Awakening
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Una convulsa e straniante serie di eventi che spazzeranno via tutte le certezze di un uomo, un impiegato, un uomo normale, certezze che si scopriranno essere basate sul nulla, ed essere nulla a loro volta, portando quell'uomo normale in un viaggio dentro sé stesso, nel suo Io più intimo, finendo per...
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Anteprima del libro
Awakening - Pietro Birtolo
Di Pietro Birtolo
[email protected]
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi,
luoghi e avvenimenti sono il frutto dell’immaginazione
dell’autore o sono usati in modo fittizio.
Qualunque somiglianza con fatti, luoghi e persone reali,
viventi o defunte, è del tutto casuale
Awakening
Mi svegliai di soprassalto dimenando le mani, cercando di sottrarmi a quell'invisibile morsa al collo. Era solo il caldo soffocante, appiccicoso, insistente e inesorabile.
Era come se avessi dormito solamente cinque minuti, in realtà erano passate tre ore.
7:33
Cercai di lasciarmi scivolare ancora in quel limbo tra sonno e veglia, tanto seducente e piacevole a quell'ora della mattina, ma non vi riuscii, sentivo la testa leggera per il poco sonno, avevo fame, volevo andare al cesso e sopratutto volevo Dormire, non far finta per qualche ora. Ogni volta che chiudevo gli occhi sentivo il sonno bussare e chiedere di entrare, ma alla fine non lo faceva mai, rimaneva lì sull'uscio ad irridermi. Non dormivo bene da più di due anni, lo standard erano due o tre ore a notte ed anche quelle non erano certo assicurate. Spesso non dormivo affatto, specialmente nell'ultimo periodo, oppure quelle poche ore erano intervallate da svariate pause di veglia che rendevano quel poco sonno ancora meno utile.
7:48
Aprii gli occhi e decisi di rinunciare a quegli inutili, ed anzi, controproducenti tentativi di riconciliazione col letto e mi alzai. Valutai di porre rimedio ai bisogni in ordine di importanza: Andai verso il bagno.
Il pavimento era fresco e vagamente confortante, mi faceva stare bene, forse era proprio quel freddo che permeava nella mia pelle, forse quella sensazione di sicurezza data dalla sua solidità.
La situazione cambiò arrivato in bagno, le mattonelle laccate e scivolose del bagno erano si più fredde delle precedenti, ma anche più pericolose. Una volta vi tenevo un tappeto ma poi decisi che non valeva la pena doverlo lavare una volta alla settimana, o una volta al mese, alla fine sparì magicamente non so nemmeno io dove. Mentre passai i miei occhi vennero istintivamente catturati da qualcosa in movimento, era il mio volto allo specchio. Mi fermai ad osservare quegli occhi grigi che mi osservavano da quel mondo lontano, diametralmente opposto al nostro, anche lui mi osservava da dietro quella barriera invalicabile che distorceva i mondi, che li divideva, lasciando loro quel piccolo punto di contatto, due nere pupille coronate da un grigio stanco e smorto.
Sentii quel bisogno impellente tornare a bussarmi, andai verso la tazza con la tavola ovviamente alzata e iniziai a pisciare. Fu piacevole, dare finalmente libero sfogo a quella pulsione che tanto premeva. Quando ebbi finito e venni tirato fuori da quella rara e piacevole parentesi fuori da quel mondo assonnato e scuro tornai a sentirmi peggio di prima. La testa sembrava non pesarmi sul collo, mentre uscivo dal bagno decisi di controllare se effettivamente vi fosse ancora attaccata, lo era, così come era ancora attaccato quell'orrendo naso, magro, adunco ed affilato. Così come lo erano quelle orecchie troppo grandi per quel volto magro ed emaciato. Gli occhi incorniciati dalle enormi e violacee occhiaie che ormai mi accompagnavano da anni. Una cosa che mi stava abbandonando, mio malgrado, erano i capelli. La fronte era ormai divenuta alta e spaziosa, anche i capelli si facevano più radi e deboli. Influiva di sicuro il sonno mancato, lo avevo letto da qualche parte.
7:55
Il passo successivo sarebbe dovuto essere mangiare qualcosa, ovviamente non avevo comprato nulla il giorno prima, il frigo era come al solito quasi vuoto. Un frigo pieno di condimenti e nulla su cui usarli. Ero pieno di ketchup , maionese, mostarda, olive, prosciutto, poi certo, c'era la roba congelata o peggio in scatola, quasi esclusivamente in quello consisteva la mia dieta, cibi precotti congelati o carne in scatola.
Alla fine decisi di accontentarmi semplicemente di una paio di fette di prosciutto accompagnate da una tazza di latte, giusto per zittire i lamenti del mio stomaco per qualche ora, poi avrei preso qualcosa mentre andavo a lavoro o semplicemente avrei sopportato quell'invisibile lamento interno per qualche ora fino al pranzo, accontentandoli con un mediocre pasto alla mensa aziendale.
Odorai il latte prima di versarmelo, non si sa mai, pensai. Sembrava odorare di normale latte, lo versai nella tazza ancora incrostata di qualcosa di cui non ricordavo nemmeno la natura ed insieme al latte aggiunsi un po' di caffè. Non sopportavo il sapore del solo latte, dovevo ibridarlo con qualcosa, optai per il caffè, nutrendo la vana speranza che potesse aiutarmi a rinsavire da quello stato confuso e vaneggiante in cui versavo. Mentre aggiungevo il caffè osservavo lo scuro liquido fondersi con il latte, lottare, spingere, ritrarsi, ed alla fine il bianco inghiottì il nero, perdendo tuttavia l' immacolato colore candido, rimanendo lordato da quel marrone che sapeva di sporco.
