Il Tesoro del Re: Serie I Romanzi del Regno
Di Sandra Kyle
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Info su questo ebook
La giovane Cecilia Danet viene introdotta nel fastoso mondo della nobiltà, entrando a far parte della corte del re Luigi XIV, il Re Sole. Malgrado si fosse preparata al suo ruolo di cortigiana per tutta la vita, Cecilia si trova impreparata davanti alla focosa passione dell’ammaliante e potente Re Luigi. La loro storia d'amore cresce, ma un evento inaspettato cambia il corso degli eventi e Cecilia rimane intrappolata in un triangolo amoroso…e Regale.
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Anteprima del libro
Il Tesoro del Re - Sandra Kyle
Capitolo Uno
Palazzo di Saint-Germain-en-Laye, Francia nord-centrale
Aprile 1660
Ho capito che era il marmo ad affascinarmi. Le vene di alabastro che s’insinuavano nel ricco borgogna. Ho rammentato attimi di pace che costituivano frammenti di raffinata bellezza. Secondi rubati nell’atrio di un’altra casa, mentre mia madre era ginocchioni a strofinarne il pavimento. Ero già avvezza a tenere a mente i suoi insegnamenti, mentre cautamente, alla mia tenera età di otto anni, mi accingevo a conoscere il mondo della nobiltà.
Mia madre era stata serva in un palazzo che non è nemmeno lontanamente paragonabile alla meraviglia di quello in cui dimoro adesso, all’età di diciannove anni. A quella casa aveva dato tutta se stessa. Il che ha comportato perdersi innumerevoli ore in compagnia della sua famiglia, mentre le venivano i calli alle mani e i piedi dolenti. Non ha fatto che consumarsi, per assicurare ai propri figli non solo il sostentamento ma anche la possibilità di veder realizzati i propri sogni.
Desiderava che ci elevassimo al di sopra dello sfiancante lavoro manuale. Lei diceva: "Ci sono molti modi, per servire i ricchi." Bisognava semplicemente accondiscendere alle loro richieste. "Alla fine" - diceva, togliendosi gli stivali sporchi dopo una giornata di fatica - l'amore è per i deboli e non dà la felicità, solo dolore."
Invece di innumerevoli ore di fatica e sudore, le mie giornate erano dense di studi sull'etichetta, sui luoghi esotici e sulle lingue straniere, sul galateo a Corte e sui modi di una Cortigiana. L’unico callo che mi è mai venuto sulle dita ben curate è stato quello dello scrivano, dovuto alla pressione continua della penna o del pennello. Sia che si trattasse dell’uno o dell’altro, era un precettore pagato profumatamente dal lavoro di mia madre che m’insegnava a tenerlo in mano per bene.
Mi facevano male i piedi per il continuo esercitarmi sul minuetto e i balli di Corte, non certo per aver percorso acri della terra di altri per mietere il raccolto. Pur di non fare la stessa fine di mia madre, accettavo con immensa gratitudine le lezioni che mi venivano impartite. In definitiva, sono stati i suoi sogni e le sue aspirazioni, non le mie, che hanno dato un corso alla mia vita.
Una strada che mi ha portata qui, alla periferia di Parigi, nel castello di Saint-Germain-en-Laye. All'interno di una stanza del palazzo del re, allungo il collo per scrutare sempre più in alto sopra la mia testa. Studiare l’affresco che adorna per intero l’intero soffitto di sei metri è divenuto uno svago necessario. Nel gigantesco specchio dalla cornice dorata mi sono imbattuta nei miei occhi sbarrati che mi fissavano. I miei lunghi capelli castani, con la riga in mezzo, ricadevano morbidi ai lati della fronte e delle tempie in riccioli stretti. Era stata una cameriera la sera prima a prendersi la briga di farmi quella scomoda pettinatura. Quando scorsi di nuovo la mia bocca aperta nello specchio giurai a me stessa che l’avrei tenuta serrata con le dita, se fosse stato necessario. Non facevo che passeggiare nervosamente davanti al camino, sempre attenta alla mia postura.
