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Il cacciatore di incubi
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E-book207 pagine2 ore

Il cacciatore di incubi

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Horror - romanzo (163 pagine) - Andrea de Cristoforo, coi suoi incubi premonitori, è uno specialista nel combattere mostri ed entità il cui scopo è soverchiare il nostro mondo, ma i suoi sogni rivelatori basteranno a salvare questo mondo?


Il folkore italiano nasconde qualcosa che va ben oltre gli spiriti e le divinità: mostri ed entità il cui unico scopo è soverchiare il nostro mondo. Andrea de Cristoforo, coi suoi incubi premonitori, è uno specialista nel combattere queste minacce, ma i suoi incubi rivelatori basteranno a salvare questo mondo? L'agente speciale del Ministero dell'Interno si muoverà nel territorio marchigiano, da nord a sud, dal mare alle montagne dei Sibillini, per cercare di fermare una cospirazione che può mettere a rischio la nostra percezione della realtà.


Fabio Andruccioli, classe 1985, è nato e cresciuto a Pesaro tra fumetti, libri, musica e giochi di ruolo. Laureato in Comunicazione e Pubblicità per le Organizzazioni, nella vita si occupa di webmarketing e passa il suo tempo tra il ruolo di padre, marito e musicista. Ma è dopo il tramonto, nel silenzio della città, che si trasforma in autore horror e fantascientifico. Tra le sue ultime uscite I Racconti della Stua, Lethal Books 2018, Il tramonto dei gufi, Delos Digital 2017, Prima del monsone, Delos Digital 2018. Collabora con i portali Ignoranza Eroica, Italian Sword&Sorcery, Heroic Fantasy Italia. È arrivato al primo posto al concorso letterario Thoth Amon (Italian Sword&Sorcery, 2019) e al Torneo Schiaffantasy (Ignoranza Eroica, 2018).

LinguaItaliano
Data di uscita8 ott 2019
ISBN9788825410143
Il cacciatore di incubi

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    Anteprima del libro

    Il cacciatore di incubi - Fabio Andruccioli

    9788825404616

    Libro 1 – Il Cacciatore di Incubi

    La Casa Infestata

    Non credo di riuscire a esprimere quello che sento nel mio cuore e nella mia mente con semplici parole, ma proverò a lasciare questa ultima registrazione, prima di andarmene. Vedo la corda penzolare lieve dal soppalco, in attesa di potermi stringere al suo cospetto e darmi finalmente la pace.

    Era una maledetta mattina di autunno, grigia e silenziosa. Mi avevano chiamato o, meglio, avevano ingaggiato l’azienda di disinfestazione per cui lavoro per un sopralluogo. I vicini si erano lamentati con il proprietario, un ereditiere milanese, per gli strani rumori che si sentivano durante la notte provenire dall’abitazione circondata da un grande giardino incolto. Dovevo verificare la presenza di animali o altro che potesse infastidire i complessi abitativi comunicanti, un lavoro semplice.

    I vicini hanno paura dei topi, ma non sanno cosa si nasconde dietro quelle mura. Non farebbero giocare i loro bambini sulla strada, non potrebbero più dormire la notte. Come sta accadendo a me, ormai da troppo tempo.

    Ho parcheggiato il furgone proprio davanti al cancello e sono entrato grazie alle chiavi inviate dal proprietario per posta. Il giardino era infestato da erbacce e rampicanti, ma si poteva ancora riconoscere la bellezza del luogo, con panchine e fontane in pietra. In quel momento nulla mi parve fuori luogo, neanche la strana torre che sormontava una parte dell’abitazione. Ho pensato a un architetto abbastanza fantasioso, per una casa che dai documenti mi risultava essere stata costruita nel dopoguerra.

    Sicuramente era necessario procedere con un intervento esterno, topi e altri parassiti potevano nascondersi in quel caos, così ho scritto sul mio verbale. Idiota che non sono altro.

    Quando sono entrato nella casa il tanfo di muffa mi ha permeato le narici. Le imposte erano state inchiodate, quindi non potevo fare entrare la luce del sole, solo un po’ di ossigeno è penetrato in quel luogo malsano quando ho aperto le finestre. Il piano terra mi sembrava in ordine, nonostante la polvere e le numerose ragnatele non c’era traccia di escrementi di animale o di sostanze nocive.

    Evidentemente la casa era stata lasciata così fin dalla morte del precedente proprietario.

