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Spritz!: Ho rubato un ritratto (ma per amore di un megabastardo!)
Spritz!: Ho rubato un ritratto (ma per amore di un megabastardo!)
Spritz!: Ho rubato un ritratto (ma per amore di un megabastardo!)
E-book180 pagine2 ore

Spritz!: Ho rubato un ritratto (ma per amore di un megabastardo!)

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Info su questo ebook

Anita, giovane storica dell’arte, è alle prese con i problemi che affliggono oggi ogni fanciulla: la ricerca di un lavoro, i chili di troppo, un guardaroba sfornito e gli uomini sbagliati. La sua vita, in una Padova bella e à-la-page, viene completamente sconvolta da un dipinto che ritrae un uomo dal fascino misterioso, di cui non può non innamorarsi… E quando le sembianze del ritratto si incarnano in un ispettore della Dogana - duro e rigoroso ma dal fascino irresistibile - la storia di Anita si complica ancor di più, intrecciandosi in un intrigo internazionale, con un salto nella Cecoslovacchia di metà Ottocento, alle origini del dipinto. Un ritmo via via più serrato, scandito dalle “convocazioni Spritz” di Anita e del suo gruppo di amici, per un appassionante epilogo a sorpresa. Il romanzo è inserito nella collana 'ChickCult' di ARPANet, tutta al femminile, per letture divertenti e appassionanti, caratterizzate da uno stile leggero, piacevole, ironico e scanzonato!
LinguaItaliano
EditoreARPANet
Data di uscita17 apr 2013
ISBN9788874261482
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    Anteprima del libro

    Spritz! - Laura Ruzickova

    Copyright © 2013 Società Editoriale ARPANet Srl, Milano

    Tutti i diritti su testi, marchi e immagini sono riservati.

    Edizione aprile 2013

    978-88-7426-148-2

    via Stampa, 8

    20123 Milano

    tel. +39.02.670.06.34

    [email protected]

    www.EdizioniARPANet.it

    I libri e gli eBook della Società Editoriale ARPANet

    sono disponibili qui:

    www.ARPABook.com

    www.EdizioniARPANet.it

    Questo romanzo è un’opera di fantasia. Qualsiasi analogia con vicende,

    luoghi o persone, vive o scomparse, è puramente casuale.

    I chickcult

    Collana diretta da: Paco Simone

    Art director: Francesca Fasoli

    Ad Alice e Stefano,

    i due arcobaleni che mi colorano la vita.

    Laura Ruzickova

    Spritz

    ho rubato un ritratto

    (ma per amore di un megabastardo)

    I.

    Due anni fa, mese più, mese meno, mi sono innamorata di un ritratto, improvvisamente, totalmente, al punto tale di arrivare a rubarlo.

    Nessuno sospetta di me.

    Il quadro è ancora a casa mia.

    Soltanto io so per certo che quel che è successo oggi è la mia punizione.

    Sino a questa mattina avevo:

    - un lavoro nel campo della Cultura, di quella vera, che si può permettere la C maiuscola, e perfino un filino di puzza sotto il naso;

    - la prospettiva di rimanere vita natural durante o, almeno, molto a lungo, inquilina di un bigioiellino, ossia un bilocale mansardato in zona Riviere (affitto tranquillamente pagabile grazie al punto uno);

    - l’opportunità di farmi finalmente notare da Ermanno l’Inarrivabile (non mi innamoro solamente dei quadri).

    E invece ho scoperto che, per chi commette un furto, non esiste solo la legge di questo mondo.

    Da qualche giorno mi sentivo osservata, seguita. Ansia da preparazione mostra, mi dicevo, invece di dare retta all’istinto.

    La mia condanna (ahimè, non ne ho prova alcuna) è stata predisposta dall’intervento di Anna Lisa (scrivesi e pronunciasi staccato).

    Poi, tecnicamente, è stata eseguita da Bloody Mary; ma è stato il megabastardo a pronunciare l’inappellabile sentenza. Risultato, sono già contenta di essere ancora viva per raccontarlo.