Gli piacerò? Certo, ho capito da come mi ha guardata che è convinto che io sia già avvezza a queste cose, ma...sarò all’altezza di soddisfarlo come si compete? Sarò abbastanza brava da meritarmi un alloggio stabile nel suo palazzo?
Il ritratto del Re su un’enorme tela attirò la mia attenzione. Quegli occhi sembravano seguire ogni mio movimento. Cercai di ignorarli. Ma quello sguardo così pieno di passione, e azzurro come l’oceano, mi aveva penetrato le viscere. Il pittore era riuscito a rendere alla perfezione la criniera castano - dorata del Re, e le sue labbra sottili incastonate meravigliosamente nella mascella volitiva del divino Re di Francia.
Se solo un suo ritratto mi prende in tal modo, cosa farò quando lo avrò davanti a me in carne e ossa?
Gli occhi del ritratto mi rammentarono la prima volta che lui mi notò in mezzo alla folla.
* * * *
Sembrava sorpreso, colto alla sprovvista. L'espressione regale alla quale pochi istanti prima tutti si erano inchinati sembrava aver ceduto il posto alla curiosità. Quando capii che mi stava studiando arrossii violentemente. Un brusio di voci mi aleggiò intorno.
Con la stessa espressione di curiosità mi seguì con lo sguardo, mentre discendeva le scale verso i suoi giardini. Ma, più si avvicinava, più il suo guardo mutava dallo stupore all’arroganza.
Una conoscenza?
Le sue labbra si allargarono in un sorriso.
Un sorriso maligno.
È fatta.
mi sussurrò all’orecchio mio fratello, mentre il Re salutava con cortesia i suoi ospiti.
Mi voltai sorpresa alle sue parole, ancora stordita per quello sguardo. Che cosa?
Sarete sua. È solo questione di giorni.
Non potete esserne certo.
sussurrai incerta, scuotendo il capo.
Sorella, ho già visto quello sguardo... e lo hanno visto anche gli altri.
Michele non era tipo da esagerazioni. Il suo aspetto serio nasceva da un misto di compunzione e disciplina. Non dubitatene, Cecilia.
Fissai l'erba appena rasata sotto le mie scarpine gialle di seta. Gli stivali neri di mio fratello invece erano ancorati saldamente al terreno. Era da tempo che Michele attendeva una promozione. Il suo superiore, estremamente soddisfatto dei suoi otto anni di servizio nell'esercito del Re, aveva già suggerito che avanzasse di grado. E lui sperava di avere buone notizie entro la fine del mese.
Tuttavia, non aveva dimenticato la sua sorellina, mentre puntava ad accrescere la sua posizione a Corte. La sua natura socievole e l’amicizia con gli altri moschettieri, quasi tutti di origini nobili, gli permettevano di essere invitato a Corte molto spesso. E grazie a ciò negli ultimi tempi aveva potuto studiare a fondo le reazioni del Re.
Quante notti avevano trascorso la mamma e Michele per riflettere su ogni minimo dettaglio, del tipo che acconciature mi valorizzassero al meglio o che colore e quale tipo di stoffa concedevano grazia al mio incarnato? E poi: meglio puntare su un abbigliamento audace o lasciare spazio all’immaginazione?
Le poche feste in giardino a cui avevo preso parte come tirocinio erano feste per bambini, a confronto. Mi misi a passeggiare per i giardini in compagnia di Michele. L’erba verde, rasata ad arte, faceva da splendida cornice al castello del Re. Mio fratello mi presentava un po’ a tutti i suoi compagni, mentre passeggiavamo, ed io mi sforzavo di far finta di fare già parte di quell’ambiente. I musici entravano e uscivano dalla folla. Dopo quel breve sguardo sulla gradinata, persi di vista il Re. Era stato quasi risucchiato dalla folla dei suoi dignitari e cortigiani, ben consapevoli che la loro vita era nelle mani di Sua Maestà.
