Il mio spring break
doveva iniziare giovedì 5 marzo. Peccato che nello stesso giorno sia iniziata anche
quella che dovrebbe essere stata l’ultima grande tempesta invernale nel nord
est degli Stati Uniti. Non so dirvi quanti centimetri di neve ci fossero, o
quanti inches, ma quello che vi posso assicurare è che se non mi hanno amputato
il naso per ipotermia a questo giro, non succederà più. Ora, a causa di quel
lieve suo candor nevedemmerda, giovedì hanno dovuto annullare il servizio di
navette del college. Dovevo essere su quella delle 12.00. Mi avvisano che è
annullata. Chiamo l’Amtrak (la Trenitalia italiana) per cambiare il biglietto.
C’è una simpaticissima vocina robotica, Julie, che mi chiede di pronunciare il
mio codice di prenotazione. Piccolo simpatico particolare: la stronzetta
meccanica non capiva il mio accento. E quindi mi deviava all’operatore, con
15-20 minuti di attesa e pubblicità. Ora, dato che questo scherzetto
dell’annullare la navetta lo hanno fatto un paio di volte e poi l’Amtrak ha
cancellato un treno, avrò urlato la mia prenotazione con Julie 4 volte. Prima
ancora di salire su un treno dell’Amtrak, ne avevo già le scatole piene. Anche
perché il siparietto ha molto divertito i miei compagni di casa, che ridevano
dei mie tentativi. Offrirsi di leggere al posto mio no, eh? No.
Venerdì aveva smesso di
nevicare, tutto era pronto. Navetta dell’università alle 9, alle 10 eravamo in questa cittadina sperduta. Ho visto solo la zona della stazione, ma una cosa la posso dire con
certezza: a confronto di quella zona, Kaliningrad è un simpatico e ridente
luogo di villeggiatura. E nella stazione, poi, la meraviglia: le stazioni
funzionano in maniera diversa rispetto alle nostre. Oltre al limite del
bagaglio (quindi io non potrei viaggiare neanche in treno in America), si può
accedere al binario solo dopo aver fatto controllare il biglietto. Niente addii
strappalacrime sotto il finestrino. Le linee nazionali funzionano come
aeroporti, con tanto di perquisizioni random. Solo non ci sono i metal
detector, quindi un minimo si sono regolati.
Nelle due ore di buco
in cui abbiamo aspettato il treno, io e E. ci siamo intrattenute con altre
due ragazze, che avrebbero viaggiato con noi. Nell’ambito delle conversazioni
casuali del più e del meno, ecco che Melissa sgancia la bomba: “Comunque il
college non può dare le case alle sororities”- Al mio sguardo interrogativo,
risponde:” Praticamente c’è una legge in Pennsylvania, in una casa di
associazione o finanziata da privati come l’università, non possono viver più
di dieci donne, se no è classificato come un bordello ed è illegale”.
Non vi nasconderò che
ho passato tutto il viaggio a sghignazzare pensando a questa cosa e a come
l’assurdità degli americani è un qualcosa di raro e antropologicamente
interessante. Col treno siamo passati nelle vicinanze di una zona con un’alta
densità abitativa di amish: si vedevano i loro carri e le loro case si
riconoscevano dai panni stesi ad asciugare all’aperto, perché no elettricità,
no asciugatrice e vedi che goduria metterti i mutandoni di lana dopo che sono
stati appesi a meno 5 tutto il giorno.
Siamo arrivate a New
York, dove alla stazione ci siamo incontrati con il padre di E., e siamo
saliti sul treno per il New Jersey.
Appena arrivate, dato che non avevamo pranzato,
io e E. abbiamo fatto “merenda”, ovvero fatto uno spuntino con cheddar,
salame e cracker e i genitori hanno aperto una bottiglia di vino. Neanche il
tempo di declinare graziosamente, che mi sono trovata in mano un calice di
pinot grigio e a parlare del più e del meno e di quali vini fosse meglio bere
sulla carne, di quali sul pesce, perché essendo italiana, a quanto pare,
detengo il sapere assoluto su queste faccende. Ma ho tenuto botta abbastanza bene, grazie agli
insegnamenti di Padre.
A cena mi hanno portato in un ristorante
italiano, sul quale ci tenevano io dessi un parere, Il Mondo Vecchio. Molto
buono, veramente italiano. Fun Fact: prima di uscire, vedo il padre di E. che
mette in una borsa due bottiglie di vino. Sono perplessa e si vede. M. mi
spiega:” In New Jersey c’è un numero limitato di licenze per alcolici dei
locali. Il numero è determinato dalla popolazione, che però è cresciuta, quindi
alcuni locali non possono ottenere la licenza. Però ci si può portare l’alcool
da casa”. Questi pazzi, pazzi americani.
Il mattino dopomi hanno piazzato
davanti il piatto con i pancake ed è iniziata l’ordalia. Dovete sapere che il
mio approccio al cibo americano è stato profondamente criticato: tutto quello
che io avevo mangiato era Pennsylvanian food e i quaccheri, evidentemente,
ritengono che il mangiare in maniera decente sia un lusso eccessivo. Da
settimane ero bombardata da consigli su cosa dovessi mangiare nel posto dove il
cibo era il migliore del mondo: il New Jersey (sic al quadrato). Ho addirittura
scoperto che E. e G., un altro mio studente, si erano messi d’accordo e
avevano stilato una lista di cose da farmi mangiare assolutamente. First stop,
i pancake, appunto. Che mi sono piaciuti, ma niente di eccezionale. E poi il mall.
