Il corriere scomparso
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E. Phillips Oppenheim
E. Phillips Oppenheim (1866–1946) was an enormously popular English author of thrillers and romance. He wrote more than one hundred novels, composing them in as little as three weeks and publishing as many as seven a year. He is best remembered today for the classic spy novel The Great Impersonation (1920).
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Anteprima del libro
Il corriere scomparso - E. Phillips Oppenheim
2017
1
La sera del 2 aprile, alle otto e tre quarti, sulla piattaforma 21 della Liverpool Street Station c'era pochissima gente, forse perché è quella più fuori mano e la meno frequentata del capolinea. Il primo capostazione, in quel momento, era presente con un ispettore. Un uomo bruno, con un lungo soprabito da viaggio, un cappello floscio e una valigetta marrone. Su quella valigetta in pelle spiccava in chiare lettere nere un nome: John P. Dunster. Se ne stava a pochi passi di distanza, fumava un sigaro e apparentemente era assorto nella lettura dei numerosi avvisi che decoravano la parete sporca sull'altro lato di quell'unico binario. Sopra un carrello con una sola valigia, se ne stavano seduti due facchini. Nessun altro viaggiatore a vista d'occhio, nessun bagaglio. Infatti, a dar retta all'orario, per molto tempo nessun treno sarebbe partito o arrivato su quella linea. Più giù, dall'altra parte della piattaforma, la sbarra di legno veniva aperta e un altro facchino si avvicinava, trascinando rumorosamente un carrello su cui erano caricate alcune valigie. Dietro il carrello c'era un giovanotto alto, vestito di grigio, con un cappello di paglia.
L'ispettore lo guardò incuriosito.
— Direi che ha sbagliato strada – disse. Il capostazione approvò con un cenno del capo.
— Mi sa che è quel giovanotto che ha perso il treno e la coincidenza con la nave – sottolineò. – Probabilmente viene qui a chiedere chiarimenti.
Il giovanotto in questione si avvicinava rapido. Aveva le mani nelle tasche e la fronte corrugata. Quando fu più vicino, notata la figura di John Dunster, fece un cenno al facchino di aspettarlo, e, una volta attraversata la piattaforma, gli disse:
— Permette che le dica una parola, signore?
John Dunster si girò a guardare il suo interlocutore. Si girò senza fretta. Lo fece anzi ostentando una certa calma, e il suo sguardo brillò all'improvviso di una vivacità penetrante. Era ben vestito, con la cura che spesso caratterizza gli americani. In apparenza giovane, completamente sbarbato, con le larghe spalle, aveva un aspetto vigoroso, energico, pieno di vita, sembrava un tipo pronto a tutto e disposto a tutto.
— È lei mister John Dunster? – domandò il giovanotto.
— Ecco il mio biglietto da visita – rispose l'altro, facendo dondolare la valigetta. – Sono John Dunster, in persona.
Il modo di fare del giovanotto non era molto simpatico. Alla sua aria immusonita si aggiungeva adesso la frenesia di chi si accinge a compiere un'azione ingrata.
— Se permette, vorrei chiederle un piacere – proseguì. – Se non può farmelo, la prego di dirmelo subito. Non perderemo altro tempo e me ne andrò, immediatamente. Vado all'Aja e dopo il treno avrei dovuto prendere una nave, che è partita mezz'ora fa. Avevo già prenotato il posto e mi avevano assicurato che il treno non si sarebbe mosso prima di un quarto d'ora, in attesa del carico postale. Così sono sceso sulla piattaforma per comprare dei giornali e mi sono fermato a parlare con un amico. Ancora non ho capito: o mi sono fermato più a lungo di quanto pensassi, o sono stati più rapidi di quanto credessero a caricare la posta. Una cosa è certa: quando sono tornato il treno era in partenza. Non mi hanno fatto salire, io ci sarei riuscito se quell'ispettore stupido non me l'avesse impedito a forza.
— Sono molto severi in questo paese, lo so – ammise Dunster, senza cambiare espressione. – Ma l'ho interrotta, vada avanti...
— Ho notato che anche lei è arrivato in ritardo. Mentre stavo protestando con l'ispettore, l'ho sentita parlare con il capostazione. Poi mi sono informato e ho saputo che ha chiesto un treno speciale per Harwich.
