Caccia al ladro
Di Anne Gracie
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Anteprima del libro
Caccia al ladro - Anne Gracie
Rose.»
1
Londra, 1817
Hugo Devenish avanzava lungo le strade deserte di Londra e gli zoccoli del suo cavallo Sultan risuonavano sul selciato.
D'un tratto notò qualcosa: un'ombra furtiva comparsa su un balcone a uno dei piani superiori di una palazzina. Allora tirò le redini.
Quella era la casa dei Pennington, suoi conoscenti. Lord Pennington era un membro del governo e la moglie era molto in vista nella buona società, inoltre il loro figliolo era molto amico di suo nipote Thomas.
La luce fioca della sera gli impediva di distinguere bene la figura che adesso scavalcava la balaustra e si lanciava nel vuoto. Hugo trattenne il fiato: di sicuro il ladro si sarebbe sfracellato a terra. Invece no: si afferrò come una scimmia al balcone accanto e lo risalì. Aveva un'agilità incredibile, commentò tra sé.
Sarebbe potuto andare a picchiare al portone, risvegliare la casa, ma a quel punto il ladro se la sarebbe ormai filata. No, decise, era meglio cercare di acciuffarlo personalmente.
Seguì con lo sguardo la canaglia che si inerpicava lungo una delle lesene striate che adornavano la facciata della casa, impresa non facile, come ben sapeva chi aveva passato l'adolescenza ad arrampicarsi sulle sartie e gli alberi di una nave.
Il furfante raggiunse una parte più bassa del tetto e sparì oltre l'angolo. Hugo ne seguì la direzione, scese di sella e legò Sultan a un lampione, prima di imboccare lo stretto vicolo che costeggiava l'edificio.
Era difficile scorgere quella rapida figura, di cui si percepivano solo dei vaghi movimenti. Poi, per un attimo, comparve chiaramente stagliata contro il cielo notturno.
Hugo aggrottò la fronte. Quella sagoma insolita aveva qualcosa di familiare: indumenti ampi e molli, un po' informi, forse una casacca e dei pantaloni, un berretto sul capo e qualcosa che ondeggiava sulla schiena... Doveva concentrarsi nell'inseguimento, quindi abbandonò la vaga reminiscenza.
Il manigoldo si lanciò di nuovo per cadere con leggerezza, carponi, sull'alto muro che cingeva la casa e si preparò a balzare giù, ma il suo inseguitore fu più veloce e gli afferrò le gambe.
Il ladro scalciò con forza, facendogli lasciare la presa, però Hugo scattò di nuovo ad acciuffarlo, e mentre rotolavano insieme sul selciato colse un odore forte, pungente, familiare.
Il ladro portava un copricapo nero, aderente, che scendeva sulla fronte, e una sciarpa che nascondeva la parte inferiore del viso. Hugo ne intravide solo gli occhi lucenti nel riverbero del lampione. Agguantò un braccio esile...
«Aieeya!»
Fu come una mazzata sul polso! Lui imprecò e il ladro sgusciò via filandosela veloce lungo il vicolo, un lungo codino nero che gli sobbalzava sulla schiena.
Si rimise in piedi e lo rincorse, ma quando ebbe svoltato l'angolo dovette appiattirsi contro il muro mentre un cavallo con una figura minuta in groppa puntava verso di lui e lo superava al galoppo, passando sotto il lampione.
Il ladro era un cinese, come il grido che aveva lanciato. Hugo aveva avuto modo di sentirlo, in Oriente. E anche l'abbigliamento era inconfondibile: i tipici pantaloni larghi, la casacca sciolta e il berretto, e il classico codino lungo.
Certo! E l'odore era quello di incenso, ora lo poteva identificare. Ma, buon Dio, un cinese a Londra!
Tornò verso l'ingresso della palazzina zoppicando leggermente e massaggiandosi il polso indolenzito, un po' imbarazzato per essersi lasciato sconfiggere da un uomo tanto più piccolo e più leggero di lui.
I lampioni avrebbero dovuto ridurre la criminalità ma a lui avevano reso le cose più difficili: quella luce alterava tutto. Aveva potuto scorgere gli occhi dell'avversario, però... chi aveva mai sentito parlare di un cinese con gli occhi azzurri?