    Da questa sera sono disoccupata, non rivedrò mai più Ermanno l’Inarrivabile, le mie prospettive per il futuro si riducono a poche alternative:

    - tornare, strisciando, a lavorare dal Maialone, sperando che dopo due anni non gli si accenda la proverbiale lampadina, e non scopra che sono stata io a rubargli il quadro;

    - ripresentarmi, supplice, alla Vedova del Grande Scrittore, una delle più grandi e furbe tiratrici di pacchi della storia dell’editoria minore;

    - farmi mantenere per un po’ dalle patrie galere.

    L’ultima tra queste mi sembra la migliore, in quanto conseguenza diretta della mia condanna: non per il furto del ritratto, e nemmeno per complicità in truffa ai danni di ingenui aspiranti scrittori, ma per l’omicidio (in progettazione) del megabastardo. Sempre che sia possibile uccidere reincarnazioni di quadri del diciannovesimo secolo.

    Mi urge telefonata a Flavio per un pronto soccorso psiche della sottoscritta: codice rosso catastrofe, per gli incontrollabili flash-back su quello che è successo oggi.

    II.

    «Ma non eri a dieta?»

    Conosco quella voce composta e severa.

    Accento da aristocratico ottocentesco, un pizzico di sensuale profondità.

    Sì, è lui, Ermanno Drigo, l’Inarrivabile.

    Olé! Vengo colta in flagrante lussuria enogastronomica: nella mano destra, panino con soppressa misura Obelix e, nella sinistra, bicchiere di Clinton dei Colli; il tutto gentilmente offerto dai gemelli Marangon, facchini specializzati della Globo Trasporti d’Arte.

    «Ump» replico, con la bocca piena.

    Mi ricordo della barretta superlight, e del nettare di mela senza zucchero che questa mattina ho messo in borsa con le migliori intenzioni; grassi, alcool e zuccheri no pasaran.

    Ho passato gli ultimi giorni annunciando solennemente a tutto l’orbe terracqueo il mio irrevocabile proposito di trasformarmi in una Padovana Strafica, ovvero in un esemplare di femmina taglia 40, capello perfettamente domato da quattordici ore di piastra, dotato di occhiali da sole stile SITA, nel senso che manca soltanto la scritta Abano Terme per raggiungere il completo effetto corriera di linea.

    Forse la voce è arrivata anche all’Ermanno; e meno male che non ho spiattellato l’unica e vera ragione del mio folle proposito: averlo più volte visto – non il folle proposito, l’Ermanno – fare le vasche in centro con fanciulle strafiche, appunto.

    Il proposito è folle perché comporta un calo di peso di sette… otto… be’, anche dieci chili, e l’onorevole morte sul campo di qualunque parrucchiere si cimenti nell’impresa di raddrizzare le mie chiome crespo-anarchiche.

    «Lasciala mangiare, che è magretta» contesta Olindo Marangon. Sant’uomo, nonché finissimo esteta.

    Decido all’istante di sposarlo.

    «Una che lavora così bene e così tanto se la merita un’ombretta di Clinton» rincara la dose Loris Marangon.

    No, ho cambiato idea, sposo Loris.

    «Sono arrivati i mobili» comunica, secco, Ermanno. Cioè alcuni rari e preziosi pezzi dello storico negozio Antiquariato Drigo, che esiste circa da quando un Drigo di Neanderthal decise di vendere uova fossili di dinosauro ai vicini di caverna. Ermanno è l’ultimo rampollo di cotanta dinastia.

    Mentre due cubi umani del peso complessivo di quintali duevirgolacinquanta si dirigono a scaricare gli Elementi d’arredo gentilmente offerti in prestito dall’Antiquariato Drigo Sr (così sta scritto sul catalogo), Ermanno resta fermo davanti a me.

    «Come va la preparazione della mostra?»

    «Praticamente pronta» rispondo.

    Vabbe’, vabbe’, i proiettori hanno deciso di prendere l’iniziativa e di mandare sui pannelli paesaggi alieni al posto dei dolci panorami color pastello che dovrebbero fare da sfondo ai quadri.

    Vabbe’, vabbe’, nella sezione del ‘700 qualcuno ha sbagliato l’angolazione degli spot, e le delicate damine veneziane sembrano una torma di zombie.

    Vabbe’, sì, Bloody Mary sta per uccidere l’incaricato delle spedizioni della Globo Trasporti d’Arte! Movente dell’efferato assassinio, l’ultimo quadro bloccato sulla Tangenziale di Mestre.