John Dunster non rispose, ma i suoi occhi intelligenti e penetranti scrutavano quel giovanotto dall'aspetto immusonito ma in apparenza innocuo.
— Così sono entrato nell'ufficio del capostazione – continuò lui – sperando di convincerlo a farmi salire con il personale sul treno. Niente da fare, mille difficoltà; quindi ho pensato che fosse meglio rivolgermi direttamente da lei. Posso salire nel suo scompartimento o in qualunque altro posto del suo treno, fino ad Harwich?
Dunster evitò di rispondere subito. Aveva l'espressione sorpresa di chi considera inopportuna la domanda che gli viene rivolta.
— Per lei è così importante fare la traversata questa notte? – chiese.
— Moltissimo – ammise il giovane un po' agitato. – Non avrei dovuto perdere il treno. Domani devo essere all'Aja.
John Dunster si girò appena.
— Di quale natura sono gli affari urgenti che la conducono all'Aja? – domandò.
Il giovane esitò.
— Ho paura – disse con un tono secco – che forse lei non li troverà molto importanti. Devo partecipare a una gara di golf.
— Una gara di golf all'Aja? – ripeté Dunster con tono leggermente cambiato.
— Lei come si chiama lei?
— Gerald Fentolin.
Dunster rimase perplesso per un attimo. Aveva una memoria straordinaria e in quel momento si accorse di ricorrere a essa con grande sforzo. Fentolin! Quel nome gli ricordava vagamente qualcosa da cui tenersi lontano. Con la fronte aggrottata rimase pensoso senza una risposta. Quindi, all'improvviso, sorrise. Subito dopo, sotto la luce di un fanale, aprì un giornale che aveva in tasca e lo sfogliò, finché non trovò la pagina sportiva. In uno dei primi articoli, scorse il nome che pochi istanti prima aveva attirato per caso la sua attenzione.
GOLF ALL'AJA – Fra i partecipanti di domani, parecchi i giocatori inglesi, alcuni molto noti, fra i quali: i signori Barwin, Parrot, Hillard e Gerald Fentolin.
Dunster, piegato il giornale, lo rimise in tasca e si girò verso il giovanotto.
— Così lei è un noto golfista?
Dunster aprì un'altra pagina del giornale e mostrò un titolo a caratteri cubitali.
— Mi sembra strano che un giovanotto come lei si occupi e si preoccupi così tanto di sport – osservò. – Sono in questo paese solo da poche ore, e pensavo di vedere i suoi giovani abitanti coinvolti in ben altri preparativi.
— Preparativi? e di cosa?
— Guerra, naturalmente! – rispose Dunster. – Sembra sicuro, secondo le notizie del giornale, che un ingente numero di soldati sarà inviato nel Mare del Nord. L'unico inglese con il quale ho parlato era pronto a scommettere che la guerra sarà dichiarata entro una settimana.
L'indifferenza del giovanotto era davvero strana.
— Non sono un soldato – disse – e tutto questo non mi riguarda. La guerra interessa solo l'esercito e la marina di due nazioni. La popolazione civile...
— Gioca a golf, immagino – interruppe Dunster. – Non venivo in Inghilterra da qualche anno, ma le assicuro che lei mi riempie di meraviglia. In ogni caso venga pure con me fino ad Harwich.
Il giovane sembrò soddisfatto.
— La ringrazio moltissimo – esclamò – e le prometto che non le recherò fastidi.
Il capostazione, che era stato impegnato a leggere molti telegrammi consegnati da un impiegato del suo ufficio, si girò verso i due con un'espressione abbastanza seria.
— Il suo treno sarà qui fra pochissimo – annunciò – ma sono spiacente di doverle dire che abbiamo ricevuto notizie pessime sulle condizioni della linea. Sembra che il temporale che ci sovrasta, non sia che la coda di un nubifragio che tormenta da ventiquattr'ore la costa orientale. Difficile che il traghetto di Harwich riesca a partire.
— Dobbiamo provarci in tutti i modi – osservò Dunster. – E se il postale non partisse si potrebbe comunque noleggiare battello.
Il volto del capostazione dimostrava tutta la sorpresa che le parole non erano in grado di esprimere.
— Oggi con i soldi si riescono a fare molte cose, signore – osservò – ma se il viaggio è impossibile per il nostro traghetto lo sarà di sicuro anche per qualunque altra imbarcazione. A ogni modo sentirà quello che le diranno sul posto.
