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La dama di compagnia: Harmony History
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E-book223 pagine3 ore

La dama di compagnia: Harmony History

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1813
Lizzie Ingram è una giovane donna impertinente e testarda. E detesta non essere notata. Un inconveniente non da poco per una semplice dama di compagnia, soprattutto se ha messo gli occhi su un baronetto fresco di nomina, Sir Justin Delacourt. Ma lei non si ferma di fronte a nulla, né alle differenze di classe, né ai pericoli. E così, pensando che l'unico modo per attirare l'attenzione dell'amato sia compiere un gesto plateale, finisce per cacciarsi in un mare di guai, mettendo in pericolo la propria vita e quella di Justin...
LinguaItaliano
Data di uscita10 feb 2020
ISBN9788830510340
La dama di compagnia: Harmony History

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    Anteprima del libro

    La dama di compagnia - Isabelle Goddard

    Immagine di copertina:

    Gian Luigi Coppola

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Major’s Guarded Heart

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2013 Isabelle Goddard

    Traduzione di Laura Guerra

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-034-0

    1

    Sussex, autunno 1813

    Io sono la resurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà.

    Lizzie tentò di accomodarsi meglio sulla scomoda panca. Non era mai stata a un funerale prima di allora e la faccenda si stava rivelando alquanto penosa. Aveva sperato che si sarebbero radunati molti fedeli e il suo desiderio si era avverato: la chiesa era stracolma. Non si trattava però di una riunione di gente alla moda, come aveva immaginato.

    Scorse con lo sguardo le file piene, mentre il parroco proseguiva con le esequie. Non c’è un cappellino su cui valga la pena soffermarsi, pensò, per poi rimproverarsi subito per la propria impertinenza.

    Non aveva mai incontrato Sir Lucien Delacourt, ma sembrava che fosse accorsa tutta Rye a piangerne la morte improvvisa. Il fatto che lei avesse atteso quell’occasione con ansia la diceva lunga su quanto fosse infelice la sua esistenza.

    Mrs. Croft era piuttosto gentile, ma nelle tre settimane che Lizzie aveva trascorso a Brede House erano stati pochi i visitatori sotto i sessant’anni e le giornate erano state occupate solo da noiose commissioni.

    Lo sventolio dei fazzoletti bianchi in mezzo al nero dei fedeli rendeva ancora più triste l’occasione. La chiesa stessa aggiungeva una nota di malinconia, perché era enorme e sotto le travi maestose anche una congrega numerosa come quella sembrava modesta. Vetrate istoriate facevano bella mostra di sé ai due lati della chiesa, ma la giornata nuvolosa rendeva le immagini piatte e opache. Solo i tanti vasi di fiori sui gradini dell’altare emanavano luce. Erano però dei gigli, con un profumo così intenso che a Lizzie venne la nausea. Sebbene cercasse di smettere di agitarsi, i nastri del cappellino che le pizzicavano il mento diventavano insopportabili ogni minuto di più. Non vedeva l’ora di uscire, tanto quanto prima era stata ansiosa di varcare la soglia.

    La sua smania attirò lo sguardo severo di Mrs. Croft. Il defunto era stato un suo grande amico e quello era un giorno difficile per l’anziana signora.

    «Mio padre, Lucien Delacourt, era un soldato coraggioso, onesto e leale, e sono queste le qualità che ha fatto sue per tutta la vita.»

    Lizzie trasalì. Una voce nuova era succeduta a quella del parroco ed era inebriante. Tenera ma forte, come se il miele avesse avvolto dell’acciaio con la propria delicatezza. Fendette la sua irritazione e la costrinse a rizzarsi. Un uomo che non aveva mai visto prima aveva iniziato a leggere l’elogio funebre. Era alto e fiero, indossava abiti scuri che lo vestivano con una precisione militare e aveva il viso magro e abbronzato, come se avesse trascorso la maggior parte della vita all’aperto. Era di certo un soldato. Gli guardò le mani mentre leggeva: erano forti e ferme anche in un momento di grande emozione come quello. Solo i capelli, folti e brillanti, andavano contro quell’aria di compostezza e sfidavano la tristezza del luogo e del giorno. Nemmeno la luce fioca riusciva a soffocarne la lucentezza, tanto che sembrava avesse il capo circondato da un’aureola.

    Lo guardò incantata mentre parlava con affetto del padre. Quasi non fece caso alle parole, perché era la musica della voce che l’aveva rapita ed era la sua presenza che la lasciava senza fiato.

    La messa era finita e Lizzie dovette fare appello a tutta la propria pazienza mentre Mrs. Croft, con estrema lentezza, controllava il contenuto della borsetta e iniziava a cercare un ombrello smarrito. Sbrigatevi, sbrigatevi, la implorava fra sé, o quando arriveremo alla porta lui se ne sarà già andato.

