Per colpa degli adulti
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Anteprima del libro
Per colpa degli adulti - Margherita La Russa
libro.
La prima infanzia
Sono nata nel 1953 nella casa del mio bisnonno Giuseppe, papà di mia nonna Margherita.
Qui avevo circa 2 anni
Quando avevo circa due anni ci siamo trasferiti nella casa di nonna Bernarda, mamma di mio papà Vincenzo che era l’unico figlio maschio, per cui gli hanno dato una parte di casa. Nonna era vedova. Il nonno era morto quando io avevo due anni.
Ricordo che la domenica andavamo a casa di nonna Margherita a trovare tutta la famiglia che era composta da nonna Margherita, nonno Giuseppe, una zia e uno zio. Un’altra zia si era già trasferita in Toscana prima che io nascessi. Ci si ritrovava anche a veglia con dei nipoti di nonno. Nonno raccontava delle storie e noi stavamo tutti ad ascoltare a bocca aperta e in silenzio. Non mi rendevo conto se erano fatti veri o novelle ma spesso erano racconti di fantasia. Mi ricordo anche che mio nonno raccontava che quando era piccolo lui, un vecchio con la barba bianca gli diceva Peppino, Peppino, un giorno l’uomo volerà!
.
D’inverno, per ripararsi dal freddo, papà metteva il mantello pesante e la mamma lo scialle. Tornavamo di buio tardi e io avevo un po' paura perché le strade non erano ben illuminate e potevano esserci delle persone che volevano far del male.
Ero molto legata a mamma: ero la sua ombra, dove andava lei volevo andare anch’io. Mia sorella, invece, spesso restava con zia Antonina. Io che ero più piccola di due anni restavo di più con la mamma.
Un ricordo di quando ero piccolina è una stanza piena di persone tutte a sedere intorno a questa stanza, tutti zitti. Mio padre seduto anche lui con le gambe distese. Ad un certo punto salgo a cavalluccio sui piedi di mio padre e lui dopo qualche secondo mi scaraventa in mezzo alla stanza. Qualcuno viene a prendermi, forse mia mamma. Non mi sono resa conto di cosa stava succedendo. Da grande ho cercato di indagare su quell’episodio chiedendo a mia mamma. Mi disse che mio padre aveva avuto una discussione con la sua mamma ed era scappato di casa per diversi giorni. Tutti i parenti si erano messi a cercarlo.
Non si sapeva che fine avesse fatto. Mia nonna era molto dispiaciuta e si rimproverava di non essere stata zitta. Non credeva che potesse succede tutto ciò. Può darsi che fosse stato per il problema della casa perché sua figlia maggiore, ma più che altro il marito, aveva avuto da ridire che i nonni avevano dato la casa a papà perché era l’unico figlio maschio. Quando eravamo tutti nella stanza papà era appena tornato a casa ed era molto nervoso per la figura che aveva fatto e se l’è presa con me, ingiustamente.
Mi ricordo di quando mamma andava a trovare i suoi. Quando ero piccola mi portava in collo sotto lo scialle, quando ero più grande, invece, mi teneva sempre per mano.
D’estate andavo in campagna a Giancavallo con mamma. Quando c’era la mietitura mamma . . . uando Q aiutava papà a battere il grano con i muli. Non c’era né una casa né un capanno perciò babbo, per mettere al fresco la roba da mangiare, aveva fatto un pagliaio che, se pioveva, era l’unico riparo. Ma c’era poco spazio e, oltre alla roba da mangiare, c’entravo solo io, quindi si sperava sempre che non piovesse. Un giorno piovve e mia mamma mi diceva vai dentro, vai dentro che altrimenti ti bagni
.
La sera mamma faceva il letto in mezzo alla paglia che il giorno era stata separata dal grano.