Mentre eravamo in tranquilla conversazione con alcuni compagni di mio fratello, un ometto nervoso si fece largo tra di noi. Salutò educatamente Michele con un mezzo inchino e ansimò a denti stretti:
Daneto, Sua Maestà esige vedervi ora.
Poi s’inchinò elegantemente verso di me. E chiede di portare con voi la vostra deliziosa compagna.
Il cuore mi fece un balzo nel petto. Per un attimo sentii rimbombarmi nelle orecchie lo scroscio della fontana. Michele ringraziò l’ometto con un cenno del capo e afferrò con forza la mia mano tremante. Andiamo, mia cara. Porgiamo al Re i nostri rispetti.
Passammo sotto tre piani di vetrate ad arco, mentre ci recavamo nel cortile interno e privato di Sua Maestà. Quella fortezza aveva servito bene i suoi Re, negli ultimi tre secoli. Quando scorsi da lontano Sua Maestà, attorniato dalla solita folla di cortigiani, mi sentii svenire.
Temo che non ce la farò.
sussurrai a Michele, rallentando il passo mentre invece lui mi spingeva a proseguire.
Nessun ripensamento. Come ha sempre detto nostra madre, siete stata istruita per questo momento.
Io annuii col capo.
A mano a mano che ci avvicinavamo, i cortigiani che si assiepavano intorno al Re si scostarono, permettendoci di vedere Sua Maestà, Re Luigi XIV, in tutta la sua bellezza. Il suo abbigliamento dorato scintillava alla luce del giorno. Era comodamente seduto su un trono imbottito, posto in cima ad un’ampia scalinata. Lui puntò lo sguardo su Michele e poi su di me. Come pretendeva l’etichetta, Michele s’inchinò rapidamente e io mi profusi in un’aggraziata riverenza. Rimanemmo in quella posizione, io quasi senza respiro, fin quando il Re non si degnò di dire: Alzatevi, prego.
Io alzai la testa e scrutai il volto del Re. Era giovane, aveva ventuno anni. Sua madre, la regina Anna d'Austria, era stata reggente del regno dopo la morte del marito, Luigi XIII. All’epoca il giovane Luigi XIV aveva solo quattro anni e avrebbe dovuto compierne almeno tredici, prima di essere incoronato. Voci maligne sussurravano che in fondo non era lui a governare, ma che erano i suoi consiglieri a farlo, data la sua giovane età e la sua inesperienza. Inoltre era noto che era un godereccio. I suoi passatempi preferiti erano le belle arti, la danza, il teatro...e le donne. La sua pelle morbida, priva di qualsiasi difetto, sembrava l’emblema di una vita di piaceri.
Daneto, vero?
Sì, Vostra Maestà.
Ci hanno riferito che siete prezioso, per il nostro esercito.
Poi l’omino che era venuto a chiamarci in giardino gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Il Re voltò lo sguardo verso di me. E questa deliziosa signorina è vostra sorella, Cecilia.
Un sorriso di piacere gli illuminò completamente il volto. I suoi occhi azzurri mi scrutarono a fondo. Ci auguriamo che vi stiate divertendo, madame.
Io m’inchinai rispettosamente. Molto, Vostra Maestà. Grazie.
Siete stata già istruita nelle arti?
Sì, Vostra Maestà.
Hmm.
Lui mi fissò ancora per qualche istante, con quel suo volto volitivo e mascolino. Poi, con gesto quasi annoiato, congedò me e mio fratello.
Potete andare.
disse.
* * * *
Erano passate settimane da quel primo incontro, e adesso camminavo nervosamente in circolo nella stanza che occupavo a palazzo. Il fuoco scoppiettava. Alcuni pezzi di brace scoppiarono, riducendosi in polvere. L'aroma del legno di cedro si mescolava al profumo dei fiori, rendendo l’ambiente caldo e ipnotico.
