Leggende sarde al chiaro di luna
Di Tonino Oppes
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Info su questo ebook
Ancora oggi, quelle storie di paura e di magia rappresentano una componente viva del patrimonio culturale sardo: fanno parte, a pieno titolo, del tesoro narrativo che va tutelato se non si vogliono perdere pagine significative del nostro passato. Paristòrias e contos de foghile sono giunti fino a noi grazie alla comunità del racconto, ed è un dovere di tutti salvarli dall’oblio per custodirli come bene prezioso da consegnare ai più giovani. Prima che il silenzio inghiotta tutti i ricordi.
Per tutte le età.
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Anteprima del libro
Leggende sarde al chiaro di luna - Tonino Oppes
Tonino Oppes
Leggende sarde
al chiaro di luna
illustrazioni di Michela Cossu
ISBN 978-88-7356-981-7
Condaghes
Indice
Leggende sarde al chiaro di luna
Prologo – La luna nel pozzo
L’uomo che parlava alle aquile
Il dono di Eltiledda
La Madonna del Sambuco
Elemosina per fra’ Ignazio
Il ballo con le janas
Una cupa voragine
La casa dell’orco
La chiesa del bandito solitario
Il regno delle donne
Colletta per le campane
Per amore di Zulemma
La leggenda del Moro
Ritorno in patria
Il Castello della Fava
Il santo operaio
L’acqua rossa delle saline
Il drappo dorato
La fonte sacra
Un telaio per Segolay
Il sasso di Thiesi
Le streghe vampiro
I cavalli verdi
Epilogo – La biscia non strisciava
Prima di lasciarci
Bibliografia
L’Autore e l’Illustratrice
La collana IL Trenino verde
Colophon
Leggende sarde al chiaro di luna
Leggende sarde al chiaro di luna è una rivisitazione aggiornata del volume Paristorias. Miti e racconti della Sardegna che, pubblicato nel 1998 dalla casa editrice AM&D, vinse il Premio Nazionale Sardegna Letteratura per l’Infanzia
.
Anche questa nuova edizione, dedicata ai lettori di ogni età, è pensata soprattutto per i più piccoli, con racconti nuovi e avventurosi, che profumano di memoria e di antica leggerezza.
Le storie che troverete sono proposte seguendo l’ordine alfabetico dei luoghi di provenienza.
La luna nel pozzo
Prologo
– Nonna, nonna, raccontaci una storia!
Tutto era cominciato in una calda sera d’estate. Appena la luna compariva in cielo, i bambini accorrevano in piazza sempre più numerosi. Li attendeva un appuntamento da non perdere.
C’erano anche gli anziani che stavano seduti su grandi sgabelli di pietra, nel cuore di Sandalia, e, insieme ai loro figli e nipoti, come ogni notte, guardavano incantati verso l’alto.
Lei, la luna, era sempre lì.
Ah, quanti ricordi e desideri espressi sottovoce! Soprattutto quando se ne stava in alto, meravigliosa, tonda, bianca e lucente, tra le stelle più luminose del firmamento.
Era una star. Si intravedevano, in lontananza, i suoi crateri, ognuno rappresentava un tuffo nel passato, e uno al cuore.
Fin dalla notte dei tempi, la luna ha cullato bambini in grembo, giovani innamorati, ha accompagnato le speranze di contadini e di pastori, ma soprattutto ha sempre custodito ogni segreto.
I bambini accorrevano felici a quell’appuntamento. Le loro urla di gioia si sentivano in lungo e in largo in tutte le strade del piccolo paese nel centro dell’Isola.
Sembrava di essere a teatro e la notte appariva più magica.
Quando il silenzio diventava totale e nell’aria si udiva solo il canto delle civette e dei gufi: uhu, uhu uhu… beh, allora, si cominciava.