Dunster assentì e ripiombò nel silenzio. Evidentemente era una sua caratteristica.
Il giovanotto, passeggiando lungo la piattaforma, si avvicinò all'ispettore e, toccandogli una spalla, gli domandò curioso:
— Quel signore... sa chi è? È stato tanto gentile a permettermi di salire sul suo treno, nonostante l'idea mi pare non gli andasse troppo a genio.
L'ispettore scrollò la testa.
— Se è americano, si spiega tutto – disse. – Deve avere una gran fretta di arrivare a destinazione...
Il piccolo treno retrocedeva piano sul binario. La motrice era grondante d'acqua e infangata; le facce del macchinista e del suo compagno erano lucide e trasfigurate dalla pioggia. Il capostazione aprì lo sportello del vagone ristorante.
— Sarà un viaggio movimentato, signore – disse – ma arriverà di sicuro in tempo per il traghetto, dovesse mai partire. Il treno ordinario era molto carico questa sera; lo raggiungeremo prima di Colchester.
John Dunster accennò un sì.
— Questo giovanotto viene con me – disse brevemente. – Pare che anche lui abbia perso il treno. La ringrazio per la sua attenzione, signore. Buona notte!
Stavano per partire quando Dunster riabbassò il finestrino ed affacciandosi disse:
— A proposito, vista la notte da lupi, mi faccia la cortesia di dire al macchinista che ci sarà un biglietto da cinque sterline per lui e per il suo aiutante, se riuscirò a salire su quel traghetto.
2
Il giovanotto si sedette in un angolo del vagone ristorante e John Dunster nell'altro. Benché entrambi fossero ben provvisti di giornali e riviste, nessuno dei due sembrava disposto a leggere. Il più vecchio, con i piedi sul sedile opposto e le braccia conserte, guardava pensieroso nella cupa oscurità della notte attraverso il finestrino, sui quali batteva impetuosa la pioggia. Il giovane, nonostante avesse compreso la poca socievolezza del compagno di viaggio, non riusciva a restare tranquillo.
— Ci saranno inondazioni, domani – disse.
Dunster si girò a guardarlo dal suo posto. C'era qualche segno d'intenzione nel suo modo di fare e nella sua ritrosia a rispondere. Sembrava ci tenesse a far capire una volta per tutte al giovane che non aveva alcuna voglia di parlare con lui.
— È probabile – fu la risposta, secca.
Gerald Fentolin sospirò, come rimpiangendo la disposizione a tacere del compagno e poco dopo si allontanò, per mettersi poi seduto all'altra estremità del vagone e chiudere gli occhi.
— Vediamo se riesco a dormire – disse sbadigliando. – Sarà difficile farlo più tardi, con questo tempo.
Dunster non aprì bocca. Fissava impenetrabile un punto immaginario oltre le pareti del vagone in cui si trovava. Viaggiarono per più di un'ora. Il giovanotto sembrava dormire davvero, quando il treno, dopo una serie di scosse, rallentò improvvisamente la corsa. Dunster abbassò il finestrino e un colpo di vento mise a soqquadro l'interno della vettura. I giornali volarono dappertutto, la pioggia penetrò con una furia inconsueta. Dunster richiuse in fretta e suonò il campanello. Qualche istante comparve l'inserviente con i vestiti fradici e la barba gocciolante.
— Cosa è successo? – chiese Dunster. – Cosa stiamo aspettando?
— C'è la linea impraticabile da qualche parte, signore – replicò l'uomo. – Non si sa esattamente in che punto. I segnali ci avvertono di rimanere fermi: questo è quanto sappiamo per il momento.
Dopo dieci minuti ripresero ad avanzare pianissimo, quindi si fermarono di nuovo per poi rimettersi ancora in marcia, ancora più piano. Dunster richiamò l'inserviente.
— Perché procediamo in questo modo? – chiese impaziente. – Non riusciremo mai a prendere il traghetto.
— Prenderemo di sicuro il piroscafo, signore – assicurò l'uomo. – Il treno ordinario è davanti a noi soltanto di un miglio o due, questa è una delle ragioni per cui andiamo avanti così lentamente. Poi la nostra linea è ricoperta dall'acqua, e non possiamo sapere nulla circa le condizioni della linea oltre Colchester. Se va avanti così, crollerà di sicuro qualche ponte; di questo abbiamo paura.