Centinaia di rose, ritte sul loro stelo, occhieggiavano da una dozzina di vasi. I loro colori vivaci facevano da sfondo alla stanza da letto in cui alloggiavo da giorni.
Cercai di concentrarmi sul delizioso ornamento delle tazze in porcellana, lasciate in camera dopo che la mia cameriera mi aveva servita. La cioccolata bollente era ormai tiepida. La mia camera privata! Stentavo ancora a crederci, esattamente come quel giorno in cui mi venne consegnato quel famoso biglietto. Uno dei camerieri privati del Re aveva bussato inaspettatamente alla porta dell’umile dimora di mia madre recando una missiva, su cui campeggiava il sigillo reale.
* * * *
Impettito e inespressivo nella nostra casa modesta, il messaggero aveva atteso con pazienza che sia io che mia madre leggessimo quell’invito più e più volte.
Sua Maestà la Regina desidera una risposta immediata.
Non possiamo che inchinarci all’ordine di Sua Maestà. Mia figlia sarà pronta per partire al più presto.
rispose mia madre.
A quelle parole il messo s’inchinò e ci lasciò, per tornare l’indomani mattina con una carrozza privata e portarmi a Corte. Ero il nuovo trofeo del Re.
Mia madre era riuscita a contenere la sua eccitazione molto più di quanto mi aspettassi. Ci concedemmo la nostra solita tazza di latte e una tranquilla conversazione, fatta di silenzi e d’intese.
Mi appoggiai sul corpo il mio abito azzurro, mentre mi guardavo riflessa nello specchio a figura intera. Mia madre rispose alla muta domanda che mi portavo negli occhi.
Non datevi pensiero, Cilia. Il Re avrà già fatto approntare un guardaroba completo, al vostro arrivo. Se proprio ci tenete, portatevi al massimo due abiti.
Ma...- mormorai, voltandomi per guardarla bene in faccia - devo indossare questo, quando arriverò a Corte? Vorrei fare una buona impressione...
L’avete già fatta, se siete stata invitata a Corte. Adesso dovrete solo seguire l’etichetta di Palazzo e obbedire agli ordini della Regina.
La Regina...
Malgrado formalmente fosse stata la Regina a richiedermi come una delle sue dame di compagnia, la mia mente volò a chi aveva dato realmente l’ordine di portarmi a palazzo.
La mamma sospirò, scrollandomi dai miei pensieri.
Che c’'è? - domandai, lasciando cadere il vestito sul letto che condividevamo per sedermi accanto a lei. - Come mai non saltate di gioia? Mi aspettavo che vi faceste la strada di corsa avanti e indietro per almeno cinque volte urlando a tutti la bella notizia, specialmente in faccia a Madame Stevens! Mi piacerebbe vedere la sua espressione, se glielo diceste...
Ma mia madre mi interruppe. Dimenticate quale sarà il vostro vero compito, a Corte.
Certo, madre.
Mi carezzò teneramente una guancia. È molto bello.
Di nuovo un sospiro. Avrei preferito che avesse sessant'anni!
Quando vide la mia faccia incupita ridacchiò. Non potete capire, ma sarebbe meglio, per il vostro bene.
"Sì, ricordo i vostri insegnamenti. Concedetegli tutto, tranne il vostro cuore. - ripetei, come un mantra - Vi comportate come se non lo sapessi a memoria!"
Vivere quest’esperienza sarà molto diverso da quello che avete sempre immaginato e da tutto ciò che vi ho insegnato. Sono stata giovane anch’io, mia cara. So bene quanto un giovane cuore possa restare ingannato. Vi supplico, non concedetegli mai il vostro amore.
