La Regola del Tre
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Anteprima del libro
La Regola del Tre - silvia invernizzi rumi
http://write.streetlib.com
Premessa
Questo libro è per Voi bambini di ieri. Voi, intrappolati nelle foto, che sorridete inconsapevoli di cosa vi avrebbe dato da vivere la vita. Voi che portavate negli occhi tutti i sogni che ancora dovevate sognare e, tra i denti, i milioni di parole che ci saremmo detti, urlati, sussurrati. E anche quelle che non siamo mai riusciti a controllare, dosandole e riducendone l'impatto. Quelle che portiamo nel cuore.
A te, Uomo della Felicità, ho fatto una promessa, cent'anni fa. Ti ho detto che non me ne sarei andata anche quando l'infelicità mi avesse aperto la porta e la disperazione mi avesse sedotto. Ci sono stati momenti neanche così rari in cui la voglia di andarmene si è fatta prepotente, assillante ma alla fine sono rimasta per vederti crescere.
Non sempre abbiamo taciuto quando sarebbe stato il momento di farlo, tirandoci contro le reciproche scelte come palle di neve, mirando ai denti. Sempre un po' confusi tra i tanti che hanno riempito i giorni delle nostre vite, abbiamo preferito non dirci che eravamo i migliori, che eravamo fieri uno dell'altro, che qualunque cosa fosse accaduta noi saremmo rimasti. Che la Felicità o l'Infelicità uniscono più dello stesso sangue.
Essere noi non è stato facile, quasi quanto essere angeli, ma siamo arrivati fino a qui. Abbiamo raccolto l'infelicità gli uni degli altri e ce la siamo caricata sulle spalle. Siamo addestrati a farlo e lo facciamo con una grazia e una diligenza che sembra rendere leggero ogni dolore.
Avere radici come le nostre non ha aiutato, non ci ha reso facile nulla, neppure l'apprendere il significato di appartenerci ed assumerci la responsabilità della qualità del nostro tempo insieme.
Conosciamo di noi soprattutto i difetti, i conflitti, le mancanze e siamo bravi ad individuare, puntando il dito, le infelicità reciproche. Siamo bravi ad impugnarle, uno contro l'altro, come fossero lame taglienti. E ci massacriamo fino al momento in cui una voce ci chiama. Ci rialziamo in piedi, ci ricomponiamo ed il gioco finisce.
Forse non lo ricordate più ma, all'inizio, siamo stati anche noi felici. Forse è quella la felicità da perseguire, quella semplice destrutturata che prorompe come una risata trattenuta. Quella basica che parte dal primo chakra, quella che ti spezza il fiato e ti fa saltellare con la pipì che scappa. Quella degli angeli.
Quella che senti premere urgente tra le scapole e che se assecondi si dispiega e freme. Quella che neppure la mancanza riesce ad oscurare e se scompare, ritorna. Sempre.
Quella che stava tutta nella tasca minuscola del tuo cappotto, insieme al bastoncino e al sasso che ho preso sul greto del fiume, questa mattina.
CAPITOLO I
11 . 27
Apro gli occhi sui caratteri cubitali della sveglia. 11 e 27. Da quando è andata via la luce e con lei tutte le luci che ritmavano la mia quotidianità, segna 6 ore precise in avanti. Sono le 5 e 27. Le tende a stento trattengono la luce di un nuovo mattino, mi giro a pancia in su e richiudo gli occhi. Il mio male di vivere si fa sentire soprattutto alle 5 e 27 del mattino, contrasta violento il giorno che nasce, la luce rarefatta e pura che lava il mondo, il cinguettare indaffarato, il fruscio delle foglie, tutta quell'intimità, insomma, per cui vale la pena lasciare la notte. Riapro gli occhi e li fisso al soffitto di legno cercando un anfratto dove nascondermi. Lo trovo e mi faccio geko per poter provare il senso di protezione dell'interno di un buco che si fa mondo. L'unico mondo che conosco e per cui vivo. Come quando divento foglia tra le foglie e mi trovo appicciolata ad un ramo che vibra nel vento. Ingiallisco. Cado. Rinasco.
Essere geko mi spinge a percorrere una galleria di legno spezzato che mi ferisce il dorso. Mi fermo in uno slargo e mi accoccolo. Sono triste anche così, anche nell'assenza di consapevolezza del mio essere vivo. Le mie zampe non arrivano neppure a coprirmi gli occhi. Anche da geko non posso piangere senza sentirmi esposta all'intemperanza dei miei simili. Fisso lo sguardo asciutto ad una grossa stalattite di legno qualche passo più avanti e sospiro. Se fossi geko, se fossi foglia. Ma sono intrappolata in un corpo umano a cui è stato dato l'eterno castigo della coscienza perciò devo trovarla quella dannata strada, quella chiave, quella porta che i miei avi hanno sognato. Io la meno coraggiosa, la più inutile, il peggior fallimento, quella senza obiettivi e senza mèta. Quella meno spontanea nelle fotografie. Quella che pensa laterale e i cui pensieri valgono meno di un piatto sbeccato. Quella che cammina sul filo e cade. Quella sbagliata. Io devo interrompere il cammino tossico di secoli sotto la cui polvere abbiamo seppellito la nostra legittima felicità. E con lei le nostre ali.
Istruzioni di volo
Sono un fiume in piena. Sento premere le mie acque contro gli argini e scivolare portandosi via rami, radici, sacchetti di plastica, pneumatici e fango. Ho bisogno di raccontare di me. Di vedere nero su bianco le parole trattenute e cancellarle passandoci un dito bagnato di saliva. Ho bisogno di vomitare tutta questa vita che ho dentro. Che qualcuno mi ascolti e cerchi di ricordare con me, mi dica « E' vero! » o anche solo « Sei pazza! » ma per un attimo si lasci prendere per mano e