Sii bella, sii triste
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Creatura prepotentemente moderna, di una femminilità esuberante ed estroversa, Roberta è un grumo di contraddizioni, giovane, carico di una impetuosa eroticità. Attraverso l’esperienza di una fisicità donata , e le lunghe confessioni, il protagonista riscopre se stesso, e la sua fissità nevrotica si frantuma in una serie di sensazioni, ricordi e riflessi psicologici. Tutta la concretezza del vivere, rifiutata con la fuga dalla città e la conseguente stagnazione della campagna, ora si ricompone, si amalgama in un modo nuovo nella sua persona. Nell’intenzione di restituire a Roberta una coscienza di sé, di liberarla dall’angoscia, egli sfrutta la donna nel possesso fisico e spirituale, a poco a poco ne annulla la vitalità e la generosità. Ancora una volta il destino di Roberta si ripete: per tutta la vita si è donata agli altri e gli altri l'hanno sempre derubata nei sentimenti e nella sua istintiva femminilità. Separata da un marito che non l'ha mai compresa e sempre disprezzata, convivente con un uomo che non la vuole sposare ma che lei non ama, innamorata amante invece dell'anonimo protagonista che la usa come cavia per un ultimo esperimento d’amore, la sua educazione sentimentale si concluderà nel tragico addio finale.
La figura di Roberta, simbolo e sintesi delle angosce sentimentali, delle ricorrenti nevrosi, quasi biologiche ormai, nella donna d’oggi, viene delineata dall’Autore con una precisione e una ricchezza analitica che hanno pochi riscontri nella narrativa italiana odierna. Lo stile agglutinato, folto di immagini e riflessioni sulla donna moderna, fanno di questo romanzo un’opera avvincente e di notevole interesse.
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Anteprima del libro
Sii bella, sii triste - Vittorio Schiraldi
Vittorio Schiraldi
Sii bella, sii triste
Titolo | Sii bella, sii triste
Autore | Vittorio Schiraldi
Edizione cartacea | Arnoldo Mondadori Editore - 1974
Edizione digitale | Vittorio Schiraldi self publisher - 2011
Realizzazione e-book | Sergio Covelli - Pecorenerecords
TUTTI I DIRITTI RISERVATI | © Copyright 2011 Vittorio Schiraldi
Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta senza il preventivo assenso dell’autore.
Vittorio Schiraldi
www.vittorio.schiraldi.it
È questa la mia residenza, qui abiterò poich’io la volli.
Salmo 132
Registrazione numero uno.
Gershwin sta suonando per me. Nel buio non vedo le sue mani correre sulla tastiera, inseguendo le note della sua rapsodia. Non posso vederle infatti, perché di Gershwin c’è soltanto la sua musica, così come lui sapeva suonarla. È incisa su un rullo che ascolto in questa stanza oscura, davanti a un microfono che raccoglie .la sua voce, che parla di lui, e la mia, che fatica a parlare di me stesso.
Tasti bianchi e neri si abbassano solitari, evocati da un fantasma, illuminati da una luna, schiacciata dietro le cime degli alberi, che splende sulla pianola con riflessi cupi. Peccato che Gershwin suoni tanto male, ma lui suonava così.
Ora ha smesso, la pianola tace come un giocattolo scarico.
Rimango affondato nella poltrona, spengo la sigaretta. Mi alzo, riprendo il rullo che sembra antico come un papiro, tocco i buchi stretti e lunghi sulla carta, gli impulsi di quelle mani autentiche e incapaci, poi restituisco Gershwin al suo sepolcro, collocando il cilindro in libreria.
Accendo la luce. Il silenzio si fa improvvisamente duro. Spalanco la finestra cercando un soffio d’aria. Il buio ha ritagliato strane ombre fra gli alberi e i cespugli in giardino. Nel ciclo si apre intermittente il puntino rosso di un aereo che passa alto, traghettando i residui di un’umanità lontana, lasciandomi solo, qui nella campagna.
Questa casa è in cima a una collina eppure, di giorno, gli alberi nascondono la strada, il rumore di una sirena che ho cominciato ad ignorare. La stanza è piccola e mi piace, perché me la sento sulla pelle. Ho una casa di pietra, a due piani, un orto, un gatto che non mi appartiene, i miei libri, la mia solitudine.
Da bambino mi piaceva giocare in campagna: mi nascondevo nel fienile, aspettando che mi cercassero. Qui, in questa specie di rifugio, Roberta è arrivata all’improvviso. Arriva sempre all’improvviso, quasi ogni giorno. Ora sento anche lei nel silenzio, insieme ai libri, all’orto, agli alberi in giardino.
Stamattina è venuto un uomo con la scure. Voleva troncare i rami dell’eucalipto dietro la casa. Ha detto che frantumeranno il muro, quando dentro la sua corteccia scoppierà la vita, sotto la pietra. Ho mandato via il contadino perché l’abbraccio dell’albero non mi soffoca. Sarò felice di vedere esplodere la vita nel muro dietro la casa, lasciando che le radici riprendano la terra rubata.