La mattina dopo una carrozza mi lasciò senza tante cerimonie davanti all'ingresso della servitù del palazzo. Fu Madame Bourne, la dama di compagnia più conosciuta e rispettata, ad accogliermi quando arrivai nell'ala della regina.
Ora capisco.
borbottò tra sé e sé. Il suo corpo appesantito da donna di mezza età era immobile al centro del grande soggiorno.
Sulle prime pensavo di aver capito male. Sarete una delle dame di compagnia della Regina Madre. Il vostro appartamento sarà subito accanto a quello di Sua Maestà.
Una silenziosa cameriera comparve all’improvviso e mi si mise di fianco. I vostri bagagli sono già lì. Potete passare da quella porta.
concluse la Madame, indicandomi una sorta di corridoio interno. Dopo averla salutata con una riverenza mi avviai in compagnia della cameriera. Solo i nostri respiri echeggiavano nell’aria. Alla fine del corridoio mi si parò davanti una porta. Con esitazione bussai.
Una donna minuta, vestita di nero, apparve sulla soglia quando la porta si aprì. Un fuggevole sorriso le illuminò il volto. Con un cenno gentile della mano m’invitò ad entrare. Con cinque lunghi passi fui dentro, rimasi impalata in mezzo alla sala e attesi, mentre mi scrutavo rapidamente intorno. Un enorme letto a baldacchino, drappeggiato in tessuto rosso e oro, troneggiava al centro della stanza tra un mirabile arredamento in noce pregiato. Sui lati, immensi cassettoni dorati. Enormi arazzi con cavalli, amorini e dee romane decoravano gli alti soffitti. La piccola donna chiuse la porta dietro di me e si sedette su una delle quattro sedie decorate allineate contro il muro.
Forse sono riservate alle dame di compagnia.
pensai.
Avvicinatevi, prego.
Una voce si levò da dietro le tende del letto a baldacchino. Sussultai. Voglio vedere di cosa si tratta, questa volta.
Chinai la testa e mi avvicinai al letto, fermandomi dritta di fronte ad esso. Con la coda dell’occhio cercai di sbirciare qualcosa. Da dietro le tende semi-trasparenti una figura fece capolino.
Mio figlio mi ha assicurato che sarete una deliziosa dama di compagnia. Bene, sappiate che uno dei miei piaceri è che qualcuno mi legga un bel libro, mentre faccio colazione. Aida, mostratele il punto dove ci siamo interrotte ieri.
La voce di mia madre echeggiò di nuovo nella mia testa: "State sempre al vostro posto, servite e non fate domande."
La regina madre non amava le frivolezze. Il suo abbigliamento, sebbene fosse articolato e richiedesse l’aiuto di tre dame per essere indossato, tuttavia era ben diverso da quello appariscente e stravagante che si usava a corte, incluso quello del Re. Preferiva trascorrere la maggior parte del tempo nei suoi appartamenti e raramente lasciava quell’ala del palazzo. Ben presto imparai a menadito la sua vita, regolata da orari ferrei.
Da subito compresi quali dame fossero state scelte dal Re, e quali quelle volute dalla Regina Madre. Due donne in particolare si distinguevano per la loro squisita bellezza. La figlia di un duca, di nome Marissa, con ricci color fragola e occhi di smeraldo, che spesso suonava l'arpa nel salotto della regina, subito dopo cena. L'altra, Mathilde, era regina delle danze in giardino, quando la Regina Madre era costretta per etichetta a intrattenere i dignitari di suo figlio. Una folta chioma leggera come seta e perennemente legata in una treccia faceva da corona alla sua carnagione di porcellana e agli occhi blu ghiaccio.
Marissa e Mathilde occupavano il ruolo di cortigiane a cui io ancora aspiravo. Erano già i trofei che il Re amava esibire. Un simile ruolo a Corte mi avrebbe permesso, un giorno, di fare un ottimo matrimonio. Ma, fin quando il Re non mi avesse mandata a chiamare, avrei servito la Regina nella tranquillità delle sue stanze, lontana da occhi indiscreti.