Dunster si dimostrò contrariato, rivelando per la prima volta la sua preoccupazione.
— Forse – disse quasi fra sé – sarebbe stato più opportuno viaggiare in automobile...
— Non sarebbe stato più sicuro – interloquì il suo giovane compagno. – Tutte le strade della costa attraversano una serie infinita di piccoli ponti, tutti molto meno solidi di quelli ferroviari. Scommetto che qualcuno è già crollato. E poi sarebbe impossibile vedere la strada in una notte così.
— Quindi è possibile – osservò Dunster seccamente – che lei debba rinunciare alle sue gare di domani...
— Certo, è anche possibile – aggiunse il giovanotto – che lei abbia preso inutilmente questo treno speciale. Poco probabile che il traghetto di Harwich parta con questo tempo.
Dunster si richiuse in un profondo, preoccupato mutismo.
Il treno continuava con il suo incedere irregolare e incerto, fermandosi di tanto in tanto, lanciando ripetuti fischi, e strisciando lento sulle rotaie come se cercasse con difficoltà la sua via. Alla fine, dopo una lunga sosta, il conduttore, di cui i viaggiatori avevano sentito la voce rauca sulla piattaforma della piccola stazione di partenza, entrò nella vettura. Era senza il berretto, i capelli erano spettinati dal vento e il viso rigato di sangue per una leggera ferita alla tempia.
— L'altro treno, signore, è davanti a noi – annunciò. – E non può andare avanti meglio di noi. Ci hanno comunicato poco fa che un ponte fra Colchester e Harwich è crollato¹.
— E allora che cosa si fa? – chiese Dunster.
— Venivo giusto a chiederglielo, signore – replicò il conduttore. – Il treno ordinario proseguirà piano fino a Colchester, dove si fermerà fino a domani mattina. La cosa migliore che possiamo fare, se vuole, è riportarla a Londra. Si può fare, se partiamo adesso.
Dunster, senza fare caso al suggerimento, prese da una voluminosa tasca del cappotto una piccola carta geografica che stese sulla tavola davanti a sé, e che si mise a studiare attentamente.
— Se non è possibile arrivare a Harwich – domandò – non potremmo cambiare strada e andare a Yarmouth?
Il conduttore esitava.
— Non sappiamo niente della linea fra Colchester e Norwich – rispose. – E poi non possiamo cambiare itinerario senza precise istruzioni.
— Non c'è il telegrafo in questa stazione?
— Si può comunicare con qualunque stazione dalla linea – rispose il conduttore.
— Allora telegrafate al capostazione di Liverpool Street – ordinò Dunster. – Fra pochi minuti avremo la sua risposta. Spiegategli la situazione e ditegli qual è il mio desiderio.
L'uomo esitava ancora.
— Norwich non è molto vicina – osservò – e per quanto ne sappiamo...
— Lasciando la stazione di Liverpool Street – interruppe Dunster – promisi cinque sterline a voi, al macchinista e al suo compagno pur di arrivare in tempo per il piroscafo. Le cinque sterline diventeranno venticinque se riuscite a portarmi sulla costa. Fate del vostro meglio.
Il conduttore se ne andò senza dire una parola.
— Forse è meglio – continuò Dunster, rivolgendosi al suo compagno di viaggio – lasciarmi a Colchester e salire sul treno ordinario.
Il giovanotto scrollò il capo.
— Ormai non c'è nessuna possibilità di arrivare in tempo, in nessun modo – osservò. – Se lei mi accompagnerà fino a Norwich, potrò andarmene tranquillamente a casa.
— Ma lei abita da queste parti? – chiese Dunster.
L'altro assentì, mostrando ancora nel suo modo di fare un certo imbarazzo.
— Abito oltre Norwich. – disse. – Non vorrei abusare troppo della sua cortesia – proseguì – ma se lei insiste nel suo tentativo, vorrei continuare il viaggio anch'io. Purtroppo non posso offrirle di fare a metà delle spese, ma se avrò modo di rendermi utile durante il viaggio, lo farò con piacere.
Dunster rimase in silenzio qualche minuto, tamburellando con le dita sulla tavola, e scrutando con insistenza il volto del giovanotto mentre parlava. Poi riprese a studiare la sua carta.
