Mi fido di te: Harmony Collezione
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Info su questo ebook
Vedere Natasha Pellegrini al funerale del marito riporta Matteo Manaserro indietro di diversi anni, a quando il loro amore sembrava indistruttibile e lui si poteva ancora fidare di lei. Travolti dai ricordi, Natasha e Matteo si lasciano andare uno tra le braccia dell'altra soffiando sulle braci di una passione mai sopita.
Natasha non ha però il coraggio di rivelare a Matteo la verità sul suo matrimonio: soltanto dopo averlo rivisto, infatti, si rende conto di aver vissuto gli ultimi anni in una sorta di lungo sonno senza emozioni. E quando la notte trascorsa insieme porta a delle conseguenze che non avevano previsto, dovranno decidere se permettere ai dubbi del passato di distruggere anche il loro futuro.
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Anteprima del libro
Mi fido di te - Michelle Smart
successivo.
1
Matteo Manaserro, la mascella rigida, il cuore che batteva a un ritmo irregolare, osservava la bara che veniva calata nella fossa del cimitero privato del castello di Miniato.
Erano presenti centinaia di persone a piangere Pietro Pellegrini; familiari, amici, colleghi, persino qualche capo di stato con le guardie di sicurezza a rispettosa distanza, tutti per porgere l'ultimo saluto a un uomo che era stato rispettato e amato dal mondo intero per la sua generosità.
Vanessa Pellegrini, la madre di Pietro, che aveva sepolto il marito Fabio nella tomba accanto solo un anno prima, era sorretta da Francesca. Entrambe le donne avevano un mazzo di rose rosse. Francesca si voltò verso Natasha, la vedova di Pietro, che guardava la bara con occhi spenti, impietrita, il viso cinereo.
Alzò gli occhi asciutti e sbatté le palpebre, come se volesse risvegliarsi mentre afferrava la mano di Francesca per unirsi alle donne dolenti.
Insieme le tre donne Pellegrini gettarono le rose rosse sulla bara.
Matteo cercò di immettere aria nei polmoni, lo sguardo che vagava ovunque, salvo che sulla vedova.
Quella era una giornata di lutto, per rendere omaggio a un giovane che meritava di essere ricordato con stima e affetto. Non era la giornata per soffermarsi a fissare la sua vedova e pensare a quanto fosse bella persino in quella circostanza. Oppure per pensare quanto avrebbe voluto prenderla tra le braccia e...
Daniele, il fratello di Pietro, gli si avvicinò.
Era il loro turno.
Addio, Pietro, cugino mio, amico caro. Grazie per tutto. Mi mancherai tanto.
Non appena i familiari più stretti, tra i quali era incluso Matteo, ebbero gettato le rose sulla bara, toccò a tutti gli altri porgere l'ultimo saluto.
Cercando di mantenere un'espressione neutra, Matteo osservò i propri genitori farsi avanti e salutare per sempre il loro nipote. Al figlio non rivolsero neppure uno sguardo, ma Matteo percepiva che suo padre lo stava osservando.
Non aveva rivolto loro la parola da quando aveva legalmente cambiato il cognome cinque anni prima, nel corso delle settimane che erano seguite alla morte di suo fratello.
Quante morti.
Quanti funerali.
Quanto dolore.
Troppo dolore.
Dopo la sepoltura il sacerdote si avviò con i dolenti al castello per la veglia funebre, ma Matteo si trattenne per far visita a una tomba poco distante.
Sulla lapide di marmo una semplice scritta.
Roberto Pellegrini
Figlio adorato
Nessun riferimento a lui, il fratello che lo aveva tanto amato.
Generazioni di Pellegrini e i loro discendenti erano sepolti in quel cimitero privato da sei secoli. A ventotto anni, Roberto era il più giovane a essere stato sepolto lì negli ultimi cinquant'anni.
Matteo si chinò e sfiorò con la mano la lapide. «Caro Roberto, mi dispiace di non essermi fatto vedere da un pezzo. Sono stato molto impegnato.» Si lasciò sfuggire una risata amara. Nei cinque anni da quando era morto suo fratello era andato al cimitero solo una manciata di volte. Ma non era trascorso un solo giorno senza che avesse pensato a lui e sentito la sua perdita.
«Cerca di capirmi. Sai che non sopporto vederti qui. Ti ho voluto bene e mi manchi molto. Volevo solo dirti questo.»
Trattenendo a stento le lacrime, il cuore affranto, Matteo si avviò verso il castello per raggiungere gli altri.
Nel salone era stato allestito un immenso tavolo per il rinfresco. Matteo aveva prenotato una camera in un albergo di Pisa per un paio di giorni. Sarebbe rimasto al castello il minimo indispensabile poi se ne sarebbe andato.