Guardo con odio il registratore che incide le mie parole, il nastro che si tende come un segmento di vita nel quale stento a collocarmi. Ripeto uno, due, tre, quattro, cinque, per beffarmi di lui, negandogli i miei pensieri, sfuggendo alla sua silenziosa estorsione. Se resto muto lui svuota il mio presente, senza capire, e se lo porta via con un fruscio come se fosse fatto di niente.
Innanzi a me, in libreria, Bach mi osserva, chiuso nel suo cilindro. Mi alzo, lo raggiungo. Voglio ascoltare l’adagio in fa minore del suo concerto impresso nei puntini verticali del rullo che adesso affido alla pianola.
La lunga carta dura si srotola verso i tasti azionando il congegno. La pianola ricomincia a vivere. Cortot suona per me, governando il vuoto di questa casa, del mio cervello stanco. Torno a fissare l’inginocchiarsi della tastiera davanti alle invisibili mani che scuotono quel vecchio strumento, poi mi aggrappo ai ricordi per cominciare a rispondere del mio presente. Roberta. Mi ero detto che avrei parlato di lei, ora ho voglia di farlo e sono pronto.
Cancellare registrazione. Inizio analisi del soggetto.
Appendice con osservazioni preliminari. Nome: Roberta. Età: ventidue anni. Sposata, separata, disponibile. Il soggetto convive con un giocatore di polo, semimpotente. Dice di volergli bene ma probabile che l’affermazione serva a tacitarle la coscienza. Alta, bionda, capelli lunghi, belle gambe, seno abbondante, fianchi stretti. Piuttosto bella. Fondamentalmente mitomane. Forme depressive ricorrenti accompagnate da stati di autoesaltazione. Presenti in misura notevole elementi di narcisismo. Sviluppo psichico ritardato. Condizione nevrotica latente.
Riferimenti.
Arriva ogni mattina alle dieci. Sento la sua macchina sulla ghiaia, i passi sull’erba in giardino e sul pavimento di legno, da basso. Ma come ti è saltato in mente di venire a vivere in campagna? Dice così ogni volta, comparendo in cima alle scale. Entra senza salutare, sorride, tende una mano quasi a scansarmi e si lascia cadere sulla poltrona, col fiato corto, ansimando per quei gradini che fa sempre di corsa.
Azioni del relazionante: tradizionali Preparo un caffè, mi accendo una sigaretta. Il soggetto osserva in silenzio poi sembra allarmarsi. È proprio sicuro che non ti disturbo? domanda. Non mi disturba. Mi piace vederla. Come il gatto alle cinque. Specificare. Specificazione gatto. C’è un gatto che arriva in casa alle cinque, forse dalla fattoria qui vicino. Passa dai tetti, conquista la finestra, si accuccia accanto alla poltrona, dove arriva il sole, e resta immobile a osservarmi, mentre lavoro. Mi piace ma mi distrae. Quando sono stanco di vederlo immobile, né servo né padrone, mi avvicino al davanzale, ci batto sopra con la mano, e lui capisce che deve andarsene, perché la visita è finita.
Riprendo trascrizione Roberta.
L’ho conosciuta tre mesi fa da Tilde in boutique. Il soggetto continuava a provarsi cinte e giubbotti di renna. Mi guardava, sorrideva, arrossiva. Sembrava volersi scusare per quella vanità che continuava a ostentare come una sua prerogativa. Poi è venuta a sedersi accanto e mi ha indicato la collana. Roba da Porta Portese. È bella? mi ha chiesto. Se avesse avuto vicino una casa intera me l’avrebbe mostrata pezzo a pezzo. Mostrati anelli, un Piaget nuovo e agenda di Hermes completamente bianca. Alla chiusura siamo andati a colazione con Tilde e a casa mia. È scappata di corsa alle quattro perché aveva un appuntamento. Tilde non mi interessava. Mi annoia. Perché le ho portate a colazione? Forse mi interessava Roberta, forse non volevo mangiare da solo. Il soggetto ha domandato: « Secondo te che tipo sono io? ». Ho risposto: « Una che ha avuto una storia che sembrava importante e adesso è delusa e si attacca agli oggetti, ma non gliene importa niente ». Sciocchezze. Non volevo impressionarla. Così non si impressiona più nessuna Io non voglio impressionare più nessuno,. Non intendo incuriosire nessuno. Il soggetto si è rivelato insignificante. Mi ha chiesto se facessi l’avvocato.
Cancellare tutto fino a specificazione gatto. Escludere riferimenti personali.
Roberta. Siamo andati a letto dopo un paio di giorni, nell’altra casa. Credo che ci sia venuta per farmi vedere il suo corpo. Dice che il seno è un po’ troppo grosso. Dettagliare.
Ho cominciato a spogliarla e lei dapprima se ne stava buona, come se avessi dovuto rivestirla per mandarla a scuola, poi si è liberata bruscamente. Voleva spogliarsi da sola. Ha acceso tutte le luci e si è distesa sul letto. È rimasta immobile. Aveva un’espressione angosciata. Sono frigida, diceva, è inutile, sono frigida. Con l’indice della mano destra mi indicava le zone erogene del suo corpo. Qui, ripeteva, adesso qui e qui, dovrebbe funzionare.
