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La Voce del Maestro
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La Voce del Maestro
E-book91 pagine1 ora

La Voce del Maestro

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Info su questo ebook

Cura e traduzione di Tommaso Pisanti

Edizione integrale

«Non ho alcun rimpianto per i miei anni d’esilio. Chi vuol cercare la verità e proclamarla davanti all’intera umanità è destinato a soffrire. Le mie afflizioni mi hanno insegnato a comprendere le afflizioni dei miei simili; né la persecuzione, né l’esilio hanno mai oscurato dentro di me la mia visione. E ora sono stanco». Queste le ultime parole del Maestro, che affida al suo amato discepolo il compito di diffondere al mondo intero la saggezza conquistata in una lunga vita di meditazione e riflessione. Da qui prende le mosse la raccolta di scritti La Voce del Maestro, pubblicata postuma nel 1963. Gibran affronta in quest’opera di ampio respiro tematiche quali “Amore ed equità”, “Ragione e Conoscenza”, “Natura e Uomo”: con il suo messaggio pregnante e visionario, ha restituito a un vastissimo pubblico il valore della spiritualità, messa in crisi nell’era contemporanea dal diffondersi di concezioni scettiche o relativistiche.

Kahlil Gibran

nacque nel 1883 a Bisharri, nel Libano settentrionale, e morì nel 1931 a New York. Fu poeta, filosofo, pittore. La sua fama si diffuse ben al di là del vicino Oriente: le sue poesie furono tradotte in più di venti lingue e le sue opere furono esposte nelle più importanti gallerie di tutto il mondo. Trascorse gli ultimi vent’anni di vita in America, dove ben presto divenne un maestro e un mito per i milioni di giovani che ne leggevano gli scritti. I suoi libri, considerati un vero “breviario mistico”, continuano a entusiasmare un vasto pubblico, alimentando una sorta di “culto” che non accenna a spegnersi. Di Gibran la Newton Compton ha pubblicato, oltre a Tutte le poesie e i racconti, anche La Voce del Maestro, Il Profeta – Il Giardino del Profeta, I segreti del cuore e Gesù figlio dell’uomo in volumi singoli.
LinguaItaliano
Data di uscita5 gen 2012
ISBN9788854138537
La Voce del Maestro
Autore

Kahlil Gibran

Khalil Gibran (1883–1931) was an essayist, novelist, and mystic poet. He wrote The Prophet, a collection of philosophical essays that went on to become one of the bestselling books of the twentieth century. Though he was born in Lebanon, he moved to Boston’s South End as a child and studied art with Auguste Rodin in Paris for two years before launching his literary career. Much of Gibran’s work contains themes of religion and Christianity as well as spiritual love.

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    Anteprima del libro

    La Voce del Maestro - Kahlil Gibran

    306

    Titolo originale: The Voice of the Master

    Traduzione di Tommaso Pisanti

    Prima edizione ebook: Gennaio 2012

    © 1992, 2012 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-3853-7

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica realizzata da Gag srl

    Kahlil Gibran

    La Voce del Maestro

    Cura e traduzione di Tommaso Pisanti

    Newton Compton editori

    Indice

    Introduzione di Tommaso Pisanti

    Nota biobibliografica

    La Voce del Maestro

    I. IL MAESTRO E IL DISCEPOLO

    1. Il viaggio del Maestro a Venezia

    2. La morte del Maestro

    II. LE PAROLE DEL MAESTRO

    1. La Vita

    2. Le vittime della Legge dell’Uomo

    3. Pensieri e Meditazioni

    4. Il Primo Sguardo

    5. Divinità dell’Uomo

    6. Ragione e Conoscenza

    7. La Musica

    8. Saggezza

    9. Amore ed Equità

    10. Ulteriori detti del Maestro

    11. L’Ascoltatore

    12. Amore e Giovinezza

    13. Saggezza e Io

    14. Le due Città

    15. Natura e Uomo

    16. L’Incantatrice

    17. Giovinezza e Speranza

    18. Resurrezione

    Introduzione

    Dopo Il Profeta (1923), bestseller mondiale, come si sa, e prima del Giardino del Profeta (1933), il libanese emigrato in America, Gibran, pubblicò Sabbia e Schiuma (1926). Aforismi, massime, meditazioni. Tutti testi compositi, ibridi, in qualche modo anche kitsch, con quella fusione un po’ approssimativa di Oriente e Occidente, e tuttavia accattivanti, ancora oggi rilanciati, in questo nuovo e inquieto e un po’ paradossale interesse per la fenomenologia del religioso, del «sacro» che è andato conquistando il pubblico giovanile e meno giovanile, all’Ovest come, ora, all’Est, dopo tanti drammatici eventi, crolli e «rinascite». E a parte i testi scritti in inglese, ecco anche La Voce del Maestro, tradotto dall’arabo in inglese da Anthony R. Ferris (1958).