    Considerato l’andamento medio dell’allestimento di una mostra, posso tranquillamente affermare che La Galleria degli Antenati - Quattrocento anni di ritrattistica minore nel Veneto è in dirittura d’arrivo, forse perfino un pelino in anticipo, mettendo in conto anche le recenti pause per le feste di Natale che hanno un po’ rallentato i tempi di preparazione.

    Ermanno sembra scettico; anzi, vagamente allarmato, e accenna col mento verso Bloody Mary – al secolo Maria Bordin – donna nota nell’ambiente per il suo caratterino da squalo-tigre. La soave signora in questione è anche la mia megaboss, titolare della Biemme Expo Srl, la società che ha organizzato e curato le mostre d’arte più importanti del Veneto degli ultimi dieci anni.

    «Secondo te, lo ammazza?» mi chiede.

    Arrivando a tre, l’Inarrivabile stabilisce il record del numero di frasi rivolte alla sottoscritta nel corso di un unico incontro.

    «No» ribatto io, «lo lascerà in vita. Ma solamente perché essere arrestata per omicidio poche ore prima dell’inaugurazione le creerebbe qualche problema organizzativo».

    Già, un evento esclusivo e riservatissimo, destinato alla Padova SuperVip, previsto per le ore diciotto e zerozero di oggi. Per i comuni mortali, l’esposizione apre domani, ore nove, come già da giorni annunciano quotidiani e TG nazionali.

    Ermanno sorride!

    Al pari della Garbo, lui di norma non ride mai: si limita, quando la cortesia lo richiede, ad arricciare leggermente gli angoli della bocca. Questa volta sorride sul serio, con l’allegria che gli arriva anche allo sguardo.

    E proprio quando comincio a pensare che dopotutto, se mi ha chiesto della dieta, presta attenzione a quello che dico, che unmetroesessantasette non è proprio una statura da nana, che magari Ermanno è uno di quelli che gradisce qualche curva su una silhouette femminile, che i miei capelli saranno anche crespo-anarchici, ma hanno bei riflessi biondo scuro e rame – per cui la scritta castani sulla carta d’identità è una definizione assai riduttiva – proprio quando comincio a pensare tutto questo… lo sguardo di lui si fa acquoso e vacuo, e si fissa su un punto indefinito davanti a noi. Il punto dal quale, d’improvviso, è comparsa Anna Lisa.

    Anna Lisa è il tipo che non arriva in un posto, ma sembra materializzarsi per incanto, esile ed eterea, librandosi su una nuvoletta di magica grazia, e su tacchi di centimetri dodici che innalzano a vette siderali la sua statura da top-model. Anche Anna Lisa Meneghetti è un esemplare di Padovana Strafica, con la giusta taglia quasi baby, e una tinta di capelli color miele, lisciata e lucidata come uno dei ripiani dei mobili forniti dal padre di Ermanno.

    Oggi indossa un tailleur alla Camilleri – non è che lui se li metta, ma li descrive proprio così: un millesimo di millimetro più corti, più aderenti o più scollati di quanto la decenza permetta, e quindi automaticamente in grado di mandare fuori di testa il maschio medio della specie umana.

    «Ciao, Ermanno» proferisce con voce flautata, «vorrei decidere insieme a te la collocazione dei pezzi che hai fatto portare».

    «Ah, ciao!» fa cadere dall’alto verso la sottoscritta, dirigendosi verso i corridoi di pannelli senza nemmeno verificare che qualcuno la stia seguendo.

    Olindo e Loris, qualche metro dietro di lei, stanno trasportando il primo dei pezzi, un pregevole cassettone intarsiato del primo Ottocento, con il medesimo sforzo provato da un bambino che sollevi un mattoncino Lego, e si scambiano un’occhiata da intenditori.

    «Tutta ossa» commenta Olindo.

    «Tanto fumo, niente arrosto» fa eco Loris.

    Ho deciso, li sposerò entrambi, anche perché Ermanno, rispondendo ai loro pareri con un sorrisetto che sembra di approvazione, si accorge nuovamente della mia esistenza.

