Papers by Salvatore Minolfi
FUORI COLLANA, 2024
Le discussioni sulla crisi dell’unipolarismo (declino? dissolvimento? superamento?) sono altretta... more Le discussioni sulla crisi dell’unipolarismo (declino? dissolvimento? superamento?) sono altrettanto vaghe ed imprecise quanto lo furono quelle sulla natura del sistema internazionale venuto fuori dalla fine della guerra fredda. Perennemente in bilico tra il piano della pura e semplice “preponderanza” militare e il piano delle aspirazioni egemoniche e di governo del mondo, l’unipolarismo appare irrimediabilmente contrassegnato da quell’ambiguità originaria. Oggi che il Medio Oriente è, ancora una volta, attraversato dalle sue guerre senza fine, dall’esercizio brutale della violenza, dal fallimento e dalla crisi della politica, dall’assenza di prospettive ragionevoli, è necessario riflettere sulla circostanza che fu proprio lì, nel deserto irakeno – non in Europa o nel Pacifico Occidentale – che prese forma, più di trent’anni fa, la narrazione unipolare e tanta parte delle sue ingannevoli fantasmagorie.
GIANO. Pace Ambiente Problemi globali, 2000
Il processo di trasformazione della NATO negli anni Novanta. Dalla "Partnership for Peace" all'al... more Il processo di trasformazione della NATO negli anni Novanta. Dalla "Partnership for Peace" all'allargamento della membership ai paesi dell'Europa orientale. Dal "nuovo contenimento" alla proiezione "out of area".
L'incerta frontiera, 1993
chaosmos - critica cura teoria, 2004
Studi Storici Rivista Trimestrale Dell Istituto Gramsci, 2007
Carolina Press, 2007. Hunt ha au torevolmente innovato il pi? tradizionale approccio alia storia ... more Carolina Press, 2007. Hunt ha au torevolmente innovato il pi? tradizionale approccio alia storia della pol?tica estera con lo studio d?lie id?ologie, intese corne sistemi coerenti di valori, simboli e credenze. Risale giu sto a vent'anni fa la sua prima sistem?tica esplorazione d?lie componenti ideologiche fon damentali della pol?tica estera americana. Cfr.
Studi Storici Rivista Trimestrale Dell Istituto Gramsci, 2012
Nell'agosto del 201 1, nel corso di un'intervista al «Wall Street Journal riel Roubini, oggi uno ... more Nell'agosto del 201 1, nel corso di un'intervista al «Wall Street Journal riel Roubini, oggi uno degli economisti più noti al mondo-innanzitut la lucidità e la precisione con cui, nel 2005, aveva delineato i contorni d terribile crisi che di li a tre anni avrebbe investito prima la finanza e p nomia mondiale-sintetizzava il suo giudizio sull'inadeguatezza delle ris governative a quella crisi e, più in generale, sull'insostenibiltà di un pr caratterizzato dal continuo trasferimento di reddito dal lavoro alla ren salari al profìtto, con un'affermazione che non poteva non imbarazzar compassato interlocutore: «Karl Marx got it right, at some point capit can destroy itself»1. Naturalmente, Roubini, ormai ascoltato consulent le grandi banche centrali, del Fondo monetario e di altri importanti is 4 R.
Following a large number of studies on inequality and relying on a unique collection of data from... more Following a large number of studies on inequality and relying on a unique collection of data from twenty countries, the work of Thomas Piketty, Capital in the Twenty-First Century, explores the fundamental dynamics that have been driving the accumulation and distribution of capital since the eighteenth century, arguing that neither the economic growth nor the the diffusion of knowledge have modified the deep structure of capital and its intrinsic tendency to generate inequality. In reviewing Piketty’s book, the author contends that the French economist wavers between two different approaches, one of which consistent with his neoclassical background, the other with his attempt to bring political, social and cultural factors (and, more generally, power) into a much broader analytic framework, where capitalism figures as a historical system. This uncertainty becomes even more evident as Piketty underestimates the role and meaning of financialization in the last forty years, and the way it has reshaped both the pattern of accumulation and the power relations between labour and capital. Finally, the author emphasizes that the worrying prospect of a return to nineteenth-century patrimonial capitalism – about which Piketty warns us – is paralleled by political and institutional processes that undermine or erode the modern forms of democratic accountability.