    Invece no. Un gruppetto di parrocchiani si era attardato per porgere le proprie condoglianze e il figlio di Sir Lucien Delacourt aveva una parola di conforto da offrire a ciascuno di loro.

    Mentre attendevano in fila, le nuvole iniziarono a raccogliersi in un manto temporalesco. Lizzie dubitava che sarebbero state in grado di uscire dal cimitero prima che scoppiasse l’acquazzone, ancora più improbabile che avrebbero raggiunto Brede House asciutte, ma era certa che sarebbe valsa la pena di inzupparsi.

    L’ultimo parrocchiano si era congedato e il giovane stringeva finalmente la mano di Mrs. Croft.

    «Carissima Mrs. Croft, vi ringrazio tanto per essere uscita con un tempo del genere.»

    Era la stessa bella voce udita dal leggio, ma non era solo la voce a essere seducente. Il giovane sembrava ancora più alto, integerrimo e risoluto.

    Riparata da una siepe di alloro, Lizzie lo guardò a sazietà, senza vergogna.

    «Non sarei mai mancata, Justin. Tuo padre era un carissimo amico. Non riesco a credere che non sia più con noi.» Henrietta Croft si asciugò gli occhi con un fazzoletto già intriso di lacrime.

    «Nemmeno io.» Lui le strinse le mani con affetto, tuttavia era serio. «Non avevo idea che stesse tanto male.»

    «Era da tempo che non stava bene» ammise lei, «ma che il cuore non gli reggesse? Non se lo aspettava nessuno.»

    «Avrei dovuto essere qui, capire che cosa stava succedendo...» Gli occhi di Justin vagarono verso l’orizzonte, cupi.

    Lizzie si chiese se fossero verdi – o erano forse grigi? Erano mutevoli, come il mare, ed esprimevano irrequietezza.

    «Avrei dovuto capire quanto fosse debole.»

    «Non devi fartene una colpa, Justin. Eri a combattere per il re e per la patria, e con grande coraggio, a detta di tutti. È ciò che avrebbe voluto tuo padre. Inoltre sono certa che ti abbia lasciato non pochi problemi. La tenuta dev’essere in pessime condizioni.»

    «Siete troppo comprensiva con me, ma avete ragione. Chelwood è stata trascurata di recente e posso almeno rimetterla in sesto prima di ripartire, sebbene non possa riparare alla mia lunga assenza.»

    «Stai pensando di lasciare Rye?» chiese la signora, stupita.

    «Non appena mi sarà possibile, dovrò tornare al reggimento.»

    «Ma pensavo...» La voce della donna si affievolì. «Pensavo che, ora che hai ereditato titolo e terre, avresti lasciato l’esercito.»

    «Non lo farei mai, Mrs. Croft. L’esercito è tutta la mia vita. Non c’è altro per me.»

    Il cuore di Lizzie sobbalzò. Lo capiva benissimo, in fondo non aveva l’esercito nel sangue anche lei? Era certa che lui fosse uno spirito affine e avrebbe voluto farsi avanti, stringergli le mani. Prese un bel respiro, uscì dal nascondiglio e li raggiunse.

    Mrs. Croft la guardò sorpresa, come se oltre all’ombrello avesse smarrito anche la dama di compagnia, ma fu felice di fare le presentazioni. «Justin, questa mia giovane amica è Miss Elizabeth Ingram. Mi è stata consigliata da mia cugina. Elizabeth è stata un’insegnante al collegio di Clementine Bates.»

    «Miss Ingram.» Justin Delacourt le fece un inchino quasi impercettibile e poi si rifiutò di incrociare il suo sguardo.

    Lizzie era certa che l’avesse ignorata di proposito e provò rabbia verso di lui e verso la propria stupidità. Perché era sempre attratta da uomini deludenti? Non avrebbe dovuto farsi abbindolare: lui era freddo e insensibile e assomigliava fin troppo a un altro soldato di sua conoscenza. Doveva anche essere cieco, perché lei sapeva bene di essere una bella ragazza e non era abituata a essere trattata in quella maniera. Di certo non poteva averlo disgustato. Aveva risistemato l’abito color grigio tortora nel rispetto dell’occasione e aveva raccolto i ricci ramati sotto un cappellino di paglia. Forse non gli piacevano le donne? O era solo alterigia: poiché lei era una semplice dama di compagnia, non era degna di considerazione?

    «L’elogio mi è sembrato molto commovente» dichiarò. Voleva che la notasse.

    «Grazie, Miss Ingram. Siete molto gentile.» Lui fece un altro inchino indifferente e si girò verso l’anziana signora.

    «Proprio un bel gruppo di fedeli, non credete?» insistette Lizzie. «Erano tutti rapiti dal vostro discorso.»

    «Mi fa piacere che lo pensiate. È difficile riassumere in poche righe tutto ciò che un uomo ha significato in vita.»