– Acultziade pitzinnos meos, e iscultade. Avvicinatevi bambini miei, e ascoltate, – iniziava la vecchia – adesso vi svelo un segreto. – Dovete sapere che per crescere felici e allegri bisogna portare sempre con sé due cose: una bisaccia e un secchio. Proprio così. La bisaccia vi servirà per custodire i ricordi più cari, i vostri e quelli della vostra famiglia. Invece nel secchio…
Non faceva in tempo a finire la frase che i bambini subito chiedevano: – Sìii, daiii, diccelo subito a che cosa serve il secchio…
I piccoli erano molto curiosi e impazienti. Volevano essere informati e fremevano dalla voglia di ascoltare.
– Venite ancora più vicino a me…, ora vi racconto il potere magico che hanno le cose che amiamo e quelle a cui crediamo – riprendeva l’anziana donna mentre sollevava lo sguardo verso l’alto senza dire una parola, ma non ce n’era bisogno.
– Ecco, vedete: la luna ci guarda, ci segue ovunque e ci ascolta. Adesso vi mostro i segreti per catturarla. Avete mai provato? Ora vi spiego. Dovete aspettare che sia alta in cielo, proprio come stasera. Allora correte al pozzo. Riempite bene il secchio e tiratelo su. Lei si specchierà nell’acqua e soltanto in quel momento potrete prenderla tra le mani. Quando vi sembrerà di averla ben stretta guardatela ancora in alto ed esprimete i vostri desideri, però non più di tre. Se lei vi sorriderà farà di tutto per accontentarvi.
I bambini, ancora con la bocca spalancata per lo stupore, ascoltavano incantati, e guardavano con dolcezza la nonna mentre si sistemava lo scialle e nascondeva le ciocche bianche dei capelli dentro il fazzoletto che aveva sul capo.
Nonostante l’età si facesse sentire, anche lei — che qualche volta si alternava con il marito — era felice di raccontare le tante storie che aveva sentito da bambina.
Una ogni sera, in qualunque stagione dell’anno, preferibilmente in estate, ma sempre al chiaro di luna.
L’uomo che parlava alle aquile
(Arzana / àrthana)
– Ma t’ind’andas! Ma te ne vai!
Il pastore aveva urlato tutta la sua rabbia di fronte al dramma del capretto appena nato. Una breve picchiata e poi il rapace aveva affondato i suoi artigli nelle tenere carni del cucciolo indifeso. L’uomo avrebbe voluto fare qualcosa, ma con quali mezzi?
– Non ho nulla in questo rifugio, però posso trovare un rimedio – aveva poi aggiunto mentre osservava l’aquila che, con la sua preda, spariva lontano, oltre i grandi tacchi di calcare in un mondo senza confini, tra la Barbagia e l’Ogliastra.
Mancava poco al tramonto. Gli ultimi raggi del sole avevano impresso una forte colorazione rossastra al cielo che diventava di fuoco. I suoni della campagna si erano fatti più lievi. Tacevano gli animali che si preparavano a trascorrere la notte nei loro ripari. Sembravano immobili anche le foglie dei lecci secolari che mai, fino ad allora, avevano conosciuto la scure dell’uomo. C’era silenzio tutt’intorno mentre il pastore pensava al modo di bloccare il rapace che, per la prima volta, aveva scelto i suoi pascoli come zona di caccia e sicuramente sarebbe tornato all’assalto dei capretti.
– Ma non si depet ‘ociri. Ma non è necessario uccidere – osservò, perché lui non desiderava la sua fine; sapeva bene che l’aquila reale, uccello degli dei, al pari delle rocce e degli alberi, delle capre e dei mufloni, faceva parte di quel paesaggio aspro e solitario dominato dal vento.
Era il simbolo alato della montagna. Compariva da lontano e con le sue ali possenti volava sopra la chioma verde degli alberi, fino alle pietraie, poi proseguiva e si tuffava all’improvviso negli strapiombi più profondi prima di sparire oltre il massiccio calcareo dove forse aveva il rifugio.
Poteva l’uomo desiderare