Ecco un altro giorno che finiva, sigillato dalla lettura della Bibbia. La regina Anna aveva già congedato Marissa. La giovane donna mi era sembrata piuttosto pallida, e a cena aveva mangiato poco. Anche Mathilde era stata congedata, dopo il suo solito riepilogo delle novità di Corte. Aida ed io aiutammo la regina ad abbigliarsi per la notte. Alla fine, versai l’acqua calda nel catino accanto al suo letto e rimasi in piedi accanto alla vanità, in attesa di essere congedata anch’io.
Aida, - ordinò la Regina, con una leggera inflessione Spagnola - lasciateci, prego.
Aida s’inchinò con eleganza, e con un’espressione piatta sul viso che io le invidiai si avviò verso l’uscita. Quasi subito la porta si richiuse alle sue spalle.
La Regina si mise a sedere in mezzo a letto e mi scrutò bene in faccia per qualche secondo, con la sua consueta espressione gentile.
Avrei molte curiosità su di voi che mi piacerebbe soddisfare, bambina, ma avremo tempo per questo.
Mi fece cenno di porgerle la bacinella con l’acqua profumata e io obbedii solerte. Le dita delicate della Regina vi s’immersero appena.
I vostri occhi scuri e il colore dei vostri capelli m’inducono a pensare che scorra sangue Spagnolo nelle vostre vene. E’ così? Qual è l’origine della vostra famiglia?
Mia madre è Francese, Vostra Maestà, mio padre Italiano.
Hmm. Avete già avuto l’onore di servire mio figlio?
Grata per la penombra della sala che nascondeva le mie guance in fiamme, risposi: No, Vostra Maestà.
Lei corrugò leggermente la fronte. Eppure siete a Corte da quasi due settimane.
Sorrise. Sebbene siate una persona molto piacevole, più di quanto avrei immaginato, so bene che non siete qui solo per farmi da Dama di compagnia.
Fece un lieve sospiro e poi tacque. Mi porse le dita gocciolanti e profumate e io mi affrettai ad asciugarle. Lei sembrava conversare più con l’aria che con me. Alla fine disse: Vediamo come procederanno le cose. La vostra cura e lealtà saranno sicuramente premiate, se vi dimostrerete all’altezza delle aspettative.
* * * *
Le parole della Regina mi echeggiavano ancora nella mente.
Perché il Re non mi ha ancora mandata a chiamare?
Mathilde e Marissa non avevano manifestato molto interesse a legare con me, ma la cosa non m’importava. Ciò che mi mandava in ansia era non sapere quale fosse realmente il mio ruolo a Corte e l’incognita sul mio futuro. Non facevo che lambiccarmi il cervello: Sarà il caso di parlarne con loro?
I miei piedi scivolarono lungo il corridoio fino alla mia stanza. Dal mio primo ricevimento a Corte non ho più visto il Re. Sono una principessa, rinchiusa in una torre.
Una porta cigolò. Nel corridoio di marmo echeggiarono delle risatine maliziose. Una striscia di luce da una porta semiaperta mi bloccò sul posto. Rifeci la strada all’indietro e mi nascosi con cura. Vinta dalla curiosità sporsi un poco la testa dal mio nascondiglio, per capire cosa stesse succedendo. Le risatine soffocate sembravano provenire dalla camera da letto di Marissa.
Una figura imponente apparve tra la soglia e il corridoio. Quando capii che si trattava del Re rimasi senza fiato. Non indossava più il consueto abbigliamento regale, bensì una semplice camicia larga di seta e dei calzoni da equitazione. La sua criniera castana era tutta arruffata. Anche alla sola luce delle torce il Re sembrava risplendere come il sole.
Dormite bene, mia cara.