— Pensavo – disse – di noleggiare un battello a Yarmouth. Se ci riesco potrà accompagnarmi fino al porto olandese dove potremo sbarcare. Ma, parlando molto francamente, preferirei andarci da solo. La traversata di notte è indubbiamente una cosa rischiosa. I miei affari sono molto importanti, non le pare un po' inutile rischiare la vita per una gara di golf?
— Oh! non lo so! – rispose serio il giovanotto. – Quasi quasi è un rischio che non mi dispiace. Ma intanto vediamo se prima riusciamo ad arrivare fino a Norwich. È possibile che anche su quella linea i ponti siano crollati.
Dunster non rispose e il conduttore riapparve.
— Abbiamo ricevuto istruzioni per accompagnarla a Yarmouth, signore, – annunciò – per chiedere il rimborso delle spese dovremo arrivare a destinazione.
— Benissimo – acconsentì Dunster. – Andiamo il più veloce possibile.
Si rimisero in marcia quasi subito. Passarono la stazione di Colchester, dove si fermarono pochi minuti. Dunster comperò del vino e dei panini e il suo compagno fece lo stesso. Il viaggio riprese. Passò un'ora o poco più; il temporale non accennava a calmarsi. Raramente il treno superava le dieci o le quindici miglia all'ora². All'improvviso sentirono a poca distanza un'esplosione che sovrastò il fragore del temporale e che sembrò prima un colpo di cannone, seguito poi da un fischio acuto. Dopo ripetute scosse i freni vennero energicamente tirati, ma al tempo stesso i viaggiatori sentirono il treno deviare con uno scricchiolio spaventoso, mentre la locomotiva si apriva una strada nel terreno.
— Siamo deragliati! – gridò il giovanotto sobbalzando in piedi. – Si tenga ben saldo, signore, e si allontani dal finestrino!
Il treno traballava ondeggiando. A un tratto un palo del telegrafo sfondò con fracasso i vetri e le pareti lucide della vettura. Il giovanotto evitò il pericolo saltando da un lato. Dunster, che si era appena alzato in piedi, venne colpito alla fronte. Un rumore confuso di vetri infranti fu seguito da una nuova e più violenta scossa. I due viaggiatori vennero scaraventati per terra al buio, poiché la luce si era spenta all'improvviso. Fra il rumore lacerante dei vetri spaccati, del legname stritolato, la vettura ormai distrutta, trascinando a metà anche la locomotiva, scivolò da un argine, e si fermò, coricata su un fianco, in un campo di rape.
3
Il giovanotto si alzò barcollando e in quel momento ebbe la sensazione staccarsi da qualcosa, come se stesse per cominciare un'altra vita, e gli si fosse aperto un orizzonte nuovo. Nonostante questo la sua mente era popolata di immagini e tristi ricordi. Da una larga fenditura nella parete della vettura entrava la pioggia. Alzandosi in piedi batté la testa contro un pezzo di soffitto. Riuscì a farsi largo fra i rottami e a uscire fuori sul terreno dove per un momento barcollò, investito dalla furia degli elementi. Poi aggrappandosi al fianco della vettura distrutta, poté tenersi più saldo. Una luce appariva e spariva lì vicino. Chiamò con voce strozzata.
Un uomo con una lanterna in mano, chino nello sforzo di resistere al vento, si arrampicò avvicinandosi a lui. Era il facchino della stazione più vicina.
— Dio mio! – esclamò. – C'è qualche ferito?
— Io non mi sono fatto nulla – mormorò Gerald. – O almeno credo. Ma che cosa... che cosa è successo? C'è stato un deragliamento?
Il facchino prese un pezzo di rottame al quale si attaccò.
— Il treno è entrato diritto in un torrente d'acqua – rispose. – Le rotaie non c'erano più... Scalzate. La linea telegrafica è fuori uso.
— Ma perché non avete fatto fermare il treno?
— Stavamo facendo tutto il possibile – replicò indispettito l'uomo. – Non aspettavamo nessun altro treno questa notte. Un uomo era sulla linea con una lanterna, ma lo abbiamo trovato proprio adesso, nell'argine, con la testa in un lago d'acqua. C'è ancora qualcuno nella vettura?
— C'è un signore che viaggiava con me – rispose Gerald. – È meglio provare a tirarlo fuori. E che cosa è successo al conduttore e al macchinista?
— Il macchinista e il fuochista sono vivi – disse il facchino. – Li ho trovati prima di vedere lei. Sono feriti e intontiti,