Afferrò il battente e lo fece risuonare energicamente contro il portoncino dei Pennington.
«Che tempo orribile! Mi ero dimenticata dell'infame clima londinese.»
Kit diede un'occhiata all'espressione acida della sua cameriera che guardava oltre i vetri della finestra.
«Pioggia e pioggia e pioggia... e quando smette cosa vedi? Nebbia! Come facevo a sopportarlo, da giovane?»
Kit trattenne un sorriso. «Non te la prendere, Maggie, non rimarremo qui per sempre.»
L'altra sbuffò e riprese il lavoro di cucito. «Non mi imbrogli, ragazzina. Hai sempre desiderato una casa, e adesso che finalmente ti trovi in patria...»
«Oh, non è vero! Non sono neppure nata in Inghilterra. Questa non è la mia patria, non ho alcun parente qui e neppure altrove. Vivo tra stranieri, come sempre.»
«Sciocchezze! Non hai parenti? E tua zia Rose?»
Kit batté le palpebre, sorpresa. «Maggie, credevo che avessi capito.»
«Capito cosa?»
Fece una smorfia. «Rose non è mia zia. Papà non aveva congiunti. Lei è... o è stata... un'amica di papà. Come tutte le altre mie zie che hai conosciuto anche tu.»
La cameriera si accigliò. «Non sono convinta, Kit. Miss Rose non è il tipo. Tuo padre si interessava a donne più... più...»
«Seducenti? Sì, ma sono trascorsi vent'anni dall'ultima volta che papà la vide e in vent'anni tante cose cambiano. Rose poteva sicuramente essere una vera bellezza da giovane...»
Maggie la fermò con un gesto deciso. «Non tocchiamo simili argomenti scabrosi!» Andò a prendere una lunga veste di delicata mussola bianca. «Su, madamigella, infilati questa.» L'aiutò a indossarla e l'esaminò attentamente facendola girare su se stessa. I suoi occhi si addolcirono osservando le guance rosee e gli occhi luminosi della giovane. «Te la stai godendo, vero, Kit?»
Lei annuì, un po' imbarazzata. «Non avrei mai immaginato che potesse essere così piacevole, nessun pensiero salvo quale abito scegliere e con chi ballare... E miss Singleton è così cara. Non mi interessa ciò che può avere fatto in passato... nessuno si è mai mostrato così gentile con me.» Trasse un sospiro mentre infilava i guanti. «Sì. È molto piacevole.»
Maggie le rivolse un'occhiata penetrante. «Non pensi di approfittare dell'occasione per trovarti un marito, tesoro?»
Scosse il capo con fare deciso. «Non è per questo che sono venuta in Inghilterra.»
«Sì, però...»
«No! Sono qui sotto falso nome e non potrei mai ingannare un uomo che mi proponesse il matrimonio. Una cosa è chiedere la mano della nipote povera di miss Singleton, anche se non so proprio chi prenderebbe una simile iniziativa, dato che qui il denaro ha tanta importanza. Ma proporsi a una sconosciuta squattrinata, figlia di un ex amante di miss Singleton... Chi fosse al corrente delle mie origini mi offrirebbe di diventare la sua mantenuta, non certo la sua dolce mogliettina. E poi io non accetterei mai.»
«Lo spero bene!»
Kit si mise a ridere. «A quanto pare ho assimilato una buona dose del tuo rigore... almeno in certe cose. Ma non si può pretendere che non abbia ereditato nulla da mio padre, no?» Si protese a baciare la guancia dell'amica.
«Ah, sfrontatella! Lo sai bene che non approvo. È inutile che cerchi di farti mutare idea, so quanto sei cocciuta... ma tieni presente che qui si usa la forca. O la deportazione.»
«Sì, e in Cina mozzano teste e mani, però io sono ancora tutta intera, no? Non angustiarti, è solo un piccolo compito che assolvo per amor di mio padre, e non è pericoloso.»