    Provai a scendere al piano di sotto per controllare la cantina e l’odore di muffa, fattosi micidiale, mi assalì già dai primi gradini. Ma la porta in fondo era sprangata e contavo di ritornare con gli attrezzi che avevo lasciato nel furgone. Uscendo, notai che la torre era più vicina, e fu in quel momento che presi la decisione che mi ha rovinato la vita, quella di salirvi.

    Da fuori mi sembrava molto carina, con delle belle vetrate colorate e decorate di ottimo gusto, quindi mi presi la briga di salire senza troppi pensieri. Spesso i sottotetti ospitano colonie di pipistrelli, pensavo, e potevano giustificare i rumori sentiti dai vicini. Mentre salivo le scale, sentivo crescere in me una strana eccitazione, come quella di un bambino che esplora una casa abbandonata per trovare i fantasmi che dimorano in essa. La mia impressione non era del tutto sbagliata.

    Arrivato in cima alla scalinata, ho aperto la porta che divideva il corridoio dal piano superiore e mi sono trovato davanti allo spettacolo più terribile e incomprensibile della mia vita. Mi aspettavo di trovare le deliziose vetrate che avevo visto dal giardino e di potermi godere il paesaggio del quartiere residenziale dall’alto…

    Ma quando mi sono affacciato, ho visto un mondo del tutto diverso dal mio. Il cielo era scuro, la luce verdastra di lune aliene che creava strani riflessi sui palazzi neri come la pece. Vidi creature volanti che si uccidevano l’un l’altra, strani esseri striscianti che si contorcevano. Sono fuggito giù per le scale, in preda al panico.

    Arrivato al piano terra, ho sentito quel rumore. Come di qualcuno, qualcosa, che cercasse di uscire dalla porta sbarrata della cantina. Sono corso via da quella casa maledetta più velocemente che ho potuto, sono salito sul furgone e sono tornato a casa. Mentre scappavo, era come se l’aria si stesse trasformando, sentivo il tanfo delle muffe dentro la mia bocca.Eccomi qui, con questa vecchia telecamera a riprendere la mia ultima testimonianza. È come se quel fetore non se ne volesse andare dalle mie narici. Negli occhi ho ancora quella immagine, un mondo terribile e malsano. Non riesco ad accettarlo. Sto veramente impazzendo, sento quel rumore orrendo di nuovo, come se fosse qui, dietro la porta che mi isola dal mondo esterno. Quando infilerò la testa nel cappio, ne sono sicuro, vedrò un mondo migliore.

    1.

    Quella mattina faceva un freddo cane e il viaggio in treno, lungo e snervante, l’ho passato a lamentare, insieme agli altri passeggeri, il riscaldamento fuori uso e la stanchezza. Ma se pensate che non sia di mio gradimento viaggiare, sappiate che non è proprio così. Io adoro i viaggi, sono l'unico momento dove posso dormire in pace, senza sogni, o quasi. Sceso dalla carrozza ho subito sentito il pungente gelo del mattino. Quando a Roma, al Ministero, mi avevano indicato la mia destinazione come una ridente città di mare, avevano dimenticato di specificare che lo era durante un'altra stagione, quella estiva. Tra gli studenti e i pendolari c'era chi correva e chi invece stava appoggiato alle colonne della stazione con aria assonnata, in attesa del prossimo treno in ritardo. Il cartello, posto sopra la mia testa, mi indicava che ero finalmente arrivato nel luogo che avrei chiamato casa per mesi: – Pesaro.

    Uscito dalla piccola stazione, mi affacciai sul minuscolo piazzale di fronte a quella che un tempo era stata un'attiva caserma. Nel vederla, mi venne da sorridere: mi capita sempre quando penso che anche le più alte cariche ignorano la nostra esistenza. Mentre mi guardavo intorno con eccitazione e un sentore di inquietudine, vidi arrivare un ometto con una giacca a vento nera, basso e tarchiato. Nonostante il cappello di lana sulla sua testa, avevo già capito che la calvizie faceva da contorno al suo viso tondo, con quel pizzetto nero che sembrava disegnato con un pennarello.

    Mi si presentò come Giovanni Diotallevi, uno degli uomini dell'Agenzia che si occupava principalmente di catalogare e censire notizie e voci particolari. Era un impiegato, non un tipo d'azione, ma sapeva il fatto suo: conosceva molte persone nella Polizia, nei Vigili del Fuoco e all'interno del Comune. In sostanza, se alle sue orecchie arrivava qualche strana notizia, lui la comunicava all'addetto di zona o, in sua assenza, direttamente a Roma. Non è prassi che venga comunicato il motivo per cui si va a sostituire un agente sul campo, anche se noi tutti sappiamo che le ragioni possono essere solo due: o il nostro collega è morto, oppure il fatto è così grave che serve un esperto. Probabilmente, in questo caso, erano veri entrambi.