    «Ci vediamo più tardi all’inaugurazione» mi dice, con un’espressione strana, come se fosse meravigliato e perplesso da se stesso.

    «Ump» rispondo nuovamente, non a causa di pane e soppressa, ma perché almeno una ventina di battute brillanti, acute e sottilmente provocanti che sicuramente mi verranno tutte in mente fra mezz’ora mi si sono aggrovigliate e bloccate in gola, togliendomi l’uso della parola.

    In questo momento le ragazzine delle medie, al mio confronto, sono donne mature, controllate, perfettamente in grado di gestire le proprie emozioni.

    Anna Lisa è tornata sui suoi passi, battendo i dodicicentimetriditacco con un lievissimo accenno di impazienza, e agitando appena appena la manina french manicurata. Forse ha sentito tutto, perché sta osservando me come se fossi uno strano animale, ed Ermanno come se fosse improvvisamente impazzito.

    «Scusate, ma è arrivato il Boston» annuncia.

    Il Boston è il Ritratto di Gentiluomo - Scuola del Canaletto - Collezione privata, Boston finalmente uscito sano e salvo dalla Tangenziale di Mestre.

    «Te ne occupi tu, Anita?» mi chiede, «Ermanno e io dobbiamo far collocare i pezzi d’antiquariato. Intanto vai avanti, Ermanno, per favore, ti raggiungo subito. Mi raccomando» conclude quando rimaniamo sole: «fallo appendere immediatamente. La Dogana e le Belle Arti stanno arrivando per la visita, e devono trovarlo pronto».

    La ascolto a metà; no, forse a tre quarti, perché ci tengo alla qualità del mio lavoro, ma una parte di me è già proiettata verso questa sera.

    Sto mentalmente setacciando il mio scarno guardaroba, escludendo anche la più vaga ipotesi di nuovi acquisti, e già compongo la sceneggiatura del film nel quale Ermanno rimarrà fulminato dal mio apparire e, incantato, non mi lascerà per tutta la sera – e nemmeno dopo.

    Sul nemmeno dopo decido di darmi una drastica regolata.

    Devo lavorare. Svelta, svelta.

    Anna Lisa mi ha lasciato i due sbarbatelli più giovani e inesperti della Globo Arte, ma i due novellini riescono a togliere il quadro dall’imballaggio osservando tutte le precauzioni e le procedure previste, e ad appenderlo con millimetrica precisione al pannello.

    Poi, soddisfatta del lavoro, li mando entrambi a domare i proiettori, e arretro di due o tre passi per osservare il Gentiluomo.

    Nel medesimo istante, alle mie spalle, sento una specie di gemito, un respiro mozzato a metà, che sembra un singhiozzo.

    III.

    Sindrome di Stendhal, è chiaro.

    I capolavori artistici possono provocare reazioni incontrollate in individui particolarmente sensibili.

    Il damerino incipriato Scuola del Canaletto non mi pare esattamente un capolavoro, ma i gusti, si sa, sono gusti.

    Non riesco a vedere bene in faccia il tizio: uno dei maledetti spot ancora da regolare mi spara negli occhi, e lascia nella penombra lui, che fatica palesemente a trovare il fiato, e ripete, ossessivamente – be’, non proprio ossessivamente, in verità due volte sole: «Il quadro è appeso! Il quadro è appeso!»

    Il tipo, che è arrivato alle mie spalle chissà quando e chissà come mai sembra più incavolato che rapito e sopraffatto dalle sensazioni trasmesse da un’opera d’arte, ma decido comunque di intervenire.

    La Sindrome di Stendhal può arrivare a provocare tachicardia, svenimenti e seri disturbi psicologici.

    Innanzitutto mi piazzo davanti a lui nell’intento di interrompere il contatto visivo col quadro. Praticamente impossibile.

    Il tipo viaggia attorno al metroeottantacinque.

    Un risultato c’è, comunque, dato che abbassa gli occhi verso di me. Sembra ancora confuso.

    Cerco di mettergli le mani sulle spalle, e gli parlo con tono molto calmo e scandito.

    «È normale» spiego, quasi sillabando, «che un dipinto stia appeso a una parete».

    Non è normale, invece, che i quadri prendano vita. Così vicina a lui, riesco finalmente a

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