito i postulati del 1919: repubblica e socializzazione, richiamo a Mazzini quale apostolo dell’unità d’Italia. Durante il breve periodo della RSI il richiamo al Risorgimento e quello all’unità della patria, tradita dalla monarchia, sulla quale fu gettata la responsabilità della sconfitta e della guerra civile in corso, furono argomenti che trovarono, soprattutto tra i giovani maggiormente ideologizzati, terreno fertile, dal momento che il culto della patria era stato uno dei motivi più ricorrenti durante il ventennio.

    Da allora, in Italia, il simbolo del fascio littorio non è stato più utilizzato, perché fuori legge, così come stabilito dalle norme della XII disposizione, transitoria e finale, della Costituzione della Repubblica Italiana e della legge 20 giugno 1952, n. 645, meglio conosciuta come Legge Scelba.

    MASSIMILIANO VITTORI

    Bibliografia

    A. Baldacci, Il Littorio, dalla preistoria al regime fascista, Stabilimenti Poligrafici Riuniti, Bologna 1933.

    A.M. Colini, Il Fascio Littorio, Libreria dello Stato, Roma 1932.

    P. Ducati, Origine e attributi del fascio littorio, una pagina di storia che nessuno deve ignorare, Stabilimenti Poligrafici Riuniti, Bologna 1927.

    Voci di Etruria, Testa editore, Bologna 1939.

    J. Evola, Simboli della tradizione occidentale, Artkos-Oggero Editore, Carmagnola 1977.

    G. Ferrini, I Tre Millenni di vita del fascio littorio, Vallecchi, Firenze 1927.

    A. Fontana, Il fascio littorio trimillenario, Italia Tricolore Editrice, Lugo di Romagna 1993.

    Documenti

    Fascio etrusco di Vetulonia (VII secolo a.C.), rinvenuto nel 1898 da Isidoro Falchi.

    Traiano e il suo Littore prossimo, particolare dell’arco di Benevento.

    Testatina allegorica della prima Repubblica Romana, 1798-1799.

    Stemma della Repubblica Romana, 1848-1849.

    Volantino per le elezioni politiche del 1924.

    Fascio littorio emblema dello Stato, cartolina postale, 1926.

    Bandiera della Repubblica Sociale Italiana, 1943.

    Il Fascio e la Squadra

    di Aldo Alessandro Mola

    Il lungo duello per l’egemonia sulla Nuova Italia

    Il soggetto di queste pagine presenta difficoltà sin dall’individuazione di termini corretti per circoscriverlo e indicarlo in modo chiaro e rispondente alla verità dei fatti. Se si volesse evitare il banale Mussolini e… oppure "Mussolini verso la massoneria, le opzioni potrebbero essere rapporti, conflitto, lotta, contro" e viceversa. Però nessuna di queste formule rispecchia gli eventi. Per comprendere la condotta tenuta da Mussolini nei riguardi delle organizzazioni massoniche e dei massoni (due realtà nettamente distinte ai suoi occhi) bisogna rassegnarsi a fare quanto già Angelo Tasca, poi ripreso da Renzo De Felice, disse a proposito dell’interpretazione del fascismo: occorre scriverne la storia. Infatti, anche per quanto concerne atteggiamenti e decisioni di Mussolini verso massonerie e massoni, ci si trova dinnanzi a continui mutamenti di rotta, pur nel segno di una continuità di fondo, a sua volta, però, ancora da ricostruire e valutare. La costante parrebbe essere il nesso fra l’espulsione dei massoni dal Partito Socialista Italiano, ottenuta da Mussolini a larghissima maggioranza nel congresso socialista di Ancona (marzo 1914), e quella dei massoni dal Partito Nazionale Fascista, enunciata dal Gran Consiglio del Fascismo sin dal febbraio 1923 e ribadita nell’agosto 1924. Tale percorso approdò infine alla legge sull’appartenenza dei pubblici impiegati ad associazioni, nota come legge contro la massoneria, approvatanel maggio 1925 dalla Camera dei Deputati (non senza qualche difficoltà per l’imprevedibile mancanza del numero legale nella seduta in cui era fissato il voto) e il 22 novembre al Senato, dopo l’orchestrazione dell’attentato a Mussolini, ordito dall’ex deputato socialista Tito Zaniboni, a sua insaputa pilotato dalla polizia stessa, e dopo il duro giro di vite conseguente l’attribuzione della macchina cospirativa al generale Luigi Capello, alto dignitario del Grande Oriente d’Italia.