    Parlava molto il mio collega – dovrei dire sottoposto, ma non ho mai desiderato sentirmi superiore a qualcuno – e nella sua confusione mi raccontava di luoghi e avvenimenti di cui non avevo mai sentito parlare. Io mi limitavo ad annuire, consapevole che avrei avuto tutto il pomeriggio per studiarmi gli archivi. Non appena ebbe finito, dal momento che non mi interessava vedere subito il mio appartamento, chiesi di essere portato direttamente in ufficio. Lo stabile che lo ospitava era su una piazza, un alto palazzo che si affacciava sul centro e antistante a una costruzione storica che Giovanni mi descrisse come una ex prigione. Questa, ai miei occhi, aveva semplicemente un aspetto Rinascimentale, ma non avevo né tempo né voglia di contraddirlo. La portineria del palazzo era vuota, così siamo saliti sul vecchio ascensore, che puzzava di moquette ammuffita, fino all'ultimo piano.

    L'ufficio era praticamente un appartamento enorme, con diverse stanze ancora inutilizzate. In una di esse c'era l'archivio tenuto negli anni da Giovanni, mentre in un’altra si trovava il suo terminale appoggiato su di una scrivania in legno antico. Sul piano presenziavano cornici fotografiche e i più svariati oggetti, tra cui alcuni giocattoli. Doveva avere una famiglia, pensai, e in quel momento provai uno strano senso di invidia.

    Misi il mio portatile sul tavolo, con l'intenzione di prendere appunti e iniziare le indagini dal giorno seguente. Ovviamente aveva senso partire dai casi più recenti, per poi andare a trovare eventuali similitudini con eventi avvenuti in passato negli stessi luoghi. Solitamente è così che succede, la maggior parte delle entità con cui abbiamo a che fare ha una concezione del tempo molto diversa dalla nostra. Per non parlare, ovviamente, anche quelli che le assecondano, che le venerano, e che sono a volte ancora più imprevedibili, seppur meno pericolosi.

    Come seguendo il peggiore dei cliché hollywoodiani, l'ultimo caso sospetto era avvenuto in una casa abbandonata, non troppo distante da dove si trovava l'ufficio. In sostanza, i proprietari dell'abitazione in questione erano milanesi, ma per evitare il proliferare di topi e di altri animali che potevano colonizzare l’ampio giardino, pagarono un giardiniere per potare l'erba e rimuovere foglie, sterpaglie e rami secchi. Tutto questo fino a un paio di giorni prima del mio arrivo, quando il solito ragazzo si è preso un bello spavento per qualcosa che dice di aver visto all'interno della casa. Subito dopo è andato dai Carabinieri, che hanno semplicemente fatto passare una volante davanti all'abitazione per poi archiviare l'accaduto. Fortunatamente, gli informatori di Giovanni gli hanno raccontato anche questa storia.

    Negli archivi non ho trovato altri precedenti e questo mi ha fatto pensare a un intervento esterno, di qualcuno che ha creato le condizioni per connettersi con qualcosa di lontano… Sempre che il giardiniere non abbia preso un abbaglio. Nel verbale dei Carabinieri trascritto da Giovanni mi ha colpito questo estratto:

    … attirato all'interno dell'abitazione da un intenso odore di muffa, il sig. Paolo Biagini dichiara di aver sentito dei rumori provenire dal piano superiore, come di un incessante strisciare, e di aver visto una luminescenza provenire da una delle pareti interne della casa. Dopodiché, egli dichiara di essere scappato…

    Non era la prima volta che sentivo alcune di quelle espressioni, quindi decisi che era il momento di entrare in azione, controllando di persona la casa abbandonata. Il mio nome è Andrea De Cristoforo e, se non lo aveste ancora capito, sono un Agente Speciale del Ministero dell'Interno della Repubblica Italiana. Non troverete Osservatori o Commissari negli elenchi ufficiali, anche se abbiamo sempre lavorato per la vostra sicurezza.

    Dopo aver letto il fascicolo sull'abitazione, chiesi a Giovanni di accompagnarmi all'appartamento che l'Agenzia mi aveva procurato. Era in pieno centro storico, in una delle piccole traverse di Via Branca, la strada principale che dalla Piazza del Popolo conduce al Teatro dedicato a Gioachino Rossini. Camminando davanti alle vetrine dei negozi che già iniziavano ad allestire per il Natale, mi resi conto per l'ennesima volta di quanto le persone siano inconsapevoli di quello che sta succedendo intorno a loro, anche in questa ridente in altre stagioni città di provincia.