    «Ci siete riuscito. Non conoscevo vostro padre, ma sono rimasta colpita dalle vostre parole.» Lizzie sapeva che lo stava adulando, ma almeno lo aveva costretto a guardarla.

    Lui la osservò, si soffermò sul suo volto e non riuscì a trattenere un lampo di interesse negli occhi. Le fece un cenno del capo in segno di riconoscenza, quindi si girò di scatto verso Mrs. Croft.

    Non riuscì, però, a riprendere il discorso. Una coppia di mezza età, ben vestita, sbucò dall’ombra della chiesa e si avvicinò. I saluti si mescolarono ai congedi e in un attimo l’anziana signora si diresse verso l’uscita del cimitero con la sua riluttante dama di compagnia appresso.

    Lizzie avrebbe voluto far capire a Sir Justin Delacourt che non era una donna da ignorare.

    «Com’è bello rivederti a Rye!»

    Caroline Armitage porse le mani al giovane amico che troneggiava su di lei, ma per un attimo Justin esitò.

    Doveva ricomporsi dopo l’incontro di poco prima. Mentre parlava con Mrs. Croft aveva scorto una gonna grigia dietro a delle fronde, ma non sapeva a chi appartenesse. Poi, senza preavviso, una donna si era unita a loro, con i suoi occhi marroni scurissimi e i ricci ribelli castani raccolti sotto il cappellino. Era rimasto sorpreso da quanto fosse giovane e carina, troppo giovane e troppo carina per essere una dama di compagnia, soprattutto di Henrietta Croft, ormai quasi inferma.

    Era inoltre fin troppo seducente per la sua tranquillità d’animo. L’esperienza gli aveva insegnato che le donne o sono manipolatrici o perfette ingenue, e a lui non interessavano né le une né le altre. Aveva però subito intuito che Miss Ingram era diversa.

    Di certo non era una sciocchina: mostrava uno spirito audace ed esuberante, tuttavia onesto, ed era anche piuttosto avvenente. A dire la verità, lo aveva frastornato e la cosa lo aveva messo in imbarazzo.

    «Justin? Come stai, mio caro?»

    Lui si riscosse da quei pensieri e abbracciò Mrs. Armitage con affetto, poi riservò una calorosa stretta di mano al marito. «Vi porgo le mie scuse più sincere per non avervi fatto ancora visita. Volevo incontrarvi più di ogni altra cosa, ma c’è stato davvero tanto da fare a Chelwood e sono tornato solo da una settimana.»

    «Capiamo benissimo» lo rassicurò Caroline. «È stato un ritorno molto triste per te.»

    «Sì, però ho degli splendidi vicini. Pensavo di venirvi a trovare a Five Oaks la prossima settimana, appena terminate le formalità. Spero di trovarvi entrambi a casa.»

    «Lo sai che sei sempre il benvenuto, ogniqualvolta tu voglia venire» affermò James Armitage di cuore, quindi guardò ansioso la moglie e le mise una mano sul braccio.

    Justin notò il gesto e si incuriosì. Gli Armitage erano amici da sempre e il loro figlio Gil era il suo migliore amico da una vita. Nella conversazione si era insinuato un certo imbarazzo, però. Forse anche loro pensavano che avrebbe dovuto essere a Chelwood per prendersi cura del padre piuttosto che rimanere a combattere in Spagna.

    Per cercare di allontanare quel disagio, disse: «Presumo che Gil sia impegnato in una delle sue avventure. Appena tornerà, deve venire a Chelwood e raccontarmi tutto. Abbiamo tanto di cui parlare. Saranno passati almeno tre anni dall’ultima volta in cui sono stato qui». Con sgomento vide il volto di Caroline che si rigava di grosse lacrime. «Mrs. Armitage, che cosa ho detto?» Non l’aveva mai vista piangere prima di allora.

    «Mi dispiace, non è colpa tua» riuscì a borbottare lei, poi non trattenne più le lacrime e si nascose dietro il fazzoletto di batista.

    Il marito fece un cenno al valletto, che accompagnò la donna alla carrozza. «Mi scuso per la crisi di mia moglie.»

    Calò un silenzio imbarazzato finché Justin domandò: «Che cosa addolora Mrs. Armitage?». Caroline era stata come una madre per lui.

    «Hai nominato Gil» spiegò James esitante. «È scomparso.»

    «Scomparso? Come? Quando?»

    «Sono passati tre mesi, e non abbiamo idea di come sia sparito. È questo il problema. È svanito nel nulla da un giorno all’altro. Non ha portato via niente, se non...» Una esitazione. «... se non un po’ di soldi e un anello di famiglia. Non gli basteranno di certo per mantenersi a lungo.»

    «Qualcuno dovrà pur sapere dov’è. Degli amici? I vostri parenti in campagna?»