Aveva appena bevuto un sorso del bicchiere di bourbon che si era concesso quando Francesca si avvicinò.
Lui l'abbracciò con affetto. «Come ti senti?» le chiese. Aveva tredici anni quando Fabio e Vanessa l'avevano accolto in casa loro. Francesca era una bambina. Era stato lì che lei aveva fatto i primi passi, aveva assistito allo spettacolo organizzato dalla scuola cui lei aveva partecipato, ed era stato orgoglioso e felice quando, qualche mese prima, lei si era laureata.
Francesca si sciolse dall'abbraccio. «Vieni con me. Dobbiamo discutere di una questione importante.»
Seguendola lungo un corridoio gelido entrarono nello studio di Fabio Pellegrini che, dall'odore di stantio, non doveva essere stato usato da quando la sclerosi multipla l'aveva colpito per poi ucciderlo.
Poco dopo apparve Daniele seguito da Natasha.
Francesca indicò un tavolo e fece loro cenno di sedersi.
Matteo imprecò tra sé.
Era l'ultima cosa che voleva restare confinato in un locale con lei, la donna che l'aveva preso in giro, facendogli credere di provare dei sentimenti per lui tanto da lasciargli sperare in un futuro insieme, mentre nel frattempo si comportava allo stesso modo con suo cugino. Adesso sedeva di fronte a lui, vicina a sufficienza da poterle sfiorare quel viso falso se solo avesse allungato una mano.
Non avrebbe dovuto vestirsi di nero. Avrebbe dovuto indossare qualcosa di rosso.
Non sopportava che fosse sempre la donna più bella che avesse mai conosciuto e che gli anni avessero solo aumentato il suo fascino.
Le studiò gli occhi azzurri che guardavano da qualsiasi parte salvo che lui. Osservò l'ovale del viso dai tratti classici, la pelle delicata color crema, alla ricerca di qualche imperfezione.
Il naso era forse troppo lungo, le labbra troppo carnose, ma invece di essere difetti queste presunte pecche aggiungevano carattere a quel viso che un tempo aveva sognato.
E adesso?
E adesso disprezzava persino l'aria che respirava.
«Per riassumere, io mi occupo degli aspetti legali, Daniele si occuperà della parte edilizia e Matteo del settore medico. E tu, Natasha? Vuoi gestire la pubblicità?»
Le parole di Francesca penetrarono nelle orecchie di Natasha ma ci volle un poco prima che il cervello le recepisse.
Si sforzò di prestare attenzione, ma solo gli scatti nervosi tra Daniele e Francesca l'avevano distolta dall'indifferenza.
«Sì, posso farlo» acconsentì, deglutendo il nodo che le chiudeva lo stomaco.
Ignora Matteo, s'impose disperata.
Non sapeva proprio niente di pubblicità.
Sapeva solo che Francesca era convinta di fare la cosa giusta cercando di coinvolgerla nel progetto, immaginando che lei lo desiderasse.
Qualsiasi vedova straziata avrebbe voluto collaborare alla costruzione di un'opera umanitaria dedicata all'amato marito deceduto.
E lei voleva essere coinvolta.
Pur lasciando molto a desiderare come marito, Pietro era stato un grande filantropo. Aveva creato la propria fondazione una decina d'anni prima per costruire scuole, ospedali, case e tutto ciò che fosse necessario in zone colpite da catastrofi naturali. L'isola caraibica di Caballeros era stata colpita da un terribile uragano la settimana precedente che Pietro morisse. L'uragano aveva distrutto la maggior parte delle strutture mediche. Pietro aveva subito deciso di costruire un ospedale, ma prima di poter realizzare quel progetto era avvenuta la tragedia: era rimasto ucciso quando l'elicottero sul quale viaggiava era precipitato.
Meritava di avere il proprio memoriale. Gli abitanti indigenti di Caballeros ne avrebbero tratto beneficio e Francesca era più che decisa a porre in opera quanto avrebbe voluto il fratello.
Così Natasha si era imposta di prestare attenzione, non volendo deludere i fratelli Pellegrini, che erano stati parte della sua vita, per quanto ricordasse, in quanto suo padre e Fabio erano stati compagni di scuola. Lei non aveva fratelli e non appena era stato annunciato il suo matrimonio con Pietro quel legame si era rafforzato già durante i sei lunghi anni del loro fidanzamento.
Se solo Matteo non fosse stato lì sarebbe riuscita con meno difficoltà a concentrarsi.