La trebbiatura si svolgeva così: papà preparava l’aia, uno spiazzo rotondo dove metteva i covoni di grano per pestarlo con i muli, dopo avveniva la spagliatura col tridente e il vento portava la paglia, più leggera, da una parte, mentre il grano cadeva al centro. Così la sera avevamo tanta paglia per fare il letto. Per lenzuola mettevamo i frazzatuna
, delle coperte che tesseva la mamma col telaio usando cotone e cenci ritagliati. Io dormivo in mezzo a papà e mamma e mi addormentavo contando le stelle che allora erano veramente tante perché non c’era l’inquinamento luminoso ed era molto buio.
Il giorno giocavo con le formiche che facevano le tane e formavano delle stradine per andare a prendere il grano. C’erano tante farfalle di tutti i colori e io mi divertivo cercando di prenderle. Questi erano i miei giochi.
Quando papà aveva finito e messo il grano nei sacchi si tornava in paese.
A casa il grano, durante l’anno, ogni volta che si portava a macinare veniva lavato, steso fuori sopra dei teli per asciugare al sole e poi sul tavolo veniva ripulito togliendo altri tipi di seme, pietruzze e altre impurità.
Si aspettava con gioia la festa dei morti, come fanno oggi i bambini per il Natale. In occasione di questa festa si ricevevano le cose dei morti
che erano dei cesti con dolci e cose utili tipo quaderni, biro, matite, pezzi di stoffa per farci i nostri vestiti. Quando la sera andavamo a letto, mamma preparava le mandorle colorate con lo zucchero. Erano molto buone. Nel cesto che faceva la mamma ci si trovava anche la pupa
, una bambolina di zucchero dipinto. Il cesto, oltre alla mamma, ce lo facevano trovare i nonni e la zia Maria, che non aveva figli, anche se il suo cesto era più piccolo.
Quando la mattina andavamo a prendere le cose dei morti eravamo molto felici. Una volta ci sono rimasta male perché avevano fatto una preferenza: io avevo trovato una stoffa per fare un vestitino più leggero di quello di mia sorella che invece era di lana morbidissima. Mi dicevano che siccome io ero più grassoccella avrei avuto meno freddo di mia sorella e quindi andava bene anche più fino. Anche nel cesto che ci dava nonna Margherita, mia sorella ci trovava qualcosa meglio di me. La scusa era che essendo più piccola certe cose, come quaderni e matite, non mi servivano. Da nonna Margherita le preferenze c’erano tutti gli anni perché mia sorella, come dicevo prima, passava parecchio tempo con zia Antonina.
Io non mi staccavo facilmente da mia mamma e quando ero lontana da lei sentivo spesso la nostalgia. Un giorno mi convinse ad andare a prendere aria buona a Bese, una zona di montagna dove nonno Giuseppe aveva un piccolo podere. Ci sono andata con zio. Siamo partiti alle 3 di notte con i muli. Sono stata lì diversi giorni, non ricordo quanti di preciso.
Zio faceva spesso avanti e indietro per portare quello che serviva al paese e io restavo lì con i nonni. Un giorno mia mamma mi mandò delle ciliegie con lo zio e a me venne la nostalgia della mamma. Appena lo zio tornò in paese volli ritornare a casa. Siamo arrivati di pomeriggio a casa dei nonni in paese ed io sono andata da sola a piedi a casa mia, però quel giorno non ho fatto la solita strada perché avevo paura di incontrare mia mamma e che mi brontolasse perché ero venuta via, visto che mi aveva mandato le ciliegie. Perciò quando sono arrivata vicino a casa mi sono fermata dietro l’angolo a sedere su uno scalino per non essere vista da mia mamma e non avevo il coraggio di entrare in casa. Nel frattempo mia mamma era fuori con la chioccia ed i pulcini ai quali doveva stare molto attenta perché a volte qualche gatto li acciuffava e se li mangiava. Quando mia mamma ha girato l’angolo e mi ha riconosciuto si è meravigliata di vedermi lì a sedere da sola, sapendo che dovevo essere con i nonni in campagna. Quindi mi ha domandato cosa ci facevo