    Mi feci lasciare davanti a casa dal mio collega quando ormai era pomeriggio inoltrato, con l'impegno di incontrarsi in un piccolo bar situato in via San Francesco il mattino seguente, per poi dirigersi verso la casa abbandonata. Mi aspettava una lunga notte, e non potevo immaginare che rivelazioni avesse in serbo per me.

    Nonostante io sperassi il contrario, il mio sonno fu invaso da incubi. Ombre che si aggirano tra mura di pietra, canti e torce dondolanti nell'oscurità. Mi ritrovai, uscito dal caos, in una casa deserta. Vidi un segno su uno stipite, poi grida grottesche mi attirarono al piano superiore. Salii le scale e mi ritrovai al di là, in una realtà che deducevo non essere la mia. In quella scorsi un uomo incappucciato che parlava a qualcosa di nascosto ai miei sensi. Notandomi, si voltò per guardarmi, e fu in quel momento che il collegamento onirico si interruppe. Mi ritrovai così nell'appartamento, sudato e più stanco della sera precedente. La sveglia elettronica segnava le cinque. Rimasi a letto a riflettere su quella visione, più vivida di ogni altra che avessi mai avuto in vita mia.

    I miei sogni avevano sempre avuto la stessa struttura: il caos iniziale, il momento della contingenza che riguarda il futuro. Una visione confusa perché ancora in divenire, in mutamento. In questo caso, i segni che avevo visto sullo stipite. Provai a ricordarli abbozzandoli su un bloc notes.

    La seconda parte dell'incubo riguarda più spesso il presente, quasi mai il passato. Esso è chiaro perché già avvenuto o in compimento. L'uomo incappucciato, con chi stava parlando? Un collegamento diretto dall'altra parte è pericoloso, quelle cose possono entrare nella nostra mente e ridurla in poltiglia. Ma questa volta mi sembrava diverso dal solito. Scacciai un pensiero, un ricordo di cose imparate al Ministero, per focalizzarmi sulla trascrizione del sogno.

    A quel punto, il freddo Sole del mattino era già alto, così decisi di prepararmi e di incamminarmi verso il bar che Giovanni mi aveva indicato per l'incontro. I negozi iniziavano ad aprire le saracinesche, mentre gli abitanti del centro storico si recavano al lavoro. Per essere solamente inizio Novembre, mi sembrava già abbastanza freddo. Ma forse, semplicemente, non ero abituato all'aria di mare, umida da entrarti nelle ossa. Perso nei miei pensieri, arrivai al bar di Via San Francesco, dove il mio collega mi aspettava seduto ad un minuscolo tavolino, sorseggiando un cappuccino e mangiando qualcosa che mi fece rabbrividire: una pizzetta al pomodoro, con uova sode e maionese. Un piatto tipico che con il tempo avrei apprezzato, ma quella mattina mi accontentai di un caffè.

    A pochi passi da lì c'era il nostro ufficio. Non salimmo neanche, ma ci limitammo a scendere nel garage interrato per prendere l'auto di Diotallevi. Essa non serviva certo per arrivare sul luogo, a poche centinaia di metri dall’ufficio: l’utilità era nelle armi che trasportava. Giovanni mi avrebbe atteso fuori, armato se ci fosse stato da affrontare degli esseri terreni, e pronto a chiamare i soccorsi in caso di entità ben peggiori, impossibili da affrontare direttamente. E questa evenienza, lo ammetto, mi dava pensiero, non essendomi mai successo di trovare un passaggio aperto.

    Parcheggiammo l'auto in una strada poco trafficata, proprio davanti al cancello della villa abbandonata. Su tutto, la cosa che mi stupì maggiormente era la torre che svettava sopra di essa. Decisi di prendere la mia pistola e un'accetta, che sarebbe servita per aprire eventuali porte chiuse a chiave. Mi accorsi che il prato era tagliato solamente in parte: una falciatrice nuova di zecca, probabile segno di fuga repentina del giardiniere, era stata lasciata incustodita nel grande giardino.

    Come risultava dal rapporto, l'odore di muffa era molto intenso già dall’esterno. Entrai quindi nell'abitazione e sentii solamente come uno sbatter di ali dal piano superiore. Probabilmente piccioni.

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