In tutti i sette anni precedenti, in sua presenza aveva sempre percepito la sua animosità. Educato e corretto in apparenza, tanto che nessuno potesse accorgersi del suo disprezzo, ogni volta che i loro sguardi s'incontravano percepiva l'odio profondo in quegli occhi che un tempo l'avevano guardata con tenerezza.
E lo percepiva anche in quel momento... le entrava sotto la pelle come aghi acuminati.
Come potevano Francesca e Daniele non rendersene conto?
Una parte di lei capiva il motivo per cui lui la disprezzasse e, Dio lo sapeva, aveva cercato di scusarsi, ma erano trascorsi sette anni! Erano cambiate tante cose in quel lasso di tempo. Lei era cambiata. E anche lui, avendo voltato le spalle alla chirurgia tradizionale per specializzarsi in quella estetica. Con le sue ventotto cliniche sparse in tutto il mondo e con prodotti per la cura della pelle che aveva realizzato personalmente riusciva a ridurre i segni dell'età. In sostanza più che un chirurgo era diventato un vero e proprio imprenditore che si dedicava alla chirurgia solo quando ne aveva il tempo. Aveva messo insieme una notevole fortuna che superava quella delle proprietà Pellegrini e quelle personali di Pietro messe insieme.
Aveva anche cambiato il cognome.
E con questo nuovo cognome era diventato famoso. Alto, di bell'aspetto, pelle olivastra, mascella decisa e capelli neri ricci era stato inevitabile. Le riviste lo definivano Dottor Sexy. Non si poteva navigare in Internet senza trovare il suo viso sorridente e, solitamente, in compagnia di qualche splendida modella di biancheria intima.
Quel giorno non esibiva la sua solita arroganza e anche sotto quello sguardo d'odio lei percepiva la sua sofferenza.
Pietro era stato più di un cugino per lui. Era stato un fratello e il suo miglior amico.
Il suo cuore avrebbe voluto piangere per lui, piangere per tutti loro.
Matteo percorse il viale e spense il motore.
La casa di fronte alla quale aveva parcheggiato era immersa nell'oscurità.
Si appoggiò al volante e chiuse gli occhi.
Cosa ci faceva lì?
Sarebbe dovuto essere in hotel a bere qualcosa di forte. Aveva prenotato in albergo ritenendo che Natasha si sarebbe fermata al castello con il resto della famiglia. Non aveva dormito sotto il suo stesso tetto da quando lei aveva accettato la proposta di matrimonio di Pietro.
Ma lei non era rimasta con gli altri. Un paio d'ore dopo la discussione della costruzione dell'ospedale aveva salutato tutti, eccetto lui, e se n'era andata. Quasi per un tacito accordo, tacito perché da sette anni praticamente non le rivolgeva la parola, aveva mantenuto una buona distanza da lei, tanto che nessuno si sarebbe accorto che non l'avesse salutato.
Arretrò il capo e trasse un profondo respiro, augurandosi che il cuore smettesse di battere a quel ritmo folle.
Cosa diavolo c'era che non andava in lui? Perché fra tutti, proprio quel giorno non riusciva a togliersela dalla mente? Perché proprio quel giorno, quando piangeva la perdita del suo migliore amico e cugino, i vecchi ricordi erano tornati a tormentarlo?
Rammentava in ogni dettaglio quel giorno di sette anni prima, quando aveva lasciato la propria camera al castello per raggiungere gli altri al party del trentesimo anniversario di nozze degli zii. Natasha era uscita dalla stanza che condivideva con Francesca poco prima, tanto che stavano percorrendo il corridoio nello stesso momento. Nel vederla il cuore aveva perso un battito ed era rimasto lusingato nel notare al collo la collana che le aveva fatto avere per il suo diciottesimo compleanno. Era stato dispiaciuto di non poter partecipare al party, ma era stato impegnato in un ospedale della Florida.
Era scattata un'emergenza proprio alla fine del suo turno, un incidente d'auto con diversi feriti. Una volta medicati e dimessi, ricoverando solo i più gravi, aveva ormai perso il volo.
Se l'era presa calma con lei, in attesa che compisse i diciotto anni per fare la prima mossa. E in quel momento, nel corridoio del castello, vedendola con un abito azzurro, l'epitome dell'eleganza e della classe, si era reso conto di non dover aspettare oltre.
Le lettere e i messaggi che si erano scambiati da mesi, i sogni e le speranze per il futuro che avevano condiviso, avevano condotto a quel momento. Era ora che il loro futuro prendesse forma, così le aveva preso il viso tra le mani e l'aveva baciata per la prima volta.
Era stato il bacio più dolce che avesse mai dato e ricevuto nei suoi ventinove anni, interrotto soltanto da