    Apparentemente, la condotta mussoliniana nei confronti della massoneria sarebbe dunque lineare: coerentemente mirata ad annientare senza residui l’idra liberomuratòria in Italia. Tale lettura lascia però in ombra la complessità dell’iter effettivamente seguito da Mussolini, le ripetute convergenze e collusioni tra l’uno e l’altra (e fra questa e quello), le rilevanti differenze delle due maggiori comunità massoniche italiane (Grande Oriente d’Italia e Gran Loggia d’Italia) verso il fascismo e verso la persona di Mussolini, sia in sé sia quale capo del governo, e, soprattutto, non risponde alla domanda niente affatto ovvia sulle motivazioni dell’avversione del futuro Duce del fascismo nei confronti delle organizzazioni massoniche e sulla linea tenuta sia da lui sia dal Partito Nazionale Fascista e (ancor meno) dal governo (ovvero dai pubblici poteri) nei riguardi dei loro affiliati.

    L’intera vicenda attende di essere indagata in un’ottica diversa rispetto a quella, assai scontata, sinora prevalente, secondo cui ab origine Mussolini combatté la massoneria perché anti-nazionale, strumento di interferenze straniere, portatrice di una filosofia debitrice nei confronti della Rivoluzione Francese (e di conseguenza repubblicana, progressistica, venata di giacobinismo…) e pertanto incompatibile con la restaurazione dello Stato di cui egli si sarebbe fatto interprete dal 1922.

    Questa versione fece comodo sia ai suoi apologeti sia ai suoi avversari, a cominciare, ovviamente, dai massoni. Poiché il Grande Oriente d’Italia decise di sciogliersi pochi giorni prima della pubblicazione della citata legge sull’appartenenza dei pubblici impiegati ad associazioni e siccome un ventennio dopo Mussolini venne costretto alle dimissioni da Vittorio Emanuele III, sulla base del voto espresso in seno al Gran Consiglio, e la RSI, di cui era capo, venne sconfitta e spazzata via come non fosse mai esistita, le rinate organizzazioni massoniche ebbero buon giuoco a presentarsi quali vittime del tiranno, del dittatore, del Male Assoluto, a gettare sul piatto della bilancia le pochissime vittime effettivamente subite nella lotta e persino a vantare a proprio merito i metodi di lotta, non sempre legali, adottati per combattere un governo che, piacesse o meno il suo capo, aveva l’investitura prevista dallo Statuto, l’approvazione delle Camere e il consenso di un elettorato che nel 1929 alle urne affluì in numero troppo elevato perché si possa dire che fosse sospinto a manganellate.

    Non solo. La sparuta pattuglia di massoni irriducibilmente e comprovatamente nemici del fascismo e del suo capo – ma talvolta dell’uno o dell’altro, perché il Duce e il fascismo rimasero sempre realtà distinte – velò il fatto che decine di migliaia di confratelli massoni si accomodarono tra le quinte del regime, vi assunsero rilevanti responsabilità o addirittura ne calcarono la scena. Quest’ultimo è il terreno a nostro parere più meritevole di scavo, non già per agitare l’ennesima deprecazione nei confronti di trasformismo, opportunismo e simili, bensì per stabilire quali interessi possano aver spinto i massoni ad insinuarsi all’interno del regime e quest’ultimo ad accoglierli senza soverchie riluttanze. Sarebbe troppo sbrigativo liquidare la vicenda ricorrendo al consueto criterio della continuità anche perché dal 1938 in poi lo scontro tra Partito Nazionale Fascista e ogni forma di massonismo divenne aspro, senza quartiere e fece da spartiacque tra due stagioni del mussolinismo e, conseguentemente, del fascismo stesso, divaricato al suo interno fra tendenze ormai palesemente inconciliabili.

    La storiografia tardoaventiniana, tuttora prevalente, ha sinora eluso quest’ultimo aspetto (che invece a noi sembra essere il versante fondamentale della vicenda), giacché il martirologio frutta più delle connivenze e, ancor più, della dimostrazione della comunanza d’origine tra vittima e carnefice o, senza esagerare coi termini, tra vincitori e vinti, nella interminabile gara al monopolio dell’identità della Nuova Italia.

    Per avvicinarsi ad una risposta convincente, occorre partire dalla constatazione delle molte assonanze tra macchina del Partito Nazionale Fascista e assetto delle comunità massoniche italiane. Va ricordato anzitutto che entrambi non scaturirono da un giorno all’altro con veste organica, definitiva, immutabile: esse furono il punto di arrivo di un lungo processo. Lo statuto del Partito Nazionale Fascista, in specie, subì continui aggiornamenti e modifiche anche profonde. Altrettanto vale per il Gran Consiglio del Fascismo. Tra lo statuto-regolamento del PNF del novembre 1921 e quello del 1938, aggiornato nel 1939, 1940, 1941 (due volte) e febbraio 1943, vi è un abisso. Lo stesso, per altro, va detto delle varie costituzioni del Grande Oriente italiano (1859-1861), del Grande Oriente d’Italia (1864), della giurisdizione italiana del Rito Scozzese Antico e Accettato e quelle del 1906, che indicarono nell’ordine democratico l’obiettivo storico-politico di un Ordine tradizionale geneticamente elitario.