    «Abbiamo inviato messaggi ovunque, ma nessuno in famiglia lo ha visto. E Gilbert aveva pochi amici. Tu eri l’unico, Justin, non aveva bisogno di nessun altro, anche se da quando te ne sei andato credo che a volte si sentisse molto solo.»

    Ecco un altro disonore da aggiungere alla lunga lista, pensò lui. «Sono stato via per troppo tempo e me ne dispiace. Ma non c’è nessuno nei paraggi che possa avere idea di dove sia?» Gli sembrava impossibile che un giovane potesse sparire in quel modo.

    «Parlava solo con il nuovo daziere. Trascorrevano molto tempo insieme a camminare per la palude o sulle scogliere, come faceva con te. Purtroppo il poveretto è morto. Che tragedia! È stato Gil a trovarne il corpo, sai, in fondo a un dirupo. Era buio ed è caduto, anche se corre voce che non sia stato un incidente. Comunque stiano le cose, Gil rimase molto turbato e a volte mi chiedo se possa essere questo il motivo della scomparsa. Non ne ho idea. Avevo perso confidenza con mio figlio molto prima della sua scomparsa.»

    Justin era perplesso. Cercò di mettersi nei panni dell’amico, ma scoprì di aver perso il legame tanto quanto James. «Che sia andato a Londra?» tentò, senza nutrire grandi speranze.

    «Abbiamo preso in considerazione questa possibilità e abbiamo mandato Robert. Ricordi Robert? Il migliore servitore che si possa sperare di avere. Lo abbiamo inviato a Londra quasi subito per fare delle ricerche, ma non ha trovato alcuna traccia. Dopo due settimane lo abbiamo richiamato a casa. Era un compito impossibile.»

    Più Justin considerava ciò che James Armitage gli aveva appena detto e più ne rimaneva confuso. Gil era un tipo in gamba, ma non aveva mai avuto uno spirito avventuroso. Da ragazzini, era sempre stato lui ad aprire la strada, costruire dighe, sgraffignare le mele dagli alberi, arrampicarsi sulle cinque querce della tenuta e sempre lui ad architettare le marachelle che li mettevano nei pasticci. L’ultima volta che si erano incontrati, Gil gli era parso più sobrio che mai, di certo non un uomo pronto a darsi alla pazza gioia e svanire nel nulla senza una parola.

    «Avrete di certo provato con i dottori del posto» tentò ancora, nel timore che fosse successo qualcosa di grave, senza però volerlo affermare apertamente.

    «Ho controllato tutti i dottori del Sussex» rispose Armitage. «Sono anche andato alla camera mortuaria, e di lui non c’era traccia.»

    Con un fruscio di seta e una ventata di profumo, Caroline, che aveva lasciato la carrozza, tornò da loro. «Devi aiutarci, Justin.» Aveva gli occhi gonfi di paura e la sua supplica gli arrivò dritta al cuore.

    «Mrs. Armitage, lo sapete che farei di tutto per aiutarvi, tuttavia...»

    «Devi trovarlo» implorò lei con voce rotta. «Devi trovare Gilbert.»

    Il marito la cinse con un braccio. «Non puoi chiedere l’impossibile al nostro giovane amico.»

    «Se c’è qualcuno che può trovare nostro figlio, è Justin.» Caroline tornò alla carrozza, con gli occhi di nuovo pieni di lacrime.

    Il giovane scosse il capo, stremato. La morte improvvisa del padre lo aveva sconvolto più di quanto si fosse immaginato. Si sentiva in colpa per essersi sottratto a una responsabilità inviolabile. La colpa era poi aumentata non appena era ritornato e aveva trovato la tenuta in pessime condizioni, perché un fattore spregevole si era approfittato di Sir Lucien per arricchirsi in modo disonesto. Lo attendevano settimane di lavoro per rimettere in sesto Chelwood, anche con l’aiuto del nuovo e leale amministratore. Come se non bastasse, aveva appena scoperto che il suo migliore amico era scomparso, svanito nel nulla come il complice di un mago. Che cosa stava succedendo?

    «Non fare caso a mia moglie» lo pregò James. «È normale che sia sconvolta. Non possiamo di certo aspettarci che tu ti metta a cercare Gilbert, ora che la tua vita è in subbuglio. Ti prego di dimenticare le sue parole e di perdonarci per esserci intromessi in così malo modo in questa giornata in cui il tuo dolore dovrebbe venire prima di ogni cosa.»

    Per un attimo Justin aveva dimenticato il padre, Chelwood e anche il reggimento. Ripensava al caro amico e al loro forte legame. Per qualche strana ragione, l’immagine della ragazza che aveva appena conosciuto si era fusa con quella di Gil. Per quale motivo? Non aveva senso, ma quel giorno nulla lo aveva.

    Lei era comunque

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