Diedi un'ultima mescolata e bevvi d'un fiato. Anche se il caffè ne rendeva più accettabile il sapore rimaneva tuttavia cattivo. Presi due fette di prosciutto e le infilai in bocca mentre andavo a prepararmi in camera da letto.
8:12
Mi accorsi di essere vagamente in anticipo quindi feci con comodo nello scegliere una tra la decina di camicie tutte uguali, uno tra i pantaloni non uguali ma simili. L'unico capo in cui non avevo molta scelta erano le scarpe, me ne rimanevano un solo paio di buone, dunque presi quelle e le indossai. Effettivamente pensai di non avere molta scelta nel mio vestiario visto che ogni scelta era se non uguale, simile alle altre. Mi domandai se fosse comunque una reale scelta o effettivamente solo un illusione. Tuttavia il flusso di pensieri si spezzò quando indossai l'orologio meccanicamente e guardai l'ora con noncuranza, più per abitudine che per altro.
8:29
Se non mi fossi sbrigato avrei rischiato di perdere il bus e di arrivare in ritardo, cosa inaccettabile per me. Non ero mai arrivato a lavoro in ritardo. Avrei potuto comprare un auto, riducendo quel rischio praticamente a zero, ma in un certo qual modo era come rifiutare quella sfida, usare un trucco. Invece mi piaceva correre in quella maniera, sentirmi in qualche modo sul filo del rasoio, in bilico, rischiando di perdere per un incolonnamento, un incidente, un semaforo rotto. Quello era forse il momento della giornata in cui mi sentivo più vivo, l'unico momento in cui effettivamente mi sentissi vivo.
Infilai le scale di corsa trascinandomi la porta appresso, che poi si chiuse con un forte rumore di schianto.
8:43
La stazione dei bus era come al solito vagamente assonnata, non era ancora all'apice della sua vitalità. La maggior parte della gente semplicemente attendeva il proprio bus in una specie di stato sonnolento, stavano seduti sulle panche guardandosi vagamente intorno, svegliandosi per qualche istante ogni volta che un nuovo mezzo arrivava, per assicurarsi che non fosse il loro, per poi tornare placidamente alla loro posizione di partenza, scivolando ancora in quello stato di strana letargia.
C'erano anche i nervosi ed impazienti che stavano in piedi correndo a destra e a manca, controllando ogni bus, interrogando ogni autista, guardando il tabellino degli orari ogni minuto. Quelli erano la peggior specie, non riuscivano a stare un secondo fermi, dovevano in qualche modo avere l'illusione di starsi muovendo, di non essere semplicemente in balia degli avvenimenti, vittime del giudizio altrui. Ed io cos'ero? Effettivamente potevo essere entrambe le specie, tutto dipendeva dal tempo, per qualche minuto potevo essere un calmo e tranquillo omuncolo in giacca e camicia sgualcita, con gli occhi assonnati, salvo poi scattare come una molla e diventare il peggior nevrotico impaziente del mondo. Tutto dipendeva dallo scoccare di quelle lancette, lo scoccare di quell'ora limite che avrebbe deciso se fossi o meno arrivato in ritardo.
Quel giorno fui fortunato, l'autista del bus che dovevo prendere, il 48, era già al suo posto aspettando solo l'ora esatta per partire, adoravo le persone del genere, erano affidabili e mi evitavano di passare a quella complicata e spiacevole seconda fase. Salii sul bus e mi sedetti verso il fondo. Il bus era praticamente vuoto, mentre salivo lanciai un'occhiata al mio amico autista che non ricambiò perché troppo occupato ad aspettare che la lancetta compisse il proprio giro per mettere in moto la vettura.
Non era mio amico in quanto lo conoscessi, non sapevo il suo nome, nemmeno l'avevo mai visto se ben ricordavo, era mio amico semplicemente perché i nostri pensieri si accordavano, eravamo fratelli nella nostra schiavitù verso quel ticchettio spasmodico e ritmico, così dolce ed amaro allo stesso tempo.
Mentre vagavo tra questi pensieri insulsi il bus cominciò a muoversi. Guardai l'ora per assicurarmi che effettivamente fosse partito in orario.
8:50
Mi rilassai lasciandomi cullare da quel movimento ondulatorio. Sentivo ancora la testa leggera e confusa, erano gli effetti dell'insonnia, li conoscevo bene e sapevo che l'unica cosa che serviva fare era sopportarli ed aspettare che il cervello riprendesse a funzionare come doveva.
Davanti a me c'erano solamente altre tre persone. Le osservai senza troppa insistenza, mi diedero l'impressione di tetre e sconsolate esistenze, visi indifferenti tipici della mezz'età, disillusi. Gli unici visi che riuscivo ad immaginare davvero sorridenti erano quelli dei bambini o degli adolescenti, insomma, coloro che ancora non avessero assaggiato l' amaro bastone della vita, chi ancora pensava che tutto gli fosse dovuto e che un giorno sarebbero diventati come i personaggi di qualche film, famose rock star,