Enorme, tentacolare,
con marche anche prestigiose, ma troppo grande per i miei gusti. C’era anche la
sezione del vestiti da prom, il ballo scolastico e dovete essere tutti
orgogliosi di me, perché ho resistito alla tentazione di provarmene uno o più,
ma soprattutto di comprarne. Un giro di applausi per Platypus? Ecco, bravi.
Abbiamo anche pranzato al mall, dove ci hanno raggiunto la zia e la nonna. La nonna di E. ha 76 anni e guida ancora, mette i jeans e aveva un paio
di scarpe da ginnastica della Nike. Il vederla mi ha fatto riflettere su come
sia diverso l’invecchiare per le persone, a seconda della vita che si è
vissuta. La nonna di Emma ha avuto tutto sommato una vita facile, senza grandi
problemi. Non è andata a fare la bracciante nei campi dall’età di 5 anni,
durante la guerra non è scappata dai bombardamenti nei campi, non ha fatto la
maestra in un posto dimenticato da Dio. Non ha cresciuto due figlie da sola,
non ha subito un grave incidente d’auto. Non ha vissuto quello che i nonni hanno
vissuto in Italia. Tutta la vita che ci si porta alle spalle la si paga nella
vecchiaia. La conferma ulteriore la ho avuta quando abbiamo fatto il ponte per
la batteria alla macchina di E. e l nonna, tranquilla e rilassata ha
maneggiato i cavi come un’elettrauta esperta.
La sera abbiamo cenato
a casa, hanno cucinato i genitori, mentre io e E. davamo una mano con i
compiti di bassa manovalanza, quali maneggiare coltellacci e affettare aglio e
cipolla. Il task era reso più difficile dal bilanciare i margaritas che il
padre ci aveva preparato. Se non ho perso un polpastrello in quell’occasione,
ecco, non credo ne perderò più. Un’altra cosa interessante: volete mangiare
senza sensi di colpa? Non guardate come cucinano. Burro, burro ovunque. Potevo
sentire il livello di colesterolo che si alzava visibilmente, anche solo
guardando. Per friggere? Burro nella padella. Per il garlic bread (che cucinerò
a nonno peppino)? Burro fuso. Burro e uova, burro e uova ovunque. Per carità,
tutto buonissimo, ma per favore no. Le coronarie, pensate alle coronarie. Dopo
cena sono passati a trovarci una coppia di vicini. E qui le cose si fanno
interessanti.
Scopo del vedersi,
discutere di una riunione del vicinato che avrebbero fatto il giovedì
successivo, perché un nuovo vicino vuole fare degli ampliamenti alla sua casa,
lasciando poco spazio tra una casa e l’altra e costruendo una mansion. Diatribe
da vicinato, ma ho trovato antropologicamente interessante i termini con cui si
parlava del vicino: “He’s so new money, an italian”. Ora, ,l’ultima volta che
ho sentito la definizione new money è stata nel film Titanic. E la definizione
di italian mi ha colpita nel vivo. Questo non ha aiutato nel mio giudizio dei
vicini, dato che sono stati loro a dispensare questa simpatica definizione. Poi
si sono resi conto che ero nella stanza e che continuavo a sorridere come la
Gioconda. “Non è veramente italiano, credo sia stato adottato da italiani nel
New Jersey”. Embè, questo cambia tutto, stronzo. Per recuperare il vicino si è
messo a incensare l’Italia, ma soprattutto la Toscana, aaah, che bella la
Toscana, così civile, così bella, ci sei mai stata? Ma di dove sei, della
Puglia, ma dov’è la Puglia, che avete in puglia, quasi quasi ci passiamo per
prendere il traghetto e andare in Grecia. Tanto non c’è molto da vedere, vero?
Il tutto condito da intercalari tipo “diccelo se parliamo troppo veloce e non
riesci a seguirci”. A questo affronto non ho dovuto rispondere, perché la madre
di E. è entrata a gamba tesa dicendo che parlo un inglese anche migliore del
loro. Per il resto della serata mi sono
limitata a sorridere, annuire e bestemmiare dentro. E. si sarà resa conto del
mio disagio, perché dopo mi ha parlato dei vicini, dicendo di come il vicinato sia
una cosa importante, etc. etc., ma penso che il danno ormai fosse fatto.
L’ignoranza è una brutta bestia.
Belle bestiole erano invece il cane, di 12 anni,
vecchia, grassa e coccolosa e la gatta, scontrosa e, pazza. Però le
piacevo. La prima sera abbiamo avuto uno gara a chi distoglieva lo sguardo per
prima. La gatta ha vinto, ma di misura, eh. Alla fine della mia permanenza eravamo
abbastanza in confidenza: le ultime due sere mi è venuta a fare compagnia in
camera prima di andare a dormire, si è infilata nella mia valigia traendone
infinito gusto, mi ha fatto le fusa e voleva dormire con me. La gatta è stata
messa alla porta, perché tutto quello che volete, ma sei pur sempre una felina
psicopatica che il primo giorno a provato a graffiarmi il naso mentre scendevo
per le scale. Vedete un po’ come è finita per Oloferne.
E questa è stata la mia vita in NJ.
Platypus