    Del pari riteniamo che occorra riflettere sull’assonanza tra l’ambizione suprema coltivata dalla massoneria italiana – ergersi ad artefice e suprema custode dell’unificazione nazionale, sino ad assumere esplicitamente la tutela delle istituzioni statuali, della vita pubblica, dell’amministrazione locale e della sua articolata presenza nella società – e il vero punto di arrivo del PNF, con l’attribuzione del rango di ministro di Stato al suo segretario (gennaio 1937), dell’obbligo della preventiva consultazione del Partito per nomine, cariche o incarichi d’interesse pubblico o di portata politica (novembre 1941) e del riconoscimento della qualifica di pubblici ufficiali ai gerarchi del PNF (dicembre 1941). Quest’ultimo fu il punto di arrivo di un processo iniziato vent’anni prima. Avrebbe dovuto sancire l’identificazione perfetta tra Stato e partito unico, elevato a pilastro portante della vita pubblica e della società in ogni suo aspetto. Sappiamo bene, però, che alla prova dei fatti, cioè nelle ore immediatamente seguite alle dimissioni di Mussolini da capo del governo, imposte al Duce da Vittorio Emanuele III, al suo fermo e all’ascesa di Pietro Badoglio (25-26 luglio 1943), sia il Partito sia la Milizia Volontaria di Sicurezza Nazionale, che avrebbe dovuto costituirne la spina dorsale politico-militare, non crearono problemi di ordine pubblico. Non solo rimasero spettatori, ma subirono senza reazioni apprezzabili lo scioglimento e le misure conseguenti.

    Per quanto paradossale possa sembrare, dalla sua identificazione con lo Stato (1941) il Partito Nazionale Fascista fu, per così dire, una massoneria alla luce del sole. Riuscì, cioè, nell’intento cui le comunità liberomuratorie avevano incessantemente mirato: tenere sotto controllo Stato e società, ma in forma coperta se non addirittura segreta e con direttive riservate ai propri fedeli, istruiti sugli scopi ultimi dell’Istituzione secondo il grado ricoperto nell’ambito della Famiglia. La differenza consisteva nel fatto che la macchina del Partito Nazionale Fascista operava invece sulla base di istruzioni pubbliche, ufficiali, stampate nei Fogli d’Ordine.

    Occorre fermare l’attenzione anche su assonanze d’altra natura, niente affatto estrinseche. Alla fondazione, il Grande Oriente non era per nulla compattamente né monarchico né, meno ancora, filosabaudo. Era un coacervo di federalisti, repubblicani, parte mazziniani parte no, monarchici e di iniziati che guardavano ai casi d’Italia quale momento di un processo di respiro universale. Gli studi sulla massoneria hanno trascurato e trascurano il fatto che tra i fratelli v’erano scienziati d’avanguardia e che la datazione dei documenti, con l’aggiunta di 4000 anni all’Era Volgare o ab Urbe condita, non erano capricci, sibbene sottintendevano una filosofia della storia non riducibile ai tempi correnti.

    Nelle istruzioni segrete del 1861 il deputato David Levi, cresciuto alla scuola di Giuseppe Montanelli, mise in guardia dal legare le sorti della massoneria a quelle di Casa Savoia. La maggior parte dei Grandi Maestri, sino a Domizio Torrigiani (1919-1932), rimasero con un piede vicino al trono e un altro bene affondato nelle file dei rivoluzionari. Repubblicano fu Giuseppe Mazzoni. Il suo successore Giuseppe Petroni era mazziniano. Adriano Lemmi guardò con simpatia al sovrano, Umberto I, solo perché – malgrado l’aperto clericalismo della regina Margherita – questi era un baluardo contro il Vaticano. Dopo il mazziniano Ernesto Nathan alla carica di Gran Maestro ascese Ettore Ferrari, già membro di un circolo dei diritti dell’uomo di orientamento schiettamente repubblicano e antisabaudo.

    Lo stesso va detto dei Fasci di combattimento, poi Partito Nazionale Fascista. Solo nel discorso di Udine del settembre 1922 Mussolini dichiarò che la questione istituzionale non era attuale, come non lo era stata per Giuseppe Mazzini nelle fasi decisive della lotta per l’unificazione nazionale. Il paragone non era affatto calzante, giacché Mazzini mise il bastone fra le ruote proprio nei passaggi cruciali. Sino all’ultimo sperò che la monarchia crollasse. Però nel settembre-ottobre 1922 tutti avevano interesse a fingere che quella fosse la verità storica. Dal 1904, per decreto firmato da Vittorio Emanuele III, era in corso la pubblicazione dell’Opera omnia dell’apostolo della Repubblica.