Book Reviews by Salvatore Minolfi
La storia del nostro paese è, con tutta evidenza, dinanzi ad un nuovo tornante. Tuttavia, concedi... more La storia del nostro paese è, con tutta evidenza, dinanzi ad un nuovo tornante. Tuttavia, concediamoci per un momento il lusso di ignorare le pur prevedibili conseguenze socio-economiche del post-Covid, con le quali tra poco saremo chiamati a fare i conti. Anzi, riposizioniamoci all'altezza del febbraio 2020, in modo che la finzione appaia più persuasiva. Ecco, un italiano che volesse tracciare un sintetico bilancio dell'ultimo quarto di secolo del paese avrebbe dinanzi a sé un quadro d'insieme veramente scoraggiante: un declino apparentemente inarrestabile del paese, una stagnazione economica punteggiata da vere e proprie recessioni, una crisi di lungo periodo della produttività, una deflazione salariale quasi permanente, il soffocamento della domanda interna, l'aumento delle disuguaglianze di ogni genere, l'esasperazione degli squilibri tra le diverse aree del paese, lo spettro di un'incombente crisi demografica (composta da un calo della natalità e dalla ripresa di un flusso migratorio, soprattutto giovanile, in uscita dal paese). Se aggiungiamo-elemento a suo modo decisivo e rivelativo-una crisi politica profonda che ha visto il drastico ridimensionamento dei principali attori politici della cosiddetta "seconda Repubblica", il quadro è pressoché completo. Esso delinea i contorni di un fallimento storico senza appello: trent'anni "pietosi" (come hanno sintetizzato Massimo Pivetti e Aldo Barba 1) in contrappunto ai precedenti "Trenta gloriosi" celebrati dall'economista francese Jean Fourastié nel suo libro del 1979. L'anno scorso-sempre in tema di bilanci storici-uno studio del CENTRE FOR EUROPEAN POLICY di Friburgo, affermava che erano stati l'Italia e la Francia i grandi perdenti dell'Europa di Maastricht: si stimava, infatti, che, nel periodo 1999-2017, il nostro paese avesse lasciato sul terreno 4.325 miliardi di euro di PIL, mentre i nostri cugini d'oltralpe ci avevano seguito a poca distanza con una perdita di 3.591 miliardi 2. I vincitori erano, sostanzialmente, la Germania (+1.893 mld) e l'Olanda (+346 mld). Altri elementi che accomunano Italia e Francia nel destino di "perdenti" dell'area euro sono l'enorme debito pubblico (intorno ai 2.400 mld di euro alla fine del 2019, per entrambi i paesi) 3 , il drastico ridimensionamento delle rispettive piattaforme produttive e un tasso di disoccupazione stabilmente elevato (di poco sotto il 10%). Destini paralleli, per certi aspetti, ma non del tutto e, soprattutto, non sempre. Uno studio dell'INSTITUTE FOR NEW ECONOMIC THINKING chiarisce che il PIL italiano rappresentava l'85% di quello francese nel 1960, il 97% nel 1995 (dopo un'epoca di crescita sostanzialmente continua), per poi ricadere all'82% nel 2018 (su una soglia, dunque, più bassa del 1960) 4. Discontinuità e differenti articolazioni dei percorsi storici non devono impedirci, però, di cogliere quelle evidenze che si impongono quando il nostro sguardo cerca di intuire sinteticamente la cifra di un'intera epoca storica. Oltre i dati socio-economici, nella loro essenziale durezza, è la stessa vicenda politica che ci impone di riflettere sulle traiettorie dei due paesi. Le elezioni presidenziali del 2017, in Francia, sancirono la scomparsa di quella classe dirigente socialista che era stata, a partire dagli anni Ottanta, la vera regista della conversione del processo di integrazione europea nel progetto unionista e nella costruzione della sovrastruttura giuridica e politica incarnatasi nel Trattato di Maastricht. È difficile immaginare, nella vicenda politica di un paese, un giudizio della storia più duro e inappellabile. Un anno dopo, le elezioni politiche italiane del 2018 avrebbero prodotto un terremoto politico semplicemente inimmaginabile ancora qualche anno prima. I due esperimenti politici che ne sono seguiti hanno subito messo in chiaro-certo, in forme e modalità differenti-che ancora non c'è, sul piano dell'analisi, dell'elaborazione politica e della stessa dinamica di formazione di nuove classi dirigenti, qualcosa di lontanamente adeguato a fare i conti con la dimensione profonda e strutturale 1 Massimo Pivetti e Aldo Barba, La scomparsa della sinistra in Europa, Reggio Emilia, Imprimatur, 2016.