Maggie sbuffò. «Preferirei che dimenticassi ciò che hai promesso a tuo padre, di qualsiasi cosa si tratti. Lui non si è mai dato gran pensiero del tuo bene, quindi non potresti lasciar perdere quest'assurdità?»
«L'onore di famiglia non è un'assurdità» ribatté Kit. «A ogni modo» aggiunse in fretta, ricordando che voleva tenere Maggie all'oscuro della sua missione, «non so a cosa ti riferisci. Sto semplicemente preparandomi a un ballo. E adesso...»
«Non intendi venir meno a un impegno, vero? E lui lo sapeva bene! Oh, è inutile che sprechi il fiato, lo so.»
«Sì, e devo affrettarmi. Dov'è il mio scialle?»
La cameriera andò a prendere l'ampio scialle ricamato in bianco su bianco e glielo drappeggiò sulle spalle, poi fece un passo indietro per controllare l'effetto. «Sì» annuì con un sospiro, «ti sta benissimo. Anche se il bianco fa risaltare questa orribile abbronzatura.»
«Oh, è quasi scomparsa ormai... anzi, mi trovo molto slavata. Ma è quel che la moda richiede. E devo per forza vestirmi di bianco, Maggie: in teoria sono appena un'adolescente.» Si diede una rapida occhiata nello specchio. «Non dimostro i miei ventun anni, vero?»
«No, Kit. Diciotto al massimo. E anche meno, quando sorridi.»
«Bene. Devo ricordarmi di sorridere più spesso, allora. Adesso il mantello, per favore: non voglio far aspettare mia zia.»
Scese in fretta le scale e trovò Rose che l'attendeva pazientemente nell'ingresso.
«Oh, eccoti qui» l'accolse miss Singleton. «Spero che quel mantello sia abbastanza pesante. È una serata fredda e in casa di Fanny Parsons si gela, non è mai riscaldata a sufficienza. È tutta colpa del marito» aggiunse cupamente. «I Parsons sono sempre stati dei terribili taccagni ma lui è davvero il peggiore! Ho dovuto mettermi tre sott'abiti... tre, figurati... e non credo che basteranno.» Fu colta da un brivido e si avvolse nel mantello di pelliccia un po' sciupato.
Zia Rose era molto esile, di colorito chiaro, dotata di una grazia un po' sbiadita, e vestiva in modo vagamente dimesso, ma possedeva una raffinatezza innata che le altre amiche del padre di Kit non avevano posseduto. Per questo forse lui aveva deciso di affidarle la figlia!
La cosa sorprendente, però, era che miss Singleton avesse accettato: doveva ancora nutrire dell'affetto per l'amico di un tempo visto che aveva accolto la giovane con grande calore, come se fosse davvero sua nipote.
«Ah, hai scelto delle perle» continuò. «Molto adatte. Diverse ragazze, nella tua posizione, non resisterebbero alla tentazione di caricarsi di diamanti.»
«Diamanti, zia? Non corro certo questo pericolo!» Kit trattenne una risata. Era a malapena riuscita a comperare, prima della partenza per Londra, una discreta parure di perle false. I diamanti, anche se d'imitazione, non rientravano nelle sue possibilità. E poi, cosa mai significava una ragazza nella tua posizione? Un vago accenno alla sua menzogna? Sarebbe stata la prima volta.
«Molto saggio da parte tua, mia cara. Bisogna evitare la volgarità.»
«Non è forse meraviglioso?» bisbigliò una ragazza. «Non immaginavo che ci sarebbe stata tanta gente, non ero mai venuta a un ballo a Londra» confidò.
Kit, che le era seduta accanto, sorrise. «È tutto nuovo anche per me.»
«E che abiti stupendi!»
«E dei colori splendidi.»
«Kit!» La voce di Rose le interruppe. «Lord Norwood desidera prenotarsi per un ballo. Dagli il tuo carnet, mia cara.»
Thomas Norwood eseguì un perfetto inchino. I capelli chiari erano accuratamente impomatati e acconciati; indossava calzoni al ginocchio beige, panciotto fittamente ricamato e giacchetta molto aderente; il colletto della camicia era alto e rigido, la cravatta annodata in modo elaborato. E completavano il tutto orologio da taschino, spilla, occhialetto.