La sua mano scivolò sulla nuca di Marissa, attirandola a sé sulla soglia. La camicia da notte semi-trasparente delineava perfettamente le belle curve della mia rivale. Lui premette le labbra contro quelle di Marissa e lei gemette debolmente.
Sogni d’oro.
Lei annuì e chiuse dolcemente la porta.
Il mio cuore, che già andava a mille alla vista di quella scena, quasi si schiantò quando scorsi il Re dirigersi nella mia direzione. Mi appiattii contro il muro, nel vano tentativo di scomparire. Quando mi vide, il Re sbarrò gli occhi. Io mi affrettai a fargli la riverenza e rimasi lì, impietrita, con gli occhi rivolti al pavimento.
Lui mi sollevò il mento con due dita.
Ansimai, al suo tocco.
Il Re mi costrinse a guardarlo in faccia. Ora che eravamo così vicini che avrei potuto contare i peli delle ciglia di quegli occhi blu scuro, lui mi scrutò per bene. Il fiato mi mancò, al punto che fui costretta a respirare con la bocca aperta. Lui contrasse i muscoli della mascella. Lo sentii fare dei respiri profondi. Quando si umettò le labbra con la lingua la sua bocca brillò, a quella fioca luce.
Avvicinò quella bocca alla mia, con le labbra dischiuse. Poi, di botto, cambiò espressione. Si ritrasse e sussurrò: Non ancora.
Fece un passo indietro e sorrise. Senza dire altro, lo vidi incamminarsi per il corridoio e fermarsi davanti alla porta di Mathilde. Bussò lievemente. Nella breve attesa lui si voltò verso di me e mi rivolse un sorriso tentatore. Quando finalmente la porta si aprì lo sentii mormorare: Dolce Matilde.
Senza indugi accettò l’invito ad entrare.
Io rimasi inebetita, da sola in mezzo al corridoio.
Capitolo Due
Una settimana dopo il mio incontro con il re nel corridoio, mi stavo guardando allo specchio, già abbigliata per cena. Era una serata importante, a giudicare dalle tante rose che adornavano la mia stanza. Avrei dovuto cenare con Sua Maestà in persona e alcuni dei suoi ospiti. Era stata una giornata di preparativi frenetici, ma non per me: non avevo alzato nemmeno un dito in alcuna incombenza.
Per ordine del Re ero stata sollevata perfino dai miei soliti doveri nei confronti della Regina. Invece, mi erano state riservate coccole e piaceri che fino a quel momento avevano riempito solo i miei sogni, lavata e abbigliata con cura minuziosa, e tutto il mio guardaroba era stato rinnovato. Mi erano state assegnate tre serve per vestirmi, proprio come se fossi una vera nobildonna. Strati e strati di broccato blu e oro mi stringevano la vita, a tal punto che potevo a malapena respirare. Non facevo che giocherellare con le dita con i nastrini di taffetà sulle maniche del mio abito.
Tuttavia, la sensazione di piacere svaniva a mano a mano che si avvicinava il momento del mio abboccamento con Sua Maestà. In fin dei conti non ero che una cortigiana come tante altre. E il mio futuro dipendeva esclusivamente da come avrei soddisfatto il Re.
Qualcuno bussò lievemente alla porta, prima di aprirla.
Sua Maestà è in attesa di voi, madama.
Il cameriere mi fece un ossequioso inchino, dopo avermi portato quel gentile ordine che il Re aveva sicuramente espresso non più di un minuto prima. Annuii e mi accinsi a seguirlo, pronta per la mia battaglia. Mi concessi solo un breve sospiro, mentre mi avviavo per il corridoio con le mie scarpine di raso.
Questi corridoi devono restare silenziosi. Nessun tacco femminile a disturbare questa quiete.
Le mie orecchie si drizzarono, stimolate dal fruscio della stoffa della mia veste e dal contatto delicato degli orecchini di perle sulla mia pelle. Lottai disperatamente per non ansimare, mentre le