Books by Salvatore Minolfi
L’epoca del dopo guerra fredda – quella iniziata con le speranze dell’89 – è stata costellata di ... more L’epoca del dopo guerra fredda – quella iniziata con le speranze dell’89 – è stata costellata di conflitti. Alle sue origini doveva essere, nella narrativa dominante, un’epoca pacifica, poiché la fine della competizione strategica tra le due superpotenze e il collasso dell’URSS avrebbero rimosso l’ultimo ostacolo all’avvento di un ordine nuovo, garantito dalla supremazia incontrastata degli Stati Uniti che, rimodulando la sovranità nell’universo degli Stati – e ponendo alla sua cuspide un egemone benevolo – li avrebbe privati di quei caratteri hobbesiani che condannavano il mondo ad essere il teatro di una guerra di tutti contro tutti.
Dacché quella dottrina fu lanciata molta acqua è passata sotto i
ponti e la realtà si è mostrata sensibilmente differente..............
L’invasione russa dell’Ucraina ha dato il via ad un terribile conflitto che, oltre a seminare mor... more L’invasione russa dell’Ucraina ha dato il via ad un terribile conflitto che, oltre a seminare morte e distruzione, minaccia di scatenare una pericolosa evoluzione nei rapporti tra Stati Uniti, Russia e Cina. Ben
lungi dal rappresentare un fulmine a ciel sereno, la guerra è il prevedibile risultato di uno scontro di potere che, in forme e fasi differenti, ha attraversato la storia dell’Europa dalla fine della guerra fredda.
In questo contesto, l’esclusione della Russia dai due più importanti processi politici della nuova epoca – il doppio allargamento dell’Unione Europea e dell’Alleanza Atlantica – ha posto le premesse per lo sviluppo
di relazioni sempre più conflittuali che hanno dissipato, nell’arco di un trentennio, le speranze generate, nel 1989, dalla conclusione pacifica del confronto bipolare.
L’Ucraina è diventata il catalizzatore di un confronto caratterizzato dall’opposizione russa alle politiche dell’unipolarismo americano, sostenute e incoraggiate invece dalla “Nuova Europa”, la costellazione di
paesi dell’ex-sfera di influenza sovietica (ora membri della NATO e della UE) che condividono con Washington l’obiettivo di disarticolare le relazioni russo-tedesche, trasformando profondamente gli equilibri geopolitici del Vecchio Continente. Non si tratta, tuttavia, di una riedizione della vecchia guerra fredda: malgrado l’ostinata riproposizione di schemi ideologici e valoriali (come l’opposizione tra democrazia e autocrazia), il nuovo contesto del conflitto è caratterizzato dai processi di diffusione del potere su scala mondiale e dall’emergere di un’ampia ed eterogenea contestazione del predominio americano, sullo sfondo di una crisi economica e sociale che attraversa il mondo del capitalismo occidentale.