Kit gli porse il carnet celando la propria riluttanza. Da diversi giorni cercava di tenere a bada lord Norwood ma senza risultati: o lui era troppo sicuro di sé per accettare la sua indifferenza o aveva altri motivi per farla oggetto delle sue attenzioni. Ma lei aveva un proposito che non le concedeva di stringere amicizie: la promessa fatta al padre veniva anzitutto.
«Miss Singleton, adesso che il mio nome è sul vostro carnet la mia serata è perfetta» dichiarò il gentiluomo restituendoglielo.
Kit sorrise. «Quindi non è neppure necessario che danziamo insieme?»
Lui la guardò, sorpreso, poi le concesse una mezza risata indulgente. «Quanto spirito... Attendo con ansia il mio turno.» Si inchinò di nuovo e sparì tra la folla.
«Che fortuna» sussurrò la ragazza accanto a lei. «È un bellissimo giovane.»
«Sì» convenne Kit.
«E voi dovete piacergli molto.»
«No, non credo, però non so quali siano i motivi del suo interesse.» Notò che lord Norwood spariva in una delle salette riservate ai giochi di carte.
«Oh, ma...» protestò la ragazza.
«No, vi prego, non badate alle mie parole, ho solo un mal di capo che mi mette di cattivo umore. Volevo dirvelo già prima... il vostro abito è delizioso. E anche la borsettina.»
L'altra si lasciò distrarre e cominciò a parlare dei negozi dove lei e sua madre erano andate a cercare i tessuti più adatti, e l'attenzione di Kit divagò.
Lord Norwood non era l'unico uomo che le avesse dimostrato una lusinghiera attenzione e quell'inattesa popolarità la lasciava perplessa. C'erano tante altre ragazze anche più belle e affascinanti che facevano il loro ingresso in società in quella stagione, mentre lei non desiderava affatto farsi notare. L'anonimato era essenziale per la sua missione e a tal fine aveva cercato di apparire, quanto meno in pubblico, il più insignificante e incolore possibile.
Eppure, fin dal suo arrivo a Londra, aveva ricevuto parecchi inviti a balli, passeggiate, pomeriggi musicali, intrattenimenti. Anche le signore si mostravano straordinariamente cordiali. E tutto quell'interesse sebbene fosse un'oscura ragazza presentata da una zia non particolarmente in vista.
«Guardate, miss Singleton! È appena arrivato... non trovate che sia di sublime eleganza?»
Kit seguì lo sguardo della giovane al suo fianco. Sulla soglia c'era un gruppetto di persone che si scambiavano saluti, ma un uomo spiccava su tutti: alto, bruno e in sobrio abito scuro.
Si distingueva come un solido gatto di strada attorniato da miriade di micini, con le spalle decisamente ampie e la figura aitante, slanciata e tenebrosa, e passava lo sguardo sulla folla variopinta con aria indifferente, più simile a un animale da preda che a un garbato ospite.
I capelli erano corvini, folti, piuttosto corti, con un taglio decisamente molto personale. Il volto abbronzato aveva dei lineamenti duri, ben definiti: naso aquilino, mento squadrato e deciso, bocca risoluta, priva di sorriso. Era un uomo dal fascino tenebroso.
Kit si chiese chi mai fosse.
Lady Fanny Parsons gli si fece incontro e lui le prese la mano inchinandosi con grazia, nonostante sembrasse che quel gesto non gli fosse abituale.
«Miss Singleton, non è forse l'uomo più bello che si sia mai visto?» chiese la giovane al fianco di Kit.
Lei non era d'accordo. Si poteva definire elegante, anche se in un modo tutto particolare. Ma bello? No.
Si voltò verso la ragazza e si accorse che puntava lo sguardo su un altro uomo che si trovava proprio accanto a quel principe della notte: un giovanotto di ottimo aspetto in giacca azzurra, calzoni gialli e calze a righe. Avrebbe voluto chiedere alla giovane conoscente chi fosse il misterioso sconosciuto ma in quel momento si presentò lord Norwood a reclamare il suo ballo.
«Hugo