La destra che vorrei
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Anteprima del libro
La destra che vorrei - Alessandro Nardone
Indice
Il marcio da spazzare via
Premessa
Incipit
Introduzione
LA POLITICA CHE VOGLIAMO
I Credibile e passionale
II Impopolare, se necessario
III Avanti
IV Semplice e trasparente
V Partecipata e Territoriale
LA DESTRA CHE VOGLIAMO
VI Un partito in carne ed ossa: le primarie
VII Destra 2.0
VALORI E IDEE
VIII La destra, per come la vedo io, in 5 canzoni, 5 libri e 5 film
IX Le 5 canzoni
X I cinque film
XI I 5 libri
XII In sintesi
XIII La violenza, mai!
LE VOSTRE BUONE RAGIONI
XIV Alcune buone ragioni per cambiare
XV Ma voi, che destra vorreste?
Ringraziamenti
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IL PREDESTINATO
www.ilpredestinato.it
TI ODIO DA MORIRE
www.tiodiodamorire.it
YES WEB CAN
www.alexanderson.biz
ORWELL
www.orwell.biz
IO, ALEX E TRUMP
www.alexanderson.biz
ALESSANDRO NARDONE
LA DESTRA CHE VORREI
Youcanprint Self-Publishing
www.ladestrachevorrei.it
Titolo | La destra che vorrei
Autore | Alessandro Nardone
ISBN | 9788827860922
Prima edizione digitale: 2018
© Tutti i diritti riservati all’Autore
Youcanprint Self-Publishing
Via Marco Biagi 6, 73100 Lecce
www.youcanprint.it
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La vigliaccheria chiede: è sicuro?
L'opportunità chiede: è conveniente?
La vanagloria chiede: è popolare?
Ma la coscienza chiede: è giusto?
Prima o poi arriva l'ora in cui bisogna prendere
una posizione che non è né sicura, né conveniente,
né popolare; ma bisogna prenderla, perché è giusta.
Martin Luther King
Alla splendida Comunità politica ed umana
della destra italiana, dall’Msi ad Alleanza Nazionale…
… le radici profonde non gelano mai!
IL MARCIO DA SPAZZARE VIA
LA convinzione prevalga sulla convenienza. E' una ragione di vita, che ha costellato la mia attività politica e sono felice di aver conosciuto tempo fa Alessandro Nardone, che a quella tesi - che e' bandiera, pratica, percorso - ha praticamente dedicato un libro che coniuga cultura e innovazione nella coerenza di valori incancellabili.
Esordisce scrivendo «io non sono nessuno» e invece è ciascuno di noi. Sangue e testa, passione e raziocinio. Quando mi ha offerto l'onore di scrivere la prefazione di questo libro ho improvvisamente scoperto la vecchiaia
: a 55 anni mi sono commosso e scorrerne le pagine mi ha emozionato. Perché in questo Autore ritrovo - non me ne voglia Alessandro - un pezzo di me stesso, e non solo per i comuni natali di Cassino, anche se lui è finito poi nella povera Lombardia.
A Como nel 2002 ricevette la fiducia di duecento concittadini che lo chiamarono a rappresentarli in Comune. Attivissimo in consiglio ma come capita, non fu rieletto. In politica succede, fatichi come un matto per rifare la destra e ti sbattono in faccia uno 0,6 alle politiche sette anni dopo che fa ancora male.
Ci siamo trovati sulla rete e ne e' nato un bel rapporto. Divieto di leccaculismi e' la password tra noi.
Non e' un estremista, se fosse un pittore dipingerebbe un forcone per simboleggiare la sua rabbia verso Berlusconi e Fini, distruttori di un patrimonio elettorale che piaceva a lui e non a me. Il libro comincia con la solita balla a cui dovrei essere abituato ogni volta che mi imbatto nella lettura di Nardone, questa volta il resoconto di un comizio di Fini che non ci fu mai: l'invenzione del trionfo di An alle europee 1999, l'elefantino. Fu un fiasco clamoroso con una percentuale che però oggi ci sogneremmo... Allora puntavamo a superare Forza Italia, adesso stiamo a raccogliere briciole dalla Lega. (Refuso: stanno!).
Nardone frusta. E ripesca Feltri edizione '98: «Silvio, ti sei mai chiesto perché chi sta con te dopo un po' si scoccia e se ne va?». Mettice 'na pezza, si dice a Roma... Despoti sia Berlusconi che Fini, con il rimpianto di veder sciolta invano An da quello che ne era il capo assoluto. Di Fini, Nardone ha un giudizio durissimo, lo paragona per stramberie di idee che lo hanno caratterizzato nell'ultimo tratto di sua leadership al Rauti che pure aveva combattuto.