    Una riproposta «profetica» proprio mentre l’Occidente faustiano, dinamico e frenetico, andava realizzando la «rivoluzione del linguaggio» (e dei costumi); un reinnesto di fonti biblico-apocalittiche e, insieme, mistico-musulmane (e indiane, fino a Tagore), un orientamento aforistico assertivo, «da nuovo manuale per laici», che catturava al tempo stesso, in un modo o nell’altro, anche alcune tensioni di misticismi occidentali (Blake, Novalis, Schelling e, perché no?, Nietzsche). Senza dire, s’intende, della tradizione d’esaltazione naturistico-predicatoria americana, da Emerson a Thoreau e allo stesso Whitman.

    Perché per Gibran – è evidente – la poesia non era tanto e solo «letteratura», ma «messaggio», «impegno», reimmersione totale nell’essere, ritorno alle grandi maiuscole. Con tutti i rischi, ovviamente, delle forzature, delle fumosità oracolari, di qualche confusione, anche, mistificatoria.

    Nato nel 1883 nel villaggio di Bsherri (o Bisharri), nel nord del Libano, emigrato nel 1894 negli Stati Uniti, a Boston, con madre, fratelli, zio e zie (il padre, semialcolizzato, non si mosse mai dal Libano), Gibran Kahlil Gibran (ma in America lasciò cadere il primo nome, quello paterno) era poi ritornato, a quattordici anni a Beirut, dove aveva frequentato un collegio cristiano maronita¹.

    Poi, nel 1904, Gibran rientrato a Boston aveva conosciuto Mary Haskell, che fu per lui musa, ispiratrice e protettrice: l’incontro centrale nella sua vita. Sarà lei, anche, a curare la pubblicazione delle opere.

    Gibran intrecciò anche una relazione con Emilie Michel, una giovane insegnante di origine francese. Qualche anno dopo, Gibran andò a Parigi, sempre per merito della Haskell, e nella «ville lumière» studiò pittura e approfondì Blake, Rousseau e Nietzsche. Fu allora che Rodin lo definì, generosamente, «un nuovo Blake». Ma Gibran ama atteggiarsi, è talvolta istrionico, si modella sulla propria immagine ideale, accentua gli aspetti di oscurità e misteriosità di cui ama circondarsi.

    Inquieto, tormentato, conseguì dapprima una sua fama come pittore, trasferendosi intanto a New York. Poi, nel 1918, pubblica The Madman (Il Folle), il suo primo libro in inglese: «rivolta contro l’Occidente tramite lo spirito dell’Oriente». Contro l’immagine di un Occidente «decadente», spregiudicato, sradicato dai «valori», ormai «indegno del suo romanticismo».

    Due anni dopo, The Forerunner (Il Precursore); e, nel 1923, The Prophet, il suo testo più significativo. New York gli si configurò ormai come Orfalese, la metropoli da esorcizzare attraverso un ritorno radicale alla dimensione profetico-visionaria, alla valutazione etico-meditativa, al coinvolgimento interioristico. Non un politico, non un sociologo, e neanche un poeta e un artista: occorre, ora, un «profeta».

    I critici più attenti non furono, per la verità, mai pienamente convinti e videro, sostanzialmente, nel Profeta (e poi nelle successive opere) una sorta di pastiche, pur sottolineandone gli squarci di più agile ed incisiva «liricità visionaria». Ma il pubblico fu largamente conquistato da quegli strani poemetti, da quelle commistioni, da quei vortici di suggestione. E Gibran ne trasse fama e guadagni. Pubblicò ancora, lavorando intensamente, freneticamente; tormentosamente identificandosi egli stesso con Almustafa («il prediletto»), il suo profeta. «Nell’attimo in cui Gibran giunse a vedere il mondo come un’unità perfetta – sottolinea Mikhail Naimy nella sua biografia – e la vita come un’eterna armonia, tutti gli altri mondi in cui era vissuto in precedenza e che aveva considerato spaziosi e reali, gli divennero esigui e irreali»²

    .

    Ancora, un po’ fumoso. E l’irrequietezza di Gibran si nutre intanto di atteggiamenti sconcertanti, di forme esteriori, di solennità da guru, da ierofante. E la popolarità (fino al 1959 Il Profeta era stato venduto in un milione di copie) s’intreccia con quella così tipica, in America, dei seguaci di santoni e ambigui «maestri» e delle più varie sette ed esperienze più o meno misticheggianti.

    È tutt’altro che facile, certo, seguire tutto ciò in una personalità così tesa e così vibrante e cangiante, al tempo stesso, come quella di Gibran. Egli tese, comunque, a identificare col suo profeta le sue stesse esperienze (e Almitra è Mary Haskell). Finché qualcuno scriverà sulla sua tomba, in arabo: «Qui giace il nostro profeta». Gibran era morto, nel 1931, di cirrosi epatica e di un principio di tubercolosi polmonare.

    La poesia profetica sembrava ormai estinta, e la stessa poesia religiosa aveva imboccato le vie indicate dal nuovo linguaggio allusivo, moderno (Eliot stesso, Claudel, Rebora). Gibran rielabora direttamente le «fonti», si ripresenta con gli stessi sintagmi («In verità vi dico...»), con l’uso delle coordinate, con l’agitata densità del linguaggio, la violenza degli

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