    Nelle settimane cruciali della crisi sfociata con il conferimento a Mussolini dell’incarico di formare un governo di unità nazionale comprendente liberali, cattolici del partito popolare, demosociali del teosofo duca Giovanni Colonna di Cesarò, liberali, sindacalisti… (30 ottobre 1922) e con la trasformazione della marcia su Roma in mera parata celebrativa (altro che rivoluzione fascista!), le comunità massoniche italiane gareggiarono nel procacciarsi una sorta di primato nella tutela sulla rivoluzione fascista. Mussolini gradì. Non perché si fosse convertito al massonismo. Ne conosceva il potere effettivo. Ne aveva avuto reiterate prove. Nella primavera del 1915 il Grande Oriente d’Italia aveva avuto un ruolo determinante nel far pendere la bilancia a favore degli interventisti, numericamente e politicamente meno rilevanti rispetto ai neutralisti condizionati, quali Giovanni Giolitti. Erano però più aggressivi e prevalsero, proprio grazie al retroterra interno e internazionale del Grande Oriente d’Italia. Mussolini l’aveva veduto in azione anche nell’impresa di Gabriele d’Annunzio a Fiume. Perciò ritenne saggio non averlo nemico nella fase decisiva dell’assalto al governo. Dalla propria egli aveva i trascorsi di anticlericale e di fiancheggiatore dei movimenti di frangia, manifestati non tanto nello scollacciato romanzetto sull’Amante del cardinale, quanto nel saggio su Huss il veridico, pubblicato nel 1913 nella collezione storica de I martiri del Libero Pensiero: una vibrata affermazione del libero pensiero, arricchita da illustrazioni di quel Paolo Paschetto, di confessione valdese, al quale la Repubblica italiana deve il discusso e poco convincente stemma frettolosamente approvato nel gennaio 1948.

    In una stagione nella quale entrambe le comunità massoniche registravano un elevatissimo tasso di iniziazioni, assonnamenti, pubblica sconfessione del giuramento prestato, quei precedenti bastavano a far ritenere che anche Mussolini sarebbe stato domesticabile da parte dell’Ordine liberomuratorio.

    La commedia degli equivoci durò poco. L’incantesimo si ruppe a fine dicembre 1922, quando il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, Domizio Torrigiani, dichiarò che la massoneria avrebbe appoggiato il governo sino a quando esso si fosse tenuto nei binari della democrazia. Un monito tardivo. Afferrata la presidenza del Consiglio dei ministri, saggiata la pochezza della Camera dei deputati eletta nel maggio 1921 sotto la regia del settantanovenne Giovanni Giolitti, Mussolini istituì il primo organo fascista extraparlamentare di modello massonico, ma notorio: il Gran Consiglio. Non comitato (termine derivante dalla fase giacobina della Rivoluzione Francese), non direttivo (dizione tipica dei partiti di tradizione democratica), né solo consiglio. In una stagione nella quale il Paese aveva conosciuto una pletora di consigli (= soviet), in specie durante l’occupazione delle fabbriche del settembre 1920, Mussolini volle un Gran Consiglio, così come, sull’altra sponda della storia, v’erano un Grande Oriente e una Serenissima Gran Loggia d’Italia, Sovrani Grandi Commendatori e Grandi Maestri, Grandi Oratori, Grandi Sorveglianti, Grandi Tesorieri, e via… grandeggiando.

    Tale assonanza non fu affatto casuale. Anche in Italia la massoneria s’era data un’organizzazione a scatole cinesi: un organo interno all’altro, in modo da tenere i vertici al riparo dagli umori della base per consentire loro di avere in pugno la macchina organizzativa con una molteplicità di poteri e cariche (venerabili, ispettori, componenti del consiglio dell’ordine, giunta esecutiva, ecc.), per responsabilizzare e galvanizzare anche l’ultimo degli affiliati (massonici) o iscritti e militi (del PNF), sino al caposcala.

    Lo stesso, d’altronde, aveva sempre fatto anche la Chiesa cattolica, sia nelle gerarchie ecclesiastiche, negli ordini e nelle congregazioni, sia nelle organizzazioni collaterali, quali l’Azione Cattolica, che contava una miriade di cariche e puntava a instillare il gusto dell’emulazione e del primato (lungo l’impervia scala della virtù, s’intende) fin dall’infanzia e, per di più, operava sia in ambito maschile

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