Ma anche Berlusconi ne esce male: da leader amato a personaggio che non perdona chi ne ostacola più gli interessi che valori. Alzi la mano chi, pur volendo un gran bene a Silvio, dissente da quanto leggerà nel libro. Mi fermo qui nella descrizione perché questa ha l'ambizione di essere una prefazione e non una recensione giornalistica.
E voglio dire che di giovani così ne abbiamo bisogno. C'è una schiera di nuove leve che vanno accompagnate nei luoghi più impegnativi della politica, dando loro la possibilità di dar vita ad un Manifesto di valori che non rappresenti qualcosa di indicibile nella modernità del tempo che scorre, e poi siano essi stessi a realizzarlo concretamente dove si troveranno a rappresentarci. Ma davvero pensiamo che il renzismo lo contrastiamo con gli ultracinquantenni in prima fila? Accontentiamoci della prima linea, della trincea del combattimento nelle piazze e chi se ne frega del Palazzo.
Vorrei una legge così: tieniti il vitalizio ma non tornare più in Parlamento, che ora serve gente nuova che sappia però che vuol dire rappresentare me, te, noi, voi, tutti.
Guarda un po': a me piacerebbe fare il consigliere comunale e se proprio dovessi scegliere tra base e altezza me ne andrei in Europa a costruire una destra da Lisbona agli Urali, partendo dalla cultura che sale silenziosa dalle nostre cattedrali. Ma Roma rischia di andare ai Salvini di turno, a quelli che non credono ad una sola parola di quelle con cui ci imbambolano in tv, se non cambiamo radicalmente il modo di stare a destra, con dignità e davvero senza paura. Alessandro Nardone ci offre un sogno rispetto all'incubo che soffriamo ogni giorno. Il vilipendio e' alle nostre idee, se non ci muoviamo, altro che Colle...
Sono un condannato, caro Alessandro, e apprezzo che il tuo inno alla legalità che andiam cercando lo abbia voluto far precedere da un mio scritto: quella sentenza su Napolitano, in effetti, ha più il valore di una medaglia che di una pena, stando ai commenti che ho letto e che non mi aspettavo. Ma c'è troppo marcio da spazzare via, e lo può fare solo chi dal potere e' rimasto immune. La mejo gioventù, ma per favore togliendo di mezzo anche quei trentenni e quarantenni che cambiano casacca se non comandano loro. Anche il sacrificio e' un valore.
Mettiamocelo in zucca: senza valori, in politica ci sono solo affari. Diventa un mestiere per campare. Io sono felice da quando ho Il Giornale d'Italia: sono stato otto anni e non trenta in Parlamento, manco da quei luoghi dal 2008, ma credo di essere più popolare di tanti onorevoli attuali senz'arte ne' parte. Dice: hai fatto il governatore? E quanti si ricordano, in Italia, chi e' Enzo Ghigo? Eppure, e' stato un bravissimo presidente del Piemonte e parlamentare per più legislature. Per non parlare del limbo dei ministri perduti...
Voglio dire che si fa politica anche con un giornale, con un libro, con una radio, con un inno, con un film. E lo racconta proprio questo testo. L'importante è essere veri, se stessi, mai fingenti. Cantanti di una storia e non cantastorie. Una storia di Patria e non di moneta. Appassionati, coraggiosi, persino scorretti con chi se lo merita: una destra così la sogno da anni. Mi manca terribilmente con la sua capacità di suscitare emozioni.
In una parola, latita una comunità, il suo senso di appartenenza e militanza, la bandiera di cui tornare ad essere orgogliosi. Dobbiamo dire o no che una persona conta più del prodotto interno lordo? Che una famiglia non e' una scoperta scientifica da selezionare? Che se c'è un pianeta sterminato chi ha di più deve investire dove hanno di meno perché da noi non ci si entra più? Ancor più chiaro: sono felice se da italiano posso andare in Africa; sono triste se un africano deve venire qui. Soprattutto se a differenza di prima, il pezzo di pane che vorrei offrirgli in segno di civiltà, devo sottrarlo a mio figlio: resta a casa tua.
Sarà irriverente, ma e' la realtà. Cruda, profonda, onesta.
E comunque se e quando torniamo al potere regaliamo questo libro ai nostri ministri. Giurino pure sulla costituzione, ma amino un po' di più patria e cultura. Ne uscirà fuori un gran bel popolo. Poi, se il programma che Nardone tira fuori nel penultimo capitolo spaventa un po', qualche emendamentino si potrà pure presentare....
Ridacci la destra, non toglierci le correnti. Anche se i capelli sono sempre di meno, era così bello tirarseli.