Nessuno, però, ce la fa con me la prima volta, squittiva.
Sono entrato dentro di lei, si è messa a ridere delusa. Istericamente. Non ce la nessuno, continuava, sono frigida. Tu non sei migliore degli altri, tu non sei diverso dagli altri. E cercava di non abbandonarsi. Dopo un paio di minuti si è alzata. Hai finito? mi ha detto. L’ho presa a schiaffi. Mi dispiace perché era quello che lei desiderava. Ha gridato: Mi prendi a schiaffi per dimostrarmi che sei potente, sei virile? Bravo, sei potente, sei forte, sei virile, sei più bravo di me, sono io l’impotente. Non devi arrabbiarti, io sono fatta male, nessuno ce la fa con me la prima volta, perché io sono più forte. Sembro debole, lo so, e gli uomini riescono sempre a fottermi prima o poi ma questo, sai, non lo dimenticano. Anche tu credevi di riuscirci, ma è andata male. Non fa niente. Adesso scusami, debbo scappare
.
Era quasi riuscita a convincermi che non ce l’avevo fatta. Gli occhi le si erano inumiditi ancora. Si è rivestita, rapidamente, mi ha guardato con un’espressione tenera, mi ha baciato di corsa ed è scappata.
Accertare origine condizione inibitoria. Assecondare conclusioni e verificare possibilità di sblocco dopo le medesime.
Da quel giorno non l’ho più rivista, fin quando me ne sono andato. Non so come sia riuscita a trovarmi e perché voglia venire qui ogni giorno, dove voglio restare solo.
Fine registrazione.
II
Te l’ho detto, non mi va di stare in città. Vengo qui per prendere un po’ d’aria. Più tardi mi fai vedere l’orto? Ma come ti è saltato in mente di venire a fare l’eremita? E quella radio perché non la fai riparare? Vuoi che ci pensi io? D’accordo, come preferisci. Non ti capisco però. Anche io debbo essere una campagnola, la mattina non riesco a tenere gli occhi chiusi, ho voglia di alzarmi e poi non ho più voglia di niente. Sai che dormo pochissimo? Due cucchiaini, grazie. Il caffè mi piace dolce. Non l’avevo mai vista una casa in campagna così alta, sembra una torre. Sono bella oggi? Ti piace la mia collana? No, non ce l’avevo prima. È nuova. Ho deciso di farla con i regalini dei miei amici, perché tutti debbono farmi un regalino, anche tu. Ho visto un anellino in centro, costa pochissimo, non voglio farti spendere soldi. Un giorno o l’altro lo compro e te lo faccio vedere.
Non mi dire queste cose. Io non ho molti uomini e nemmeno molti amici. L’unico uomo al quale ho voluto veramente bene è stato mio marito. Forse lo amo ancora. No, a pensarci bene non lo amo.
Non lo so. Piero è bellissimo. È sempre piaciuto alle donne, dovresti vederlo. Scusami, tu non sei bello, magari hai un sacco di cose che lui non ha, ma mio marito è bello. Sai che si faceva pagare quando facevamo l’amore? Guardami un po’, ti sembro il tipo che dovrebbe pagare un ragazzo per farci l’amore? Eppure lui era fatto così.
Mio marito mi amava, era innamorato cotto, non mi faceva mancare nulla, si preoccupava soltanto di me. Ero ancora una ragazzina quando l’ho conosciuto: è stato un matrimonio d’amore il nostro. Per me lui era Dio, era sopra ogni cosa. Mi faceva sentire importante, viva, piena di entusiasmi. Ti annoiano questi discorsi? Io penso di annoiarti. Tu non sei un medico, uno psicanalista, eppure rimani a guardarmi in silenzio e mi lasci parlare. Chissà poi che ci troverai in me! Senti, me lo dici perché ti piaccio? Io lo so che non sono una donna adatta a te, non ho niente da darti, sono stupida, da mio marito mi facevo spiegare tutto, anche i film, e lui me lo diceva che ero una buona a nulla…
È vero, sì, ti ho detto un sacco di bugie. Mio marito non era innamorato di me. Gli piacevo a letto e basta. Diceva che ero una puttana, la sua puttana, ma appena mi rivestivo diventavo subito una stronza. Ecco come mi chiamava. Io avrei voluto restare sempre nuda, per non sentirmi una stronza, ma se restavo sempre nuda rimanevo una puttana, non ti pare? Lui si preoccupava solamente di se stesso, cercava di piacere a tutti, a qualunque costo. Se per caso, appena usciti, si accorgeva che la cravatta non gli stava bene voleva tornare indietro a cambiarsi, e se io protestavo diventava cattivo, e quando eravamo a casa mi strappava i vestiti e voleva fare l’amore. Voleva che gridassi mentre facevamo l’amore. Un po’ maniaco, vero? Dimmi la verità, io non sono una stronza. Forse sono una donna inutile, mi piacerebbe capire un sacco di cose, avere uno scopo nella vita ma non so che fare, e poi sono convinta di