(eds.), International Relations Theory and the End of the Cold War, cit., p. 2. Anche Peter Katze... more (eds.), International Relations Theory and the End of the Cold War, cit., p. 2. Anche Peter Katzenstein affermò che "è difficile negare che le esistenti teorie delle relazioni internazionali sono state deplorevolmente incapaci di spiegare un'importante rivoluzione nella politica mondiale".
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Dacché quella dottrina fu lanciata molta acqua è passata sotto i
ponti e la realtà si è mostrata sensibilmente differente..............
lungi dal rappresentare un fulmine a ciel sereno, la guerra è il prevedibile risultato di uno scontro di potere che, in forme e fasi differenti, ha attraversato la storia dell’Europa dalla fine della guerra fredda.
In questo contesto, l’esclusione della Russia dai due più importanti processi politici della nuova epoca – il doppio allargamento dell’Unione Europea e dell’Alleanza Atlantica – ha posto le premesse per lo sviluppo
di relazioni sempre più conflittuali che hanno dissipato, nell’arco di un trentennio, le speranze generate, nel 1989, dalla conclusione pacifica del confronto bipolare.
L’Ucraina è diventata il catalizzatore di un confronto caratterizzato dall’opposizione russa alle politiche dell’unipolarismo americano, sostenute e incoraggiate invece dalla “Nuova Europa”, la costellazione di
paesi dell’ex-sfera di influenza sovietica (ora membri della NATO e della UE) che condividono con Washington l’obiettivo di disarticolare le relazioni russo-tedesche, trasformando profondamente gli equilibri geopolitici del Vecchio Continente. Non si tratta, tuttavia, di una riedizione della vecchia guerra fredda: malgrado l’ostinata riproposizione di schemi ideologici e valoriali (come l’opposizione tra democrazia e autocrazia), il nuovo contesto del conflitto è caratterizzato dai processi di diffusione del potere su scala mondiale e dall’emergere di un’ampia ed eterogenea contestazione del predominio americano, sullo sfondo di una crisi economica e sociale che attraversa il mondo del capitalismo occidentale.
Dacché quella dottrina fu lanciata molta acqua è passata sotto i
ponti e la realtà si è mostrata sensibilmente differente..............
lungi dal rappresentare un fulmine a ciel sereno, la guerra è il prevedibile risultato di uno scontro di potere che, in forme e fasi differenti, ha attraversato la storia dell’Europa dalla fine della guerra fredda.
In questo contesto, l’esclusione della Russia dai due più importanti processi politici della nuova epoca – il doppio allargamento dell’Unione Europea e dell’Alleanza Atlantica – ha posto le premesse per lo sviluppo
di relazioni sempre più conflittuali che hanno dissipato, nell’arco di un trentennio, le speranze generate, nel 1989, dalla conclusione pacifica del confronto bipolare.
L’Ucraina è diventata il catalizzatore di un confronto caratterizzato dall’opposizione russa alle politiche dell’unipolarismo americano, sostenute e incoraggiate invece dalla “Nuova Europa”, la costellazione di
paesi dell’ex-sfera di influenza sovietica (ora membri della NATO e della UE) che condividono con Washington l’obiettivo di disarticolare le relazioni russo-tedesche, trasformando profondamente gli equilibri geopolitici del Vecchio Continente. Non si tratta, tuttavia, di una riedizione della vecchia guerra fredda: malgrado l’ostinata riproposizione di schemi ideologici e valoriali (come l’opposizione tra democrazia e autocrazia), il nuovo contesto del conflitto è caratterizzato dai processi di diffusione del potere su scala mondiale e dall’emergere di un’ampia ed eterogenea contestazione del predominio americano, sullo sfondo di una crisi economica e sociale che attraversa il mondo del capitalismo occidentale.