Francesco Storace, pregiudicato
PREMESSA
IO non sono nessuno. Non ricopro incarichi politici, né ho mai avuto l’onore (e l’onere) di sedere in Parlamento o in Consiglio Regionale. Sono solo un trentottenne come tanti che ha cominciato a fare politica quando ancora portava i calzoni corti vivendo, da militante, l’intera parabola di Alleanza Nazionale. In quel partito ho vissuto un’intensa e a tratti esaltante esperienza politica ed umana, certamente caratterizzata dal mio ruolo di presidente provinciale di Azione Giovani. Nel 2002, quando di anni ne avevo ventisei, fui eletto nel consiglio comunale di Como, la mia città. Nei cinque anni di mandato credo di poter dire di aver fatto molte cose buone ed altre meno, senza dubbio tutte animate dalla passione di chi intendeva portare il suo contributo per ottenere qualcosa di positivo per la propria gente. In ogni caso, qualsiasi sia l’opinione sul mio operato, rimane il fatto che di quel mandato fui tra i consiglieri con meno assenze e tra i più attivi in quanto alla presentazione di interpellanze, mozioni, ordini del giorno ed interventi. Nel 2007, però, non fui rieletto. Evidentemente avevo dato troppe cose per scontate. Ma tant’è, dagli errori dobbiamo imparare e dai knock out dobbiamo riprenderci e rialzarci. Questa è la vita. Così, negli anni seguenti, non ho mollato il colpo e, pur non rivestendo alcun ruolo politico, ho continuato ad esprimere il mio pensiero (posto che interessasse a qualcuno!) attraverso il mio blog personale e sui social networks.
Col passare del tempo le cose sono cambiate: Alleanza Nazionale e Forza Italia hanno dato vita al Popolo della Libertà e vinto le elezioni politiche sfiorando il 40% dei consensi, illudendoci che la prospettiva di un unico, grande partito capace di rappresentare i valori del centrodestra fosse finalmente compiuta. Popolo della Libertà da una parte e Partito Democratico dall’altra: la realizzazione di un sistema bipartitico in grado di mandare in soffitta le vecchie liturgie della politica per velocizzarla, mettendola finalmente al passo coi tempi. Dare risposte concrete e farlo subito, insomma. Tutto vero!
pensammo in molti, ricordando il titolo a nove colonne che utilizzò la Gazzetta per celebrare la vittoria della Nazionale ai Campionati Mondiali del 2006. Tutto falso
, dobbiamo amaramente constatare oggi, ad oltre sette anni di distanza dal giorno in cui Silvio Berlusconi montò sul predellino di un’auto per annunciare che avrebbe fatto di tutto per dar vita al partito unico del centrodestra.
Oggi, alle soglie del 2015, del centrodestra è rimasta solo la parola. Certo, sarebbe semplice cavarsela affermando che la nascita del Pdl fu l’inizio della fine ma, a mio avviso, dobbiamo sforzarci di scavare più a fondo per analizzare gli errori (madornali) che hanno determinato la situazione attuale per tentare di non ripeterli e, aspetto ancora più importante, per capire qual è il minimo comune denominatore attorno al quale cominciare l’opera di ricostruzione. Parlo di valori, di idee, di proposte, di provocazioni culturali, di voglia di osare. Sì, proprio la voglia che ci hanno fatto passare molti di quelli che hanno premuto il tasto dell’autodistruzione di Alleanza Nazionale idolatrando Fini quando questi errava ma era comunque in grado di garantire loro poltrone. Guarda caso, oggi sono tutti (o quasi) campioni dell’antifinismo militante, peraltro puntandogli contro il dito per molti di quegli errori che all’epoca loro stessi difendevano per convenienza: Che fai? Tanto adesso non ci cacci!
. Come ha anticipato Francesco Storace nella sua prefazione, nelle pagine che seguiranno sarò tutt’altro che tenero con l’ex leader di An ma, allo stesso tempo, credo che sia giusto riconoscergli di essere stato uno dei pochi ad ammettere di averli compiuti, quegli errori. Certo, questo non cancella il passato, ma è pur sempre cosa che gli fa onore e, ferme restando le mie convinzioni, trovo sacrosanto sottolinearlo.
Una menzione a parte merita, certamente, Francesco Storace, che ho conosciuto nel 2011 proprio grazie alla prima edizione del libro che avete tra le mani. Il rapporto che ne è nato lo ha descritto – brillantemente come al solito – nella prefazione: divieto di leccaculismi. Esattamente così, infatti, in questi anni mi ha concesso il privilegio di un rapporto improntato, oltre che sull’amicizia, su franchezza e schiettezza: mai, dico mai, il disaccordo su alcune questioni si è tramutato in inimicizia. Normale, penserete voi. Un cavolo, rispondo io, soprattutto nel nostro